La Madia Travelfood n. 309 - Luglio/Agosto 2016

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Mensile Sped. In Abb. Post. - Gruppo III° - 45% - Art.2 Comma 20/B Legge 662/96 - Fil. Forlì - Tassa Pagata - Taxe Perçue - Reg. Trib. Di Forlì N.653 - Del 14/6/84 - Dir. Resp. Elsa Mazzolini - La Madia Srl - Via Pacchioni, 365 - Cesena - Euro 4,00 - In caso di mancato recapito restituire al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa

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CUCINA

D’ALTO BORDO

A SORRENTO PIATTI STELLATI PER LE BARCHE DEI CANTIERI APREAMARE

LA MADIA EDITORE

ANNO XXXII - Luglio/Agosto 2016 - N. 309 - €E 4,00 - Direttore ELSA MAZZOLINI




SOMMARIO - LA MADIA TRAVELFOOD n. 309 FASHIONFOOD

di

Gianni Di Lorenzo

GOURMETFOOD

pag. 48

di

Maria Chiara Zucchi

pag. 58

MONASTERO SANTA ROSA

CUCINA D’ALTO BORDO

La sua straordinarietà sulla Costiera Amalfitana.

A Sorrento piatti stellati per le barche dei Cantieri Apreamare.

La cultura del benessere Perché non dimagrisco? di Primo Vercilli......................................................... pag. 6 La scelta vegana Sidney sempre più Vegan di Silvia Bianco......................................................... pag. 8 Assaggi di Galateo L’importanza della colazione di Fabio Ferrantino.................................................... pag. 10 Progettare l’impresa Tre metodi per rendere il nome di un piatto unico e memorabile di Lorenzo Ferrari..................................................... pag. 12 Golavagando Focaccella a Madrid.................................................. pag. 16 Le Plongeoir a Nizza di Luigino Filippi........................................................ pag. 18 Cristoforo Trapani di Claudio Mollo........................................................ pag. 20 Ristorante Palo Alto di Domenico Acconci............................................... pag. 22 Il Tempo dei Sensi.................................................... pag. 22 Therasia Resort Sea & Spa di Giorgia Zucchi....................................................... pag. 23 Lido Azzurro di Gianni Di Lorenzo................................................. pag. 24 Cocktail... and more Flower - Tartare di gambero rosso di Sicilia con lime e lavanda di Daniele Briani....................................................... pag. 26 Gin Mare di Daniele Briani....................................................... pag. 28

Buone Nuove............................................................... pag. 30 Golavagando “Mon Trésor” Dal Cacini di Claudio Mollo........................................................ pag. 32 Ristorante Il Garibaldi di Giovanni Angelucci................................................ pag. 34 Ca’ del Gusto di Claudio Mollo........................................................ pag. 36 Giovani Talenti Sabrina Tuzi di Gianni Di Lorenzo.................................................. pag. 38 GourmetFood Ristorante Rada di Maria Chiara Zucchi............................................... pag. 68 Castello di Casole di Claudio Mollo........................................................ pag. 74 Monte del Re di Maria Chiara Zucchi............................................... pag. 82 Chef di Spirito Gianluca D’Agostino di Sonia Leo.............................................................. pag. 84 Vinaria Il focus di Alessandro Magnum Se sa di tappo la colpa non è del produttore di Alessandro Rossi.................................................. pag. 90 Il Vino in anfora di Gianluca Ricci....................................................... pag. 92 Enovità di Gianluca Ricci....................................................... pag. 95 Faccio cose... vedo gente... a cura del direttore Elsa Mazzolini............................. pag. 96

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EDITORIALE di

Elsa Mazzolini

L’arte al MASSIMO Da neo campione del mondo con il suo ristorante La Francescana, Massimo Bottura afferma che un grande ristorante è formativo come un museo e che cultura è anche ciò che si mangia. Identica la posizione di Davide Oldani che in un’intervista dell’anno scorso aveva sentenziato che i turisti dovrebbero essere indotti a visitare i nostri ristoranti e le cantine, esattamente come fanno per i monumenti. Quindi la grande cucina è arte? Bottura dice di no, affermando che un grande cuoco è un artiere, ossia un artigiano ossessionato dalla qualità, in parte contraddicendosi, secondo me, nel parallelo che fa poi con il museo. Mi pongo l’interrogativo della differenza tra arte e artigianato ogni qualvolta, nell’apologetica ormai esagerata ed esasperata della letteratura gastronomica, i critici esaltano i cuochi più famosi espandendo le iperboli oltre ogni limite, e definendo “opere d’arte” i loro piatti. Non sempre a ragione. In palese discordanza con alcuni miei più autorevoli colleghi, anch’io, come quei critici che si lasciano trasportare dall’entusiasmo, continuo a pensare che non sia da considerarsi “arte” solo quella che porta la firma di un pittore, di uno scultore o di un regista. La creazione perfetta, seppur effimera, di uno chef geniale è per me una forma d’arte contemporanea. Invece, secondo alcuni opinion makers, un grande cuoco non può essere artista soprattutto perché il suo prodotto edibile non è destinato a durare. E allora, mi domando, cosa dire dei meravigliosi mandala che vengono distrutti non appena terminati? Quale fondamentale insegnamento ci viene offerto dai monaci buddisti che ci esortano - con queste loro opere straordinarie, ma destinate alla distruzione - a non innamorarci solo della bellezza duratura, ma anche di ciò che ci dà gioia per un attimo?! Artisti contemporanei come il celebrante delle celebreties Andy Warhol, oppure il creatore di giocattoli/feticcio o di deperibili sculture vegetali Jeff Koons o l’iperrealista Ron Mueck dimostrano con le loro opere come la banalità del quotidiano, quando diventa efficace mezzo di comunicazione, assurge a democratica forma d’arte. Non sono molti, in realtà, coloro che, in cucina, si distinguono dagli ottimi artigiani per passare alla categoria degli artisti. Ma se solo si esula da quel concettualismo che considera e celebra come espressione artistica unicamente l’esperienza intellettuale, per andare ad abbracciare invece la teoria/pratica secondo la quale è arte ciò che migliora la vita della gente e ciò che lo spettatore può condividere, allora che si onori adeguatamente lo spettacolo di chef che hanno fatto della loro creatività una forma d’arte alla

ME

portata di tutti. E grazie a Bottura per il primato mondiale che ci ha regalato con la sua “arte artigiana”!

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LACULTURADELBENESSERE

a cura di

Primo Vercilli Medico Dietologo

PERCHÉ NON DIMAGRISCO? Questa domanda suona incessantemente nei tanti ambulatori di dietologia e mette sempre seriamente in difficoltà i nutrizionisti che, alla fin fine, concludono quasi sempre allo stesso modo: non dimagrisci perché non fai la dieta oppure pensi di seguire bene le regole alimentari, ma effettivamente sbagli qualcosa. Qui si apre l’eterno dilemma in campo nutrizionale: è il paziente che fallisce perché non riesce a seguire la dieta o è la dieta che fallisce perché non funziona sulle persone? Non bisogna essere ideologicamente dei moderati per capire che la risposta più plausibile sta proprio a metà strada! Ma è proprio questa “soluzione a metà strada” che alla fine non accontenta nessuno: significherebbe che la persona comunque qualcosa sbaglia nell’approccio alla dieta, ma anche che il nutrizionista ha le sue responsabilità. Ma se serenamente si accettasse questo compromesso, forse si potrebbe veramente assistere ad una invincibile alleanza tra paziente e nutrizionista al fine di sconfiggere il comune nemico, che è il peso superfluo. Alla fine invece, sia il nutrizionista che il paziente, durante il percorso dietologico, si dimenticano di questo nemico comune e mirano soprattutto a difendere le proprie posizioni, che, a ben vedere, sono uguali: “io sto facendo tutto bene ed è l’altro che sta sbagliando” oppure, quando non si vuole infierire sull’altro (che sia il paziente o il nutrizionista) si conclude che “è il metabolismo che è da buttare”. Poche

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settimane fa è uscito un articolo su un quotidiano nazionale che evidenziava come 15 dei 16 concorrenti del reality della rete televisiva NBC “The Biggest Loser” (in Italia “Sfida all’ultimo chilo”) nel tempo avevano ripreso tutti i chili persi. Stiamo parlando di tantissimi chili (il vincitore, per esempio, aveva perso ben 108 chili in 7 mesi), che, come sono andati via, con il tempo, sono pian piano ricomparsi. Di fronte a simili esperienze non si può non essere sconfortati: lo sconforto deve essere da entrambe le parti, pazienti e nutrizionisti. Nell’articolo in questione però, alla fin fine, quello che emergeva non era un’analisi obiettiva di quell’esperienza, in modo tale da trovare una possibile soluzione, una strategia, ma semplicemente la conclusione che quando si perde molto peso l’organismo reagisce con un meccanismo di difesa tale per cui tende a risparmiare energia e quindi il mantenimento del peso diventa difficile. Vero? Sì, è tutto vero, ma le cose non sono così semplici e immediate come l’articolo vuole farci credere: ancora una volta la notizia che passa è che “la colpa è del nostro metabolismo”, quando (tra le righe dell’articolo era molto evidente, ma era un “tra le righe” che può essere solo individuato da pochi!) invece, ancora una volta la responsabilità è sia del nutrizionista che del paziente. Cosa c’è che non va in una esperienza come quella trattata dal reality in questione? Innanzitutto c’è un errore di fondo nello stabilire chi sarà il vinci-


LACULTURADELBENESSERE

tore: vince chi perde più peso. Ancora una volta, come avviene nella stragrande maggioranza delle diete, si sposta l’obiettivo, che non è più un obiettivo di padronanza (voglio imparare a gestire in modo corretto la mia alimentazione quotidiana in virtù di quello che sono, con il mio metabolismo, con la mia voglia di trasgredire, conservando il mio gusto per il cibo), ma diventa un obiettivo di prestazione (devo perdere peso e, cosa più importante, sarò anche premiato per questo). Il secondo errore è nelle tempistiche e nella dimensione degli obiettivi: vi sembra umanamente plausibile perdere più di 100 chili in 7 mesi? Ci vuole necessariamente un premio Nobel per comprendere che una perdita di questo genere sottopone l’organismo ad uno stress psico-fisico incredibile le cui conseguenze ancora oggi non sono conosciute alla perfezione? Ma gli errori di approccio evidenziati dal reality non sono terminati qui. L’articolo in questione accennava come il vincitore (che, appunto, aveva poi riacquistato quasi tutti i chili) avesse iniziato a riprendere i chili quando aveva ricominciato a bere la birra: ha preso su subito 9 chili! Scusate, ma è evidente che io una domanda me la faccio: ma quanta birra ha ricominciato a bere? Al di là della domanda, una cosa emerge chiara: quest’uomo, durante tutto il periodo di dieta, non aveva assolutamente utilizzato il suo tempo per imparare a gestire un alimento che gli piaceva (in questo caso la birra), ma lo aveva semplicemente eliminato. Quando poi, una volta raggiunto il peso, ha ricominciato a “farsi le birre con gli amici” lo ha fatto secondo il suo gusto e la sua misura, che evidentemente erano sbagliati, semplicemente perché nessuno gli aveva spiegato come modulare gusto e misura.

Ecco il vero problema: se vogliamo raggiungere un obiettivo siamo disposti a fare fuori la realtà, quello che siamo, quello che ci piace e ci illudiamo che 100 chili in meno ci possano poi permettere di essere persone differenti. Non è il peso che perdiamo che ci fa essere persone differenti. Possiamo essere persone differenti se approcciamo alla realtà con realismo e se ci facciamo aiutare per capire come sostenere nella quotidianità la nostra voglia di cibo: in un reality non dovrebbe vincere chi perde 100 chili in 7 mesi, ma chi, nella fatica di un percorso, riesce a perderne 100 in 5 anni, lentamente e costantemente e poi, di fronte ad una birra (o qualsiasi altro cibo che gli piace) sa esattamente cosa fare per gustarsi quel momento senza minimamente sentirsi in colpa o rovinare parte del lavoro. Di una cosa potete stare assolutamente certi: se invece di perdere 100 chili in 7 mesi si fosse stabilito un obiettivo più realistico (magari 50 chili in 18 mesi), magari lavorando di più su come arrivare a gestire gli alimenti più critici e più trasgressivi, passando da momenti di insuccesso (che, al contrario di quello che si pensa, sono risorse importantissime) ad altri di estrema gratificazione ed euforia; se invece di ripetersi che “bisognava perder peso” si fosse quotidianamente lavorato su “come diventar padroni e non schiavi del proprio gusto”, non staremmo qui ancora a chiederci “perché non perdo peso” o non staremmo a commentare l’ennesima sconfitta della dieta incolpando il nostro metabolismo, ma staremmo invece a sorprenderci di come sia bello aver fatto dei piccoli passi in avanti, piccoli ma duraturi, nel lungo cammino dell’educazione alimentare. Abbasso i reality e viva il realismo.


LA SCELTA VEGANA

a cura di

Silvia Bianco testimonial di cucina vegana

SIDNEY

RITRATTO DI UN’AUSTRALIA SEMPRE PIÙ VEGAN

Tempo d’estate e tempo di vacanze. C’è chi sceglie lontane spiagge assolate e roventi e chi invece preferisce selezionare mete “più fresche”. La nostra estate coincide con il pieno inverno australiano, sebbene le temperature siano molto più miti rispetto all’Italia: a nord dell’Australia, in città come Darwin, le temperature oscillano attorno ai 20 gradi, mentre sono più basse, circa 14 gradi, nelle zone più a Sud come le regioni del Western Australia (Perth), South Australia (Adelaide), Victoria (Melbourne) e del New South Wales (Sydney, Canberra). Oggi vi voglio portare proprio nel Nuovo Galles del Sud e farvi scoprire una vibrante Sydney. Una grande città, ma a misura d’uomo, una città viva, giovane e cordiale, dove tutti corrono, ma trovano sempre il tempo per fermarsi e dedicare un sorriso ed una chiacchiera mentre aspettano il proprio turno dal panettiere, alla fermata del bus, in fila in banca. Eh sì, il mito australiano della nazione solare e piena di vita è proprio vero, come è vero anche che sono un popolo dalla mentalità aperta e predisposto ad accogliere con entusiasmo le novità. Non a caso la recente rivelazione di Google Trends è che nell’ultimo decennio la parola “vegan” è la più digitata dagli australiani, più che in qualsiasi altra nazione al mondo. Questo “record mondiale” rivela quanto il popolo australiano sia parti-

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colarmente interessato ai valori del veganismo, sensibilizzandosi verso una maggiore consapevolezza per una alimentazione etica. Ciò che sta accadendo è un vero e proprio cambiamento culturale: si va ben oltre la semplice accettazione ed incrementazione dei menu senza derivati animali, lo stereotipo del vegano deboluccio che si nutre di sole foglie di insalata e verdure grigliate è stato superato, contrastato anche dalla presenza di un’infinità di “ambasciatori”, dal red carpet e non, come le sorelle Williams, tenniste professioniste e vincitrici di innumerevoli tornei, le attrici Michelle Pfeiffer, Pamela Anderson, Natalie Portman, Alicia Silverstone, il politico Bill Clinton, l’atleta Carl Lewis, le cantanti Sinead O’Connor e Miley Cirus e poi Jared Leto, Moby e moltissimi altri ancora. I ristoranti sono una parte importante di questo cambiamento: i locali a Sydney stanno rispondendo in maniera più che positiva a ciò che gli australiani chiedono e alla società che insieme vogliono contribuire a creare. Dagli ultimi sondaggi 1 australiano su 4 ha diminuito drasticamente il consumo di carne, oppure lo ha eliminato del tutto, un dato che ogni imprenditore non può sottovalutare. Ed è così che diversi ristoranti hanno deciso di stravolgere completamente i loro menu a base di prodotti animali in menù totalmente cruelty free.


LASCELTAVEGANA

Amit Tewari, chef e proprietario del locale Soul Burger, sta cercando di cambiare il modo in cui la gente mangia, spinto da motivazioni etiche a favore del benessere degli animali: dal dicembre scorso ha fatto il passaggio ad un menù interamente a base vegetale. Il menù prevede burger vegetali a pase di proteine del pisello e soia, salsicce vegetali che al posto della carne utilizzano un mix di verdure, cereali, erbe, vino e aceto di mele. Il piatto che va per la maggiore è il sumo burger, succulento e strutturato, con strati di formaggio vegan, burger vegetale, cipolle e funghi caramellati, una salsina di pomodoro ed una maionese vegetale alll’erba cipollina, il tutto accompagnato da patate fritte in pastella di birra ed a scelta tra patate rosse, patate aromatizzate alle erbe e patate dolci “kumara”, conosciute in Italia come “batata” o “patate dolci americane” la cui polpa ha tonalità di colore arancio-rosa. La clientela del locale di Amit non è costituita solo da vegani, bensì da moltissimi onnivori che apprezzano le consistenze ed i sapori decisi dei suoi burger vegetali e che sono tipiche di un classico burger di carne, tant’è che molti dei sui clienti affezionati stanno convertendo la propria alimentazione ad un regime vegano proprio grazie a lui. Nel menù ci sono tantissime altre opzioni come curry di ceci, falafel burger, chilli vegetale. Un altro esempio di locale che ha trasformato il proprio menù completamente vegetale dall’antipasto al dolce è il ristorante pizzeria Da Gigi, aperto più di sette anni fa in King Street, nella zona di Newtown. E’ un ristorante molto noto ed apprezzato anche perché la loro pizza è certificata dall’Associazione Verace Pizza Napoletana, preparata secondo tradizione, dagli ingredienti base, alla lievitazione e ai condimenti. I proprietari Marco e Daniela Matino, avendo fatto il passaggio ad un’alimentazione vegetale, hanno iniziato a pensare all’etica e alla sostenibilità del cibo che proponevano nel loro ristorante. Immediatamente dopo aver realizzato le atroci crudeltà subite dagli animali, il cui sfruttamento e maltrattamento incide gravemente sulla degradazione del nostro pianeta, hanno capito che qualcosa si può fare per migliorare il nostro stato di salute, quello degli animali e quello della terra e, come prima cosa, hanno eliminato carne e formaggi e quindi anche la mozzarella dalle loro pizze. Le alternative che si trovano in questa pizzeria sono dei formaggi vegetali i cui ingredienti base sono noci, soia, fecola di patate e olio vegetale. Tra le pizze più note ci sono il calzone con cavolo ripieno di una purea di cavolfiore, peperoni arrostiti, carciofi ed olive, il tutto irrorato con una salsa di prezzemolo ed olio extra vergine d’oliva; un’altra gustosa sorpresa è stata il calzone alla zucca, spinaci funghi e cipolle, condito con pomodorini arrostiti, timo e rosmarino, per non parlare della pizza condita con fettine sottili di patate arrostite, aglio e patè di tartufo e rosmarino... Come si può resistere a delle pizze così gustose, creative, ma semplici e naturali? Sfido chiunque a chiedere una pizza con

la mozzarella, anche perché una delle pizze più tradizionali che abbiamo è la “marinara”, appunto già vegana dalla nascita. Newtown è l’area di Sydney con la più alta concentrazione di ristoranti ed in particolar modo numerose sono le attività di ristorazione vegan. In origine era un sobborgo prospero e gradualmente era diventata un’area operaia. Negli ultimi 30 anni da area degradata ed impoverita si è riqualificata diventando l’area sempre più cool ed eclettica di Sydney, un’area hipster, viva, ricca di giovani ed artisti, richiamando così numerose attività imprenditoriali. Oltre da Gigi’s pizzeria, anche la gelateria Gelato Blue, sita in King Street ha rivoluzionato la sua produzione proponendo l’intera linea di gelato in versione interamente vegetale a fine marzo scorso. La base principale dei suoi gelati è il latte di cocco, alcuni sono a base acquosa, altri stupiscono il palato perché a base di meringa vegan, ottenuta dall’acqua di governo dei ceci (vedi approfondimento sull’Aquafaba, numero di Ottobre 2015). Sempre a Newtown, in Enmore Road, non potete non visitare Sadhana Kitchen, un delizioso e piccolo ristorante vegan crudista in vero stile hipster, fondato da Maz Valcorza, una splendida e sorridente 24 enne che ha fatto degli insegnamenti yoga sulla non-violenza una parte integrante del suo stile di vita, inducendola a rivoluzionare anche la sua alimentazione e a specializzarsi in cucina vegan crudista. In Sadhana Kitchen si servono delle incredibili delizie crudiste, meravigliose e dai colori vibranti: sadhana super bowl una coloratissima e strabordante coppa di verdure con un mix di cavolo riccio, crauti viola autoprodotti, pomodori ciliegino, spaghetti di zucchine al pesto serviti su un letto di formaggio di noci brasiliane e pomodorini secchi ed hummus alla paprika. Per non parlare dei ravioli di barbabietola con ricotta di anacardi e pesto o i falafel di noci e carote serviti con un hummus alla paprika e una salsina di accompagnamento alla barbabietola. Il carrello dei dolci è sempre una sorpresa che colpisce occhi, cuore e palato, squisiti cupcake crudisti con base di carote e noci e cocco con una glassa al limone ed anacardi, oppure la lussuriosa e cremosa cheeZecake ai lamponi e cioccolato, dall’intenso e corposo sapore la cui cremosità affonda in una base croccante di noci e cacao, un must-try assolutamente da non perdere. Queste che vi ho citato sono solo alcune delle numerose attività vegan a Sydney e ve ne saranno presto di nuove..Se qualcuno di voi avesse progetti di viaggio per Sydney e limitrofi scriva alla casella email info@lamadia.com: sarò ben felice di darvi suggerimenti e consigli al riguardo. Tutti noi abbiamo il potenziale per fare la differenza per gli animali ed il pianeta attraverso il cibo che mangiamo. E non c’è bisogno di vivere a Sydney per poter trovare locali che offrono deliziosi cibi cruelty free. Controllando il sito www.happycow. com troverete elenco di ristoranti veg-friendly nella vostra zona in qualsiasi parte del mondo vi troviate. Buon viaggio!

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Gala teo ASSAGGI DI

a cura di

Fabio Ferrantino Docente di Galateo presso Bon Ton Academy Professore di Enogastronomia IPSSAR Piobbico

L’IMPORTANZA DELLA COLAZIONE ACCORTEZZE E BUON GUSTO PER UNO DEI MOMENTI PIÙ IMPORTANTI DELLA GIORNATA Quando si parla di piccola colazione, o semplicemente di colazione, si fa sempre fatica a comprendere di quale pasto si stia trattando. La moderna, o forse meglio antica, identificazione oraria del termine fa riferimento al mattino presto, anche se oggi per alcune occasioni con il termine colazione ci si riferisce al pranzo, (pensiamo a una “Colazione di lavoro”). Per togliersi alcun dubbio è sempre meglio specificare l’orario preciso sia in albergo che per degli inviti personali. La colazione è un momento fondamentale della giornata, che non va sottovalutato. Essenziale, se fatta bene, per partire con il piede giusto. Per questo è molto apprezzata dagli ospiti di una struttura ricettiva, che siano turisti o uomini d’affari. Oggigiorno la formula base di accoglienza più diffusa per gli alberghi è il B&B, dunque la colazione diviene l’unico modo per far scoprire la parte di ristorazione della struttura, essenziale per dare il là all’uso del ristorante interno anche in altri momenti della giornata. Inoltre rappresenta l’ultimo momento dell’ospite prima del check-out, dunque se vogliamo lasciare un buon ricordo ai nostri clienti, questo è il momento giusto! Le parole chiave per un ottimo risveglio sono profumi e colori, non dimenticatelo. Secondo il galateo questo momento della giornata non presenta regole ferree rispetto al pranzo o alla cena. Solitamente la colazione viene servita dalle 7 alle 10 del mattino, è bene chiarire che su particolari esigenze di alcuni ospiti o gruppi questo orario possa divenire flessibile. Il responsabile del servizio accoglierà il cliente e lo accompagnerà al tavolo. Il saper ricordare la camera dell’ospite e di conseguenza il suo nome è sicuramente un punto di stile e di

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cura molto importante. Solitamente vengono elencate a voce le bevande calde disponibili che poi saranno servite al tavolo su ordinazione, mentre quelle fredde e tutte le altre vivande saranno servite a buffet. Nel caso in cui la colazione venga servita al tavolo, sarà consegnata al cliente la lista da cui poi effettuerà l’ordinazione. In questo ultimo caso la mise en place della tavola sarà già completa di piattino, tovagliolo, forchettina e coltello, tumbler basso e cucchiaino da tè. Ormai anche negli alberghi di alta categoria possiamo trovare una tovaglietta americana alla base dell’apparecchiatura del mattino. Possono essere di stoffa, molto bello il cotone misto lino, o di carta colorata se vogliamo dare uno stile più marcato al nostro ambiente. Sempre nel rispetto del concetto di dare molta importanza ai colori, in questo momento della giornata sarà di grande apprezzamento la presenza di fiori sia come centrotavola, sia nella zona buffet. Parte costituente del centrotavola può divenire anche un piccolo getta rifiuti che si deve abbinare in modo armonioso al contesto: è un dettaglio importante che deve essere aggraziato (si pensi a delle ceramiche che riprendono lo stile dei vecchi barattoli di latta). Oggi la maggior parte delle strutture ricettive tende a proporre un unico buffet ricco e piuttosto variegato per far fronte a esigenze e abitudini diverse. Spesso il concetto di English Breakfast e colazione continentale si sovrappongono. Allestire un buffet per la colazione con una vasta gamma di proposte dolci e salate permette di assecondare stili alimentari di ogni tipo.


ASSAGGIDIGALATEO

In alberghi con forte presenza di clientela straniera bisognerà analizzare le nazionalità di provenienza. Se i clienti abituali arrivano quasi sempre da alcune determinate nazioni è importante far trovare dei prodotti tipici da loro consumati al mattino. La colazione infatti è forse uno dei pasti che differiscono maggiormente fra le diverse regioni del mondo, soprattutto quando si parla di preparazioni salate. Abitualmente per noi è inconcepibile abbinare degli elementi come il caffè alle salsicce o i wurstel, mentre per i tedeschi rappresentano la colazione abituale. Come il porridge di avena per i russi o il salmone affumicato o le aringhe per alcune zone del Nord Europa. Le amate uova nelle loro molteplici preparazioni, spesso solo per queste vi è una lista a parte. Il tipico bacon, indispensabile per gli anglosassoni o gli americani. Sicuramente i clienti apprezzeranno questo occhio di riguardo nei loro confronti, come apprezzeranno un buffet dedicato ai prodotti locali della regione geografica in cui si trova l’albergo: oltre a stimolare la curiosità e il piacere potrebbe divenire un ulteriore fonte di guadagno se vi si crea attorno una boutique ad essi dedicata. Per rendere più pratico il servizio sia per i clienti che per il personale, è importante che il buffet presenti sempre la stessa disposizione dei vari elementi che lo compongono. Gli ospiti si orienteranno meglio e i camerieri potranno monitorare con più facilità le quantità di attrezzatura e prodotti. Il buffet dovrà essere organizzato su tavoli di ampia larghezza, impeccabili dal punto di vista della pulizia. Si dedicheranno principalmente tre zone, una per le bevande, una per i dolci e un’ultima per i prodotti salati. È fondamentale che tutto abbia

un aspetto invitante, per questo possono essere d’aiuto delle alzatine per creare un po’ di movimento e delle attrezzature per riscaldare o cuocere alcuni prodotti come i tost. In questo caso, a volte, sono più opportuni degli strumenti casalinghi più belli alla vista e che faranno sentire l’ospite come se fosse a casa sua. Immaginate la differenza fra un bel tostapane casalingo con un design che rispetti l’ambiente invece di un’attrezzatura professionale dai lineamenti squadrati e in un materiale asettico come l’acciaio inox: decisamente meglio la prima. Di fondamentale importanza saranno gli chafing dish per tenere in caldo alcuni prodotti come le uova strapazzate. Oggi in commercio esistono macchinari che possono mantenere sia in freddo che in caldo alcuni prodotti. Con le nuove tendenze di una cucina sempre più salutistica che dia fondamentale importanza alla materia prima, si può pensare di creare un’isola di buffet apposita con prodotti di provenienza biologica, senza elementi di origine animale o che vada incontro a particolari necessità dovute ad allergie come i prodotti senza glutine. Se la colazione sarà servita in camera, l’ordinazione avverrà con l’apposito tagliandino lasciato dal cliente al di fuori della stanza, sulla maniglia, che verrà ritirato dal personale addetto ai piani e comunicato al personale della sala e bar. Su questo sarà presente la lista delle bevande e vivande a disposizione, dove il cliente specificherà le quantità, il numero della camera e l’orario in cui si preferisce sia servita. Il cameriere preparerà un gueridon con sopra un vassoio dove sarà disposta l’attrezzatura necessaria e l’ordinazione richiesta, che lascerà con molta discrezione sul tavolo in camera.

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PROGETTARE L’IMPRESA

a cura di

Lorenzo Ferrari Direttore Marketing di RistoratoreTop

TRE METODI TESTATI PER RENDERE

IL NOME DI UN PIATTO UNICO E MEMORABILE

Questa rubrica parla di Menu Engineering. Cioè parla di come aumentare i profitti di attività legate alla ristorazione utilizzando il menù come unico strumento. Grazie a questa nomea, decisamente poco attraente, è argomento travisato. Infatti si pensa che il Menu Engineering sia solamente numeri, analisi dei costi, dei dati di vendita e, in generale, sia la somma di tante attività ripetitive e noiose. Fortunatamente, questo è vero solo il parte. Infatti il Menu Engineering è anche creatività, estro e inventiva. Analizzando centinaia di menù lungo tutta la penisola, però, mi rattrista considerare che queste qualità non siano espresse al massimo del loro potenziale sui menù italiani. Non tanto per una negligenza da parte degli operatori di questo settore, quanto per una questione di “priorità”. Dopotutto, nel mare magnum dei problemi che si trova ad affrontare il ristoratore del 2016, qualcosa può e deve passare in secondo piano. Ecco perché ho pensato di dare qualche suggerimento a questi ristoratori indaffarati per dare loro alcuni metodi veloci e pratici per rendere unici e memorabili i loro piatti. Lo scopo? Ovviamente differenziarsi dalla concorrenza, favorire il passaparola e perché no, anche incentivare la vendita di alcuni piatti piuttosto che altri utilizzando la forza attrattiva del loro nome. In particolare, ne ho identificati tre, che hanno dimostrato di funzionare bene e di piacere a tutti: sia al ristoratore che li propone e sia al pubblico al quale vengono proposti.

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METODO 1 “PIATTO VECCHIO FA BUON BRODO” Si sa, l’Italia è patria di ristoranti a conduzione familiare, tramandati di generazione in generazione, con una lunghissima storia alle spalle. Lunghissima, come la permanenza di alcuni dei loro piatti più famosi sui loro menù. Secondo il parere di chi scrive, questo aspetto deve diventare il loro punto di forza! Ecco perché ho proposto ad alcuni miei clienti di trasformare il loro “Spaghetto allo scoglio - 10,00€” la cui ricetta è la stessa dal 1940 in... «Scoglio 1940» Spaghetto allo scoglio all’antica. Con il meglio del pescato locale, la ricetta, segreta, è la stessa dal 1940, e viene custodita gelosamente nelle nostre cantine - 12,00€ Non ci stupimmo affatto quando diventò il piatto più venduto tra i primi di mare del ristorante e contribuì a rafforzare la percezione di tradizione e di identità storica associata al ristorante stesso.


PROGETTAREL’IMPRESA

METODO 2 “CONTA GLI INGREDIENTI” Non è raro trovare piatti con tanti, forse troppi, ingredienti. Questo aspetto, che cozza con la semplicità alla quale tende naturalmente la cucina italiana, e può infastidire la clientela, può essere trasformato in un punto di forza. Mi è capitato più volte di trasformare un “Minestrone di verdure – 8,00€” in... «Tredici verdure più una» Minestrone della casa, con tredici verdure freschissime, direttamente dal nostro orto, e... una sorpresa – 10,00€ Suona meglio, no?

METODO 3 “LA TEMPERATURA CONTA” Da facenti parte del settore, tendiamo a sottovalutare la forza di alcuni aspetti legati alle pietanze che proponiamo. Tendiamo infatti a pensare che ciò che sia scontato per noi, lo sia anche per i nostri clienti. Così non è, e anzi, i fatti dimostrano che tantissimi clienti apprezzano che venga raccontato loro quanti più aneddoti possibili riguardo alle pietanze che stanno per consumare. Questa considerazione si concretizzò quando, trovandomi a collaborare con un ristoratore che cuoceva le proprie bistecche su brace di legna, invece che su piastre elettriche, trasformai la sua “Fiorentina - 4,00€ l’etto” in... Fiorentina «450 Celsius» La bistecca di Chianina che ha fatto la nostra storia! Alta tre dita, disponibile solo al sangue, viene scottata senza nessun aroma a 450°C su brace di quercia e servita al naturale - 5,50€ l’etto Insomma, il “nome” di un piatto ne caratterizza l’identità e ne crea la percezione di qualità. E’ un parametro troppo importante per essere sottovalutato! A riprova di ciò, si pensi che in tutti e tre gli esempi prima-dopo sopra esposti, si è aumentato il prezzo di vendita di un 20%. Chi legge, se n’è accorto? Nemmeno i nostri clienti se ne accorgeranno. E, anche qualora se ne accorgessero, sarebbero ben disposti a spendere qualcosina in più per gustarsi un piatto con una storia, una identità e un appeal così “potenti”. Incentivo a testare queste metodologie e a non considerarle “troppo semplici per essere efficaci”, perché la loro semplicità è anche la loro forza. Buon lavoro!




GOLAVAGANDO

LA FOCACCELLA APPETITO E PASSIONE NEL CENTRO DI MADRID Un pezzo dell’Italia più tradizionale nel cuore di Madrid per poter vivere una vera e propria esperienza gourmet. La Focaccella è un nuovo spazio gastronomico situato in Calle Preciados 42 ed offre un’ampia gamma di prodotti freschi in un ambiente caldo e accogliente. Le ricette esclusive sono realizzate con materie prime selezionate di qualità superiore, con una accattivante e attenta cura per la presentazione. Una selezione di menu da consumare in qualsiasi momento della giornata, sul posto o da asporto, oltre a un vasto assortimento di insalate, focacce, panini, pizze, pasta, gelati e dessert. E come accompagnamento, è possibile scegliere tra un’ampia gamma di bevande, caffè, frullati, frappucinos e infusi. Con oltre 200 metri quadrati e una capacità di quasi 100 ospiti, la Focaccella diventa uno spazio unico per il suo design distintivo sviluppato dallo studio italiano Costa Group. Il progetto ha previsto il recupero di materiali originali come travi, pilastri e pareti in mattoni a vista.

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Altri elementi decorativi che spiccano sono le scale di marmo Calacatta, i pavimenti in parquet a spina di pesce e con mosaico in marmo, la parete piastrellata verde smeraldo in alcune zone e quella di boiserie di legno nero nell’area della scala. Divani in pelle, poltrone di velluto e ben quattro frontali dei banconi tutti diversi tra loro, a formelle di metallo, in legno con finiture in oro, in legno con inserti di specchio e di marmo nero marquinia e bardiglio, rendono La Focaccella il luogo ideale per una sosta all’insegna del relax e del piacere. LA FOCACCELLA

Calle Preciados 42 - Madrid Studio, design e progettazione: Costa Group Arch. Sara Paveto

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LE PLONGEOIR Nice- Francia

60 Boulevard Frank Pilatte Tel. (+33) 0493 265 302

LA SPETTACOLARITÀ E LA STORIA DE

LE PLONGEOIR A NIZZA foto di

di Luigino Filippi Studio Loic Bisoli e Classe 21

Alla fine del XIX° secolo in questo sito c’era l’allora famoso Restaurant La Reserve. La foto d’epoca del complesso è ancora oggi una delle più acquistate della Costa Azzurra. Si trattava di una struttura di grande prestigio che aveva una particolarità unica: nei “contrebas” alla base della facciata c’era una riserva di ostriche e crostacei in un bacino comunicante con il mare. Da qui il nome al complesso che era frequentato da turisti e clientela dotata di mezzi economici importanti. Oltre al chiosco multiuso, dopo qualche anno sul faraglione fu issato addirittura un peschereccio che, subendo però per anni l’onta dei marosi, fu poi demolito nel 1941. Fu allora l’architetto René Livieri ad esser chiamato a dar nuova vita all’insieme, creando “Le Plongeoir”. Passati 70 anni, la struttura del Plongeoir si è progressivamente deteriorata. Fino a quando il munifico proprietario ha deciso di

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rivalorizzarla, nel rispetto della sua storia e del suo naturale charme, raro al mondo. Per farlo ha affidato l’incarico al giovane architetto Yann Priout di Mandelieu, che ha curato minuziosamente i lavori per tutta la loro durata: ben tre anni. Ed ecco il nuovo Plongeoir: mentre il mare gorgoglia o rumoreggia sotto i numerosi tacchi 12, l’eventuale vento di mare non muove la tovaglia, grazie a una leggera ma efficace tensostruttura che, pur essendo aperta ai lati, è architettata in maniera da deviare incredibilmente i venti rispetto ai tavoli per assicurare la tranquillità degli ospiti. Resterà l’afrore del mare, l’eccitante carezza dei finissimi vapori di salino (quando il mare è agitato): sensazioni un po’ “sauvages” e liberatorie: si è a 50 metri dalla terraferma, ma par già d’esser immersi nell’esaltante mondo dei flutti. Un altro fenomeno particolar-

bello e di magico. Il locale ha ben tre differenti sistemazioni: Le Plongeoir è il ristorante più importante, ha tuga in legno, mobili bianchi e blu dal tono marinaro e raffinato; - Le Rocher: un’ampia moderna struttura con copertura a lame bianche orientabili, con pavimento, tavoli e sedie in teck, cuscini blu; Le Vivier: lo spazio dabbasso che sfiora l’acqua come l’antico vivaio di crostacei, attrezzato con ampi divani e tavoli bassi dove si può bere qualcosa con qualche tapas o piattino, aperto ininterrottamente. Il patron Marc Dussoullier (foto qui sopra), ha ricevuto nel maggio 2016 il diploma ufficiale di “Maitre Restaurateur” molto ambito in Francia. In cucina Fréderic Maillard, già al Royal Riviera di Beaulieu sur Mer e il suo secondo Simone Speziale assicurano una cucina di qualità. Sia a La Pergola che al Rocher offrono oggi tredici piatti tra i quali: tempura di crevettes, croquettes de riz, crème brocolis; encornets mariné au basilic, texure de courgette au Parmesan; le nostre troffie genois con haricots, pesto, tomates séchée, pommes de terre, Parmesan; loup de la Mediterranée plancha, pommes grenallie et artichauts con olives Taggiasca, jus à la sauge; infine il crémeux au chocolat noir, confit d’orange sanguine et son crumble che è un classico che mette tutti d’accordo. E’ una cucina concreta, con materia prima affidabile, preparata in piatti classici e

mente emozionante, almeno la prima volta che si mette piede qui, è vedere le navi che puntano diritte verso il Plongeoir, ovvero verso chi siede ai tavoli sino a un centinaio di metri; ma un momento prima del panico, eccole virare di 90° per entrare ad attraccare placide nel porto di Nice. L’insieme dell’ex complesso liberty “pied dans l’eau” testimonia quanto i Francesi siano pragmatici quando si tratta di realizzare qualcosa di

generosi nelle porzioni. Ecco anche un esempio dei menu del mezzodì: micuit de thon et sa salade aux saveurs asiatique; loup a la Plancha con tartine d’aubergine oignons confits poivrons doux; tarte tatin pommes et ananas. La carta vini offre una trentina di buone etichette adeguate a prezzi non troppo ricaricati. L’accoglienza e il servizio sono solerti e ben eseguiti. Se si viene qui al mezzodì è imperativo non dimenticare gli occhiali da sole e, se si ha il cappello, sorprendentemente il vento di mare non gli darà fastidio, grazie ad una incredibile architettura di vele bianche che lo intercetteranno magicamente. La sera si gode di una vista completa sulla zona del porto, sul lungomare visto dal mare, sull’orizzonte che non sarà un buco nero se si arriva al tramonto. Il luogo ideale dove attardarsi. E per dormire in zona, l’ex seminario antistante al lungomare, oggi trasformato nell’Hotel 29 (tel. +39 0493 893 957), è il miglior rapporto alta qualità/prezzo della costa.

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CRISTOFORO TRAPANI STELLA NASCENTE A FORTE DEI MARMI di

Claudio Mollo

Un anno fa Cristoforo Trapani fece il suo esordio nel ristorante La Magnolia, punto di riferimento gourmet della bellissima villa patrizia di Forte dei Marmi, meglio conosciuta con il nome di Hotel Byron. Uno stile inconfondibile, fatto di raffinate e rilassanti atmosfere, per chi ama il verde, i silenzi, un’eleganza discreta, la cura del dettaglio. Piaceri che accompagnano, oggi come nel passato, le estati della migliore società italiana e internazionale. In una location di questo tipo, anche l’accoglienza gastronomica - già in passato conosciuta dai grandi intenditori - non poteva essere da meno, e lui, giovane chef emergente, riesce a passare dalla Campania in terra di Toscana in modo elegante e deciso, miscelando con estro i sapori intensi del mare della Versilia, e gli speciali prodotti del suo territorio, in un incontro affascinante e suggestivo, tra profumi, solarità e tradizioni popolari. Oggi il Ristorante La Magnolia dell’Hotel Byron, grazie alle capacità di Cristoforo e a Salvatore Madonna - proprietario e imprenditore del gusto, che lo ha scovato in Campania, portandoselo in Toscana in tutta fretta continua ad essere un punto di riferimento indiscutibile dell’alta ristorazione Toscana. E a La Magnolia, Cristoforo conquista anche la sua prima stella Michelin che, comunque sia, arriva più che meritata, dopo le sue molteplici esperienze passate a fianco di grandi nomi come Heinz Beck, Cannavacciuolo, Moreno Cedroni, Davide Scabin e Giuseppe Aversa, tanto per citarne qualcuno. “Voglio immaginare la mia cucina come una sorta di “fusion” tosco-campana, è un’idea che mi piace molto, già a partire dalla materia prima. II mio segreto? Una cucina semplice, non esasperata, senza sfere e schiume, improntata alla continua ricerca di

Cristoforo Trapani (al centro) con la sua brigata di cucina

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un gusto schietto e pulito. Le tecniche esasperate non mi interessano: qui la gente deve voler tornare a pranzo anche più volte in una settimana. Mi sento molto carico, molto preso, e sono contento di poter lavorare con una bella squadra di cucina”. Nel menù, la cucina di pesce è l’artefice principale e la materia prima non manca, visto il posto di mare. Verdure e altri prodotti provengono anch’essi dalle vicine e prosperose campagne dell’entroterra, insieme a produzioni di eccellenza come salumi, formaggi ed altri prodotti di cui la lucchesia e le provincie limitrofe sono ricche. Ma anche su questo argomento vale la pena citare una particolarità e cioè che tra i fornitori di Cristoforo ce n’è uno che lui predilige: iI negozio di frutta e verdura di mamma Felicia, a Piano di


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GAMBERI ROSSI

di Mazara, sedano rapa e mela verde INGREDIENTI per 4 persone

basta per portarlo a cottura.

1/2 bicchiere di panna, olio q.b., sale, sa-

stare di sale e frullare al

8 gamberi rossi, g. 200 di sedano rapa, le di Maldon e pepe q.b., 2 cipollotti, 1 limone, 3 mele verdi, 2 coste di sedano, 1 cucchiaino di vitamina C, g. 200 di riso, 1

cucchiaio di nero di seppia, acqua, olio di semi q.b., 7 arance, g. 100 di glucosio, fiori eduli, menta in germogli. PROCEDIMENTO

Per la chips al nero di seppia: tostare in

poco olio il riso con poco sale. Quando è caldo, sfumare con dell’acqua, dopodi-

ché aggiungere acqua per la cottura che avverrà in 18 minuti. Aggiungere a metà cottura il nero di seppia. A cottura ultimata, frullare al Bimby, poi stendere il tutto

sottile su fogli di silpat per essiccarlo per 3 ore e mezza in forno a 55°C (tutto secco).

Friggere in olio di semi i fogli ottenuti per farli soffiare.

A cottura ultimata, aggiuBimby.

Per il cipollotto al limone: pulire e tagliare finemente il

cipollotto. Stufare in

poco olio e sale a bas-

sa temperatura per non

farlo colorare. Quando risul-

terà cotto, grattare la buccia di mezzo limone.

Per la centrifuga: pulire le mele e il se-

dano. Separare il torsolo dalle mele. Centrifugare

mele e sedano filtrando il liquido ricavato, aggiungendo 1 cucchiaino di vitamina C per evitare l’ossidazione.

Porzionare i gamberi per avere 5 pezzi da 1 centimetro per porzione e condirli con

olio, sale Maldon e la riduzione di arancia ricavata portando ad ebollizione il succo del-

le arance con l’aggiunta di glucosio. A consistenza voluta, far raffreddare la riduzione prima di metterla sui gamberi.

Per la crema di sedanorapa: pulire il

Impanamento: posizionare nel piatto 3 ciuffetti di cipollotti con 3 cucchiaini di crema

padella. Una volta rosolato, aggiungere

chips al nero di seppia. Prima di servire, aggiungere una bella grattugiata di limone.

sedanorapa, tagliarlo a fette e rosolarlo in

mezzo bicchiere di panna e acqua quanto

di sedano rapa. Posizionare i gamberi già conditi, i fiori eduli, i germogli di menta e le Servire versando la centrifuga nel piatto.

Sorrento. Come dire: prodotto quotidiano... a chilometro 600! Ed è proprio da là che arrivano ortaggi davvero speciali. Sia le due sale del ristorante, con pochi coperti, che il bellissimo e suggestivo “bordo piscina” super gettonato in estate, fanno da indimenticabili cornici alla cucina di Cristoforo per momenti di vero relax gastronomico.

RISTORANTE MAGNOLIA Viale E. Morin, 46

55042 Forte dei Marmi (LU) - Tel. 0584 787052 www.hotelbyron.net

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RISTORANTE

PALO ALTO

IL TEMPO DEI SENSI

FOOD AND FLAVORS

BUONI PIATTI E BEL PANORAMA NEL BEL MEZZO DELLA PIANA DI LUCCA di

Domenico Acconci

Una volta i ristoranti degli alberghi venivo “snobbati” quasi fossero appendici di comodo tanto per completare l’offerta di ospitatlità e non dover far spostare i clienti. Da quando però alcuni grandi ristoranti stellati sono ospitati proprio negli hotel, questo concetto non è più valido. Lo dimostra il Country Club con il suo ristorante Palo Alto (compiaciuto riferimento alla famosa località californiana, però posta proprio sul cucuzzolo di un colle) nel bel mezzo della piana di Lucca, nel paese di Gragnano. Dalle vetrate del grande salone al secondo piano, dove il ristorante è sistemato, si vedono le azzurre acque di un “laghetto” (che altro non è che l’estesa piscina dell’albergo stesso) in una corona di pini d’alto fusto con le folte chiome a ombrello, oltre cui si distende la fuga degli oliveti argentei, da sempre simbolo di pace e prosperità, di cui Gabriele D’Annunzio, proprio riferendosi a questi di Lucchesia, scrisse “fan di santità pallidi i clivi”. Il menù è continuamente aggiornato secondo le stagioni e le offerte del mercato (merce fresca sempre approvvigionata a km zero o poco più). Fra gli antipasti spiccano sempre i salumi e formaggi percorino del territorio, di accurata selezione. Passando ai primi piatti troviamo i classici tordelli e i cannelloni ben conditi di ragù di carne bovina e suina, lasagne al forno, risotti variamente preparati (per esempio ai frutti di mare) sempre attenendosi alla migliore tradizione, sfruttata nel modo più accurato. Fra i secondi non mancano la bistecca fiorentina, i fritti di pollo e coniglio con verdure di stagione, ma anche la rinomata specialità della casa, il pesce al piatto, sia triglie, che orate o nasello che, cotte tra due piatti con erbe aromatiche, mantengono tutto il loro sapore marino. Fra i dolci ci sono tante tentazioni come la panna cotta, lo zuccotto, il tiramisù: grandi classici dove quello che conta sono le materie prime prescelte. In cantina si conta su un grande assortimento di bottiglie sia nazionali che estere. Il conto è una piacevole sorpresa: un pasto normale con calice di vino sta sui 30 euro o poco più. L’organizzazione è della signora Concordia Grassi, coadiuvata dall figlia Barbara, con la supervisione da maitre di Carmine Ruggiero; sfoggia le sue capacità cucinarie lo chef Sergio Ori, mentre per la sala ed i vini collabora Piero Manzoli. RISTORANTE PALO ALTO

Via Pesciatina, 874 - Gragnano (LU) - Tel. 0583 434404

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E’ ufficialmente partita l’avventura de “Il tempo dei sensi”, un progetto gastronomico curato interamente dal Circolo dei Buongustai dello chef Fabio Campoli. Il palcoscenico è quello del Griffin’s Resort, un elegante relais di campagna immerso negli 80 ettari dell’azienda agricola e vinicola San Michele a 18 km da Orvieto, in Località San Faustino. Un luogo sulle colline umbre per condividere il gusto, per sperimentare ogni singolo sapore, offrendo a corpo, mente e spirito i giusti tempi per goderne. Uno spazio dove poter risvegliare la propria memoria gastronomica, ricostruendola attraverso tutti i sensi che la tenuta stimola. E’ qui che lo chef e il suo team hanno potuto mettere in pratica ancora una volta la propria filosofia di progettazione gastronomica d’equipe, legata allo studio e alla ricerca sul territorio e alla ricerca delle “buone cose”, che passano dalla ideazione di una cucina moderna e volta alla salute alla rivalutazione del servizio di sala. Un lavoro che non si basa esclusivamente sulle ricette, ma su un progetto gastronomico che trova la sua profonda ispirazione nella rivalutazione del territorio e dell’ambiente che circonda la tenuta: una nuova filosofia di ristorazione che diventa opportunità per sperimentare ed assaporare la natura. Perché come dice lo chef Campoli “una ricetta deve trasmettere qualcosa al commensale, affinché non venga percepito come un semplice piatto messo in tavola”.


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ALLE EOLIE

THERASIA RESORT SEA & SPA L’ATMOSFERA MEDITERRANEA, L’OSPITALITÀ ESCLUSIVA, IL LUSSO DI UNA PAUSA A CONTATTO CON LA NATURA di

Il tramonto che infiamma l’aria, le isole Eolie dai contorni sfumati che si stagliano sulla linea dell’orizzonte ed un’isola, Vulcano, con il suo fascino selvaggio. Il Therasia Resort Sea & Spa, incastonato sul promontorio di Vulcanello, domina questo panorama mozzafiato. Un rifugio esclusivo dalle linee morbide e mediterranee che si mischiano con l’armoniosa architettura eoliana; le mille sfumature di colori tenui rilassano lo spirito, che potrà ritrovare nel pieno silenzio di questa oasi il suo naturale equilibrio. Il Therasia Resort Sea & Spa è una lussuosa dimora senza tempo, un’oasi di relax in totale simbiosi con la natura. La struttura, dolcemente accarezzata dall’azzurro del cielo e dalle sfumature turchesi del mare, racconta la storia dell’isola attraverso la pietra lavica, i cotti siciliani, il legno di cedro e i colori tenui delle ceramiche. Questa terra incontaminata entra in ogni ambiente del resort: le finestre sono eleganti tele che immortalano il paesaggio.

Giorgia Zucchi

THERASIA RESORT

Vulcano -­Isole Eolie - Tel. 090 9852555

www.therasiaresort.it - info@therasiaresort.it

L’isola di Vulcano è un luogo in cui lo spirito si ritrova tra cielo e mare, tra terra e fuoco. Il mito narra che la fumante Vulcano fosse il luogo sacro dove Efesto, Dio del fuoco, lavorava alle sue fucine. Qui, le leggende si rincorrono nei secoli e ancora oggi restituiscono al visitatore il fascino di tempi antichi e misteriosi. Un’esperienza unica per assaporare l’essenza delle Eolie è sicuramente fare trekking a Vulcano: sulfurea e vibrante, graffiata dal vento e addolcita dal mare, l’isola di Vulcano mostra tutta la sua bellezza negli angoli e nei luoghi più intimi della sua anima. I percorsi naturalistici si snodano lungo le pendici del Gran Cratere, la zona del Piano e la Valle dei Mostri sulla penisola di Vulcanello. L’escursione più affascinante è la salita al Gran Cratere che non comporta particolari difficoltà in quanto risulta essere una passeggiata lungo le pendici del vulcano, tra ginestre e pietra lavica. Ad ogni passo si può pian piano sentire il respiro del vulcano: sono le fumarole, dalle quali proviene la spessa cortina di vapori e gas che si leva dalla bocca del cratere; qui il terreno si colora di giallo e ocra. Facendo molta attenzione si percorrerà un tratto della sommità del cratere tra spettacolari incrostazioni di allume, zolfo e metalli fusi, che in alcuni punti toccano i 400°C. Da qui il panorama che si apre dinanzi agli occhi è veramente unico: tutto l’arcipelago in un palmo di mano, con le isole più lontane che sembrano sospese sul mare.

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AD AMALFI

LIDO AZZURRO HA UNA CUCINA CHE È UN “BIJOUX” di

Gianni Di Lorenzo

Una cartolina: i tavoli nella terrazza sul mare, i lampioncini, lo sciabordio dolce delle onde e il mosaico di casine e luci che si inerpicano sulla roccia in quell’incanto assoluto che è Amalfi. Questa è l’immagine del Lido Azzurro, un ristorante che, d’acchito, si tenderebbe a definire “turistico” perché è facile considerarlo il luogo ideale per menù la cui pochezza si giustifica solo con l’elevato valore aggiunto del meraviglioso panorama offerto. Invece no. Qui siamo in un piccolo luogo virtuoso: è una cucina semplice e verace di mare, ricca dei sapori naturali del pesce freschissimo, quella che Antonio Pisani (foto a lato) – detto Bijoux per i suoi precedenti professionali in Francia – propone con energica allegria. Con noi si è anche divertito a preparare in diretta una serie di primi piatti fuori programma con paste gragnanesi diverse, tanto per dimostrare sia le qualità performanti dei singoli formati – linguine, paccheri, spaghettoni – sia per evidenziare come, grazie alla sua professionalità e alla grande qualità del pescato, basti veramente poco per preparare un grande piatto.

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RISTORANTE LIDO AZZURRO Via Lungomare dei Cavalieri, 5 84011 Amalfi (SA)

Tel. e Fax +39.089.871384

www.ristorantelidoazzurro.it info@ristorantelidoazzurro.it


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E via quindi con le linguine ai calamaretti spillo, con gli spaghetti alla colatura di alici di Cetara, oppure con sugo di scorfano cotto con pomodorini del Piennolo (che la famiglia mette anche sotto vetro per qualche fortunato che vuole portare a casa un po’ del sole del sud), o ancora gli ziti alla genovese o gli spaghetti al nero con ricci di mare. Ma in generale tutti i piatti del locale – proposti in modo piacevolmente informale ma competente dagli addetti al servizio coordinati dalla moglie di Bijoux, Simonetta – sono una celebrazione dell’ottima materia prima: insalatina tiepida di mare; pezzogna al limone (che è lo sfusato di Amalfi!); trancio di ricciola con verdure; calamari arrostiti e ripieni e la mitica zuppa di pesce. La cantina è ricca di qualificate etichette locali e di grandissimi vini internazionali che la dicono lunga sul tipo di clientela del Lido Azzurro.

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C CKTAIL... a cura di

Daniele Briani foto di

StudioGraf IL BARTENDER

TARTARE DI GAMBERO ROSSO DI SICILIA CON LIME E LAVANDA Charles Flamminio

INGREDIENTI

6 gamberi rossi

Bartender mixologist

1 lime

Belludi 42 Riccione

sale Maldon q.b

fiori di lavanda

olio extravergine pepe q.b

LO CHEF

PREPARAZIONE

Pulire i gamberi dal loro carapace e privarli dell’intestino dorsale; tagliarli grossolanamente

con l’aiuto di un coltello. In una ciotola mettere i

gamberi tritati, condire con la scorza di lime, due cucchiai di olio d’oliva, una macinata di pepe e lavanda.

Mescolare con cura e lasciar riposare al fresco

per una decina di minuti, coperto. Mettere la tartare nei piattini da aperitivo e aggiungervi sopra le code dei carapaci, a decorazione. Servire.

Fabio Drudi “Curiosità, passione e tenacia sono gli ingredienti dei miei piatti”

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Dal pre dinner all’after dinner, nasce un nuovo modo di giocare tra solido e liquido. L’alchimia del bere miscelato sposa la cucina con sapori che rimbalzano dall’una all’altra preparazione, in una esperienza sensoriale pienamente coinvolgente.

FLOWER 6 pezzetti di lime

1 cucchiaio di zucchero cl. 5 di Soda

cl. 1 di sciroppo di lavanda

cl. 1 di sciroppo di lemongrass Franciacorta Rosé a colmare

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C CKTAIL

PRESENTATO IN SPAGNA

GIN MARE

MEDITERRANEAN COMPETITION PER BARTENDER di

Daniele Briani

È nato prima l’uovo o la gallina? Dubbio amletico e ancestrale al quale dare una risposta non cambia la realtà dei nostri giorni. Resta comunque il fatto che l’uovo rappresenta qualcosa di primordiale, qualcosa che esiste da quando esiste il mondo; esso è fonte di una nuova vita, del nutrimento per la vita stessa, e proprio per questa sua connaturata caratteristica è diventato elemento d’ispirazione per illustri artisti del recente passato come Salvador Dalì che, sulle immagini surreali dell’uovo, ha tessuto parte della sua fortunata opera pittorica. Gin Mare, per la sesta edizione del Mediterranean competition, ha deciso di inserire proprio l’uovo come ingrediente per il premio Gastrobartender drink che affianca gli altri due premi: Gin Tonic Mediterraneo e Mare Nostrum Cocktail. Per questo motivo la presentazione della competizione 2016 è avvenuta nella splendida cornice della Costa Dorada tra le cittadine di Cadaques e Portlligat, sede della casa museo di Dalì, dove l’artista catalano ha passato la maggior parte della sua esistenza e nei cui luoghi ha tratto ispirazione per le sue opere surreali. Gli stessi luoghi d’ispirazione di Manel Vehì (a sinistra), barman vincitore della scorsa edizione che per quest’anno ha creato un cocktail chiamato “Llevant A Saranella”, utilizzando Gin Mare macerato con rosmarino, limone, zucchero liquido, quito, lampone, mora e tuorlo d’uovo pastorizzato, servito in un guscio d’uovo d’oca (foto a destra). A sancire questa nuova sfida era presente anche lo chef stella Michelin Paco Perez che sull’uovo ha giocato la credibilità del suo nuovo ristorante: l’Eggs di Barcellona. A unire un artista eclettico come Dalì - per sua stessa ammissione chef mancato ma da sempre legato in maniera viscerale alla gastronomia - a un artista della cucina di levatura mondiale come lo chef Paco Perez, è proprio l’uovo, collante di due diverse espres-

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Red Tonic

Summer

sioni artistiche. Per Paco una sfida che lo appassionava da sempre è finalmente sfociata in una nuova realtà gastronomica dove il protagonista assoluto è questo democratico guscio di diverse dimensioni, consistenze e provenienze che al suo interno contiene l’embrione della vita. Per l’occasione ha presentato una royale di canocchia con tuorlo d’uovo distillato al Gin Mare, salicorna ed erbe marine. Questa è solo una delle innumerevoli varianti all’abbinamento tra la sua cucina e i cocktail, dato che al piano interrato dell’Eggs trova spazio il Double cocktail bar di Manel Vehì. Se comunque sarà l’uovo l’elemento su cui si misureranno alcuni concorrenti del “Mediterranean Inspiration” 2016, non dimentichiamo che Gin Mare vuol dire soprattutto stile me-

Perfect Martini

diterraneo. Uno stile che nasce intorno al diciottesimo secolo in un piccolo eremo, poi ricostruito dai monaci pietra su pietra a metà del diciannovesimo secolo vicino a un villaggio di pescatori. Ancora oggi la produzione si svolge in maniera artigianale in quantità non superiori ai 250 litri per

Cinque Terre

volta, che esprimono l’essenza mediterranea attraverso le quattro botaniche principali: l’oliva Arbequina di origine spagnola, il basilico delle coste liguri, il rosmarino di provenienza turca e il timo di origine greca. Una commistione di elementi dal più ampio sapore mediterraneo che conferisce a questo gin una grande armonia di gusto e un’ampia versatilità. Il Mediterraneo è stato la culla della civiltà e Gin Mare vuole esprimere, attraverso il suo gusto equilibrato, la gastronomia, il clima, il mare e il paesaggio mediterranei. Appuntamento a Ibiza dal 4 al 6 Settembre prossimi per la finalissima che deciderà i vincitori dell’edizione 2016; intanto per chi volesse iscriversi potrà farlo registrando le proprie ricette sul sito: www.mediterraneaninspirations.com

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Buone Nuove

le novità del mese

UN NUOVO CRU PER IL CARNAROLI

BN

“Da anni - spiegano Gabriele Conte e Michele Perinotti de gliAironi -raccogliamo il nostro riso trasformando Lotto per Lotto la produzione dei singoli campi. Per questo abbiamo deciso di dare più risalto a questa selezione battezzando la prima CRU di Riso gliAironi con il nome del Campo dell’Aia, proprio dietro la Cascina Pracantone, il luogo in cui, cento anni fa abbiamo iniziato a coltivare il riso. L’uniformità che deriva dal raccolto di un singolo campo, seminato e raccolto negli stessi giorni, quindi cresciuto con le stesse condizioni colturali e climatiche, ci consente di lavorare il chicco con attenzione assoluta alle sue dimensioni, spogliandolo leggermente dei microstrati superficiali che differenziano il riso integrale da quello semigreggio. È così che manteniamo la gemma sul chicco, semplicemente non togliendola durante la lavorazione”. Il risultato di questa lavorazione morbida è un chicco ruvido, giovane, elastico in cottura, di colore avorio e dai profumi intensi con la parte esterna che lo aiuterà a mantenere la masticabilità “al dente” in modo perfetto, anche dopo aver terminato la cottura.

Per maggiori informazioni www.gliaironi.it FB: facebook.com/gliAironi - Twitter: @gliAironi_riso

OGGETTI ANTICHI IN NUOVE FORME DI DESIGN

BN

Dar vita a un nuovo modo di concepire l’arredo tavola: l’oliera allungata, i piatti murali che ripropongono i tipici pavimenti del sud, oppure il vaso da notte che diventa uno splendido centro tavola. Oggetti dalle linee semplici ed eleganti, colori di tendenza, intervallati da segni grafici sottili e forti.

Enza Fasano Ceramiche - Grottaglie (TA) www.enzafasano.it - info@enzafasano.it

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PROFESSIONE CUOCO 2016 Professione Cuoco è il progetto Unilever Food Solutions che propone a chef professionisti un ricco calendario di iniziative e appuntamenti con docenti esperti per approfondire i nuovi trend della moderna ristorazione. Una piattaforma consulenziale e formativa, ogni anno rinnovata in base alle tendenze emergenti, per fornire ai professionisti della ristorazione strumenti utili per ampliare le proprie competenze e mantenersi sempre aggiornati sui nuovi trend. La stagionalità è il tema centrale individuato da Unilever Food Solutions per l’edizione 2016 di Professione Cuoco, attorno al quale si sviluppano iniziative e strumenti utili agli chef. Tra questi i 4 ricettari, uno per stagione, ricchi di ricette inedite, che riflettono anche le nuove esigenze di consumo dei clienti e le nuove tendenze nella ristorazione, tra street food, proposte gluten free e vegetariane. Fulcro della proposta consulenziale e formativa di Professione Cuoco di quest’anno, l’iniziativa Emozioni in Padella: un elemento centrale in cucina, la padella appunto, diventa protagonista di eventi formativi sul territorio e di un originale ricettario. La scelta della padella giusta, la conoscenza delle migliori tecniche e delle corrette temperature di esercizio, i segreti della cottura tradizionale e le sue specificità, sempre con un’attenzione alla preparazione di ricette legate alle stagioni, sono solo alcuni degli argomenti trattati durante gli eventi. Argomenti sviluppati ulteriormente all’interno del ricettario Emozioni in Padella, per fornire ai professionisti in cucina, anche dopo gli incontri, spunti creativi e utili supporti tecnici. L’iniziativa Emozioni in Padella è realizzata in collaborazione con gli chef di Eccelsa, l’Istituto di Alta Formazione del Gusto Alimentare (www.istitutoeccelsa.it) e promossa dai principali partner distributivi di Unilever Food Solutions.



I locali

on

Trésor

Scopriamo insieme quali sono i locali che racchiudono piccoli grandi tesori...

Ogni ristorante, locanda o trattoria, famosa o meno, può vantare il proprio “Mon Trésor”, un personalissimo tesoro fatto di attenzione per i dettagli, cura dei propri ospiti, professionalità in cucina e in sala. Noi abbiamo individuato alcuni di questi “Mon Trésor” e li segnaliamo nelle prossime pagine...

golavagando montresor di

Claudio Mollo

CUCINA ANARCHICA

DAL CACINI A SUVERETO

Così veniva chiamato un personaggio del passato, attore romano, conosciuto per fare sempre quello che gli pareva, fuori da tutte le regole. Così si presenta Marco Ticciati, uno chef di lunga carriera già conosciuto per il suo Garibaldi Innamorato gestito a Piombino per diversi anni. Oggi, a Suvereto, dopo 9 anni dall’apertura, propone quotidianamente quello che il mercato offre di più fresco facendo in cucina un po’ “come gli pare”, proprio come il Cacini. Suvereto è considerata la capitale “alta” della Val di Cornia; sovrasta la parte di litorale che va da San Vincenzo a Piombino ed è circondata da vigneti e oliveti e conosciuta per le sue eccellenze agroalimentari, per la sua sagra del cinghiale e le feste medievali. ll locale si trova nel centro del borgo e accoglie i clienti in ambienti caratteristici, rustico-eleganti, con punti luce che, nella sala principale, creano una bellissima atmosfera. Adiacente alla sala principale, una veranda che


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Trésor

DAL CACINI

Via del Crocifisso, 3 – Suvereto (LI) Tel. 0565 828313

aumenta il numero dei coperti complessivi - massimo 40 - e nel periodo estivo diventa praticabile anche un simpatico giardino pensile sulle mura della cinta urbana, uno dei pochi giardini non privati, fruibili dal pubblico. Marco divide le fatiche con la moglie Moira Serini, che si occupa della sala. Dalla cucina escono piatti di cucina marinara e ogni mattina Marco scende fino al mare, sceglie le migliori pezzature di pesci e risale su in collina passando per le campagne dove recupera i prodotti più freschi. Solo su ordinazione, il menu può diventare anche di carne, bovina, di ungulati ed altro. Il locale è aperto tutto l’anno e c’è da dire che la clientela locale è abbastanza ridotta mentre i turisti, a Suvereto, fanno la parte del leone. Vista la zona, fortemente vocata alla produzione vinicola, in carta i vini locali sono ben presenti, tra nomi blasonati e nuove scoperte, scelti e gestiti da Moira che è anche sommelier. Buona la scelta di altri vini nazionali.

Il Mon Tresor è... I MENU SEMPRE NUOVI “Il valore aggiunto più interessante del locale, secondo me – racconta Marco Ticciati - sta proprio nei menu sempre nuovi già stabiliti (tre antipasti, due primi, un secondo e il dessert), con la scelta, libera, di poter mangiare anche una sola pietanza. Realizzati con piatti anche un po’ particolari, che magari, in un menu alla carta il cliente avrebbe dei dubbi a scegliere. Quindi creare anche un simpatico confronto culinario tra i commensali e la cucina. Un mettersi costantemente in gioco con sfide quotidiane, importanti per far crescere sempre più la qualità e l’accoglienza del nostro locale”.

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Giovanni Angelucci

A CANTÙ

IL GARIBALDI

È UN’ESPLOSIONE DI GUSTI E SAPORI GENUINI “Facciamo tutto noi, nel bene e nel male!”. È il motto della coppia Marco Negri e Alda Zambernardi, i due chef che nel 2010 hanno deciso di portare una ventata di aria fresca sulla piazza di Cantù. Proprio nel cuore della città lombarda sorge questo gioiellino enogastronomico dal nome Garibaldi, come la piazza che lo ospita. Lui emiliano e lei toscana, Marco viene dal mondo bancario mentre Alda lavorava come antiquaria, e come sempre dovrebbe essere (meglio tardi che mai), decidono di cambiar vita per dedicarsi al lavoro continuamente desiderato: avere un ristorante. Ma non da imprenditori perché le idee della coppia erano chiare e decise: volevano essere i cuochi del proprio ristorante. Dunque due autodidatti (non si direbbe neanche per un istante) che iniziano con un locale a Montechiarugolo (Parma), lavorando molto bene per otto anni, e soltanto sei anni fa danno il via alla loro nuova avventura in terra lombarda, con le stesse idee nitide e chiare di una cucina di gusto e territorio, ma di maggiore tono e lustro. Nasce così il Garibaldi, il luogo dove continuare a coltivare le proprie passioni, una sfida “fuori regione” di successo fin dal primo anno. Arredato elegante-

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mente con mobili d’epoca e curato nei dettagli, è suddiviso in due sale con il salone principale che si presenta all’ingresso ampio e spazioso, e giunge nella sala opposta attraverso la lunga parete a vetro che mostra la cucina al lavoro. Cortesia e attenzione la fanno da padrone, tangibilmente e gradevolmente. La proposta gastronomica vuole richiamare le origini dei due cuochi in tutto e per tutto attraverso un menù variopinto e cangiante, composto dalla migliore cucina regionale che prende spunto qui e lì passando dalla Toscana all’Emilia Romagna. Si seguono le stagioni e le paste freschissime, così come il pane, sono tutte prodotte in casa e tirate al momento dell’ordinazione. Una cucina schietta e gustosa ma di qualità, materie prime selezionatissime e ampia scelta a disposizione. Gli antipasti sono affidati a chef Marco e la proposta varia dal flan di parmigiano reggiano in salsa di funghi porcini delle valli della Lunigiana al tortino di cipolle stufate e crescenza su letto di insalatina e ancora le trilogie di salumi e formaggi selezionatissimi: capra e pecora dalla Toscana centrale, parmigiano di solo Bruna stagionato trentasette mesi, prosciutto e coppa di Parma di diverse stagionature, diversi tagli di maiale nero e salame della bassa parmense serviti con torta fritta. Ed è solo l’inizio, chef Alda è pronta alla postazione dei primi (che cambiano ogni due mesi) per dimostrare ciò che vale con le sue paste casalinghe: sfogliatelle in rosa con


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Trésor

speck e zucchine; gnocchi impastati al Culatello di Zibello DOP con burro alla salvia e rosmarino; tortelli di erbetta e ricotta alla parmigiana; quadrucci al ragù bianco di controfiletto di Fassona tirato al Chianti. Davvero da applauso. Ai secondi è di nuovo la volta delle mani maschili: l’amore per la carne è anche stavolta egregiamente dimostrato con tagli scelti, cotture giuste e condimenti ben equilibrati e azzeccati, come le carote sfumate al Marsala e le zucchine saltate con timo e prezzemolo. Fiorentina di Fassona, Chianina o Cinta Senese, carrè di agnello in crosta di pane alle erbe aromatiche; quaglietta lardellata con farcia di salsiccia accompagnata da mele su creme di patate; coniglio reale di Carmagnola ripieno di parmigiano reggiano, pan grattato, spinaci, pinoli e olive toscanelle. Senza dubbio tripudio di sapori e proteine, non propriamente adatto ai non avvezzi alla carne, seppur questa

sia di alta qualità. “È solo con i dolci che le nostre mani si toccano, i dessert li realizziamo insieme, i litigi ci sono e i mestoli “volano”, ma se da quarantaquattro anni siamo ancora qui vuol dire che ce l’abbiamo fatta”, scherza Marco. L’itinerario gustativo si chiude con uno strepitoso croccantino al rum con salsa allo zabaione; il semifreddo della Duchessa di Parma con crema e cioccolato al profumo di Grand Marnier; la delizia al mascarpone con cantucci alle mandorle inzuppati al Vin Santo e latte di mandorle. Quella del Garibaldi è una carrellata di gusti e sapori che sanno di genuino con un’esperienza gastronomica ricca preparata su misura e servita con cura dall’unico responsabile di sala, Angelo Tagliabue. Se poi si pensa che in cucina, ad aiutare la coppia, c’è unicamente il giovane cuoco Simone Mazzola, si può forse capire dove è in grado di arrivare l’abilità umana quando è mossa dalla vera passione.

RISTORANTE IL GARIBALDI

Piazza Garibaldi, 13 - 22063 Cantù (CO) Tel. 031 704915 - Fax 031 3514658

Il Mon Tresor è... L’ATTENZIONE PER I PRODOTTI LOCALI ECCELLENTI Il Mon Trésor è senza dubbio la ricerca del prodotto, dai numerosi salumi delle piccole aziende, ai prodotti presidi Slow Food, ai formaggi più diversi e sempre provenienti da valide aziende agricole. Dunque materie prime di prima scelta e produzioni direttamente dalla cucina come i pani e i grissini ma soprattutto le diverse paste a cui Alda si dedica, tirate e farcite al momento dell’ordinazione. Un impegno e una considerazione della cucina fuori dal comune. Non sono maniaci, amano ciò che fanno e lo dimostrano con mille e un ingrediente.

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golavagando montresor di

Claudio Mollo

A MARINA DI CARRARA

CA’ DEL GUSTO È UNA BISTECCHERIA-PIZZERIA CON L’ANIMA

L’attività nasce da una grande amicizia di vecchia data dei rispettivi soci che, a un certo punto, decidono di diventare imprenditori e intraprendere la grande avventura della ristorazione, inizialmente gestendo l’accoglienza e la somministrazione di un piccolo centro

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sportivo che va avanti proficuamente per cinque anni e che è tutt’ora attivo. Ai due soci che hanno dato inizio all’attività imprenditoriale, se ne aggiungono altri e, un anno fa, il grande salto con l’acquisizione dell’attuale locale, la “Ca’ del Gusto”, un nome che vuol sottolineare la cordialità e l’accoglienza riservata ai clienti, trattati proprio come se fossero a casa loro. Un concetto e una filosofia che Andrea, Samuele, Luca, Gabriele e Michele mettono in pratica sotto varie forme, ad iniziare dal personale che anima l’intero locale, tutto rigorosamente scelto in base alla cordialità che ognuno riesce a trasmettere alla clientela, senza tralasciare il saper fare il proprio lavoro con professionalità. Anche con il “gusto” non si scherza, perché le materie prime utilizzate sono rigorosamente scelte e controllate per offrire nel piatto sempre il meglio. L’impegno nella gestione di Ca’ del Gusto è cresciuto velocemente e oggi il locale - una Bisteccheria-Pizzeria molto gettonata - riesce a mettere a tavola oltre 100 persone che possono scegliere


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Trésor tra speciali pizze d’autore, realizzate ad arte, iniziando dalla selezione delle farine, alle 48 ore di lievitazione che il pizzaiolo dedica alla pasta prima di lavorarla e infornarla. La pizza più rappresentativa è quella “omonima”, la Ca’ del Gusto, realizzata con pomodorini, rucola, manzo di pozza, taleggio, mozzarella di bufala e salsa di noci. Oppure si può scegliere il “menu carne”, dove pezzature di Bavarese, la tipologia più utilizzata, o Black Angus americano, Manzetta Prussiana e Angus Irlandese vengono tradotte in bistecche o tartare. Ogni tanto si può gustare anche dell’ottimo maialino di Mangalica. Anche per i vini la scelta non manca. Alcuni locali, soprattutto rossi, e poi un’ottima selezione di Toscani e Piemontesi. I clienti fidelizzati sono tanti e tutti locali o di zone limitrofe; pochi, invece, i turisti di passaggio. Oltretutto il locale si trova in posizione strategica, vicino all’uscita autostradale di Carrara e anche vicino ai viali a mare.

Il Mon Tresor è... LA VOCAZIONE ALL’ACCOGLIENZA A disposizione dei clienti, un gruppo di lavoro molto affiatato, che ha sfidato la regola secondo la quale, quando ci sono i soldi di mezzo, le amicizie spesso vacillano. A loro il merito di tenere in vita un’attività complessa, attraverso ruoli e compiti suddivisi con consapevolezza e dedizone. Un’accoglienza che fa la differenza, orgoglio di tutti i soci e del personale che li affianca.

CA’ DEL GUSTO

Viale Galileo Galilei, 65

Marina di Carrara (MS) Tel. 338 2967527

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Giovani talenti

FORZA E DELICATEZZA NELLA CUCINA DI

SABRINA TUZI A SAN BENEDETTO DEL TRONTO

di

Gianni Di Lorenzo

Nonostante la giovane età Sabrina Tuzi è già una certezza nel panorama della ristorazione di qualità italiana. Dopo la Scuola Alberghiera, le esperienze significative da Niko Romito e da Loretta Fanella le hanno dato la spinta giusta per mettere in valore quelle doti di sensibilità e capacità professionali già espresse nel loro potenziale alla Degusteria del Gigante di San Benedetto del Tronto, il suggestivo ristorante dove lavora da tempo. E’ stato il patron Sigismondo Gaetani a darle fiducia, riconoscendo il fatto che da un fiore, da un’erba, dal più insignificante dei prodotti, Sabrina è in grado di trarre qualcosa di speciale. C’è anima, vita e positività nei suoi piatti che non prescindono dalle sue radici marchigiane, dalla tradizione e dai prodotti che lei stessa raccoglie in campagna, dove vive. “Ambasciatrice del gusto” nell’Accademia Maestro Martino di Carlo Cracco, Sabrina è una delicata nota rosa – il colore che lei predilige – nel contesto della cucina di ottimo livello.

RISTORANTE DEGUSTERIA DEL GIGANTE

Via degli Anelli, 19 - San Benedetto del Tronto (AP) Tel. 0735 588644

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SABRINATUZI

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Giovani talenti

IL PICCIONE nell’orto

INGREDIENTI per 4 persone 2 piccioni

2 topinambur 1 patata lessa 1 rapa rossa

12 puntarelle germogli

g. 120 di uova g. 20 di farina

5 gocce di olio

essenziale di muschio

g. 10 di burro di cacao couli di frutti di bosco PREPARAZIONE

Disossare il piccione: con le carcasse preparare un fondo bruno; cucinare le cosce

disossate a 75°C per

3 ore insaporite con sale e pepe.

In una padella antia-

derente sciogliere il

burro e arrostire le co-

sce e il petto. A parte

frullare le uova, la farina

e il muschio e formare

delle spugne al micro-

onde. Tagliare le verdure,

insaporire con sale e olio e

arrostire al forno per qualche

minuto. Posizionare su un piatto

le verdure, la spugna di muschio,

adagiare il petto e le cosce di piccione e nappare con il fondo bruno.

Guarnire con qualche goccia di coulis di frutti di bosco.

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SABRINATUZI

“.. PREFERISCO IL SAPORE DEL MARE..” Gelato di alici alla scottadito, crumble di mais e camomilla (omaggio alla “statua di parole” di Ugo Nespolo) INGREDIENTI per 4 persone g. 400 di alici alla scottadito

(alici cotte alla griglia con alloro rosmarino e aglio) g. 100 di acqua g. 50 di latte

g. 50 di glucosio

g. 100 di farina di mais g. 100 di burro

g. 100 di parmigiano reggiano infuso di camomilla

g. 2 di colla di pesce

PREPARAZIONE

Preparare uno sciroppo di acqua, latte, glucosio; lasciar bollire per 2 minuti e ag-

giungere le alici. Frullare e mettere a congelare in freezer.

Impastare la farina, il burro e il parmigiano.

Cuocere in forno a 170°C per 20 minuti e sbriciolare.

Ammorbidire in acqua fredda la colla di

pesce e aggiungerla all’infuso di camomilla caldo. Lasciar raffreddare.

Mantecare il gelato di alici e servire con il

crumble, qualche goccia di camomilla e guarnire con fiori di prezzemolo.

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Giovani talenti

SABRINA TUZI INTERPRETA

RAVIOLOTTI AL BACCALÀ

erbe spontanee cazole di pesce all’anice e polline INGREDIENTI per 4 persone

PREPARAZIONE

g. 500 di erbe

garle e marinarle per circa 12 ore nel composto di sale,

12 Raviolotti al baccalà Divine Creazioni Surgital (crespigna, borragine, cicorietta, bietolina rossa etc..) g. 100 di cazole (sacche di uova di pesce misto) g. 200 di sale fino

g. 200 di zucchero

g. 20 di anice verde g. 20 di polline

Sbianchire le cazole in acqua e aceto. Scolarle, asciuzucchero e semi di anice pestati. Passato il tempo, sciacquarle sotto acqua fredda.

Pulire e lavare le erbe e passarle nell’estrattore. Prendere il succo ricavato e cuocerlo a bagnomaria per 20 minuti.

Cuocere i Raviolotti in acqua bollente salata; scolarli,

saltarli nel succo di erbe e adagiarli in un piatto. Grattu-

giare le uova sopra ai Raviolotti e aggiungere il polline e qualche fogliolina di erbe.

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Giovani talenti per

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Giovani talenti

PANCIOTTI CON PUNTE DI ASPARAGI E MASCARPONE tartare di agnello, uovo e punte di asparagi INGREDIENTI per 4 persone

8 Panciotti con punte di asparagi e mascarpone Divine Creazioni Surgital 2 tuorli d’uovo

g. 50 di parmigiano reggiano

g. 200 di polpa magra di agnello g. 30 di acqua gassata

g. 12 di olio di “porro bruciato” g. 2 di zucchero di canna sale

olio extravergine d’oliva 12 punte di asparagi PREPARAZIONE

Preparare la tartare battendo al coltello la polpa di agnello e condirla con acqua, olio, sale, zucchero. Lasciar insaporire in frigo.

Condire i tuorli con il formaggio, sale e pepe. Chiudere in un sacchetto sottovuoto; cuocere per 2 ore a 65°C. Cuocere a vapore le punte di asparagi.

Montare il piatto mettendo alla base l’uovo, i Panciotti lessati in acqua salata, scolati e saltati in una noce di burro. Aggiungere la tartare, le punte di asparagi e condire con un filo d’olio ai porri.

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Giovani talenti per

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Giovani talenti

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Giovani talenti per RAVIOLONI CON CREMA DI RICOTTA DI BUFALA E FOGLIOLINE DI SPINACI gazpacho di pomodorini gialli, pesca noce della Valdaso, uova di salmone e portulaca INGREDIENTI per 4 persone

8 Ravioloni con crema di ricotta di bufala e foglioline di spinaci

Divine Creazioni Surgital

g. 250 di pomodorini gialli tipo lampadina g. 150 di pesche

1 spicchio d’aglio

1 foglia di basilico

olio extravergine d’oliva uova di salmone

qualche fogliolina di portulaca 12 punte di asparagi PREPARAZIONE

Mettere nel bricco del frullatore la polpa delle pesche, i pomodori

spellati, l’aglio, il basilico e l’olio. Frullare, passare al setaccio e aggiustare di sale e pepe il gazpacho.

Cuocere in abbondandante acqua salata i Ravioloni. In un piatto di servizio disporre la salsa alla base, adagiarvi i Ravioloni e guarnire con le foglioline di portulaca e le uova di salmone.

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LA STRAORDINARIETÀ DEL

MONASTERO

SANTA ROSA SULLA COSTIERA AMALFITANA

di

Gianni Di Lorenzo

“Anche le attività di servizio degli alberghi dal lusso più raffinato possono risultare standardizzati, se vincolati a parametri troppo uniformi. L’unico sistema per distinguersi tra tutti gli altri è cercare quindi di offrire qualcosa che esca dagli schemi e possa generare l’emozione. Io contribuisco a farlo attraverso i miei piatti di grandi prodotti del territorio”. L’acuta e condivisibile osservazione viene da Christoph Bob, quarantatreenne chef del ristorante Il Refettorio interno al Monastero Santa Rosa, la spettacolare struttura a picco sul mare della costiera Amalfitana, a Conca dei Marini che, al di là della classificazione tra gli hotel cinque stelle lusso, rifiuta qualsiasi ulteriore omologazione. La sua unicità è infatti palese: imparagonabili la sua solitaria nidificazione sulla roccia protesa tra cielo e mare, la storia antica tracciata in un territorio dal fascino struggente e la sua nuova vita che

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quella storia ha saputo recuperare e valorizzare con rispetto e attenzione. Oggi un certo tipo di clientela che ha tutto e può permettersi tutto, o quasi, può essere sorpresa soltanto da una proposta di esclusività non ripetibile: basta riuscire a stimolare sensazioni riconducibili alla sfera delle sensibilità individuali. In un contesto già di per sé sovraccarico di esagerata bellezza, gli effetti speciali non sono certo necessari, anzi risulterebbero inopportuni: le emozioni possono scaturire dalle cose semplici, come l’odore della cera d’api sui mobili antichi che arredano i lunghi e silenziosi corridoi, o il suono anacronistico della campanella che un tempo faceva accorrere le suore e oggi assicura la sollecita e premurosa accoglienza dello staff e magari, ancora, il profumo di pomodori o fragole nel loro momento di maturazione migliore, grazie a


MONASTEROSANTAROSA

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quel mix di sole, vento, mare e terreno che nell’orto biologico del Monastero generano prodotti dai sapori intensi e indimenticabili. Qui, tra l’altro, si supera l’abusato stereotipo del Km 0: siamo a soli 10 metri dalla cucina dove Christoph prepara creazioni gastronomiche non con prodotti di stagione, ma con prodotti di pochi minuti dopo il raccolto. “Naturale” quindi che la carta cambi con il mutare dell’orto e che inserisca asparagi, carciofi romani, fave e fagiolini a maggio, quando il resort apre; peperoni, piselli e fiori di zucca a giugno; melanzane e pomodori in piena

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MONASTEROSANTAROSA

estate e così via fino a broccoli, cardi, cavoli e funghi in ottobre, quando l’albergo si avvia alla chiusura invernale. Nell’attuale periodo di grande caldo, in carta si apprezzano i fusilli con calamari, pomodorini del Piennolo e melan-

zane al profumo di basilico; i frutti di mare gratinati alle erbe; l’alice panata farcita con la scamorza o l’insalatina di fave all’olio d’oliva affumicato abbinati ad una bella cantina di 320 etichette italiane e internazionali, con attenzione particolare a quelle locali meno note, ma degne di essere divulgate. Anche la colazione - che con la bella stagione si può consumare nel patio sovrastante il bellissimo giardino profumato di fiori e delle stesse piante medicinali e aromatiche coltivate un tempo dalle monache, nella suggestiva disposizione a gradoni digradanti verso l’infinity pool - è alla carta, così da fornire frutta o salumi appena tagliati, oppure qualche proposta della cucina, al di là dell’offerta quotidiana delle immancabili torte fresche di giornata o delle sfogliatelle (foto sopra), vero vanto e coccola distintiva della struttura perché realizzata su ricetta creata e tramandata proprio dalle monache del Monastero Santa Rosa. Attuale depositario della ricetta originale e suo impeccabile esecutore è appunto Christoph Bob (foto a lato) con il

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suo staff internazionale di giovani cuochi coordinati anche da Pasquale Paolillo, trade union tra la sua cucina mediterranea, solare e verace, e la raffinata creatività autoriale dello chef executive. Dall’orto biologico proviene dunque la maggioranza della frutta e della verdura necessarie al fabbisogno del ristorante, pesce e carne sono assicurati da fornitori locali affidabili: alici di Cetara, pasta di Gragnano, pomodori del Piennolo, formaggi artigianali, agnello Laticauda, maialino nero casertano, vanno a comporre piatti che rendono onore ad uno dei più bei territori del mondo. Ancora una volta, pertanto, le più rigorose espressioni derivate dalle tradizioni regionali passano per mani straniere: Christoph è tedesco come il suo tristellato mentore Heinz Beck, presso il quale ha lavorato come sous chef; e altri chef d’oltralpe

TORTELLO ALLA GENOVESE INGREDIENTI

Poi, in seguito, unire il macinato già com-

farla dorare. Sfumare col vino bianco, co-

vitello, g. 400 di petto di vitello, 2 caro-

re di nuovo sul fuoco in modo da far veni-

Al termine della cottura scolare le cipol-

Per il consommé: g. 600 di coda di te, 2 coste di sedano, 3 cipolle, g. 70 di albume, prezzemolo.

Mettere in una pentola la coda di vi-

preso di albume al brodo freddo e mette-

re a galla gli albumi con tutte le impurità (si creerà una sorta di tappo). Filtrare in un’altra pentola il brodo un’etamina.

tello e la metà delle verdure, far bol-

Per il ripieno: g. 600 di stinco di vitello,

aver bollito, filtrare.

bianco, g. 500 di carota, alloro.

lire lentamente per tre ore. Poi, dopo Una volta filtrato il brodo procedere

g. 600 di cipolla montoro, ml. 150 di vino

per la chiarificazione andando a ma-

Rosolare lo stinco in una pentola di ghisa.

di vitello mischiando con gli albumi.

aggiungere la cipolla tagliata finemente e

cinare le verdure restanti ed il petto

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Dopo aver rosolato la carne da tutti i lati

prire e far cuocere per 6 ore.

le in modo da ottenere la farcia per il tortello.

Per il tortello: g. 300 di semola di grano

duro, g. 700 di farina “00”, 8 albumi, 2 uova intere, sale q.b., 1 cucchiaio d’olio.

Impastare lentamente in una planetaria, poi tirare la sfoglia per formare un tortello

e farcire con il ripieno (ben asciutto). Servire con il brodo.


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MONASTEROSANTAROSA

SPAGHETTONE

con ortica, cannolicchi e salicornia INGREDIENTI per 4 persone

ottenere un pesto dalla con-

4 pomodori rossi, g. 100 di salicornia, olio

la salicornia, sbollentarla

g. 280 di spaghetti, g. 200 di cannolicchi, extravergine d’oliva, sale. Per il pesto

g. 500 di ortica, g. 100 di gherigli di noci, g. 10 di prezzemolo, olio extravergine d’oliva, sale.

PROCEDIMENTO

Lavare i pomodori, tagliarli in quattro spic-

chi e privarli della polpa e dei semi. Disporli su una teglia da forno unta con un filo di olio extravergine di oliva e farli seccare in forno a 65°C per tre ore.

Per il pesto, lavare l’ortica e sbollentarla velocemente in acqua bollente. Scolarla, strizzarla e frullarla aggiungendo i gherigli

di noci, olio extravergine e prezzemolo sfogliato e lavato.

Passare al setaccio a maglia fine così da

sistenza omogenea. Lavare velocemente in acqua e tenerla da parte.

Cuocere gli spaghetti in abbondante acqua salata, scolarli al dente e

condirli con il

pesto di orti-

ca; aggiunge-

re i cannolicchi

crudi aperti al

momento, la sa-

licornia e i pomodori secchi.

Distribuire in ogni

fondina un nido di

spaghetti con il condimento.

come Ducasse al Plaza Athenee e Alain Saliveres al Taillevent di Parigi, Horst Petermann nell’omonimo locale bistellato di Zurigo hanno contribuito alla strutturazione della sua solida preparazione professionale. Ma sono le esperienze a Villa Feltrinelli a Gargano, al Relais Blu di Massa Lubrense, a Torre del Saracino di Vico Equense ad aver riscaldato la sua tecnica con il calore del sole italico. Il resto lo ha fatto l’incontro con quella che poi sarebbe diventata sua moglie e che lo ha naturalizzato non tanto come italiano a tutti gli effetti, bensì come paesano della Costiera Amalfitana. I suoi piatti esprimono dunque tutto il suo amore per una cucina di stampo meridionale, tanto che lui stesso dichiara di evitare creazioni che per eccesso di precisione tecnica possano sembrare “troppo tedesche (!)”.

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LA STORIA TERRENA E SPIRITUALE Spiritualità e terrena passionalità si fondono nella storia di questo esclusivo Boutique Hotel e Spa di straordinaria bellezza, un tempo Monastero dedicato a Santa Rosa da Lima, costruito nel 1681 sulle mura diroccate di una chiesa del 1200. Fu la badessa Rosa Pandolfo, grazie alle possibilità economiche della sua famiglia d’origine, a volerne l’edificazione allo scopo di ospitare le “sacre vergini” che, nel tempo, avrebbero reso un gran servizio alla comunità locale preparando medicinali, codificando ricette e, perfino, convogliando l’acqua del vicino Monte Vocito per

offrirla, tramite una fontana in piazza Olmo, ai paesani di Conca dei Marini. Dopo l’abbandono a cui le suore furono costrette, la magnifica e solitaria domus divenne hotel di prestigio nel 1934, arredata con eleganza dalla moglie russa del proprietario di allora e frequentata da ospiti illustri come Jacqueline Kennedy ed Eduardo de Filippo. Purtroppo anche quella rinascita importante ebbe breve vita e la struttura fu di nuovo lasciata esposta all’incuria e alle offese del tempo. Fu un’altra donna, la terza in questa epopea storica, a determinare il destino dell’ex complesso monastico. Il caso vuole che l’americana Bianca Sharma, durante una crociera con amici nella Baia di Salerno, scorgesse il lucore delle impervie mura e se ne innamorasse perdutamente fino a decidere di acquistarle per realizzarvi sì in uno dei migliori alberghi al mondo, ma con l’atmosfera autentica

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di una residenza privata sulla Costiera Amalfitana. Continuando col tono favolistico del racconto, possiamo narrare che mostri cattivi ostacolarono il percorso della nostra eroina. Malgrado fosse stato attentamente studiato un restauro talmente rispettoso dell’integrità della struttura da rasentare il puntiglio, malgrado le opere edili garantissero lavoro e introiti rilevanti per artigiani, architetti, fabbri, falegnami e un’infinità di maestranze locali varie, malgrado la difficoltà dei lavori e il loro costo elevatissimo suggerissero tempi ragionevoli, malgrado la gestione prevista andasse a privilegiare soprattutto l’impiego di personale del posto, malgrado tutto questo, appunto, quel mostro squisitamente italiano che prende via via il nome di burocrazia esagerata ed elefantiaca, ignoranza, tentativi di approfittamento personali, lungaggini manovrate, tentò stolidamente per anni di contrastare il recupero del sito. Nonostante i non rari momenti di sconforto, Donna Bianca di Santa Rosa (l’attribuzione di un titolo e di un casato qui diventano d’obbligo) tenne duro grazie anche alla preziosa complicità e allo strenuo supporto di Flavio Colan-

tuoni che oggi è direttore del resort, ma che ieri fu l’integerrimo e agguerrito difensore della meritoria impresa. Lui, già esperto nel settore gestionale in virtù di incarichi in famosi hotel europei, con l’aiuto sostanziale dell’architetto napoletano Francesco Avolio de Martino, seguì passo passo ogni fase del restauro, condividendo con la proprietaria e il figlio di lei, Nathan, l’impegno a salvaguardare minuziosamente tutto ciò che avesse potuto ricreare l’atmosfera e il fascino che il Monastero aveva sempre avuto. Ecco quindi il recupero dei vecchi portali, delle inferriate, dei fregi, dei dipinti, ecco l’dea di riutilizzare, all’ingresso del Monastero, la ruota in legno che le monache usavano per consegnare, non viste, medicinali e unguenti, ora trasformata in piccolo bar per gli ospiti nella breve attesa prima di occupare le proprie stanze, ecco anche il proposito di ricostruire quell’antica campanella che ieri come oggi riesce a comunicare, con quel leggero scampanio, l’ingresso in un luogo diverso da ogni anche più lussuoso albergo al mondo. Questo caparbio atto d’amore ha generosamente restituito alla Costiera Amalfitana uno dei suoi gioielli più importanti.

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“ A OGNI FINESTRA IL SOLE, DA OGNI FINESTRA IL MARE” Sono soltanto 12 le stanze e 8 le suite ricavate mettendo in comunicazione tra loro le celle delle monache, tutte con vista su un golfo incantevole dove si affaccia anche la bellissima Amalfi; 20 sole camere in un complesso maestoso, così da garantire il massimo del confort, degli spazi esclusivi e del rispetto della privacy di ogni ospite. Contrassegnate dal nome delle piante officinali coltivate nei giardini e nell’orto del Monastero, ognuna è diversa dalle altre ed è arredata con gli eleganti mobili d’antiquariato di cui Donna Bianca è raffinata collezionista. I letti king size ospitati sotto i caratteristici soffitti a volta che all’esterno as-

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MONASTEROSANTAROSA

sumono la loro forma a cupoletta, ben visibile alla sommità della struttura, sono rivestiti in bianco lino italiano; i confortevoli salotti sono arricchiti da antiche suppellettili o da oggetti unici di contemporaneo design; i grandi bagni sono dotati di sali da bagno e di saponi prodotti dall’Officina Profumo Farmaceutica di Santa Maria Novella, ritenuta la più antica d’Europa, gli stessi che, insieme ad oli preziosi e creme, vengono utilizzati nella sontuosa Spa scavata nella roccia, dove massaggi e trattamenti si aggiungono a un clima di relax totale tra profumo di limoni e silenziosa penombra. MONASTERO SANTA ROSA HOTEL & SPA

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GOURMETFOOD


CUCINAD’ALTOBORDO

A SORRENTO

CUCINA D’ALTO BORDO CON I PIATTI STELLATI DI GIUSEPPE AVERSA SUL “MAESTRO 56” DEI CANTIERI APREAMARE

foto di

di Maria Chiara Zucchi Carlo Borlenghi - Gianfranco Capodilupo - Francesco Rastrelli - Roberto Della Noce

Il dehors del ristorante Il Buco – una stella Michelin nel cuore di Sorrento – non è soltanto (traducendo dal francese) il “di fuori” del celebrato ristorante di Giuseppe Aversa, ma è toponomasticamente la scalinatella che conduce dritta verso il porto. Abbiamo voluto partire

proprio da qui, dai gradoni che ospitano i tavoli di questo piccolo tempio della buona cucina campana, per rappresentare lo stretto rapporto che intercorre tra chi ama profondamente il mare, tanto da volerlo vivere con una barca, e la cucina che dal mare trae la sua principale fonte di ispirazione. La relazione è tanto più intensa quanto più è radicata la convinzione che il piacere della nautica sia strettamente correlato al benessere che la cucina di pesce può fornire.

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GOURMETFOOD

Ecco perché ci è sembrato naturale ricostruire idealmente questo binomio attraverso due sorrentini doc che rappresentano da un lato le barche, ovvero il maestro Cataldo Aprea, all’altro il cibo, vale a dire, appunto, lo chef patron de Il Buco, Giuseppe Aversa. Dire “barche”, nel caso dell’azienda Apreamare, è quantomeno riduttivo perché da qui provengono i gozzi più ambiti al mondo, costruiti da quei maestri d’ascia che fin dal 1849 hanno fatto la differenza nella realizzazione di opere artigianali di altissimo livello: nei vecchi cantieri navali della Penisola Sorrentina è ancora possibile ammirare intere pareti ricoperte di sagome e garbi per la produzione dei vecchi gozzi da pesca, a remi e a vela, che hanno fatto la storia nautica campana. Si favoleggia del fatto che tutto il bel mondo abbia utilizzato queste mitiche imbarcazioni, da Sofia Loren a Rossel-

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lini, da Liz Taylor e Richard Burton a Rudolf Nureyev che ne teneva uno ancorato all’isolotto de Li Galli. E’ nel secondo dopoguerra che Giovanni Aprea, padre di Cataldo, ebbe l’intuizione di applicare sui gozzi i motori di derivazione automobilistica. Il cantiere della famiglia Aprea inizia così a produrre le prime imbarcazioni per uso diportistico, settore fin da subito prevalente rispetto a quello della pesca professionale.


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L’INTERVISTA Una lunga storia quella della sua azienda… Sì, la mia famiglia costruisce barche da più di 150 anni, io sono la quarta generazione e mio figlio Giovanni è la quinta. La nostra è una tradizione che si tramanda con orgoglio e passione da secoli di padre in figlio. Io sono stato il più rivoluzionario della famiglia, quello che ha “disobbedito” alle regole ed ha trasformato il gozzo da barca di pescatori a yacht da diporto. Deve esserne fiero, perché ha scritto la storia nel mondo della nautica. Ne sono sicuramente fiero e forse anche orgoglioso. Nonostante la mia lunga storia non ho perso l’umiltà, mi piace ancora osservare, migliorare e non smettere mai di innovare. Dicevo che ho convertito il gozzo da barca di pescatori a yacht di lusso, trasformando la carena di legno prima in vetroresina e poi in scafo planante, permettendogli di raggiungere velocità sostenute e di essere sicura e marina in qualunque condizione di mare. Oggi la nostra gamma gozzi conta ben 8 modelli che vanno dal nostro entry level di 32 piedi al 64 dotato anche di fly bridge. Abbiamo voluto dare alla nostra linea gozzi una connotazione più classica, con linee morbide e sinuose, scegliendo essenze che vanno dal mogano alla paglia viennese. Allo stesso tempo, abbiamo preferito essere sempre flessibili nei confronti dei nostri clienti, dando loro la possibilità di customizzare la propria imbarcazione scegliendo diverse essenze di legno o modificando dettagli di lay-out.

CATALDO

APREA 61


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Benissimo, ma se non sbaglio oggi, oltre alla gamma gozzi, lei ha anche un’altra linea di imbarcazioni. Sì, infatti. Nell’ormai lontano 2003, guardandomi intorno nel panorama nautico, non scorgevo nulla di nuovo: le barche sembrava si somigliassero tutte. Allora pensai che toccava a me osare inventando qualcosa di nuovo, così insieme all’arch. Gianni Zuccon mettemmo a punto il primo Maestro, un’imbarcazione fly-bridge dalle linee

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retrò, con vetrate verticali e interni ampi e luminosi. Fu presto un successo! Oggi la linea conta 3 modelli, un 56, un 66 e un 82 piedi, e in meno di 10 anni ne abbiamo costruite più di 80 unità. E adesso? Una mente così non penso possa stare a riposo. Assolutamente no! L’azienda nel corso degli anni ha avuto varie vicissitudini: dopo una parentesi di circa 10 anni nel gruppo Ferretti, siamo entrati da un an-

no nel gruppo Cose Belle d’Italia, un gruppo italiano del quale abbiamo fin da subito sposato la filosofia, volendo questo salvaguardare le eccellenze del Made in Italy. Oggi sto lavorando ad una serie di progetti di cui non posso ancora svelare i contenuti. Posso solo anticipare che si tratta di un modello grande della linea Maestro ed una rivoluzione nella linea gozzi! Il mio progettista compagno di viaggio in questa nuova avventura è Brunello Acampora della Victory Design.


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GIUSEPPE

AVERSA

L’INTERVISTA Chef Aversa, si può parlare di “cucina da barca”? Si deve! La gestione di una cambusa – che è il termine di derivazione olandese (kabuis) con il quale si indica appunto il luogo dove si depositano, si conservano e si lavorano i viveri sulle imbarcazioni in generale – deve essere particolarmente scrupolosa, tant’è che molto spesso si individua una vera e propria figura di kambusiere, ossia di capo. Il suo ruolo, o comunque il ruolo di una persona incaricata a svolgere questo compito, presuppone dati di razionalità, calma, stile, intelligenza, ordine. Deve infatti avere ben presente le preferenze o le idiosincrasie alimentari di ogni ospite della barca, non dimenticare nulla nella spesa perché quando la barca è al largo, non si può rimediare.

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Quindi cosa si deve mettere nella borsa della spesa? Innanzitutto la borsa stessa, che deve essere biodegradabile, a scanso di problemi, nel rispetto dell’ambiente. Poi prodotti con poco scarto, quindi pesci possibilmente già puliti, verdure magari di quarta gamma, già pronte per l’uso anche se fresche, e carni, se necessario, da cotture veloci. Oltre che con lo spazio esiguo per stivare le derrate alimentari, bisogna avere dimestichezza con le tempistiche di cottura, che dovrebbero essere circoscritte ad un tempo il più possibile limitato. Naturalmente non devono mancare i prodotti base come olio, aceto, pepe, sale, aromi e spezie. Il tipo di piatti da proporre? Quelli improntati a leggerezza, freschezza, semplicità, ma nell’eleganza. La scusa che il cibo da barca deve essere spartano e approssimativo, considerati gli spazi di preparazione e consumo, è anacronistica. Chi sceglie la barca ama ciò che è bello e dà piacere, quindi di solito apprezza il momento della convivialità da vivere con immediatezza e relax, pur senza approssimazione. Noi abbiamo scelto alcuni piatti simili a quelli della nostra carta menù proprio per dimostrare che con una buona materia prima e con una tempistica accettabile, la vita a bordo può assumere aspetti conviviali ancora più piacevoli.

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GAMBERI

in olio cottura su tris di riso e verdure, maionese wasabi e salsa di prezzemolo INGREDIENTI per 4 persone 12 gamberi

PROCEDIMENTO

g. 200 di riso rosso canadese

ti. Cuocere i 3 tipi di riso separatamente in

g. 200 di riso basmati g. 200 di riso venere pepe nero in grani

1/2 cucchiaino di cardamomo 1 anice stellato

olio extravergine d’oliva q.b. sale e pepe q.b. 1 carota

1 zucchina 1 sedano

1 scalogno

1 peperone

g. 400 di prezzemolo g. 100 di maionese

g. 30 di salsa wasabi

Mettere a bagno i 3 risi per circa 20 minuabbondante acqua salata e scolare al dente (oppure scegliere un solo tipo di riso). Lasciare raffreddare.

Saltare in padella lo scalogno, aggiungere i 3 risi uniti ed infine la brunoise di verdure precedentemente preparata.

Pulire i gamberi sgusciandoli e privandoli

anche del loro “budellino” e, con molta

cura, privare la testa da tutte le sue impurità.

In un pentolino aggiungere acqua e un po’ di olio, unire poi le erbe aromatiche e cuocervi i gamberi per 5 minuti.

Disporre sulla base di un piatto fondo il tris di riso ponendovi sopra i gamberi.

Lucidare con olio evo. Decorare a piacere.

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FUSILLI

con tartare di tonno al lime, salsa di peperoni arrostiti e crudo di friggitelli INGREDIENTI per 4 persone

g. 240 di fusilli di Gragnano, g. 400 di tonno pinna gialla, g. 350 di peperoni, 1 scalogno, g. 100 di friggitelli, 1 lime, 1 mazzolino di

menta fresca, olio extravergine d’oliva q.b., sale e pepe q.b.

Per la tartare di tonno: pulire e tagliare a cu-

betti il tonno. Condire con sale, olio extraver-

julienne e saltare in padella per 5 minuti con scalogno e olio extravergine d’oliva. Frullare con

Per la salsa di peperoni arrostiti: arrostire

PROCEDIMENTO

privarli della loro pelle e semi. Tagliare a

vergine d’oliva. Disporre in un piatto fondo e decorare a piacere con le salse e le verdure.

gine d’oliva, pepe, menta e lime.

su griglia i peperoni. Quando raffreddati,

mixer fino ad ottenere una crema omogenea.

Cuocere la pasta in abbondante acqua salata e scolare al dente. Condire la pasta con solo olio extra-

LINGUA DI PASSERA con scorfano al limone, salsa di bottarga e pomodoro secco INGREDIENTI per 4 persone

g. 300 di lingua di passera di Gragnano, g. 320 di linguine, g. 200 di polpa di scorfano pulito e tagliato a cubetti, 8 fiori di zucca tagliati a julienne, g. 80 di olio extravergine d’oliva, sale e pepe q.b.

Per il battuto: g. 120 di bottarga di tonno

grattugiata, mezzo limone grattugiato, 1 cuc-

chiaio di prezzemolo tritato, 8 falde di pomodoro secco tritate, emulsionate con olio extravergine d’oliva. PROCEDIMENTO

Cuocere la pasta in abbondante acqua salata.

In una padella scottare i cubetti di scorfano

precedentemente marinato con succo di limone e olio extra vergine oliva con uno spicchio d’aglio. Mantecare le linguine con fumetto di

scorfano preparato con le sue lische. Salare e

pepare. Completare con il battuto di bottarga. Disporre in un piatto fondo. Decorare a piacere.

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CUCINAD’ALTOBORDO

COMPOSIZIONE DI POLPO DI SCOGLIO e calamaro da lenza

INGREDIENTI per 4 persone

parata e riempiere i calamari restanti cuo-

testa del polpo precedentemente cotta,

te, 2 zucchine, 1 sedano, 1 avocado, 1 pomo-

poche formare delle salsicce avvolgendole

olio, timo, rosmarino e lime. Formare delle

1 polpo di kg. 1, 4 calamari, 2 patate, 2 caro-

doro ramato, 1 lime, 1 scalogno, 5 pomodorini ciliegia rossi, 5 pomodorini ciliegia

gialli, 1 biscotto agerolese, 2 albumi, timo, rosmarino, sale q.b., olio extravergine d’oliva, pepe q.b.

PROCEDIMENTO

Cuocere il polpo in abbondante acqua

salata per 40 minuti circa. Lasciare raffred-

dare. Frullare i 2 calamari con i 2 albumi d’uovo ottenendo una crema omogenea.

Conservare una parte della crema ottenu-

ta aggiungendoci la brunoise di carote, zucchine e sedano precedentemente pre-

cendoli a vapore. Con l’aiuto di un sac à in carta pellicola.

Cuocere a vapore la salsiccia e i calamari

tagliata a julienne. Condire con sale, pepe, sfere bon bon e tenere in caldo.

ripieni per 7/8 minuti.

COMPOSIZIONE DEL PIATTO

olio, sale, pepe e succo di mezzo lime.

salsiccia di calamaro.

Pulire l’avocado, frullarlo in un mixer con Aggiungere il pomodoro ramato tagliato a cubetti e lo scalogno tritato.

Pulire i pomodorini gialli e rossi, condirli

con sale, pepe e olio e cuocere in forno a 160°C per 5/6 minuti.

Per il bon bon di polpo e patate: cuocere la patata in abbondante acqua salata.

Pelarla e, con l’aiuto di uno schiacciapatate, ottenere una purea. Aggiungere la

Rosolare in padella i tentacoli insieme alla Mettere la salsa di avocado alla base del

piatto. Adagiarvi sopra la crema di avoca-

do, creando una composizione, i tentacoli

di polpo, la salsiccia di calamaro passata nel biscotto agerolese, il calamaro ripieno tagliato a fette, il bon bon di patata e i pomodorini confit.

Condire con un filo d’olio a crudo. Decorare a piacere.

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GOURMETFOOD

A POSITANO

APPRODO IN RADA PER LA CUCINA DEL “DESIDERIO” di

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Maria Chiara Zucchi


RISTORANTERADA

Ogni tanto ci viene il dubbio che nel giornalismo di settore si creino dei cortocircuiti e che su determinati argomenti si determinino forme di pregiudizio e snobismo al contrario. Sembra insomma, che certi contesti d’elite non siano credibili sul piano enogastronomico. La sensazione si è ripresentata quando abbiamo deciso di visitare una bianca e moderna roccaforte con le ampie vetrate proiettate sul mare di Positano, realizzando che erano scarsi i riferimenti critici che potevano aiutarci a conoscere preventivamente questo locale. Strano, data la pletora di blogger e segnalatori affamati di visibilità e di news. E strani altri silenzi più autorevoli. Allora cosa? Il Rada Restaurant è dunque troppo bello, troppo sfacciatamente collocato nel punto più invidiabile della frequentatissima spiaggetta e troppo vippaiolo per essere considerato anche di grande qualità? Lo abbiamo chiesto ai diretti concorrenti, ovvero ai ristoratori dei dintorni, il cui giudizio è stato unanime: vale la pena provarlo. Ne è valsa la pena, non solo perché l’esperienza enogastronomica in un ambiente così suggestivo è ancor più gratificante – la luna che si riflette nel mare, le luci delle barche e quelle di Positano, il paese verticale, che lo fanno sembrare un presepe - ma proprio per il valore di una cucina piacevole e intrigante. Se ne prende cura, con il suo secondo Ciro Catapano

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GOURMETFOOD

e una brigata di dieci elementi, lo chef Emilio Desiderio, 36 anni alcuni dei quali spesi per effettuare stages da Crippa, Nino di Costanzo, Enrico Bartolini, Uliassi, Michele Deleo, Alfio Ghezzi. “Da loro - ci confida Emilio - ho cercato di carpire la mentalità e la filosofia. Se fossi stato nelle loro cucine da ragazzino forse avrei tentato di copiare i piatti, di emularli, bruciandomi così la possibilità di costruire una cucina mia. Aver avuto la possibilità, invece, di lavorare con loro in una fase più matura della mia professione - continua lo chef - mi ha permesso di valutare più concretamente tecniche, organizzazione di cucina, elaborazione di una ricetta, assemblaggio armonico di un piatto. In una parola, lo stile che caratterizza ogni cuoco di talento”. Va detto che questa formazione è stata resa possibile grazie alla sensibilità dimostrata dalla proprietà del ristorante (la famiglia Russo) che ha deciso di investire su Emilio, valorizzandone e affinandone la capacità. Il rapporto, improntato da entrambe le parti sulla fiducia e il rispetto, ha una continuità di ben dodici anni e questo la dice lunga circa la non provvisorietà del progetto riguardante il Rada Restaurant. La verifica circa il percorso intrapreso con serietà da Emilio inizia con la “Passeggiata al mare” (foto qui sotto) un divertente e sapido approccio con la sua idea di incontro dinamico con il territorio, fatto di tradizioni e nuove suggestioni: nel riccio c’è un mantecato di nasello con spuma di patate; sulla pietra una spugna d’alga con una maionese di cozze; nel piattino quadra-

to pane, burro e alici. Takos, burro di bufala, alici salate in casa; nel cucchiaino una finta pietra composta da tartare di sauro, pomodorini secchi, origano; nel piattino di vetro di Murano un etereo fusillo soffiato alla carbonara; sul corallo cialde soffiate con nero di seppia, alga di mare, zafferano. Si continua il percorso marittimo con un piatto dal nome troppo generico di “seppia e piselli”: si tratta in realtà di una creazione che si discosta molto dalla banalità che la nomenclatura suggerisce, essendo costruita in forma di tagliatelline di seppia cotte per 3 ore a 60°C, passate in una salsa di sesamo tostato e abbinate ad un finto pisello al taleggio di bufala con gocce di pisello in purezza (foto in alto pagina accanto). Una proposta centrata, giocata perfettamente sull’equilibrio tra caldo e freddo e sulle note dolci, salate e croccanti dei singoli ingredienti, esaltati nella loro naturalità. Il gambero in carciofo arrostito che segue rappresenta un’altra piccola prova di abilità e valorizzazione della materia prima: le bucce esterne del carciofo sono state arrostite e messe in infusione nell’olio che, così profumato, servirà per la cottura del carciofo, nel cuore del quale il gambero, semplicemente spadellato, aggiungerà la sua caratteristica abboccata a quella di morbida tostatura del carciofo. Approcciamo quindi le fettuccelle al nero di seppia su ricci di mare e aria di zenzero, un’esplosione di iodio che la spadellatura in acqua di lupini enfatizza coerentemente.

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RISTORANTERADA

LAMELLE DI SEPPIA cotta a bassa temperatura su crema di piselli, finti piselli al taleggio di bufala e croccante al nero di seppia INGREDIENTI per 4 persone

Per le lamelle: kg. 1 di seppia, g. 30 di olio, g. 15 di sale, 1 spicchio d’aglio, 1 rametto di timo.

Pulire le seppie, condire i corpi con sale,

olio, aglio e timo, disporli in una busta sottovuoto e cuocerli a vapore per 3 ore a 60°C. Raffreddarli in acqua e ghiaccio

e tagliarli a lamelle con l’aiuto dell’affettatrice.

Per la crema di piselli: piselli, bicarbonato, sale.

Sbollentare i

piselli in acqua,

sale e bicarbonato. Raf-

freddarli in acqua e ghiaccio, frullarli e setacciarli.

Per la cialda al nero di seppia: g. 100 di

per 3 ore. Soffiarlo in olio di oliva a 190°C.

riso, g. 20 di nero di seppia.

COMPOSIZIONE

Stracuocere il riso in abbondante acqua,

di piselli, adagiarvi le lamelle di seppia

scolarlo e frullarlo con il nero di seppia; stenderlo su dei silpat ed infornare a 50°C

PARMIGIANA DI ZUCCHINE

In un piatto piano predisporre la crema

arrotolate, il croccante al nero di seppia e i finti piselli.

su fonduta di provolone del Monaco

INGREDIENTI per 4 persone

no e friggerle. Disporre le zucchine negli

Disporre la panna e il provolone del Mo-

di provola affumicata dei Monti Lattari,

con provola, basilico e parmigiano. Infor-

ni in una pentola e cuocere a bagnomaria

Per la parmigiana: kg. 1 di zucchine, g. 300 3 uova, g. 100 di farina, sale q.b., g. 100 di parmigiano, basilico q.b.

Lavare le zucchine, tagliarle a fette e infarinarle, passarle nelle uova precedentemen-

te sbattute con sale, basilico, e parmigia-

stampi a mezza sfera, alternando gli strati nare a 170°C per 10 minuti.

Per la fonduta al provolone del Monaco:

g. 300 di panna, g. 100 di provolone del Monaco.

naco precedentemente tagliato a pezzettiper 30 minuti. Frullare.

Per l’intreccio di zucchine: 4 zucchine, sale q.b., bicarbonato q.b.

Lavare le zucchine, tagliarle a fette, elimi-

nando la parte centrale e sbollentarle in

acqua, sale e bicarbonato. Raffreddare in acqua e ghiaccio e intrecciare. COMPOSIZIONE

Disporre su di un piatto nero la fonduta di provolone del Monaco,

adagiarvi la parmigiana al centro precedentemente ricoperta con

l’intreccio. Decorare con pesto di basilico, fiori eduli e germogli.

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GOURMETFOOD

Il bottone cacio e pepe in salsa di zucchine (foto a lato) e il rombo alla brace, il cui trancio è ricavato da un pesce di ampia pezzatura, precedono ciò che, nella splendida sequenza di dolci, ci ha colpito di più: sotto l’anonima dicitura di “formaggio e pere” (qui sotto) si

rivela il dolce perfetto, una sfera di cialda sottilissima fatta di sfoglia 100% a base di pera cotta a bassa temperatura, essiccata e poi sagomata, contenente una sifonata di ricotta di bufala, granita di pera e lemongrass e pera spadellata abbinata a un gelato alla camomilla e caramello salato. È qui che gli stage in laboratori di pasticceria e quelli successivi per trasformare le regole base in creazioni da dessert al piatto trovano la loro applicazione pratica, nella forma più apprezzabile. Enciclopedica la carta dei vini, come conviene a un ristorante di elevato livello frequentato da moltissimi stranieri innamorati delle nostre produzioni più prestigiose, con 250 etichette che annoverano nomi altisonanti, rossi importanti, grandi champagne, ma anche una nutritissima rassegna di piccole e meritevoli espressioni dell’enologia campana, suggerite con competenza negli abbinamenti ai piatti dal sommelier Mario Fusco che affianca nel servizio, premuroso ma non opprimente, gli ottimi Stefano Barba e Arcangelo Mormile. RADA RESTAURANT

Via Grotte dell’Incanto, 51 - 84017 Positano (SA) - Tel. 089 875874 www.radarestaurant.it - info@radarestaurant.it

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Il buon gusto dell’abbonamento

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GOURMETFOOD

LA COMPOSITA OFFERTA RISTORATIVA DEL

CASTELLO DI CASOLE NEL SENESE di

Claudio Mollo

Si avvista da lontano in tutta la sua imponenza e, man mano che ci si avvicina, le bellezze naturali della Val d’Elsa ti accompagnano tra una collina e l’altra. Il Castello di Casole si raggiunge dopo qualche chilometro dal borgo di Casole d’Elsa, in provincia di Siena. Arroccato sulla collina più alta dell’intera tenuta, il Castello dà il benvenuto ai suoi ospiti, anticipando lo scenario che si parerà davanti ai loro occhi, con il bellissimo bosco, situato nel tratto finale della strada, prima dell’arrivo nel piazzale del parcheggio. Ameni luoghi, paesaggi infiniti, un vero e proprio punto panoramico privilegiato sulla Toscana, con in lontananza città, borghi e paesi da perderci il conto. Passato il primo stordimento “naturalistico”, arriva il momento di addentrarsi nel cortile del castello alla ricerca dello chef che, fuori dagli orari di servizio, è comunque in cucina a finire di programmare tutti i flussi “culinari”, perché non c’è da

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RISTORANTETOSCA

organizzare soltanto il ristorante gourmet, ma anche il Wine-Bar “Visconti” dedicato al celebre regista, un tempo proprietario di questa tenuta, nel quale, oltre a memorabili cocktail, long drink e pregiati distillati, tutte le sere si consuma un menu studiato appositamente, che va dalle tapas a piatti internazionali, con piacevoli fuoripista del ristorante gourmet serviti stando comodamente seduti al Visconti o anche nella terrazza adiacente con vista tramonto sulle piscine. Poi c’è anche un ambiente nel quale è stato deciso, considerata la presenza di un antichissimo forno a legna tutt’ora funzionante, di catturare a tutto tondo i clienti, grandi e piccoli, offrendo pizze realizzate con farine e lievitazioni che le rendono davvero uniche. Forse una “Pazzia” come cita il nome del locale stesso o forse, più sicuramente, una mossa studiata con attenzione.

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GOURMETFOOD

Al Pazzia, oltre alle pizze, ci sono momenti di vero e proprio gusto, con taglieri di salumi e formaggi di noti artigiani, zuppe toscane e altre prelibatezze, per una cena più light. Chiude in bellezza l’offerta gastronomica il ristorante Tosca, ambiente raffinato, molto curato nei minimi particolari, dove atmosfera, colori, forme e servizio ti fanno capire cosa voglia dire fare ristorazione e accoglienza ad alti livelli. Sviluppato in lunghezza sul fianco di un ampio cortile interno, accoglie un massimo di 40 coperti disposti in modo comodo tra tavoli e piacevoli separé. Una fascinosa e imponente enoteca a vista offre in vetrina etichette ricercate e ben 7 persone si muovono con professionalità in sala per soddisfare ogni più piccolo capriccio della

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clientela, suggerendo e consigliando in più lingue. Lui, Daniele Sera (foto a lato), lo chef, parla soddisfatto dei suoi collaboratori, della cucina, che nel periodo più tranquillo – che dura poco – vede 18 persone, salendo a quasi 25 nei mesi più laboriosi. La sala è invece seguita soprattutto dall’F&B, Alessandro Marinelli. A fianco dello chef, inseparabile, un punto fermo “preziosissimo” come dice lo stesso Daniele: Michele Raggi che da 10 anni segue lo chef nelle sue avventure e con lui, nel 2011, ha iniziato quella del Castello di Casole. Una carriera costellata di grandi successi, dalle esperienze fatte in prestigiose strutture nazionali e internazionali, come il Les Crayères di Reims in Francia o l’Enoteca Pinchiorri di Firen-


RISTORANTETOSCA

ELEGANTEMENTE TRIGLIA INGREDIENTI per 4 persone 4 triglie di scoglio medie 4 capesante

g. 60 di polpa di triglia

g. 30 di mollica di pane 1 rosso d’uovo latte q.b.

sale pepe

g. 100 di brunoise assortita di carote, sedano,

cipollotto, peperone rosso e giallo, verde delle zucchine g. 200 di succo di arancia g. 20 di miele 1 baguette

olio extravergine d’oliva PROCEDIMENTO

Per il ripieno: passare al robot la polpa di triglia con la mollica di pane ammorbidita nel latte e il rosso d’uovo; salare, pepare e

passare al setaccio. Sfilettare le quattro triglie aprendole a libro e farcirle con il loro ripieno; tagliare sottile a macchina la baguette

e formare dei sandwiches di triglia. Ridurre a sciroppo il succo di arancia con il miele e frullarlo con poco olio di evo.

Spadellare le triglie e le capesante su entrambi i lati.

Sbianchire la brunoise in acqua salata, scolarla e saltarla in padella in olio evo. Macchiare il piatto con la salsa di arancia, disporre la triglia in verticale decorandola con la brunoise di verdure, la capasanta e un piccolo bouquet di insalatine.

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GOURMETFOOD

ze, tanto per citarne due, presso le quali ha affinato sempre più la sua arte culinaria, o il lungo periodo passato in Giappone dove perfeziona le sue conoscenze sulla lavorazione di molte specie ittiche. A questo si aggiungono gli importanti riconoscimenti personali, nella gestione di cucine e brigate di importanti ristoranti condotti nei suoi anni di lavoro. Persona semplice e per certi versi schiva, sembra non avere limiti nella grande arte culinaria. Una mano gentile ma precisa crea pietanze uniche per la loro bellezza e la loro bontà. Arditi accostamenti e bellissimi equilibri, in un turbine di fantasia, che accompagnano i momenti gourmet

degli ospiti di Tosca, in netta prevalenza stranieri. Due parole vanno spese anche per il meraviglioso orto che lo chef si è tirato su con tanto amore, ricco di delizie e tanta stagionalità, tanto da essere diventato regolare ditta per poter vendere i prodotti che la buona stagione offre in abbondanza allo stesso ristorante e non porre limiti al gusto, che può così godere di prodotti di eccellenza “dalla terra alla cucina”. Prodotti che vengono utilizzati anche per i “cooking class” e “chef table”, attività gastronomiche tra tante altre disponibili, molto apprezzate dalla clientela. La cucina del castello arriva anche a domicilio, nelle tante ville e casolari

sparsi tra le colline della tenuta, nelle quali piccoli gruppi di chef si recano su richiesta, per dare un ulteriore tocco di eleganza al soggiorno degli ospiti, in questo caso, privatamente. A coordinare la grossa macchina del castello, che offre 40 tra Junior e Suites, la Spa, la zona Fitness e tanto altro, c’è Federico Gallicani, General Manager, sempre aperto a novità, cambiamenti e miglioramenti, originario di Montecatini, con alle spalle esperienze londinesi e in altre parti d’Europa. Insieme a lui, a completare un affiatato gruppo vincente, Gioia Giacomelli, responsabile delle pubbliche relazioni dell’intera struttura. Il castello di proprietà della “Timber

CONIGLIO IN 3 MODI INGREDIENTI per 4 persone

avvolgerlo ad arrosto con la sua copertina

Per la gelatina di aceto balsamico: ridu-

chi, 1 patata, 1 spicchio d’aglio sbianchito

insaporita con erbe forti. Cuocere immer-

Aggiungere un grammo di agar-agar, to-

1 coniglio di circa kg. 2 disossato, 2 finocnel latte, g. 100 di aceto balsamico, g. 10

di zucchero, g. 2 di agar-agar, g. 50 di pancarré, g. 20 di panna, 1 bianco d’uovo, g. 10 di pistacchi verdi, g. 20 di cubetti di lardo, olio extravergine, burro, sale, pepe, rosmarino, salvia.

scalzata e riarrotolata, precedentemente so nell’olio evo a 160°C per 30 minuti.

Per la mortadella di coniglio: frullare gli scarti di coniglio al cutter con mollica di pancarré ammollato nella panna, bianco

d’uovo, sale e pepe. Cuocere le interiora

per pochi minuti nel burro e aggiungerle alla farcia. Con i pistacchi interi e i cubetti

PROCEDIMENTO

Insaporire il carrè disossato con sale, pepe ed er-

be tritate,

di lardo realizzare dei salsicciotti con la

pellicola. Mettere sottovuoto e cuocere a bassa temperatura a 68°C per 2 ore.

Milanese: con la parte finale delle cosce

fare quattro piccole

milanesine e frigger-

le in olio evo e burro.

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zione di aceto balsamico con zucchero. gliere dal fuoco e unire mezzo foglio di

colla di pesce ammollata nell’acqua. Stendere su silpat e tagliare a quadrati.

Per la crema di finocchi e aglio: cuocere

i finocchi, l’aglio, la patata nel thermomix con il latte a 70°C per 20 minuti. In seguito frullare alla massima potenza.

Per la coperta di aceto balsamico: g.

100 di aceto ridotto con zucchero, g. 2 di

agar-agar. Bollire per qualche minuto e spatolare sul silpat, quindi tagliare.

Sul piatto disporre la crema di finocchio, il carré, la mortadella e la milanese e guarnire con la gelatina di aceto balsamico.


RISTORANTETOSCA

RAVIOLI di baccalà con trippette

e fonduta di pecorino senese INGREDIENTI per 4 persone g. 500 di pasta all’uovo

g. 300 di polpa di baccalà

g. 100 di trippette di merluzzo mentuccia q.b.

g. 300 di fondo di carote, sedano, cipolla e aglio tritati prezzemolo q.b.

1 bicchiere di vino bianco

g. 100 di pecorino senese semi stagionato g. 50 di latte

1 rosso d’uovo

olive taggiasche e pinoli q.b. l. 0,5 di polpa di pomodoro PREPARAZIONE

Per il ripieno: in una padella rosolare il olio evo

una parte di fondo con olive taggiasche. Tagliare

a pezzi la polpa di baccalà, infarinarla e friggerla. Aggiungerla al fondo, bagnare con il vino bianco, far evaporare e portare a cottura con metà della polpa di pomodoro. Salare, pepare. A fine cottura battere al coltello il ripieno con aggiunta di prezzemolo.

Per la salsa trippette: rosolare il fondo

rimanente in olio extravergine con la men-

tuccia; aggiungere le trippette, bagnare con

il vino, ridurre, infine aggiungere la polpa di

pomodoro, sale, pepe e peperocino. Portare a cottura.

Per la fonduta: fare sciogliere a bagnomaria il pecorino

con il latte, levare dal fuoco, frullare, nel thermomix a 80°C con il rosso d’uovo.

Stendere la pasta fresca, farcire con il ripieno e formare dei

ravioli. Cuocerli in acqua bollente salata, scolare. Sul piatto

disporre la fonduta di pecorino e i ravioli. Condire con la trippetta; irrorare con olio evo.

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GOURMETFOOD

Resort” - società americana proprietaria di una serie di residenze private ed hotel in 14 fra i più bei posti del mondo - si attiva a maggio e chiude i battenti ai primi di novembre. Sia il Wine Bar Visconti che il ristorante Tosca sono sempre aperti 7 giorni su 7, mentre l’altro locale, Pazzia, rimane chiuso un solo giorno alla settimana. Una location unica e esclusiva che vale veramente una sosta: indimenticabile.

RISTORANTE TOSCA Castello di Casole

Località Querceto - Casole d’Elsa (SI) Tel. +39 0577 961508 Fax +39 0577 948161

www.castellodicasole.com

MAIALINO di Cinta 36 h, patata viola, albicocca, crema di latte di riso INGREDIENTI per 4 persone

PREPARAZIONE

di Cinta senese

rosmarino e salvia. Cuocere nel roner a 65°C per 36 ore.

g. 400 di pancia di maialino

2 guance di maialino di Cinta senese g. 200 di patate viola g. 50 di burro

g. 50 di crema di latte

g. 100 di albicocche disidratate ammollate g. 20 di burro g. 200 di riso

g. 500 di latte

dl. 1 di fondo di maialino sale

pepe

Confezionare la pancia e la guancia di maialino separatamente in sottovuoto con ciuffo di Raffreddare nel ghiaccio. In seguito sporzionare sia la mattonella che la guancia divisa a metà. Bollire le patate viola con la pelle, sbucciarle, passarle al passaverdure, aggiungere

la crema di latte calda e il burro, aggiustare di sale. Per la crema di riso: cuocere assieme il riso con il latte e il sale; filtrare e tenere in caldo. Cuocere le albicocche nel thermomix con il burro a 80°C per 40 minuti. In seguito frullarle alla massima potenza.

Spadellare la mattonella in padella facendo diventare la pelle dorata e ben croccante,

scaldare la guancia nel fondo del maialino. Sul piatto disporre al centro la purea di patate viola, la mattonella di maialino e la guancia con la sua salsa tirata.

Guarnire con la purea di albicocca, la crema di riso e una chips croccante di patata viola.



GOURMETFOOD

A DOZZA IMOLESE

MONTE DEL RE OFFRE IL LUSSO DELLA QUIETE E DEL BENESSERE di

Maria Chiara Zucchi

Il mare brulica di turisti all’orizzonte. Ma quassù, nel silenzio delle morbide colline imolesi, dall’alto di questo antico monastero diventato hotel, non se ne sente la mancanza. La bella piscina, il confort di una cucina invitante servita sotto gli ombrelloni, un buon drink in qualsiasi momento, musica e intrattenimento la sera, garantiscono quel sogiorno rilassante e ricco di comodità che molti cercano per coccolarsi, oppure per stabilire appuntamenti di lavoro in un luogo che offre molti ambienti idonei, o ancora per ricaricarsi con una vacanza anche breve ma piena e appagante. Monte del Re, con la sua collocazione vicina al piccolo borgo di Dozza, famoso per il ca-

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MONTEDELRE

MONTE DEL RE

Via Monte del Re, 43 40060 Dozza (BO) Tel. 0542 678400

www.montedelre.it

stello e i bellissimi muri dipinti dagli artisti, è una struttura isolata ma vicina a tutto: al mare, come si diceva, a Bologna oggi sempre piÚ vivace e alla stessa Imola, nota per le sue ceramiche. Tutto questo rende la struttura piÚ interessante, ma chi la sceglie lo fa per godersi in tutto relax la pace e il contesto esclusivo, reso piacevole proprio dalla cucina dello chef patron Umberto Cavina (foto sotto), dalla premurosa presenza di sua moglie Cristiana, dalla fornita e antica cantina e dalla gradevolezza di ambienti eleganti che la storia ha reso unici.

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ILFOCUSDIALESSANDROMAGNUM

a cura di

Alessandro Rossi esperto di vino, bon vivant, fondatore del Premio “Dire Fare Sognare”

SE SA DI TAPPO LA COLPA NON È DEL PRODUTTORE ECCO IL BRUTTO FILM VISSUTO DA ELIO ALTARE

“Siamo in un film”: oramai le nostre storie del mondo del vino partono tutte in questo modo. Immaginate un film-scandalo, quelli in cui un fumatore decide di attaccare giuridicamente una multinazionale del tabacco, oppure un ospedale o addirittura il governo degli Stati Uniti (diciamo Stati Uniti perché sono una superpotenza a livello mondiale e perché l’improbabilità della riuscita è altissima). Però questo film non è stato girato negli Stati Uniti, ma è una produzione Italiana, un film di buona fattura. Ora, immaginate un importante produttore di vino (ovviamente non parliamo di una cantina sociale con milioni di ettolitri prodotti e fatturati da capogiro) che decide di citare in giudizio non una multinazionale colosso mondiale della farmaceutica come nei film scandalo che raccontavamo prima, ma un produttore di sughero, per l’esattezza un produttore di tappi da vino: storie così in Italia esistono, perché questa è la storia di Elio Altare e del problema di tappo della sua annata 1997. La Gazzetta d’Alba numero 21 del 23 maggio 2001 recita così: Ha preso inizio il 18 maggio, presso il Tribunale di Alba, la vicenda giudiziaria che dovrà stabilire quali furono le cause che danneggiarono il Barolo annata 1997 del produttore Elio Altare di La Morra, così gravemente da essere ritirato dal mercato. Ma partiamo dall’inizio; cos’è la TCA? Il Tricloroanisolo è il nome con il quale viene chiamato uno degli isomeri clorurati dell’anisolo, ovvero un composto aromatico che presenta un metossido unito all’anello del benzene: così recita Wikipedia. Detto ciò, effettivamente solo un chimico sarebbe in grado di

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tradurre il problema che stiamo cercando di raccontarvi, ma in parole povere parliamo della sostanza che conferisce il cosiddetto “sentore di tappo” al vino. Il principale responsabile di questo difetto è l’Armillaria Mellea, ovvero un fungo parassita della quercia da sughero che cede al vino il tipico odore di muffa o di ambiente bagnato. Ma torniamo alla nostra storia: il fattaccio è successo all’annata di Barolo 1997 e circa 30.000 bottiglie già prenotate per la maggior parte, sono state ritirate dal commercio proprio per questo problema. L’associazione Sommelier Piemonte racconta: “Su 36 bottiglie assaggiate, 24 erano difettose, 8 sospette, solo 4 a posto”. Fonti attendibili raccontano di un danno importantissimo, di più di due miliardi di lire (si parlava ai tempi ancora di lire), proprio per questo motivo: il vino sapeva di tappo. Facciamo un passo indietro. Perché il vino viene ritirato immediatamente da Elio Altare? Una sua intervista racconta che il rispetto verso il cliente è fondamentale. Propinare un prodotto che può avere problemi per lui è deontologicamente scorretto verso un mercato che ha da sempre apprezzato i suoi vini e che l’ha eletto come un punto di riferimento dell’enologia langarola. Immaginiamoci al tavolo di un ristorante molto importante e di scegliere un grande vino, magari proprio diElio Altare. Il sommelier apre la bottiglia, assaggia e ovviamente ritorna immediatamente in cantina alla ricerca di un’altra bottiglia del produttore perché la bottiglia precedente aveva un difetto di tappo, apre nuovamente la bottiglia e si ripresenta ancora lo stesso problema.


ILFOCUSDIALESSANDROMAGNUM

Il cliente, alla seconda bottiglia difettosa, opterà quasi sicuramente per un altro vino - io farei così - ed il sommelier spazientito per l’inconveniente potrebbe decidere di non affidare più spazio all’interno della propria cantina al produttore. Ma è qui che sorge la domanda: è colpa del produttore di vino? No, è colpa del produttore di sughero, per la maggior parte dei casi. Ora, spostiamoci nuovamente al problema del sentore di tappo. Le cause perché un vino sappia di tappo si possono riassumere in pochi casi: 1) Sughero non di prima qualità e quindi infettato da Armellaria Mellea. 2) Errore di lavorazione che causa un inquinamento microbico. 3) Eccesso di umidità e mal conservazione. 4) Lavorazioni del sughero sbagliato. 5) Poca igiene in cantina. Elio Altare, a questo punto della nostra storia, decide di non scendere a patti anche perché le analisi danno ragione a lui, infatti viene scoperto residuo di Tricloroanisolo. Quasi l’intera produzione risulta inquinata da questo battere. Ma Altare in fondo è un puro, un signore, e decide di fare qualcosa che pochi avrebbero fatto, ovvero rendere pubblica e mediatica questa storia ed affrontare la situazione a viso aperto. Molti credono, conoscendolo bene, che la sua battaglia è stata combattuta perché produttori magari meno forti economicamente, in caso di problema analogo, potessero essere maggiormente tutelati e garantiti. Recita un esposto: Altare è assistito dagli avvocati Alessandro

Paganelli, Fabio Garaventa e Gianni Vercellotti, i quali dichiarano: «Il giudice Fabrizio Pasi, su nostra istanza, ha proceduto alla nomina di un consulente tecnico che dovrà verificare il processo produttivo della cantina Altare e le bottiglie dell’annata ’97, al fine di accertare il denunciato vizio di sentore di tappo che, secondo quanto noi sosteniamo, è esclusivamente da attribuire ai tappi acquistati presso un’azienda tedesca. Altare ha tenuto sin dall’inizio della vicenda un atteggiamento di massima trasparenza e correttezza, togliendo spontaneamente dal mercato le bottiglie dell’annata ’97. Il risarcimento non è l’unico nostro obiettivo. Vogliamo creare un precedente a tutela di tutti i produttori e consumatori che hanno espresso grande solidarietà al nostro assistito». Ma torniamo alla vicenda: Elio Altare, alla fine, ha vinto la sua battaglia. Il professor Mario Ubigli, esperto nominato dal tribunale di Alba, ha svolto una perizia confermando che il danno era causato da colpe imputabili solo al sugherificio. Il verdetto finale apre ovviamente una nuova pagina nel complicato rapporto tra il vino ed i tappi di sughero dove le responsabilità, finalmente, non sono solo del produttore ma anche di chi fornisce il sughero necessario alla conservazione. Ovviamente niente e nessuno potrà far dimenticare al mondo che un’annata come la 1997 mancherà dalla bacheca di questo grande produttore, danno molto grave soprattutto per l’importanza del millesimo. Ma un giorno molti produttori, forse in futuro, dovranno ringraziare Elio Altare per il servizio reso e per aver vinto una battaglia impossibile proprio come nei grandi film americani.

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VINARIA

IL VINO IN ANFORA

VOLUTO DA JOSKO GRAVNER HA FATTO PROSELITI di

Gianluca Ricci Alvise Barsanti

foto di

C’è un uomo, sulle colline del Friuli ad un passo dal confine dalla Slovenia, che per andare avanti ha deciso di tornare indietro. Che un bel giorno ha buttato all’aria la sua cantina, svuotandola di tutto l’acciaio che nel tempo vi aveva accumulato, per sostituirlo con la terracotta: «Non è possibile che per cinquemila anni l’uomo si sia sbagliato e abbia fermentato il vino nei contenitori sbagliati, ovvero le anfore». Così Josko Gravner, per tanti anni illuso dalle fallaci promesse della modernizzazione, si è convertito al passato e ha riempito i vòlti della sua cantina ad Oslavia, un minuscolo borgo nel Goriziano, con decine e decine di anfore di terracotta provenienti dal Caucaso, convinto - e i suoi vini lo testimoniano chiaramente - che sia questo il sistema più adatto per lasciare che l’uva

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VINOINANFORA

diventi vino. Come dice lui di solito, fare il vino è come andare a cercare l’acqua pulita: non si deve andare alla foce, ma alla fonte. D’altronde che la terracotta deposta sotto terra fornisca un isolamento termico quasi perfetto è noto da tempo, più dell’acciaio e del cemento; così come è noto che l’anfora, opportunamente rivestita di cera d’api, garantisce al vino un’ossigenazione decisamente inferiore rispetto a quella di una barrique, al livello di una botte di legno di medie dimensioni, col vantaggio però che il prodotto non subisce alcun tipo di alterazione, né a livello di tannini né di aromi. Si tratterebbe insomma della soluzione ideale per consentire al vino di maturare senza alcun tipo di perturbazione dovuta a fattori esterni, conservando completamente aromi e profumi varietali che invece cemento o acciaio tendono ad appiattire. Ne esce un vino dal sapore fruttato e dalla caratterizzazione decisa, e solo perché è fermentato sette mesi nella terracotta.

PRODURRE COME 5000 ANNI FA «L’anfora - spiega Gravner - permette di rispettare i tempi naturali della fermentazione senza dover intervenire né con aggiunte, se non con lo zolfo usato già al tempo dei Romani, né con chiarifiche, né tantomeno con il supporto di lieviti. Al termine della fermentazione il vino

passa nelle botti di legno e compie la sua maturazione definitiva. Semplice come semplice era produrlo cinquemila anni fa, quando certe diavolerie della tecnica moderna non esistevano. D’altronde se il vino non tocca il cuore e l’anima, è solo una bibita».

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VINARIA

Per seguire il suo sogno, Gravner è partito per la Georgia, dove i vini a maturare nelle anfore ce li continuano a mettere da tempo immemorabile: laggiù è venuto a conoscenza di tutti i segreti dell’operazione e laggiù ha acquistato i primi contenitori in cui sperimentare e li ha portati a casa. Il resto è storia recente. Che si tratti di un’operazione di nicchia è però innegabile. Impossibile per le grandi aziende convertire il loro parco botti in anfore: le dimensioni ridotte del contenitore in terracotta infatti impedirebbero i grandi numeri necessari a mantenersi sul mercato. Si tratta dunque di una scelta destinata perlopiù a quanti desiderano lavorare nel pieno rispetto delle procedure naturali e produrre un vino il più biologico possibile.

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ANFORE PRODOTTE IN ITALIA E non sono comunque pochi, visto che da qualche tempo un’azienda fiorentina, Le Fornaci di Impruneta Artenova, ha deciso di lanciarsi in questo nuovo settore merceologico, evitando ai produttori interessati di doversi sciroppare un lungo e periglioso viaggio verso la Georgia per fare il pieno di anfore. Duecento pezzi all’anno all’incirca, suddivisi nelle tre tipologie più richieste (tradizionale, uovo, dolium romano), distribuiti a produttori italiani, ma anche francesi o americani. Il tentativo di tornare alle radici dell’arte enoica, insomma, merita adeguata attenzione, al punto che il dipartimento di chimica dell’Università di Firenze ha avviato un’indagine volta a verificare scientificamente effetti e conseguenze della

permanenza del vino nella terracotta, i cui risultati saranno probabilmente divulgati già alla convention internazionale «La terracotta e il vino» alla fine di quest’anno. Dal momento che tutti i processi di fermentazione, affinamento e conservazione influiscono in maniera decisiva sulle specificità chimiche e organolettiche del vino e sono strettamente dipendenti dal tipo di contenitore nel quale avvengono tali processi, diventa importante individuare tutte le caratteristiche che la permanenza del vino nella terracotta può assumere, sfumature comprese. Materiale di composizione, dimensione, porosità: tutto può incidere, seppure in modo infinitesimale, sul carattere finale del prodotto. I ricercatori fiorentini vo-


VINOINANFORA

gliono capire se esiste un contenitore in grado di limitare al massimo le influenze negative e di esaltare quanto più possibile le specificità del liquido contenuto. D’altronde cinquemila anni non sono passati invano: se la scienza moderna può permetterci di individuare i contenitori più adatti per rievocare quello storico passato, non si tratta certo di doping tecnologico, ma di semplice voglia di sapere.

L’EVOLUZIONE DELL’ANFORA Nel frattempo altri, convinti della bontà della terracotta, si sono lanciati lungo altre strade, se possibile ancora più stravaganti. Giovanni Crosato, per esempio, altro noto produttore friulano, illuminato dalla soluzione fittile e purista ad oltranza, oltre a far maturare alcuni suoi vini nelle anfore, nelle anfore li vende pure: si tratta di piccoli contenitori in terracotta della capacità di un litro e mezzo grazie ai quali le specificità organolettiche del prodotto non vengono minimamente modificate dal contatto con altri materiali, foss’anche il vetro. A Rubbia al Colle invece, in pieno entroterra livornese, è nato il “barricoccio”, un contenitore unico nel suo genere: sempre di terracotta si tratta, ma lavorata in modo da sembrare una barrique. Una fusione fra anfora e botticella, insomma, che dovrebbe garantire da un lato il medesimo isolamento della prima e dall’altro la medesima comodità della seconda, visto che gli spazi in cantina non devono in questo caso essere adattati alle nuove tipologie. E infine ecco il Clayver, evoluzione tecnologica dell’anfora ma non troppo: si tratta di un contenitore sferico in gres porcellanato di capacità variabile (dai 50 ai 350 litri) che, secondo le promesse della ditta costruttrice, la MimItalia di Savona, dovrebbe limitare al massimo le criticità della terracotta ed esaltarne invece le peculiarità positive. L’anfora infatti, a causa della sua porosità, consente un seppur minimo scambio di ossigeno con l’esterno e al tempo stesso, se non rivestita di cera d’api - che comunque lascia testimonianza della sua presenza nel vino - rischia di far fuoriuscire una quantità di vino che in certi casi arriva a sfiorare il 30%. Antiquariato sì, ma fino a un certo punto, perché poi, il vino, bisogna pure venderlo. Anche se non rimane quella la priorità dell’operazione, come ha saggiamente chiosato Josko Gravner: «Ci fu un tempo in cui i miei vini erano l’esatta tipologia che il mercato richiedeva. Poi decisi di complicarmi la vita, perché volli seguire il mio istinto, il mio cuore. Nel 1997 iniziai un percorso diverso. I vini fatti fino ad allora mi insegnarono tanto e mi fecero capire i limiti dell’enologia moderna. I limiti delle mode». Purché, ovviamente, non diventi l’anfora stessa una moda.

ENO

ità

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A CURA DI GIANLUCA RICCI

PIONA, UNO SPUMANTE CON LA CORVINA Silvio Piona, patron dell’omonima cantina veronese, lo definisce una pazzia: tuttavia l’esperimento che lo ha portato a produrre un migliaio di bottiglie di spumante metodo tradizionale usando la Corvina, uno dei vitigni usati per produrre il Valpolicella, è più che una pazzia. Si tratta di un’idea interessante per provare che anche quel territorio tra Custoza e Bardolino, noto ai più per la produzione di vini di pronta beva, è adatto ad operazioni più complesse e strutturate. Come strutturato è questo Gran Cuvée Pas Dosé a cui l’insieme di Garganega, Trebbiano e Corvina conferisce profumi e sapori davvero interessanti. E se strano può sembrare che la Corvina venga usata per la produzione di uno spumante, in realtà non è affatto così: «La Corvina è facile da lavorare in bianco - ha spiegato Silvio Piona - ancora più facile del Pinot Nero». L’idea è nata nel 2006, in occasione del trasferimento dell’azienda nella nuova cantina, più adatta a lavorazioni di questo tipo. Sessantasei mesi sui lieviti permettono di parlare, più che di spumante, di un vino con le bolle. Una novità davvero piacevole nel sempre più variegato panorama delle bollicine nostrane.

PERCHÈ SI SCEGLIE UN VINO? Curiosi i risultati di un sondaggio proposto dalla prestigiosa rivista di vino Wine Spectator ai suoi lettori sulle motivazioni che portano i consumatori a scegliere un vino piuttosto di un altro. La richiesta specifica era se l’etichetta “green” potesse influenzare positivamente la motivazione all’acquisto. Ebbene, il 55% degli intervistati ha candidamente ammesso di non essere assolutamente interessato alla eventuale patente bio di un vino, ma di essere piuttosto influenzato dal prezzo della bottiglia e, in seconda battuta, dal gusto del prodotto, mentre il 13% ha addirittura dichiarato di considerare i vini biologici meno piacevoli di quelli convenzionali. Per il sollievo dei tanti produttori che si stanno sforzando di ridurre l’impatto ambientale delle loro cantine, va ricordato che c’è comunque un 31% che ritiene importante sapere come vengono coltivate le uve.

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Faccio cose... ...vedo gente

a cura del direttore Elsa Mazzolini

BOCELLI & ZANETTI NIGHT OPEN AIR THEATRE EXPO - MILANO L’ex area Expo ha ripreso vita nella serata del 25 maggio per ospitare la Bocelli & Zanetti Night 2016, una serata organizzata dalla Fondazione Andrea Bocelli e dalla Fondazione Pupi di Javer Zanetti per raccogliere fondi per il progetto “Educare per un mondo migliore” in sostegno all’educazione di 1.750 studenti di Haiti e più di 500 bambini di Buenos Aires.

IL CONCERTO La serata è stata presentata dalla showgirl Michelle Hunziker ed il tenore Andrea Bocelli ha duettato, diretto dal grande maestro Zubin Metha, con Alessadnra Amoroso, Il Volo, Gianna Nannini, Skin, Giuliano Sangiorgi, Roberto Vecchioni, Francesco Renga e Lorenzo Fragola. Laura Pausini si è invece collegata in diretta dal palco del suo tour mondiale. Il vicepresidente dell’Inter Javier Zanetti ha coinvolto sul palco tanti amici del mondo dello sport: Massimiliano Allegri, Claudio Ranieri, Arrigo Sacchi e Marcello Lippi, Clareence Seedorf, Samuel Eto’o, Kevin Prince Boateng e diversi altri, come Buffon, in video messaggio. La bellissima modella Valeria Mazza, che collabora da sempre con la fondazione Pupi, ha presentato un video che mostrava il lavoro quotidiano svolto con gli studenti a Buenos Aires. Ospite d’onore della serata la leggenda del calcio Pelè, Edson Arantes do Nascimento, che ha ricevuto una standing ovation, accompagnato dal Leonardo e raggiunto poi dal connazionale Roberto Carlos.

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LA CENA DI GALA La Nazionale Italiana Ristoratori, con il supporto del Tir Cucina La Madia-Cea (foto sopra), si è occupata della cena di gala per gli ospiti. Artefici del menù sono stati: Mauro Elli de Il Cantuccio, Claudio Cesena de Antica Osteria della Pesa, Fausto Zanardelli Catering, Claudio Mazzurega ristorante Borgo Antico, Massimiliano Mascia del San Domenico, Manolo Allochis de Il Vigneto di Roddi, Giancarlo Perbellini Casa Perbellini, Marcello Leoni Casa di Mare e Cesare Carbone ristorante Manuelina.

ME sul red carpet della Bocelli & Zanetti Night con il caporedattore de La Madia Travelfood Maria Chiara Zucchi e gli chef Massimiliano Mascia e Giancarlo Perbellini.

CHAMPAGNE E MOTORI GRAND HOTEL DES BAINS - Riccione (RN)

Nella prestigiosa cornice del Grand Hotel Des Bains di Riccione la Maison di Champagne Comte de Montaigne e Aston Martin hanno organizzato un aperitivo molto glam. Ad accogliere i numerosi invitati era il proprietario della maison di champagne Stèphan Revol (nella foto in alto a sinistra, di fianco a ME e a Daniele Briani). Il grande lusso delle Aston Martin, presenti con 2 modelli (“Vanquish” e “V8 Vantage S”), si sposava perfettamente con le eleganti bollicine rosé di Comte de Montaigne.

ME con DAVIDE OLDANI Ha aperto in questi giorni il nuovo D’O di Davide Oldani, sulla piazza centrale di San Pietro all’Olmo e a pochi passi dal “vecchio” locale. Dislocato su due piani, il locale è stato curato in ogni minimo dettaglio dallo chef stesso con l’archistar Piero Lissoni. Sarà un successo.


EDITORE La Madia srl Sede legale: Via E. De Amicis, 53 - 20123 Milano (MI) Sede operativa: Via Pacchioni, 365 - 47521 Cesena (FC) Tel. 0547 23821 - Fax 0547 25809 Internet: www.lamadia.com - E-mail: lamadia@lamadia.com

CONFEDERATION EUROPEENNE

DES GOURMETS La famiglia dei Gourmets europei si è data una nuova dimensione per valorizzare

il piacere

della convivialità e della cultura

enogastronomica italiana

Direttore responsabile: Elsa Mazzolini La Madia srl è parte del Gruppo Cose Belle d’Italia www.cosebelleditalia.com

REDAZIONE Caporedattore: Maria Chiara Zucchi Impaginazione: Andrea Amadori Stampa: D’Auria Printing SPA - (AP) Webmaster: Giorgia Zucchi Redazione e centro di distribuzione in Gran Bretagna: ALIVINI Company Limited - London - Tel. +44 20 8880 2525

COLLABORATORI Domenico Acconci, Enza Bettelli, Silvia Bianco, Daniele Briani, Teresa Cremona, Giuseppe De Girolamo, Maurizio Di Dio, Gianni Di Lorenzo, Luigi Filippi, Roberta Filippi, Lucy Gordan, Verdiana Gordini, Giuseppe Lo Russo, Giovanni Mastropasqua, Antonietta Mazzeo, Alessandra Meldolesi, Claudio Mollo, Alessia Pellegrini, Giacomo Pilati, Alessandro Ricci, Gianluca Ricci, Alessandro Rossi, Simone Rosti, Flavia Tomaello, Primo Vercilli. Fotografi: Nikoboi, Pasquale Spinelli, StudioGraf, Lido Vannucchi Illustratori: Patrizia Zavatti

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ORGANO DI INFORMAZIONE UFFICIALE dell’ACCADEMIA NAZIONALE ITALCUOCHI e della CONFEDERATION EUROPEENNE DES GOURMETS.

Spedizione Postatarget Magazine Aut. del Trib. di Milano n. 222 del 10/07/15




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