La Madia Travelfood n. 314 - Gennaio/Febbraio 2017

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Mensile Sped. In Abb. Post. - Gruppo III° - 45% - Art.2 Comma 20/B Legge 662/96 - Fil. Forlì - Tassa Pagata - Taxe Perçue - Reg. Trib. Di Forlì N.653 - Del 14/6/84 - Dir. Resp. Elsa Mazzolini - La Madia Srl - Via Pacchioni, 365 - Cesena - Euro 4,00 - In caso di mancato recapito restituire al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa

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EVERGREEN GLI

I COMPLEANNI DI CHI HA FATTO LA STORIA DELLA RISTORAZIONE ITALIANA

RISTORANTE ROMANO

VIAREGGIO

RISTORANTE SAN DOMENICO

IMOLA

RISTORANTE TEVERINI

BAGNO DI ROMAGNA

LA MADIA EDITORE

ANNO XXXII - Gennaio/Febbraio 2017 - N. 314 - €E 4,00 - Direttore ELSA MAZZOLINI




SOMMARIO - LA MADIA TRAVELFOOD n. 314

GOURMETFOOD

GOURMETFOOD

pag. 36

di

Alessandro Rossi

pag. 44

RISTORANTE ROMANO

RISTORANTE SAN DOMENICO

A Viareggio è una certezza e un prestigio che durano da 50 anni.

Una cucina borghese, contemporaneo anello di congiunzione tra passato e presente.

GOURMETFOOD

VINARIA

pag. 52

di

Marco Tonelli

pag. 86

PAOLO TEVERINI

CHAMPAGNE DELL’AUBE

A Bagno di Romagna festeggia i suoi 30 anni nel segno della continuità.

Etichette affascinanti nella zona più a sud tra le cinque aree di produzione.


La cultura del benessere

GourmetFood

Tempo di bilanci. Ricomincia la lotta con la bilancia

Gianluca Leoni

di Primo Vercilli................................................................ pag. 8

di Maria Chiara Zucchi...................................................... pag. 32

La scelta vegana

Matteo Lorenzini

Smascheriamo i falsi miti: mangiare vegano non è difficile

di Alessandra Meldolesi................................................... pag. 60

di Silvia Bianco................................................................. pag. 10

Guillermo Gonzáles Beristain

Assaggi di Galateo

di Flavia Tomaello............................................................. pag. 66

Il caffè che fa la differenza

Prodotti Eccellenti

di Fabio Ferrantino........................................................... pag. 14

Spirito Contadino

Progettare l’impresa

Noi e la terra, una sola identità

Incontro con Greg Rapp, il “mago” mondiale del menu

di Sonia Leo..................................................................... pag. 72

di Lorenzo Ferrari............................................................. pag. 16

A Scuola di Cucina

Prodotti Eccellenti

Michele Cannistraro......................................................... pag. 78

Amichetti Surgital............................................................ pag. 18

GourmetFood

Golavagando

Tirreno C.T. e Balnearia.................................................... pag. 82

Ginger Sapori e Salute a Roma........................................ pag. 20

Vinaria

La Lumira a Castelfranco Emilia

Il focus di Alessandro Magnum

di Antonietta Mazzeo....................................................... pag. 22

Quali abbinamenti cibo/vino?

Storyteller gastro-pub...................................................... pag. 26

di Alessandro Rossi.......................................................... pag. 84

Ristorante Le Cicogne

Franz Haas e il suo Pinot Nero d’alta quota

di Domenico Acconci....................................................... pag. 27

di Antonietta Mazzeo....................................................... pag. 90

Fattoria Da Baffo

Enovità

di Domenico Acconci....................................................... pag. 27

a cura di Gianluca Ricci.................................................... pag. 94

Al Carroponte a Bergamo................................................ pag. 28

Assaggio di libri................................................................ pag. 96

Ristorante Lo Scompiglio di Domenico Acconci....................................................... pag. 29 Locanda del Pilone........................................................... pag. 29 The Egg a Venezia........................................................... pag. 30



EDITORIALE di

Ci vorrebbe una dieta che rifà le porzioni

tra i magri del pianeta e noi ricchi ciccioni.

Non è il senso di colpa è il nostro girovita

a dirci che la polpa

Elsa Mazzolini

POVERO (NON) è BELLO Maldistribuita la polpa lo è da sempre, da che mondo è mondo, e non servono i tanti clochard morti di freddo e di stenti mentre i tanti abbienti cenavano l’ultimo dell’anno a 2.500 euro procapite, a dimostrare che in un Paese per definizione civile la sperequazione è

è maldistribuita.

diventata intollerabile. Ma finché la ricchezza dell’Italia si concentrerà

Michele Serra

le briciole, finché chi mantiene privilegi ingiusti potrà decidere con

nelle mani dell’1% della popolazione e il restante 99% si contenderà quale miseria deve vivere il popolo degli anziani, dei disoccupati, dei giovani, delle famiglie ormai ridotte alla fame, lo Stato e la società tutta non dovrebbero dormire sonni tranquilli. Le fila sempre più massicce degli esclusi potrebbero infatti uscire dalla rassegnazione per debellare una classe politica che ormai rappresenta solo se stessa. Nella mia utopistica filosofia dell’inclusione auspico che monti una coscienza collettiva capace di determinare una più equa redistribuzione della ricchezza. Sono convinta che, banalmente, se si trovano miliardi per salvare le banche, si possano trovare risorse per tutelare la dignità di quei nuovi poveri che proprio potrebbero rimettere in moto il Paese grazie al loro accesso al mercato dei consumi. Non mi convince affatto l’elogio della povertà cantato da gente piena di soldi o la povertà elevata a ideologia nazionale. La povertà non ha nulla di poetico e ciò che è veramente essenziale non dovrebbe essere stabilito da chi non rinuncia a nulla per sé.

ME

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LACULTURADELBENESSERE

a cura di

Primo Vercilli Medico Dietologo

TEMPO DI BILANCI

RICOMINCIA LA LOTTA CON LA BILANCIA Sono ormai finite le festività natalizie ed è arrivato il fatidico momento di fare un bilancio ed aprire nuove prospettive: ovviamente parlo di bilancio del peso e… prospettive di prova costume. I dati vendite nei negozi di articoli casalinghi dicono che, dopo le festività natalizie, uno dei prodotti più acquistati è la bilancia. E’ nei confronti di questa “fantastica compagna nel quotidiano” che si riversano tutte le nostre aspettative. Dopo le feste ci pesiamo: scusate il gioco di parole, ma per fare un bilancio ci occorre la bilancia! Attimi di terrore, indecisioni se salire o meno, ci si sveste di tutto (se potessimo taglieremmo anche i capelli!) e poi via: prendiamo coraggio e saliamo! Il momento di sconforto e terrore che ci attanaglia è simile al sentirci nudi in mezzo ad un incrocio. E lì c’è la prima reazione: “Impossibile, la bilancia è rotta. Certamente non funziona più; fino a due settimane fa pesavo 3 chili in meno”. Poi, dopo aver spostato la bilancia in tutti gli angoli della stanza o del bagno e aver constatato che il peso è sempre quello, ecco la seconda reazione: “Ho sicuramente il metabolismo che non funziona; non ho mica mangiato tanto! Anzi, mi sono anche trattenuto: ho preso il caffè con il dolcificante, ho sempre mangiato solo il primo o il secondo e ho fatto un’ora di passeggiata tutti i giorni”. Ma, ancora non convinti, facciamo dei disperati tentativi per verificare fino in fondo se effettivamente la bilancia non funziona… stremati, dopo un’intera giornata a chiederci cosa abbiamo fatto di tanto sbagliato da meritarci questi 3 kg in più, dobbiamo capitolare: il bilancio delle Festività è drammatico. E adesso? Qui, ovviamente, scatta il confronto con gli amici. Meglio con gli amici, “con mia moglie mi sono già lamentato troppo spesso che stavo aumentando di peso, non capirebbe; come fa a capirmi una che è magra come un chiodo e mangia il doppio di me? L’ho sempre detto che era il metabolismo a non funzionare”. Siamo passati alla fase pre-operativa: un confronto strategico con gli amici su quale possa essere la soluzione migliore. Ovviamente davanti a un cappuccino e brioche e sempre promettendo “dopo mi metto a dieta e questo è l’ultimo”. Ma l’analisi della giusta strategia richiede tempo e allora i cappuccini aumen-

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tano e le brioche anche, “ma non sono sicuramente quelli a farmi ingrassare, perché li mangiavo anche prima delle feste e il peso era costante”. Alla fine arriva il giusto verdetto: l’unica soluzione è mettersi a dieta. Poco importa che un anno prima avessimo già trovato la stessa soluzione e anche l’anno precedente... La dieta: se la bilancia è il prodotto casalingo più acquistato dopo le festività natalizie, la dieta è l’azione più odiata ma al tempo stesso più eseguita! Ed ecco quindi che comincia la nostra ricerca: come sfogliare una romantica margherita, proviamo a selezionare il giusto nutrizionista. “Questo no, questo l’ho già provato, quest’altro non mi piace, quello che mi ha consigliato il mio amico non va bene”. Ma, nonostante incertezze, dubbi, ripensamenti alla fine troviamo quello che fa per noi e rompiamo gli indugi. Finalmente siamo pronti, sollevati al pensiero che qualcuno possa prendersi cura del nostro metabolismo così malandato. Finalmente cominciamo la nostra dieta. Ecco quindi che comincia il nostro ennesimo percorso da Capodanno a Natale: un percorso di lotta, con la bilancia che ci aspetta al varco e l’ennesimo nutrizionista che “non capisce i miei problemi”. Ce la farò questa volta? Amici, avremo modo di parlare, nel corso dell’anno, nel corso di questa strenua lotta che molti di noi combattono contro il peso, di strategie per vincere, ma qualcosa voglio assolutamente dirla ora, proprio ora che siamo pronti per cominciare la nostra ennesima dieta. Cominciamo ad esser seri nelle valutazioni che facciamo; cominciamo ad essere seri e obiettivi. L’obiettività impone anche che ci arrendiamo ad una evidenza: ingrassiamo perché ciò che mangiamo è energeticamente superiore a ciò che consumiamo. Sembra una banalità, ma voglio farvi qualche esempio per farvi comprendere come invece noi sottovalutiamo proprio le cose più banali. Per perdere 1 kg di grasso bisogna risparmiare circa 7500 Kcal; viceversa, per acquistare 1 kg di grasso dobbiamo assumere 7500 Kcal in più rispetto a quello che normalmente bruciamo. 7500 Kcal non sono poche, tutt’altro! Eppure ci mettiamo 2 settimane per prendere su 2 kg durante le feste natalizie. Arrendiamoci all’evidenza: se abbiamo effettivamente 2 kg in


LACULTURADELBENESSERE

più sulla nostra bilancia la matematica (ripeto, la matematica) dice che noi abbiamo assunto 15000 Kcal in più rispetto a quello che abbiamo consumato. Sapete che basta mangiare 5 caramelle al giorno senza zucchero tutti i giorni per un anno per poter aumentare di 2 kg all’anno? Quanti di noi pensano che questo sia possibile? O quanti invece pensano che invece “in fin dei conti sono senza zucchero”? Quanti di noi sono ancora convinti che per dimagrire si debba mangiare senza glutine, come se fosse il glutine a portare un aumento del peso e non le calorie ad esso legate? Quanti di noi pensano che, solo perché camminano un’ora al giorno, possono permettersi una brioche in più, quando per un’ora di camminata possiamo al massimo permetterci 2 fette biscottate con un velo di marmellata? Quanti di noi sono consapevoli che 4 bicchieri di succo di frutta non zuccherato hanno le stesse calorie di un piatto di pasta ben condito? Quanti di noi sono consapevoli che, se consumiamo una banale tavoletta di 100 grammi di cioccolato a settimana (a settimana, quindi meno di 20 grammi al giorno!) in meno di 4 mesi ci ritroveremmo con 1Kg e mezzo di peso in più? Ma allora? Dovremmo stare senza mangiare? Senza concederci più nulla? Niente affatto: dobbiamo solo cominciare a non bluffare. Bluffare con noi stessi, perché il bluff lo facciamo nei nostri stessi confronti: sottovalutiamo quello che mangiamo “tanto cosa vuoi che sia quel pezzettino lì” e sopravvalutiamo l’attività che svolgiamo. Cosa volete che ci incidano 2 ore di attività fisica a settimana se in una settimana ci sono 168 ore a disposizione? Il primo passo, affinché questo 2017 sia l’ultimo anno in cui saliamo sulla bilancia con frustrazione e terrore, è lavorare per aumentare la nostra consapevolezza, per capire meglio che tutto, assolutamente tutto è un alimento e non c’è nulla (al di fuori dell’acqua) che non contenga calorie. Possiamo veramente arrivare a gustarci tutto, ma, per farlo, dobbiamo prima cosa essere veramente consapevoli di quello che mangiamo. Ecco qual è la giusta dieta che vorrei che il mio amico mi proponesse: una dieta in cui si impari a mangiare, si acquisti una maggior consapevolezza e si arrivi a gustare tutto senza sottovalutare niente. Buon Anno a tutti.


LA SCELTA VEGANA

a cura di

Silvia Bianco testimonial di cucina vegana

SMASCHERIAMO I FALSI MITI

MANGIARE VEGANO NON È DIFFICILE, NON È NOIOSO E NON È PER HIPPIE Mai come in questi ultimi mesi il dibattito sul veganismo ha spaccato l’opinione pubblica in due. Eppure, secondo il Rapporto Italia 2016 dell’Eurispes, i vegetariani sono 4,2 milioni e rappresentano il 7,1% degli italiani e il loro numero è in lieve aumento. La percentuale dei vegani ha subito un’impennata passando dal 0,2% del 2015 all’1% nel 2016, un trend positivo che viene confermato anche dall’aumento delle vendite di prodotti vegan. La scelta vegana è una scelta importante ed è naturale che porti con sé molte domande da parte di chi non è molto informato. Altrettanto naturali sono le miriadi di “leggende metropolitane” nate sia per derisione sia per paura, perché si sa, ciò che è “diverso” spaventa. Si tratta di generalizzazioni e supposizioni sui vegani e sullo stile di vita vegan, ma come per la maggior parte degli stereotipi il risultato sono informazioni fuorvianti e false che servono unicamente a confondere e a generare un alone di diffidenza e pregiudizi nei confronti del veganismo, allontanando dalla verità. Al fine di chiarire (una volta per tutte) alcune di queste infondate affermazioni, ecco alcuni miti da sfatare: # 1. Mito: L’alimentazione vegana è povera, non si mangia nulla se non tofu, insalata e bacche Diversi vegani non inseriscono quasi mai il tofu e non è certamente obbligatorio inserirlo nella dieta vegana: se ne può fare benissimo a meno. Chi sceglie di diventare vegano, quasi sempre si informa sui valori nutrizionali di ogni prodotto e su come bilanciare e variare gli alimenti per avere un’alimentazione ricca, varia e soddisfacente. Oltre a tutti i prodotti industriali vegetali che si trovano nei banchi dei supermercati - e di cui moltissimi vegani (io in primis) non ne raccomandano un’assunzione frequente proprio perché si tratta di cibi iperprocessati - fanno parte della nostra dieta i cereali di ogni tipo, meglio se integrali, pasta, legumi, frutta, frutta ortaggi, frutta secca, verdure, tuberi, semi, piante aromatiche e spezie. L’alimentazione veg è molto ricca più di quanto si possa pensare, basta saper unire con fantasia e maestria tutte le materie prime sopra elencate per dar vita

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a gustose ricette semplici o più elaborate. Basti pensare ai tanti piatti tipici italiani che nascono già vegan: le panelle siciliane, la caponata, i ciceri e tria pugliesi o le orecchiette con le cime di rapa o le pettole, pasta e fagioli, la ribollita toscana e le innumerevoli zuppe di legumi, la pappa con il pomodoro toscana, pasta aglio e olio o la tradizionalissima pasta col pomodoro. L’elenco sarebbe veramente troppo lungo, ma chi intraprende la scelta vegan può star tranquillo: il mondo vegetale propone centinaia di prodotti e la varietà della dieta non è di certo un problema. # 2. Mito: Seguire una dieta vegana è spesso troppo complicato Essere vegano non è difficile. Vi sarete resi conto che negli ultimi anni c’è stata una crescita esponenziale dell’offerta di prodotti alimentari vegan in tutti i supermercati, ci sono sempre più negozi di alimenti naturali in ogni città, una miriade di negozi online ed anche in Italia sono nati i primi supermercati completamente vegan. Fortunatamente sono nati tantissimi ristoranti, gastronomie, pasticcerie, gelaterie completamente vegan e molti ristoratori di cucina tradizionale hanno introdotto piatti e menù veg nella loro offerta. # 3. Mito: La maggior parte dei vegani è anemica ed incorre in seri problemi di salute Molti cibi vegetali sono ricchi di ferro (spinaci, bietole, radicchio, lenticchie, fagioli di soia, ceci, patate, avena, quinoa, fichi, datteri, semi di zucca, mandorle, rosmarino, timo e basilico). Nutrirsi di questi cibi alternandoli ed abbinandoci fonti di vitamina C aiuterà a mantenere livelli ottimali di ferro. Sia il Ministero della Salute italiano, sia le linee guida internazionali asseriscono che mangiare vegan non compromette la salute se si segue una alimentazione ben bilanciata. # 4. Mito: Rinunciare ai formaggi è impossibile Ci sono tanti formaggi vegan disponibili, in costante aumento con nuovi sapori e marchi diversi che soddisfano i palati anche dei più esigenti.


LASCELTAVEGANA

# 5. Mito: La dieta vegana è costosa Seguire una dieta vegan non è necessariamente così oneroso come si pensa. Questa supposizione è stata un po’ dettata dal costo degli alimenti già pronti che si trovano nei supermercati e che spesso risultano essere proposti ad un prezzo poco più alto della media. In realtà, non si spende molto per riempire il carrello della spesa con alimenti di origine vegetale come pasta, cereali, fagioli e tutti i legumi, nettamente più economici rispetto a carne, pesce e prodotti caseari. L’unico costo può essere attribuito ad un acquisto più importante, rispetto alla dieta onnivora, di molta verdura e prodotti freschi. Due grandi tattiche da utilizzare per risparmiare sono l’autoproduzione di prodotti da forno come pane, torte, biscotti, merende, burger, polpette vegetali e simili (da preparare e poi surgelare) e poi ancora pasta, sughi e salse, etc. Il secondo modo per risparmiare è affidarsi ai GAS (gruppi di acquisto) della vostra città, per acquistare frutta, cereali, legumi e tutti i prodotti da forno in mancanza di tempo per l’autoproduzione. # 6. Mito: I vegani sono deboli e malaticci Essere vegani non significa avere meno forza di chi mangia carne. Ci si può allenare ed ottenere risultati in egual modo. Non a caso molti vegani sono anche dei bodybuilders: alcuni esempi, Robert Cheeke, Torre Washington, Derek Tresize e gli italianissimi nonché pluripremiati Massimo Brunaccioni e Barbara Bagnolati. Poi Patrik Baboumian, armeno e tedesco d’adozione, che ha vinto il premio come uomo più forte del mondo trasportando 550Kg per oltre 10mt. Ci sono anche diversi atleti di resistenza, come Carl Lewis che adottò un regime vegan già nel 1990, giocatori di calcio come David Carter (NFL), il rugbista italiano Mirco Bergamasco e le tenniste Serena e Venus Williams. E’ necessario comporre in maniera bilanciata la propria dieta in base all’attività fisica preferita (questo vale anche in caso di scelta onnivora) per essere in forma ed in forze sia in caso prediligiamo attività come la corsa, sia attività in sala pesi, pugilato, crossfitt, weightlifiting, etc. # 7. Mito: I vegani soffrono di carenze di calcio Verdure a foglia verde come rucola, radicchio, cicoria, cavolo riccio, carciofi, semi di lino, sesamo, nocciole, mandorle, soia e molti altri alimenti vegetali sono naturalmente ricchi di calcio. Includere tutti questi alimenti aiuta ad introdurre la quantità ottimale di calcio senza che la salute delle ossa venga compromessa, grazie anche ad altri nutrienti presenti all’interno di questi alimenti vegetali che aiutano il corpo umano nell’assorbimento del calcio. L’osteoporosi è di fatto più diffusa nei Paesi dove si assume la maggior quantità di calcio da fonti animali, poiché le proteine animali acidificano le urine non permettendo l’assorbimento del calcio che viene invece eliminato. # 8. Mito: I vegani sono dei moralizzatori La maggior parte delle persone vegane vive la propria quotidianità senza improvvisarsi a moralizzatore o predicatore del proprio

stile di vita. Tuttavia, capita che chi non è vegan si senta automaticamente giudicato ponendosi sulla “difensiva” e accusando i vegani di obbligarli alla scelta vegan. Tolto qualche raro caso, chi è vegan (nonostante non sia d’accordo con la scelta onnivora) non impone le proprie idee, anzi cerca sempre di trovare un punto di incontro che aiuti nel dialogo. # 9. Mito: I vegani sono carenti in vitamina B12 La B12 è una vitamina importantissima per il nostro metabolismo che il nostro corpo non produce e che proviene unicamente da batteri presenti nel terreno che contaminano i vegetali. Non importa quale tipo di dieta si segue: la carenza di vitamina B12 può essere un problema sia per vegani, sia per onnivori. Questo perché non viviamo più in uno stato di natura dove bastava cibarsi di vegetali per procurarsela: purtroppo oggi i terreni vengono sempre più sfruttati senza mai essere messi a riposo ed utilizzando sostanze che li privano delle sostanze nutritive, inoltre le norme da rispettare relative alle pratiche di igiene annullano la presenza dei contaminanti tra cui la B12. È per questi motivi, insieme ad altri fattori, che in generale il nostro corpo non è in grado di avere scorte adeguate di B12 e l’integrazione attraverso integratori di sintesi batterica (ovvero batteri coltivati in laboratorio) è consigliabile sia a vegani che ad onnivori. # 10. Mito: Essere vegan è da antisociali e hippie. Nel mondo esistono diverse comunità vegan, create esclusivamente per supportare altri vegani. Grazie alle moderne tecnologie, indipendentemente da dove si vive, si ha modo di connettersi con gruppi e persone vegan o vegan friendly. Ciò dà vita a nuovi incontri, conoscenze ed esperienze di condivisione. L’immagine del vegano legata all’idea dell’hippie con capelli lunghi, fiori e chitarra in mano non ha una reale base, poiché i vegani hanno tutti origini molto diverse tra loro. Basta frequentare uno dei migliaia di festival che si svolgono in tutta Europa (Italia compresa) per rendersi conto che si possono incontrare bodybuilder, insegnanti yoga, amanti di musica rock oppure reggae, oppure fashion addict , etc.. Come probabilmente immaginerete ci sono molti altri miti sui vegani, ma ho cercato di sfatare solo alcuni di quelli principali. Come per ogni cosa, per valutare la validità di un fatto o di un altro, è importante essere sempre molto critici circa le informazioni che si ricevono, studiando e controllando le fonti più affidabili. Le generalizzazioni sono spesso un segnale che la verità può essere scomoda. Consiglio sempre a chi vuole diventare vegan di non smettere mai di ricercare le fonti più attendibili ed accurate, poiché spetta solo a noi stessi essere informati e quanto più si conosce, tanto più si può contribuire a fare una corretta informazione.

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LA SCELTA VEGANA

Silvia e gli esperti rispondono...

Inviate le vostre domande a: lamadia@lamadia.com

Le coltivazioni di soia stanno distruggendo l’ambiente e le foreste pluviali, l’alimentazione vegan non è quindi così ecostostenibile. Rita - Napoli Una persona che consuma una dieta vegana richiede meno di un terzo del terreno necessario per soddisfare una dieta che includa carne, latticini ed uova. Se è vero che vaste aree di foresta pluviale vengono abbattute per fare spazio alla produzione di soia, la quantità di soia raccolta per gli esseri umani è nulla in confronto alla quantità di soia coltivata e destinata agli allevamenti. Secondo Cowspiracy: The Secret sostenibilità, fino al 70% della soia che cresce a livello mondiale serve per nutrire gli animali negli allevamenti intensivi. Ciò significa che produciamo molta più soia di quella che in realtà sarebbe necessaria se ne consumassimo solo per il fabbisogno umano. Se a ciò uniamo che i terreni forestali vengono spazzati via ogni giorno per dare spazio al pascolo del bestiame, è possibile affermare che è l’agricoltura animale ad essere la principale causa di deforestazione della foresta pluviale. A contribuire al disastro ambientale ci sono altri fattori da non trascurare come le emissioni di gas metano, l’esaurimento delle scorte di acqua e le fuoriuscite di sostanze tossiche legate all’agricoltura animale.

SPIEDINI DI CANAPA

Ricetta di Silvia Bianco e Stefano Broccoli Per l’hemp fu (cagliata di semi di canapa, o tofu di canapa)

g. 500 di semi di canapa decorticati BIO tenuti, g. 800 di acqua, succo di un limone BIO.

Per costruire la base di hemp fu, frullare i semi nell’acqua, porre la

pentola sul fuoco a fiamma media, versare il succo di limone filtra-

to e lasciar bollire per un minuto. Spegnere il fuoco e lasciar intiepidire. Con un canovaccio pulito, strizzare il contenuto e far uscire

più liquido possibile. Ripetere più volte se necessario. Prelevare il composto rimanente nel canovaccio e dividerlo in tre parti e pre-

erba a piacere), pepe nero macinato al momento, 1 pizzico di sale,

6 asparagine con erba cipollina in crosta di farina di grano di Spirito Contadino, rosette fogliari di papavero selvatico di campo.

Amalgamare l’hemp-fu ottenuto con polvere di funghi porcini, lievito alimentare in scaglie e aromi, pepe e sale. Riporre il composto in una fuscella con un pesino sopra e lasciar sgocciolare in frigorifero per 24 ore. Procedere con essicazione a 70°C per 15

ore circa. Saltare le rosette fogliari di papavero selvatico di campo

in poco olio con dello scalogno tagliato fine. Friggere l’asparagina con erba cipollina in crosta di farina di grano in olio bollente a

170°C. Comporre il vostro spiedino chiudendo con verdura o un ortaggio fresco e colorato.

parali come qui di seguito:

Per lo spiedino di hemp fu al miso, fiore di zucca in crosta di

Per lo spiedino di hemp fu all’uvetta, salvia in crosta di farina

campo: 1 o 2 cucchiaini di miso di riso, 1/2 cucchiaino di paprika

grano su letto di mugnoli selvatici di campo: 2 cucchiai di uvet-

ta sultanina, 1 pizzico di sale, 1 pizzico di cannella, 6 foglie di salvia in crosta di farina di grano Spirito Contadino, mugnoli selvatici di campo Spirito Contadino.

Amalgamare l’hemp-fu ottenuto con l’uvetta sultanina, aggiungere un pizzico di sale ed un pizzico di cannella. Riporre il composto

in fuscella con un pesino sopra e lasciar sgocciolare in frigorifero

per 24 ore. Procedere con un tempo di essiccatura media di 15 ore a 70°C. Saltare i mugnoli selvatici per pochi minuti in poco olio bollente con aglio schiacciato senza camicia.

Friggere la Salvia in crosta per un paio di minuti in olio bollente a

170°C. Comporre il vostro spiedino chiudendo con verdura o un ortaggio fresco e colorato.

Per lo spiedino di hemp fu ai funghi porcini, asparagina con

erba cipollina in crosta di farina di grano su letto di rosette fogliari di papavero selvatico di campo: g. 20/30 di funghi porcini essiccati e polverizzati, 2/3 cucchiai di lievito alimentare in scaglie (da non confondere con il lievito da panifi-

cazione), 1/2 cucchiaino di dragoncello essiccato (o altra

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farina di grano su letto di germogli di finocchio selvatico di forte, 1 cucchiaio di lievito alimentare, 1 pizzico di sale, 6 fiori di

zucca in crosta di farina di grano Spirito Contadino, germogli di finocchio selvatico di campo.

Amalgamare l’hemp-fu ottenuto con tutti gli ingredienti e riporre

il composto in fuscella con un pesino sopra e lasciar sgocciolare in frigorifero per 24 ore. Procedere con essicazione a 70°C per 15

ore circa. Saltare i germogli di finocchio selvatico per pochi minuti in poco olio. Friggere i fiori di zucca in crosta per un paio di minuti

in olio bollente a 170°C. Comporre il vostro spiedino chiudendo con verdura o un ortaggio fresco e colorato.



Gala teo ASSAGGI DI

a cura di

Fabio Ferrantino Docente di Galateo presso Bon Ton Academy Professore di Enogastronomia IPSSAR Piobbico

IL CAFFÈ CHE FA LA DIFFERENZA UNA PICCOLA BEVANDA CAPACE DI ROVINARE UN’INTERA CENA

La cucina e la ristorazione in generale, negli ultimi anni, sono divenuti argomenti centrali nella discussione mediatica. Chef, food lovers ed esperti gastronomi sono protagonisti di importanti trasmissioni e programmi televisi; li troviamo su articoli di stampa dove si esprimono sulla politica del Paese e sui blog a raccontarci esperienze della propria vita personale. Il piatto diventa opera di artigianalità e il cameriere narratore di un’esperienza gastronomica unica e forse indimenticabile. Spesso però quello che potrebbe essere un cammino esclusivo fatto di ricordi e sapori autentici viene rovinato nel momento finale. Grandi chef reputano che le parti essenziali per definire un servizio di qualità siano quella iniziale dell’accoglienza e dei primi sapori e quella finale, il momento dolce prima di lasciare il ristorante. Relativamente alla parte finale potremmo pensare sia quella riguardante i dessert a ricoprire grande importanza, ma in realtà ciò che segna l’epilogo prima del conto e che per gli italiani rappresenta un vero e proprio rito che profuma di imprinting dal carattere mediterraneo è il caffè. Chi ci tiene a fare buona ristorazione riconosce l’importanza di questo ultimo atto, che sempre più spesso, soprattutto nella fascia di ristorazione media, viene lasciato in secondo piano, ma che in realtà può determinare o meno il sorriso del cliente mentre varca l’uscita del nostro ristorante.

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Fondamentali sono la scelta di una buona miscela e l’utilizzo di una macchina da espresso efficiente e regolarmente sottoposta a manutenzione. Pur applicando alla lettera le famose 5 M del caffè per fare un ottimo espresso (miscela, macinatura, macchina, mano e manutenzione) per un ristoratore - che come locale a livelli di volumi in tazzine non lavora quanto un bar - l’espresso non risulterà mai buono quanto quello bevuto al bar, anche se si applicano alla lettera le 5 M. Se, dunque, si hanno pochi coperti e la macchina da espresso è utilizzata solo per alcune tazzine di caffè al giorno, è meglio optare per un sistema a cialde o in capsule. Non è semplice trovare il giusto compromesso tra tecnologia e qualità, dunque se si opta per tale modalità, come per la scelta di una buona miscela o mono-varietà di chicchi tostati, bisogna fare un’importante ricerca segnata da tanti assaggi per trovare la soluzione più adatta alla nostra proposta gastronomica. Uno dei lati negativi di questa scelta è rappresentato dall’esclusività del marchio che da un lato ci permette di avere i macchinari in comodato d’uso, ma dall’altro limiterà la nostra offerta solo alle tipologie di caffè appartenenti a quell’azienda. Ecco perché, prima di scegliere questa via, bisogna ponderare molto bene se tale decisione può essere adeguata alla nostra tipologia di ristorazione.


ASSAGGIDIGALATEO

L’uso delle cialde sicuramente prevede un minor margine di guadagno, ma ne ricaveremo in qualità e soddisfazione della clientela. In base allo stile del locale, si potrebbe anche pensare di stupire i commensali con un qualcosa di retrò ma che sviluppa a 360° i profumi e gli aromi del caffè, ossia la moka. Soprattutto per i locali frequentati da clientela proveniente dall’estero, questa potrebbe incarnare il simbolo della tradizione italiana da far riscoprire non solo agli stranieri. Dunque si potrebbe pensare di creare una batteria di caffettiere suddivise per tipologia di caffè offerto. Per quanto riguarda la lista dei caffè, questa la si trova in pochi ristoranti: ciò avviene anche perché spesso fra liste del vino, delle acque, dei digestivi e così via, il servizio potrebbe risultare appesantito. In questi casi è opportuno optare, nel momento della comanda dei dolci o prima del conto, per la presentazione da parte del cameriere di una scelta non troppo vasta di varietà di caffè. Accompagnato o meno da piccola pasticceria o piccole delizie in cioccolato, è opportuno che tale bevanda non presenti dei costi eccessivi. Anche nei ristoranti gourmet, riconosciuti dalle guide gastronomiche, il caffè non dovrebbe superare mai il costo di 5-6 euro. Vasta è la scelta del design per le tazzine, proposte in diversi materiali. Quando si opta per una ceramica di qualità, di colore bianco o

bone china, non si sbaglia mai in quanto semplici ed eleganti, mentre con il vetro si potrebbe stupire maggiormente gli ospiti in base agli effetti creati dalla lavorazione di questo materiale. Resta essenziale la temperatura a cui viene servito: il caffè deve essere caldo ma non bollente. Quindi è essenziale controllare sempre la temperatura del piano sul quale sono appoggiate le tazzine e la temperatura del caffè che poi sarà servito in esse. La tazza dovrà essere servita sul piattino con il manico rivolto alla destra del commensale e sarà accompagnata dal cucchiaino che non viene mai posto prima sulla tavola, ma solo al momento del servizio del caffè. Lo zucchero potrà essere servito in eleganti bustine preferibilmente con il logo del locale, perché ricordiamoci che anche questo dettaglio fa parte della nostra buona comunicazione e del nostro piano di marketing. Pur se fuori moda, anche le zollette presentate singolarmente per ogni commensale potrebbero donare maggiore fascino a questo prezioso momento. Nella tendenza salutistica, molto attuale del mondo della ristorazione, sono da preferire zuccheri e i dolcificanti pregiati e non comuni, da valorizzare indicandone la provenienza e la lavorazione: sarebbe infatti riduttivo curare un’adeguata selezione di caffè per poi presentarla con un’unica scelta per dolcificarlo.

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PROGETTARE L’IMPRESA

a cura di

Lorenzo Ferrari Direttore Marketing di RistoratoreTop

INCONTRO CON IL

“MAGO” MONDIALE DEL MENÙ ERRORI E SOLUZIONI NELLA GESTIONE DELL’OFFERTA RISTORATIVA

Chi scrive ha avuto l’onore e il piacere, grazie alla sua azienda MENUENGINE, di essere il primo in Europa ad ospitare Gregg Rapp, l’esperto di menu engineering più famoso al mondo, per un’intera settimana di formazione, di ingegneria del menù e di ricerca sul tema. Gregg è stato definito “The Menu Magician” dal Times, cioè il mago del menù, ed è stato intervistato dalle maggiori testate giornalistiche del mondo. Durante le varie chiacchierate, è scaturita questa intervista, che abbiamo deciso di rilasciare in anteprima assoluta per i lettori de La Madia. Buon divertimento! Gregg, lasciami dire che è un vero onore averti qui con noi. Per chi non ti conoscesse, puoi introdurti a chi leggerà? Grazie a voi dell’ospitalità. Mi chiamo Gregg Rapp e sono un ingegnere del menù. Gregg, perdonami ma devo interromperti subito. E’ un lavoro vero? (ride) Sì, anche mia madre era solita farmi la stessa domanda. E’ un lavoro vero, e molto importante.

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Continua pure la tua introduzione. Mi occupo di menu engineering da 35 anni. Ho lavorato con migliaia di ristoranti indipendenti, con le più grandi catene della ristorazione mondiale (Subway, Red Lobster, Caesar Palace e Disneyland per citarne alcune) e persino con qualcuno al di fuori di questo settore. In tutte le mie attività, comunque, il “cuore” del mio lavoro non cambia: mi occupo di ingegneria del menù. Proprio a riguardo di ciò, ci daresti la tua personale definizione di menu engineering? Il menu engineering è l’arte e la scienza di scegliere, determinare il nome, il costo, il prezzo e il posizionamento dei piatti sullo strumento di vendita più importante che ogni ristorante ha a disposizione: il menù. Naque negli anni ’80 dall’intuizione di due professori universitari, poi diventati miei amici e collaboratori, Michael Kasavana e Donald Smith. Furono i primi a pensare che la scelta di una persona di fronte al menù fosse in qualche modo influenzabile, persino prevedibile. Dalla teoria passammo alla pratica, e dopo anni di lavoro, di ricerca e di test, eccoci qua.


PROGETTAREL’IMPRESA

Perfetto. Raccontaci un po’, nello specifico, mentre ingegnerizzi un menù, quali sono le prime operazioni da compiere. I primi dati da guardare sono sicuramente la profittabilità e la popolarità degli oggetti presenti sul menù. Il primo dato ci dice quanta marginalità si ha su ogni piatto, mentre il secondo ci offre un’indicazione di quanto quel piatto sia venduto, quindi apprezzato dalla clientela. Una volta in possesso di questi dati, occorre confrontarli tra loro, per capire quali sono gli oggetti “migliori” presenti sul menù. Una volta individuati, occorre capire se è interessante venderli o meno. Quindi è necessario avere dei dati per ingegnerizzare il proprio menù? Assolutamente sì. Sono dati che qualsiasi ristoratore al mondo dovrebbe avere. Purtroppo, in America, ma anche in Italia, sembra che il trend sia lo stesso: pochi ristoratori hanno sotto controllo questi dati, che nello specifico sono tre, il food cost (cioè la somma dei costi dei singoli ingredienti che compongono ogni piatto n.d.t.), il food price (il prezzo di vendita) e il sales mix, cioè quanti piatti di ogni tipologia vengono venduti. E’ necessario avere sotto controllo queste metriche in maniera precisa, e non “a spanne”, per avere un controllo sul proprio ristorante. Dopotutto, ci sembrerebbe davvero strano se un supermercato non sapesse il costo dei prodotti che vende. E ci sembrerebbe ancora più strano se un meccanico non conoscesse il prezzo dei ricambi che utilizza. Perché non dovrebbe essere strano per un ristorante? E’ assolutamente così. Bene, durante questa settimana hai avuto modo di analizzare diversi menù italiani. Ci sapresti dire qual è l’errore più frequente che hai incontrato durante la tua analisi? Sicuramente il fatto che in Italia sia usanza “incolonnare” il prezzo dei piatti, in una colonna ordinata. Questo induce il lettore del menù a scorrere mentalmente la lista sino al prezzo più basso, e creare quello che chiamiamo “worst case scenario”, cioè lo scenario peggiore possibile. Praticamente, il cliente non sceglierà basandosi su ciò che desidera realmente, ma solo sulla base del prezzo. E questo, per l’incasso del ristorante, è sicuramente un grande danno. Un altro errore grossolano che ho notato? La lunghezza del menù. Più pagine ci sono da sfogliare, più confusione creerete nel lettore che si presta a leggerle. E quella confusione può addirittura “paralizzare” il lettore e indurlo ad una scelta conservativa, indirizzandolo verso il piatto più economico oppure su ciò che ordina solitamente.

Come possono risolvere i nostri amici ristoratori? Semplicissimo: nel primo caso scrivendo il prezzo a fianco della descrizione del piatto, aderente alla stessa. In questo modo i prezzi non risulteranno incolonnati, e questo faciliterà la scelta di proposte dal prezzo più alto rispetto a quelle di prezzo più basso. Nel secondo caso, semplicemente accorciando il menù. La domanda da porre al vostro ingegnere del menù, o consulente, o chef, è la seguente: quali piatti possiamo eliminare dal menù senza creare un danno ai nostri clienti o al nostro ristorante? Scoprirete che sono diversi. Molto bene, ottimo suggerimento. A proposito delle descrizioni dei piatti, vuoi dare qualche suggerimento su come scriverle in maniera persuasiva? Certo. Il modo migliore per farlo è dividere il piatto in due sezioni: titolo e descrizione. Il titolo deve essere autoconclusivo, cioè deve dare una chiara idea di cosa si troverà a mangiare il cliente qualora lo ordinasse. La descrizione deve essere invece più completa, e tanto più lunga quanto più interesse ha il ristoratore a vendere quel piatto, e deve contenere tutti gli elementi necessari a far compiere una scelta consapevole al cliente. Ci sono diversi “trucchetti” per scrivere una descrizione persuasiva e interessante, ma il mio preferito è sicuramente quello della “backstory” (cioè il descrivere la storia che c’è dietro al piatto stesso n.d.t.) Un esempio potrebbe essere il seguente: Alette di pollo del South Festival – Alette di pollo croccanti con salsa BBQ artigianale, affumicate e croccantissime, sono il piatto più consumato durante il festival più famoso del Sud Carolina! Grazie Gregg, direi che abbiamo fatto una bella panoramica di ciò che è il menu engineering e di come utilizzarlo per creare il proprio ristorante un successo. Hai qualche altro consiglio per i nostri lettori? Solo poche parole: voi italiani avete i prodotti e la cucina migliori del mondo, vi auguro di trovare la lungimiranza necessaria per convincervene e per esportarla nel resto del mondo. Abbiamo bisogno della vostra creatività e della vostra imprenditorialità. Buon lavoro, grazie per lo spazio e per il tempo dedicatomi e un saluto a tutti. Gregg Rapp www.menuengineers.com 1775 East Palm Canyon Drive - Suite 110-341 Palm Springs, California 92264 Gregg@menuengineers.com

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PRODOTTI ECCELLENTI

AL RISTORANTE BAMBINI BUONI E FELICI CON I LORO

“Amichetti” Spesso si è dibattuto, in Italia e all’estero, circa i ristoranti e gli alberghi children free, ossia quei locali che rifiutano l’ingresso ai bambini. Il fatto è che se i bambini danno fastidio perché sono indisciplinati, urlanti, maleducati, se scorrazzano tra i tavoli disturbando gli altri clienti, la responsabilità è principalmente dei genitori. Ogni piccolo si comporta generalmente come gli è stato permesso o insegnato; qualora gli si prospetti la cena come una bella occasione di condivisione con mamma e papà, purché faccia “il bravo”, lui nel 90% dei casi saprà dimostrarsi all’altezza (la variabile del 10% potrebbe essere rappresentata da tempi d’attesa troppo lunghi, qualche dolorino improvviso, orario tardivo, troppa confusione o cibo poco gradito). Eppure è proprio giocando con alcune di queste variabili che un ristoratore potrebbe garantirsi a vita i clienti… fin dall’infanzia. Un cibo allegro, colorato, fantasioso, servito in tempi brevi e magari preceduto da un piccolo intrattenimento, potrebbe fare la felicità di un bimbo e dei suoi genitori, a cui farebbe sicuramente piacere trovare nel ristoratore un alleato prezioso.

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Ma spesso il gestore di un locale fatica a creare una linea per l’infanzia, così si barcamena con la solita pappa al pomodoro o con le pennette in bianco. Viene oggi in suo aiuto un’azienda che ha fatto di qualità e servizio il proprio vessillo. Accanto alle paste secche e ripiene per gli adulti più esigenti, create anche in collaborazione con chef pluristellati, Surgital ha ideato gli “Amichetti”, gustosissimi raviolini dalle forme fantasiose e accattivanti. Ma è sulla qualità della proposta che il ristoratore può giocarsela: gli Amichetti ai formaggi sono realizzati con pasta fresca biologica dal Laboratorio Tortellini Kids. Gli Amichetti ai formaggi Laboratorio Kids sono tartarughine, gechi, pesciolini e paperelle che stimolano la fantasia di ogni bambino e fanno del pasto un gioco, una scoperta di sapori nuovi nel segno della salubrità. Infatti negli Amichetti tutti gli ingredienti sono biologici. Sono ripieni di formaggio perchè piace a tutti i bambini e perché si sposano con quasi tutti i condimenti più usati nelle cucine. Una proposta che farà felici i bambini quindi, ma anche i genitori, che potranno rilassarsi e godersi il pasto al ristorante mentre i bimbi mangiano buono e sano, o aspettano giocando con pennarelli e tovaglietta del Kit Laboratorio KIDS. Il kit è composto da 50 tovagliette in italiano e in inglese, completo di giochi e 20 pennarelli a cera. Una proposta intelligente che non sottrarrà tempo ai cuochi nelle cucine, garantirà un’entrata in più al ristoratore, darà una mano ai genitori che andranno tanto più volentieri a pranzo fuori, quanto più li si accetterà con i propri pargoletti.

SURGITAL

Via Bastia Vecchia, 16 48017 Conselice (RA) Tel. 0545 80328 www.surgital.it

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GOLAVAGANDO

GINGER SAPORI E SALUTE A ROMA Dopo il grande successo di Via Borgognona, Ginger raddoppia. In Piazza Sant’Eustachio, Ginger manterrà il suo format originale dove la freschezza del juice bar incontra la ricercatezza del bistrot, il tutto inserito in un’atmosfera un po’ amarcord dalle note liberty. Incorniciato nel bianco dove spiccano i colori vivi dei salumi e della frutta fresca, Ginger è internazionale, con un’offerta completamente unica nel suo genere, accompagnata da un servizio con il sorriso che contribuisce a fare la differenza. L’effetto finale è quello di un bistrot contemporaneo dai dettagli antichi, come la scala in marmo,

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GOLAVAGANDO

GINGER SAPORI E SALUTE

Piazza Sant’Eustachio 54 - Roma Studio design e progettazione

Costa Group - Arch. Giulia Corvi

il pavimento ed il soffitto con travi recuperate; un locale studiato da Costa Group per esaltare la proposta “sapori e salute” di Ginger, che accosta la cucina romana degli spaghetti cacio e pepe, ai centrifugati, fino alla vendita di prodotti biologici. E poi il banco con i panini, la selezione di salumi e formaggi e la vasca con le mozzarelle campane per un’offerta variegata, dalla colazione alla cena: per far rivivere, rivisitandola, la gastronomia italiana. Tutto in un unico spazio, per una sosta fugace, oppure per una pausa rigenerante dopo una passeggiata nella Città eterna. Un’iniezione di vitalità, stimolata dall’offerta juice e naturale dei prodotti, in un’oasi di quiete all’interno della città… Un appuntamento a cui non mancare!

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A CASTELFRANCO EMILIA

LA LUMIRA

RISCHIARA LA SCENA DELLA TRADIZIONE EMILIANA di

Antonietta Mazzeo foto di Niko Boi

... parlando di un popolo o di una tribù, i termini “tradizione” e “cultura” vengono usati sempre insieme, un po’ come avviene per “usi” e “costumi”, come fossero due ettari di terra confinanti dei quali arare il primo all’alba con i buoi ed il secondo a mezzodì, al fresco nella cabina di un comodo trattore termocondizionato. In realtà preferisco pensarle come due giorni dello stesso weekend, dove la cultura è un sabato trepidante di aspettative mentre la tradizione il tiepido avvolgere del divano domenicale che vagamente separa il pranzo dalla cena … (Chef Carlo Alberto Borsarini) La Lumira si trova a Castelfranco Emilia, terra di confine da sempre oggetto di disputa tra le province di Modena e Bologna, posizionata lungo la via Emilia, l’asse romano che attraversa l’intera regione, l’arteria lungo la quale viaggiano e hanno viaggiato le passioni delle persone che di queste terre rappresentano l’anima.

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L’ambiente, illuminato dalle vecchie lumire (le lampade che danno il nome al locale), è accogliente e caloroso, l’ospitalità e il servizio curati dalla moglie, sono davvero impeccabili. Gli arredi antichi e moderni si mescolano trasmettendo il gusto della convivialità che caratterizza questi luoghi. La cucina dello chef Carlo Alberto Borsarini è fatta di preparazioni molto legate al territorio, una cucina concreta, che si erge su salde fondamenta, precisa nelle cotture e nel rispetto


LALUMIRA

NUOVI DI ZUCCA INGREDIENTI per 4 persone

Per il ripieno: una volta cotta la zucca in

g. 150 di semola, g. 30 di Maizena, g. 30

uno straccio ed appenderla a sgocciolare,

Per la sfoglia vegana: g. 150 di farina 00, di olio evo, g. 150 di acqua tiepida (35°C).

Per il ripieno: g. 380 di polpa di zucca cotta al forno e sgocciolata, g. 100 di farina di mandorla, g. 50 di pasta di man-

dorla, g. 55 di mostarda senapata (zucca,

anguria o mele campanine), g. 30 di gomasio con alghe, g. 15 di zucchero, g. 15 di sale.

Per la spuma di gin: g. 100 di Gin, g. 3 di

sucro o lecitina di soia, g. 150 di acqua, g. 10 di gelatina in fogli. PROCEDIMENTO

forno per un’ora, raccogliere la polpa in conservando il liquido di vegetazione.

Impastare tutti gli ingredienti fino ad ot-

tenere un composto omogeneo e fare riposare in frigorifero per un paio d’ore.

Nel frattempo far restringere della metà il

succo della zucca sul fuoco a fiamma dol-

ce, poi regolarne la sapidità con la salsa di soia fermentata.

Per la sfoglia: unire tutti gli ingredienti e

procedere come per una normale sfoglia all’uovo. Tagliare dei quadrati di 2,5 cen-

timetri di lato e riempire generosamente gli scrigni.

Per la spuma al Gin: aggiungere la pol-

Cuocere gli scrigni di zucca in abbondan-

fare riposare 6 ore in frigorifero, dopo di

Disporre in un piatto fondo un velo di

vere sucro al Gin, mixare velocemente e che sciogliere la gelatina in fogli nell’ac-

qua. Portare a ebollizione e unire i due liquidi versandoli in un sifone da mezzo

litro. Inserire due cariche e fare riposare almeno 4 ore.

te acqua salata per 4 minuti.

salsa di zucca e soia ed adagiarvi sopra 6 scrigni per ogni persona. Prendere il sifo-

ne dal frigorifero e aggiungere la spuma di Gin. Concludere con una spolverata di semi di zucca tostati e tritati.

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degli ingredienti. Grandi classici di una cucina popolare che rivive attraverso il recupero di ricette smarrite nei cassetti e perfettamente interpretate, a cui si affiancano rivisitazioni interessanti quanto coraggiose, con abbinamenti sempre appropriati. Da non perdere i tortellini di Castelfranco Emilia, dove il poeta ottocentesco Giuseppe Ceri colloca la nascita leggendaria dell’ombelico di Venere. Piccoli, preparati, nella una giusta proporzione tra il ripieno crudo e il sottile strato di sfoglia che li avvolge, cotti nel brodo di cappone. Le tagliatelle verdi della casa si presentano opulente e croccanti; conigli ed anatre hanno consistenze sorprendenti e sapori indimenticati. Dolci di pura tradizione, torta tipo Barozzi, gelato all’aceto balsamico, ciambella, intrigante la zuppa inglese riletta nella

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LALUMIRA

forma e nella cottura che fa da contraltare al gelato di crema mantecato all’aceto balsamico tradizionale, corroborante nella sua appagante semplicità. In “Life On Mars”, la preparazione che Carlo Alberto ha dedicato a David Bowie, si manifesta prepotente lo spirito rockettaro dello “chef musicista”, con una originale interpretazione della famosa barretta, preparata con una base di pan di spagna, differenti tipi di cioccolato e decorata con il noto logo a forma di fulmine che compare sul volto dell’artista nella copertina di Aladdin Sane. Apprezzabile la carta dei vini con circa duecento etichette selezionate da Carlo Alberto con un’attenzione particolare al Lambrusco, ai Colli Bolognesi e al Sangiovese di Romagna, ma non mancano Piemonte, Toscana e un tocco di Francia con diverse proposte di Champagne.

TOURNEDOS BORSARINI (rilettura del filetto alla Rossini) INGREDIENTI per 4 persone

4 medaglioni di filetto di manza romagnola di g. 200 circa, 4 scaloppe di fegato grasso d’oca di g. 50/70, g. 80 di tartufo nero pregiato di Norcia, l. 1 di brodo

di cappone o gallina, g. 300 di fondo bruno di vitello, g. 100 di fondo d’arrosto

(volatili o maiale), 1 bottiglia di barbera (dei Colli Bolognesi), burro chiarificato e aromatizzato alle erbe fini. PROCEDIMENTO

Per preparare questa salsa dalla cottura dolce e lunga è preferibile servirsi di un’induzione per evitare temperature oltre i 90°C e lasciare perciò che l’evaporazione e quindi la concentrazione dei profumi e dei sapori sia ottimale.

In una pentola adeguata cominciare a far restringere il brodo di cappone fino a

che non sia dimezzato. Aggiungere successivamente, ed uno per volta, il fondo

bruno, il fondo d’arrosto e per ultimo il vino, facendo ogni volta restringere la sal-

sa fino al livello iniziale (l. 0,5 circa). Togliere dal fuoco e aggiungere 50 grammi

di burro chiarificato aromatizzato. Mixare e fare riposare. Cuocere le scaloppe di fegato grasso in una padella di ferro a fiamma dolce 2 minuti per lato. Conservare a 60°C. Cuocere ora il Tournedos di filetto nella stessa padella rosolando RISTORANTE LA LUMIRA Via Martiri, 74

Castelfranco Emilia (MO) Tel. +39 059926550

www.ristorantelumira.com

velocemente entrambi i lati e, successivamente, portare a cottura abbassando la fiamma per 3 minuti per lato. Far riposare a 60°C per 3 minuti.

Impiattare disponendo il filetto al centro del piatto, appoggiarvi sopra la scalop-

pa di foie gras, irrorare con abbondante salsa alla barbera e completare grattugiando 20 grammi o più di tartufo nero di Norcia.

carloborsarini@alice.it

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NASCE

STORYTELLER IL PRIMO GASTRO-PUB A FILIERA CORTA IN PUGLIA foto di

Gab Cialdella

Dall’amore per la gastronomia di qualità e dalla maestria nel preparare cocktails nasce a Corato, nel cuore della Murgia pugliese, “Storyteller”, il primo gastro-pub a chilometro zero. L’idea nasce dalla passione e dall’esperienza pluriennale nel settore bar di Giuseppe Lops, il quale ha deciso di fondere la genuinità della ristorazione basata sui prodotti del territorio, con l’innovativa idea di traslare la filosofia della filiera corta anche all’American bar.

Qui sopra, manzo ai ferri con gocce di caciocavallo podolico e mosto cotto, servito con chips di patata di Margherita di Savoia e puntarelle, abbinato a un cocktail con fragole, shrub all’arancia e rosmarino; Cheesecake a base di ricotta murgiana e cioccolato.

Storyteller infatti, adotta il principio della frutta e verdura di stagione anche per la preparazione di liquori, sciroppi alla frutta, shrub, bitter, long drink, milkshake e analcolici, rigorosamente homemade e prodotti selezionando solo il meglio delle eccellenze e dei presidi Slow Food pugliesi. Nella carta dei vini, invece, sono inserite DOC e DOCG tipiche del Castel del Monte, DOP di Gravina, Primitivi di Manduria IGT, prevalentemente provenienti da agricoltura biologica e biodinamica. Il settore gastronomia, parallelamente, presenta particolari piatti unici: dal polpo con burrata di Andria e olive nere, alla tagliata di manzo podolico abbinata al caciocavallo della Valle D’Itria, per poi passare agli hamburger di “zampina” barese, fino alla cheesecake a base di ricotta murgiana e cioccolato. La selezione proposta nei menu di Storyteller è ovviamente in costante cambiamento, in quanto i piatti proposti variano con il susseguirsi delle stagioni e a seconda della disponibilità dei prodotti freschi del territorio. “Storyteller significa “racconta storie”, in quanto è chi opera a dover illustrare e raccontare con passione ogni prodotto al cliente, guidandolo nella scelta e facendolo innamorare di ciò che giunge al suo tavolo.

STORYTELLER

Piazza di Vagno, 18 - 70033 Corato (BA) - Tel. 339 413 8056 www.facebook.com/storytellercorato

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LE CICOGNE A MARINA DI TORRE DEL LAGO GUSTANDO PIATTI E PANORAMA di

Domenico Acconci

Spesso i ristoranti hanno nomi di animali; il prototipo si può considerare “L’Osteria del Gambero Rosso” frequentata da Pinocchio nel romanzo di Carlo Lorenzini e che esiste ancora nel paese di Collodi. Nel caso di “Le Cicogne” a Marina di Torre del Lago, chiediamo al gestore e cuoco Angelo Pezzini la ragione del nome. “Consideriamo “Le Cicogne” (che portano i bambini) - ci dice - un simbolo di fertilità, felicità, prosperità, innovazione, a cui cerchiamo di improntare il nostro lavoro e il nostro rapporto con la clientela”. Conversando con il nostro anfitrione si capisce come sia innamorato del suo lavoro e come si compiaccia delle proprie offerte, nell’effetto visivo delle portate e nella freschezza degli ingredienti. Siamo fra il mare (l’azzurra distesa è lì davanti) e la pineta, e se il panorama è godibile, i piatti lo sono altrettanto. Cuoco per tradizione familiare (i genitori già avevano il ben noto ristorante locale “Il Pescatore”), ma specialmente per entusiastica vocazione personale, riuscì infine ad aprire un ristorante

LA CUCINA CONTADINA ALLA

FATTORIA “DA BAFFO” IN LUCCHESIA di

Domenico Acconci

La fattoria “Da Baffo”, a Montecarlo in Lucchesia, in inverno ha due comode sale interne, nella bella stagione dispone di un grande pergolato con tavoli e panche con vista panoramica su vigne e oliveti. Non ci sono cuochi professionisti, stanno ai fornelli

tutto suo nel marzo 2013, con la preziosa collaborazione della consorte Claudia. Gli antipasti sono una tavolozza di piacevolezze, dal branzino su letto di passatina di fagioli neri all’insalatina di fagiolini verdi con gamberi croccanti; sui primi basterebbe citare le tagliatelle con l’astice o gli gnocchi ripieni di totanetti con pinoli; fra i secondi si va sul sicuro con l’orata all’isolana o con la frittura di pesce in varietà, freschissima; per i dolci ci sono i classici ma anche creazioni originali della casa; l’assortimento di vini e spumanti è tale da accontentare anche gli intenditori. Una piacevole esperienza con un buon rapporto fra prezzo e qualità.

RISTORANTE LE CICOGNE

Viale Kennedy, 18 - Marina di Torre del Lago (LU) Tel. 0584 342331

massaie del luogo per un’autentica cucina “contadina”: si mangia quel che c’è, prendere o lasciare, con un minimo di scelta. All’antipasto arrivano fette di prosciutto, salame e pancetta, con spicchi di pecorino; fra i primi si ruota fra zuppa di verdure, ben irrorata dell’olio extra vergine d’oliva; minestra di farro in brodo di fagioli, maccheroni al ragù di carne; per i secondi: fagioli all’uccelletto con salsicce, fritto di pollo e coniglio o coniglio in umido con le olive o due uova affrittellate con insalata a piacere e un calice di vino della casa; per dolce cantuccini alle mandorle da inzuppare nel vinsanto e, per i più buoni, caffè al bricco. Conduce la fattoria, viticoltore e cantiniere, Gino Carmignani, detto “Fuso” per l’ardore che mette nelle sue imprese; pubblicista, è conduttore radiofonico e televisivo, nonché presidente del “Consorzio dei vini di Montecarlo”. Al suo desco approdava spesso il compianto Luigi Veronelli che ha lasciato numerose testimonianze. “Fuso” è originale anche nei nomi dei suoi vini, per il bianco “Le idee hanno sete”, per il rosso “Il merlot della topa nera”, e il vinsanto ”Le notti del capodiavolo”. FATTORIA “DA BAFFO”

Via della Tinaia, 6 - Montecarlo (LU) - Tel. 0583 22380

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GOLAVAGANDO

A BERGAMO

AL CARROPONTE È UN ENOBISTRÒ CON MOLTE ANIME Al Carroponte l’alta gastronomia sposa l’anima leggera del bistrò, per consentire esperienze del gusto originali e accessibili. Nato dalla passione e dalla volontà di Oscar Mazzoleni (foto sotto), patron e maîtresommelier, Al Carroponte è un locale versatile, con un’anima decisamente conviviale. Il wine bar, sovrastato dal carroponte che dà il nome al locale, è uno spazio accogliente e informale dove chiacchierare sorseggiando vino, cocktails, aperitivi e birre di qualità, accompagnati da deliziosi finger food.

L’enoteca offre una proposta di oltre 900 etichette, disponibili sia per l’asporto sia in mescita. Il ristorante propone piatti creativi, menu di carne e pesce, con una spiccata attenzione alla selezione delle materie prime. Il delizioso dehors permette di gustare all’aria aperta tutte le prelibatezze proposte da Al Carroponte, con la complicità dell’atmosfera ammiccante creata dal fresco pergolato di gelsomini, uva e rose. Più anime, divise in ambienti diversi, unite però da un’unica filosofia: coccolare gli ospiti in un’atmosfera allo stesso tempo elegante e conviviale, da cui si possa uscire con la voglia di tornare e col piacere di aver provato la qualità a un prezzo accessibile. AL CARROPONTE

Via Edmondo De Amicis, 4 - 24127 Bergamo - Tel. 035 265 2180 - www.alcarroponte.it

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GOLAVAGANDO

RISTORANTE

LO SCOMPIGLIO TEATRO CON CUCINA IN LUCCHESIA di

Domenico Acconci

Il ristorante della “Tenuta dello Scompiglio”, in Lucchesia nel paese di Vorno, isolato in aperta campagna, lontano da qualsiasi “inquinamento cementizio”, ha un nome che, letteralmente, significherebbe “situazione di caotico disordine”, ma che qui è relativo al fatto che vi si coltivavano appezzamenti di terreno con varie colture, senza uno scacchiere preordinato. Per parecchi anni fu lasciato incolto, finché lo scoprì la pubblicista ed operatrice teatrale Cecilia Bertoni, la quale si impose di recuperare la tenuta, ossia la fattoria di grandi dimensioni, non solo nell’aspetto produttivo, ma anche per organizzarvi un centro culturale per concerti, installazioni, mostre, incontri, laboratori e teatro, anche per ragazzi. Il ristorante che è ubicato in quello che era, una volta, il fienile, utilizza in cucina i prodotti dell’azienda: olio extra vergine di oliva, vini, ortaggi, verdure, frutta di produzione propria, oppure procurato da piccoli produttori locali, con pane, pasta, dolci tutto “fatto in casa”. Conduce la cucina lo chef Lando Decanini, coadiuvato da uno stuolo di valenti collaboratori. I piatti seguono l’andamento stagionale (freschezza sempre) e sono improntati, naturalmente, alla buona tradizione contadina, non senza inserti di creatività originale, come nella pasta al pesto di mandorle, carote e nepitella; per i secondi c’è ampia scelta, tra una sfilata di crostoni e insalatone ricche e variate, con salumi e formaggi di accurata selezione. Il ristorante è sempre aperto prima e dopo gli spettacoli, ma anche per merende, spuntini, aperitivi. Sono previste riduzioni del 10% sul “menù alla carta” presentando il biglietto degli spettacoli.

LOCANDA DEL PILONE Federico Gallo, il giovane chef alla guida del ristorante Locanda del Pilone, ha voluto rendere omaggio alla stagione del tartufo, creando un piatto che potesse soprattutto esaltare il sapore del tartufo bianco d’Alba: uovo, cardi, gobbi e parmigiano. Un piatto semplice con i giusti contrasti dove le materie prime sono state scelte con cura, ad iniziare dal “cardo gobbo” molto diffuso nella stagione invernale in Piemonte. Il gusto del cardo, insieme all’uovo adagiato su una croccante pasta brick, crea l’armonia perfetta per esaltare il gusto del Tartufo Bianco d’Alba.

LOCANDA DEL PILONE

RISTORANTE LO SCOMPIGLIO

Loc. Madonna di Como, 34

Capannori - Lucca

Tel. 0173 366616

Via di Vorno , 67/b

Tel. 0583 971473 - 338 6118730 www.delloscompiglio.org

12051 Alba (CN)

www.locandadelpilone.com info@locandadelpilone.com


GOLAVAGANDO

THE EGG NICOLA BATAVIA @HOTEL DANIELI SEMPLICITÀ E ALTA CUCINA NEL CUORE DI VENEZIA Un uovo rotola fino alle sponde della Laguna, ed è firmato Nicola Batavia. The Egg, il concept bistrot dello chef torinese ispirato all’uovo, alla sua perfezione di gusto, forme e concetto, apre a Venezia, all’ultimo piano dell’Hotel Danieli, portando in Laguna la sua sorprendente fusione di semplicità e alta cucina. Dall’incontro tra Batavia e Hotel Danieli, tra uno chef dalle salde radici italiane e vocazione fortemente internazionale e un simbolo assoluto dell’eccellenza e dell’unicità dell’Italian Experience in ogni sua declinazione, nasce così una nuova, sorprendente proposta che, partendo dal cibo, compie un’inedita sintesi di storia, arte, cultura, pa-

esaggio e, naturalmente, gastronomia. Il format, creato due soli anni fa – ispirandosi alla nascita del suo primo figlio – dallo chef patron dello storico ‘l Birichin’ di Torino, è stato rapidamente portato al successo anche all’estero e adesso si insedia in un contesto che è già di per sé un’esperienza: la magica città lagunare, lo storico Palazzo Dandolo, la suite all’ultimo piano, caratterizzata da una vista mozzafiato sull’isola di San Giorgio. A questo mix unico di elementi si aggiunge la cucina inconfondibile di Nicola Batavia, con il suo equilibrio tra tradizioni italiane e influssi internazionali, materie prime mediterranee e ingredienti innovativi, qui – come da “dichiarazione d’intenti” del The Egg – in una versione “semplificata” eppure ugualmente imperdibile ed esclusiva. The Egg Nicola Batavia @Hotel Danieli, in Riva degli Schiavoni – a due passi Piazza San Marco, il cuore di Venezia – non si limita infatti a replicare il format originale, ma ne reinterpreta la filosofia sia negli allestimenti e nella mise en place, che nella proposta culinaria, creando una versione “su misura” per il contesto straordinario in cui sorge. Il menu include creazioni culinarie preparate con materie prime mediterranee e veneziane di assoluta eccellenza, tra cichéti – originali o reinterpretati attingendo

THE EGG NICOLA BATAVIA @ HOTEL DANIELI - Venezia

www.nicolabatavia.it - www.nicolabataviatheegg-hoteldanieli.com

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alla tradizione locale – main course e dessert firmati Batavia, anche in menu degustazione. L’uovo è ingrediente o semplicemente ispirazione concettuale, a partire dal signature dish “uovo di quaglia al palet con spinaci e liquirizia”. Le proposte cambieranno periodicamente, in base alla disponibilità stagionale degli ingredienti e all’estro creativo dello chef Batavia in collaborazione con l’executive chef Dario Parascandolo. Completano l’esperienza una prestigiosa selezione di vini, birre artigianali, soft drink tutti rigorosamente italiani, una proposta di cocktail esclusivi e una gamma di prodotti e marchi Made in Italy, frutto della ricerca compiuta da Nicola Batavia, che li sceglie personalmente per fare del The Egg Nicola Batavia @Hotel Danieli una vera e propria celebrazione del Made in Italy.


LOCHEF Vincenzo Vottero Vincenzo Vottero sarebbe uno spirito intellettualmente libero, scanzonato e ironico, se non fosse per il vincolo mentale che lo lega a 4 passioni della sua vita: l’amata figlia, l’adorata compagna, la moto e la cucina. In quest’ordine, ma praticamente tutte sullo stesso piano. E’ così che diventa vulnerabile e ricattabile. Lo sanno tutti... Consigliabile però non provocarlo: difende con le unghie e con i denti le sue debolezze, anche mentre lavora all’Antica Trattoria del Reno, a Bologna, dove la sua creatività innestata con misura sulla tradizione, si lega alle opere d’arte costantemente esposte nel locale.

Cotocervoletta alla petroniana 2.2 Il concetto sta nel ricreare un piatto della tradizione emiliana come la cotoletta alla petroniana, non solo trasformato concettualmente (il prosciutto diventa croccante per essiccazione e non per cottura e il parmigiano reggiano diventa liquido ma non fuso) ma anche strutturalmente, dato l’impiego di una carne che nell’immaginario dello chef richiama epoche passate, quando la cacciagione era ancora un importante sostentamento per le popolazioni appenniniche, ma che oggi è anche l’unica carne sostenibile, fuori dagli schemi degli allevamenti intensivi. Si tratta di carni con percentuali di grassi al di sotto del 20%, ottenute da abbattimenti programmati e controllati, nell’ottica di un tipo di alimentazione a ridotto consumo carnivoro: oggi, per ragioni di mercato, si mangia continuamente carne di polli che diventano adulti in 14 giorni o di branzini saturi di antibiotici.

ILPIATTO


GOURMETFOOD

GIANLUCA

LEONI

DAL TRIGABOLO AD OGGI, IN BREVE, STORIA DI UN PASTICCIERE CHE HA FATTO UNA GRANDE STORIA di

Maria Chiara Zucchi

Esistono momenti storici in cui è importante trovarsi in quel preciso luogo e in quella circostanza perché si entra a far parte di eventi che ci cambiano la vita. Gianluca Leoni non ha dovuto spostarsi di molto quando l’ex fornaio geniale Giacinto Rossetti l’ha chiamato – giovanissimo, subito dopo la scuola alberghiera a Cervia – a far parte della mitica brigata del Trigabolo di Argenta. Lui abitava a pochi passi dal ristorante, per cui è stato comodo rimanere là e giocare in casa. Ad accoglierlo, alle prime armi come lui, c’erano già Igles

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Corelli, Bruno Barbieri e suo fratello Marcello: in cucina dunque la squadra era praticamente al completo; l’unica possibilità era quella di affiancarsi a Mauro Gualandi, al tempo in pasticceria. La vocazione, quindi, è stata un po’ forzata, indotta proprio dall’obbligatorietà di occupare un posto che impone regole, ritmi di lavoro, di vita, di mentalità e di prassi molto diverse da quelle che vigono tra i cuochi. Classe ’73, primi lavori già a 14 anni, Leoni ha dunque maturato la sua professionalità nel tempo senza mentori particolari, ma provando e riprovando, sbagliando e ricominciando. Certo, doveva andare a imparare da Troisgros, poi, per dirla con Forrest Gump “la vita è come una scatola di cioccolatini: non sai mai quello che ti capita!”, perciò è ancora il caso a decidere di tenerlo inchiodato lì, in quella straordinaria fucina di talenti, d’idee, di rivoluzione che è stato il Trigabolo. Tre anni a macinare soluzioni che dovevano non rasentare ma essere la perfezione in pasticceria, specializzandosi sugli impasti di sfoglia e sui soufflé, e poi Vissani per sei anni, quelli che gli hanno fornito le motivazioni e gli strumenti, la Cassinetta di Lugagnano e l’approdo con il fratello al Sole di Trebbo di Reno, nella periferia bolognese, famoso proprio per la spinta che loro diedero alla ristorazione del capoluogo petroniano. Oggi Gianluca segue la pasticceria e la panificazione del ristorante Casa di Mare, gestito a Forlì dal fratello Marcello insieme al mega sommelier Luca Gardini. I tempi sono cambiati, sono cambiate le esigenze e la sensibilità del pubblico, l’offerta è varia e diversifica-


GIANLUCALEONI

Fa tenerezza la foto del 1984 con i giovanissimi (da destra) Mauro Gualandi, Igles Corelli,

Gianluca Leoni, Bruno Barbieri e Elisa Rossetti.

ta e per il pasticciere Leoni è arrivato il momento di fare qualche bilancio e qualche riflessione. “Fino ad alcuni anni fa la tendenza era quella di realizzare dolci molto zuccherati e piuttosto pesanti. Oggi invece si lavora per sottrazione, quindi una pasticceria meno dolce, meno impegnativa, abbinata a vini con gradazione alcolica e zuccheri sempre più contenuti. Di fatto comunque – continua Leoni – bisogna distinguere tra le creazioni da laboratorio per pasticceria e quelle destinate alla ristorazione. Si tratta di due mondi sostanzialmente diversi e oggi più che mai diversi sono i professionisti che se ne occupano. Il dolce da pasticceria è ancora comunque un prodotto fatto di equilibri rigorosi, di dosi accuratamente bilanciate, di matematica e fisica insieme. Al dolce di ristorante va concessa in-

vece una maggiore libertà, più affine a una creazione gastronomica in senso lato, che alla tipica torta o pasta della domenica”. Schivo e riservato, troppo spesso nascosto dietro la presenza più esposta di suo fratello Marcello, Gianluca non concede molto ai ricordi e poco o niente si troverà su internet circa il suo passato: la sua visibilità passa attraverso le sue creazioni. Di ieri e di oggi. Non possiamo sapere con quale cioccolatino si presenterà il suo domani.

CASA DI MARE - SAN DOMENICO Via Francesco Marcolini, 29 47121 Forlì (FC)

Tel. 0543 20836

www.casadimare.info

osteria@casadimare.info

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GOURMETFOOD

GLI

EVERGREEN

IERI, OGGI, DOMANI: IL PASSATO, IL PRESENTE E I PROGETTI FUTURI DEI RISTORANTI STORICI ITALIANI Ci sono locali e chef che hanno scritto la storia della ristorazione italiana e che tuttora la rappresentano ai massini livelli. Nelle prossime pagine tre compleanni importanti...

40°

RISTORANTE SAN DOMENICO IMOLA

50° RISTORANTE ROMANO VIAREGGIO

30°

RISTORANTE TEVERINI

BAGNO DI ROMAGNA

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GOURMETFOOD

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A VIAREGGIO

ROMANO

È UNA CERTEZZA E UN PRESTIGIO CHE DURANO DA 50 ANNI foto di

Lido Vannucchi

L’insegna era tipica di quegli anni. “Da Romano”, recitava il neon su via Mazzini. Era il 15 aprile del 1966, giusto mezzo secolo fa quando Romano Franceschini aprì il suo ristorante insieme alla moglie Franca Checchi. Lui aveva 22 anni e stava in sala, lei solo 16 e governava la cucina. Lui veniva da Montecarlo, splendido borgo fra Lucca e Montecatini. Lei era una viareggina purosangue. Viareggio era al massimo del suo splendore, capitale delle vacanze del boom economico. Nel 1966 Mario Tobino pub-

blica con Mondadori “Sulla spiaggia e di là dal molo”: è il romanzo di Viareggio, la storia di un borgo di galeotti assediato dalla malaria che diventerà poi capitale del bel mondo. Nello stesso anno è un altro viareggino, il regista Mario Monicelli a dar lustro alla città firmando uno dei suoi capolavori: “l’Armata Brancaleone”. Sono anni in cui a Viareggio tutto è possibile. Ed è quello che intuisce Romano Franceschini quando lascia il babbo contadino e va lì a lavorare, a 16 anni, in una famosa pizze-

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GOURMETFOOD

ria-torteria. Si chiamava Rizieri ed esiste ancora. Ma Romano ha ben altre idee e trova in Franca una grande alleata. Giovanissimi aprono il loro ristorante, mentre aumenta la famiglia: nel 1969 nasce Roberto, poi sarà la volta di Maria Cristina. Intanto anche il ristorante cresce: prendono vita alcuni piatti che negli anni si identificheranno con il ristorante stesso, come nel caso dello spiedino Burlamacco, una brace che viene portata direttamente in tavola con scampi, gamberi, seppie (Burlamacco, va ricordato, è la maschera di Viareggio, quindi viene ulteriormente sottolineata la riconoscibilità del territorio attraverso uno dei suoi simboli). Ma altre sono le proposte che ogni appassionato riconosce come espressione esclusiva di questa storica casa e infatti da oltre trent’anni la maison non può togliere dalla carta i calamaretti ripieni di crostacei e verdure, o gli sparnocchi (mazzancolle in italiano) al miele coi carciofi fritti. E che dire della treccia di sogliola nostrale su letto di patate e tartufo bianco di San Miniato?

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FINOCCHIO

biscotto alle mandorle e sorbetto al lime INGREDIENTI

PROCEDIMENTO

ASSEMBLAGGIO DEL PIATTO

g. 400 di finocchi

qua e zucchero in una busta sottovuoto

di crema di finocchio, sbriciolare il crum-

Per la crema di finocchi g. 150 di acqua

g. 60 di zucchero

g. 30 di cioccolato bianco g. 60 di panna

Per il crumble di mandorle g 100 di burro

g. 100 di farina di mandorle g. 100 di zucchero di canna g. 100 di farina 00

Cuocere i finocchi in uno sciroppo di acper 15 minuti; scolarli e frullarli con la pan-

na e il cioccolato bianco fino ad ottenere una crema omogenea. Far raffreddare.

Per il crumble: impastare tutti gli ingredienti nella planetaria con la foglia,

stendere il composto ottenuto in una teglia e poi cuocere in forno a 170°C per

Preparare un classico sorbetto al gusto di

Per il sorbetto al lime

non raggiunge una consistenza cremosa e

g. 300 di acqua

g. 40 di destrosio g. 60 di glucosio

g. 4 di stabilizzante neutro per gelati

ble, unire un paio di quenelle di sorbetto

al lime e due spicchi di arancia pelata al vivo. Scolare i finocchi e condirli in una

ciotolina con alcune gocce di olio evo e un pizzico di fior di sale. Adagiarli sulla crema

e terminare il piatto con una grattugiata di cioccolato bianco.

18 minuti.

g. 5 di sale

g. 500 di succo di lime

Sul fondo del piatto adagiare uno strato

lime con l’aiuto di una sorbettiera finchÊ compatta.

Pulire i finocchi, tagliarli a lamelle sottili, conservarli in acqua e ghiaccio.

1 arancia pelata a vivo 1 finocchio

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GOURMETFOOD

SFOGLIA “CARAMELLATA” lemongrass e alloro INGREDIENTI

Caramellatura: zucchero filato + pol-

g. 500 di farina

frullando le bucce di arancia).

Per la sfoglia g. 18 di sale

vere di arancia (si ottiene essiccando e

g. 210 di acqua

PROCEDIMENTO

g. 425 di burro

zando 425 grammi di burro per il pa-

g. 75 di burro

Per la crema al lemongrass

g. 300 di crema pasticcera aromatiz-

zata all’alloro (si ottiene mettendo in infusione una foglia di alloro nel latte e nella panna)

g. 180 di panna semimontata g. 3 di essenza al lemongrass g. 4 di gelatina

Polvere di alloro (si ottiene essiccando e frullando delle foglie di alloro).

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Preparare una classica sfoglia, utiliz-

netto. Cuocere a 160°C con zucchero a

velo in pressione tra due teglie per 20 minuti. Stemperare la crema con la ge-

latina e unire l’essenza di lemongrass; a parte semimontare la panna e unirla delicatamente alla crema.

Assemblaggio del piatto

Montare una millefoglie classica, guarnire con dello zucchero filato, la pol-

vere di alloro e di arancia, e petali di viola edibili.

Romano cresce in sala e in cucina, ma anche in cantina. Forse questo è il primo ristorante della Versilia ad andare oltre la classica domanda “bianco o rosso?”. Roberto Franceschini è l’artefice della carta di 1300 etichette (segnalata anche da Wine Spectator tra le migliori in Italia) e della sua gestione; a lui, in sala con il padre Romano, il compito di proporre le bollicine più intriganti da una vasta scelta di Champagne o i Borgogna più particolari, insieme a vini nazionali ed esteri che lui sa selezionare con grande professionalità: personaggio molto noto e premiato dalla sommellerie nazionale, se manca Roberto in sala, manca il pezzo che va a completare una squadra vincente, composta da una famiglia ben ancorata alle proprie radici, che ha fatto di una continuità solida e ben strutturata, il segno distintivo del locale. Accanto alla carta divisa per regioni e denominazioni, c’è un’importante carta dei distillati che racchiude tesori acquistati nel tempo da Romano prima e da Roberto poi, di cui alcuni quasi introvabili. A completare la proposta del dopo pasto troviamo una ricca scelta di caffè, tè e tisane. Romano dunque si afferma con successo in una città dove la concorrenza è spietata, dato che ci sono tre ristoranti con la stella Michelin e malgrado la sua collocazione sia anomala rispetto al classico ristorante di pesce che sta sul porto o in passeggiata. Il vantaggio però è che si trova a due passi dal mercato centrale, dove si comprano il pesce e le verdure fresche e tutti sanno benissimo quanto Romano sia puntiglioso nello scegliere ogni giorno l’eccellenza del pescato, trattando prezzi e qualità con assoluta


RISOTTO

con crostacei e molluschi cotti e crudi, polvere di sparnocchi e bisque di scampi INGREDIENTI per 4 persone

Per la bisque di scampi

di calamaretti, g. 200 di arselle e g. 200

sedano, cipolle e basilico; aggiungere le

g. 250 di riso Carnaroli Superfino, g. 220 di vongole veraci freschissime già spurga-

te, 12 sparnocchi, 12 scampi, 12 gamberi rossi, 12 cicale, 1/2 bicchiere di vino bianco,

1 spicchio d’aglio, peperoncino, olio extravergine d’oliva, sale e pepe, brandy, basilico, sedano, carote, cipolla, pepe in grani.

In un rondeau rosolare un fondo di carote, teste degli scampi e continuare a rosolare

vegetale e far cuocere per circa 8 ore.

comune collinare in provincia di Lucca;

evaporare l’alcool, aggiungere il brodo

Filtrare il liquido ottenuto e far ridurre di almeno un 1/3.

ti togliendo gli occhi e la vescichetta; lava-

tarle per circa un minuto, adagiarle in una

re i crostacei e togliere il filo intestinale.

In una padella fare aprire a fuoco vivo le arselle e le vongole ed estrarle dai gusci.

Lavare le teste degli sparnocchi, sbollen-

teglia e lasciar disidratare in forno a 65°C

fino a completa essiccazione. Frullare il tutto e passare al setaccio.

Mettere sul fuoco un tegame con l’olio

Quando il riso comincia ad essere al den-

cino, far dorare l’aglio per poi toglierlo,

un filo d’olio evo e un cucchiaio di bisque:

extravergine d’oliva, l’aglio e il peperon-

aggiungere i calamaretti, i crostacei, le anime delle arselle e delle vongole veraci. Aggiustare di sale e far rosolare il tutto.

In un tegame tostare con un filo di olio evo il riso e sfumarlo con il vino, ag-

In abbinamento: Il Pagliaio Bianco

Dati sintetici del vigneto di famiglia: Loca-

Per la polvere di sparnocchi

re e pulire le vongole e le arselle, sguscia-

tata di limone e dei germogli di basilico.

a fuoco forte. Bagnare con il brandy, far

PROCEDIMENTO

Lavare e pulire accuratamente i calamaret-

una spirale di bisque di scampi, una grat-

te, aggiungere il pesce e mantecare con adagiare in piatti individuali di portata,

decorare con la polvere di sparnocchi; guarnire con le code dei crostacei crudi,

lità Cercatoia del comune di Montecarlo esposizione Sud-Est; suolo medio impasto; allevamento Guyot; 3000 ceppi per ettaro

Vitigni: 50% trebbiano e 50% suddiviso fra pinot bianco, roussanne e sauvignon

Resa per ettaro: 65 quintali per ettaro, circa 1,5 kg per ceppo.

Vendemmia : manuale conforme alla maturazione delle uve

Vinificazione: fermentazione in acciaio inox a temperatura controllata; affinamento sempre in acciaio inox; maturazione sui lieviti per 5 mesi; malolattica non svolta.

Caratteristiche: colore giallo paglierino chiaro, profumo intenso, fresco, floreale, con una gradevole nota minerale; gusto fresco, sapido, vivace ed equilibrato gradi: 13°; bottiglie prodotte: 3500.

giungere il brodo vegetale; far cuocere dolcemente.

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GOURMETFOOD

IL PICCIONE

il petto arrosto, le coscine farcite di fegato in crosta di nocciole, radicchio tardivo con riduzione di vino alle spezie e patatine INGREDIENTI per 2 persone

In una casseruola far rosolare con un filo

cosce con il fondo di carne, impanarle con

g. 100 di sedano

carote, cipolle e alloro), aggiungere le

Dorare i petti in una padella a fuoco vivo

2 piccioni

g. 100 di carote 1/2 cipolla alloro

rosmarino

2 mazzi di radicchio tardivo 4-5 patatine novelle l. 1 di vino rosso timo

nocciole

bacche ginepro pepe nero olio evo

zucchero PROCEDIMENTO

Disossare il piccione lasciando da parte petti, cosce e fegatini.

Tostare in forno per circa 25 minuti a 220°C le carcasse dei piccioni.

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di olio evo un fondo di verdure (sedano,

carcasse, bagnare con mezzo bicchiere di vino rosso e far evaporare, aggiungere acqua a coprire e far cuocere per circa

18-20 ore aggiungendo acqua all’occorrenza, fino ad ottenere una salsa densa (fondo di carne).

Pulire e lavare il radicchio, tagliarlo a metà

e cuocerlo sottovuoto con il sale, olio ex-

travergine d’oliva, burro a 90°C per circa 15 minuti.

Mondare le patatine novelle, farle a spicchi se sono troppo grosse e metterle a

la granella di nocciole.

con olio extravergine d’oliva, aggiustare con pepe e sale, facendo attenzione a non

cuocerli troppo lasciandoli il più possibile al sangue. Passarli in forno a 200°C per 3 minuti e mantenere in caldo, lasciando riposare la carne per cinque minuti su carta assorbente.

In un pentolino, far ridurre il vino a un terzo del totale con rosmarino, bacche di

ginepro, chiodi di garofano e zucchero, fino ad ottenere una salsa densa e lucida.

cuocere in una teglia da forno con un bic-

ASSEMBLAGGIO DEL PIATTO

ago di rosmarino; aggiustare di sale e di

in due parti, le cosce che avremo finito di

chiere di olio extravergine d’oliva, qualche pepe. Pulire i fegatini accuratamente, tri-

tarli in una padella con un fondo di cipolla e farli rosolare.

Smontare le cosce del piccione, disossarle a tulip e farcirle con i fegatini. Bagnare le

Adagiare nel piatto il petto rosa tagliato cuocere in forno per sei minuti a 180°C, il radicchio bagnato con la riduzione di

vino, le patate al forno. Finire il tutto con

un pizzico di fior di sale e un filo di salsa di fondo di cottura.


competenza e quanto incida questo suo lavoro preventivo sul risultato finale, in cucina. Franca infatti sa tutto del pesce, da brava cuoca viareggina, ma si è sempre aggiornata frequentando i migliori chef del mondo. Risale al 1985, a meno di vent’anni dall’apertura, il primo grande riconoscimento: la stella assegnata dalla Guida Rossa che, dopo trent’anni, mantiene ancora. E nello stesso periodo due personaggi si trovano a cena in via Mazzini: sono Carlo Petrini e Stefano Bonilli. Nasce da Romano - e lo confermerà in un articolo Petrini stesso - il manifesto di Arcigola, che poi diventerà da un lato Slow Food e dall’altro il Gambero Rosso. La guida, edita nella Città del Gusto a Roma, gli assegnerà nel 2004 le Tre Forchette, simbolo dell’eccellenza italiana nella ristorazione. E di Romano e Franca parleranno un po’ tutti i grandi del giornalismo enogastronomico, compresi i mitici critici francesi della Gault & Millau. Ora Franca è affiancata in cucina da tre giovani che l’aiutano, nella tradizione, a mantenere contemporanea la sua proposta gastronomica. I piatti di Franca sono immortalati in un bellissimo libro edito da Gribaudo, dove si scopre che Romano, oltre al pesce, si concede lo sfizio di alcuni grandi piatti di terra, perlopiù toscani. Romano e Franca hanno servito migliaia e migliaia di clienti, dai vip ai semplici appassionati. Da chi cercava una serata intima a chi doveva festeggiare il varo di una nave. Sempre lì, sempre sul posto. A colazione e a cena. E trovi sempre Romano, Roberto e Franca. “Se devo lasciare il ristorante per un qualsiasi evento, preferisco chiudere - spiega il patron - Il cliente che entra

deve sempre trovarmi ad accoglierlo”. Una filosofia di vita e di lavoro che fa capire dove sta il segreto di 50 anni di successi. Perché il talento - come dice il grande attore Sergio Castellitto - non è dato una volta per tutte, ma deve essere curato tutti i giorni.

RISTORANTE ROMANO

Via Mazzini, 122 - Viareggio (LU) Tel. 0584 370507 aperto: sempre

chiuso: il lunedì, mai in estate e novembre

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GOURMETFOOD

A IMOLA

SAN DOMENICO

BASA IL PROPRIO COSTANTE SUCCESSO SU UNA CUCINA BORGHESE, CONTEMPORANEO ANELLO DI CONGIUNZIONE TRA PASSATO E PRESENTE di

Alessandro Rossi

Quella che sto per raccontarvi è una delle storie più affascinati di tutta la ristorazione italiana, perché è la storia del San Domenico di Imola, la vera culla della cucina borghese italiana. Esistono luoghi senza tempo, in grado di regalare sensazioni straordinarie: qui l’orologio si ferma, la pioggia si fa più leggera, il sole splende e determina l’umore. Al San Domenico non si parla, si sussurra. Al San Domenico si entra in punta di piedi per rispetto, per soggezione, per amore di una cucina così lontana, in alcuni casi, dalla contemporaneità, ma così vicina ai nostri desideri che merita di essere affrontata più volte nella vita, con costanza, per un continuo scambio tra presente e passato. Ecco, forse al San Domenico non esiste niente di più contemporaneo del passato.

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UNA STORIA PASSIONALE Il San Domenico viene fondato nel lontano 7 marzo 1970 da Gianluigi Morini, l’ideatore e la mente di questo ristorante. Oltre a Morini figurano nella storia anche Romano Visani, lo chef che, dopo il decollo nel ’70 e le conferme nel ’73, esce dalla società nell’ottobre ’74. Il perché è oscuro: non vi sono notizie al riguardo, tutto rimane dentro le mura del locale. Oltre a Morini e Visani esiste anche Roberto Rocchi, un altro noto personaggio imolese, uscito di scena nel ‘74. Ma torniamo a chi il San Domenico invece l’ha concepito, perché tutto nasce appunto dalla mente fertile e creativa di Gianluigi Morini, estroverso bon vivant, amante del bello, uomo di una precisione maniacale. Morini non era sicuramente un ragioniere, anche se il padre insiste su questa strada facendogli completare proprio questi studi. Ovviamente, come tanti altri piccoli geni che vengono spinti su binari diversi, Gianluigi continua a coltivare la propensione naturale per l’arte mediante attività teatrali da dilettante e una fuga a Roma, dove lavora per qualche tempo al Centro Sperimentale di Cinematografia. Il cinema resta uno dei suoi hobby preferiti, assieme a quello della cucina. Incomincia così a documentarsi sui migliori ristoranti d’Italia e di Francia e matura la convinzione di costruire un proprio locale “su misura”. La sua idea si concretizza verso la fine degli anni ‘60 nei locali della casa paterna: realizza un ristorante di soli undici tavoli, cosa all’epoca molto insolita in Italia. Quelli furono gli anni del miracolo economico italiano e

non poteva esserci momento storico più indicato per avvicinarsi al concetto di cucina che Morini aveva in mente. La genialità di Morini e l’amore per il bello prendono il sopravvento anche grazie alla stretta collaborazione con l’amico di sempre: l’ingegnere Sanzio Cremonini, anche lui esteta e grande arredatore. Con lui le pareti vengono ricoperte di tela di lino; il tessuto decorato William Morris dei soffitti, proveniente direttamente dall’Inghilterra, ricopre anche i paralumi appesi su ciascun tavolo. Arrivano le tovaglie di lino pesante color fucsia, i bicchieri di cristallo Riedel (furono tra i primi ad utilizzarli), l’argenteria di Buccellati o importata direttamente dal Regno Unito, piatti e ceramiche commissionati a Richard Ginori, candelieri imponenti, posate Sambonet ed i grandi vasi colmi ogni giorno di fiori freschi; le sedie e gli arredamenti vengono acquistate da Thonet, Frau e

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GOURMETFOOD

Cassina mentre alle pareti iniziano ad essere esposte opere di grande pregio e valore come Maccari, Angeli, Burri, D’Orazio, Schifano, Sartelli, Gottarelli e tanti altri. Ma come può un ristorante come il San Domenico non investire nelle cantine? Il vino è pur sempre, nell’immaginario collettivo, l’altra faccia del ristorante. Le cantine del ristorante San Domenico sono quelle costruite oltre cinquecento anni fa dai frati domenicani e in breve tempo diventano tra le più belle in Italia: le nicchie vengono riempite con veri e propri tesori dell’enologia nazionale e internazionale, migliaia di bottiglie di annate rare e preziose, i più grandi cru d’Italia e di Francia, ma anche distillati di pregio, in grado di stupire chiunque, anche i più grandi intenditori. E i camerieri? Tutti i camerieri erano in abito confezionato del sarto Consolini di Bologna, mentre le cameriere avevano abito di seta nero, crestina,

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grembiule bianco e giarrettiera. Ogni giorno ed ogni ora aveva una sua musica al San Domenico, commissionata ad un grande artista dei tempi: Piero Buscaroli, critico musicale. Era il 1972. Il successo è immediato: la guida Michelin recensisce il San Domenico nel 1973 e nel 1975 arriva la prima stella. Eppure questo buon inizio a Morini non basta, secondo lui manca qualcosa, un tassello fondamentale che deve essere identificato subito, nel più breve tempo possibile perché lui non vuole perdere tempo. A questo punto della nostra storia arriva la svolta. Morini chiama un amico, ma non un amico qualunque, bensì il più grande scrittore e critico enogastronomico di quei tempi: Luigi Veronelli. Si confronta con lui, gli chiede cosa manca al suo ristorante per fare il salto di qualità definitivo. Siamo nel 1972 e Veronelli fa un solo nome: Nino Bergese.

LA SVOLTA CON BERGESE Ma chi è Nino Bergese? Giacomo (Nino) Bergese è un grande cuoco che vanta una carriera di prestigio nelle cucine di re e potenti italiani e stranieri. Nasce a Saluzzo nel 1904 e diventa cuoco a soli 13 anni. Nel 1917 entra in casa del conte Bonvicino con l’incarico di affiancare lo chef Giovanni Bastone, futuro cuoco della famiglia Agnelli. Durante questo periodo tiene un diario in cui annota le ricette che riesce a carpire e che chiamerà sempre “il mio unico tesoro”. A sedici anni è già aiuto cuoco presso il Conte Costa Carrù della Trinità e ha ospiti famosi: dai sovrani d’Italia a re Fuad d’Egitto, dal duca d’Aosta al duca di Genova. Nel 1926, a soli 22 anni, è primo cuoco dai Wild, una ricca famiglia di


cotonieri. Da allora in poi è tutto un susseguirsi di casate aristocratiche e palazzi borghesi e solo dopo la guerra Bergese abbandona le grandi famiglie per ritirarsi a Genova dove, in Vico Indoratori, un antico carrugio del centro storico, apre il ristorante “La santa”, di cui è proprietario e cuoco. Qui conquista le due stelle della guida Michelin, il massimo riconoscimento, allora, in Italia. Il ristorante diventa uno dei punti di ritrovo della buona cucina, frequentato da personaggi del cinema, della cultura, dell’arte e del bel mondo, oltre che da re e regine. Passa il tempo e Bergese non ha nessuna intenzione di andare ad Imola: ormai si è ritirato, è in pensione e non vuole più sentire parlare nè di cucina, nè di collaborazioni. Ha chiuso. La cosa dunque si complica. Morini continua ad insistere ma nulla si sblocca. Solo una lettera scritta di pugno da lui, su suggerimento di Veronelli, fa breccia nel cuore e nell’animo di Bergese che decide di recarsi ad Imola non solo per vedere il locale, ma per restarci... quasi in silenzio inizia una spledida collaborazione che durerà fino al 1977. Bergese imposta la cucina del San Domenico con lo stile

delle cucine delle grandi case in cui aveva lavorato, scegliendo sempre gli ingredienti migliori e preparando “in casa” tutto, dal pane ai dolci. Uno stile unico ed indelebile per il San Domenico, che ottiene nel 1977 la seconda stella che porterà con sé per 40 anni proprio quest’anno. Ma va detto che le cose non andarono proprio così. Dal 1990 al 1998 il San Domenico perde la seconda stella Michelin. Cosa succede? Perché la critica gastronomica più importante del mondo fa un passo indietro sulla valutazione di un ristorante considerato un tempio della cucina italiana? Esistono ancora oggi tanti punti di vista, tante ipotesi, ma la più accreditata è senza dubbio relativa all’esperienza del San Domenico a New York. Ma questa è un’altra parte della storia che racconteremo tra poco. Adesso dobbiamo occuparci di quel Valentino che era diventato ai tempi il braccio destro e l’esecutore delle idee di Bergese.

L’ARRIVO DI VALENTINO E NATALE Valentino Marcattilii (a destra nella foto con Nino Bergese e il fratello Natale) nasce a Mosciano Sant’Angelo, in provincia di Teramo, nel 1954 e si trasferisce a Imola con la famiglia nel 1960. Arriva al San Domenico nel 1972, un anno prima di Bergese e alla giovane età di 16 anni. Con Bergese collabora per ben 7 anni fino alla morte del suo maestro. Da qui, dalla morte di Bergese, Valentino sente l’esigenza di un confronto sostanziale con molte grandi cucine, soprattutto francesi. Inizia da questo momento una serie di stages presso i più rinomati ristoranti di Francia: nel 1976 l’Auberge de l’Ile, 1977 Troisgros, 1978 Madame Point – La Pyramide, nel 1979 Roger Vergé, come dire il meglio dei fornelli di Francia. Al suo ritorno assume la direzione delle cucine del ristorante San Domenico del quale ora è anche comproprietario. Introduce, per la prima volta nella ristorazione italiana, quella idea di “cucina di casa” che fino ad allora era stata custodita entro le spesse mura delle dimore patrizie. Iniziano così le consulenze e le collaborazioni internazionali presso il Monterey Plaza (California), il ristorante Donatello a San Francisco, il ristorante la Main à la Pâte di Parigi, il ristorante del Palm Bay Hotel a Miami e il Conrad Hilton di Hong Kong, insomma affina perfettamente la sua tecnica e acquisisce un’esperienza quasi unica. Ma la cucina è la cucina ed un ristorante come il San Domenico ha bisogno della sala, soprattutto un ristorante come quello. E proprio qui entra in gioco un altro personaggio chiave: Natale Marcattilii, fratello di Valentino, da

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sempre il maître del San Domenico dove fa la sua prima apparizione nel lontano 8 marzo del 1970. Cos’è un maître di sala? È colui che dirige lo staff del servizio, accoglie i clienti e li consiglia, come se fosse il vero padrone di casa; è l’occhio lungo di casa, colui che decide i tempi e rende l’ambiente caldo ed efficiente. Dice Natale: “I clienti che vengono da noi vogliono assolutamente stare bene. Bisogna necessariamente seguirli, fin dal loro arrivo, per tutto il tempo in cui rimangono al ristorante, con attenzione e serietà ma senza mai divenire invadenti e opprimenti. Loro sono a casa nostra, li accogliamo veramente come ospiti e non co-

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me clienti: la cosa più importante è che si sentano perfettamente a loro agio. L’ospite che si sente un estraneo non tornerà più a trovarci.” Insomma, il San Domenico non sarebbe il San Domenico senza Natale e su questo non ci piove, tanto che ancora oggi il primo ad aprire la porta e l’ultimo a chiuderla è proprio lui.

L’AVVENTURA A NEW YORK La storia del San Domenico è però così incredibile e unica che dobbiamo tornare ancora indietro nel tempo e raccontare quello che successe a New York. Esiste un persona che si chiama Tony May (in alto a sinistra), personaggio chiave per il San Domenico di New York. Tony May nasce a Torre del Greco il 6 dicembre 1937 e all’età di 26 anni, nel 1963, decide di andarsene in America. Sbarcato a Manhattan, inizia a lavorare come cameriere al Rainbow Room, uno dei locali storici più conosciuti, situato nel Rockefeller Center. Nel marzo del ‘64, Tony è già maitre di sala e, quattro anni dopo, direttore del ristorante. Passano dieci anni e ne rileva addirittura la proprietà. Trasforma le sale al 65° piano in un posto leggendario, ripristina una splendida dance room e apre un night che ospita i maggiori jazzisti americani. Nel 1986 apre un secondo locale, il Palio, e due anni dopo, appunto, il San Domenico. Il San Domenico nasce nel giugno del 1988 al 240 di Central South Park e Valentino assume la direzione delle cucine come excutive chef con l’aiuto dello chef Paul Bartolotta. “Wine Spectator” e “Usa Today” lo proclamano tra i 10 migliori ristoranti italiani degli Stati Uniti e tra i 25 migliori ristoranti in America, tanto che a un mese dall´inaugurazione il “New York Times” gli assegna le “tre stelle”, riconoscimento mai dato prima a un ristorante italiano. Nello stesso anno la rivista “Exquire Magazine” lo definì “the best of the year”, il miglior ristorante italiano negli Stati Uniti. Insomma, Tony May si innamora del San Domenico in Italia. È ricco, ambizioso, e lo vuole anche negli Stati Uniti. Lo vuole riprodurre. Tony May non vuole aprire il San Domenico a New York, vuole “il” San Domenico a New York. Cremonini, il creatore dello stile del locale, non viaggia però in aereo e non vuole andare assolutamente a visitare le mura che ospiteranno il ristorante.


FILETTO DI VITELLO

con crema di latte, vodka e guanciale croccante Ricetta di Nino Bergese INGREDIENTI per 4 persone

1 filetto di vitello di g. 800/1000, g. 250 di guanciale stagionato, ml. 200

di vodka, ml. 300 di panna, g. 50 di burro, cipollotto fresco, ml. 100 di fondo di vitello, alloro, pepe nero in grani, burro chiarificato, olio di semi. PROCEDIMENTO

Pulire il filetto e tagliare a pezzetti il cordone esterno e le parti più grasse. Avvolgere il filetto nella pellicola, stringere bene, chiudere sot-

tovuoto e cuocere a bassa temperatura a 58°C per 45 minuti. Togliere dall’acqua, raffreddare e conservare in frigorifero.

Ma Tony May vuole lui e soltanto lui. Non potendo seguire i lavori direttamente a New York decide di ricreare in un capannone industriale, come in un set cinematografico, totalmente e fedelmente il locale di Imola, utilizzando tutti artigiani italiani per poi impacchettare il tutto e spedire negli Stati Uniti. La cosa ha quasi dell’incredibile. Ma il successo è assoluto. Il jet set newyorkese inzia a frequentarlo assiduamente: si chiamano Ronald Reagan, Michael Douglas, Anthony Queen, Luciano Pavarotti, Woody Allen, Harrison Ford, Liza Minelli, Baryšnikov, Nurayew e tantissimi altri. Anche il mafioso John Gotti lo prende come punto di riferimento. Purtroppo la spola tra Imola e New York - anche perché ai tempi i cuochi non eranno, come oggi, sempre in movimento non era considerata corretta dalle guide perché assentarsi dalle cucine voleva dire diminuirne la qualità. Dunque l’esperienza a New York crea una parentesi poco felice per il San Domenico quando la Michelin, nei cinque anni in cui Valentino curò la cucina a New York (ovviamente a periodi) decise di togliere la seconda stella che venne immediatamente recuperata quando l’avventura newyorkese terminò definitivamente. Ma perché terminò? Perché tutte le cose belle prima o poi finiscono, perché non sono eterne e perché ci piace pensare così anche se, ovviamente, sappiamo che alcuni problemi erano sorti, di gelosia soprattutto. Ma noi siamo romantici e vogliamo credere, appunto, che tutto abbia un inizio ed una fine. Morini decide di ritirarsi, stanco anche di una vita sempre in movimento. Nel 2012 lascia tutto in mano a Valentino e Natale. Valentino, però, non lavora più in cucina da solo e neanche Natale apre e chiude le porte da solo. C’è una nuova generazione che sta continuando nella stessa direzione.

In una casseruola scaldare 30 grammi di olio di semi e 50 grammi di burro; quando saranno ben caldi, iniziare a soffriggere gli scarti del

cordone del filetto tagliati a pezzetti con 3 foglie di alloro e 8-10 gra-

ni di pepe nero. Quando saranno abbastanza rosolati, aggiungere il guanciale sempre tagliato a pezzetti e finire di rosolare. Togliere la parte grassa in eccesso, spostarsi dal fuoco ed aggiungere la vodka.

Far evaporare la parte alcolica ed aggiungere la panna. Far bollire per

10 minuti, aggiungere il fondo di vitello e filtrare. Regolare di sale e pepe nero e conservare in caldo. A parte sbianchire una julienne di guanciale ed aggiungerla alla salsa.

Scaldare il filetto nella busta sottovuoto in acqua a 55°C. Aprire la bu-

sta, asciugare il filetto e rosolarlo bene in una padella molto calda col burro chiarificato. Tagliare il filetto a medaglioni e finire con la salsa.

Guarnire con cipollotto fresco arrostito in padella o in alternativa con cipolline borretane in agrodolce.


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IL FUTURO SI CHIAMA MAX Valentino e Natale hanno trovato un degno erede per il prossimo futuro: il nipote Massimiliano Mascia. Il suo percorso inizia a soli 14 anni: per 5 anni, fino al diploma alberghiero, alterna la presenza in cucina con gli studi e, terminata la scuola, inizia i suoi viaggi con lo scopo di ampliare le proprie conoscenze su materie prime, tecniche e sapori. La formazione è tra le migliori: scuola alberghiera “Scappi” a Castel San Pietro Terme dal 1997 al 2002, nel 2003 vola a New York da Michael White, nel 2004 è al Mulinazzo da Nino Graziano, nel 2005 a Viareggio al ristorante Romano, nel 2006 Vissani, nel 2007 Bastide Saint Antoine a Grasse dallo chef Jacques Chibois e nel 2009 a Parigi, al Plaza Athenee presso Alain Ducasse. Oggi Massimiliano rappresenta la nuova generazione del ristorante nonché un segno di continuità nell’innovare e nel rinnovarsi, conservando allo stesso tempo solide radici nella tradizione gastronomica italiana.

Dice Massimiliano: “Negli Stati Uniti ho imparato a lavorare a ritmi sempre elevati e ho compreso l’importanza dell’organizzazione del lavoro. In Francia ho approfondito la tecnica di cucina e ho percepito il grande valore della storia e della cultura gastronomica. In Italia ho studiato attentamente la materia prima, una materia prima che non ha eguali nel mondo per livello qualitativo. La nostra è una cucina del territorio – intesa soprattutto come ricerca delle migliori materie prime ottenute nel loro ambiente ideale – in continua evoluzione, con nuove tecniche al servizio della tradizione. Per me il rispetto della materia prima e della stagionalità sono elementi essenziali e costituiscono la base di partenza nel processo di elaborazione di ogni piatto”. Oggi il San Domenico è ancora uno dei grandi simboli dell’alta cucina italiana , un tempio ancora solido. Piatti come il pasticcio di fegato, l’uovo in raviolo, la sella di vitello “Nino Bergese” e la torta fiorentina saranno per sempre simboli di un’Italia gastro-

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ASTICE BLU ALLA PAPRICA con ravioletti di branzino INGREDIENTI per 4 persone

poco burro l’astice leggermente infarina-

branzino cruda, 1/2 scalogno tritato fine,

fumetto di pesce o brodo vegetale q.b.,

deglassare con il Cognac fare evaporare

e ben strizzata, 1 cucchiaio di parmigiano

4 astici bleu di circa g. 500, 1 bicchiere di 1 bicchiere di buon cognac, g. 50 di burro, g. 100 di passata di pomodoro ben filtrato, farina, l. 0,5 di crema di latte, g. 100 di olio d’oliva, paprika piccante. PROCEDIMENTO

Scottare in acqua bollente per 4 minuti gli astici possibilmente quando ancora vivi, scolarli e raffreddarli immediatamente in

acqua fredda. Liberare la polpa della co-

da, delle chele e delle zampe dal carapace. In una casseruola ben calda rosolare in

to (e non salati) per 2 minuti a fuoco vivo, stando attenti alla fiamma, unirvi la polpa di pomodoro, la paprika, la crema di latte

e il fumetto, togliere l’astice e tenerlo al

g. 50 di mollica di pane imbevuta nel latte reggiano, 1 tuorlo d’uovo, sale, pepe e noce moscata, erbe miste tritate.

caldo, fare ridurre la salsa fino a che sia

PROCEDIMENTO

tenerla al caldo.

un robo-coupe o al coltello, aggiungervi il

vagamente cremosa, aggiustare di sale e Tagliare le code a piacere e servire in piat-

ti individuali con la salsa, accompagnando con ravioletti.

Per i ravioletti di branzino

g. 200 di pasta fresca, g. 200 di polpa di

Tritare finemente la polpa di branzino in

tuorlo d’uovo un pizzico di noce moscata, le erbe, la mollica di pane il parmigiano

reggiano e lo scalogno, aggiustare di sale e pepe e amalgamare il tutto, formare dei ravioletti piuttosto piccoli.

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nomica che vanta una lunga storia. Al San Domenico sono passati e si sono formati tanti professionisti oggi famosi come Perbellini, Michael White, Paul Bartolotta, Danilo Aissa, Masako Okamoto, oltre al maître di sala Renato Rizzardi. La cucina, come il vino è destinata a seguire cicli temporali, ma questo tipo di cucina, ora con l’avvento di Massimiliano Mascia, non tramonterà mai. La dissoluzione della cucina borghese non è ipotizzabile, anzi ci piace pensare che possa evolversi senza snaturare se stessa. Oggi entrare al San Domenico e trovare Valentino, Natale e Massimiliano pronti a ripetere quei piatti che hanno fatto e faranno anche in futuro la storia di un’Italia che può sfidare ai fornelli chiunque, significa perpetuare un sogno possibile. Perché il San Domenico è un luogo dove il tempo si ferma e non vorresti ripartisse più.

UOVO IN RAVIOLO “SAN DOMENICO”

con parmigiano dolce, tartufo di stagione e burro nocciola di malga Ricetta di Valentino Marcattilii INGREDIENTI per 4 persone

8 dischi di sfoglia per tagliatelle tirata molto sottile e del diametro di circa cm. 15 l’uno, g. 100 di spinaci ben lessati, tartufo bianco a piacere, g. 100 di burro di

panna, g. 100 di parmigiano reggiano grattugiato, g. 150 di ricotta di pecora, 5 uova, noce moscata, tartufo, sale e pepe, alcuni fogli di carta da forno. PROCEDIMENTO

Tritare finemente gli spinaci e amalgamarli con la ricotta, 50 grammi di parmigiano, un uovo intero; aggiustare di sale, pepe e noce moscata. Adagiare 4 dischi di pasta su altrettanti fogli di carta oleata.

Dividere in 4 parti uguali il ripieno formando al centro di ogni disco un pozzetto a fontana entro il quale verrà adagiato un tuorlo d’uovo con un poco dell’albume, facendo attenzione che il tuorlo non si rompa. Aggiustare il sapore con un pizzico di sale (se si utilizza un sacchetto da pasticceria è meglio).

Inumidire i bordi della pasta con un goccio d’acqua, prendere i restanti dischi e adagiarli sopra i primi 4. Chiudere il tutto cercando di eliminare completamente l’aria dalle conchiglie così ottenute. Rifilare i bordi se è necessario.

Tuffarli in acqua bollente salata con la carta per evitare che si rompano, togliere la carta e fare cuocere per 2 minuti; scolarle e scodellarle dentro piatti individuali; affettare il tartufo bianco e ricoprire con il restante parmigiano.

Nel frattempo fare sciogliere a fuoco vivo il burro rimanente facendogli assumere un bel colore nocciola; versarlo sulle uova e servire immediatamente.

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TORTA FIORENTINA

Ricetta di Valentino Marcattilii

INGREDIENTI per 4 persone

PROCEDIMENTO

di farina, g. 150 di burro morbido, g. 50 di

circa. Stendere la pasta e ricavarne 3 rettangoli oppure 3 dischi dello spessore di circa mezzo

Per la pasta frolla al cioccolato: g. 250

cacao amaro, g. 70 di zucchero semolato. Per la crema al cioccolato: g. 200 di zuc-

chero fondente amalgamato con g. 50 di cacao amaro.

Amalgamare la farina con il burro, lo zucchero e 50 grammi di cacao; fare riposare 30 minuti centimetro. Cuocere al forno a 160°C su fogli di carta oleata. Fare raffreddare.

Adagiare un disco di pasta frolla su un cartone portadolci e stendervi uno strato di crema, poi

adagiare un altro disco di pastafrolla e un altro strato di crema (l’ultimo strato deve essere senza la crema). Riempire con crema eventuali buchi ai bordi, porre in frigorifero.

Nel frattempo sciogliere a bagnomaria lo zucchero fondente con i restanti 50 grammi di cacao

(se troppo denso diluire con un poco di rhum). Porre la torta su una griglietta, colarvi lo zucchero ben sciolto e ricoprirla completamente. Fare riposare per 10/15 minuti.

Guarnire la torta con foglie di menta fresca ed eventualmente con foglie d’oro. Accompagnare con salsa profiterole.

RISTORANTE SAN DOMENICO Via Sacchi, 1 - 40026 Imola (BO) Tel. 0542 29000

www.sandomenico.it

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A BAGNO DI ROMAGNA

PAOLO TEVERINI

FESTEGGIA I SUOI 30 ANNI NEL SEGNO DELLA CONTINUITÀ Bagno di Romagna da anni ospita, in Via del Popolo 2, il Ristorante Paolo Teverini, inserito nel contesto dell’Hotel Tosco Romagnolo. Ancora oggi citato nelle più rinomate guide enogastronomiche del Paese, di recente ha ricevuto un cappello nella guida de l’Espresso che ne esalta in particolare “l’impeccabile anatra allo spiedo in doppio servizio e la cantina monumentale”. Riceve il riconoscimento “Corona Radiosa” sulla nuova guida “Il Gatti Massobrio” e anche quest’anno, per il trentunesimo anno, ha visto la sua carta dei vini ottenere il massimo punteggio sulla guida del Gambero Rosso.

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GNOCCHI DI SEPPIA farciti alle vongole INGREDIENTI

gelare in un vaso per pacojet. Lavare le

5 centimetri. Riempire un altro stampo

kg. 1 di vongole poveraccie

solo tempo necessario per aprirsi. Colare

ma del diametro di 4 centimetri, riempirlo

g. 500 di seppia

g. 200 di pomodori pelati prezzemolo tritato 1 spicchio di aglio

g. 12 di colla di pesce

g. 40 di olio extravergine d’oliva sale

pepe

cialde di pane toscano essiccate PROCEDIMENTO

Pulire la seppia togliendo anche le pellicina esterna in maniera che rimanga com-

pletamente bianca. Tagliarla a pezzetti, aggiungere sale e pepe e metterla a con-

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vongole poi cuocerle in casseruola per il il succo ottenuto e metterlo da parte. Sgu-

sciate le vongole. Tritare finemente l’aglio

e farlo rosolare con l’olio. Aggiungervi i pomodori pelati e passati al setaccio, unirvi il succo delle vongole e fare cuocere per 5 minuti. Aggiungere le vongole, il

prezzemolo e la colla di pesce precedentemente ammollata in acqua fredda. Fare

cuocere ancora per 2 minuti. Aggiustare di sale e pepe. Passare nel pacojet la seppia cprecedentemente congelata e

farla ridurre in una fine crema. Con que-

sta seppia farcire degli stampi in silicone con forma di semisfera del diametro di

di silicone sempre con forma semisferica casseon la salsa alle vongole e fare congelare. Quando saranno ben dure toglierle

una ad una dallo stampo ed inserirle nella polpa di seppia dello stampo precedente. Pressare bene e ripiegare il composto che fuoriesce sulla parte superiore della salsa

di vongole. Si otterranno delle semisfe-

re dal colore bianco della seppia con un cuore rosso per il colore della salsa alle

vongole. Mettere gli gnocchi ottenuti in un recipiente da forno e cuocere in forno a vapore a 80°C per 8 minuti circa. Porre

gli gnocchi al centro di un piatto fondo e decorare con le cialde di pane.

“Riconoscimenti che fanno piacere ovviamente – spiega lo Chef Paolo – in particolare oggi, anno in cui celebro i 30 anni dall’apertura del mio Ristorante, avvenuta nel 1986. Le sfide sono state tante e sempre stimolanti, ma con la passione sono ancora qua con tanti progetti in mente e nuovi piatti da far scoprire”.

CAPPESANTE

arrostite su crema di piselli INGREDIENTI per 4 persone

con 40 grammi di olio, aggiungere i piselli

kg. 1 di piselli freschi

temente. Portare a ebollizione e far cuoce-

8 grosse cappesante già pulite fogli d’oro zecchino g. 30 di cipolla

g. 50 di olio evo

piccoli germogli sale

pepe PROCEDIMENTO

Separare i piselli dalla loro buccia. Lavare

le bucce e metterle in una casseruola con

2 litri di acqua, aggiungere un pizzico di sale. Far cuocere per 30 minuti. Filtrare il

brodo ottenuto e metterlo da parte. Tritare

la cipolla e farla rosolare in una casseruola

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e coprirli con il brodo ottenuto precedenre per circa 10 minuti e comunque fino a

che i piselli siano cotti. Mettere i piselli con il brodo di cottura in un frullatore e frullare

fino ad ottenere una crema fine. Passarla al

setaccio e sistemarla di sale. Ungere una padella antiaderente con il restante olio e porvi le cappesante ben asciutte. Far rosolare poi girarle dall’altro lato. Devono assumere un bel colore di arrostitura, ma rimanere succose al centro. Mettere in un

piatto fondo due cappesante, porre sulla

parte superiore di ognuna una pezzetto di foglia d’oro. Mettere nel piatto la crema di piselli e decorare con germogli.


PAOLO TEVERINI UNA VITA RICCA DI PRIMATI

Oggi i punti Gourmet guidati dallo Chef presso la struttura dell’Hotel Tosco Romagnolo si differenziano in tre proposte: oltre al ristorante a buffet, lo chef dirige il ristorante Pret a Porter che propone una carta di piatti principalmente legati

Lo Chef Paolo Teverini vive e lavora a Bagno di Romagna, località a cavallo tra Romagna e Toscana e cuore del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, nota per le sue antichissime terme romane. Da giovane, dopo gli studi presso l’istituto tecnico commerciale, sceglie di frequentare la scuola alberghiera nel settore cucina, il che lo porterà ad esser premiato come Miglior Allievo nell’anno 1970. Comincerà una prima parte della sua carriera in varie località della penisola per poi approdare all’Hotel Tosco Romagnolo come responsabile di cucina. La sua presenza porterà sul territorio una innovativa concezione della gastronomia, non più solo attenta alla tradizione, ma ispirata soprattutto alla costante innovazione attraverso la ricerca artistica della qualità e degli accostamenti. Il successo e il valore della sua cucina lo porteranno, nel 1982, ad aggiudicarsi la stella Michelin, riconoscimento che lo Chef manterrà per 33 anni consecutivi. Sarà proprio il ricevimento della stella, nonché la necessità di ampliare il ristorante dell’Hotel non più sufficiente a ospitare gli ospiti desiderosi di assaporare i suoi piatti, che condurrà lo Chef a decidere di aprire il proprio ristorante nel 1986, adiacente alla struttura dell’ Hotel Tosco Romagnolo. A 30 anni dall’apertura, oggi il locale è moderno, dal sapore antico, raccolto e riservato nel contesto che lo ospita. Anche quest’anno premiato per la migliore carta dei vini e segnalato in molte guide enogastronomiche fra i primi posti delle classifiche culinarie, il Ristorante Paolo Teverini riconferma il suo ruolo di ambasciatore di una cucina italiana orgogliosa della propria identità e della propria levatura.

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SCAMONE DI CHIANINA

grigliato alla senape e frutta secca con patate al tartufo nero INGREDIENTI per 3 persone

PROCEDIMENTO

g. 40 di senape

tartufo grattugiato ed olio extravergine d’oliva; frantumarle finemente con una forchetta.

g. 600 di scamone di Chianina femmina g. 20 di noci

g. 20 di nocciole

g. 20 di pistacchi

g. 20 di mandorle g. 20 di pinoli

g. 350 di patate

g. 50 di tartufo nero

olio extravergine di oliva sale

pepe

Lavare e cuocere a vapore le patate. Una volta cotte, pelarle e condirle con sale, pepe, Tenerle in caldo. Tostare per 3 minuti la frutta secca in forno a 180°C poi tritarla con un

coltello. Tagliare in quattro pezzi lo scamone in modo da ottenere 4 rettangoli di cm. 2,5x8 con un’altezza di 4 centimetri.

Ungere la carne con olio e cuocerla alla griglia. La cottura deve essere al sangue. Fare

riposare al caldo la carne per 3 minuti poi rifilare i lati lunghi in maniera da mettere in evidenza il punto di cottura. Spalmare la superfice con senape e su questa mettere la frutta

secca. Mettere al centro di un piatto un pezzo di carne e ai due lati estremi mettere le patate dando la forma di cubi della stessa altezza e larghezza della carne. Porre sopra ogni cubo di patate una fetta di tartufo.

alla tradizione con menù a partire da 23 euro, e il Paolo Teverini, che invece continua a contraddistinguersi per la ricerca e l’innovazione, basandosi costantemente sulla lavorazione delle migliori materie prime che territorio e regioni possono offrire stagione per stagione. “La voglia di mettersi in gioco, a fronte delle nuove sfide che la ristorazione nel 2017 mi propone, resta alta. Raggiunto questa bellissima tappa, riparto per tante altre storie da raccontare attraverso la mia cucina.

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RISTORANTE PAOLO TEVERINI Via del Popolo, 2

47021 Bagno di Romagna (FC) Tel. 0543 911260

www.paoloteverini.it info@paoloteverini.it



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MATTEO LORENZINI PORTA A FIRENZE UNA CUCINA DI ACCUDIMENTO SENTIMENTALE DELLA MATERIA PRIMA di

Alessandra Meldolesi Lido Vannucchi

foto di

Primi anni ’80, museo romano: Carlo Maria Mariani stacca dal muro il neon dell’arte concettuale e appende al chiodo dell’estetica la sua tela, dipinta a olio su legno con la pennellata dei grandi maestri d’autrefois. L’artigianalità del gesto e la riflessione sulla bellezza nel tempo ispirano studiosi come Maurizio Calvesi, che teorizza la corrente dell’Ana-

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cronismo, Italo Musso, che scrive di Pittura colta, e Italo Tomassoni, teorico dell’Ipermanierismo. Come ipermanierista appare oggi qualche giovane cuoco, che coglie nell’anacronismo l’energia della provocazione, tornando al rigore della forma e della tecnica di esecuzione contro la “tradizione del nuovo”. Quella coazione a inventare che ha smontato un pezzo dopo l’altro il grande edificio della cucina classica. Matteo Lorenzini è stato probabilmente il primo, quando ancora un fondo faceva storcere il naso. “Perché sono sempre stato innamorato della Francia e dei suoi grandi cuochi, sognavo Ducasse e Robuchon come i miei coetanei appendevano i poster di Messi e Del Piero”. Da un anno rende loro omaggio al Se.Sto on Arno, ristorante gastronomico del We-


MATTEOLORENZINI

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stin di Firenze, di cui cura anche i piccoli eventi in una saletta da cui si gode la vista più bella di Firenze, mentre il servizio in camera e le colazioni sono appannaggio di un’altra cucina. Con lui 12 cuochi (fra cui i pasticcieri Luca Tempestini e Simone Dimotta), in parte ereditati dalla precedente gestione di Entiana Osmenzeza, volata al Gurdulù, in parte pescati da altri indirizzi prestigiosi della città. Una squadra insolitamente folta e addestrata per uno chef di appena 31 anni, per la prima volta in condizione di servire una cucina complessa e compiuta anche grazie alle capacità di spesa di una grande struttura. Le ambizioni sono importanti, l’occasione probabilmente irripetibile.

“I MIEI AMORI: LA CUCINA E LA BOXE” Accomodato sul divanetto viola vista Arno, Lorenzini racconta come ci è arrivato: “Ero un bimbo irrequieto e l’unico modo per tenermi fermo era mettermi a legare gli arrosti o tirare i pici.

A Siena però non c’era l’alberghiero, quindi ogni giorno dovevo alzarmi prima delle sei e tornavo alle quattro di pomeriggio. Nel frattempo ho iniziato a fare boxe, in tutto 7 anni di cui 3 a livello agonistico, da peso welter. Ho smesso perché era incompatibile con la cucina: ricordo che andavo a gareggiare nelle pause di giornate lavorative da 14 ore. Alla seconda sconfitta consecutiva ho appeso i guantoni, anche se ogni tanto torno ad allenarmi. Perché amo la sfida con me stesso: salire i quattro gradini che separano il ring dal resto del mondo resta uno dei ricordi più belli della mia vita. È stato un cuoco da cui ho lavorato a contagiarmi. Mi parlava dei ristoranti francesi, dei luoghi dove era nata la grande cucina. Cosicché il mio fine è diventato lavorare al Louis XV, ma per realizzarlo sono stati necessari una serie di passaggi. Per due anni ho affiancato Gaetano Trovato da Arnolfo, un grande artigiano che ha cominciato da zero trent’anni fa e che interpreta tuttora a meraviglia la nouvelle cuisine. È stato lui ad alzare la cornetta per sottoporre la mia candidatura a Frank Cerutti, chef di Ducasse, che però non mi considerava ancora pronto, quindi ha suggerito che io passassi per un po’ da un cuoco che era stato in brigata, Frédéric Garnier a Saint-Paul-de-Vence, per imparare il francese e soprattutto le basi. Quando sono arrivato mi sentivo fortissimo invece sono ripartito da zero, perché nonostante uno stage da Perbellini era tutto un altro mondo.

LA SVOLTA CON DUCASSE Finché un giorno non mi è arrivata una lettera molto cerimoniosa griffata Louis XV e firmata Ducasse con il lasciapassare per Montecarlo. Un piccolo traguardo, in realtà un punto di partenza. Nel corso di tre anni scarsi ho visti

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MATTEOLORENZINI

tanti ragazzi arrivare e poi partire; come tutti ho iniziato dal garde-manger, dove qualsiasi dettaglio era una spia delle mie attitudini: come appoggiavo il tagliere sul piano, sistemavo il cestino della spazzatura oppure allineavo i coltelli. Perché è da queste cose che nasce il rigore per affrontare una carota o una pièce de veau. Lucidavo il rame, pulivo l’insalata, poi ho fatto il giro delle brigate, finendo chef de partie alle carni e ai pesci. Quando lo chef Pascal Bardet se ne è andato, in tanti come me hanno scelto altre strade. La mia conduceva alle Crayères di Philippe Mille, dove mi sono fermato per un anno. Le differenze erano enormi con Ducasse, più essenziale, spontaneo, meno geometrico; anche se io cerco di mettere più tecnica nel piatto. Diciamo il 50%, come il prodotto. Ho iniziato a farlo alle Tre lune con Ilaria di Marzio e Tommaso Verni: c’era questo ristorante bello in campagna, con un affitto favorevole, e ci siamo buttati. Abbiamo messo sul tavolo 3000 euro a testa, comprato 600 euro di pentole all’Ikea ed è arrivata subito la stella Michelin”. Dopo un passaggio al nuovo Mandarin di Antonio Guida e qualche puntata in Oriente, il bandolo è tornato in mano un anno fa a Firenze. “Ma la mia cucina non è cambiata. Ho sempre creduto che certe cose non potessero passare di moda, la musica classica come la cucina francese, anche se tutti andavano in pellegrinaggio in Spagna. Quando sono arrivato al Louis XV, per prima cosa mi sono seduto nell’acquario dove mangia Ducasse, assistendo alle danze della brigata. E sono rimasto scioccato da quel che resta il piatto della mia vita: le verdure al tartufo nero, con gli ortaggi liguri ‘risottati’, cioè glassati nel fondo bianco, l’Aceto Balsamico e l’olio da olive taggiasche. Una tecnica che uso anch’io, perché l’acqua lava l’ingrediente. I fondi che preparo sono gli stessi di Ducasse:

GRANCEVOLA rape bianche, spuma di yogurt greco al coriandolo INGREDIENTI per 4 persone

e condirla con creme fraiche, vodka, sale,

g. 40 di caviale Asetra, cream fraiche,

zioni formando 4 cilindri con l’ausilio di

Per il granchio: 4 grancevole di g. 400,

yuzu, vodka neutra, 1 radice di zenzero di g. 80 circa, 3 rami di finocchio secco, sale, pepe.

Per la garniture: g. 40 di mela verde tagliata in allumettes, g. 50 di rapa bianca

crudo, sale, olio extravergine d’oliva, coriandolo tritato.

Per la spuma: g. 300 di centrifuga di Na-

vet, g. 80 di mascarpone, g. 78 di yogurt greco, coriandolo fresco tritato, yuzu, suc-

co di limone, g. 3 di sale Maldon, 2 capsule per sifone.

pepe e yuzu; suddividerla in quattro por-

uno stampo e adagiarvi sopra 10 grammi di caviale per porzione.

Per la spuma: ridurre sul fuoco il succo

di rape bianche a 27°C. Portare a tempe-

ratura ambiente. Incorporare lo yogurt e il mascarpone e mescolare con l‘ausilio di una frusta; passare allo chinoise.

Condire con lime yuzu e sale maldon e

aggiungere il coriandolo fresco tritato finissimo. Inserire nel sifone da l. 0,5 e

caricare con 2 capsule. Raffreddare in acqua e ghiaccio.

PROCEDIMENTO

ASSEMBLAGGIO

in abbondante acqua salata aromatizzata

verde e la rapa bianca precedentemente

Per il granchio: cuocere le grancevole con zenzero, pepe nero e finocchio secco

per 9 minuti. Raffreddarle e decorticarle, preservando il carapace.

Ripulite la polpa da eventuali cartilagini

Disporre al centro del carapace la mela condite con sale, olio, pepe e coriandolo. Adagiarvi sopra il cilindro del granchio.

Disporre attorno al cilindro la spuma di yogurt.

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GOURMETFOOD

fondo bianco, consommé, jus di vitello e di pollo, fumetto di astice e sampietro, nage di molluschi… Poi magari la finitura delle salse cambia. Non uso panna, al massimo poca crème fraîche, burro di Normandia, perché il nostro è un sottoprodotto della casearia, e olio ligure o del Garda. Le verdure arrivano dal mercato di Novoli, le carni da quello di San Lorenzo; capesante, ostriche, astice blu e foie gras dalla Francia; il granchio dalla Norvegia”.

IL VIAGGIO CULINARIO Il risultato si fa gustare nel menu Sesto, con 4 portate a 90 euro, e nel nuovo Gusci, composto di 7 portate a 120 euro, che concretizza una vecchia intuizione. Carapaci, conchiglie e cocotte lutée aiutano a individuare il protagonista unico del piatto, entro il quale sprofonda la lama dell’elaborazione, senza salse appannanti. Ma corrispondono anche a una tecnica di cottura, improntata al massimo rispetto dell’ingrediente, per così dire implosiva, con l’accento sui profumi e un accudimento sentimentale della materia: si parte dal prodotto, con i connotati in evidenza, e vi si torna al termine del viaggio culinario. Rispetto al passato la cucina

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si è fatta più leggera, nervosa e mediterranea, neoclassica anziché pedante nella variazione-citazione di salse e abbinamenti codificati; soprattutto ha guadagnato in definizione gustativa, con una padronanza spavalda dell’acidità attraverso mix di aceti o agrumi. Il capitolo dei primi piatti in particolare è stimolante, quasi un veicolo per ritrovare l’Italia senza dover uscire dal paradigma francese. La carta dei vini è in progress, con aperture sul fronte naturali per spiazzare la grandeur; il pane arriva da David Bedu. Nel guscio sono servite le ostriche, glassate al burro e alghe, servite con perle di consommé alla tapioca e blanquette di porri, adagiate su un letto di trucioli di ciliegio, timo e pepe in grani per la componente olfattiva; oppure il riccio con royale al corallo di astice, emulsione di finocchio selvatico e finger lime, che spinge al massimo sapidità e acidità. Sublimi i cannolicchi marinati con lime, burro e acqua di vongole, scottati ed emulsionati con uova di salmone, serviti nella cornice di bambù che riproduce il guscio con cipolle cotte in acqua di vongole, succo di agrumi e salsa di soia, perle di barbabietola all’aceto di riso e yuzu, finferli, erbe e zeste. Piatto bilanciatissimo, dal gioco di testure incantevole, che mette a frutto la lezione orientale. È invece intriso di crudeltà nordeuropea l’osso da midollo farcito di tartara iodata alla soia e katsuobushi, royale del midollo stesso, dalla consistenz a quasi di maionese, salicornia e caviale siberiano al posto del classico

tuorlo: nel rispetto delle consistenze, un’esplosione di mineralità su veicolo grasso. Delicatissimo il granchio cotto à la nage, condito con crème fraîche e limone, poi servito nel suo guscio con brunoise di daikon e mela verde, spuma di yogurt greco, yuzu, coriandolo ed estratto di daikon, un anello di gelatina di sedano e caviale osietra. Ma c’è anche la classica scaloppa di foie gras di oca servita nella foglia di fico con radici cotte sottovuoto, sotto sale, al cartoccio, acini e fichi al sugo di agresto: profumi esplosivi e cotture millimetriche. I primi piatti, allora. Per esempio le pappardelle ripiene di paté di fegatini, glassate in un condimento di fondo bianco, jus di pollo, pasta di limoni sotto sale e aceto di Sherry, poi arrotolate a nastro sul piatto attorno a un tentacolo di polpo arrostito in padella. Un concentrato di Toscana fresco e profondo, antico e nuovo. L’astice blu, sbollentato, immerso nel burro nocciola a 50°C e arrostito, piacevolmente nervoso, viene servito con jus de la presse al suo corallo e lemongrass, indivia alla pasta di pompelmo e ravanelli allo zucchero di canna. Ma l’apoteosi è la lièvre à la royale in due servizi, che alleggerisce leggermente il modello di Ducasse. Prima la terrina cotta dentro stampi a forma di pietra preziosa nel tartufo nero pregiato, vero diamante della terra, poi la lepre, banco di prova di ogni chef classicheggiante, glassata come una torta da scaffale, potente nella congiunzione di ematico, maiale e rigaglie. Fin quasi a ritrovare il genius loci nella prossimità al biroldo e alla norcineria al sangue: una Toscana infiltrante, indiretta, preterintenzionale. Chiudono le finte noci di cioccolato e caffè con gelatina di whisky, che rinnovano i piaceri dell’after dinner.


MATTEOLORENZINI

NOCI DI MASCARPONE E CAFFÈ pere al cognac e namelaka al Dulcey INGREDIENTI

Per le meringhe al caffè: 100 albumi, 50

Per le pere al Cognac:

Montare tutti gl`ingredienti assieme fino a

roppo 1 a 1, g. 10 di

caffè, g. 100 di zucchero

formare una meringa ferma. Stendere su

carta forno e cuocere in forno a 70°C per una notte.

Per la ganache Dulcey: g. 150 di panna, g. 375 di Dulcey.

Bollire la panna e versarla sul cioccolato,

mescolare con una spatola di gomma fino a fomare la ganache.

Stendere su placche e congelare. Frantumare in piccoli pezzi irregolari.

Per le noci di mascarpone e caffè: g. 80 di cioccolato Araguani, g. 300 di mascar-

pone, g. 120 di panna montata zuccherata, g. 3 di caffè in povere.

Lavorare il mascarpone e il caffè con una frusta. Aggiungere la panna montata zuc-

2 pere, g. 100 di sciCognac.

Ricavare dalle pere dei dischetti di 2 centimetri di diametro e 0,5 centimetri di altezza.

Unire il co-

gnac allo sci-

roppo e met-

terlo sottovuo-

to insieme alle

pere. Cuocere

a vapore per 5

minuti a 95°C. Raffreddare.

cherata in 3 volte aiutandosi con una spa-

Per le noci sabbiate:

noci con il cioccolato temperato e farcire

g. 20 di acqua, g. 60 di zuc-

tola di gomma. Foderare lo stampo delle con la crema al mascarpone e caffè. Congelare e sformare. Conservare il frigo.

Per il sorbetto alle pere: g. 250 di pere, g. 125 di acqua, g. 125 di zucchero.

g. 50 di gherigli di noci, chero.

In un pentolino fare uno sciroppo

con acqua e zucchero. Metterci le noci e continuare a girare fino a sabbiarle.

Formare uno scriroppo con acqua e zuc-

Per il crumble di noci: g. 40 di farina no-

sbucciate e tagliate a pezzi regolari. Met-

di farina 00.

chero. Raffredare e aggiungere le pere tere il composto in un Pacojet, congelare e pacossare.

Per le gelé al Cognac: g. 20 di Cognac,

ci, g. 30 di burro, g. 30 di zucchero, g. 30

Amalgamare tutti gli ingredienti insieme, stenderli su carta forno e cuocere a 160°C per 10 min circa.

g. 90 di acqua, g. 30 di zucchero, g. 2 di

Montaggio del Dessert

Far bollire acqua e zucchero. Aggiungere

far ammorbidire. Aggiungere il crumble

colla di pesce.

la colla di pesce precedentemente am-

mollata in acqua fredda. Aggiungere il Cognac e raffreddare in frigo. Mettere in un sac-a-poche.

Mettere il cremoso al Dulcey sul piatto e

alle noci, le noci sabbiate, le pere al co-

RISTORANTE SE.STO ON ARNO Piazza Ognissanti, 3 - Firenze Tel. +39 055 27151

gnac e le meringhette al caffè. Aggiunge-

Fax: +39 055 2715 2821

quenelle di sorbetto alle pere.

info@sestoonarno.com

re le finte noci e finire il dessert con una

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GOURMETFOOD

MONTERREY CAPITALE GASTRONOMICA DEL MESSICO AMBASCIATORE LO CHEF

GUILLERMO

GONZÁLEZ BERISTAIN di

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Flavia Tomaello


GUILLERMOGONZÁLEZBERISTAIN

Lo chef messicano Guillermo González Beristain ha scelto la zona di Monterrey, ora polo culinario finalmente sotto i riflettori. La principale caratteristica del messicano Guillermo González Beristain, nato a Ensenada, Bassa California, Messico, è quella di allontanarsi dal profilo di eroe o di artista con cui gli chef dell’America Latina vengono rappresentati negli ultimi tempi. Per lui lo chef è un lavoro come gli altri, “come chi decide di diventare medico o sacerdote”, ripete ogni volta. Questo però non ne toglie la magia, infatti pensa che sia stata la cucina a scegliere lui e non il contrario. “Mio padre, l’estate in cui avevo quattordici anni, mi obbligò a cercarmi un lavoro: mi presentò una serie di opzioni e, tra tutte, scelsi il ristorante di un amico di famiglia”, ricorda. “Dopo soli tre anni avevo assolutamente deciso e iniziai a studiare gastronomia”. Approfittando degli appena 80 km che separano la sua città con la frontiera statunitense, si iscrive alla facoltà di Amministrazione Alberghiera presso il MesaCollege di San Diego, dall’altra parte del confine. Gli ottimi risultati fanno sì che il titolare della cattedra insista affinché continui gli studi e si iscriva al Culinary Institute of America di New York. Detto fatto, due anni dopo conclude gli studi con il massimo dei voti: “Per me si tratta della migliore scuola di cucina del mondo”. Inizia a questo punto un giro europeo che lo porta a collaborare con ristoranti stellati come il Jaún de Alzate a Madrid, Le Divellec a Parigi e il Table Gourmand a Strasburgo. Riesce tuttavia ad accumulare esperienze anche dall’altra parte dell’oceano, lavorando presso Le Meridien di Coronado, California, al Troutbeck di New York o al Wine SellarBrasserie di San Diego.

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GOURMETFOOD

NASCE LA CUCINA DI MONTERREY Nel 1998 apre Pangea, il suo primo ristorante, nientemeno che a Monterrey, una città messicana che storicamente non si era mai distinta a livello gastronomico... L’obiettivo? Salvare l’essenza della cucina messicana utilizzando ingredienti a “kilometro 0”, prodotti in quella zona. Ma senza esserne un fondamentalista. “Faccio in modo di usare il più possibile ingredienti locali, ma senza abusarne, infatti preferisco usare un ingrediente migliore che viene da un altro luogo se questo rende il piatto più gustoso”, spiega. “Quando ero giovane, ogni volta che mi trovavo a festeggiare una ricorrenza speciale, lo facevo sempre in un ristorante di cucina francese, italiana o spagnola, mentre adesso cinque dei migliori ristoranti del Paese si basano sulla cucina nazionale”, riporta con orgoglio. “Qui la comunità è molto chiusa, attaccata a una cultura conservatrice restia alle novità, riconosce lo chef. Ma quando arrivano a darti fiducia, vuol dire che gli sei entrato nel cuore”, aggiunge.

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Uomo dallo spirito inquieto, Guillermo González Beristain sperimenta senza sosta nuove alternative alla tradizione. La Catarina, aperto nel 2000, è specializzato in cucina messicana di alto livello. Due anni dopo, ha aperto il Genoma, ambiente retròmoderno di cucina latina. Nel 2006 il Genoma Xpress e la gelateria La Vía Láctea. Nel 2007 ha contribuito al salvataggio del locale El Tío, il ristorante di maggiore tradizione culinaria di Monterrey, con l’obiettivo di portare ancora più in alto la gastronomia regionale della zona nord del Messico. La sua passione per il vino e soprattutto per il vino messicano lo hanno spinto nel 2005 a lanciare sul mercato una propria marca di vini, Mariatinto y Celesteblanco, produzione nella quale si rispecchia la ricchezza della sua terra.


GUILLERMOGONZÁLEZBERISTAIN

I RISTORANTI DEL GRUPPO Nel 2006 apre le sue porte il Bistro Bardot (semplice cucina francese) e nel 2008 segue il Chino Latino (cucina messicana con un tocco orientale). La voglia di sperimentare di González Beristain non ha freni: nel 2009 entra in gioco La Félix (cucina messicana urbana) e nel 2012 La Embajada (sempre cucina messicana, ma stavolta gourmet). Nel 2013 Vasto inizia a offrire cucina rustica mediterranea col forno a legna e nel 2016 arriva un nuovo locale de La Félix nella zona del centro commerciale Nuevo Sur. González Beristain è il responsabile del rilancio della città di Monterrey nella mappa gastronomica mondiale. Di fatto il suo ristorante principale, il Pangea si è piazzato al 12° posto dei 50 Migliori Ristoranti dell’America Latina nel 2015. Lo chef messicano riconosce che questo premio sia stato molto importante, anche perché il ristorante non si trova in una tipica destina-

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GOURMETFOOD

zione turistica. “Ciononostante, non cuciniamo per le classifiche; il nostro impegno è diretto piuttosto verso ogni cliente, che può anche non conoscere queste classifiche”, spiega. I premi, tuttavia, non hanno mai smesso di arrivare: il quotidiano messicano El Universal lo ha considerato uno dei dieci migliori chef del paese e, ancor prima di compiere i quarant’anni, la rivista Expansión l’aveva eletto come una delle “trenta promesse dei 30 anni”.

PANGEA

Av. Bosques del Valle 110-B, Bosques del Valle

“Il successo di uno chef ha le sue radici nella solidità: aprire un ristorante, riempirlo durante i suoi primi mesi di attività e preparare una buona cena è facile. La difficoltà è portare avanti questo impegno tutti i giorni per oltre quindici anni”, conclude González Beristain.

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66250 San Pedro Garza García, NL Messico

Tel. +52 81 8356 5612

www.grupopangea.com



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A SCUOLA DI CUCINA

Dopo l’esperienza a MasterChef Italia, il Cannibale dimostra una serie di piatti che connotano la sua capacità di armonizzare con gusto colori e sapori.

A SCUOLA DI CUCINA CON

MICHELE CANNISTRARO foto di

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Andrea Amadori


MICHELECANNISTRARO

FRIGGITELLO con datterini e tagliatelle di calamaro INGREDIENTI per 4 persone g. 300 di datterini

8 peperoni friggitelli 2 calamari

1 spicchio d’aglio

1 cucchiaio di capperi 4 acciughe sott’olio origano q.b.

sale affumicato pepe

peperoncino fresco

IMPIATTAMENTO

olio d’arachidi per friggere

il friggitello. Pepare e guarnire con del timo fresco.

olio evo

timo fresco

In una fondina disporre prima l’intingolo, con un coppa pasta inserire le tagliatelle e adagiarvi sopra

PROCEDIMENTO

Per l’intingolo di datterini alla marinara: fare un battuto di capperi, aglio, pepe-

roncino e acciughe e rosolare il tutto per qualche minuto. Unire i datterini, cuocere fino a ridurre del 50%.

Frullare con un mini-pimer, poi inserire l’origano fresco. Tenere da parte.

Per le tagliatelle di calamaro: pulire il calamaro, privarlo dei tentacoli e delle interiora; con il coltello aprirlo a metà seguendo la linea bianca laterale e ricavare delle tagliatelle molto fini.

Porre sul fornello una padella antiaderente

con poco olio evo e spadellare per un minuto a fuoco molto vivace. Salare, pepare e condire con del timo fresco.

I friggitelli: friggerli in olio d’arachidi e

aciugarli con la carta assorbente. Salarli solo al servizio con del sale affumicato.

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A SCUOLA DI CUCINA

CARNAROLI alle quaglie con cipolle rosse caramellate al Porto e menta INGREDIENTI per 4 persone g. 300 di riso carnaroli 2 quaglie

1 cipolla di Tropea

g. 200 di parmigiano g. 80 di burro sedano carota

cipolla bianca

ml. 100 di vino Porto

ml. 100 di vino bianco 1 cucchiaio di miele menta

PROCEDIMENTO

Pulire le quaglie, ricavare e tenere da par-

te i due petti. Tostare la rimanenza in una

casseruola con olio evo, poi unire il seda-

no, la carota e la cipolla bianca; sfumare con il vino bianco e cuocere per almeno

un’ora continuando a schiumare le impurità. Dopo un’ora togliere le quaglie dal brodo, spolparle, tenere da parte la polpa, filtrare il brodo e rimetterlo sul fuoco. Tostare il riso con la cipolla bianca, sfumare con del vino bianco, unire la polpa e continuare a risottare con il brodo di quaglia.

Tagliare a julienne la cipolla di Tropea, metterla in tega-

me con olio evo a fuoco dolce. Dopo 10 minuti unire il vino Porto e un cucchiaio di miele; cuocere

fino a quando non sarà caramellato. Condi-

re i petti con olio e pepe, rosolarli dalla parte della pelle per 2 minuti, girarli e cuocerli per altri 2 minuti.

A cottura ultimata del riso, mantecarlo con del burro e parmigiano.

Impiattare il riso in un piatto pia-

no, adagiarvi al centro il petto scaloppato e la cipolla caramel-

lata in modo casuale e decorare

con menta fresca.

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MICHELECANNISTRARO

IN COLLABORAZIONE CON

MANTECATO DI PISELLI con capesante piastrate e guanciale chips

INGREDIENTI per 4 persone

Tagliare il guanciale a rettangoli e, nel-

g. 200 di parmigiano

li croccanti, quindi asciugarli nella carta

g. 300 di piselli 12 capesante

g. 100 di guanciale olio

pepe di Sichuan

1 cipolla di Tropea

la stessa padella, rosolarli fino a renderassorbente. Alla base del piatto porre il

mantecato, poi le capesante e il guanciale chips; spolverare con del parmigiano e pepe di Sichuan.

ml. 20 di vino bianco secco ml. 50 di brodo vegetale PROCEDIMENTO

Per il mantecato di piselli: imbiondire la cipolla tagliata a brunoise e il guanciale

tagliato a cubetti, unire i piselli, sfumare

con del vino bianco secco. Unire il brodo vegetale e cuocere per 5 minuti. A cottura ultimata mettere i piselli in un frullatore

ghiacciato (conservare in frigorifero per mezz’ora). Frullare il tutto con il parmi-

giano e unire a filo il suo brodo; filtrare al

colino, salare e pepare. Spadellare le capesante per pochi minuti a fuoco alto con

del burro e un filo di olio evo (all’esterno devono rimanere croccanti).

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GOURMETFOOD

TIRRENO C.T. E BALNEARIA

A CARRARA FIERE L’EVENTO DI RIFERIMENTO PER L’OSPITALITÀ Dal 19 al 22 febbraio 2017 tornano a Carrara Fiere Tirreno C.T. e Balnearia, i due grandi appuntamenti di riferimento per l’ospitalità. Tutto per gli alberghi, locali pubblici, ristorazione e anche il meglio per l’ospitalità in spiaggia. I due importanti eventi, promossi da Tirreno Trade, attireranno nei padiglioni della fiera gli oltre 50 mila qualificati operatori del settore provenienti da tutta Italia, che avranno l’oppor-

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tunità di incontrare centinaia di espositori negli oltre 35 mila metri quadrati dello spazio fieristico. Assommano a 37 le candeline per Tirreno C.T., la fiera dedicata alle ultime novità nel settore delle forniture per alberghi, ristoranti, bar, pasticcerie, gelaterie e strutture ricettive in generale dove si potranno trovare dalla tecnologia delle aziende costruttrici di macchinari per ristorazione, caffetteria


TIRRENOC.T.

e produzione di alimenti, a quelle per le forniture di arredi e complementi per le attività di ricezione. Insomma, una vera e propria occasione per scoprire in anteprima il meglio dall’Italia in una prospettiva mondiale, vista la forte presenza di espositori stranieri che ancora una volta hanno scelto questo appuntamento come uno dei più attesi nel nostro Paese. Dal pane alla pizza, dai prodotti lavorati e semilavorati per la cucina alle forniture alberghiere, passando per la gelateria e la pasticceria. Un’intera area dedicata al caffè e alle innovazioni del settore grandi impianti. Inoltre ampio spazio alle aziende dell’agroalimentare. Per questo, ogni anno Tirreno CT si riconferma un format fieristico unico nel suo genere in grado di catalizzare innovazioni, soluzioni e tendenze per tutto il mondo della ristorazione e dell’ospitalità a 360 gradi. Balnearia, giunta invece alla sua diciassettesima edizione, porterà nei padiglioni della fiera i protagonisti dell’intero comparto. Nelle tre macrocategorie, il Salone espone il meglio dell’intera filiera delle soluzioni da esterni, delle tecnologie, del complemento; dal progetto al prodotto, dal progettista all’impresa, per spiagge e piscine, per spazi esterni privati e pubblici per un settore, quello del turismo balneare, che ogni anno riguarda 30 milioni di persone con un indotto di dimensioni così estese da essere difficilmente calcolabile. www.tirrenoct.it - www.balnearia.it

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ILFOCUSDIALESSANDROMAGNUM

a cura di

Alessandro Rossi esperto di vino, bon vivant, fondatore del Premio “Dire Fare Sognare”

QUALI ABBINAMENTI CIBO/VINO? NESSUNO OBBLIGATORIO, L’IMPORTANTE È LA QUALITÀ DELLE ETICHETTE Abbinare i vini alle pietanze è un delicato equilibrismo dove le pochissime regole esistenti, di fatto, non garantiscono di per sé il successo in quanto le variabili da prendere in considerazione (per esempio le portate servite, il loro ordine di entrata, gli ingredienti, le annate dei vini scelti, ecc..), sono tantissime. Il “punto di bevuta” del consumatore italiano si è evoluto molto in questi ultimi anni; il vino per l’Italiano medio non è più una moda o un’esigenza alimentare, ma è cultura. Fino a dieci anni fa i vini più bevuti erano vini rossi, oggigiorno le bollicine ed i vini bianchi hanno assorbito un’altissima percentuale dei vini consumati a tavola e non, quindi non spaventatevi se vedrete, per esempio, delle bollicine consigliate su pietanze anziché a fine pasto. L’importante è l’estrema qualità dei vini scelti, perché un vino abbinato in maniera sbagliata o di qualità non eccelsa, potrebbe rovinare tutto ciò che di buono è stato fatto in cucina. Esistono comunque alcune semplici regole per gli abbinamenti di base: • Si consiglia di cominciare con i bianchi giovani e di crescere man mano verso bianchi più strutturati, successivamente servire vini rossi giovani per poi spostarsi anche in questo caso su vini più maturi ed importanti. • Una regola da seguire nell’abbinamento cibo/vino è quella dell’equilibrio dei sapori; infatti si consiglia di abbinare a piatti con elevate acidità vini di elevata acidità, questo perché in caso contrario il vino non riuscirebbe a sostenere il piatto, mentre su piatti più dolciastri si consigliano vini con una vena maggiormente aromatica e dolce. Per i piatti tendenti al salato, invece, si consiglia un vino con una chiusura meno acida e con un punto di dolcezza maggiore.

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• I piatti con un determinato peso specifico organolettico devono essere abbinati a vini di eguale portata, infatti un piatto delicato come può essere un primo alle verdure, merita di essere servito con un vino bianco giovane, non troppo importante, mentre una grande carne sicuramente meriterà di essere accompagnata da un grande Brunello di Montalcino, per esempio… Ricordiamoci sempre comunque che “prima di un grande vino, c’è una grande bottiglia” , quindi la conservazione, il bicchiere e le temperature di servizio non vanno trascurate. I BICCHIERI DA VINO L’importanza del bicchiere da vino, nella sua forma e capienza, è fondamentale per un’ottima degustazione perché ogni vino ha caratteristiche organolettiche differenti: è quindi fondamentale trovare il giusto strumento che le esalti. Le forme sono essenziali perché regolano l’apporto di ossigeno all’interno del bicchiere e anche il punto di caduta del vino sulla lingua, oltre alla quantità. La forma del bicchiere, inoltre, deve esaltare l’aroma, l’armonia del vino e non i difetti. Solitamente per i vini bianchi e rossi freschi d’annata si consiglia l’uso di un calice di dimensioni abbastanza ridotte per esaltarne gli aromi primari. Per i vini bianchi importanti, magari con apporto di legno, il calice utilizzato è più panciuto, per avere una maggior ossigenazione. Per i vini rossi importanti la portata della pancia del bicchiere è fondamentale per garantire una grande ossigenazione, una buona roteazione e per permettere al vino di schiudersi e di liberarsi da eventuali riduzioni da ossigeno e sensazioni volatili. LE TEMPERATURE DI SERVIZIO Altrettanto importante è la giusta temperatura di servizio. Oggi-


ILFOCUSDIALESSANDROMAGNUM

giorno siamo abituati a bere vini rossi troppo caldi e vini bianchi (o bollicine) troppo freddi. Anche qui esistono varie correnti di pensiero, ma probabilmente la più esatta è quella francese, dove le temperature dei vini rossi tendono ad essere leggermente sotto la media; sui vini bianchi più importanti qualche grado sopra la media mentre sulle bollicine dipende dal millesimo, la maison e la tipologia. In base a tutto ciò le indicazioni di massima sono le seguenti: - bollicine (spumanti e champagne) : circa 8-9° C - bianchi d’annata: circa 12° C - rossi d’annata : circa 14° C - rosati e frizzanti : circa 10-11° C - bianchi importanti o da invecchiamento : circa 13-14° C - rossi di medio corpo : circa 15-16° C - rossi importanti e da invecchiamento con strutture importanti: circa 17-18° C - vini passiti e muffati : circa 9-10° C ANTIPASTI O PIATTI D’ENTRATA A BASE DI PESCE O VERDURE Vini consigliati: vini sicuramente secchi, vinificati in acciaio e con una spiccata acidità : Soave, Vermentino (Sardegna o Liguria), Chardonnay o Sauvignon Alto Atesini, Pagadebit di Romagna, Falanghina, Verdicchio. SALUMI Vini consigliati: vini “sgrassanti” a bacca rossa principalmente, ma con un’elevata acidità; anche in questo caso sono preferibili vini senza affinamento in legno : Vini a base Sangiovese ma giovani (es. Sangiovese di Romagna Superiore, Morellino di Scansano, Chianti Classico), Dolcetto e Barbere Piemontesi, Lambrusco (preferibile se di Sorbara), Bollicine non millesimate (es. Franciacorta Brut o Metodi Classici non troppo impegnativi). PIATTI GRASSI (fegati d’oca o Pâtés) Vini consigliati: vini aromatici/tardivi con alto potere pulente: Gewürtztraminer (Francesi o Italiani ma vendemmie tardive…), Sauternes, Barsac, Vini passiti dolci in generale ma tendenti al secco. CROSTACEI Vini consigliati: in questo caso l’abbinamento ideale sarebbe con le bollicine, oppure con vini bianchi con una buona sapidità e mineralità : Metodi Classici Italiani di spessore, Champagne anche millesimati, Arneis di Roero, Verdicchio dei Castelli di Jesi, Vermentino di Gallura, Fiano di Avellino, Chablis, Riesling Austriaci o Tedeschi. PRIMI PIATTI ASCIUTTI AI SUGHI DI CARNE Vini consigliati: è ideale spostarsi su rossi di media struttura,

anche con un’evoluzione in legno: Montepulciano d’Abruzzo, Sangiovese di Romagna Superiore, Pinot Nero (Alto Adige e Francia su tutti), Morellino di Scansano, Chianti Classico, Aglianico (Campania o Vulture), Cannonau di Sardegna, Nero d’Avola. PRIMI PIATTI ASCIUTTI AI SUGHI DI PESCE Vini consigliati: in questo caso con il pesce consiglio di prosegue con vini bianchi secchi e di media struttura: Friulano del Collio, Carricante, Soave Classico Superiore, Pinot Bianco Alto Atesino. BRODI DI CARNE Vini consigliati: in questo caso proseguirei con vini bianchi secchi dalla buona mineralità, bollicine di media struttura, ma anche con qualche rosso non troppo impegnativo : Prosecco di Valdobbiadene Brut, Metodi Classici Italiani non millesimati, Friulano del Collio, Carricante, Soave Classico Superiore, Pinot Bianco Alto Atesino, Sangiovese di Romagna, Pinot nero d’annata, Schiava. SECONDI A BASE DI PESCE Vini consigliati: i vini consigliati sono bianchi di media struttura, non troppo ricchi e addizionati di legno, ma con un’elevata sapidità e mineralità : Soave Classico, Pigato Ligure, Verdicchio di Matelica o dei Castelli di Jesi, Riesling, Chablis. SECONDI A BASE DI CARNE Vini consigliati: in questo caso dipende tutto dallo spessore delle pietanza e dei condimenti, dividerei quindi i vini proposti in due fasce; medio corpo e vini importanti. Vini di medio corpo Barbera d’Alba, Nebbiolo delle Langhe, Chianti Classico, Rosso di Montepulciano, Rosso di Montalcino, Pinot Nero,Rosso di Montefalco, Aglianico del Vulture, Rosso Conero. Vini importanti Brunello di Montalcino, Chianti Classico Riserva, Barolo, Barbaresco, Roero, Amarone della Valpolicella Classico, Vini Sardi a base Cannonau, Bovale o Carignano, Aglianico del Vulture Riserva, Sagrantino di Montefalco, Morellino di Scansano Riserva, Sangiovese di Romagna Riserva. DOLCI SECCHI O AL CUCCHIAIO Vini consigliati: non è consigliabile abbinare bollicine secche, ma vini frizzati dolci leggeri oppure vini passiti : Moscato d’Asti, Passito di Pantelleria, Albana Passita, Recioto di Soave, Vin Santo Toscano. DOLCI AL CIOCCOLATO Vini consigliati: Recioto della Valpolicella, Sagrantino di Montefalco Passito, Barolo Chinato.


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CHAMPAGNEDELL’AUBE

CHAMPAGNE DELL’AUBE

LA ZONA PIÙ A SUD TRA LE CINQUE AREE DI PRODUZIONE OFFRE ETICHETTE AFFASCINANTI. L’IMPORTANTE È GIUDICARLE SENZA PREGIUDIZI. di

Marco Tonelli

Non so se ci sia qualche reale connessione con le bolle, ma la Côte des Bar, quell’unità che misura la pressione delle bollicine durante la spumantizzazione – i bar, appunto- ce l’ha addirittura nel proprio nome. Ce l’ha al pari di quei pregiudizi – al secolo, chiacchiere da bar- che individuano questa zona come quella in cui si producono champagne di serie b. Lo sciovinismo enologico francese pare non risparmiare neppure i propri simili, quelli, per intenderci, che producono champagne fuori dalla zona classica. La Côte des Bar tuttavia fa parte di un territorio più ampio, situato 150 Km a sud di Reims, chiamato Aube, che comprende anche Montgueux e un piccolo vigneto tra la Cote de Sezanne (zona a sud della Cote des Blancs) e Villenauxe-la-Grande. “Terroni”, li definirebbero alcuni

in virtù della collocazione geografica, mentre altri invece apostroferebbero questi vini più come “terreni” o addirittura “terragni”, perché da queste parti la vigna, anche in un vino tecnico come lo champagne, incide ancora molto rispetto alle fasi di cantina. Lo dimostra la terra, qui differente da quella della zona classica, perché più simile a quella di Chablis, anche se non mancano quei terreni più pesanti di matrice argillosa. A questo si aggiungono esposizioni sempre diverse e boschi dall’essenziale funzione termoregolatrice tanto nei mesi caldi quanto in quelli freddi, oltre a una forte connotazione varietale. Sui circa 8000 ettari di estensione dell’Aube, l’80% delle uve appartiene alla varietà Pinot Nero. La prevalenza di questa tipologia va attribuita, peraltro, anche a una lunga disputa nelle au-

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le dei tribunali che, all’inizio del ‘900, mise di fronte i vigneron della Marna con quelli dell’Aube, relativamente alla questione se far o meno rientrare questi ultimi nella Champagne viticola. Nel 1926 la situazione trova una soluzione, tanto che i cugini diventano fratellastri - la consanguineità può ancora aspettare, diranno i produttori della Champagne con la lettera maiuscola - e si assiste alla specializzazione dell’Aube a suon di Pinot Nero. Via il Gamay, grappolo fino ad allora qui piuttosto diffuso, a tutto vantaggio di quel vitigno, sempre a bacca nera, che talvolta nella zona nobile della Champagne mostra, specie in annate fredde, una maturazione capricciosa con tutto quello che ne deriva. Da quell’iniziale destinazione di bacino di approvvigionamento

del Pinot Nero persino da parte delle grandi maison, l’Aube ha sviluppato un’attitudine propria: quella di produrre champagne di vigna e non solo di cantina. La scelta ha presupposto il rimanere - in tutti i sensi - con i piedi per terra; meglio ancora se pulita. In tanti hanno deciso di abbandonare la chimica in vigna. Quando? In tempi non sospetti. Quali? Gli stessi, inizio anni ‘80, in cui la maggioranza dei produttori per ‘green’ intendeva la tonalità del denaro derivante dalla vendita di champagne prodotto a partire da una logica del “più velocemente lo produco e prima lo posso vendere”. Le ragioni di questa inversione di tendenza sono le più disparate. Dalle ortodossie, con tanto di profezie non poi del tutto campate in aria, di Jean-Pierre Fleury, alla realtà di un’af-

VOUETTE & SORBÉE CUVÉE FIDÈLE EXTRA BRUT Nonostante questo produttore pensi che sui suoi terreni, geologicamente affini a quelli di Chablis, cresca meglio lo Chardonnay, la sua etichetta più solida è quella composta esclusivamente da Pinot Nero. Sa di ribes, lampone e, nel finale, spezie piccanti. Un profilo teso e sapido compensa ampiamente una bolla un po’ grossa (importato in Italia da Moonimport, www. moonimport.it).

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fezione allergica ai prodotti chimici contratta negli anni ’70 da Jacques Beaufort, che da lì in poi converte le proprie vigne di Ambonnay e quelle che aveva piantato, con le stesse proporzioni varietali, a Polisy (Aube). I piccoli vigneron ragionano spesso su quantità contenute, che quindi riescono a gestire secondo queste dinamiche da pollice verde, ma tuttavia pare che da queste parti anche le cantine più grandi - parlo in questo caso di dimensioni - sembrano aver recepito il messaggio che lo champagne dell’Aube, per distinguersi, deve avere un link gustativo con il terroir. Anche in cantina la scelta produttiva spesso presuppone una gestione old school, con fermentazioni spontanee e utilizzo di legno. La fatica qui sembra quasi avere più valore della tec-

MARIE-COURTIN ELOQUENCE EXTRA BRUT BLANC DE BLANCS Produttrice molto preparata dal punto di vista della viticoltura biodinamica, che da vita a uno Chardonnay (piante molto giovani) molto affilato nonostante l’utilizzo di legno. Manca un po’ di complessità, sin dai profumi, perché il vino ha un carattere tutto spostato su note di pirazina e agrumi. In bocca la musica non cambia, anche perché la profonda nota marina, combinata con le sensazioni agrumate, tipiche dello Chardonnay, porta il vino ad avere una chiusura amara. Gli serve tempo da spendere in bottiglia. (distribuito in Italia da Soavino, www.soavino.com)

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nica, ma se poi la tecnologia fornisce progresso ma non reale sviluppo, tanto vale, come accade nell’Aube, fare le cose come una volta. Anche le aziende più strutturate concordano con questa filosofia, come testimonia Drappier, che effettua la seconda fermentazione nei grandi, alle volte grandissimi (producono anche il Melchisédech da 40 litri), formati senza utilizzo, come ormai di prassi in champagne, del travaso: pratica molto più semplice e meno faticosa. Il risultato di tanto lavoro è spesso uno champagne dalla personalità vinosa e non solamente effervescente. I lustrini non sempre ci sono, anche se spesso nelle etichette prodotte nell’Aube si riscontra un gusto vero, spesso caratterizzato da quelle nervosità acide che alle volte non si risolvono mai del tutto, ma altre volte rappresentano un passpartout per i lunghi invecchiamenti. Alcuni, assaggiando gli champagne dell’Aube, li apostroferanno come grezzi, ma non fateci caso: sono solo chiacchiere da bar...

COMTE DE MONTAIGNE BRUT

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70% di Pinot Nero - 30% di Chardonnay. Blend di due annate. Riposa 36 mesi e oltre sui lieviti. La struttura rimane comunque gentile, merito di note di arancia e mandarino che rendono questo champagne molto versatile. Il finale gode di quella sapidità, anche in questo caso mai preponderante, che dona a quest’etichetta slancio e persistenza gustativa. Per un aperitivo corposo ma non pesante. Distribuzione: Comte de Montaigne Italia srl - www.champagnecomtedemontaigne.com - Tel. 02 36554046

DRAPPIER GRANDE SENDRÉE 2008

FLEURY EXTRA BRUT BOLERO 2005

Prevalenza di Pinot Nero per un vino che prende il nome da un incendio (cendrée letteralmente significa incenerito; il cambio di consonante riporta a un errore di trascrizione) che colpì l’appezzamento di terreno da cui continua a derivare questo vino. In prima fermentazione parte della massa fermenta in legno. Rimane sui lieviti per almeno 7 anni. Profuma di frutta gialla e spezie. Il sorso è vinoso ma alleggerito da una bella sapidità. Da provare più a tavola che in solitario. (importato in Italia da Partesa, www.partesa.it)

Fanno tanti champagne, dalla fine degli anni ’80, tutti prodotti in biodinamica. Esempio di come il carattere della zona di produzione (Courteron ha terreni piuttosto pesanti con buona dose di argilla) si riesca a fondere con la finezza che deve sempre accompagnare uno champagne che si voglia definire tale. Bolero è solo Pinot Nero che sa di agrumi, frutta secca e sale. Ama la tavola, carni bianche comprese. (importato in Italia da Teatro del Vino, www.teatrodelvino.it)

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FRANZHAAS

FRANZ

HAAS

E IL SUO PINOT NERO D’ALTA QUOTA di

Antonietta Mazzeo foto di Niko Boi

55 ettari vitati in provincia di Bolzano, distribuiti nei comuni di Egna, Montagna e Aldino, a partire da un’altitudine di 240 metri fino a raggiungere i 1.150, nelle migliori esposizioni al sole e con una grandissima variabilità di microclima e di terreno, dalla sabbia porfirica, all’argilla, fino a terreni ad alto contenuto di calcare.

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anni di storia, 7 generazioni con la stessa passione per la vite, con lo stesso identico nome per tutti i maschi: Franz Haas! Qui la qualità assoluta “...è un obiettivo difficile da raggiungere, ma è fondamentale perseguirla con passione“. Volontà, carisma, tecnica, conoscenza e ambizione, concorrono ad esprimere la peculiarità del vino, dando vita a bottiglie di assoluto valore, che rappresentano il carattere, la personalità e tutte le potenzialità del territorio. Vini profumati e con una spiccata acidità, data anche dalla buona escursione termica ed alle quattro ore di sole in più al giorno, garantite dagli impianti “in quota”. Ne sono testimonianza le produzioni da Pinot Nero, da Lagrein, classico vitigno sudtirolese, da Cabernet e Merlot (taglio bordolese dell’Istante), il Pinot Grigio, il Muller Thurgau, il Pinot Bianco, il Gewürztraminer, l’aromatico autoctono Moscato Rosa. E ne è portavoce il vino capostipite che ha introdotto il concetto di cuvèe in Alto Adige, il Manna (il cui nome è un omaggio alla moglie Luisa Manna), ottenuto da una miscelazione tra Riesling, Chardonnay, Sauvignon e Traminer. Libero di decidere dove piantare e dove coltivare, innamorato del suo lavoro, Franz Haas - produttore lungimirante e ambizioso, affiancato dalla moglie - guida caparbiamente la cantina dal 1989, dopo un conflitto generazionale con il padre, che portò al drastico cambiamento mediante viti a bassa resa e, grazie all’aumento della densità dei vigneti da 6000 a 12500 viti per ettaro.

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Con questo nuovo metodo nella Valle dell’Adige è riuscito a ottenere risultati a cui arrivano soltanto alcuni grandi cru della Borgogna, ed i vini hanno acquistato quella longevità che è uno degli elementi distintivi della cantina. L’Enfant terrible, il Pinot Nero, la sua grande passione, un vitigno difficile: solo ai più capaci è consentito ottenere grandi risultati. Per lui, Franz ha sfidato il sistema della politica e della burocrazia, cieca e sorda, anche di fronte a evidenti risultati: in Alto Adige le temperature sono adatte a questo vitigno, ma manca l’esposizione solare. È questo il motivo per il quale Franz Haas ha cominciato a coltivare in alta collina. Non è stato semplice ottenere questa possibilità perché le leggi locali non consentivano di coltivare vigneti oltre i mille metri di altitudine, ma oggi i risultati dimostrano che la scelta di impiantare viti a quelle altitu-

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la possibilità alle generazioni future di vedere ancora campi fioriti.

dini era la strada giusta per conseguire l’obiettivo. L’ultimo vigneto di Pinot Nero, è stato piantato recentemente ad un altitudine di 1.150 metri sul livello del mare. Malgrado tutta l’attenzione, l’impegno, la fatica, non sempre il prodotto è all’altezza della sua fama, per questa ragione la selezione di Pinot Nero “Schweizer”, non sempre viene immesso sul mercato. Un’attenzione particolare viene data all’uso misurato e selettivo delle sostanze chimiche e dei concimi. I vigneti non sembrano sempre “giardini impeccabili”: spesso l’erba tra i filari è alta proprio per favorire processi naturali quali l’impollinazione e la riproduzione di fiori e di insetti che si stavano estinguendo e soprattutto, dare

Anche la scelta della produzione “secondo natura” è però una scelta di libertà: “… non voglio l’etichetta di produttore biologico e diffido da quanti si celano dietro a questo nome. Dobbiamo mettere in campo tutte le nostre forze per produrre vini di qualità. Io ho scelto la strada dell’omeopatia per me stesso e quindi anche per le mie vigne, ma voglio avere l’opportunità di scegliere e di essere libero …” (Franz Haas) Il costante e continuo impegno di Franz Haas nella ricerca, nella sperimentazione e nell’innovazione, lo ha portato all’introduzione, anche per vini longevi, del tappo a vite, che a sua detta “non rischia di rovinare il vino in bottiglia”. Il rituale dell’apertura di una


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bottiglia con tappo in sughero ha la sua poesia, ma secondo Haas è meglio concentrarsi su cosa ci sia dentro la bottiglia. Difficile non condividere il concetto secondo il quale sarebbe sicuramente meglio, sia per i sommelier che per il clienti, impiegare quel tempo necessario al “rito del tappo” per la presentazione del prodotto in degustazione. Le etichette rappresentano certamente un elemento caratterizzante e distintivo della cantina Haas. Disegnate dall’artista Riccardo Schweizer, che collaborò anche con Picasso, Chagall, Cocteau, Paul Éluard e Le Corbusier, furono donate da Maria Luisa Manna a Franz, come buon auspicio per l’uscita dei suoi vini. La prima etichetta scelta da Franz fu quella attuale del Pinot Nero Schweizer, prima annata ’87 ma uscita nel ‘90. Il sogno nel cassetto di Franz Haas: produrre un Pinot Nero come il La Tache 1953 di RomanéeConti. Ma bisogna dire che una volta degustato il Pinot Nero selezione “Schweizer” 2002, ci si rende conto che forse il cassetto è già mezzo vuoto!

TENUTA FRANZ HAAS

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Tel. 0471 812 280 - Fax 0471 820 283 www.franz-haas.it - info@franz-haas.it

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A CURA DI GIANLUCA RICCI

VINI NATURALI IN CRESCITA I vini naturali dicono addio alla nicchia: la loro crescita qualitativa li ha portati a rappresentare il 5% della produzione mondiale e a valere sul mercato oltre 15 miliardi di dollari annui. Non si tratta più di un fenomeno ristretto, dunque, ma di un nuovo valore su cui scommettere per il futuro. La certificazione ufficiale è giunta dal recente ProWein, la fiera del vino di Düsseldorf, e dal VinNatur di Roma, dove i principali produttori si sono incontrati e si sono potuti scambiare utili informazioni. Evidentemente i consumatori hanno recepito l’importanza di bere un vino che, oltre che buono, sia sano e naturale.

Dal boom di dieci anni fa, quando vennero immesse sul mercato oltre 17 milioni di bottiglie di Novello, al triste panorama di oggi: saranno non più di 2 milioni le bottiglie su cui gli appassionati del genere hanno potuto contare quest’anno. Le cause sono legate sia alla diminuzione di richiesta da parte dei consumatori sia alla diminuzione dei margini di guadagno da parte dei produttori: basti pensare che la tecnica di produzione richiede un aumento del 20% dei costi rispetto ad un vino normale e che con le medesime uve è possibile realizzare vini più strutturati, più duraturi e quindi anche più costosi. Si giustifica così il tramonto di una moda.

INFORMATICA APPLICATA AL VINO Il futuro del vino passa per la tecnologia. Mappature satellitari dei vigneti per verificare in tempo reale l’evoluzione delle condizioni del terreno e prevedere le mosse migliori da fare, programmatori elettronici in grado di elaborare tutte le informazioni utili ad anticipare gli interventi indispensabili, mappature genetiche finalizzate alla individuazione dei vitigni più resistenti e produttivi: sono solo alcune delle procedure che di qui a qualche anno potrebbero diventare routinarie nel lavoro in campagna e in cantina per ottimizzare al meglio tutte le risorse e rendere quanto più remunerativo possibile il prodotto finale. Se ne sta occupando il Wine Research Team, guidato da Riccardo Cottarella in collaborazione col prof. Attilio Scienza dell’Università di Milano. Dovremo prepararci dunque ai vignaioli col camice bianco.


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IL VINO… PRIMA DI TUTTO Poche bottiglie, prodotte in modo naturale, con cura artigianale e senza forzature I vigneti Storchi sono situati lungo il fiume Enza in zona pedecollinare, nelle terre storicamente appartenute a Matilde di Canossa, e si i trovano all’interno del comprensorio a denominazione d’origine controllata Colli di Scandiano e Canossa, un territorio altamente vocato per la coltivazione della vite Lambrusca, fin dai tempi dei Romani. Qui dove un tempo scorreva il fiume Enza, oggi ci sono splendide vigne di Lambrusco, Ancellotta, Cabernet Sauvignon, Merlot e un po’ di Cabernet Franc. La conduzione in vigna è completamente naturale, tutta manuale, con la zappa tra i filari: non vengono utilizzatati diserbanti, pesticidi, sistemici e concimi chimici, ed inoltre è stata fatta la scelta di rinunciare completamente all’uso di acqua irrigua. In cantina sono stati abbandonati i grandi recipienti del metodo Martinotti per la rifermentazione in bottiglia, quella dei nonni, rivista e attualizzata ai moderni dettami, ma sempre fedele alla filosofia Storchi: il vino e il suo mosto … e nient’altro! Il risultato è meraviglioso: vini di grande eleganza, vigorosi, di grande consistenza. Profumi, ricordi, sensazioni ed emozioni che piacevolmente conducono alla scoperta del vero sapore del Lambrusco. (Antonietta Mazzeo) STORCHI VINI

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IL “NATURE” PINOT NERO

METODO CLASSICO PAS DOSÉ VSQ di Monsupello si aggiudica il bollino Platimun al Merano Wine Festival 2016 Il Merano Wine Festival rappresenta un appuntamento unico nel suo genere: grandi vini e alta gastronomia racchiusi in un concetto semplice e chiaro … eccellenza vera. Un evento multiforme, ricco di occasioni di conoscenza, di incontro, di confronto, che edizione dopo edizione ha definito confini e contenuti dell’avventura del fare vino in Italia e all’estero. A questa 25ª edizione del Merano Wine Festival, tra le quasi 1000 aziende italiane candidate ne sono state selezionate a partecipare circa 300, quelle con almeno due vini che hanno ottenuto un punteggio di almeno 88 punti dalle commissioni di selezione. Tra questi, soltanto 25 hanno ottenuto il massimo riconoscimento, ovvero il bollino Platinum, che va ai vini che ottengono un punteggio di almeno 95 punti. Il “Nature” Pinot Nero Metodo Classico Pas Dosé VSQ dell’azienda agricola Monsupello è composto da uve 90% Pinot Nero e 10% Chardonnay. SCHEDA TECNICA Colore: giallo paglierino carico. Perlage: fine e persistente con una spuma molto morbida. Profumo: é uno spumante dotato di sentori complessi, ricorda la crosta di pane; la sua evoluzione ci riconduce a sentori di cassis, mandorla amara e nocciola tostata. Sapore: estremamente secco (tipico del Nature), é uno spumante dedicato agli intenditori; di rara struttura e finezza.

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INCONTRO E DEGUSTAZIONE CON I VINI DE I VERONI Il ristorante Scacco Matto in via Broccaindosso 63/B a Bologna ha ospitato la presentazione dei vini I Veroni, azienda vitivinicola situata nel territorio del Chianti Rùfina, nel Comune di Pontassieve (FI), in occasione dello scoccare dei vent’anni trascorsi da quando l’azienda decise di affiancare al suo Chianti Rufina una Riserva. In degustazione I Veroni 2014 Chianti Rufina Docg, I Veroni Chianti Rufina Riserva Docg 2013-2009-2006 e il Vin Santo del Chianti Rufina Riserva Doc 2006, presentati ed illustrati dal Dr. Lorenzo Mariani, rappresentante della quarta generazione dell’azienda. Alla produzione enoica sono state abbinate alcune creazioni gastronomiche dello chef Mario Ferrara. (Antonietta Mazzeo)

DATI ANALITICI: Titolo alcolico effettivo: 13,20 % vol Zuccheri residui: 2,90 g/l Acidità: 7,30 g/l pH: 3,08 Estratto secco: 24,00 ABBINAMENTO ENO-GASTRONOMICO E’ perfetto come aperitivo, ma può essere presentato in accostamento a qualsiasi piatto di alta cucina, sopratutto nelle preparazioni a base di pesce e crostacei sia alla piastra sia salsati o fumé, con crostacei crudi o solo scottati, con i risotti ai frutti di mare, con le salse a base di pesci, branzino al forno, orata alla ligure, capesante gratinate. Data la sua struttura regge anche l’accostamento alle carni, in modo particolare é da degustare con le costolette di agnello présalé. (Antonietta Mazzeo)

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ASSAGGIO DI

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JUICE EXPERT UN PIENO DI SALUTE

I MIEI DOLCI ITALIANI

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PAPPA MILANO Di Valerio Massimo Visintin, l’unico critico gastronomico in incognito, e quindi assolutamente imparziale, la segnalazione di 150 locali in cui mangiare bene contenendo la spesa. La guida è divisa in due parti: da un lato cinquanta ristoranti strutturati ma a buon prezzo, scelti secondo il collaudato costume del PappaMilano; dall’altro cento cucine a presa rapida, tra osterie e locali per soste agili, ma non meno curati e apprezzabili. La guida si arricchisce della sezione “Pappa dal mondo” che raccoglie locali che mescolano in tavola sapori dalle più svariate tradizioni culinarie: dagli okonomiyaki (ghiotti “frittatoni” di cavolo, uova e farina) di Maido fino ai locali sull’onda delle ultime mode gastronomiche meneghine, come Casa Ramen o le diverse gastronomie specializzate in “kebab di pregio”, preparati con ingredienti selezionatissimi come Num, Babek e Mehan Kebap.

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CONFEDERATION EUROPEENNE

DES GOURMETS La famiglia dei Gourmets europei si è data una nuova dimensione per valorizzare

il piacere

della convivialità e della cultura

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Direttore responsabile: Elsa Mazzolini La Madia srl è parte del Gruppo Cose Belle d’Italia www.cosebelleditalia.com

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COLLABORATORI Domenico Acconci, Enza Bettelli, Silvia Bianco, Daniele Briani, Teresa Cremona, Giuseppe De Girolamo, Maurizio Di Dio, Gianni Di Lorenzo, Luigi Filippi, Roberta Filippi, Lucy Gordan, Verdiana Gordini, Giuseppe Lo Russo, Giovanni Mastropasqua, Antonietta Mazzeo, Alessandra Meldolesi, Claudio Mollo, Alessia Pellegrini, Giacomo Pilati, Alessandro Ricci, Gianluca Ricci, Alessandro Rossi, Simone Rosti, Flavia Tomaello, Marco Tonelli, Primo Vercilli. Fotografi: Nikoboi, Pasquale Spinelli, StudioGraf, Lido Vannucchi Illustratori: Patrizia Zavatti

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