Mensile Sped. In Abb. Post. - Gruppo III° - 45% - Art.2 Comma 20/B Legge 662/96 - Fil. Forlì - Tassa Pagata - Taxe Perçue - Reg. Trib. Di Forlì N.653 - Del 14/6/84 - Dir. Resp. Elsa Mazzolini - La Madia Srl - Via Pacchioni, 365 - Cesena - Euro 4,00 - In caso di mancato recapito restituire al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa
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BENVENUTI
AL SUD TRA SAPORI E COLORI CHE IL NORD PUÒ SOLO SOGNARE
PINO CUTTAIA
ANGELO SABATELLI
Ristorante La Madia in Sicilia
Ristorante Angelo Sabatelli in Puglia
MARIA CICORELLA
FILIPPO COGLIANDRO
Ristorante Pashà in Puglia
L’A Gourmet L’Accademia in Calabria LA MADIA EDITORE
ANNO XXXII - Marzo 2017 - N. 315 - €E 4,00 - Direttore ELSA MAZZOLINI
SOMMARIO - LA MADIA TRAVELFOOD n. 315
GOURMETFOOD
di
Alessandra Meldolesi
GOURMETFOOD
di
Alessandra Meldolesi
pag. 42
pag. 50 PINO CUTTAIA
RISTORANTE PASHÀ
A Licata una cucina fatta di una semplicità ricca e avvolgente.
Eleganza e armonia, nei piatti e negli ambienti.
GOURMETFOOD
LO CHEF... IL SUO PIATTO
di
Alessandra Meldolesi
pag. 58
pag. 66 ANGELO SABATELLI
PAOLO GRAMAGLIA
La sua cucina italiana, contemporanea, d’autore.
La cucina di ieri e di oggi del President di Pompei.
La cultura del benessere
Antico Gatoleto
Il punto sulla malnutrizione
di Daniele Briani............................................................... pag. 38
da eccesso o da carenza di cibo
The Angus
di Primo Vercilli................................................................ pag. 8
di Giovanni Angelucci...................................................... pag. 40
La scelta vegana
Prodotti Eccellenti
La salute della terra è la nostra
L’oca in onto di Michele Littamè
di Silvia Bianco................................................................. pag. 10
di Antonietta Mazzeo....................................................... pag. 65
Assaggi di Galateo
Buone Nuove..................................................................... pag. 68
Affari in tavola
TravelFood
di Fabio Ferrantino........................................................... pag. 14
Viaggio tra i tesori della provincia di Salerno
Progettare l’impresa
di Antonietta Mazzeo....................................................... pag. 69
Quando il guadagno del ristoratore
Giovani Talenti
coincide con l’interesse del cliente
Christian De Simone
di Lorenzo Ferrari............................................................. pag. 16
di Maria Chiara Zucchi..................................................... pag. 72
Golavagando
Intervista a...
Goofretti e Movenpick..................................................... pag. 18
Rodelio Aglibot
Hotel Pietre Nere Resort
di Lucy Gordan................................................................. pag. 80
di Gianni Di Lorenzo........................................................ pag. 20
Prodotti Eccellenti
Domenico Iavarone.......................................................... pag. 23
Spirito Contadino
Il mondo di Filippo Cogliandro
di Sonia Leo..................................................................... pag. 84
di Cristina Vannuzzi.......................................................... pag. 24
Vinaria
Ristorante Bikini
Il focus di Alessandro Magnum
di Teresa Cremona.......................................................... pag. 28
Il marketing attraverso cinema & vino
I nuovi orizzonti di Luigi Tramontano............................... pag. 29
di Alessandro Rossi..................................................... pag. 88
GolavagandOraviaggiando
L’esempio del Cile per imporre alle multinazionali
Ristorante Il Patriarca
regole e limiti
di Sandro Romano............................................................ pag. 30
di Angelo Gaja.................................................................. pag. 91
Buone Nuove..................................................................... pag. 34
A Bolgheri i vigneti diventano poesia
Golavagando “Mon Trésor”
di Marco Tonelli............................................................... pag. 92
Bar Rio............................................................................. pag. 36
Enovità............................................................................... pag. 94 Assaggio di libri................................................................ pag. 96
EDITORIALE di
Elsa Mazzolini
LA CADUTA DEGLI DEI? C’è un Daniele Cernilli che improvvisamente, dopo decenni di quieta accettazione dello status quo, comincia a criticare sul web esosità, limiti ed inadeguatezze dello star system enogastronomico italiano; c’è un Davide Paolini autore de “Il crepuscolo degli chef” che stigmatizza la mistificazione televisiva responsabile, soprattutto presso i giovani, di banalizzare il lavoro duro della cucina; c’è prima di loro l’ineffabile Camilla Baresani autrice del romanzo dal titolo epifanico “Gli sbafatori” nel quale si racconta l’imbarazzante mercimonio professionale perpetrato da un giornalista enogastronomico in disarmo e da una giovane foodblogger in svendita per un posto al sole. E poi c’è lui, Valerio M. Visintin, che dal comodo pulpito di un invidiabile anonimato (è l’unico e più famoso critico mascherato d’Italia, una sorta di Zorro che con una penna di straordinaria affilatezza incide la grassa panza di un settore in cui la critica è solo compiacente e clientelare) rileva e auspica il formarsi di una crepa nel sistema gastroletterario nazionale. Che dire? Bene, perché si comincia a sgretolare un muro omertoso di connivenza tra cuochi e pseudocritici; male perché vengono rilevate le ovvie problematiche del settore, ma sempre in modo cauto e generico. Chi osa di più, lo fa dietro il paravento del romanzo o della maschera. Questo significa che si teme un’intoccabile casta soprattutto per ragioni di carattere relazionale (giornalisti e cuochi, critici e produttori di vino, si conoscono e spesso fanno affari insieme) e che chi esercita libertà di critica rischia l’ostracismo. Personalmente, mettendoci sempre la faccia, da anni denuncio una situazione melmosa dove i giornalisti sono diventati l’ufficio stampa di quello o quell’altro chef, i promoter o i PR di questa o quella cantina, e dove ormai un’analisi competente e casomai critica è pratica sconosciuta in un Paese al 77° posto al mondo per libertà di stampa.
ME
E dove l’autocensura e l’informazione compiacente si dimostrano sempre più spesso peggiori della censura.
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LACULTURADELBENESSERE
a cura di
Primo Vercilli Medico Dietologo
IL PUNTO SULLA
MALNUTRIZIONE DA ECCESSO O DA CARENZA DI CIBO
Attualmente nel mondo una persona su tre soffre di una delle possibili forme di malnutrizione, con costi economici sulla salute pubblica estremamente alti, stimati intorno ai 3.500 miliardi di dollari l’anno. Con il termine di malnutrizione però non intendiamo esclusivamente coloro che si nutrono in eccesso; infatti circa 800 milioni di persone soffrono la fame cronica, nel senso che non sono nelle condizioni di consumare regolarmente cibo in quantità sufficiente per condurre e mantenere una vita sana e attiva. A questi dobbiamo poi aggiungere tutti coloro che si nutrono in eccesso (quindi in sovrappeso e obesi) e poi coloro che utilizzano regimi alimentari che portano comunque a carenze tanto da rientrare in un concetto di malnutrizione: infatti, oltre due miliardi di persone nel mondo seguono una alimentazione che manca di micronutrienti e si stima che 150 milioni di bambini sotto i 5 anni di età siano affetti da rachitismo a causa di regimi alimentari inadeguati. Allo stesso tempo 1,9 miliardi di persone sono sovrappeso e circa 600 milioni sono obesi. A complicare poi la situazione è anche il disomogeneo tessuto sociale, per cui persone nelle stesse comunità possono soffrire contemporaneamente fame, mancanza di micronutrienti e obesità. Secondo la FAO nessun Paese è ormai immune da questo problema ed è chiaro che un aspetto così complesso della vita dell’uomo può essere affrontato solo mettendo in atto politiche globali (e non territoriali) che intervengano a ogni stadio della catena alimentare: dalla produzione, alla lavorazione, alla commercializzazione e al consumo. Vero è che, paradossalmente, sembra più facile sconfiggere la malnutrizione da mancanza di cibo che non quella da eccesso.
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Non lascia molti dubbi l’ultimo rapporto della World Obesity Federation (WFO) pubblicato su Pediatric Obesity e ripreso dal Guardian: esso delinea una situazione planetaria di cui non sembrano preoccuparsi in molti, professionisti della salute a parte. Il problema della malnutrizione da eccesso, che quindi conduce a obesità, sta traghettando un’intera generazione verso un futuro di malattia e ciò avverrà in tempi molto più brevi di quanto si possa credere. Il fenomeno è visibile virtualmente in ogni paese. Se consideriamo esclusivamente l’obesità infantile i Paesi più colpiti al primo posto ci sono tre nazioni del Pacifico del Sud, seguiti dall’Egitto (con un 35,5% di bambini tra i 5 e i 17 anni obesi), la Grecia (31,4%), l’Arabia (30,5%), gli Stati Uniti (29,3%), il Messico (28,9%) e la Gran Bretagna (27,7%). La WFO ha stimato che nel 2025 circa 268 milioni di bambini tra i 5 e i 17 anni potrebbero essere in sovrappeso. Ma il problema, badate, non è semplicemente estetico. Tradotto in malattia, già oggi 3,5 milioni di bambini hanno il diabete 2, tipicamente associato, fino a pochi anni fa, all’età avanzata. Entro il 2025 si prevede un incremento a 4,1 milioni: tutti adulti destinati ad andare incontro a una vita medicalizzata e molto spesso gravata da cecità, amputazioni e altri gravi effetti. Non solo; 12 milioni di under 17 hanno una intolleranza al glucosio e una resistenza all’insulina, cioè condizione di prediabete, 27 milioni ipertensione e 38 milioni steatosi epatica (cioè un eccesso di grasso nel fegato non dovuto ad altre patologie o ad alcolismo). Si può ben intuire come questo problema rappresenti una piaga economico-sociale terribile con costi elevatissimi che vanno ad incidere in modo grave sull’economia dei diversi Paesi. Ba-
LACULTURADELBENESSERE
sti pensare che i costi sanitari per patologie derivanti dall’obesità ammontano a 9 miliardi di euro all’anno. In un’ottica di malnutrizione però non è neanche da sottovalutare un intervento di educazione alimentare a tutte quelle fasce di popolazioni che vengono sollevate dalla piaga della fame. In molti Paesi si sta verificando un effetto paradosso: Paesi emergenti, che fino a qualche anno fa avevano enormi fasce di popolazione sofferenti di fame, nel momento in cui hanno gradualmente ridotto il problema hanno visto aumentare il tasso di sovrappeso, proprio perché alle politiche di abbattimento della fame non è seguita una politica di educazione alimentare, che sostenesse le persone durante questi cambiamenti. L’Egitto, per esempio, è il quarto Paese al mondo con il più alto tasso di sovrappeso e obesità: il 63,2% degli adulti è in sovrappeso e più del 30% obeso. Il piatto tipico egiziano è il koshari, un misto di lenticchie, pasta e riso condito con salsa di pomodoro e cipolle. Valore calorico di una porzione media: 800 calorie; il problema è che è spessissimo accompagnato da soda. Inoltre, i chioschi per strada, numerosissimi, vendono una quantità esorbitante di bibite dolci e di alimenti molto salati e fritti, e lo zucchero è parte fondante della cultura alimentare egiziana, a cominciare da tè zuccherato, che bevono non meno di 4-5 volte al giorno. Negli ultimi anni, poi, in tutto il Paese si sono diffuse molte delle principali catene internazionali di junk food, da quelle di hamburger a quelle di pizza, che hanno rappresentato una novità gastronomica, ma sono entrate in modo anarchico nella giornata alimentare delle persone. Certo che parlare di sovrappeso e obesità su una rivista di enogastronomia sembra un controsenso! Ed è invece proprio qui che si gioca la sfida più grande. Il vero cambio culturale (ci vorranno ahimè tante generazioni) si attua solo se tutti gli attori nel vasto mondo della nutrizione, della cultura eno-gastronomica, della scienza e della comunicazione iniziano a parlare lo stesso linguaggio con la stessa finalità e iniziando dalla stessa domanda: come posso imparare a soddisfarmi con il cibo senza che questo mi faccia male?
LA SCELTA VEGANA
a cura di
Silvia Bianco testimonial di cucina vegana
LA SALUTE DELLA TERRA È LA NOSTRA
LA RICERCA BRITANNICA CI AIUTA A COMPRENDERE LA CORRELAZIONE TRA CIBO, AMBIENTE E UOMO Da Gennaio 2017 i clienti delle più grandi catene di negozi di alimentari britannici sono diventati oggetto di un esperimento che porta la popolazione britannica a mangiare più frutta e verdura. Una vera e propria missione iniziata con un accordo stipulato tra gli studiosi della Oxford University e le catene di negozi alimentari, tra cui Sainsbury’s, uno dei colossi britannici, che sta riequilibrando via via il contenuto del carrello della spesa dei britannici portando sempre più consumatori ad acquistare meno carne. L’iniziativa “Our Planet, Our Health” (Il Nostro Pianeta, la Nostra Salute) ha ricevuto ben 5 milioni di sterline come finanziamento dalla Wellcome Trust, fondazione di beneficenza che sostiene e supporta la ricerca per migliorare la salute e le prospettive di vita mondiali in una situazione di profondi cambiamenti climatici (www.wellcome.ac.uk). Uno dei 15 progetti pilota di questa iniziativa è “Future of animal-sourced foods” che mira alla valutazione della relazione tra il cibo, l’ambiente e la salute a livello globale ed esamina le motivazioni delle scelte alimentari individuali. Secondo le ultime ricerche, ciò che scegliamo di mangiare è uno dei fattori determinanti della salute mondiale degli esseri umani e dell’ambiente e i cibi di origine animale, come carne e latticini, la influenzano negativamente. Mangiare più frutta e verdura e meno carne rossa andrà a beneficio non solo della salute delle persone, ma anche dell’ambiente. Questa è la missione di questo recentissimo progetto britannico. Il piano di accordo siglato tra i ricercatori e i supermercati vede
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questi ultimi impegnati nel ridisegnare le proprie corsie inserendo le alternative vegetariane sugli stessi scaffali dei prodotti a base di carne, per dare ai clienti la possibilità di fare un confronto tra le due tipologie di articoli; offrendo buoni e punti fedeltà a tutti i clienti che scelgono prodotti vegetariani; fornendo ricette e volantini che spiegano come ci si possa nutrire mangiando meno carne. La catena di negozi alimentari Sainsbury’s, che nel 2016 ha lanciato cinque formaggi vegan attraverso il suo marchio registrando un picco delle vendite del 300% oltre le previsioni iniziali, è il collaboratore chiave di questo progetto. Sainsbury’s ha identificato una serie di punti vendita, tra cui negozietti locali, ipermercati ed il suo servizio di shopping online, come punti di analisi per l’andamento dell’operazione. Ciascun punto vendita viene monitorato da nutrizionisti, economisti ed epidemiologi della Oxford University; i risultati di queste ricerche verranno poi resi pubblici per aiutare la gente a capire quanto la salute dell’uomo sia strettamente legata all’ambiente in cui viviamo, quali sono le prospettive di vita attuali e come intervenire per ridurre le minacce. L’iniziativa di intraprendere misure specifiche per incentivare la popolazione ad un’alimentazione sempre più vegetale nasce in seguito ad uno studio pubblicato lo scorso anno nel “Proceeding of the National Academy of Sciences of the United States of America (PNAS)”, rivista scientifica ufficiale dell’organo statunitense National Academy of Sciences.
LASCELTAVEGANA
Lo studio afferma che mangiare meno carne ridurrebbe la mortalità globale del 6 -10% e taglierebbe le emissioni di gas ad effetto serra del 30-70%. In effetti il sistema alimentare di oggi è responsabile di più di un quarto di tutte le emissioni di gas serra, di cui fino al 80% associate all’allevamento di bestiame: la produzione di carne da macello richiede un uso di grandi quantità di pesticidi, fertilizzanti, carburanti, alimenti, grandi appezzamenti di terreno e milioni di tonnellate d’acqua, rilasciando contemporaneamente significative quantità di gas serra e sostanze chimiche tossiche. Tutto ciò è una delle principali cause del cambiamento climatico. Oltre alla correlazione con l’ambiente, i ricercatori ed in particolar modo i nutrizionisti della Oxford University, ribadiscono il forte legame tra il mangiare carne e malattie come cancro e patologie cardiovascolari; la carne rossa è ad alto contenuto di grassi saturi e le diete squilibrate, povere di frutta e verdura, ma ricche di carne e derivati animali, sono le principali responsabili della pessima salute globale. Oxford è quindi in prima linea per tagliare in maniera significativa l’assunzione di carne tra i britannici, spingendo ad un consumo maggiore di vegetali che devono diventare l’elemento principale dell’alimentazione. In realtà nel Regno Unito e nel resto del mondo, la tendenza a mangiare meno carne è già in forte crescita tra i consumatori e ci sono diversi supermercati e catene di ristoranti che offrono piatti vegani. In Italia, l’ultimo rapporto Eurispes di gennaio 2017 dichiara che il 7,6% del campione della popolazione in-
tervistata segue una dieta vegetariana o vegana (nel 2016 era il 7,1%) di cui il 4,6% degli intervistati a campione si dichiara vegetariano (-2,5% rispetto al 2016) mentre i vegani giungono al 3% (erano l’1%). Secondo i ricercatori della ricerca “Future of animal-sourced foods” tutto ciò non basta, sono necessarie ulteriori riduzioni dell’assunzione di carne e derivati animali nell’alimentazione quotidiana di tutti. Per questo motivo, nonostante si possa scegliere tra una maggiore varietà di prodotti vegan rispetto al passato, la ricerca ha disposto quattro attività primarie da svolgere all’interno dei negozi di alimentari: • Proporre offerte nel servizio di negozio online, dando la possibilità di ordinare, con uno sconto extra, un altro prodotto come alternativa più sana e più rispettosa del pianeta. • Installare in fondo ad ogni corsia dei supermercati degli espositori per la promozione di prodotti vegetali come ad esempio spaghetti e lasagne senza carne ed inserire ricette vegane tra gli scaffali a disposizione di tutti. • Eliminare le aree dedicate ai soli prodotti vegani, collocando invece tutti questi prodotti accanto ai loro “equivalenti” a base di carne: accanto a salsicce, burger e polpette di origine animale si trovano quelle vegetali; le torte con panna e burro vegetale vengono inserite accanto a quelle con latticini; preparati a base di riso, cocco, noci proposti come alternativa ai formaggi vaccini sono riposti nelle celle frigorifere accanto a quest’ultimi; etc. Secondo i ricercatori questa nuova modalità di collocamento dei prodotti aiuta il consumatore a diventare sempre più consa-
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LA SCELTA VEGANA
PETALI DI CIPOLLA con aroma di mandorle
pevole delle proprie scelte, gli permette più facilmente di confrontare ed esaminare gli ingredienti ed i nutrienti di entrambe le categorie, incentivandolo a decidere su cosa è meglio per la propria salute. • Bonus sui punti fedeltà e sconti per i prodotti a base vegetale. Secondo un’analisi dei ricercatori di Oxford, adottare una dieta a base vegetale porterebbe, entro il 2050, ad evitare 7,3 milioni di morti ogni anno. Inoltre si pensa che, entro lo stesso anno, le emissioni di gas serra derivanti dalla produzione di cibo si ridurranno della metà rispetto alle emissioni che la Terra può sopportare, a patto che il riscaldamento globale si limiti a non superare i 2°C. L’intento di questo studio non è quello di far diventare tutti vegan, ma il cambiamento climatico dovuto all’attuale sistema alimentare ha bisogno di essere affrontato in maniera diversa e non solo attraverso dei cambiamenti tecnologici. Un grande passo avanti è l’adozione di un’alimentazione più sana, sostenibile e rispettosa dell’ambiente. Scelte come il “Meatless Monday” (lunedì senza carne) sono sicuramente un supporto per andare nella giusta direzione, ma per molti queste giornate “libere” dal consumo di carne hanno la tendenza a non durare nel tempo oppure non portano affatto a cambiamenti poiché spesso molti si “premiano” per aver rispettato il “Lunedì senza carne” aumentandone il consumo nel resto della settimana. Attraverso questo esperimento sul campo, il proposito è proprio quello di capire come si possono aiutare le persone a fare scelte più informate ed a incoraggiarle nell’intraprendere diete sostenibili e sane a lungo termine. Nell’attesa di avere dati maggiori sullo svolgimento e sulla riuscita del progetto e sperando che anche in Italia si intraprendano iniziative simili volte ad una maggiore consapevolezza di ciò che portiamo sulle nostre tavole, possiamo deliziarci con questa ricetta gentilmente offerta da Cristiano Bonolo, chef ufficiale del magazine online Vegolosi.it.
Silvia e gli esperti rispondono...
INGREDIENTI per 4 persone
2 cipolle di Tropea, 2 cipolle bianche, g. 300 di latte di mandorla, g. 200 di succo di melograno, g. 30 di amido
di mais, olio extravergine d’oliva, salsa di soia, pangrattato, frutta secca a piacere (per decorare). PROCEDIMENTO
Pelare e tagliare a metà le cipolle. Stenderle su una lec-
carda ricoperta di carta da forno e spennellarle con l’olio EVO e del pangrattato. Cuocere per 50 minuti a 180°C.
A 15 minuti dalla fine, bagnare le cipolle con la salsa di soia e continuate a cuocere.
A parte sciogliere 15 grammi di amido di mais nel latte di mandorle e portare a bollore la bevanda. Fare sobbollire
per 5 minuti. Fare lo stesso con il succo di melograno, sciogliendo nel succo il restante amido e portando a bollore fino al raggiungimento della densità desiderata.
Ora non resta che impiattare: giocare con le due salse,
decorare con la frutta secca e riempire il piatto con i petali di cipolla cotti al forno. Aggiungere eventualmente una goccia di salsa di soia all’interno di ciascun petalo.
Inviate le vostre domande a: lamadia@lamadia.com
“Nelle preparazioni da forno sono sempre stata bravissima, ho provato a farle senza uova e burro ma i risultati sono disastrosi”. Luisella - Milano Di biscotti alle torte e a tutti i prodotti da forno, è possibile realizzare delle ottime versioni in chiave vegan, basta prendere confidenza con gli ingredienti vegetali e capirne le proprietà. Riassumiamo qui i principali ingredienti che vengono utilizzati come alternativa a burro e uova. Nelle ricette per biscotti speziati, l’olio d’oliva o di sesamo non tostato sono perfetti; il burro di cocco non raffinato fornisce la consistenza del classico burro; mentre la margarina vegetale è ottima per dare quel sapore “burroso” tipico di alcuni biscotti, frolle, sfoglie, paste lievitate, etc. Le uova si possono sostituire macinando 1 cucchiaio di semi di lino o di chia e mischiarli con 3 cucchiai d’acqua: si otterrà un composto filamentoso che corrisponde ad 1 uovo. Una banana schiacciata o la salsa di mela unite a lievito, il bicarbonato, cremor tartaro e aceto sono un’altra validissima alternativa. Lo yogurt di soia o la purea dei fagioli costituiscono un modo creativo per sostituire le uova e donano una consistenza ricca alle torte vegan.
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Gala teo ASSAGGI DI
a cura di
Fabio Ferrantino Docente di Galateo presso Bon Ton Academy Professore di Enogastronomia IPSSAR Piobbico
AFFARI IN TAVOLA
SUGGERIMENTI E REGOLE PER GESTIRE IN MODO IMPECCABILE UNA COLAZIONE DI LAVORO Se dovesse arrivare sulla vostra scrivania dell’ufficio un invito ufficiale ad una colazione di lavoro, fate molta attenzione! Non vi dovrete svegliare di buon’ora per mettervi in tiro ripetendo in mente le cose da non dire o da non fare per non cadere nel rischio di figuracce con i vostri colleghi e superiori, perché per “colazione” non si intende il momento che segue il risveglio, bensì il pasto che oggi comunemente chiamiamo pranzo. Pranzare o cenare con qualcuno è il modo migliore per fare conoscenza e instaurare un buon rapporto, anche d’affari. Questa occasione conviviale è un momento per lo più formale che viene organizzato da un ufficio o da un reparto aziendale per discutere di questioni di lavoro o per festeggiare un avvenimento legato all’ambito professionale. Diviene più formale quando i commensali non hanno rapporti di conoscenza, come nel caso in cui vi è un incontro fra esponenti di diverse aziende per discute di affari. Spesso avviene fra manager o direttori che si affidano ad esercizi di ristorazione con precisi standard qualitativi. Sono pranzi che sovente si distinguono per essere cruciali nel decidere le sorti aziendali; è dunque fondamentale che tutto sia impeccabile. Precise condizioni possono essere stabilite per il ristorante da
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appositi event manager che faranno particolari richieste o riserveranno particolari attenzioni ai propri ospiti. Solitamente si predispone un menù pre-concordato di 2-3 portate preferibilmente leggere, in quanto, pur se non si delinea come un momento prettamente lavorativo, si discuterà di affari, quindi portate particolarmente pesanti potrebbero inficiare il risultato. La colazione di lavoro per hotel e ristoranti è un’ottima occasione per fare conoscere la propria professionalità nel gestire un momento importante e può costituirsi come apripista ad eventuali altri eventi aziendali o catering. Per questo è fondamentale predisporre uno chef de rang che possa seguire in particolare il tavolo aziendale in modo da non far mai mancare nulla ai propri ospiti. È bene che il tavolo destinato alla colazione di lavoro sia più appartato rispetto agli altri tavoli del ristorante, così si potrà discutere di argomenti importanti senza il frastuono che potrebbe disturbare la conversazione. La posizione dovrà essere ben illuminata, preferibilmente da luce naturale ed inoltre è bene avere delle prese di corrente a portata di mano per eventuali computer o altri supporti elettronici. La mise en place sarà snella per via delle poche portate. Forchetta a sinistra del sottopiatto, coltello a destra ed eventuale
ASSAGGIDIGALATEO
posata da dessert di fronte al piatto. Bicchiere da acqua e a seguire bicchiere da vino. Per finire, è sempre molto elegante e pratico predisporre un piattino da pane in alto a sinistra rispetto al piatto segnaposto. Le dimensioni del tavolo dovranno lasciare maggiore respiro fra un commensale e l’altro per dare modo di utilizzare, se necessario, lo spazio per eventuali documenti da appoggiare. Oltre a questi accorgimenti di base è bene prevedere le altre necessità che potrebbero scaturire da questo tipo di incontro. Spesso, come detto, sarà l’azienda a fare presente specifiche necessità, ma è bene pensare che potrebbe servire una connessione Wi-Fi, dunque chiediamo ai commensali se hanno necessità di collegarsi alla rete lasciando in un cartoncino elegante la password per la connessione. Predisponiamo, a maggior ragione se viene richiesto un tavolo nella sala fumatori, una buona selezione di sigarette e sigari da poter offrire all’occorrenza. Carta e penne devono essere sempre pronte se richieste, meglio se con il logo del ristorante: è un’ottima occasione di marketing poiché sicuramente le porteranno via con sé. A volte potrebbero servire anche eventuali dispositivi elettronici. Supponiamo che dei manager stiano consultando un sito internet o vogliano leggere dei dati dal telefono, ma non
riescono dai loro smartphone: è un tocco di assoluta efficienza chiedere loro se hanno necessità di un tablet dallo schermo più grande che li aiuti nella loro consultazione. Ricordiamoci, per non dimenticarci della professionalità, di porre il browser in modalità di “Navigazione anonima” per eventuali dati sensibili da non diffondere. Il servizio dovrà essere più veloce rispetto a una cena, in quanto spesso si deve tornare alle proprie postazioni di lavoro nel pomeriggio, ma il buon senso ci deve sempre condurre a comprendere se è il momento opportuno per procedere con la portata successiva. Se il menù prevede un cocktail di benvenuto o il vino per il pasto, è sempre buona norma scegliere una bevanda o un vino del territorio che presenti una gradazione alcolica non elevata. Evitiamo la pasta lunga con salse che possano creare macchie importanti su giacche e camicie; mentre predisponiamo sempre di un detergente smacchiatore per il trattamento immediato delle macchie. Prima che il pranzo si concluda, controlliamo gli accordi di pagamento. Se salderà l’azienda in seguito con un pagamento posticipato salutiamo augurando una buona giornata, altrimenti cerchiamo di capire a chi rivolgere il conto, magari fatto portare dalla stessa figura che avrà accolto gli ospiti all’arrivo, ossia il maître.
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PROGETTARE L’IMPRESA
a cura di
Lorenzo Ferrari Direttore Marketing di RistoratoreTop
QUANDO IL GUADAGNO DEL RISTORATORE COINCIDE CON L’INTERESSE DEL CLIENTE Una delle leggende metropolitane più radicate riguardante l’ingegneria del menù è che il guadagno del ristoratore sia in conflitto con l’interesse del cliente. Più che leggenda metropolitana, potremo definirlo pregiudizio. Un pregiudizio così radicato e diffuso che è diventato realmente “duro a morire”. Come abbiamo visto durante gli articoli precedenti, la Teoria del Menu Engineering si basa sul seguente assunto: “Se si incentiva la vendita dei piatti dall’alta profittabilità e dall’alta popolarità, si guadagnerà di più e al contempo saranno più felici i clienti.” Questo, spesso, viene letto in chiave negativa. Infatti molti ristoratori pensano che incentivare la vendita dei piatti dalla profittabilità più alta equivalga ad incentivare la vendita dei piatti più costosi, quindi ad aumentare la spesa media del cliente, andando di fatto contro i suoi interessi. Dopotutto, loro pensano, se il cliente
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sceglie piatti dalla profittabilità più alta si troverà poi a spendere di più, e questo si ripercuoterà sulla mia attività in modo negativo. Non è così. Si tratta di un ragionamento errato! Lascia che ti chiarisca ogni dubbio facendo un esempio. Qualche tempo fa, chi scrive stava ingegnerizzando un menù di una piccola catena – ma che credo e spero diventerà presto grande – di sushi-bar milanesi. Il loro grande punto di forza erano certamente gli Uramaki, degli involtini (ma sarebbe meglio chiamarli “roll”) di riso con dentro leccornie provenienti da ogni parte del globo. Di questi, due in particolare catturarono la mia attenzione. L’Uramaki California e l’Uramaki con tonno piccante. Per ingegnerizzare il menù occorreva capire quale tra i due fosse il piatto più profittevole. Per farlo, si sarebbero dovuto conoscere i rispettivi Food Cost e Food Price — cioè i prezzi delle materie prime che componevano i due piatti, e i loro prezzi di vendita. Nel prosieguo, per tutelare la loro privacy
PROGETTAREL’IMPRESA
e i loro dati sensibili, utilizzeremo dei dati fittizi, pur mantenendo inalterato il senso del discorso. L’Uramaki California aveva un Food Cost di 0.86€ e veniva venduto a 8,50€, quindi con una profittabilità di 7,64 €. Ogni volta che i nostri amici si trovavano a vendere uno di quei piatti, il loro guadagno lordo era cioè di 7,46€. L’Uramaki con tonno piccante aveva un Food Cost di 2,90€ e veniva venduto a 9,50€, quindi con una profittabilità di 6,51 €. Come è facile constatare, nonostante l’Uramaki con tonno piccante avesse un prezzo di un euro SUPERIORE dell’Uramaki California, aveva una profittabilità di un euro INFERIORE! Praticamente, ogni volta che i nostri amici cercavano di incentivare il piatto dal prezzo più alto – pensando di agire nel loro interesse – finivano in realtà con il creare un duplice danno: 1) Andavano contro l’interesse del cliente, facendolo effettivamente spendere di più; 2) Andavano contro il proprio, di interesse, vendendo un piatto dalla profittabilità più bassa! In poche parole: il cliente spendeva di più e loro guadagnavano di meno!
Contando sul fatto che di questi due piatti se ne vendevano, complessivamente, quasi 20.000 ogni anno… è facile scoprire come il danno economico fosse davvero ingente. Questo è il classico esempio in cui l’interesse di un ristoratore in realtà combacia con quello del proprio cliente. Ma, presi dalle mille peripezie quotidiane, non è semplice accorgersene. E non se ne sarebbe accorto nemmeno chi scrive, pur facendolo di mestiere, guardando superficialmente il loro menù. L’unica occasione per accorgersene è stato “sbirciare” i loro numeri e capire dove stava l’inghippo. Quindi il consiglio più importante che possiamo trarre da questa faccenda è il seguente: “Non concentrarti sul PREZZO più alto, concentrati sempre sulla PROFITTABILITÀ più alta!” Prezzo e profittabilità sono due variabili diverse, e non è detto che siano correlate proporzionalmente! Non è detto che un piatto dal prezzo alto abbia una profittabilità alta. Così come non è detto che un piatto dal prezzo basso abbia una profittabilità bassa! Chi legge dovrebbe imparare a riconoscerle, e si accorgerà che il proprio cassetto, e le proprie finanze, ne gioveranno.
GOLAVAGANDO
IN SPAGNA
GOOFRETTI E MOVENPICK
È UN PARADISO PER GOLOSI IN RIVA AL MARE Goofretti e Movenpick, grandi marchi del settore dolciario (il primo spagnolo doc e ormai una garanzia a livello nazionale, il secondo svizzero d’origine, ma con prestigio internazionale) hanno dato vita a una joint venture che ha visto la luce a Coma Ruga, paesino in Tarragona non lontano da Barcellona. Gelati, crepes, goofres, cioccolato fuso e frutta fresca…questo e molto altro è Goofretti e Movenpick, locale dal sapore anni ’50 a due passi dal mare, studiato e realizzato per le due grandi aziende da Costa Group. Una vetrina gelati accoglie, all’ingresso, il cliente, che subito viene avvolto dalla magia e dal profumo della dolcezza, grazie al bancone delle preparazioni a vista con tanto d’esposizione di vari stuzzicanti topping. Il bancone dei dolci, dalle linee morbide come quello del bar, richiama i colori corporativi delle due famose aziende ed è realizzato in legno laccato lucido. Il frontale ha 5 nicchie in rete metallica a rendere ancora più unico
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GOLAVAGANDO
GOOFRETTI & MOVENPICK Plaça Germans Trillas
Coma Ruga – Tarragona - Spagna Studio design e progettazione Costa Group
Arch. Flaviana Rimondi
il design del locale. Nicchie anche nell’area sedute, con una carta da parati studiata ad hoc nei colori del bianco, nero e rosso a ricordare le nuance corporative. Colori caldi e cura del dettaglio sono le caratteristiche principali di questo paradiso per golosi. Il progetto nasce dal desiderio di rendere commercialmente vincente e aggiungere valore a una formula in grado di rompere la stagionalità dei due prodotti proposti. La fusione di questi marchi, leader del settore, determina una novità unica sul mercato. L’ambasciatore del marchio Goofretti, il famosissimo Christian Escriba, pasticcere di quarta generazione della famosa pasticceria “Pasteleria Escriba” di Barcellona e realizzatore di veri e propri gioielli di pasticceria, ha voluto contribuire al successo di Goofretti e Movenpick con una delle sue ricette più golose, il goofre con crema catalana...resistere è davvero impossibile!
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GOLAVAGANDO
ECCELLENTE OSPITALITÀ AL
PIETRE NERE
NEL TERRITORIO MODICANO di
Gianni Di Lorenzo
Si tratta davvero della struttura che non ci si aspetta di trovare in quella parte di Sicilia Sud Orientale nota soprattutto per lo splendido barocco di Noto, Ragusa e Scicli, per il parco archeologico di Cava Ispica, per lo storico cioccolato di Modica e per le meraviglie naturalistiche e architettoniche disseminate in ogni dove. Così, nella teoria di vecchi casolari sparsi tra le colline, spiazza la sobria architettura dell’hotel Pietre Nere Resort & Spa, un quattro stelle che la lungimiranza della proprietà ha dotato di candide stanze confortevoli, una piccola ma efficentissima SPA, una bella piscina, ampi luminosi spazi comuni e il valore di una cucina confortevole e avvolgente.
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HOTEL PIETRE NERE RESORT Via Pietre Nere
Cava Ispica n. 142 - Modica (RG) Tel. +39 0932 753051 Fax +39.0932.455917
www.pietrenereresort.it info@pietrenereresort.it
Oggi la discriminante “cucina d’albergo” e “di ristorante” non ha davvero più senso, anche perché per gli hotel questa voce ha acquisito un’importanza sempre maggiore: il confort di un buon servizio si misura ora anche e soprattutto a tavola. Il Pietre Nere elabora una cucina territoriale gestita con contemporanea sen-
BENVENUTI
GOLAVAGANDO
AL SUD
sibilità dallo chef Giovanni Dragonetti (foto a lato), tanto schivo e riservato sul piano personale, quanto esuberante e intenso su quello professionale. I suoi piatti esprimono tutta la generosità di una regione opulenta che sarebbe criminale imbrigliare in una cucina troppo concettuale: Giovanni sembra infatti lasciare libertà di espressione ai prodotti, allargando le cornici del quadro gastronomico fino a farlo diventare un affresco fatto di colori e sapori molto vividi. Malgrado i suoi 26 anni, Giovanni ha maturato una gavetta di peso nelle brigate create da Vissani per i ristoranti del circuito “L’Altro Vissani”, affiancando chef del calibro del conterraneo
BACCALÀ CONFIT
su crema di patate vitellotte, funghi cardoncelli e insalata di datterino giallo e arancione INGREDIENTI
lo appassire, aggiungere le patate e
cardoncelli, g. 70 di datterini, g. 80
il tutto e utilizzarlo nel piatto come
g. 150 di baccalà, g. 50 di funghi di patate vitellotte, g. 40 di porri, olio evo, sale e pepe q.b., rosma-
rino, foglie d’alloro, timo, aglio, aromi, brodo vegetale.
Per la guarnizione: insalata riccia, cucunci o fiore del cappero con
coprire con brodo vegetale. Frullare
base per il baccalà. Nel frattempo cuocere il baccalà in olio extraver-
gine d’oliva ad una temperatura di 68°C aromatizzandolo con rosmarino, foglie d’alloro e timo.
glassa di pomodoro e olio evo.
Per l’insalata di datterini: tagliarli e
Per la crema di patate vitellotte:
co. I cardoncelli vanno sbollentati e
PROCEDIMENTO
realizzare un fondo di cipollotto, far-
condirli con sale, pepe, olio e basilispadellati con aglio e aromi.
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GOLAVAGANDO
PACCHERI INTEGRALI
su crema di piselli al rosmarino e pappardella di seppia INGREDIENTI
rino, sale e pepe. Nel frattempo
rosmarino, 5 paccheri integrali,
pochi minuti. Cuocere i paccheri,
g. 50 di piselli, g. 70 di seppie, olio, sale e pepe q.b.
Per la decorazione: filangè di pomodoro, fiori di borragine e riduzione di nero d’Avola. PROCEDIMENTO
Sbollentare i piselli, raffreddarli ed emulsionarli con olio al rosma-
pulire la seppia e spadellarla per
scolarli e mantecarli con olio e timo limonato.
Adagiare la crema di piselli alla base del piatto, su di essa appog-
giare i paccheri ed infine le seppie precedentemente cotte. Per
decorare aggiungere la filangè di pomodoro, fiori di borragine e la riduzione di nero d’Avola.
Maurizio Urso a cui si riconosce il merito di aver formato numerose giovani leve locali. Gli anni trascorsi a lavorare in team di elevata professionalità gli hanno trasmesso la capacità di valorizzare la propria cucina territoriale con eleganza e senso della misura nel bilanciare ingredienti e sapori. Predilige una cucina di pesce, anche povero, e l’ausilio degli agrumi in alcune ricette come nell’ombrina con polvere di pomodoro e agrumi su crema di patate, carciofi e dressing di prezzemolo e zenzero o nel risotto al nero d’Avola con fondo di cacio e polvere di mandarino, ma già soltanto nella tipica caponata o nel classico tortino di alici si può intuire come una mano leggera renda i piatti più nitidi e definiti. Sontuosa la sequenza dei dolci tradizionali e creativi. Dunque, una cucina di pregio, servizi ed ospitalità di ottimo livello, fanno del Pietre Nere uno degli esercizi con il miglior rapporto qualità prezzo in assoluto.
LA NOSTRA SELEZIONE DI MARE INGREDIENTI
g. 75 di salmone marinato, g. 30 di mele Granny Smith, 2 gamberi rossi di Mazara, 5 asparagi selvatici.
Per il dressing al frutto della passione: g. 50 di succo di frutto della passione,
ml. 75 di olio evo, sale e pepe q.b.
Per la decorazione: erbette di campo, fiori eduli, chips di patate viola e caviale di balsamico.
PROCEDIMENTO
Tagliare due fettine sottili di salmone, farcirle con dei fiammiferi di mela verde
ed erbette di campo; arrotolarle e appoggiarle su un crostone di pane grigliato.
Sgusciare il gambero e porlo a marinare con scorze di agrumi, olio, sale e pepe.
Nel frattempo sbollentare gli asparagi, scolarli e ripassarli in padella con uno
spicchio d’aglio, sale e pepe.
Compore il piatto come nella foto.
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GOLAVAGANDO
BENVENUTI
AL SUD DOMENICO IAVARONE AL “JOSE’ RESTAURANT” DI TORRE DEL GRECO Giovane e dalle profonde radici territoriali, amante delle materie prime e attento ricercatore di prodotti genuini e di qualità. Lo chef stellato Domenico Iavarone inaugura il nuovo anno con un’avventura entusiasmante all’ombra del Vesuvio, al nuovo “Josè Restaurant” di Torre del Greco (NA), ristorante alla carta di Tenuta Villa Guerra. Suggestiva la location: mura bianche, distese verdi racchiuse tra il Vesuvio e l’azzurro del Golfo di Napoli. A investire in questo nuovo progetto gastronomico è la famiglia Confuorto, originari della città del corallo, decisi a mettersi in gioco per il pro-
JOSE’ RESTAURANT TENUTA VILLA GUERRA Via Nazionale, 414
80059 Torre del Greco (NA) Tel. 081 883 6298
prio territorio con uno chef che vanta una lunga esperienza nel settore, dalle brigate di Gennaro Esposito ed Oliver Glowig, al riconoscimento tre anni fa della stella Michelin al Maxi di Vico Equense. Creatività, tecnica e qualità sono i pilastri della sua cucina; tradizione e rispetto per le materie prime creano un perfetto equilibrio nel piatto, lasciando ogni singolo sapore riconducibile alla materia prima utilizzata. Ad affiancarlo ci sarà il siciliano Enrico Moschella, che ha collezionato importanti esperienze professionali estere, tra cui la Locanda Locatelli e il Dorchester Park Lane di Londra, e il ristorante stellato Capri di Zermatt in Svizzera; in Italia ha lavorato prima presso il Ristorante l’Olivo del Capripalace di Anacapri, per poi spostarsi al Monzù di Punta Tragara.
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GOLAVAGANDO
IL MONDO DI
FILIPPO COGLIANDRO
CHEF ANTIRACKET NELLA REALTÀ CALABRESE di
Cristina Vannuzzi Stefano Mileto
foto di
Per apprezzare pienamente la Calabria occorrerebbe imparare a vivere il tempo secondo i ritmi della terra. Ne è convinto Filippo Cogliandro, nato e vissuto in questa terra che cattura i sensi per la bellezza sconfinata, raccontandola attraverso la sua cucina che, come dice Gualtiero Marchesi “è di per sé scienza, sta al cuoco farla diventare arte”. Filippo cerca di trasformare in arte le proprie conoscenze professionali; la sua cucina vuole riprodurre i colori di un habitat fatto di natura, di mare, di sabbia, di ritmi cadenzati. Eletto Ambasciatore della Ristorazione Antiracket nel mondo, opera nella difficile realtà calabrese,
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convinto che “il silenzio uccide”. Per questo intende far conoscere la sua esperienza di imprenditore che si è ribellato alla logica del “pizzo” con La Cena della Legalità, un progetto nato a Firenze nel 2012 per raccontare, con un tour nelle diverse città italiane e all’estero, il suo lavoro di chef calabrese, abbinandolo alla cucina del territorio ospite: ecco che la cucina serve da viatico per celebrare uno scambio di emozioni e di conoscenze, per creare una rete sociale in grado di raccontare alla gente la propria storia, per costruire un modo di incontrarsi allo scopo di scrivere insieme una nuova pagina di storia comune.
FILIPPOCOGLIANDRO
BENVENUTI
AL SUD
RAVIOLO APERTO
di pasta fresca con vongole veraci, gambero rosso di Mazara e pomodorini datterini INGREDIENTI per 4 persone
aggiungere le vongole e i datterini tagliati
PRESENTAZIONE
rossi di Mazara, 10 pomodorini datteri-
qua poco salata. Sgusciare le vongole.
caldo, versare un cucchiaio del preparato,
g. 500 di vongole veraci, 24 gamberi no, g. 240 di pasta fresca in sfoglia, g. 10 di cipolla rossa fresca di Tropea,
1 spicchio di aglio, prezzemolo tritato
q.b., sale, pepe e olio extravergine di olive aspromontane q.b.
in quattro. Aggiungere un mestolo di acPulire il gambero rosso eliminando il filo
intestinale e aggiungerlo in padella qualche secondo prima di impiattare.
In abbondante acqua leggermente salata cuocere le sfoglie di pasta fresca.
Stendere la prima sfoglia su un piatto ben e appoggiare sopra l’altra sfoglia.
Guarnire il piatto con il restante condimento. Versare un filo di olio extravergine aspromontano e aggiungere un pizzico di prezzemolo.
In una padella antiaderente versare un filo di olio evo, lo spicchio di aglio incamiciato schiacciato, la cipolla tritata e un pizzico di prezzemolo tritato. Rosolare a fiamma dolce, togliere l’aglio e
L’INTERVISTA Cosa ci racconta la tua cucina? La mia cucina è il mio mare, la terra, i ricordi, la mia vita… Sono convinto che la cucina sia un insieme armonioso di emozioni e ricordi, volontà e creatività, passione e sacrificio; un lavoro che scegli, ma che forse ti sceglie… Come sono nate le “Cene della Legalità”? Sono nate per caso: un giorno sono stato contattato da una giornalista fiorentina per una intervista su quanto stava accadendo sia a me che a mio padre: la richiesta del pizzo, il rifiuto della scorta, l’amicizia e il sostegno di don Ciotti. Proprio per il rapporto di stima che si è stabilito con lui ci è venuta l’idea delle Cene della Legalità per portarle in tutta l’Italia affinché sia la cucina a diffondere il messaggio della legalità. Il progetto è stato registrato a nostro nome e, come fondatore del progetto, sono stato invitato nei festeggiamenti dei 25 anni del settimanale Panorama per un tour (Panorami d’Italia) iniziato proprio da Reggio Calabria.
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GOLAVAGANDO
CAPPESANTE
in umido con porro e datterino INGREDIENTI per 4 persone
12 noci di cappesante, 1 porro medio, 12 pomodorini datterini, olio extravergine d’oliva aspromontano, sale e pepe q.b., timo fresco. PREPARAZIONE
In una padella antiaderente versare un filo di olio extra-
vergine di oliva e i pomodorini; non appena si saranno ammorbiditi, aggiungere il porro tagliato a rondelle.
Regolare di sale e pepe. Lasciare insaporire le noci in un condimento di olio evo, sale, pepe e foglioline di timo.
Arrostire le cappesante su una piastra liscia ben calda, girarle più volte e tenerle in caldo. PRESENTAZIONE
Collocare a distanza regolare su un piatto bianco il preparato di porri e datterino, adagiarvi sopra le cappesante, completare con un filo di olio extravergine di oliva aspromontano ed un rametto di timo fresco.
FILETTI DI ORATA
al sesamo, ai semi di lino, ai semi di pistacchio, su crema di rapa rossa INGREDIENTI per 4 persone
di olio evo, aggiungere la rapa a cubetti e
avendo cura di girarli su ogni lato. Com-
rossa, semi di lino, semi di sesamo, pi-
la rapa sarà cotta per poter essere frullata.
minuti.
12 cubetti di filetto di orata di g. 40, 1 rapa stacchio tritato, olio extravergine di oliva
aspromontano, sale e pepe q.b., 1 cuc-
un mestolo d’acqua. Cuocere fin quando Regolare di sale e pepe e tenere in caldo.
chiaino di cipolla tritata.
Insaporire i filetti di orata in un condimen-
Per la crema di rapa rossa: mondare la
tivamente 4 filetti nel sesamo, nei semi di
rapa rossa e tagliarla a cubetti. Rosolare la cipolla tritata in un pentolino con un filo
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to di olio evo, sale e pepe. Passare rispet-
lino e nel pistacchio tritato. Scaldare una piastra liscia e arrostire i filetti preparati
pletare la cottura in forno a 160°C per 5
PRESENTAZIONE
Disporre la crema di rapa rossa nel piatto e adagiarvi i filetti di orata.
Completare il piatto con un filo di olio evo aspromontano.
FILIPPOCOGLIANDRO
BENVENUTI
CANNOLO SCOMPOSTO
AL SUD
alla ricotta aspromontana INGREDIENTI
Per kg. 1 di crema alla ricotta aspromontana
g. 800 di ricotta ovina aspromontana, g. 200 di zucchero. Mettere la ricotta aspromontana a scolare in un contenitore forato per almeno un’ora in frigorifero. Aggiungere lo zucchero e mescolare delicatamente. Coprire e lasciare
riposare ancora un’altra ora in frigorifero. Passare al setaccio la ricotta per eliminare le grumosità e per ottenere una crema molto fine. Conservare sempre in frigorifero. Per 12 cialde di cannolo
g. 140 di farina, g. 15 di zucchero a velo, 1 uovo, 1 pizzico di sale, g. 5 di cacao amaro, g. 15 di Marsala secco, g. 15 di aceto bianco, cannella in polvere q.b., g. 20 di strutto, olio di semi di girasole per friggere.
In una ciotola capiente mettere la farina setacciata, lo zucchero a velo, la cannella, il
cacao, il sale ed a seguire lo strutto e l’uovo. Versare a filo lentamente l’aceto ed il
Marsala, mescolato insieme, mentre si impasta, fino a far risultare un impasto consi-
stente, morbido ed elastico. Avvolgere l’impasto nella pellicola e lasciare riposare per un’ora in frigorifero. Con l’impasto tirare una sfoglia sottile di 1-2 millimetri e
ricavare dei rombi che andremo ad avvolgere in appositi cilindri spennellati con olio
Oggi, a seguito del mio impegno, sono stato nominato Ambasciatore della Ristorazione Antiracket nel mondo. Il mio desiderio è parlare, segnalare, far sapere, infatti ogni mia intervista termina con la frase: “Il silenzio uccide”.
ed unendo i lembi con dell’albume. Scaldare l’olio in un pentolino di dimensione medio-piccola fino alla temperatura di 170°C; fare scendere al massimo 2-3 pezzi per
volta. Metterli a scolare su fogli di carta assorbente ed attendere che si raffreddino per poter estrarre i cilindri. PRESENTAZIONE
Formare delle quenelle nel piatto, dividere a metà le cialde con un coltello da pane
La tua cucina è tradizione o sperimentazione? La tradizione è data dai i miei ricordi, la sperimentazione dal mio mare, a cui rubo l’ispirazione. La creatività mi viene dal pescato giornaliero del mercato, gli abbinamenti dalle verdure stagionali e i profumi sono tutti quelli della mia amata Calabria.
e spezzare le cialde a metà; ciò permetterà di creare un cannolo scomposto a seconda della propria fantasia. Completare con frutta candita ed una spolverata di zucchero a velo.
L’A GOURMET L’ACCADEMIA Via Colombo, 6
89125 Reggio Calabria
Tel. 0965 714132 – 0965 714093 www.filippocogliandro.it info@filippocogliandro.it
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GOLAVAGANDO
A VICO
IL BIKINI È UN POSTO CHE NON SI DIMENTICA di
Teresa Cremona
Del Bikini abbiamo già scritto. Situato fra Castellammare e Vico Equense, si allunga in una baia di sabbia e piccoli scogli, seguendo la costa, a ridosso della falaise, senza alterare il panorama, immerso com’è nella vegetazione della costiera. Definirlo stabilimento balneare è riduttivo. Il BIKINI è ristorante sul mare con terrazze che dalla strada scendono fino all’acqua; è spiaggia con ombrelloni e cabine; è angoli tranquilli e appartati su piattaforme dove stendersi al sole; è un luogo d’incontro per pranzi di lavoro o chiacchiere di amici. Il BIKINI è multiforme, offre molti modi di vivere il mare: dal pranzo alla cena elegante, dallo snack nell’ora della calura, all’aperitivo al tramonto, dalla giornata al mare con i bambini, all’incontro romantico che vuole solo sguardi e silenzi. Ma soprattutto Il BIKINI è dove si ha voglia di tornare. Ed è anche una storia di famiglia, da Riccardo Scarselli, il fondatore, che l’ha immaginato e creato, a Giorgio Scarselli, suo figlio, che oggi se ne occupa insieme a sua sorella. Il Ristorante ha iniziato la sua attività negli anni ’80, voluto appunto da Riccardo Scarselli, esperto pescatore subacqueo e conoscitore del suo mare. Molto è cambiato nel corso degli anni, ma il menu continua ad essere focalizzato sul pesce, prediligendo il pescato locale ma senza dimenticare la terra, l’orto e la montagna che pure sono parte fondamentale della gastronomia di questo territorio.
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BENVENUTI
AL SUD
GOLAVAGANDO
I NUOVI ORIZZONTI DI
TRAMONTANO IN COSTIERA AMALFITANA
Lo chef, Domenico De Simone detto Mimmo (in primo piano nella foto qui sopra), è di Vico Equense, e il suo calzoncino ripieno di fior di latte vale da solo il viaggio, così come gli spaghetti con i limoni di mare al finocchietto, che portano il mare nel piatto. Ma ci si può sbizzarrire con molto altro, cominciando con i piccoli fritti, o con un classico: il ragù di Riccardo. Un posto che non si dimentica.
Lo stellato Luigi Tramontano approda all’Hotel Le Agavi di Positano in qualità di executive chef dei ristoranti La Serra e Remmese. Nel suo curriculum, ristoranti prestigiosi tra cui il De Russie di Roma ed il Grand Hotel Quisisana di Capri. Determinante il suo apporto come executive chef anche a Il Flauto di Pan di Villa Cimbrone a Ravello e alla Terrazza Bosquet del Grand Hotel Excelsior Vittoria di Sorrento, entrambi stelle Michelin. Ora dunque gli si prospetta una nuova sfida in questo albergo affacciato sull’intera baia di Positano, dove potrà prodursi in una cucina di forte stampo mediterraneo, ricca delle influenze maturate nei vari ambiti lavorativi.
IL BIKINI
km 13,9 Strada Statale 145 - Sorrento 80069 Vico EquenseTel. 081 19840029 www.ilbikini.com
LE AGAVI HOTEL A POSITANO
Via G. Marconi - 84017 Positano (SA)
Tel. +39 089 87 57 33 - Fax. +39 089 87 59 65 www.leagavi.it - info@leagavi.it
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GOLAVAGANDO
A BITONTO
IL PATRIARCA È IL PUNTO DI RIFERIMENTO SICURO PER UNA RISTORAZIONE DI QUALITÀ di
Sandro Romano Ezio D’Onghia
foto di
Ubicato nelle immediate vicinanze della Cattedrale, in pieno centro storico di Bitonto, il ristorante Il Patriarca è il locale scelto dalla nostra redazione quale punto di riferimento di qualità in questa antichissima città, famosa sia per la straordinaria produzione olearia, sia per la presenza di numerose chiese in stile romanico pugliesi. Emanuele Natalizio, chef e proprietario del ristorante, elabora piatti intriganti, tutti preparati con le migliori materie prime del territorio. Ma al ristorante Il Patriarca, anche la pizza è un fiore all’occhiello. L’attenzione agli impasti e alle corrette lievitazioni fanno di questo locale una delle migliori pizzerie di Puglia. Qui si utilizzano farine biologiche, semole pugliesi e farine speciali per impasti alla canapa sativa, alla carruba, al farro o multicereali, e l’abbinamento con ingredienti di qualità porta a risultati di livello eccellente e ad una vasta possibilità di scelta.
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LA CUCINA Piatti meritori di citazione sono, senza ombra di dubbio, il polpo ripassato in padella con patate e succo di Pachino, o il carpaccio di baccalà con marinatura di 60 ore e sferificazione di succo di ciliegia (in stagione) o di Gran Marnier. Altrettanto gradevoli i primi, di mare soprattutto, come i paccheri di Negroamaro con tonno rosso e gamberi di Gallipoli, o i tagliolini al lime con lupini di mare e carciofi frullati all’extraXXXXX il risotto con vergine, oppure crema dixxxxxxxxxxx fave, cicorie di camxxxxxxxxxxx po, stracciatella e polpettine di vitello. Nei secondi si spazia in prevalenza sul pesce, come il filetto di coda di rospo su crema di peperoni al pecorino e
BENVENUTI
AL SUD
GOLAVAGANDO
L’AMBIENTE Il ristorante Il Patriarca sorge al fianco della bellissima e maestosa Cattedrale, nel cuore del centro storico di Bitonto, in un vecchio palazzo in pietra. L’interno è formato da due ampie sale: quella al piano strada con suggestive volte a crociera, quella nell’interrato con belle volte a botte. Colori chiari, luce morbida e una parete antracite su cui sono scritti alcuni versi di una poetessa bitontina; nell’insieme il locale si presenta come luogo sobrio ed elegante allo stesso tempo. 170 sono i coperti all’interno, tra le due sale, e 100 invece all’esterno (praticamente all’ombra della Cattedrale) che permettono di sfruttare il gradevole clima estivo e di godere di una situazione particolarmente suggestiva per l’adiacenza del monumento più importante della città di Bitonto.
capocollo croccante o il baccalà con tartare di cipolla rossa di Tropea, filetti di mandorle di Toritto e vincotto di fichi, ma chi preferisce la carne potrà, ad esempio, optare per delle squisite costine di agnello su fonduta di pecorino e funghi cardoncelli arrosto. Dolce chiusura con semifreddo pere e cioccolato fondente al rhum oppure con il classico bocconotto bitontino fatto come una volta e cioè con l’olio extravergine, elemento simbolo e protagonista assoluto della produzione agroalimentare della zona. Una selezione di circa 60 etichette di vino in prevalenza italiano, con particolare attenzione alla Puglia, completa l’offerta.
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GOLAVAGANDO
LA STORIA Negli anni dal 1989 al 2000 Emanuele faceva il cameriere di sala nello stesso attuale ristorante, che all’epoca si chiamava “Alla Cattedrale”, poi da lui rilevato nel 2006. Fu così che nacque “Il Patriarca”, nome che – come sostiene lui stesso - voleva richiamare la sua imponente presenza fisica, in quanto Emanuele è un omone barbuto di un metro e novanta, stile, per intenderci, Antonino Cannavacciuolo. Nelle sue riuscite intenzioni, l’idea di offrire alla città una ristorazione di qualità, ricercata negli ingredienti e negli abbinamenti, con cibo, olio e vino protagonisti assoluti.
COSA VEDERE La Cattedrale di Bitonto è lì a un passo, appena si esce dalla porta de Il Patriarca, e vale una visita perché è davvero maestosa e bellissima con il suo sobrio stile romanico, tipico di queste zone della Puglia. Sotto di essa sorge la chiesa paleocristiana, anch’essa molto interessante, e tutt’intorno il centro storico di Bitonto, suggestivo e, soprattutto di sera, pulsante di vita, con bar e ristoranti che rivolgono la loro offerta al turista di passaggio ma anche alla popolazione locale. RISTORANTE IL PATRIARCA
Via Beccherie Lisi 15 -70032 Bitonto (BA) - Tel. +39 080 3740840 www. ristoranteilpatriarca.it - info@ristoranteilpatriarca.it
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Buone Nuove
le novità del mese
ARTMENU FACTORY FIRMA L’EVOLUZIONE DEL MENU A TAVOLETTA I VANTAGGI DEGLI SPACCASASSI
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Di Rinci un prodotto innovativo, quantomeno perché poco conosciuto se non nel territorio marchigiano, dove è diffuso: si tratta dello spaccasassi, una pianta che cresce lungo le coste mediterranee, meglio conosciuta come finocchio marino o Erba di San Pietro. Le succulente foglie evocano i sentori del finocchio, del limone e della carota, e vantano, inoltre, preziose virtù nutrizionali legate all’abbondanza di vitamina C, carotenoidi e flavonoidi, sostanze benefiche per la nostra salute fisica. Gli spaccasassi sott’olio sono ideali per antipasti o in accompagnamento a piatti di pesce.
Nato come soluzione veloce per presentare con uno stile immediato le proposte del giorno, i piatti fuori menu o quelli stagionali, il porta menu a tavoletta oggi fa tendenza. Soprattutto in ambiente anglosassone, questo formato apparentemente povero, sta riscuotendo sempre più successo ed è particolarmente amato da tutti quei locali dall’impronta giovane e non troppo formale. Dunque il menu a tavoletta può essere anche oggetto di design? Sì, secondo Artmenu Factory, che con la sua nuova linea propone, accanto alla classica pinza per fermare i fogli, soluzioni artigianali made in Italy più funzionali e al tempo stesso curate ed eleganti nella presentazione: tavolette a molla, a magnete, ad angoli o a fasce realizzate in svariati materiali come vero legno o ecopelle e impreziosite da personalizzazioni a caldo, a secco e serigrafia, applicabili sia sul fronte che sul retro a seconda delle esigenze di spazio. Le tavolette di Artmenu Factory sono disponibili nel classico formato A4 e su misura.
www.artmenu.it
www.rinci.it
ICOOK “TASTE & SHARE”
BN
Uno spazio polifunzionale per ICOOK “Taste & Share” di Cesena (FC), una scuola di cucina condivisa che unisce due realtà distinte: il know-how formativo dell’ISCOM, centro di formazione ASCOM, e l’esperienza organizzativa di Cook Academy, laboratorio di creatività gastronomica. La scuola si estende in uno spazio polifunzionale di 400 mq totali, con un laboratorio esperienziale di 24 postazioni di lavoro singole, una sala convegni con 70 posti, 2 circuiti televisivi interni e una sala cucina con 100 posti a sedere per cene ed eventi.
www.cookacademy.it
LA QUALITÀ DEI BRUTTI E BUONI
BN
La Pasticceria Milano presenta il nuovo packaging dei Brutti e Buoni, i tipici dolcetti del varesotto, a base di mandorle e nocciole tostate, dall’inconfondibile aroma di vaniglia. E sembra proprio la vaniglia ad ispirare i nuovi colori, il tono chiaro e delicato del fiore e il marrone intenso del baccello. I Brutti e Buoni possono essere acquistati in sacchetto termosaldato, in scatola di cartone o nella confezione famiglia da 1 chilo.
www.pasticceriamilano.eu 34
I locali
on
Trésor
Scopriamo insieme quali sono i locali che racchiudono piccoli grandi tesori...
Ogni ristorante, locanda o trattoria, famosa o meno, può vantare il proprio “Mon Trésor”, un personalissimo tesoro fatto di attenzione per i dettagli, cura dei propri ospiti, professionalità in cucina e in sala. Noi abbiamo individuato alcuni di questi “Mon Trésor” e li segnaliamo nelle prossime pagine...
golavagando montresor
A PIOMBINO
BAR “RIO”
È LA TAPPA OBBLIGATA PER GLI AMANTI DEI COCKTAIL Sono Alessandro Barbàra e Azzurra Pezzin, l’anima e il cuore del “Bar Rio” di Piombino, cittadina di frontiera tra la punta estrema della provincia di Livorno e l’Isola d’Elba. L’attività, storica e attiva già dal lontano 1953, da solo quattro anni è gestita da questa coppia che si dedica con grande passione al proprio lavoro. Entrambi occupati in passato in tutt’altro, decidono la grande avventura nella ristorazione, con l’apertura a Riotorto, Isola d’Elba, di un bar, una pizzeria e in contemporanea il bar Rio a Piombino. Poi la decisione di abbandonare le attività elbane per i troppi impegni da coordinare tutti insieme consentono di concentrare tutte le energie sul bar di Piombino. Così, in poco tempo, riescono a far diventare questo locale un punto di riferimento per gli amanti dei Whisky, Gin e Rum, superalcolici che al Bar Rio godono di grandi attenzioni grazie alla passione di Alessandro per queste tipologie di bevande. Quindi le ottime selezioni di questi ed altri distillati affiancano le consuete e classiche somministrazioni che il
on
Trésor
VARIANTE VODKA MARTINI Si esegue nella Coppa Cocktail il lavaggio del ghiaccio con il Brodo di Giuggiole. Quando le pareti interne del bicchiere sono completamente bagnate, si svuota la coppa dal Brodo di Giuggiole e si versa lentamente la Vodka Snow Leopard sul centro del fondo del bicchiere. Guarnizione: bordo della Coppa Cocktail con zucchero aromatizzato al Brodo di Giuggiole e listarelle di scorza di arancia all’interno.
BAR RIO
Via Trento e Trieste 43 57025 Piombino (LI)
Tel. 331 5789515 - 331 5789768
bar propone quotidianamente, ma il motivo principale grazie al quale questo bar è supergettonato sono i cocktail e la mano, sempre di Alessandro, nel realizzarli. Dai più classici a quelli più estrosi, le scelte non mancano. Un ottimo rapporto qualità prezzo obbliga gli intenditori piombinesi a non perdere l’occasione di passare dal Bar Rio almeno una volta al giorno e il consumo di questi cocktail va avanti per l’intera giornata. Il tardo pomeriggio arricchisce queste preparazioni con piacevoli finger, preparati appositamente per il bar da Matteo Moioli, titolare di una vicina attività che propone cucina vegetariana e vegana e affianca con le sue preparazioni il momento degli aperitivi serali. Ai finger vanno aggiunti salumi e formaggi, selezionati da piccoli artigiani locali e del resto della Toscana.
IL NOSTRO NEGRONI Si utilizza un bicchiere tipo Old Fashion. Va miscelato in un Mixing Tin 1/3 di Martini Rosso,1/3 di gin Mare e 1/3 di Bitter Montresor. 1 cucchiaino di spremuta di succo di arancia a finire. Guarnito con scorza arancia.
Il Mon Tresor è... IL BITTER DI QUALITÀ Il piacere di aver scoperto, tra i tanti liquori e distillati che si usano per preparare i cocktail, due prodotti di Montresor molto particolari, che danno alla bevanda finale una marcia in più in quanto a qualità e sapore. E da un Bitter speciale con il quale Alessandro realizza il “suo” Negroni, si passa al Brodo di Giuggiole, che lui usa riscaldato, mettendoci in infusione scorza d’arancio, chiodi di garofano e zucchero di canna, servendolo poi come una sorta di Ponce, come si dice in Toscana.
AI COCKTAIL SONO STATI ABBINATI I SEGUENTI ASSAGGI: Si utilizza un bicchiere tipo Snifter. Posata la scorza d’arancia sul fondo del bicchiere, si aggiunge mezzo cucchiaino di zucchero di canna e due chiodi di garofano. A questo punto si versano 6 cl di Brodo di Giuggiole e si scalda il tutto con la lancia del vapore della macchina del caffé (procedimento del Ponce alla Livornese). Appena pronto, guarnire con una cialda di zucchero e cannella.
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golavagando montresor di
Daniele Briani
A VENEZIA
ANTICO GATOLETO
SORPRENDE PER IL CALORE DEGLI AMBIENTI E PER LA QUALITÀ DELLA CUCINA Venezia è sempre ammantata da un fitto mistero, come da quelle nebbie che d’inverno coprono la laguna e i canali che lambiscono le fondamenta di palazzi intrisi tanto di storia quanto d’umidità. Un mistero che colpisce il visitatore straniero quanto quello italiano e che emana da campi e palazzi, dal dedalo di canali e calli, e dal linguaggio ricco di espressioni che mischiano le origini latine con quelle greche unite ad influenze arabe. A volte proprio per questo motivo il mistero sull’origine di alcune parole rimane tale, togliendo certezze etimologiche per lasciare spazio al fascino di parole che attraggono solo per la loro indolente e morbida musicali-
tà. La parola gatoleto ne è un esempio. Potrebbe far pensare a un piccolo gatto, invece fin dai testi della gloriosa Serenissima indica una caditoia, oppure un rigagnolo per la raccolta dell’acqua. Evidentemente a Venezia ce n’è uno più antico di altri, tanto da diventare un punto di ritrovo nei pressi del quale l’omonimo ristorante ha fatto la sua fortuna. Siamo a pochi passi dal ponte di Rialto, in una calle che gira intorno alla bellissima e antica Chiesa dei Miracoli in Campo Santa Maria Nova, nel glorioso sestriere di Cannaregio. Un locale ampio e ricettivo che lascia alla modernità il giusto spazio con dei vistosi rimandi a quella venezianità che non ha eguali al mondo. Un angolo più intimo è dedicato a chi vuole desinare in non più di dieci persone, circondate da antichi e consunti legni, bottiglie storiche e di pregio e un affaccio direttamente in calle. Non è solo alla storia e
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on
Trésor
all’atmosfera che l’Antico Gatoleto deve le sue fortune: ci si mangia bene, e seppure il menù offra ampi spazi di scelta, è meglio optare sulle pietanze di pesce per apprezzare il massimo che la cucina esprime. Ricche crudità rimpolpano gli antipasti assieme a marinati e affumicati di vario genere. I primi di pasta corta o lunga sono accompagnati dai condimenti allo scoglio, alla busara, al nero di seppia o altro che richiami il sapore del mare, enfatizzato anche nella classica zuppa di pesce. I secondi mettono in tavola il pescato giornaliero che varia con la disponibilità del mercato: pesci e crostacei si possono assaporare alla griglia oppure fritti o al forno. Non v’é dubbio che chi non ami il pesce trova le giuste alternative, tra cui citiamo il fegato alla veneziana, tanto per non oltrepassare il confine della laguna. La cantina si esprime soprattutto con vini del territorio veneto e friulano la scelta dei quali è molto ampia e di ottima qualità, fruibili anche al calice. Aperto tutti i giorni dell’anno, d’estate è deci-
RISTORANTE ANTICO GATOLETO
Campo Santa Maria Nova - Canareggio - Venezia Tel. +39 041 522188
www.anticogatoleto.com - info@anticogatoleto.com
Il Mon Tresor è... LA PRIVACY DI UNA SALETTA
samente piacevole desinare all’aperto in Campo Santa Maria Nova, magari dopo aver visitato la vicina Chiesa dei Miracoli che conserva l’immagine de la Vergine con bambino ritenuta, appunto, miracolosa.
Della cucina di pesce abbiamo già abbondantemente parlato e sicuramente rappresenta, per l’ampia scelta e la qualità del cibo, il fiore all’occhiello che contraddistingue il locale. A questo va sicuramente aggiunta quell’atmosfera particolare, calda e accogliente, della saletta privata, che isolandosi dal resto del ristorante e affacciandosi direttamente sulla calle, immerge il cliente nell’intimità delle architetture veneziane.
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golavagando montresor di
Giovanni Angelucci
NEL COMASCO
THE ANGUS È IL TEMPIO DELLE CARNI NOBILI
Parola d’ordine: carne, i suoi tagli succulenti e prelibati, come non l’avete mai mangiata. Chi non è particolarmente incline al mondo carnivoro, lasci stare. Ma gli amanti della buona e santa bistecca potrebbero essere felici come bimbi al luna park. Chi l’avrebbe mai detto che uno dei migliori indirizzi dove mangiare ottimi tagli selezionati di Angus fosse proprio a Villa Guardia (CO), lungo la statale Varesina? Qui Giuseppe Brasini e la moglie Justyna Smoter hanno creato il ristorante The Angus soltanto quattro anni fa e la prima evoluzione è già avvenuta passando dalla saletta di trenta coperti
THE ANGUS
Via Varesina ang. Via Corsica 22079 Villa Guardia (CO) Tel. 031 483382
www.theangus.it
ad uno spazio ben più ampio che può ospitare fino a ottanta commensali (senza contare i tavoli esterni in estate). Per i comaschi e gli svizzeri prossimi al confine è un punto di riferimento e ci è voluto poco per spargere la voce: The Angus è il luogo in cui poter godere della vera carne di Angus i cui diversi nobili tagli vengono cotti sulla griglia a vista, con brace a legna di faggio. Quella della giovane coppia di ristoratori è una forma d’arte, perché no, che inizia dalla scelta dell’animale, del fornitore serio che assicuri la qualità costante, fino alla valutazione del taglio da servire, al suo mantenimento e alle cotture applicate come momento di sublimità assoluta. A disposizione due proposte della casa, il menù argentino e quello america-
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on
Trésor
Il Mon Tresor è... no, entrambi con carne di provenienza USA ma contraddistinti dai tagli a seconda del gusto: tartare di Angus, asado e entrana (parte interna del costato, il muscolo del diaframma) per il primo (quindi per chi predilige la carne più saporita e con percentuali di grasso maggiori) e il carpaccio scottato con sale affumicato dell’Atlantico e Ribeye (taglio nobile, costata senza osso) per l’americano basato su carne più magra. Entrambi contano circa mezzo chilo di carne. Alla carta si può scegliere tra il tagliere di salumi con la bresaola di manzo, il salame di cavallo e quello di asino, insieme ai formaggi misti, tutto a “centimetro zero”. Per i vegetariani (sì, anche loro possono sedere alla tavola del The Angus) il tomino con crosta di polenta, fritto e servito su letto di porcini trifolati o il tortino di verdure con crema di taleggio. Poi le paste all’uovo: tagliatelle con ragù di Black Angus preparato al momento, saltato e sfumato con del vino rosso e quindi “al sangue” rispetto ad un normale ragù di carne, i quadrotti, ravioli ripieni di brasato d’Angus con sugo d’arrosto e funghi porcini, gli gnocchi di castagne con ragù di funghi misti e l’immancabile zuppa per confortare i periodi più freddi. Giunti nel mondo delle carni a disposizione c’è la degustazione della gri-
L’OFFERTA DELLA CARNE IN MENÙ Un piccolo tempio (tralasciando la facciata esterna) in cui trovare i nobili e variegati tagli di Black Angus, merito della qualità della materia prima selezionata e alla ricerca di Giuseppe. In zona è uno dei pochi, se non l’unico, a proporre qualcosa del genere.
gliata mista con un godurioso percorso di cinque diversi tagli, dal meno al più saporito, ognuno di 100 grammi, così da assaggiare tutte le carni in carta eccetto la Ribeye (venduta a peso almeno 300 g.): trip tip (parte della coscia cucinata intera), chuck flap (muscolo del collo), flap (muscolo addominale), rumsteack (bistecca di cuore di scamone) ed entrana. Di più, l’hamburger è tritato al momento con la possibilità di scegliere la percentuale di grasso all’interno, e tutte le carni sono servite su ghise calde e adagiate su foglie di radicchio in modo che la cottura non continui una volta giunte al tavolo. Da segnare in agenda anche le serata a tema che Giuseppe e Justyna organizzano due volte a settimana: il martedì è dedicato allo street food, dal pastrami affumicato in versione panino americano con pane di segale, senape, cetriolini e patate, all’intramontabile panino pulled pork con cosciotto affumicato cotto a bassa temperatura. E il giovedì, a rotazione, il giro del mondo con le carni di manzo, mentre la mattina del sabato viene allestito un proteico brunch a base di salsicce e fagioli, uova e bacon, crostini di pastrami, pan cake, french toast, accompagnati da freschi estratti di frutta. Tutto questo è la dimostrazione non soltanto di una cura semi-maniacale di ciò che si serve ai propri clienti e di capacità imprenditoriale, ma anche di totale e sana passione.
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GOURMETFOOD
Asfalto sbrecciato, intonaci mangiati dal sole, stradine scoscese in mezzo a condomini anni ’60, con i vecchietti seduti fuori dai bar. Poco distante il mare, dall’altra parte la campagna con una distesa tubolare di serre nell’aridità desertica dell’entroterra, ocra sul giallo dei castelli in rovina. Non è una Sicilia da cartolina, quella dove Pino Cuttaia ha apparecchiato la sua Madia: quotidiana e stropicciata come la sua cucina. Dietro l’ingresso dimesso, fra un compro oro e un centro parati, sotto un balcone familiare, il lungo corridoio immette con
A LICATA, LA CUCINA MATERNA DI
PINO
CUTTAIA
VANTA UNA SEMPLICITÀ RICCA E AVVOLGENTE di
Alessandra Meldolesi Davide Dutto
foto di
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PINOCUTTAIA
BENVENUTI
AL SUD
una certa riluttanza nella saletta appena ristrutturata. Lignea di rovere e lineare fino alla spigolosità, illuminata da una vetrata che dà su piante accatastate un po’ a caso. Un piccolo mondo a parte, senza infingimenti estetici, più che mai distante dalla Ragusa reboante dell’altro fuoriclasse siciliano, Ciccio Sultano, avvolto nei colori saturi di una dimora borghese. Classico anziché barocco, ma di una classicità dimessa e affabile, domestica e vivente, ruminata da millenni di consuetudine plebea con la perfezione aurea della grande storia. Quella che ribolliva ogni giorno sui fornelli aperti di casa Cuttaia, sotto mestoli rigorosamente femminili. “La mia avventura è cominciata per caso. Fin da piccolo ho subito il fascino della ristorazione, per quanto mangiar fuori fosse tutt’altro che un’usanza familiare. Quando ero solo non riuscivo nemmeno a pranzare, tanto che mia nonna era costretta a invitare un amichetto. Se poi in Germania andavamo al bar con papà, ripeteva che dovevamo tornare a casa, dove tutto era meglio.
LA CHIAMATA Una frase che mi è rimasta dentro. Poi successe che in Piemonte, dove mi ero trasferito per cercare lavoro, un amico mi chiese di dargli una mano la sera per lavare i piatti, io gli risposi che era pazzo e lui per convincermi promise che avrebbe stappato una bottiglia di Champagne, vino che non avevo mai bevuto e che mi incuriosiva tantissimo. Ed è stato così che sono entrato nel settore, dalla porta sul retro. All’Olivetti mi sentivo un numero, ogni mattina in fila per timbrare il cartellino; ma continuavo a fare l’extra, anche per arrotondare. E un giorno, mentre tagliavo una cipolla, ho avuto ‘una chiamata’, mi sono sentito libero di affettarla come volevo e così ho scoperto la libertà, attraverso una cipolla. La mia famiglia era contraria, ma mi sono licenziato dalla fabbrica, perché avevo capito che il cibo poteva essere uno strumento per comunicare. Sono andato a cucinare nel Biellese, anche nei campi da golf, e ho iniziato a sperimentare di pomeriggio. Poi ho conosciuto mia moglie Loredana, che lavora qui in sala, sono tornato a Licata e nel 2000 ho aperto la Madia. Inizialmente non è stato facile: l’educazione alimentare era ancora lontana, la cucina in giro era anni ’80, sembrava che il cuoco dovesse essere complice dei casini altrui, trasgredire le regole, mentre a casa si mangiava ancora come si deve. Io però non volevo essere complice, mi sono ribellato e sono diventato anticommerciale. Ho fatto le lotte. Ricordo, che siccome c’era già il corridoio, a volte capitava qualcuno per caso e io dicevo che ero pieno, mentre la sala era vuota. È stata la mia incoscienza, il mio credo. Quelli che conoscevo invece passavano con un auspicio: ‘Speriamo che cucini come lava le pentole’, perché mi piaceva lucidare i tegami in alluminio con il sapone di Marsiglia e le pagliette, ne
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GOURMETFOOD
avevo fatto un’arte creando rispetto in un luogo che non veniva rispettato. Tanto che i cuochi chiedevano il permesso per usare una pentola oppure per lasciarla. Ancora oggi alla Madia non ho lavapiatti, per una questione di manualità, per l’importanza di fare pulizia e la sensibilità che ne consegue, in automatico. Come nella gestione del frigo, un altro gesto domestico. Non si può essere artisti senza lavare un tegame. Rappresenta il rigore verso se stessi e il proprio mondo, senza il quale si è cuochi a metà.
LA CUCINA DEL CUORE Pian piano poi tutto è cambiato. Subito dopo il riconoscimento dell’Espresso come giovane dell’anno, nel 2006 è arrivata la prima stella Michelin e nel 2010 la seconda. Anche la mia cucina
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si è evoluta, entrando in simbiosi crescente col prodotto. Sono diventato più imperfetto, appropriandomi della cucina domestica e del gesto degli artigiani, facendomi custode di tanti saperi quante sono le maestranze coinvolte in un’attività ristorativa, come preparare il pane o una cagliata. Quando se ne andranno le ultime persone anziane, che cucinano ancora in casa, il tempo per certe cose mancherà a tutti tranne che ai cuochi. Ed è questa la nostra missione. Faccio una cucina materna che vuole toccare il cuore, non troppo cerebrale, perché sarebbe presuntuosa; piuttosto incline alla piacevolezza e familiare. Di pensiero ma non astratta, non certo una partita a scacchi. Anche il bambino deve poter dire: ‘buono’, che è la massima espressione di una pietanza. Non mi piace osare, anche se sono un creativo. Cerco il risveglio, il guscio domestico, un certo comfort contadino. Per esempio non uso spe-
NUVOLA DI CAPRESE INGREDIENTI per 4 persone
ora filtrarlo e lo miscelarlo con la panna,
Per la spuma di mozzarella: g. 400 di
con due bombolette di gas.
Per la sfoglia di latte: dl. 2 di latte.
mozzarella di bufala, g. 200 di latte, g. 220 di panna fresca, sale.
Per la spremuta di datterino: kg. 1 di pomodorino datterino, olio extravergine d’oliva, 2 spicchi d’aglio in camicia, basilico.
Per la panzanella: mollica di pane di grano duro fresco, spremuta di datterino. PROCEDIMENTO
Per la sfoglia di latte: versare il latte in un tegame ampio e mantenerlo caldo sul
fuoco debole senza farlo arrivare all’ebollizione; dopo una decina di minuti, quando
sulla superficie si forma un velo, rivestire con la pellicola l’esterno di un tegame più
piccolo e immergerlo nel latte caldo in modo che vi si attacchi il velo. Rimuoverlo delicatamente, allargarlo sul tavolo e co-
prirlo con la pellicola. Ripetere varie volte
quindi versarlo nel sifone che caricheremo
rino in un sacchetto da sottovuoto con gli spicchi d’aglio, qualche foglia di basilico e
poco olio. Chiudere il sacchetto e immergerlo in acqua a 80°C per 30 minuti. Apri-
re il sacchetto, eliminare l’aglio e passare i pomodori, premendoli attraverso il chinois
fine. Unire parte di questa spremuta alla
mollica di pane, aggiustare di sale e ottenere una sorta di panzanella, da modellare a quenelle.
Per la nuvola: allargare una “sfoglia” di latte sul tavolo e sifonarvi al centro la spuma di mozzarella. Avvolgerla con il velo, avvicinando i lati, e capovolgerla in modo da appoggiarla sul lato con la chiusura.
Per la spuma di mozzarella: spezzettare
al centro di un piatto fondo, con sopra
frullarla insieme al latte caldo, poi passare il composto in frigorifero per 12 ore. Solo
AL SUD
zanella: raccogliere i pomodorini datte-
PRESENTAZIONE
la mozzarella nel bicchiere del mixer e
BENVENUTI
Per la spremuta di datterino e la pan-
l’operazione (i primi 2-3 veli non vengono abbastanza spessi e dunque si buttano).
PINOCUTTAIA
Mettere una quenelle di panzanella
una nuvola; condire con un filo d’olio e
qualche fogliolina di basilico. Versare nel
fondo del piatto la spremuta di datterino.
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GOURMETFOOD
zie esotiche, perché i miei profumi sono quelli di tutti: gli agrumi, il prezzemolo, la cipolla, l’aglio, al massimo lo zafferano e la cannella”. Un autodidatta, quindi. “I miei corsi sono stati mangiar fuori e leggere qualche libro. Ho sempre sentito fin dove potevo arrivare e lì mi sono fermato. Per esempio a una conferenza di Ferran Adrià decisi di abbandonare l’auditorium perché mi stava impoverendo, mostrando un futuro cui dovevo arrivare da solo. La cucina tutt’intorno l’ho sempre osservata in maniera distratta, per non avere la tentazione di copiarla ma proseguire nel mio percorso personale. Sono cresciuto con le pecore che passavano sotto la finestra e il pastore che lasciava il latte, ogni pomeriggio arrivava il pesce nel quartiere e la sveglia era una donna che gridava cosa aveva raccolto il marito. Tutto questo mi ha addestrato all’espressione dell’ingrediente attraverso la stagionalità e la sostenibilità.
IL CUOCO VISIONARIO Ma non basta: il cuoco contemporaneo deve essere un visionario, capire dove va l’ingrediente e cosa va preservato al fine di salvare la propria terra. Quasi tutto ciò che porto in tavola è locale, per una forma di rispetto verso chi arriva in Sicilia, magari dopo migliaia di chilometri, e perché non cerco sapori codificati a livello nazionale. Lo stesso mare è un raccolto: adesso iniziano le seppioline e i calamaretti, mentre finiscono i polpetti; compaiono e poi spariscono le uova, variano le dimensioni delle triglie. Prodotti che spesso mi offrono un’altra occasione per valorizzare il ‘difetto’ e uno stimolo ulteriore all’immaginazione. Dieci anni fa usavo il caviale per nobilitare il piatto, oggi dico che la cucina è una livella, sotto cui ricco e povero non esistono più”. La narrazione, per via di understatement, è quella di una microstoria siciliana: un tinello poetizzato dall’eleganza e dalla pulizia gustativa, da una semplicità apparente che innesca con un colpo di nacchere la danza del carnevale, in modo da rivestire di ignoto quanto sembrerebbe banale e quotidiano. I menu degustazione sono tre: Per le scale di Sicilia a 90 euro; Illusione, che ne costa 110, e il Mare inaspettato a 120. In sala, con Loredana, officia il sommelier Vincenzo Corrente,
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PINOCUTTAIA
BENVENUTI
AL SUD
RAVIOLO DI CALAMARO
ripieno di tinniruma di cucuzza, con salsa d’acciughe INGREDIENTI per 4 persone
tenere una crema liscia e appiccicosa che
Infine frullare con il minipimer.
g. 200 di tinniruma (germogli della pianta
bocchetta liscia. Farne uscire delle palli-
lino, unire lo spicchio d’aglio spellato e
g. 200 di calamaro (peso netto) di cucuzza siciliana)
g. 100 di ricotta vaccina g. 50 di cipolla
g. 50 di olio extravergine d’oliva sale
Per la salsa d’acciughe g. 250 di latte
1 spicchio d’aglio
g. 50 di olio extravergine d’oliva
g. 20 di filetti d’acciuga sotto sale Per guarnire
4 scampi appena scottati e sgusciati PROCEDIMENTO
Per questa preparazione utilizzare solo il
manto (o sacca) del calamaro. Dopo averlo ben pulito e spellato, lavarlo e asciu-
garlo perfettamente e frullarlo fino a ot-
trasferiremo in un sac à poche munito di ne, appiattirle con il batticarne fra due fogli di carta da forno in modo da ottenere
una sfoglia sottilissima, quasi trasparente. Immergere queste foglie in acqua a 70°C per 10 minuti.
Per il ripieno: dopo averla lavata, sbianchire la tinniruma nell’acqua salata in ebollizione, per 2 minuti, scolarla e passarla
subito in acqua e ghiaccio perché man-
Per la salsa: versare il latte in un pento-
metterlo sul fuoco al minimo. Lasciarlo ridurre fino a quando si addensa e assume una consistenza simile a quella della
panna. A questo punto aggiungere l’olio
e i filetti di acciuga dissalati; proseguire la cottura per altri 5 minuti. Frullare con il
minipimer per ottenere una salsa liscia e cremosa.
tenga un bel colore verde, quindi strizzarla
PRESENTAZIONE
far rosolare dolcemente la cipolla tritata,
evidenziando la trasparenza dell’involucro.
fra le mani. Scaldare l’olio in una padella e quindi unire la tinniruma e lasciarla cuoce-
re, a fiamma bassa, per 10 minuti. A questo punto unire la ricotta sbriciolata, me-
scolare, regolare di sale e proseguire la cottura, sempre a fuoco dolce, fino a che
il liquido si sarà asciugato completamente.
Allestire il raviolo al momento del servizio,
Allargare dunque una sfoglia di calamaro
sul piatto, mettervi al centro un cucchiaio di ripieno e chiudere con un’altra sfoglia.
Completare il piatto con la salsa e, infine,
guarnire con uno scampo appena scottato da una sola parte.
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GOURMETFOOD
che amministra una carta dei vini da 700 etichette, dove la Sicilia è ben rappresentata. Vi figurano i classici dello chef, piatti che lo hanno portato a essere quello che è. Per esempio, l’uovo di seppia (dove l’albume è mollusco frullato e modellato in un guscio di gallina, ripieno di tuorlo al nero), che ha battezzato il laboratorio di Cuttaia a pochi metri dalla Madia, consacrato a paste e sughi popolari. Ma anche la finta pizza con il cornicione soffiato in forno a calore altissimo, al cui interno giace una guarnizione composta di nasello salato e affumicato in casa con le pigne, spuma di patate, secondo la stagione porcini crudi, polvere di pomodoro o scorzone: il primo di una serie di understatement sotto forma di trompe-l’oeil, dove la meraviglia nasce dalla tecnica ma attraverso gesti quotidiani. Succede anche nella Nuvola di caprese, mozzarella destrutturata con la pelle di latte all’esterno e una spuma di bufala all’interno, per estremizzare le consistenze, più una spremuta di datterino, un giro d’olio e una fogliolina di basilico. In alternativa al sifone, può essere preparata come una ganache da pasticceria grazie alla ricchezza di panna, da montare con la frusta dopo congruo riposo. Memorabile Sole e vento, un pane cunzato, cioè condito, che rinnova il
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rito dell’extravergine a inizio pasto. Quindi l’acciuga di Licata su una strisciata di concentrato di datterini crudo e senza sale, al naturale come il pelato di Lopriore, da scarpettare con il pane e intingere nell’olio da cultivar Nocellara. “Mi è servito a eliminare i panini conditi, per devozione verso un alimento sacro. Lo preparo con grani antichi: farina madonita, semola siciliana, tumminia. In modo da far sentire i profumi e il companatico di una volta”. Oppure la fettina di alalunga cotta a bagnomaria, come si usava per i convalescenti, con un esito di shabu shabu domestico, servita con olio, limone e un seme per l’amaro e l’imperfezione del gesto materno, pregno di amore.
Semplicemente la vita, secondo una simbologia palmare, nitida nel minimalismo della composizione. “Uno dei piatti che attualmente mi sento più addosso, per l’elogio dell’imperfezione e l’emozione che sprigiona”. Imperfetti, perché diversi l’uno dall’altro, sono anche i calamari di Licata, che Cuttaia ha voluto uniformare ricavandone una pasta fondente dalle sembianze orientali, farcita di dolcissimi tenerumi e ricotta, come un raviolo alle erbette, e servita con una salsa di acciughe e bottarga tutta umami e sapidità. Mentre il maialino nero dei Nebrodi innesca una nuova illusione, scambiando cucina classica ed etnica: il capocollo e la puntina, cotti nel tegame, vengono serviti con un fondo che non è il classico jus, ma un sugo d’arrosto bagnato all’acqua di pomodoro, per una sensazione di carne in umido della domenica. Glassa sì, ma acida e mediterranea. In chiusura cachi, cialde di castagne e melagrana sprigionano il calore di un falò contro il ripiegamento autunnale. Ed è la frutta di casa a fine pasto.
RISTORANTE LA MADIA
Corso Re Capriata F., 22 - Licata (AG) Tel. 0922 771443
www.ristorantelamadia.it info@ristorantelamadia.it
GOURMETFOOD
LA NUOVA REGGIA DEL
PASHÀ
ELEGANZA E ARMONIA NEI PIATTI E NEGLI AMBIENTI di
Alessandra Meldolesi Leo Santomauro
foto di
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RISTORANTEPASHÀ
BENVENUTI
AL SUD
Q
uaranta metri in linea d’aria e il desiderio di viziare: sono pochi ma irreversibili i passi che separano la vecchia sede del Pashà dalla nuova reggia di Maria Cicorella e Antonello Magistà, da un lato all’altro di Piazza Castello a Conversano. Negli scatoloni uno dei ristoranti che meglio esemplificano il rinascimento gastronomico pugliese grazie a un mix originale di cultura gastronomica, saperi e gusti femminili. Sono ormai deserti gli spazi sopra il bar di famiglia, inaugurato nel 1983 dai coniugi Magistà, lei cuoca nella gastronomia di famiglia, convertita alla pasticceria e alla gelateria, lui venditore ambulante di legumi. “È fra le sue mura che sono cresciuto”,
racconta oggi Antonello. “Con un tavolino in mezzo agli avventori per fare i compiti e studiare. Ed è così, ampliando l’offerta agli aperitivi e dandomi da fare, che si sono sviluppate le passioni per il vino, fino a diventare sommelier AIS, e per il rapporto con gli ospiti. Dicevano ‘Andiamo dal pashà’, perché era il mio soprannome fin da piccolo, a causa di una certa propensione per la comodità, quando mi spaparanzavo sul divano oppure al sole, mentre i miei amici rincorrevano la palla nel mandorleto”. La fondazione del ristorante risale al 1998, quando si libera lo studio dell’architetto sopra al bar: inizialmente si pensa a una sala da tè, poi Antonello,
che nel frattempo ha scoperto l’alta ristorazione, decide di prendervi domicilio con la sua ambizione. “Erano anni che litigavo con i miei amici, se spendere le nostre quattro lire in discoteca o a tavola. Raggranellando i miei risparmi ero riuscito a farmi una certa esperienza, da Vissani, Aimo e Nadia, Sadler, Santin, Berton, Arnolfo, Uliassi… Anche se non avrei mai pensato di farne una professione”. In cucina arruola tre cuochi, poi nell’emergenza di un’operazione al menisco scatta il turno della riserva Maria Cicorella, quarantunenne priva di qualsiasi formazione professionale, cresciuta però sfamando i suoi fratelli minori, tanto da aver sfornato la prima tiella di agnello e lampascioni a 6 anni.
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GOURMETFOOD
A SCUOLA DA SADLER La partenza è con il freno tirato, per fare impratichire la cuoca senza annoiare gli ospiti: la carta elenca tre proposte per portata sottoposte a rotazione mensile, di impronta regionale ma con un’attenzione particolare per le materie prime, grazie agli approvvigionamenti di prossimità curati da Antonello, appassionato di prodotto. Poi pian piano la complessità cresce, fino a piatti miliari come il filetto di dentice con cime di rape, foie gras e lime. Tutte ricette messe a punto insieme, temperando il tradizionalismo di Maria, desiderosa di scavare fra le sue radici, con l’inquietudine di Antonello, più contemporaneo nella sensibilità e nel palato, anche a costo di litigare. E per un anno e mezzo nel giorno
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di chiusura la cuoca prende l’aereo all’alba e rientra la sera per affiancare Claudio Sadler, anch’egli appassionato di prodotti pugliesi.
IN SEMINARIO... La stella Michelin, datata 2014, finisce negli scatoloni il 27 marzo. La destinazione è il Seminario Vescovile, imponente edificio seicentesco su cui campeggia l’iscrizione “Crescamus in illo per omnia” (è proprio il caso di ricordarlo). Il piano terra, un tempo adibito a spazio di ricreazione per i seminaristi, fra pingpong e biliardini, era stato già convertito in ristorante per una gestione di suore. Sono 600 metri quadrati fra interni, cantina e spazi esterni in giardino, nei quali sparpagliare ancora più comodamente i 30 coperti del
RISTORANTEPASHÀ
BENVENUTI Pashà fra calce bianca, chianca e pietra viva. Un’austerità riscaldata da arredi estrosi, che si tratti di lampade, quadri o specchiere, in un tripudio di dettagli ricercati, che spesso trovano la scintilla nel contrasto fra classico e moderno, antiquariato e design. L’atmosfera resta quella di una casa, pur sempre appartenente al figlio di un sultano, come di là della piazzetta, dove il vestibolo e il salottino risuonavano dei passi oltre la soglia.
AL SUD
LE SCELTE IN CUCINA E l’eleganza appena capricciosa resta la cifra di un professionista della sala con pochi eguali nel Meridione: affabile, solerte, defaticante nei gesti e nell’allure. Oltre a dire la sua sulla cucina, continua a fare acquisti dentro un raggio di 25 chilometri, ma senza dogmatismi. Con il pesce di Polignano, Savelletri e Gallipoli nelle celle riposano le carni locali, come asini e pollame di una masseria vicina, ma anche piccioni toscani e foie gras. Soprattutto ci sono le verdure di due contadini del posto e le farine dei mulini di Altamura e del Gargano per il cestino del pane, che comprende taralli scaldatelli al vino bianco, fatti come una volta e ormai rari, grissini, pagnottelle al lievito madre con l’extravergine, il rosmarino e le mandorle, l’uva passa e il cioccolato per i formaggi. Ma Antonello cura anche la carta dei vini, che viene riscritta annualmente in occasione del Vinitaly. Conta un migliaio di etichette, sempre più orientate sul versante naturali, per un terzo circa pugliesi, più tanto Piemonte e tanta Francia, bianchi austriaci e tedeschi. Su richiesta può prevedere un percorso di abbinamenti al calice personalizzato dal prezzo variabile. I due binari della cucina fanno tappa in tre menu: Tradizione e semplicità, con i classici pugliesi, da fave e cicoria
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GOURMETFOOD
alle orecchiette, a 70 euro; Mamma Maria, incentrato sul pesce, a 90 euro e Capricci, che declina un prodotto tipico in 10 corse stagionali, per un prezzo che oscilla fra 120 e 160 euro nel caso del tartufo, anch’esso locale. Dopo gli immancabili appetizer, fra gli antipasti può arrivare in tavola la triglia leggermente marinata al bergamotto e nappata di spuma al pomodoro verde, completo di ramo per il sentore di foglia che teletrasporta in campagna, più i semi di camone sul fondo e le uova di salmone Balik. Un monocromo che converte in bianco la classica triglia alla livornese, di cui sposta il baricentro gustativo verso l’acidità, ben bilanciata dalla sapidità. Oppure la battuta di manzo podolico, che ironizza sulla ristorazione veloce che impazza nel retro delle macellerie. Quindi il cuore di una fiorentina molto alta passata sul grill, per il leggero sentore di cotto, lavorato al coltello e affumicato al tavolo sotto la cloche su un braciere dove ardono legno di faggio ed erbe aromatiche. Per guarnizione la maionese di gamberi, le mandorle fresche, puntarelle e spugna di yogurt. Ma c’è anche il minestrone, classico invariato della cuoca, con l’orzo perlato bio, la ratatouille minuta, gli sfilacci di fiori di zucca e un bouquet di erbe aromatiche, che tanto è piaciuto a Ducasse, servito a mo’ di intermezzo.
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RISTORANTEPASHÀ
BENVENUTI
ORECCHIETTE ragù di coniglio alla cacciatora,
AL SUD
verdure novelle, caciocavallo fuso, tartufo nero ca, 4 carciofi, kg. 1 di
Nettare ed affettare i carciofi a fettine
aglio, cipolla, rosmarino,
Sgranare le fave novelle, lasciarle sob-
pomodori pelati, alloro,
olio EVO, vino bianco.
g. 500 di caciocavallo, tartufo
nero.
PROCEDIMENTO
Preparare le orecchiette e metterle in un luogo asciutto e ventilato ad asciugare. INGREDIENTI
Per le orecchiette: g. 500 di semola rimacinata di grano Senatore Cappelli biologica, ml 250 di acqua tiepida, g. di sale fino, g. 30 di olio EVO
Per il coniglio: 4 cosce di coniglio disossate, g. 500 di fave novelle, 10 fiori di zuc-
Preparare un fondo con cipolla, aglio, al-
loro, rosmarino, olio EVO ed aggiungere le coscette di coniglio disossate.
Una volta rosolate le coscette, completare con sale e pepe e sfumare con vino bianco. Una volta evaporato l’alcool, ag-
giungere i pomodori pelati, coprire con un coperchio e abbassare la temperatura. Cuocere per 40 minuti.
sottili e lasciarle in acqua acidulata.
bollire per pochi minuti in acqua calda salata e infine versarle in acqua e ghiac-
cio. Lavare e tagliare a listarelle i fiori di
zucca e saltarli in padella con poco olio, sale, pepe. Saltare i carciofi e unirli insie-
me ai fiori di zucca. A cottura ultimata, prendere le cosce di coniglio, dividerle
in piccoli pezzi (stessa grandezza delle orecchiette) sistemarle in una pentola
capiente, aggiungendo il fondo delle stesse privato delle erbe.
Cuocere le orecchiette in acqua bollente, scolarle, unirle al sugo insieme ai carciofi, ai fiori di zucca, alle fave novelle
sgranate e mantecare. Impiattare in una fondina e completare con caciocavallo fuso e lamelle di tartufo nero.
BATTUTA DI MANZO al barbecue, puntarelle, maionese di gamberi, spugna di yogurt e mandorle INGREDIENTI
solo la parte centrale e tagliarla a tartare.
rino e sale di Maldon, fieno fresco e trucio-
Per la maionese di gamberi, frullare tutto
1 costata di manzo di g. 250, timo, rosmali di faggio, mandorle tostate, puntarelle fresche.
Per la maionese di gamberi: g. 20 di seppia cotta a 75°C per 10 minuti, g. 100 di
gamberi rossi, g. 80 di acqua, g. 30 di olio,
qualche goccia di limone, scorza di mezzo mandarino, sale q.b.
Per la spugna di yogurt: g. 300 di albu-
mi, g. 50 di yogurt, g. 10 di yogurt in polvere, g. 60 di mandorle, g. 60 di zucchero. PROCEDIMENTO
Grigliare da ambo i lati la costata precedentemente marinata con olio, sale e timo e raffreddarla subito. Quindi prendere
Condirla con olio e sale di Maldon.
insieme emulsionando con l’olio a filo.
Per la spugna di yogurt, polverizzare le mandorle e lo zucchero, aggiungere il resto degli ingredienti e trasferire in un sifone con due cariche di soda. Cuocere quindi in microonde per 1 minuto circa e lasciar raffreddare.
Comporre il piatto disponendo nella
vaporiera il battuto di manzo, le mandorle precedentemente tostate, la
spugna di yogurt spezzettata, la ma-
ionese di gamberi e le puntarelle con-
dite con olio, sale e pepe. Affumicare
con rametti di timo e rosmarino, il fieno, i trucioli di faggio e servire al tavolo.
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GOURMETFOOD
Fra i primi le sontuose orecchiette in formato maxi, preparate con semola biologica di senatore Cappelli da mamma Maria, usa a roteare il pollice verso l’esterno anziché il mignolo verso l’interno, come le signore di Bari. Straordinariamente carnose e callose, accolgono il condimento alla pari: il ragù di coniglio preparato con la tiella sfilacciata, le verdure novelle, il caciocavallo fuso, il tartufo nero della Basilicata. Oppure i tortelli di burrata con tartare di gambero rosso di Gallipoli, basilico greco e zuppa di pomodori acerbi agli agrumi in chaud-froid. Antonello va matto per il piccione, che serve con un doppio contorno, di cicerchie di Altamura con cicoria ripassata per la tradizione e nespole al caffè per l’acidità e il tocco creativo. L’animella di vitello dal canto suo è servita con insalata romanella di Polignano, panna acida e tartufo nero. Per dessert l’assoluto di mandorle, monografia dedicata alle mandorle di Conversano. Quelle raccolte dal frantoio D’Orazio, lo stesso dell’olio in degustazione, sono sia fresche che tostate, sotto forma di gelato; presenti come crema di mandorle amare, biscotto e pane imbevuto nel liquore San Marzano, più una foglia di rucola per il contrappunto piccante su dolcezza e grassezza. Con l’alternativa di un soufflé da sultani, al limone con crema inglese alla vaniglia Bourbon, sorbetto al cioccolato fondente e sale di Maldon.
RISTORANTE PASHA Via Morgantini, 2
70014 Conversano (BA) Tel. +39 080 495 1079 Tel. +39 373 800 2809
www.ristorantepasha.com info@ristorantepasha.com fb.com/ristorantepasha
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SOUFFLÉ AL LIMONE e gelato al cioccolato amaro INGREDIENTI
Per il soufflé: g. 35 di farina, g. 230 di latte, g. 35 di burro, g. 60 di zucchero, 8 tuorli, 4 albumi, scorza di 2 limoni.
Con il burro, il latte, la farina e la scorza di un limone fare la
base della besciamella. Lasciar raffreddare. Quindi montare i tuorli con lo zucchero, aggiungere la scorza dell’altro limone e la besciamella e continuare a montare.
Aggiungere con molta attenzione gli albumi montati a neve e trasferire il composto in contenitori precedentemente imburrati e passati con lo zucchero. Cuocere quindi a 170°C per 15 minuti circa.
Per la crema inglese: g. 200 di latte, g. 200 di panna, 6 tuorli, 2 bacche di vaniglia.
Cuocere tutti gli ingredienti a bagnomaria fino ad ottenere una crema liscia e omogenea, quindi raffreddare.
Per il gelato al cioccolato amaro: g. 100 di cacao amaro,
g. 120 di zucchero, g. 150 di acqua, l. 1 di latte, g. 10 di stabilizzante.
Unire tutti gli ingredienti in un bicchiere di un Pacojet e congelare a -18°C.
Servire il soufflé appena sfornato con il gelato al cioccolato amaro, qualche chicco di sale di Maldon e la salsa inglese.
GOURMETFOOD
ANGELO
SABATELLI E LA SUA CUCINA ITALIANA, CONTEMPORANEA, D’AUTORE di
Alessandra Meldolesi Leo Santomauro
foto di
Dimenticate il (sublime) plateau di frutti di mare crudi, ostriche imperiali e taratuffi; le distese di burrata e Canestrato; i ricchi buffet con musica di sottofondo, i bambini incravattati e l’inevitabile coppia di sposi. Quella di Angelo Sabatelli è una Puglia come non l’avete mai gustata. Contemporanea, elegante, minimalista. Fuori dalle mappe unte e consunte della guide e dei gourmet. Ci si arriva risalendo (si fa per dire) dal mare di Monopoli, fino al cortile bianco di quella che una volta era una masseria. All’interno le pietre luminose, tipiche della zona, e oggetti di una civiltà contadina ancora alacre là fuori. Gli spazi sono ampi; i tavoli privi di tovaglia e ben distanziati. Appena una
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trentina di coperti e nessun adito alla banchettistica: siamo nel migliore ristorante della Puglia ed epicentro indiscutibile della nuova cucina meridionale. Angelo Sabatelli vi si aggira dal 2010, dopo un percorso di formazione anomalo, senza soste di rilievo nelle caselle di rito. Nato proprio a Monopoli e qui passato per la banchettistica e una grande pasticceria, Allegrini, è stato folgorato dall’alta cucina durante il servizio militare a Bologna, sfogliando un numero di Gran Gourmet dedicato ai capolavori di Gualtiero Marchesi. “Mi sono detto: è questo che voglio fare. Sono tornato e mi sono licenziato”. I primi fornelli accesi sono quelli della stessa Masseria Spina, adibita allora ai grandi numeri, senza la ne-
ANGELOSABATELLI
BENVENUTI
AL SUD
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cessaria concentrazione per far bene. Seguono un paio di indirizzi romani, fino al Convivio dei fratelli Troiani, dove la Michelin comincia a sorridere e sopraggiunge anche la moglie Laura Giannuzzi, che tuttora guida fieramente la sala. “Ma sul curriculum elenco solo un paio di stage, e dei più brevi. Da Gualtiero Marchesi, in via Bonvesin de la Riva, per studiare l’organizzazione e al Trigabolo di Argenta, in cerca di qualcosa di nuovo; più un paio di edizioni di Saperi e sapori. Cosicché tante cose ho dovuto cercarle sui libri, provando e riprovando le ricette al fine di personalizzarle. E non ho mai smesso di studiare”.
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Ancora più anomali sono i 12 anni trascorsi in Asia, nei cinque stelle lusso di Hong-Kong, Giacarta, Shanghai e in un resort alle Mauritius. “La clientela era in gran parte locale, ma facevo già la mia cucina, italiana, contemporanea e d’autore. Ricordo per esempio un risi e bisi con scaloppa di fegato grasso alla cipolla caramellata. E non sono mai sceso a compromessi con il gusto locale. Le loro tradizioni mi interessavano, ma non le ho mai approfondite in modo sistematico. Piuttosto ho carpito qualche tecnica e qualche abbinamento, che nel tempo si sono rivelati utili. Ad esempio, per l’elaborazione dei lampascioni, sul modello delle noci caramellate, o del latte fritto”. Anche l’estetica orientale si è fatta valere, rafforzando il messaggio di Gualtiero
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BENVENUTI
AL SUD
TROCCOLI
alla camomilla, gamberi, piselli e menta INGREDIENTI
dienti sopra citati, avvolgere in pellicola
g. 100 di farina 00, g. 100 di semola rima-
sfoglia ad uno spessore di 3-4 millimetri e
Per la pasta
cinata + extra, g. 5 di camomilla in polvere,
8 tuorli d’uovo, g. 4 di sale, g. 4 di olio extravergine d’oliva.
Per il pesto di piselli
g. 175 di piselli (congelati), g. 50 di acqua minerale bollente, g. 26 di canestrato grat-
tugiato, g. 2 di aglio, g. 50 di olio extravergine d’oliva, 6 foglie medie di menta + piccole per completare, sale. Altri ingredienti
12 gamberi (g. 500) sgusciati e tagliati a
tocchetti, 1 spicchio d’aglio in camicia, g. 80 di olio extravergine d’oliva, 20/30
foglioline di menta, g. 100 di piselli sbollentati e spellati, sale. PROCEDIMENTO
Preparare la pasta all’uovo con gli ingre-
e far riposare per 1 ora in frigo. Tirare la lunga 30 centimetri, spolverare con della
semola e fare asciugare per una decina
di minuti, dopodiché tagliarla in spaghetti quadrati (troccoli); spolverare con altra semola e conservare. Frullare i piselli congelati con l’acqua bollente; quando risulterà
fine, aggiungere il resto degli ingredienti,
correggere di sale, se occorre, e passare al colino. In una padella rosolare l’aglio in
olio extravergine, aggiungere i gamberi e cuocere a fuoco vivo per pochi secondi.
Spegnere il fuoco e unire i piselli sgusciati, eliminare l’aglio e aggiustare di sale. Cuocere i troccoli in abbondante acqua
salata, scolarli e insaporire con il sauté di gamberi.
Suddividere il pesto di piselli nei piatti di
portata, sistemarvi un gomitolo di troccoli ai gamberi, completare con le foglie di menta e servire.
Marchesi, che continua a dettare legge sul piatto con le sue regole di pulizia e naturalezza, armonia ed essenzialismo. “In Italia sono tornato per il prodotto. Perché in vacanza mi emozionavo al mercato, bastava spaccare un pomodoro in quattro e il piatto era pronto. Mentre in Asia era un problema anche programmare la carta su acquisti incerti per qualità e freschezza, tanto che ho imparato a fare l’alchimista, ricreando il gusto anche quando non c’era attraverso un gioco di equilibri. A Monopoli faccio la spesa ogni mattina: tutti prodotti locali, tranne
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GOURMETFOOD
alcune carni, e la verdura tagliata il giorno prima o la mattina stessa”. Dopo qualche anno speso in giro per la Puglia è di nuovo Masseria Spina, almeno fino a gennaio, poi si vedrà. E il territorio incalza in carta, con piatti ispirati agli evergreen alternati a straordinarie prove astratte. Ricette di cui Sabatelli esalta il purismo intrinseco, con il frequente assemblaggio di due o tre elementi proposti al naturale se non addirittura crudi, in moderne geometrie di gusti primari. Ma la semplicità è solo apparente, perché gli ingredienti reali sono assai più numerosi e le elaborazioni, nascoste, possono essere estremamente laboriose. I menu degustazione sono tre: Solo pesce, I classici ed Emozioni extraterritoriali, secondo l’estro e il mercato, rispettivamente a 60, 90 e 120 euro. Vengono accompagnati da pani straordinari (i taralli al finocchietto e all’extravergine, il briosciato al Canestrato e miele, i grissini alla cipolla, la pagnottella a lievitazione naturale) e da una carta dei vini che conta 600 referenze, selezionate dallo chef
e affidate al tastevin del sommelier Giovanni Tortora, fra cui risaltano gli Champagne, con tanti piccoli produttori, i rossi e i rosati pugliesi. Gli appetizer valgono il viaggio: il pomodorino in trompe-l’oeil, farcito di pane e pomodoro e avvolto nella gelatina colorata di acqua e basilico alla Kappa, in sintonia con l’attuale moda del recycling, forse anche in ricordo delle alchimie asiatiche; la cialda di farinella, farina di ceci tostati, preparata alla maniera indiana sulla piastra calda, con crema di capperi e uva passa; il ravanello in agrodolce, scavato e farcito di miso, per la nota affumicata e la struttura, poi cosparso di Katsuobushi; il classico macaron al foie gras; il biscotto al Canestrato con crema di funghi prataioli al Moscato di Trani; il geniale fazzoletto di grano arso, la cui pasta, malleabile all’uscita dal forno, viene modellata in una forma cava che evoca giochi d’infanzia e poi farcita sotto di ricotta forte: sorpresa e food design. Gli stessi panzerottini sono preparati con il latticino, espunto dalla farcia, al posto del burro.
PICCIONE
in crosta di cioccolato su cipolle sponsali brasate INGREDIENTI
Per la base di cioccolato
g. 60 di zucchero semolato, g. 40 di succo di arancia, g. 25 di farina 00, g. 22,5
di burro, g. 12,5 di cacao, g. 22,5 di grue di cacao.
Mettere zucchero, succo d’arancia, burro,
cacao, e farina in un frullatore e amalgamare. Porre in un contenitore, aggiungere il grue e conservare.
Per le cialde di zucca
g. 100 di zucca, g. 20 di zucchero semola-
to, g. 320 di burro, g. 60 di farina 00, g. 200 di acqua minerale.
Tagliare la zucca in pezzi non troppo
grandi e cuocerli a vapore; una volta freddi, metterli in un frullatore e aggiungere tutti gli altri ingredienti; frullare fino a quando il composto risulta ben amal-
gamato. Con un cucchiaio versare delle
noci di impasto in una padella antiaderente calda, ridurre il fuoco e cuocere da
ambedue le parti. Scolare bene il grasso in eccesso e conservare in un contenitore ermetico.
Per il purè di zucca
g. 300 di zucca, g. 30 di zucchero mu-
scovado, g. 10 di buccia di limone (grattugiata), ml. 10 di amaretto, sale e pepe q.b.
Tagliare la zucca in pezzi e cuocerla al va-
pore, ancora calda metterne 150 grammi nel frullatore, aggiungere lo zucchero e la buccia di limone, frullare bene, aggiustare di sale e conservare al caldo.
Prendere gli altri 150 grammi di zucca e
frullarli con l’amaretto. Aggiustare di sale e conservare al caldo.
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ANGELOSABATELLI
BENVENUTI Per le sponsali brasate
extravergine d’oliva per circa 4 minuti,
di olio extravergine, sale e pepe q.b.
circa per lato. Mettere cosce e petti in una
g. 400 di cipolle sponsali (affettate), g. 50
Rosolare le cipolle con olio di oliva a fuoco
alto fino a caramellare gli zuccheri, aggiustare di sale e pepe, coprire con un coperchio, abbassare la fiamma e cuocere lentamente fino a quando risultano morbide. Aggiustare di sale, se occorre, e conservare al caldo. Per la salsa
g. 250 di fondo bruno di piccione, g. 100 di burro, g. 5 di pepe nero in grani (schiacciato).
aggiungere i petti e cuocerli per 1 minuto teglia, napparli con la base di cioccolato e
infornarli a 180°C per 1 minuto. Ripetere l’operazione ancora una volta. Togliere dal forno, spolverarli con il pistacchio tritato e far riposare a 48°C per circa 3 minuti. ASSEMBLAGGIO
Distribuire la salsa nei piatti, disporre la cipolla al centro, le due puree di zucca e le patate come da foto. Completare poggiando il petto sugli sponsali, la coscia di fianco e la cialda.
Tostare il pepe nel burro fino a quando
Nota: le patate bana-
fondo di piccione e portare a densità. Ag-
te tornite più lunghe,
sarà leggermente dorato; aggiungere il giustare di sale se occorre. Altri ingredienti
g. 100 di patate banana
AL SUD
na sono semplici pata-
bollite e saltate al burro
con aggiunta di prezzemolo alla fine.
Per il piccione
g. 1200 di piccione (2 x g. 600), g. 80 di polpa dei filetti e ali (tritati), g. 30 di foie
gras di oca (tagliato in piccoli cubetti), g. 2
di grue di cacao, g. 3 di rosmarino (tritato),
g. 3 di cioccolato 70% (tritato), g. 2 di prezzemolo (tritato), ml. 40 di olio extravergine
d’oliva, g. 20 di pistacchio (appena tritato), sale e pepe q.b.
In una bacinella mettere il macinato di pic-
cione, il grue, cioccolato, rosmarino, prez-
zemolo e amalgamare bene. Aggiustare di sale e pepe e, delicatamente, incorporare
il foie gras. Mettere in un sacchetto da pasticceria con bocchetta liscia da 8 millimetri. Con un coltello affilato rimuovere i petti
e le coscie del piccione. Prendere i petti
e praticarvi un’incisione nella parte alta
e, con la punta del coltello, ricavare una tasca. Farcirla con il composto precedentemente preparato.
Condire i petti e le cosce con sale e pepe,
rosolare le cosce in una padella con olio
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GOURMETFOOD
ANGELO SABATELLI RISTORANTE
Contrada Spina, 437 - Monopoli (BA) Tel. (+39) 340 5101419
www.angelosabatelliristorante.com info@angelosabatelliristorante.com Chiuso il lunedí
Il background da pasticciere si fa valere nel comparto antipasti. Vedi la delicatissima lasagnetta di seppia preparata con la “pasta” del mollusco cotto e frullato, non affettato alla maniera di Uliassi, cosicché la consistenza risulta fondente; il suo panneggio, spruzzato di una polvere di nero, alghe e ricci, copre gli allievi, ovvero giovani seppie intere, lavorate nel ghiaccio per risultare croccanti e burrose sotto i denti. Testura su testura, con un condimento di scorze di limone candite nel loro stesso succo, per l’acidità, l’aromaticità e l’aggancio alla tradizione, e crema di mandorle secche reidratate, dalla consistenza quasi di maionese, per la componente grassa. Un’insalata di mare mai così dolce, effetto marzapane, nelle sembianze classicheggianti di un raviolo aperto 3.0. La regola dei tre ingredienti è sovrana: vedi le cozze pelose, predilette dallo chef per la loro complessità, con note di riccio e di dattero, servite con centrifugato di piselli crudi, per la dolcezza
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che smussa e la clorofilla frizzante, e yuzu al posto del limone, sulla falsariga della classica ‘mpepata, più qualche perla di tapioca alla cicoria per un leggero contrappunto amaro. Vengono abbinate a una variazione di Moscow mule, confezionata con vodka al bergamotto, gazzosa e succo di limone, a riprendere le note agrumate del piatto. Ancora più puristica la melanzana, proposta nella forma di un parallelepipedo dalla preparazione estremamente laboriosa. L’ortaggio infatti è prima fritto intero, per non fare penetrare olio in eccesso, poi ritagliato, spennellato di olio e soia, sottoposto a vari passaggi in forno, pressato per favorire la fuoriuscita dei liquidi, poi utilizzati per glassare la superficie con una finta pelle nera. Total black sull’olio di olive disidratate e reidratate in extravergine, con la cialda bianca di ricotta ghiacciata in contrasto, che si adatta via via alla sagoma. L’ispirazione è asiatica, da una preparazione di Shanghai; il gusto finale (e naturale) di liquirizia.
I primi rivisitano i classici pugliesi: riso, patate e cozze, con i chicchi soffiati al pecorino per la crosta croccante e il pomodoro al limone sul fondo, in trait-d’union con i mitili, come le sontuose orecchiette al ragù + 30, cotte oltre 30 ore sottovuoto e rafforzate da una fonduta di canestrato. “Sono nate investigando gli stadi attraversati dagli alimenti durante le lunghe cotture. Ed è straordinario come il sugo si sgrassi naturalmente”. Rassicurante anche il rombo, rilettura del pesce con patate e pomodorini dalla esemplare cottura sulla lisca, appena straniato da un tocco rinfrescante di coriandolo. Si riprende a volare a fine pasto: geniale la meringata, con le palline di marshmallow in sospensione nella panna montata ai frutti di bosco su letto di zabaione ghiacciato, dessert tanto diretto quanto appagante, dalle testure ludiche e cangianti; lo seguono i bonbon di cioccolato con Cynar e lampascioni canditi, per un triplice amaro che chiude italianamente il pasto, anche a fini digestivi.
PRODOTTI ECCELLENTI
L’OCA IN ONTO DI
MICHELE
LITTAMÈ NEL PADOVANO
di
Antonietta Mazzeo
Nell’agriturismo Il Dosso, a Sant’Urbano, nella Bassa Padovana, i fratelli Littamé allevano oche bianche romagnole recuperando i metodi tradizionali tramandati da papà Ugolino e mamma Bruna. Le oche sono allevate in un regime di grande attenzione sia per gli spazi vitali degli animali, sia per la loro alimentazione: negli ultimi trenta giorni di allevamento, vengono nutrite con una miscela di farina, latte e miele, secondo un procedimento brevettato dalla Camera di Commercio di Padova. Il risultato di questo sistema di allevamento, unito a nuove tecniche di cottura che uniscono la tradizione con l’innovazione, è sorprendente: la carne è più delicata, ma allo stesso tempo gustosa e saporita, trattata in modo da conservare tutti gli umori e le proprietà nutritive. Tra la produzione dei fratelli Littamé, tutta di eccezionale qualità, “L’Oca in onto” (un Presidio Slow Food) la porchetta d’oca, la tagliata di petto, il petto affumicato, e l’hamburger di carne di oca.
AZ AGR. LUCA E MICHELE LITTAMÉ
Via Dosso, 2 - 35040 Sant’Urbano - Padova Tel e Fax +39 0429693292
info@michelelittame.it - ildosso@virgilio.it www.michelelittame.it
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LOCHEF
SUSCIO? SUSHI? Ovvero il sushi napoletano INGREDIENTI per 30 persone
Per il riso: g. 400 di riso per sushi, acqua, 8 cucchiai di aceto di vino bianco, 1 cuc-
chiaio di zucchero, 2 cucchiaini di sambuca, 1 pizzico di sale.
Per la salsa di loto: 2 cachi morbidi, acqua, 2 cucchiaini di Xantana.
Per il Wasaby Napoletano: 40 piccoli pe-
peroni verdi detti friggitelli (ciummarielli), 3 cucchiai di olio extravergine d’oliva, 3 peperoncini freschi piccanti e verdi, sale e pepe q.b., acqua, 1 cucchiaino di Xantana.
Per la tartare di gamberi: 30 gamberi
rossi del Cilento, 1 limone, olio extravergine d’oliva q.b.
Per la polvere di arance vesuviane: 2 arance vesuviane.
Per il corallo rosso e quello nero: g. 150 di acqua, g. 80 di olio di semi di girasole,
g. 30 di farina 00, colorante rosso e colorante nero (nero di seppia) q.b. Ingredienti vari: miele, soia. PROCEDIMENTO
Per il riso: unire in un pentolino un mix di
aceto di vino bianco, zucchero, sambuca e sale. Cuocere il riso per circa 12 minuti
in una pentola con tanta acqua fino a farla arrivare un dito oltre il riso.
Raffreddare il riso in una placca di acciaio
ventilandolo con un ventaglio, aggiungendo un poco alla volta il mix creato in precedenza. Conservare in un luogo fresco.
Paolo Gramaglia È il più convinto ambasciatore del recupero della storia di Pompei anche sul piano enogastronomico: sue le ricerche sugli antichi pani e sulla cucina, le cui tracce rimangono negli antichi scavi, tra i più visitati al mondo. Ma lo chef Paolo Gramaglia è noto per essere soprattutto artefice di una cucina di qualità negli ospitali ambienti del President, dove il pesce trova le sue espressioni più valide, in abbinamento ad una cantina di pregio.
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Per la salsa di loto: spellare, denocciolare e poi frullare al mixer i cachi; aggiungere acqua per eliminare l’eccesso di
cremosità, aggiungere la Xantana e poi
frullare al mixer. Riempire un biberon da cucina.
Per il Wasaby Napoletano: aprire a me-
tà i friggitelli e privarli dei semi; tagliarli grossolanamente e farli cuocere in acqua
bollente per 4 minuti; raffreddarli in acqua
BENVENUTI ghiacciata, frullarli al mixer con un goccio
AL SUD
di acqua e setacciare. Preparare in una pentola un soffritto con l’olio, l’aglio e il
peperoncino verde piccante, cucocere per 3 minuti la salsa di friggitelli, per poi raf-
freddarla. Frullarla al mixer con un goccio di acqua e la Xantana. Riempire un biberon da cucina.
Per la tartare di gamberi: spellare il limone con un pelaverdure, tagliare la parte
gialla a fili sottilissimi, cucocere in acqua bollente 30 secondi e raffreddare in acqua e ghiaccio. Ripetere l’oerazione di cottura per 3 volte. Tagliare a pezzettini i fili di li-
mone. Sgusciare i gamberi, dividerli a metà e condire con un filo d’olio extravergine e i fili di limone.
Per la polvere di arance vesuviane: grat-
tugiare finemente la buccia delle arance e asciugarla al forno a 70°C per 60 minuti.
Per il corallo rosso e quello nero: unire
in un contenitore l’acqua, l’olio e la farina; frullare al mixer e dividere il composto in due contenitori in parti uguali.
Aggiungere ad una il colorante rosso,
all’altra il nero. Riempire due biberon da cucina.
In una padella antiaderente versare il composto rosso e far cuocere fino a quan-
do si formi un cerchio di corallo; raffreddare e tenere da parte. Ripetere l’operazione fino al termine del composto rosso.
Per la cottura del corallo nero, ripetere l’operazione come per la cottura del corallo rosso.
PREPARAZIONE DEL PIATTO
Al centro di un piatto nero opaco posizio-
nare un coppapasta quadrato in posizione romboide. Inserire il riso per creare uno strato liscio di mezzo centimetro.
Inserire due inserti di corallo rosso e uno di nero, due cubetti di gambero marinato con le zeste di limone, tre puntini di loto
e due di soia. Sotto il lato sinistro del rom-
boide inserire un bottone di wasaby napo-
letano. Sopra il lato destro del romboide realizzare una striscia di polvere di arancia e ai suoi lati tre puntini di miele.
ILPIATTO 67
Buone Nuove
le novità del mese
IL GRUPPO BRETONE LE DUFF LANCIA GOURMING.COM IL MARKET PLACE DI SPECIALITÀ FRANCESI
BN
Il gigante bretone Le Duff, presente in 90 paesi, in 5 continenti, che nel 2015 ha registrato un giro d’affari di 2,01 miliardi di euro, servendo 1958 ristoranti e boulangerie, implementa il proprio business con un sito di e-commerce. La piattaforma Gourming.com permette alle PMI francesi di rivolgersi direttamente a ristoratori, albergatori, grossisti, distributori e professionisti del food oltre i confini della Francia. Sono già 5000 le referenze disponibili sulla piattaforma, 600 specialità regionali, 300 prodotti di agricoltura biologica e 140 prodotti certificati, accumunati dai valori di qualità, sicurezza e tracciabilità. I prodotti provengono da ogni regione della Francia rappresentando così uno strumento unico nella scelta e acquisto delle eccellenze gastronomiche d’Oltralpe. Ma l’obiettivo è di raggiungere a breve la presenza sulla piattaforma di 10.000 prodotti artigianali francesi. Oltre ad un percorso facilitato fino al carello, Gourming offre un vero e proprio storytelling fatto di schede, storie degli artigiani e dei luoghi di origine, ricette, approfondimenti, consigli sui prodotti. All’origine del progetto Louis Le Duff (foto a destra), 70 anni, che ha iniziato a lavorare due anni fa a Gourming, ispiran-
Gli ambasciatori del progetto, tutti eletti “Meilleur Ouvrier de France” (MOF): Philippe Urraca, François Adamski, Jean-Luc Danjou, Frédéric Lalos.
dosi al colosso dell’e-commerce globale Amazon, convinto che l’immediatezza del digitale porterà nuovi clienti stranieri, rendendo disponibili specialità di nicchia a una platea internazionale e dando vita a un bengodi della gastronomia in cui anche i desideri di un pubblico attento come quello italiano saranno esauditi.
Da sinistra, le giornaliste Laura Miedico (Iat), Cristina Fagioli (Artù), il nostro caporedattore Maria Chiara Zucchi, Alessandra Moneti (Ansa)
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“L’obiettivo è dare la possibilità a oltre 15.000 aziende del settore alimentare di superare i confini francesi e di esportare così il loro talento e i loro prodotti. Non bisogna dimenticare che il 75% di queste aziende non esporta o esporta poco all’estero - dice il Presidente e Fondatore del Gruppo Le Duff. - Oggi il digitale offre possibilità illimitate e ho deciso di creare Gourming con l’obiettivo di connettere in assoluta semplicità produttori, chef e professionisti della gastronomia di tutto il mondo”.
TRAVELFOOD
BENVENUTI
AL SUD
VIAGGIO TRA I
TESORI DELLA PROVINCIA DI SALERNO DAI MONTI PICENTINI AL CILENTO di
Antonietta Mazzeo
I luoghi sono quelli della provincia di Salerno, che si snoda dalle zone del Calore e degli Alburni, del Sele e della omonima piana fino alla Valle del Picentino. Terra campana di antichi sapori, da sempre crocevia di popoli e tradizioni, è contraddistinta da una varietà di paesaggi caratterizzati da aspetti specifici e morfologici unici al mondo. Dolci colline ricoperte dagli ulivi che si specchiano nel blu del Tirreno si alternano a valli, pianure e sistemi montani impervi, ricoperti da una fitta e rigogliosa macchia mediterranea. Splendidi paesaggi, interrotti da paesi abbarbicati alle rocce o adagiati sulle rive marine. Ed è proprio qui che sorge il magnifico Parco nazionale del Cilento e del Vallo di Diano, con i siti archeologici di Paestum, Velia e la Certosa di Padula, inseriti nel 1998 nella world heritage list dell’Unesco. Il ricco patrimonio storico, artistico e culturale, costituito da numerosi centri storici e da singole emergenze, come chiese, abbazie, castelli, conventi, palazzi nobiliari, tra cui Villa Calvanese a Castel San Giorgio, il Castello Doria ad Angri e il Castello Fienga di Nocera, testimonia l’importanza della zona nell’antichità. Tra i monti Picentini e il Cilento si snoda un percorso di viaggio ideale per chi ama il turismo enogastronomico, artistico e naturalistico, dove il pregio naturale, il valore artistico, la memoria storica, la qualità del prodotto, non sono mai privi del contesto ambientale. La fertilità del terreno e la disponibilità di risorse idriche contraddistinguono questa zona quale filiera del settore
agroalimentare salernitano. Il nucleo centrale di questa attività è senza dubbio la produzione del pomodoro San Marzano Dop, le cui conserve e derivati lo rendono uno tra i prodotti tipici italiani riconosciuti ed apprezzati in tutto il mondo. Il territorio tra i Monti Picentini e il Salento è caratterizzato da vere e proprie eccellenze, protagoniste dei piatti tradizionali della zona. Il fiaschello battipagliese, antica varietà di pomodoro recuperata dall’Associazione Arkos, è coltivato nella Piana del Sele; ha forma di fiasco lievemente allungata liscia, senza coste e di colore rosso. Ricco di sali minerali e poco acido, la sua versatilità ne consente l’uso in cucina per preparare primi e secondi piatti, ma anche dolci. Il fagiolo di Controne è il re dei legumi campani: piccolo, bianco, senza macchie né occhi, con una buccia sottilissima e una forma tondeggiante, è coltivato nell’omonimo comune dall’Az. Agr. Michele Ferrante; si fregia del marchio DOC e rientra tra i presidi SlowFood. Il celebre pomodoro datterino rappresenta una nicchia di alta qualità. Finagricola a Battipaglia “nell’orto italiano più grande che c’è” con 360 ettari di serre per la coltivazione di ortaggi e verdura fresca, produce una linea di pomodori pregiati - datterino giallo, datterino rosso e pizzutello - raccolti a mano e conservati in vetro.
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TRAVELFOOD
Tra gli uliveti secolari di rotondella, cartellese e frantoio, situati sulle colline tra Battipaglia, Montecorvino Rovella, Serre ed Eboli, al Frantoio Torrettada si tramanda l’arte di raccogliere le olive, e si produce un olio extravergine d’oliva di qualità a marchio DOP, eccellente e dalle proprietà organolettiche uniche. Qui si trova anche il primo bar dell’olio, un vero e proprio salotto di degustazione, situato all’interno dell’azienda, dove è possibile gustare cocktails all’olio extravergine d’oliva Dop, preparati da barchef e accompagnati da altre delizie gastronomiche del territorio: un modo insolito ma efficace per imparare a conoscere i tanti pregi dell’oro verde. Chilometri di serre a perdita d’occhio fanno da cornice naturale, a Battipaglia nella piana del Sele, all’azienda Rago Group, leader a livello nazionale nella produzione delle insalate di qualità e della coltivazione e commercializzazione di babyleaf: rucola selvatica, batavia verde e rossa, valeriana, spinacino. Vite, cereali, ortaggi, arance e limoni, tutti rigorosamente biologici, sono i meravigliosi frutti con cui alla Masseria biologica la Morella, a Battipaglia, si producono vini, farine e conserve di altissima qualità, utilizzate per le preparazioni dal ristorante dell’Agriturismo La Morella, e acquistabili da clienti e visitatori. Fragoline di bosco di prima scelta, coltivate alle pendici dei monti Alburni, sull’Appennino Campano, nel Parco Nazionale del Cilento e Del Vallo di Diano, e una ricetta tramandata in famiglia, basata su una lavorazione artigianale che ha tempi molto lunghi, sono gli unici ingredienti del Fragolino, liquore dal sapore intenso e genuino, prodotto dalla Mellis di Enrico Foti.
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La storia del Birrificio Artigianale Agrado, racconta di un viaggio partito dal Belgio e caratterizzatosi in Italia, nel cuore del parco regionale dei monti Picentini, dove i fratelli Gloriante, tra boschi e acqua purissima, hanno dato vita alla loro passione, regalandoci il piacere che solo bere una birra di qualità può dare. Uno dei più importanti prodotti tipici dell’agroalimentare campano è la Nocciola di Giffoni IGP che si riferisce ad una delle varietà italiane più pregiate in assoluto: la Tonda di Giffoni, coltivata a Valle Piana dai soci di La Tonda Giffoni Società Cooperativa Agricola. Le caratteristiche distintive sono rappresentate dalla forma perfettamente rotondeggiante del seme, la polpa bian-
ca, consistente, dal sapore aromatico e dal perisperma (la pellicola interna) sottile e facilmente staccabile. Al naturale o ricoperta di cioccolato, nel miele o nel torrone, la “Nocciola di Giffoni” IGP nell’area di origine è utilizzata anche come ingrediente nella preparazione di una variegata gamma di prelibatezze, tra le quali dolcetti, torte, gelati, creme, ma anche insoliti primi piatti. “... il colore è bianco assoluto, elastica, al taglio dal suo cuore esce il latte, sensazioni di acidità, panna e muschiato in assoluto equilibrio …” 500 anni di storia, la Mozzarella di Bufala Campana DOP, uno dei prodotti che rappresentano l’eccellenza della gastronomia italiana, più che un prodotto è un valore culturale. A Eboli e a Capaccio
PROVINCIADISALERNO
Scalo, nella Piane del Sele le condizioni ambientali e i metodi tradizionali di lavorazione conferiscono al prodotto caratteristiche organolettiche e merceologiche straordinarie. Qui troviamo due tra i più importanti interpreti di questo straordinario formaggio, apprezzato in tutto il mondo, i caseifici Vanulli e Giuliano. Cuore e territorio, tradizione e evoluzione, questi i principali ingredienti della cucina di Fabio Pesticcio il giovane chef del ristorante stellato Il Papavero, a Eboli. Preparazioni fresche e stagionali, con tanti ingredienti locali, ma non solo, che riportano ai piatti della Piana del Sele e del Golfo di Salerno.
con uno dei piatti più famosi e apprezzati al mondo… la pizza napoletana ! Nella regione in cui questa straordinaria preparazione ha conosciuto i suoi natali, è facile comprendere il significato di “pizza napoletana”. A renderla la pizza migliore al mondo non è solo la morbidezza o il bordo alto, né l’acqua utilizzata negli impasti, la mozzarella o il pomodoro tagliati a mano. A fare la differenza è l’amore per il prodotto finale, per le materie prime utilizzate e, più in generale, per il proprio mestiere. Questo “stile napoletano”, assieme alla tradizione cilentana, è quanto caratterizza la Pizzeria 3Voglie, di Valentino Tafuri: qui l’eccellenza campana soddisfa le 3 voglie che spingono gli avventori ad entrare nel locale, ossia il buon cibo, il buon bere e l’immancabile convivialità. Tutta l’economia della zona è comunque, al di là dei problemi e dei luoghi comuni, molto vitale, grazie alla presenza di numerose attività, dal non profit alle imprese piccole e grandi, dai soggetti di fama a quelli meno noti: dalla manifattura innovativa di Stampa3DSud alle cravatte Marzullo, dal cake design delle Torte di Renato al
BENVENUTI
AL SUD
cartone riciclato di Sabox, dal cinema mondiale per ragazzi di Giffoni Experience, alle Ceramiche Falcone, dalle sedi del campione mondiale della fibra ottica, Prysmian, ai materassi Valflex della Rinaldi Group, dal software di Blumatica a Lunarossa che fa assistenza ad aspiranti viticoltori o vinificatori fino al Parco archeologico di Paestum, con alcuni tra i templi greci meglio conservati al mondo. Un territorio che non si è arreso, costantemente alla ricerca, senza perdere però la propria identità, di nuove vie per cominciare a correre. Una di queste “vie” è il progetto “Banca delle Qualità Campane” promosso dalla Fondazione Symbola insieme con la Federazione Campana Banche Credito Cooperativo, la Cassa rurale e artigiana Bcc di Battipaglia e Montecorvino Rovella e con il sostegno di Fondosviluppo, il Fondo mutualistico per la promozione e lo sviluppo della cooperazione, che punta ad accrescere la competitività dell’area attraverso, l’analisi della percezione sul web e percorsi formativi che affiancano alle capacità di realizzare prodotti di qualità anche capacità comunicative, manageriali, digitali e di design. Un’Italia che fa l’Italia, che guarda con fiducia al futuro.
Alla Bottega Orafa Rosmundo, a Eboli, si possono ammirare vere e proprie opere di arte moderna, creazioni caratterizzate da una tecnica inventata da Rosmundo Giarletta chiamata nido d’ape figurativo (Honeycomb technique), gioielli che hanno guadagnato l’ammirazione di molti estimatori in tutto il mondo, tra questi anche il Principe Ranieri di Monaco, di cui Rosmundo fu orafo personale. Il nostro viaggio tra le eccellenza non poteva che terminare
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Giovani talenti LA SICILIANITÀ CONTEMPORANEA DI
CHRISTIAN
DE SIMONE A SIRACUSA
foto
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di Maria Chiara Zucchi © Walter Silvestrini - PixelXpixeL.it
CHRISTIANDESIMONE
BENVENUTI
AL SUD
S
iciliano verace, Christian De Simone ha voluto lavorare in varie regioni italiane, dal Trentino, alla Toscana, alla Puglia, per prepararsi professionalmente in modo completo. In realtà le esperienze maturate nel tempo lo hanno portato a sentire ancora piÚ forte l’esigenza di tornare nella sua isola e dedicarsi anima e corpo ad una cucina che per storia, influenze etniche derivate da dominazioni straniere, valori e caratteristiche di un territorio irripetibile, offre una ricchezza sensoriale straordinaria. Da tre anni Christian coordina le cucine del Grand Hotel Ortigia con la supervisione dello chef Maurizio Urso, prediligendo creazioni con pesce freschissimo, erbe aromatiche soprattutto selvatiche, agrumi, il tutto innestato su una cucina classica di matrice contemporanea. GRAND HOTEL ORTIGIA
Viale Giuseppe Mazzini, 12 - 96100 Siracusa Tel. 0931 464600
www.grandhotelortigia.it
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Giovani talenti
MEDAGLIONI DI ARAGOSTA
con burro alle erbe, la sua bisque su purea di ceci di Villa Alba, lenticchie di Leonforte con porcini e cardoncelli INGREDIENTI per 10 persone
lenticchie nella propria
4 coste di sedano, 4 carote, 2 cipolle, 4 pomodori
stando di sale e pepe.
kg. 3 di aragosta, g. 400 di ceci, g. 400 di lenticchie, medi, g. 400 di funghi cardoncelli, g. 300 di porcini,
g. 200 di burro chiarificato, 2 spicchi d’aglio, erbe aromatiche, olio extravergine d’oliva, sale, pepe q.b.
Per la bisque di aragosta: carapace di aragosta, sedano, cipolla, olio extravergine d’oliva, concentrato di pomodoro, cognac, sale e pepe.
acqua di cottura, aggiuLessare le aragoste ed
estrarne la polpa, scalop-
parne i medaglioni che poi
passeremo in padella con er-
be aromatiche, sale, pepe e burro
chiarificato senza far soffriggere. Con
il carapace realizzare una bisque. Pulire
PREPARAZIONE
Mettere in ammollo la sera prima i ceci, ma non le
lenticchie. In due pentolini cuocere separatamente i legumi con sedano, carota, cipolla, pomodoro e brodo vegetale; aggiustare di sale e pepe e cuocere. A
cottura ultimata, passare solo i ceci con un passaver-
dure; aggiustare la purea di sale e pepe. Lasciare le
i funghi e tagliarli in una dadolata. In una
padella mettere uno spicchio d’aglio che poi to-
glieremo, olio extravergine d’oliva, i funghi e far trifolare. Finire con prezzemolo, sale e pepe. COMPOSIZIONE DEL PIATTO
Porre su un piatto fondo la passata di ceci, disporre i medaglioni di aragosta con intorno lenticchie e i funghi trifolati e completare con un cordoncino di bisque.
DENTICE
arrostito in padella su schiacciatina di patate, infuso di menta e aglio con peperone arrostito marinato al miele INGREDIENTI per 10 persone
le lamelle d’aglio e la menta, lasciare ripo-
glio, g. 40 di miele di timo, scorza grattugiata di 1 limone, timo, olio extravergine d’oliva, sale, pepe, q.b.
frullare e passare al colino cinese: ottenu-
kg. 1,4 di dentice filetto superiore, g. 600 di patate, g. 400 di peperoni, 1 mazzetto di menta, 3 lamelle d’a-
PREPARAZIONE
Eviscerare il dentice, sfilettarlo e, dopo aver-
lo parato la parte superiore del filetto, realizzare 10 tranci da circa 120/130 grammi.
Nel frattempo lessare le
patate, pelarle, passarle allo schiacciapatate, condirle
to l’infuso di menta e aglio, aggiustare di
sale. Su una graticola arrostire i peperoni,
togliervi il velo, i semi e tagliarli a filetti; unire l’olio extravergine d’oliva, sale, pepe
e miele. Lasciare marinare. Passare i filetti
di dentice, dopo averli salati e pepati, in padella con olio extravergine d’oliva e qualche rametto di timo; cuocere da entrambi i lati.
con scorzetta di li-
COMPOSIZIONE DEL PIATTO
olio extravergine
di patate, versare l’infuso di menta e aglio,
mone, sale, pepe,
d’oliva. In un conte-
nitore versare acqua
minerale tiepida, unire
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sare qualche minuto e poi, con un mixer,
Su un piatto fondo disporre una quenelle appoggiarvi sopra il filetto di dentice, i pe-
peroni marinati al miele e finire con un filo d’olio e un rametto di timo.
CHRISTIANDESIMONE
BENVENUTI
ASSOLUTO DI BACCALÀ
AL SUD
su passata di piselli e carciofo spinoso
INGREDIENTI per 10 persone
kg. 1,8 di filetto di baccalà Morro
kg. 0,5 di pisellini
g. 400 di carciofi
crema di latte q.b.
1 carota
1 costa di sedano
Scottare i piselli in acqua bollente qualche minuto, passarli in acqua e ghiaccio e poi in un contenitore aggiungendo sale, pepe e olio extravergine d’oliva, quindi frullare finché non avremo ottenuto la consistenza voluta. Passare al cinese.
Pulire i carciofi e tagliarli in piccoli spicchi che poi passeremo in padella con abbondante
olio. Spolverare i tranci di baccalà con semola, quindi passarli in padella con olio extravergine d’oliva fino a doratura.
1 cipolla piccola
COMPOSIZIONE DEL PIATTO
olio extravergine d’oliva q.b.
lizzando un pettine per ottenere delle righe. Adagiarvi sopra il trancio di baccalà e, con
1 spicchio di aglio
erbe aromatiche q.b. sale q.b.
pepe q.b.
Dopo aver scaldato la passata di piselli, nappare con questa il piatto, eventualmente utiil restante mantecato, realizzare due quenelle da disporre alle due estremità. Finire con i carciofi dorati e salati e, a piacere, decorare con un rametto di erbe aromatiche.
PREPARAZIONE
Dopo aver ammollato il baccalà, realizzare
dieci tranci da 100/120 grammi ciascuno;
tagliare il rimanente a cubetti e farlo soffriggere con olio evo in una casseruola
con sedano, carota, cipolla passati al cutter e uno spicchio d’aglio intero che poi toglieremo. Quando tutto risulterà ben ro-
solato, unire il baccalà a cubetti e lasciarlo cuocere qualche minuto; aggiungere un
mazzetto di erbe aromatiche, pepe e cre-
ma di latte a coprire. Far ridurre del tutto i liquidi, porli in planetaria e aggiungere
olio extravergine d’oliva a filo per ottienere il baccalà mantecato.
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Giovani talenti
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www.surgital.it
Giovani talenti per
CHRISTIAN DE SIMONE INTERPRETA INTRIGHI
su passata di zucchine, cozze e bottarga marinata all’Armagnac INGREDIENTI per 10 persone
g. 700 di Intrighi Divine Creazioni Surgital
kg. 4 di cozze
g. 50 di bottarga
1/2 bicchiere di Armagnac g. 700 di zucchine
aglio, prezzemolo, sale, peperoncino, olio
extravergine d’oliva
PREPARAZIONE
Lavare accuratamente le cozze eliminando
il bisso e spazzolarle bene; in una padella mettere olio extravergine d’oliva, aglio intero (che poi toglieremo). Aggiungere le cozze, il peperoncino e il prezzemolo, lasciar cuocere;
non appena aperte, toglierle dal guscio e lasciarle nel loro intingolo. Pulire bene le zucchine e prendere solo la parte verde; scottar-
le in acqua bollente e porle in acqua e ghiaccio; asciugarle bene, porle in un contenitore
e unire qualche lamella d’aglio, sale, pepe,
olio extravergine d’oliva. Con un minipimer mixare il tutto per ottenere una consistenza cremosa.
Cuocere gli Intrighi in abbondante acqua sa-
lata, scolarli e metterli in padella con le cozze, amalgamando con cura.
COMPOSIZIONE DEL PIATTO
Su di un piatto fondo porre la passata di zuc-
chine calda, aggiungere gli Intrighi con le cozze, spolverare con la bottarga preceden-
temente marinata in Armagnac. Finire con un rametto di erbe aromatiche e un filo d’olio.
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Giovani talenti
BAULETTI CON RICOTTA DI PECORA E PISTACCHI DI SICILIA al burro alla pera, arancia candita, alice marinata agli agrumi e finocchietto selvatico INGREDIENTI per 10 persone
PREPARAZIONE
di un’arancia, sale, pepe, finocchietto sel-
stacchi di Sicilia
in mirepoix ed estrarre il succo della parte
Cuocere i Bauletti in abbondante acqua
30 Bauletti con ricotta di pecora e piDivine Creazioni Surgital g. 500 di burro
g. 100 di distillato di pera g. 300 di pera Wiliams
10 zeste di arancia candita 20 alici fresche 1 limone
1 arancia
finocchietto selvatico, sale, pepe olio extravergine d’oliva
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Lavare e pelare le pere, ridurne una parte
restante. Ridurre a dadolata regolare le zeste di arancia.
Porre il burro a temperatura ambiente in planetaria e lasciarlo montare finché non
diventi spumoso; unire il distillato di pera
vatico, olio extravergine d’oliva e sale.
salata, scolarli e versarli in una padella con il burro montato senza accendere fuochi (con il calore della pasta il burro, sciogliendosi, deve vellutare i Bauletti).
e l’estratto di pera; lasciare amalgamare
COMPOSIZIONE DEL PIATTO
di pepe. Marinare le alici dopo averle evi-
alici e porle sulla pasta; finire con una da-
bene e aggiungere eventualmente un po’
scerate e private della spina centrale, con la scorza di un limone, il succo e la scorza
Posare i Bauletti su un piatto, arrotolare le
dolata di pera Williams, le zeste di arancia e pistacchio.
www.surgital.it
TRIANGOLI AL PESCE SPADA
Giovani talenti per
con crudaiola di ciliegino Pachino, datterino arancione e ciliegino lemon, spuma di olive e pomodoro secco INGREDIENTI per 10 persone
30 Triangoli al pesce spada Divine Creazioni Surgital ciliegino Pachino
datterino arancione ciliegino lemon g. 50 di olive
g. 50 di pomodoro secco g. 60 di albume g. 100 di panna
basilico, aglio, origano q.b. olio extravergine d’oliva sale, pepe
PREPARAZIONE Lavare accura-
tamente tutti i pomo-
dorini, scottarli un minuto in
acqua bollente e poi metterli in ac-
qua e ghiaccio. Togliere la buccia e ridurli
in dadolata; aggiungere sale, pepe, basilico,
1 spicchio intero d’aglio schiacciato (che poi toglieremo) e origano; lasciare marinare un paio d’ore.
Per la spuma di olive: in una bastardella a bagnomaria porre la
panna, gli albumi, le olive e i pomodori secchi precedentemente ridotti in
purea; con una frusta mescolare continuamente; non appena raggiunge la giusta
densità, coprire con una pellicola e mantenere in caldo. Cuocere i Triangoli in abbondante acqua salata e scolarli.
COMPOSIZIONE DEL PIATTO
Porre alla base del piatto la crudaiola dei tre pomodorini, i Triangoli al pesce spada e sopra delle quenelle di spuma di olive e pomodoro secco; finire con un filo d’olio extravergine d’oliva e qualche fogliolina di basilico.
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INTERVISTA A
RODELIO AGLIBOT “FOOD BUDDHA” CREATORE DI OLTRE 40 RISTORANTI NEL MONDO, ITALIA COMPRESA di
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Lucy Gordan
Ho incontrato ed intervistato Rodelio Aglibot per la prima volta un anno fa all’inaugurazione del “Me Geisha”, il suo primo ristorante a Roma. Sebbene divida il suo tempo tra Chicago e Los Angeles (lui è un vero jetsetter), ci siamo visti più volte durante il 2016 a Roma. Il curriculum di Aglibot è troppo lungo da elencare in un’intervista. È sufficiente dire che dall’età di 49 anni è stato e rimane uno chef ed un ristoratore in diverse città americane, un consulente, un imprenditore di cibi surgelati o pre-lavorati, una guida di tour gastronomici, un personaggio televisivo ed uno scrittore. Ha aperto più di 40 ristoranti, infatti più che inventare menù, la sua specialità è inventare ed aprire ristoranti e imprese culinarie. La realizzazione di cui va più fiero è un non-profit chiamato “Nelle Mani di uno Chef” che fa incontrare persone diversamente abili con una passione per il cibo.
L’INTERVISTA Quali sono i suoi ricordi e il suo rapporto con il cibo? Io sono cresciuto in una famiglia d’immigrati, dato che i miei genitori sono filippini. Sono cresciuto nelle Hawaii dove si cucinava tanto e sempre insieme: farlo ci rendeva felici. Anche adesso, quando torno dai miei, non mi chiedono “Quando arrivi?”, ma “Che cosa vorresti mangiare?”. Ecco cosa significa cibo per me, significa festosità ed emozione. È per questo motivo che sono diventato uno chef. Tu dai te stesso quando cucini: stai creando qualcosa con le tue mani e con la tua anima. Mangiare è essenziale per vivere, sia biologicamente sia spiritualmente. Il cibo non può essere un oggetto cult: qualsiasi piatto creato da uno chef deve nutrire la nostra anima, non soltanto il nostro corpo. Quali sono stati i presupposti che l’hanno portata a diventare chef? Mio padre era uno chef nell’esercito americano, quindi
traslocavamo spesso; certe volte veniva trasferito soltanto lui, quindi essendo io il maschio più grande della famiglia, era mio compito cucinare. Ho imparato presto a fare i panini con la cannella e lo stufato di fagioli. Avevo circa undici/dodici anni e aiutavo mia madre a pelare le carote e a preparare le verdure. Dopo qualche anno, a 16 anni, abbiamo traslocato in California, il mio primo lavoro è stato al “Kentucky Fried Chicken”. Facevo impasti che portavo a casa per trovare soluzioni atte a migliorare il gusto dei nuggets… ero già curioso e creativo. Essendo asiatico e il primogenito, i miei genitori nutrivano delle ambizioni per me. Sognavano per me un futuro da ingegnere, ma ho scoperto velocemente che quella non era la mia vocazione. Poi, quando avevo 21 anni, mio fratello minore è morto in un incidente di macchina, dopodiché la mia vita è proseguita su un’unica strada. Da quel terribile momento il mio motto è diventato: “Devi fare nella vita quello che ti rende felice, ma devi trovarlo. Ho lottato tra l’idea di diventare un ingegnere
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INTERVISTA A
rendendo felici e fieri di me i miei genitori come americani della prima generazione, oppure seguire il mio cuore. Credo che molte persone affrontino questa lotta interiore prima di decidere quale strada prendere, perciò mi sono iscritto alla scuola culinaria quando avevo già 25 anni. Lei è soprannominato “Food Buddha”; può spiegare il significato ai nostri lettori italiani? I giornalisti americani mi hanno sopranominato “Food Buddha” perché, dicevano, le mie risposte alle loro domande erano uniche, originali, non affatto simili alle risposte di altri chef. Dicevano che io raccontavo di persone, d’amore, della vita e mai d’ingredienti. Poi non è da sottovalutare che assomiglio a Buddha. Scherzi a parte, credo che sia perché metto anima e corpo in tutte le cose in cui credo. Ho un approccio Zen al mondo e alla cucina. Essere chef è un privilegio, è l’unica forma d’arte che utilizza tutti i cinque sensi: perciò è tanto speciale. In poche parole come definirebbe la sua cucina? Accessibile, trascendente e individuale. Lei è nato nelle Filippine, cresciuto nelle Hawaii, e adesso vive tra Los Angeles, Chicago e l’Italia. Una caratteristica filippina, una hawaiana, un’americana, una giapponese e una italiana della sua cucina? La mia cucina ha lo spirito melting-pot delle Hawaii, l’orgoglio di essere filippino, la semplicità dei giapponesi, l’abbondanza eccessiva delle porzioni americane e la gioia degli italiani. I filippini e gli italiani sono simili: tengono stretta la loro famiglia, rispettano gli anziani, e amano il cibo e le feste.
Le qualità essenziali per essere top chef? Amare la gente, studiare la storia perché la cucina riflette la cultura, rispettare i contadini che producono i nostri ingredienti, rinnovare spesso la nostra creatività, cosa che io faccio viaggiando. La nostra reputazione o fama non dipende da un nostro piatto o da un nostro ristorante, bensì dai nostri collaboratori. Come top chef dovresti sperare di ispirare i tuoi collaboratori più giovani ad assumere qualsiasi principio o valore della vita che gli servirà per avere successo. Non ho ancora dei bambini miei, quindi i miei collaboratori più giovani sono stati sempre i miei bambini. Do a loro più lezioni di vita che di cucina. Com’è nata la sua collaborazione con l’Italia? Dieci anni fa avevo da poco chiuso un mio ristorante a Los Angeles e avevo pianificato di prendermi dieci mesi di vacanza per girare il mondo. Poi ho ricevuto una telefonata da un industriale italo-americano, Giuseppe Tuosto, che mi ha proposto di creare un menù giapponese per un suo ristorante a Hollywood. Da allora siamo colleghi e amici per la pelle. Quattro anni fa abbiamo aperto insieme “Me Geisha” a Salerno, vicino al luogo di nascita di Giuseppe, e nel dicembre del 2015 a Roma. La nostra filosofia culinaria in questo caso è chiamata “3B”: i piatti devono essere belli da guardare, buoni da mangiare, e produrre benessere per i nostri ospiti. “Me Geisha” è una marca, quindi è nei nostri piani aprire ancora altri ristoranti a Napoli e a Roma prima di proseguire in Nord-Italia.
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Le recenti aperture? Il primo “Fire Fin Poké” è stato inaugurato il 2 giugno 2016 nel centro di Chicago. Sempre a Chicago altri due franchises sono stati aperti lo scorso autunno. Giuseppe ed io abbiamo inaugurato “Suriso Poké Shop” a Salerno il 5 agosto scorso: è il primo negozio Poké in Italia, seguito in ottobre dal nostro secondo “Me Gheisa” a Salerno. L’aspetto del suo lavoro che ama di più? Viaggiare, esplorare nuovi luoghi e cibi, imparare da nuove culture. Amo anche la creatività del cucinare ma non era nel mio destino essere lo chef o il top chef di un unico ristorante: io creo e sviluppo squadre che lavorano insieme. Di meno? Quando vedo dei miei colleghi che si fanno consumare, distruggere dalla pressione di questo lavoro, dimenticando perché amano cucinare e cadendo nel buio dell’abuso dell’alcol o delle droghe. Chef che ammira? Jacques Pépin. Ho collaborato ad un suo libro di cucina: apprezzo la sua bravura professionale, ma anche la sua modestia. Ammiro anche Joyce Goldstein e Alice Waters per essere state in anticipo sui tempi. Non dimentico Giovanni Leone, lo chef del “Buca Giovanni” (non esiste più) a San Francisco, perché, quando ci lavoravo, tutte le sere alle 17 tutti noi, e dico tutti noi colleghi, cenavamo insieme. Era un suo modo di rafforzare l’importanza per lui dei suoi collaboratori. Già all’inizio degli anni ’90 faceva da solo il suo concime, aveva un orto dove cresceva le verdure e allevava i propri conigli. Anche lui era in anticipo sui tempi.
Lei non è soltanto uno chef: ha più ristoranti in più parti del mondo, ha un catering e un business di surgelati e di recente di cibi pronti, un consulente, una stella televisiva, uno scrittore, in breve a ”jackof- or -fusion-many-the-food trades”. Come fa a controllare tutto? Michelangelo e Leonardo da Vinci sono i miei modelli di comportamento. L’uomo rinascimentale! Sfrutto ogni opportunità che mi viene proposta. Mi definisco “lo chef rinascimentale”. Quando posso imparare qualche cosa nuova, mi precipito. Cerco di mettere in pratica tutte le mie doti: come amministratore delegato, come consulente, ristoratore, inventore di piatti pronti e chef. Funziono meglio quando ho tanta carne sul fuoco, cioè tante cose da fare. Non soffro d’ansia. Non sono un temporeggiatore. Realizzo quello che inizio. Quali sono i suoi piatti preferiti? Tre piatti filippini che chiedo sempre a mia madre di prepararmi quando torno a casa: boulalo, che è una zuppa di stinco di manzo; kare-kare (a sinistra), che è uno spezzatino, una specie di coda alla vaccinara con verdure, cotto in una salsa di arachidi; e dinuguan, che è uno spezzatino piccante fatto con il sangue di maiale. Se potessi scegliere qualsiasi chef nel mondo per prepararmi un pranzo speciale, gli chef sarebbero i miei genitori. Se potessi scegliere tre commensali, sarebbero JFK, Elvis Presley e Michelangelo. La musica di sottofondo sarebbe di Bob Marley.
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ILFOCUSDIALESSANDROMAGNUM
a cura di
Alessandro Rossi esperto di vino, bon vivant, fondatore del Premio “Dire Fare Sognare”
IL MARKETING ATTRAVERSO
CINEMA & VINO
QUANDO SOGNO E BUSINESS SI INCONTRANO Il cinema è business. Un film nasce sì per emozionare, divertire o inorridire il pubblico, ma se vogliamo dirla tutta, principalmente nasce per fare soldi al botteghino. Questa è la realtà. Gli Studios americani (così come Cinecittà) sono considerati da sempre delle macchina da soldi. Tramutano i sogni delle persone in realtà virtuali attraverso le immagini e guadagnano soldi a palate. Non è una prosaica realtà, ma la giusta verità: un imprenditore investe per guadagnare. Ora, cosa c’entra il cinema con il vino? Partiamo da questo concetto di base. Tutto ciò che ruota attorno al business è lanciato sul mercato come un sasso da una fionda attraverso la comunicazione ed il marketing. Partiamo allora da un assioma: in sostanza il marketing è l’insieme degli strumenti e delle tecniche che permettono di vendere in modo profittevole e duraturo. Prendiamo il vino e cerchiamo di individuare alcuni aspetti fondamentali: vendere vino è soprattutto saper vendere un rapporto umano; vendere vino non vuol dire vendere un bene di prima necessità. Il concetto di brand nel mondo del vino ad oggi è quasi inesistente; vendere vino è un concetto obsoleto che va reinventato. Equivale a vendere un piacere, un sogno, un territorio, una storia, un savoir faire. Vendere vino è soprattutto vendere una regione, una storia, degli uomini. Ora, cosa manca al vino per essere comunicato in maniera più adeguata ai tempi? Manca la comunicazione moder-
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na, quella trascinata dai video e dai social. Ma oggi ci occuperemo della parte video. Esistono due tipi di immagini: emozionali e commerciali. La prima riguarda essenzialmente il cinema inteso come film e sono pellicole dove il vino è attore principale o co-attore. Esiste tuttavia cinema e cinema-documentario, la differenza sta nel concetto che la pellicola intende esprimere. La prima racconta una storia, spesso di fantasia, dove il vino fa da cornice. La seconda racconta il vino attraverso i sogni e le esperienze dei produttori, degustatori o opinion leader del settore.
I PRINCIPALI FILM DEDICATI AL MONDO DEL VINO French kiss: in French Kiss il vino è un protagonista della storia. Un’insegnate americana vola a Parigi per riprendersi il fidanzato che si è messo con un’altra, ma sull’aereo incontra Luc, un irresistibile farabutto, che si serve di lei per trafugare una collana e che porta con se’ un tralcio di vite che vuole piantare in un terreno che comprerà in Provenza con la vendita della collana rubata. I giorni della vendemmia: una storia che si svolge nel 1984 in una provincia rurale emiliana. Elia è un adolescente che vive con
ILFOCUSDIALESSANDROMAGNUM
Dal film Sideways
i suoi genitori. Cominciano i giorni della vendemmia, ad aiutare nel campo arriva anche la nipote. La ragazza sta scrivendo la tesi e passa un po’ di tempo dai nonni facendo qualche lavoretto per guadagnarsi i soldi per un viaggio che sogna da diverso tempo. Sideways: il film racconta di un insegnante amante del buon vino e aspirante scrittore, che insieme ad un attore di soap opera alla vigilia delle nozze, partono per un viaggio a base di degustazione di vini nella zona vinicola di Santa Ynez Valley, nella contea di Santa Barbara in California. Ciò che all’apparenza sembra un normale viaggio di addio al celibato, si rivela un’avventura intricata e divertente. L’anno della cometa: è una commedia sentimentale e rocambolesca, nella quale una giovane enologa che viene da una famiglia di grandissimi esperti di vino, insieme con un miliardario, insegue una preziosa bottiglia di Lafite del 1811 scoperta in un castello scozzese. Una bottiglia che vale milioni di dollari. L’annata del vino è la stessa del passaggio della Grande Cometa, quella che fu possibile vedere ad occhio nudo per oltre 250 giorni. Bottle Shock: racconta una storia vera, quella della Montelena Winery, azienda vinicola di Napa Valley, che negli anni ‘70 vinse un prestigioso concorso, fino ad allora sempre dominato dalle
aziende vinicole francesi, portando un immediato prestigio alla produzione vinicola della California. Non a caso il Chateau Montelena è uno dei più prestigiosi chardonnay della Napa Valley. Il profumo del mosto selvatico: una bellissima storia d’amore che si svolge tra tramonti californiani, vendemmie e passioni e racconta di un rappresentante di cioccolatini che si innamora della figlia di un viticoltore della Napa Valley interpretato da Keanu Reeves, Anthony Quinn, Aitana Sanchez-Gijon e Giancarlo Giannini. Un’ottima annata: Russel Crowe indossa i panni di uno spregiudicato uomo d’affari inglese che eredita una tenuta con vigneto in Provenza. Il protagonista pensa di vendere tutto per fare capitali, ma succede qualcosa e lentamente, vivendo nei luoghi in cui era cresciuto, riscopre i valori che lo zio aveva cercato di insegnargli, e naturalmente, l’amore. Si metterà a produrre vino come faceva lo zio e da astuto ed insensibile business-man, diventa un uomo capace di apprezzare i piccoli piaceri della vita. Blood into wine: questo film documentario narra la scelta di Keenan che abbandona la mirabolante Los Angeles dove era un musicista rock piuttosto apprezzato, per una cittadina di appena 300 anime in quel dell’Arizona per sfidare tutto e tutte: aprirvi un’azienda vinicola di successo.
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I DOCUMENTARI DEDICATI AL MONDO DEL VINO Mondovino: un documentario diretto da Jonathan Nossiter. Un percorso che è anche un’accusa alle grandi aziende della produzione vinicola colpevoli, secondo l’autore, di danneggiare i piccoli produttori locali legati alla tradizione del territorio. Il film è stato girato in diverse nazioni: in Italia, in particolare in Toscana, in Francia tra la regione di Bordeaux, patria dei produttori più famosi del mondo, la Borgogna, in un piccolo paesino di Aniane in Linguadoca, negli USA a Napa Valley in Argentina, in Brasile e a Londra presso la famosa casa d’asta Christie’s.
Resistenza naturale: Jonathan Nossiter procede la sua inchiesta sulla profonda trasformazione della produzione di vino in Francia e torna sull’argomento occupandosi dell’Italia e mutando il punto di vista. Dalle Marche alla Toscana, dall’Emilia al Piemonte il documentarista incontra viticoltori che non si sono piegati alla standardizzazione e hanno uno stretto legame con la terra che coltivano. The Duel of Wine: il secondo film diretto da Nicolas Carreras con protagonista il celebre sommelier Charlie Arturaola racconta la storia del sommelier che perse il palato, per ritrovare poi i suoi sensi più forti e sviluppati che mai, e che, mascherato, sfida malcapitati ed ignari “avversari”. La sfida finale sarà con il più grande talento italiano e campione del mondo Luca Gardini.
Rupi del vino: Ermanno Olmi ha realizzato un bellissimo documentario sul mondo della viticoltura della Valtellina e le sue vigne terrazzate, simbolo del lavoro di generazioni di uomini e di donne. Un volo intenso e romantico sulla Valtellina, le sue tradizioni le sue vallate, le sue coltivazioni, i suoi vigneti sulle rupi e tutto quello che in quelle terre è prodotto dall’uomo per l’uomo. Somm: il riconoscimento di Master of sommelier è sicuramente il più prestigioso del mondo. In questo documentario piuttosto interessante sull’altra faccia del mondo del vino, ossia non la produzione, ma la degustazione, vengono mostrate le sessioni d’esame di 4 pretendenti all’ambito titolo. Red obsession: è un documentario con la voce narrante di Russell Crowe e racconta del viaggio all’interno del mondo dell’enologia che comprende imprenditori e semplici appassionati, da Bordeaux a Pechino, ascoltando le storie di chi ha fatto del vino un mestiere.
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Barolo Boys: è la storia di un gruppo di produttori di vino delle Langhe che negli anni ‘80/90 hanno fatto parlare di sé. Considerati rivoluzionari, hanno migliorato, secondo le loro idee, il Barolo. Artefici di vini considerati più moderni nel concetto e nel gusto, si raccontano attraverso la storia di un periodo fondamentale per questa zona di produzione. Esiste inoltre un mondo parallelo, veri e propri film e cortometraggi studiati per il segmento del commercio, vere opere atte a stuzzicare l’appetito. Sono i video spot o spot pubblicitari giocati essenzialmente sul prodotto e sulle emozioni. Il mondo del vino purtroppo ad oggi non ha ancora investito in questo segmento come in tanti altri altrettanto importanti (siti internet funzionali, comunicazione e marketing programmato). Non sono, come per esempio negli spot pubblicitari, creati o studiati per vendere un singolo prodotto, bensì studiati per avvicinare una certa categoria o classe sociale. Lo scopo unico è arrivare all’interesse della popolazione ed il vino ad oggi non è più considerato alimento o moda, bensì cultura. Nel mondo video non esiste niente di più difficile che un girato di pochi minuti che colpisca nel segno, soprattutto nell’ambito commerciale. Proprio per questo nascono aziende fatte da professionisti che sono in grado di tradurre i pensieri e le esigenze in pochi attimi. Credo fermamente che il mondo del vino necessiti di tutto ciò proprio perché parliamo di un mondo estremamente emozionale e quale mezzo migliore se non il cinema per divulgare il verbo?
VINARIA
L’ESEMPIO DEL CILE PER IMPORRE ALLE MULTINAZIONALI REGOLE E LIMITI di
Angelo Gaja
La COCA COLA venduta in Cile porta nella confezione un ottagono nero (non ha il valore di una medaglia) con la scritta “ALTO EN AZÚCARES - Ministerio de Salud” (foto a lato) in sostituzione o congiuntamente alla tabella dei valori nutrizionali. Si tratta di un provvedimento recente, fortemente sostenuto dal Senador Guido Girardi ed introdotto dal Governo Cileno, con il quale viene posto l’obbligo di contrassegnare i prodotti dai valori energetici elevati con le scritte:
L’avvertimento è più visibile e più efficace di quanto generalmente riportato nella tabella dei valori nutrizionali e vuole avere una duplice funzione: dissuadere il consumatore dagli abusi, contrastando così l’obesità e le malattie ad essa collegate; indurre le multinazionali ad abbassare il livello dei valori energetici. Il vino reca in etichetta il contenuto di alcool, che è il componente dal valore energetico significativo. E’ da escludere che anche al vino venga applicato identico trattamento, perché l’alcool del vino si produce con processo che più naturale non si può (avviene così da 9000 anni, sempre allo stesso modo), a carico degli lieviti che lo ricavano per trasformazione dello zucchero contenuto nel mosto d’uva. Non è alcool aggiunto di proposito, come avviene invece per le bibite
idroalcoliche colorate ed aromatizzate, oppure accresciuto in volume attraverso la distillazione come avviene per gli spiriti. L’alcool, lo zucchero, i grassi, il sale… vengono aggiunti a prodotti che si pongono l’obiettivo di raccogliere elevato gradimento e che spesso godono anche di campagne pubblicitarie attraverso le quali costruire/orientare il gusto del consumatore. L’esempio del Cile è per ora un campanello d’allarme marginale; nasce però da una sensibilità nuova e diffusa, di esigenza di maggiore salubrità alimentare, che le multinazionali delle bevande e del cibo non potranno ignorare.
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VINARIA
A BOLGHERI
I VIGNETI DIVENTANO POESIA AL POSTO DEI CIPRESSI DI CARDUCCIANA MEMORIA di
Marco Tonelli
La botanica di Bolgheri non dimentica i cipressi che Carducci celebrava in rime nella poesia “Davanti San Guido”.Pur avendoli sostituiti numericamente con le viti, i cipressi ancora costeggiano la strada che porta fino al borgo di Bolgheri. Il cambio paesaggistico muta a partire dal dopoguerra, quando l’allora marchese Incisa della Rocchetta inizia a piantare Cabernet. Per un po’ lo vinifica e poi decide, sul finire degli anni ’60, di venderlo: nasceva il Sassicaia. Per alcuni un rinnegato rispetto alla toscanità del Sangiovese (anche se poi nella Doc Bolgheri se ne può utilizzare fino al 50% del totale del blend), per altri un anticonformista che ha dato il via a una
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tipologia: il Supertuscan. Il mito ha bisogno, per legittimarsi, di mitologia. Quella dei Supertuscan nel tempo si è riempita di superman, ma anche di tanti Superpippo. Alla prima categoria appartengono, senza dubbio, i vini di Bolgheri. Il merito va a quella serie di valutazioni che portarono, con largo anticipo sulle mode, alla scelta varietale di Cabernet e Merlot. Meteo con mare che mitiga anche le stagioni più fredde, e la montagna: si tratta in realtà di colline, che proteggono dai venti freddi dell’Appennino, ma che, grazie alla loro disposizione parallela alla costa, creano un corridoio attraverso cui passano quelle correnti che rinfrescano i vigneti nei mesi
VINOINVERSI
estivi. L’accusa di esterofilia che poteva essere mossa ai vini che qui si producono, naufraga grazie a quella convivenza, sempre più convinta e convincente, che abbraccia vitigni internazionali e territorio di Bolgheri ormai da oltre mezzo secolo. Assaggiandoli si assiste alla riprova che non si tratta di copie in salsa bordolese, ma di etichette che per certi versi ‘mediterraneizzano’ l’uvaggio bordolese. Un binomio, alle volte anche trio, di uve dall’aristocratica parentela transalpina, che qui trova lo stesso blasone grazie anche alla scelta di numerosi casati nobili del vino italiano, che proprio a Bolgheri decisero di produrre le proprie etichette. Il merito di Antinori, Frescobaldi, Incisa della Rocchetta, Banfi, e altre grandi realtà imprenditoriali è stato quello di non fagocitare il ricco humus di piccole realtà che continuano a lavorare a Bolgheri. Il mix di ‘ricchi e poveri’ - o se preferite di piccoli e grandi - canta, con intonazione e soprattutto con buona armonia. La stessa che ha fatto crescere in maniera costante il territorio nel suo complesso, grazie anche ad uno spartito, se non uguale almeno condiviso, relativo a vitigni utilizzabili (solo Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc e Merlot possono essere utilizzati dallo 0 al 100% dell’uvaggio) e tempistiche di affinamento. Se il Bolgheri Rosso Doc può essere messo in commercio l’anno successivo alla vendemmia, il Bolgheri Rosso Superiore Doc può uscire sul mercato con due anni di affinamento di cui almeno uno in rovere. Unica eccezione per chi ha reso possibile che Bolgheri salisse alla ribalta enologica nazionale: Tenuta San Guido. Il suo Sassicaia, vino che in alcuni casi ha valicato i confini, almeno in rapporto alla fama, della denominazione per diventare esso stesso espressione di una categoria a se stante, gode di una tutela assolutamente unica. Lo ribadisce la Bolgheri Doc Sassicaia, di fatto composta da una sola azienda (Tenuta San Guido), che utilizza almeno l’80% di Cabernet Sauvignon e un affinamento di due anni di cui almeno 18 mesi in barriques. Questi punti fermi hanno permesso che le singole aziende si muovessero su un canone espressivo che valorizzasse maggiormente il cru o la zona di produzione, ad esempio più o meno vicino al mare, senza contare poi le differenze geologiche, oppure lo stile scelto dal produttore. Una personalizzazione del vino che tuttavia non fa mai scomparire lo stile di un territorio che non fa il verso a nessun’altro, pur potendo vantare dei ‘versi in rima’ sul suo paesaggio, oltre a quella poetica liquida - intendo dire il vino - che lo rende riconoscibile quanto unico.
TENUTA SAN GUIDO SASSICAIA 2013 Base Cabernet per un vino che non ha nulla fuori posto. Nessun accenno verde, caratteristica negativa che spesso affligge l’assaggio di altri vini a base Cabernet. I descrittori sono superflui, visto che ognuno ci troverà tanto, in un vino che esprime una paletta gustativa che ha praticamente tutto. Da chi ha cominciato la saga dei vini di Bolgheri, un vino sempre in grande spolvero. Costa, ma vale.
96/100 MASSETO IGT TOSCANA MASSETO 2013 Solo Merlot in un’annata in cui questo vitigno si esprime qui piuttosto bene. Frutto (mirtillo), spezie dolci (cacao) e toni balsamici di liquirizia e anice stellato. In mezzo tante sfumature gustative, nel finale un tannino monumentale, non perché potente, ma perché richiederebbe un monumento per quanto è estratto a dovere. Si produce nella Tenuta dell’Ornellaia, anche se da poco sono cominciati i lavori di una cantina dedicata alla sola produzione del Masseto.
94/100 PODERE SAPAIO BOLGHERI SUPERIORE SAPAIO 2013 Fragolissima al naso che in bocca cambia pelle, diventando un frutto più scuro, sempre giocato sull’equilibrio tra acidità e dolcezza. Niente sbadigli da scarsa complessità, perché anche in giovane età questo vino mostra, specie da media bocca in avanti, un profilo speziato (cannella e chiodo di garofano) accanto ad uno balsamico (anice). Tannino presente ma ben amalgamato. L’eleganza di questa etichetta è merito dei terreni sabbiosi e calcarei che caratterizzano i vigneti aziendali.
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110 E LODE Istrionico come sempre, anche questa volta il patron del bel vivere Danilo Bellucci ci ha regalato una magistrale interpretazione di un concorso, primo nel suo genere, dedicato ai barmen degli alberghi 5 stelle. “110 e lode” ha riunito trentuno dei barmen più quotati d’Italia nella favolosa location dell’Officina Profumo di Santa Maria Novella in Firenze, decretando vincitore Angelo de Valeri dell’Hotel Westin Excelsior di Roma. Da sempre l’ospitalità italiana si misura anche se non soprattutto nei bar degli alberghi, dove il sovoir faire e la professionalità degli addetti ai lavori crea quelle atmosfere rilassanti
K2 cl. 6 di Grey Goose Bacardi-Martini cl. 1 di Limoncetta di Sorrento Lucano 1894 g. 7 di Caviar Calvisius di Agroittica Lombarda Per la decorazione Spiedino di cubetti di papaya disidratata, caviale, sale dell’Himalaya e gocce di limone.
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che sfociano in piacevoli conversazioni sorseggiando un cocktail ben miscelato. Se il K2 di Angelo de Valeri è risultato il vincitore, precisiamo comunque che la sfida si è consumata ad un altissimo livello e non poteva che essere così visto il parterre de roi dei partecipanti. Festeggiando il vincitore ci siamo lasciati alle spalle anche questo evento, pregustando già la prossima disfida che Bellucci ha sicuramente in cantiere. (Daniele Briani)
ENOVITÀ
I VIAGGI DEL VINO In seguito alla necessità di tagliare all’osso i costi vivi di produzione e all’obbligo morale di continuare a proporre ai propri clienti prodotti di grande qualità, si sta facendo strada l’idea di sviluppare la tendenza a imbottigliare i vini non più nelle zone di produzione, ma in quelle di vendita. Una pratica perseguita già ai tempi dei Romani, che oggi potrebbe diventare vincente sia perché permetterebbe di abbattere le spese, sia perché potrebbe garantire vantaggi non indifferenti a livello ambientale (spedire vino sfuso e non imbottigliato implica un notevole risparmio in termini di spedizioni), sia perché il prodotto risentirebbe molto meno degli sbalzi di umidità e temperatura causa, molto spesso, di una diminuzione della qualità dei vini. In Australia sta diventando una regola (il vino sfuso viene esportato oggi in percentuali pari al 60% dell’intero prodotto) e le rigide leggi della concorrenza potrebbero imporre lo stesso alle nostre latitudini e derubricare l’imbottigliamento all’origine come una incomprensibile pratica di cantina del secolo passato. (G.R.)
MASSIMILIANO POGGI PER TENUTA DI TAVIGNANO La Tenuta di Tavignano, situata all’interno dell’area di coltivazione classica del Verdicchio dei Castelli di Jesi e del Rosso Piceno, nel cuore delle Marche e più precisamente nel comune di Cingoli (Macerata), ha scelto il nuovo locale di Massimiliano Poggi a Trebbo di Reno (BO) per l’evento organizzato in collaborazione con Stefano Marchi, relativo alle selezioni di Verdicchio Misco e Misco Riserva, e al rosso piceno Libenter. Giulio Piazzini, enologo interno della cantina, ha presentato le diverse annate in degustazione, abbinate alle creazioni dello chef Max Poggi: “piatti di campagna” dall’animo semplice, rappresentativi di grandi materie prime e di tecniche attuali; preparazioni d’autore che parlano di territorio. (A.M.)
TUNISIA NUOVA PROTAGONISTA DEL MERCATO ENOLOGICO La Tunisia si sta affacciando sul mercato del vino. Una notizia che non sorprende più di tanto, visto che si tratta di un Paese musulmano tollerante e moderno, dotato di una tradizione enoica che affonda le radici nel suo passato romano. Si tratta di un’operazione appoggiata dal governo per cercare di rilanciare il turismo, dopo che i recenti attentati hanno generato nei visitatori occidentali timori e disdette. Molti produttori stanno infatti trasformando le loro aziende in centri turistici, in modo da abbinare vino, archeologia e spiagge per tornare ad essere competitivi. Oggi la Tunisia produce 32 milioni di bottiglie l’anno, per lo più destinate al mercato interno. L’obiettivo è di consolidare la produzione ed esportare il meglio nei paesi turisticamente più interessanti. (G.R.)
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ASSAGGIO DI
LIBRI a cura di Giorgia Zucchi
IL BAR DI SUCCESSO
THE DEVIL IN THE KITCHEN
Sono sempre più frequenti le aperture di bar in ogni città italiana e sempre più diffusa la tendenza a caratterizzarli sia a livello di arredamento, sia a livello di servizio. Diventa infatti riduttivo, oggi, definire bar un locale che, specializzandosi nell’offerta, offre comfort anche sul piano enogastronomico. Questo volumetto spiega infatti limiti ed evoluzione del bar, per affrontare con spirito imprenditoriale i cambiamenti del settore.
Marco Pierre White è stato definito Pinturicchio della cucina, profeta del gastro-punk, anarchico pazzoide, leggenda vivente. In questa sua autobiografia White racconta la sua vita dall’infanzia difficile all’adolescenza passata a Londra, fino al successo planetario e al ritiro dalle cucine avvenuto al culmine della carriera per arrivare, in un capitolo scritto appositamente per l’edizione italiana, fino a oggi. Con lo stile che gli è proprio, White descrive dettagliatamente la sua filosofia della cucina, il suo metodo creativo, l’organizzazione rigorosissima della sua brigata, la sua visione del cibo, della ristorazione, dei clienti, degli chef...
di Giuseppe Arditi - Manuali Franco Angeli - 104 pagine Euro 16,50
IL MARKETING DELLE CANTINE APERTE Il libro di Donatella Cinelli Colombini - presidente nazionale delle Donne del Vino e titolare delle cantine con organico interamente femminile Casato Prime Donne a Montalcino, dove produce Brunello, e Fattoria del Colle a Trequanda, dove imbottiglia Chianti e Orcia - contiene informazioni su come organizzare il punto vendita e le degustazioni turistiche, trovare agenzie che organizzano wine tour e proporsi in modo convincente. Spiega perché alcuni luoghi rimangano sempre nel cuore e nella mente dei visitatori e altri no e perché il linguaggio verbale e non verbale di chi li accompagna è determinante per ottenere il risultato positivo.
di Donatella Cinelli Colombini - Agra Editore 144 pagine - Euro 18,00
di Marco Pierre White - con la collaborazione di James Steen prefazione di Andrea Petrini - traduzione di Sara Reggiani Giunti Editore - 412 pagine - Euro 24,00
WINE PEOPLE Un vademecum, una guida pratica tanto per gli imprenditori del vino quanto per coloro che vogliono abbracciare questo settore e diventare ambasciatori del Made in Italy nel mondo, in grado di facilitare il dialogo tra domanda e offerta in un mercato che è stato chiuso troppo a lungo. Ogni anno un numero sempre maggiore di giovani professionisti accoglie la sfida che l’internazionalizzazione impone, che è quella di diventare manager della riconoscibilità nell’ambito della propria azienda.
di Lavinia Furlani e Andrea Pozzan - Absit Daily Srl 104 pagine - Euro 14,00
I SALUMI D’ITALIA 2017 Per elaborare questo volumetto, un panel di degustatori composto da sommelier professionisti, chef stellati, esperti norcini e critici gastronomici ha assaggiato centinaia di campioni, valutato per categoria e poi assegnato i tradizionali “spilli” d’osso di cavallo: due per i “salumidi di buona fattura” a cinque per le “eccellenze”. Sono state esaminate in tutto 63 tipologie di salumi, di cui 21 D.O.P., 19 I.G.P. e 23 salumi tradizionali con forti legami territoriali o di grande importanza per diffusione e consumo. In totale sono stati presi in esame 158 produttori per un totale di circa 3.000 schede di valutazione.
Le Guide de L’Espresso - 262 pagine
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Il buon gusto dell’abbonamento
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DES GOURMETS La famiglia dei Gourmets europei si è data una nuova dimensione per valorizzare
il piacere
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