La Madia Travelfood n. 316 - Aprile 2017

Page 1

Mensile Sped. In Abb. Post. - Gruppo III° - 45% - Art.2 Comma 20/B Legge 662/96 - Fil. Forlì - Tassa Pagata - Taxe Perçue - Reg. Trib. Di Forlì N.653 - Del 14/6/84 - Dir. Resp. Elsa Mazzolini - La Madia Srl - Via Pacchioni, 365 - Cesena - Euro 4,00 - In caso di mancato recapito restituire al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa

www.lamadia.com

Gelati Hot dog

STREETFOOD FENOMENO

MODA PASSEGGERA O SOLIDA REALTÀ?

Pizza

Panini

LA MADIA EDITORE

ANNO XXXII - Aprile 2017 - N. 316 - €E 4,00 - Direttore ELSA MAZZOLINI




SOMMARIO - LA MADIA TRAVELFOOD n. 316

GOURMETFOOD

di

Claudio Mollo

GOURMETFOOD

di

Giovanni Angelucci

pag. 36

pag. 42 TERRY GIACOMELLO

VILLA MAIELLA

La sua cucina avanguardista a Parma.

Cucina dei sentimenti tra le più emozionanti in Abruzzo.

TENDENZE

di

Alessandro Ricci

pag. 72

VINARIA

di

Gianluca Ricci

pag. 92

STREET FOOD

LA GUERRA DELLE BOLLICINE

Moda passeggera o solida realtà?

Si chiamerà Asti Secco il nuovo spumante che andrà a competere con il Prosecco.


Inchiesta

Sette Cucina Urbana........................................................ pag. 32

Tripadvisor: ristoratori e albergatori sul piede di guerra

GourmetFood

di Giovanni Mastropasqua............................................... pag. 8

I codici del gusto di Fabrizio Tesse

La cultura del benessere

di Alessandra Meldolesi................................................... pag. 46

Il tritacarne dell’informazione mediatica

Ristorante Unico a Milano................................................ pag. 53

di Primo Vercilli................................................................ pag. 10

Lo chef... il piatto

La scelta vegana

Pier Giorgio Parini............................................................. pag. 58

Alimentazione vegana nello sport

Silver Succi....................................................................... pag. 59

di Silvia Bianco................................................................. pag. 12

GourmetFood

Assaggi di Galateo

Mondo Perbellini

Un’arma pericolosa: il menù

di Daniele Briani............................................................... pag. 60

di Fabio Ferrantino........................................................... pag. 16

Chef di Spirito

Progettare l’impresa

I funghi cardoncelli

Nomi e descrizioni dei piatti

di Sonia Leo..................................................................... pag. 68

di Lorenzo Ferrari............................................................. pag. 18

TravelFood

Golavagando

Magica India

L’Hamburgeria di Eataly a Lucca...................................... pag. 22

di Luigi Di Fronzo............................................................. pag. 84

Masseria Coccaro

Vinaria

di Antonietta Mazzeo....................................................... pag. 24

Il focus di Alessandro Magnum

GolavagandOraviaggiando

Quanto costano i vini più cari e prezioni al mondo

Ristorante Antico Furlo

di Alessandro Rossi..................................................... pag. 88

di Alessia Pellegrini.......................................................... pag. 26

Anteprime vini

Golavagando

di Marco Tonelli............................................................... pag. 90

Ristorante La Ruota

Buone Nuove..................................................................... pag. 96

di Domenico Acconci....................................................... pag. 30

Lo chef... il piatto

Ristorante Ponte Giorgi

Enrico Crippa.................................................................... pag. 97

di Maria Chiara Zucchi..................................................... pag. 31



EDITORIALE di

Elsa Mazzolini

IL POTERE DELL’IGNORANZA Il problema non è Tripadvisor: lo dico ai numerosi ristoratori che mi hanno inviato le lettere di sedicenti agenzie che vendono recensioni positive, chiedendomi come difendersi in un sistema di web reputation chiaramente falsato. Il problema sta nel fatto che i social media danno “diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino”, per dirla alla Umberto Eco. Sarò antipatica, ma anche soltanto analizzando i concetti e il lessico primitivo dei contributori di Trip, risulta evidente come siano prevalentemente le fasce “meno competenti” a lasciare il proprio illuminato giudizio su questo sito. Un attimo di potere per sentirsi importanti! Però un conto è parlare di un piatto o di un ristorante sulla propria pagina Facebook, come molti fanno, un conto è incidere sulla pietra di Trip un commento che va a determinare la reputazione più o meno positiva di un ristorante. Perché Trip, come spiega l’articolo che pubblichiamo nella pagina seguente, gioca proprio soprattutto sulla grafomania degli imbecilli, dei concorrenti invidiosi, dei mitomani, dei malmostosi, dei vigliacchi, per creare un sistema di recensioni inaffidabili, incancellabili e molto consultate. In assenza di legislazione, è inutile sperare che il colosso della non trasparenza blocchi i milioni di anonimi che sproloquiano senza controllo. L’unica soluzione possibile è un’informazione autorevole fatta da contributori identificabili e credibili. E uffici legali da parte delle Associazioni di categoria per denunciare tutti i falsi di Trip. Trip non è intoccabile: le Guide professionali cartacee e web dovrebbero fare il proprio lavoro, ossia contrastarlo offrendo un servizio analogo, però basato su critiche certificate, controllo delle fonti, analisi dei testi forniti dai navigatori. Io, come direttore ed editore di un sistema consolidato di informazioni professionali, non ho mai apprezzato le parole in libertà di quattro amici al bar che pontificano sulla base del nulla. Per me Trip rimane un ecumenico social con scarsa credibilità, il buio confessionale di chiacchiere “di” e “per” perditempo.

ME 7


INCHIESTA

TRIPADVISOR

RISTORATORI E ALBERGATORI SUL PIEDE DI GUERRA di

Giovanni Mastropasqua - Direttore Oraviaggiando

Costruire o distruggere la reputazione di un ristorante o di un albergo oggi non è più solo una pericolosa pratica sleale consumata da utenti spesso poco preparati; da qualche anno a questa parte sono migliaia le agenzie – a contare solo quelle in Italia – che propongono quotidianamente “servizi” di promozione su Tripadvisor. Finora, purtroppo, sono risultati inutili tutti i tentativi di denuncia, sia individuale sia corale: il gattopardismo impera anche nel web nella sua nuova veste 2.0.

“ 8

Buongiorno, mi chiamo Mauro Lxxx e la contatto in merito alla sua azienda xxxxxxx; Stiamo proponendo a tutti gli hotel e ristoranti del territorio italiano ma non solo, un servizio efficace di promozione su Tripadvisor. Il servizio permette, investendo un basso budget, di aumentare la propria popolarità su Tripadvisor ottenendo più recensioni positive. Normalmente le strutture che usano questo servizio riescono anche a scalare la classifica e di conseguenza avere un aumento esponenziale del fatturato già dopo poco più di 2 o 3 settimane. Se vuole approfondire la questione la invito a chiamarmi dal Lunedi al Venerdi in orario di ufficio al numero 02.xxxxxx o a visitare il sito web”.


TRIPADVISOR

MOLTI DETRATTORI SÌ MA ANCHE MOLTI SOSTENITORI DEL PORTALE AMERICANO La casella di posta elettronica della redazione ormai non le contiene più le email degli amici ristoratori e albergatori che, inoltrandoci queste proposte a tutti gli effetti illegali, chiedono supporto affinché si possa metter fine, una volta per tutte, a questa deplorevole pratica. In assenza di normative specifiche e adeguatamente severe, il mercato delle recensioni prospera pericolosamente: intraprendenti agenzie di marketing offrono l’acquisto di pacchetti di recensioni, ovviamente ottime, con la promessa di agevolare la scalata delle classifiche e la conseguente migliore visibilità su siti che di questo mercato hanno fatto il loro odioso “core business”. Altri offrono la possibilità di far cancellare, dietro compenso, quelle negative. Le verifiche effettuate e le prove raccolte, hanno confermato il tutto.

Se è vero che sono in tanti gli imprenditori sul piede di guerra che denunciano costantemente la mancanza di un codice etico nella gestione delle recensioni, bisogna dire, per onor del vero, che sono tantissimi anche coloro che difendono con forza le ragioni del portale con sede in Massachusetts. Sono in molti, infatti, a sostenere la bontà e l’utilità del sistema. C’è chi sostiene che Tripadvisor “bisogna saperlo interpretare”, c’è chi si mette a sciorinare l’influenza che Tripadvisor ha sul turismo; altri ancora sostengono che il timore delle cattive recensioni abbia migliorato la qualità delle proposte. Probabilmente tutte considerazioni sacrosante, ma a quale prezzo? Qual è la linea di demarcazione tra libertà di opinione e offesa? Tra opinione personale e recensione ingannevole? Scrivere una recensione completamente inventata è di una facilità imbarazzante e quando questo avviene all’interno di un portale da 390 milioni di visitatori unici ogni mese, gli effetti possono essere devastanti. Il web offre strumenti a cui tutti possono accedere agevolmente. Siamo davvero certi che questi concorrano a creare una reale “fotografia” della struttura recensita? Il lato oscuro di Tripadvisor è, pertanto, l’anonimato e la mancanza di un controllo sul reale “consumo” dell’esperienza recensita. Insomma, tra tutti i siti che si avvalgono del “sistema” delle recensioni, da Google a Booking, da Trivago all’ultimo dei bottegai sulla piazza, Tripadvisor si distingue per inaffidabilità e lacunosità, evidenti e conclamate. Nell’attesa di vedere come si muoveranno le istituzioni e la politica a riguardo, possiamo iniziare a dare noi un voto a Tripadvisor. Facciamo due stelle?

9


LACULTURADELBENESSERE

a cura di

Primo Vercilli Medico Dietologo

IL TRITACARNE DELL’INFORMAZIONE MEDIATICA I PERSONAGGI PUBBLICI E LA LORO ATTENDIBILITÀ

Ebbene sì, mi ci trovo dentro e devo dire che non è sempre facile gestire la situazione. Essere ospitato in televisione offre indubbiamente i vantaggi della “visibilità” ma molto spesso obbliga a stare ai ritmi e alle caratteristiche della trasmissione, che non sempre permettono di poter dire fino in fondo come stanno le cose. Questa è certamente l’era della Nutrizione Mediatica, ma siamo veramente sicuri che questo porti dei benefici in termini di conoscenza e consapevolezza? Prima di parlare di un’esperienza diretta, faccio una premessa, citando alcuni esempi di Nutrizione Mediatica. Il primo è d’obbligo: il notissimo farmacista Alberico Lemme, ospite di Barbara D’Urso nel programma Domenica Live, che esprime pareri su diete e alimentazione in libertà. Il metodo inventato dal controverso farmacista, promette dimagrimenti notevoli in poco tempo. Le teorie sono talmente stravaganti, che per porre freno alla situazione imbarazzante, l’Ordine dei Farmacisti ha annunciato di voler intraprendere iniziative per verificare eventuali illeciti civili, penali e deontologici a carico del farmacista (eh sì, perché Lemme non è neanche un medico…). Un altro personaggio pubblico ospite di diversi programmi in televisione è il dott. Piero Mozzi, promotore della dieta del gruppo sanguigno, descritta molto bene nel suo libro classificato come best seller 2015 su Amazon. Mozzi sconsiglia, nella maggior parte dei casi, grano e latte, riportando strette connessioni tra l’assunzione di questi prodotti con l’Alzheimer e varie tipologie di tumori. Un altro personaggio molto apprezzato dal grande pubblico è l’epidemiologo Franco Berrino che, forte di un passato all’Istituto nazionale dei tumori di Milano, propone nelle conferenze e nel corso delle interviste le sue teorie sulla tossicità del latte

10

e della farina bianca (quest’ ultima definita come un “veleno” in grado di favorire diverse patologie come il diabete e persino tumori). Quest’ultimo concetto ribadito da Berrino è stato però vivacemente smentito dallo stesso Istituto nazionale dei tumori, che ha preso una posizione molto chiara e dura nei confronti di tali dichiarazioni. C’è da chiedersi se lo spazio in televisione dipende dalla validità (dimostrata) delle teorie sostenute o dalla loro stranezza! Ecco perché parlo di Nutrizione Mediatica. A proposito di questo, anche il modo di presentare e dare visibilità ai personaggi che vengono ospitati merita qualche considerazione. Interessante è il caso di Marco Bianchi ospite di un famoso programma televisivo, con all’attivo numerosi libri di ricette. A dispetto del titolo di “chef scienziato” assegnato a Bianchi in uno spot pubblicitario, il suo curriculum indica un diploma di maturità e un corso triennale di “tecnico di ricerca biochimica” presso l’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri. L’impiego presso la Fondazione Veronesi consiste invece nell’affiancare una biologa nutrizionista che tiene lezioni nelle scuole e in aziende. Basta dunque questo per presentarlo, come spesso viene fatto, come uno “scienziato” o un “esperto nutrizionista”? Che esperienza ha Bianchi in campo clinico? Nessuna. Eppure, nell’era della Nutrizione Mediatica quello che conta è, in primo luogo, il modo in cui uno appare o viene presentato. In secondo luogo la sua capacità di racchiudere in slogan dei concetti (il più delle volte sono slogan radicali e allarmanti, perché sono quelli che fanno maggiormente presa). In terzo luogo la stranezza (e non la scientificità) di questi concetti. Infine, per ultimo ma non in ordine di importanza, conta quanto si fa audience.


LACULTURADELBENESSERE

Vengo quindi a me, che, periodicamente, vengo chiamato come opinionista in televisione: eh sì, anch’io sono stato inglobato nell’universo della Nutrizione Mediatica. Non nascondo però la mia delusione di fronte a quest’esperienza (perché preferisco partire da un’onestà intellettuale, che, mi auguro, continui a sostenermi), in quanto mai, in alcuna puntata in cui sono stato chiamato, ho avuto la possibilità vera di esprimere un’opinione. Tutto è dettato dai ritmi (frenetici) della trasmissione e da una “non” idea su quello che un vero servizio pubblico dovrebbe offrire: attualmente la televisione è un contenitore di argomenti per fare audience e tener vivo l’interesse di chi guarda, ma non è una televisione di contenuti. Mi sono (ahimè) ritrovato a parlar di bilance “pesa alimenti”, io che, nel mio metodo, non consiglio di pesare il cibo, ma di continuare a gestirlo secondo le proprie quantità. E quando ho fatto presente agli autori che non ero molto d’accordo sulla proposizione di quello strumento, mi sono sentito dire che non potevano cancellare la domanda (poco male) e, comunque, si aspettavano da me una risposta conciliante (!). A quel punto ho pensato “va bene, spiegherò a chi ci ascolta i pro e i contro del pesare gli alimenti, magari avrò finalmente la possibilità di dare una informazione chiara su quali sono i casi (pochi) in cui va utilizzata una bilancia pesa-alimenti e i casi (molti) in cui non è assolutamente necessario”. E’ iniziata la trasmissione… Sapete quanti secondi ho avuto a disposizione per rispondere a quella domanda? Meno di venti secondi… E poi siamo passati alla domanda successiva. Utilizzo questo fantastico spazio della Madia, che da anni ho a disposizione, per dire che non mi arrendo: finire nel tritacarne della Nutrizione Mediatica non vuol dire essere spacciati, essere diventati i Lemme, i Mozzi o i divi-nutrizionisti di turno; vuol dire solo essere ancora più consapevoli che la battaglia per una informazione completa, libera, ma, al tempo stesso obiettiva (e non soggettiva) continua. Continuerà attraverso queste pagine, ma, d’ora in avanti, anche all’interno di quegli spazi che fanno finta di darti spazio solo per dare spazio a ciò che vogliono loro…


LA SCELTA VEGANA

a cura di

Silvia Bianco testimonial di cucina vegana

ALIMENTAZIONE VEGANA NELLO SPORT È POSSIBILE E DÀ UNA MARCIA IN PIÙ

Adottare un’alimentazione 100% vegetale è la scelta ottimale per chi pratica sport sia a livello amatoriale, sia ad alto livello agonistico. Lo sportivo che si nutre di cereali integrali, legumi, verdura, frutta, frutta secca e disidratata, nutre il proprio corpo con un’alimentazione ricca di sostanze nutritive, da cui può trarre benefici da non sottovalutare. Sappiamo che l’attività fisica, soprattutto quando praticata in maniera intensiva, può portare a dei cali nell’efficienza del sistema immunitario, ad esempio molti atleti sono soggetti a problematiche del sistema respiratorio oppure delle articolazioni. I grassi, i cibi raffinati e poveri vanno a peggiorare la situazione, mentre una dieta vegetale ricca di vitamine ed antiossidanti può aumentare l’efficienza del sistema immunitario e diminuire lo stress ossidativo legato all’attività sportiva ed inoltre può coadiuvare e velocizzare il recupero post-allenamento. Tra i migliori antiossidanti vegetali a nostra disposizione abbiamo tutta la frutta in bacche (ribes nero, mirtilli, lamponi, more, fragole), gli ortaggi come carciofi, peperoni, pomodori (anche secchi), verdure a foglia verde come il cavolo nero, frutta secca come sesamo, mandorle e pistacchi. In ambito scientifico, la recente posizione dell’Academy of Nutrition and Dietetics (Dicembre 2016)una delle più autorevole associa-

12

zioni di nutrizionisti non vegetariani al mondo, si è dichiarata ancora una volta favorevole all’alimentazione a base vegetale per tutti, sportivi e non. L’associazione si è ufficialmente espressa con queste parole: “E’ posizione dell’Academy of Nutrition and Dietetics che le diete vegetariane correttamente pianificate, comprese le diete totalmente vegetariane o vegane, sono salutari, nutrizionalmente adeguate, e possono apportare benefici per la salute nella prevenzione e nel trattamento di alcune patologie. Queste diete sono adatte in tutti gli stadi del ciclo vitale, inclusi la gravidanza, l’allattamento, la prima e la seconda infanzia, l’adolescenza, l’età adulta, per gli anziani e per gli atleti.” L’associazione conferma inoltre la maggior sostenibilità ambientale delle diete a base vegetale: “...Le diete a base vegetale sono maggiormente sostenibili a livello ambientale rispetto alle diete ricche di prodotti di origine animale, in quanto utilizzano quantità inferiori di risorse naturali e sono associate ad un minor danno ambientale.[…] Le diete vegetariane, comprese le diete vegane, in genere soddisfano - o addirittura superano - la quota di proteine raccomandata se il fabbisogno calorico è rispettato […] Le proteine provenienti da una varietà di alimenti vegetali consumati nel corso della giornata apportano quantità sufficienti


LASCELTAVEGANA

di tutti gli aminoacidi indispensabili (essenziali) […]. L’uso regolare di legumi e prodotti derivati dalla soia è in grado di garantire un apporto proteico adeguato per i vegetariani, oltre a fornire altri nutrienti essenziali […]. Una dieta vegetariana bilanciata soddisfa il fabbisogno proteico a tutte le età, anche negli atleti.[…] (Si precisa che nell’estratto il termine “vegetariano” è utilizzato per comprendere tutte le varianti: latto-ovo-vegetariane e vegane). […] Le diete vegane, latto-vegetariane e latto-ovo-vegetariane correttamente pianificate sono appropriate, soddisfano le esigenze nutrizionali e promuovono una crescita normale in tutte le fasi del ciclo vitale, compresi la gravidanza e l’allattamento, la prima e la seconda infanzia, l’adolescenza, l’età adulta, l’età anziana, e sono adeguate anche per gli atleti […]

Per salutare la primavera, proponiamo questa colorata insalata “Il giardino che non c’era”, proposta dallo Chef Max Noacco e che potete gustare “Al Tiglio cucina naturale” via Centa 8/A Moruzzo (UD) Ristorante vegan situato su di una collina con un panorama che si estende fino al mare, che offre piatti stagionali, innovativi, freschi e colorati con ingredienti biologici e a km zero.

IL GIARDINO CHE NON C’ERA INGREDIENTI

SPORTIVI VEGANI FAMOSI E LA LORO DIETA

Valeriana, funghi champignons, lamponi, mirtilli, pinoli, ro-

Moltissimi sono gli atleti di fama internazionale le cui capacità atletiche e forma fisica hanno registrato positivi miglioramenti dopo il passaggio ad un’alimentazione vegana. Vediamone alcuni. Patrik Baboumian, di origini iraniane e trasferitosi in Germania all’età di 7 anni, già atleta di pesistica è diventato vegetariano nel 2005. Nel 2011, vinse il titolo tedesco di uomo più forte del mondo e subito dopo divenne vegano per motivazioni principalmente etiche. La sua alimentazione tipo predilige come proteine: latte di soia, proteine vegetali in polvere, tofu, noci varie e legumi; mentre come carboidrati assume riso, patate, avena, frutta e verdure in generale assunte anche come frullati, che permettono di assumere più calorie senza appesantire. Dal momento in cui Patrick è diventato vegan ha vinto ancora numerosi altri titoli e riconoscimenti tra cui, per citarne alcuni, nel 2013 a Toronto ha stabilito il Guinness mondiale per aver sollevato 550Kg trasportandoli per 10mt, mentre nel 2015 ha battuto il suo record spostando 560Kg in soli 28 secondi. Carl Lewis, il più grande velocista dell’era moderna. La sua carriera iniziò nel 1981 e nel 1990, Lewis decise di diventare vegano. Un anno dopo, nel 1991, Lewis stabilì il record mondiale dei 100 metri in 9.86 secondi. Carl Lewis dichiarò che l’anno migliore nelle competizioni fu proprio quello in cui era passato ad una dieta vegan e che uno sportivo non ha bisogno di proteine animali per essere un atleta di successo. Il suo migliore carburante? Lenticchie, fagioli ed estratti di frutta e verdura freschi! Venus e Serena Williams le sorelle tenniste più conosciute al mondo per la loro potenza ed atletica. Nel 2011 dopo una stagione di infortuni e ritiri dalle partite, Venus annuncia pubblicamente di soffrire della sindrome di Sjögren, una malattia autoimmune molto debilitante che causa eccessiva stanchezza,

e tagliare a metà i funghi, e lasciarli a marinare per una notte

smarino essiccato, salsa di datteri.

Per la marinatura dei funghi champignons: lavare con cura in salsa di soia, succo di limone, aglio e lievito alimentare (si può allungare un po’ il liquido con l’acqua).

Per la salsa di datteri: g. 140 di sciroppo concentrato di dat-

teri, g. 70 di succo di limone, g. 150 di olio evo, g. 150 di olio di girasole/mais.

Frullare lo sciroppo e il succo di limone con il minipimer, aggiungere gli oli a filo sempre lavorando.

Assemblare l’insalata creando un abbondante nido di vale-

riana in un piatto fondo, porre al centro tre metà di champignons marinati e spargere i frutti rossi e i pinoli, formare delle grosse gocce con la salsa e guarnire con il rosmarino. Condire con un buon olio evo e servire.

13


LA SCELTA VEGANA

dolore alle articolazioni, ai muscoli, secchezza oculare e della bocca, bronchiti croniche, problemi all’apparato digerente e tanto altro ancora. Tutto ciò la stava portando a rinunciare alla sua carriera di tennista. Su consiglio medico, Venus inizio un’alimentazione 100% vegetale e crudista (i cibi vengono preparati senza superare i 42°C) traendone da subito i benefici, migliorando notevolmente le sue abilità atletiche e la sua condizione di salute, sebbene la sua malattia non potrà mai regredire del tutto. La dieta vegan l’ha “rimessa in piedi” ed è così tornata a giocare ed in segno di vicinanza, anche la sorella Serena ha scelto nel 2012 di diventare vegan e ciò l’ha aiutata a vincere per ben 3 volte gli US Open. La dieta delle sorelle Williams prevede succhi ed estratti a base di erba di grano, frutta e verdura biologici ed ogni tanto si concedono cereali, pasta o pane integrali prima di una gara. Il piatto preferito delle due sorelle Williams è una pizza crudista con una base di anacardi ed aromi, una salsa di pomodorini e pomodori essiccati condita con un formaggio crudista a base di crema di sesamo, lievito alimentare, spezie ed aromi. David Carter, giocatore di football americano con ruolo di “defensive end” nella National Football League (NFL), è un atleta dalla struttura imponente e molto forte che ha sempre ingerito quantità industriali di carne, perché, gli spiegarono: “Più carne mangi, più sarai grosso ed inattaccabile”, uno dei primari obiettivi per i difensori di ruolo nel football americano. Già all’età di 25 anni però David iniziò a curarsi per problemi di pressione alta e neuropatie varie agli arti. Dopo aver visto il documentario sui diritti per gli animali “Forks over Knives” decise di diventare vegan, intenzionato anche a migliorare le sue condizioni fisiche. Fu così che nel 2014 eliminò la carne, per nutrirsi di legumi come fagioli, lenticchie, piselli ed arachidi, quinoa, banane e verdura. Vediamo come si alimenta David in una giornata tipo:

14

- Colazione energetica con un frullato a base di banana, polvere di carrube, datteri, burro d’arachidi e latte di canapa, guarnito con cubetti di banana, cocco essiccato, semi di sesamo e arachidi croccanti; - Pranzo a base di carboidrati e grassi buoni con tortillas di mais ripiene di lenticchie verdi piccanti, guarnite con salsa di avocado, pomodori e coriandolo; - Cena: fagiolata alla texana super piccante e ricca di proteine; - Snack a scelta tra edamame al vapore, fettine di mela con burro di mandorle o ananas con semi di zucca; - l’aperitivo preferito da David? I nachos con cous cous, fagioli e “formaggio” di anacardi. I risultati di questo cambio di alimentazione non tardarono ad arrivare per David che, nel giro di pochi mesi, sentì più energia, i suoi tempi di recupero post allenamento si abbreviarono ed ebbe più forza arrivando a sollevare 210Kg in panca piana. Inoltre tutte le infiammazioni, tendiniti, neuropatie e fatica muscolare cronica diventarono per lui solo un ricordo. Niente male! L’elenco degli sportivi vegan è ancora lungo, vorrei dedicare però una nota conclusiva ad un atleta non vegan, ma vegetariano, un grande sportivo subacqueo ed amante dei mari scomparso il 13 Novembre 2016 all’età di 85 anni: Enzo Maiorca. Classe 1931, siracusano, più volte protagonista di record mondiali di apnea subacquea, stabilendo il suo primo record dei -45mt nel 1960 e proseguendo la sua attività sportiva collezionando titoli sino al 1976, anno in cui cessa la sua carriera agonistica. Nel 1988, in onore delle proprie figlie Patrizia e Rossana (entrambe celebri nel mondo per aver vinto titoli internazionali d’immersione in apnea) ha battuto ogni record mondiale raggiungendo i -101mt. Enzo Maiorca cresce con la passione per la pesca subacquea fino a quando, un giorno, s’immerse per dare la caccia a una grossa cernia, che si rifugiò in un antro sottomarino: egli pensò quindi di averla in trappola e cercò di afferrarla con le mani, ma proprio in quel momento toccandola sentì il battito impazzito ed impaurito del cuore del grande pesce. Maiorca sentì che stava per uccidere un altro essere vivente e desistette dall’ucciderla. Da quel momento (1967) diventò vegetariano dedicando la propria vita alla salvaguardia dell’ambiente marino, diffondendo i valori della cultura e del rispetto per il mare e tutti i suoi abitanti, diventando nel 2013, insieme alla figlia Patrizia, membro del Consiglio dei Saggi di SEA SHEPHERD, organizzazione internazionale senza fini di lucro, impegnata a fermare la distruzione dell’habitat naturale e il massacro delle specie selvatiche negli oceani del mondo intero, al fine di conservare e proteggere l’ecosistema e le differenti specie (www.seashepherd. com). Per ulteriori informazioni su come impostare un’alimentazione vegan negli sportivi è possibile consultare l’opuscolo della Dott.ssa Denise Filippin, sul sito di AgireOra Edizioni, redazione a cura di Società Scientifica di Nutrizione Vegetariana – SSNV.



Gala teo ASSAGGI DI

a cura di

Fabio Ferrantino Docente di Galateo presso Bon Ton Academy Professore di Enogastronomia IPSSAR Piobbico

UN’ARMA PERICOLOSA: IL MENÙ QUANDO I PIATTI NON SONO TUTTO

A metà Ottocento, con l’affermarsi del servizio “alla russa” tipico della società borghese, si diffuse l’abitudine di far trovare accanto al posto a tavola di ogni commensale un cartoncino scritto a mano o stampato con la lista delle portate che sarebbero state servite. È in quest’epoca che in Italia si iniziò ad usare la parola «Menù». Si deve tuttavia notare che fino alla fine dell’Ottocento tutto il menù era abitualmente scritto in francese, lingua utilizzata ai tempi dalla diplomazia. Man mano il menù è diventato uno degli strumenti cartacei di vendita più importanti al mondo. In un ristorante definisce un concetto, un’identità e, cosa ancora più importante, ha il ruolo della comunicazione. Quando si parla di menù, quasi spesso si parla di piatti. Sin dalla scuola alberghiera, quando si affronta tale argomento, si discute di stagionalità, territorio, attrezzature, piatti cosiddetti ever green o della tradizione, soffermandosi sulle richieste della clientela. Tutti concetti molto importanti inerenti alla materia del menù engineering e quindi della vendita. Vendere! È ormai la parola d’ordine, e come biasimare chi ha la capacità di farlo. D’altronde, soprattutto in questo periodo di gioco al ribasso, è fondamentale una politica attenta all’incremento delle vendite. I fattori che incidono nella vendita sono tanti ed essendo il menù

16

il primo strumento che si maneggia appena seduti al tavolo di un ristorante, assume un’importanza fondamentale la sua presentazione, prima ancora del contenuto. Statisticamente il cliente focalizza la sua attenzione sul menù appena consegnato in circa 3 minuti: in questo lasso di tempo ci si gioca tutto. L’accurato aspetto estetico, la pulizia e una buona descrizione di quello che facciamo, oltre ciò che proponiamo, è indispensabile. Nel menù la clientela deve ritrovare tutto lo stile che ha osservato e respirato dall’entrata fino al proprio tavolo. Uno dei concetti più importanti, quando si redige il menù, è la coerenza fra la nostra carta delle vivande e la tipologia di ristorante. Stride trovare un menù in carta a mo’ di tovaglietta americana in un bistrot di un hotel a cinque stelle; per quanto la tipologia di snack bar possa essere meno formale, questa tipologia di menù non è consona alla clientela che frequenta un hotel di categoria. La pulizia è tutto. Un menù, anche se leggermente sporco, offre una pessima immagine del servizio reso. Se qualcosa è sporco in sala, sarà sporco anche in cucina, e se lo è il menù che viene consegnato nelle mani del cliente, lo sarà anche il piatto a livello di percezione psicologica. Dunque, prima di ogni servizio è ottima norma controllare che ogni carta sia perfetta, è perciò importante avere un margine di menù stampati in eccedenza per


ASSAGGIDIGALATEO

sostituire quelli che si sporcano durante il servizio. Una carta non deve essere mai dalle dimensioni troppo grandi, capace di intralciare la vista fra i commensali. Per evitare che ciò accada è meglio utilizzare più pagine di dimensioni ridotte, anche se in linea di massima la tendenza è di sviluppare una lista delle vivande non troppo vasta, per non creare confusione nella mente del cliente. Da qui la regola aurea secondo la quale il menù dovrebbe stare in due pagine, che il cliente vede contemporaneamente, una a destra e una a sinistra. Lista dei dessert a parte. Il desiderio di non ostacolare le scelte della clientela ha determinato anche la nascita dei menù degustazione: una lista di piatti fissa, capace di esprime appieno tutta l’anima culinaria di quella realtà ristorativa. A livello grafico è meglio utilizzare uno sfondo bianco con un carattere ben leggibile di colore scuro. Anche nei menù più informali è comunque importante non affollare troppo lo spazio a disposizione in modo da rendere fluida la lettura da parte del cliente. Non esagerate con le foto: la fotografia di cibi e pietanze richiede l’intervento di professionisti del settore, per cui è preferibile fare un uso più creativo della grafica invece che utilizzare fotografie che nella maggior parte dei casi possono rivelarsi inadeguate e poco invitanti in quanto scattate in maniera amatoriale. Il menù deve attrarre il cliente!

Se si lavora in un contesto all’aperto, come nel caso di location a pochi metri dal mare, è meglio adottare dei fogli leggermente ricoperti da una patina plastificata o in materiali come il forex che sono lavabili e resistenti alle intemperie e all’umidità. Per progettare un menù sono fondamentali degli incontri fra direttore, F&B manager, chef, maître, sommelier ed economo. Non sempre esistono tutte queste figure, in base alla tipologia della struttura e alla sua ampiezza, ma ogni rappresentante dei reparti ristorativi può apportare delle idee utili nella creazione dell’offerta gastronomica e della sua relativa rappresentazione grafica e visiva. Nella redazione è opportuno non scegliere mai nomi molto lunghi per i piatti, accennando solo agli elementi principali. È opportuno non ripetere gli stessi ingredienti più volte all’interno di un menù fisso, a meno che non sia per un pranzo o una cena a tema. Ancora, purtroppo, in alcuni ristoranti con una mentalità un po’ vintage, ma non per questo corretta, vi sono in carta alcuni piatti scritti al singolare se pur serviti al plurale, quindi mai scrivere dei termini inadeguati come “tagliatellina” o “spaghettino”. Il prezzo, gli alimenti congelati o i cibi adatti a chi ha intolleranze o allergie vanno segnalati. Le regole per presentare bene un menù non sono poi così tante: pulizia, praticità, coerenza e semplicità. E se si ha una bella grafia, perché non scrivere almeno il menù del giorno a mano? Sarebbe un tocco di vera eleganza.

17


PROGETTARE L’IMPRESA

a cura di

Lorenzo Ferrari Direttore Marketing di RistoratoreTop

NOMI E DESCRIZIONI DEI PIATTI QUALE LA PRESENTAZIONE PIÙ ADATTA?

Il nome e la descrizione di un piatto contano. Sono fattori determinanti sulla scelta del cliente, quindi sugli incassi di qualsiasi attività legata al food. Alla MENUENGINE ci occupiamo da tempo di ricercare le soluzioni migliori, più persuasive e più accattivanti per scrivere nomi e descrizioni dei piatti, delle bottiglie, di cocktail o di qualsiasi oggetto si possa inserire su di un menù. Spesso, chi scrive le descrizioni tende a stilare delle descrizioni troppo “tecniche”. Questo è un errore particolarmente frequente nelle carte dei vini, delle birre o nei menù particolarmente elaborati. Una descrizione troppo tecnica, troppo complessa o troppo criptica è da considerarsi un errore, a meno che il target principale di clientela non siano esperti di settore, gourmand, professionisti o altri addetti ai lavori. In particolare, per mostrare la veridicità di ciò, chi scrive vuole portare un esempio che ha aiutato tanti suoi clienti a capire la maniera corretta di descrivere i loro piatti, evitando errori

18

grossolani. Qualche tempo fa mi sono imbattuto in un video, realizzato da una nota marca di Rhum, che raccontava di un test fatto all’interno di un loro locale. Il test in oggetto era palesemente finto, e i partecipanti allo stesso erano attori, ma le conclusioni erano e rimangono validissime, e sono state confermate da alcuni test del tutto simili realizzati da me. Tuttavia, invito chi legge a non fidarsi, e invito a provare a fare la stessa cosa nel proprio locale. Nel video in questione il bartender proponeva ai clienti del proprio locale due rhum differenti, con le etichette coperte, che chiameremo per comodità narrativa “Rhum A” e “Rhum B”. Faceva assaggiare ai clienti del bar i due rhum, prima lisci poi miscelati in un cocktail. Stessa esecuzione, stessi cocktail, stesse “condizioni al contorno”. Cambiava solamente il modo in cui descriveva i drink mentre li serviva.


PROGETTAREL’IMPRESA

Mentre versava il Rhum A il bartender parlava di caratteristiche tecniche, di profumi, di sapori, di tecnicismi e, in generale, forniva informazioni per veri intenditori. Una descrizione del tipo: “Questo Rhum è per veri intenditori. Perfetto liscio oppure nei cocktail jamaicani, come il Jamaica Mule o il Jamaican Punch. Un sapore molto interessante, gusto ricco, fruttato. Proviene da un mix di 15 rhum diversi. Assaggiandolo sentirete gli agrumi, la pesca, l’albicocca. E poi il legno. Perché viene invecchiato in botti di quercia.” Nel caso del Rhum B invece raccontava esclusivamente la storia associata al prodotto, senza scendere nei dettagli tecnici, condendo il tutto con qualche aneddoto memorabile e alla portata di tutti. Niente tecnicismi, pura e semplice narrazione. “Questo Rhum è davvero speciale. Unico. Tra i più antichi al mondo. La sua storia inizia con i primi mercanti arrivati in Jamaica dall’Inghilterra. Era così prezioso che, dopo aver strappato l’isola alla Spagna, gli inglesi hanno deciso di produrlo nella zona più fertile della Jamaica. Dal 1949 il segreto è passato di padre in figlio, fino ad arrivare nelle mani del produttore attuale. Da allora il gusto non è mai cambiato.” Poi, dopo gli assaggi, chiedeva ai vari “assaggiatori” quale dei due rum avesse incontrato maggiormente le loro preferenze. Il Rhum B (quello descritto raccontandone la storia) vinse a mani basse, con più del triplo delle preferenze rispetto al Rhum A (quello descritto a suon di caratteristiche e tecnicismi). L’aspetto più interessante dell’esperimento fu lo scoprire che, svelando le due etichette nascoste, il Rhum A e il Rhum B erano in realtà LO STESSO rhum, versati dalle stesse identiche bottiglie. La conclusione è la stessa della tesi che io porto avanti da anni: quando si parla dei propri prodotti, quando li si descrive nel proprio materiale di marketing, nel proprio menù, sul proprio sito web, ovunque, occorre porre maggiore enfasi sulla storia ad essi associata. Dobbiamo sforzarci di metterci nei panni dei nostri clienti, non tutti educati e formati alla materia come lo siamo noi, e lasciar perdere i tecnicismi, le caratteristiche tecniche e le informazioni da “insider”. Le potremo riutilizzare durante conversazioni specialistiche, convegni o, in generale, in ambienti adatti Queste informazioni infatti, oltre a risultare fumose e indefinite, oltre a confondere il cliente e a ricordargli quanto ignorante sia in materia, non sembrano interessargli più di tanto. E per questo non dovrebbero interessare nemmeno il nostro menù.




GOLAVAGANDO

L’HAMBURGERIA DI EATALY - Via Fillungo, 90 - Lucca

Studio design e progettazione - Costa Group - Arch. Flaviana Rimondi

DESIGN E CUCINA PERFETTAMENTE INTEGRATI A

L’HAMBURGHERIA DI EATALY A LUCCA

Centinaia di persone all’apertura de L’Hamburgheria di Eataly a Lucca, brand nato in casa Eataly e già presente in diverse città italiane. Il locale sorge in Via Fillungo 90, la via principale della cittadina, punto nevralgico della movida giovanile, nella quale si concentrano negozi e botteghe in stile retrò, per soddisfare anche le esigenze dei meno giovani. Costa Group ha firmato il disegno e realizzato gli arredi con sapiente maestria, conferendo al locale un’atmosfera contemporanea impreziosita da elementi del passato, recuperati

22


e integrati in modo ottimale. Tra i particolari spicca il bancone realizzato in ferro lavorato a mano e in mattoni cotti, ottenuti dalla lavorazione di una fornace sopravvissuta al tempo. Finiture e oggetti vintage fanno sì che il tutto sia all’altezza della qualità gastronomica Eataly, riconosciuta e affermata, ormai da tempo, a livello mondiale. Il design si integra in modo sublime con la proposta culinaria: una cucina che si fonda su prodotti dei presidi Slow Food, ingredienti biologici e lavorazioni artigianali, per consumare un pasto senza fretta a prezzi sostenibili, ma allo stesso tempo di ottima qualità. Arredo innovativo e cura dei particolari contraddistinguono l’azienda Costa Group che, ancora una volta insieme al marchio Eataly, si fa portabandiera del made in Italy.

23


GOLAVAGANDO

DOLCE VITA IN PUGLIA!

MASSERIA TORRE COCCARO Contrada Coccaro, 8

MASSERIA COCCARO

72015 Savelletri di Fasano (BR)

UN’ANTICA MASSERIA, UN AMBIENTE ELEGANTE, IN CUI IL PASSATO RIVIVE IN OGNI DETTAGLIO

www.masseriatorrecoccaro.com

di

info@masseriatorrecoccaro.com

Antonietta Mazzeo

Torre Coccaro è una masseria nei pressi di Savelletri, un piccolo borgo di pescatori a metà strada tra Bari e Brindisi, posto in una vasta tenuta a pochi passi dal mare e le cui origini risalgono al XVI secolo. Circondata dagli ulivi millenari della piana di Fasano e da coltivazioni di mandorli e carrubi, questa torre, un tempo luogo di difesa, costruita dai Cavalieri di Malta contro le scorribande dei Saraceni, ora è un elegante resort a 5 stelle che conserva intatta la capacità di godere dei piaceri semplici e raffinati della vita agreste. La torre di avvistamento conserva ancora l’antica colombaia usata per inviare i messaggi con i piccioni viaggiatori. Nel cortile si trova un’antica cappella risalente al 1730, tuttora consacrata, dove le genti del vicino borgo di pescatori di Savelletri si recavano in processione per onorare i Santi protettori della zona. La masseria era abbandonata dal 1930; la ristrutturazione ha consentito il recupero di tutti gli spazi originali conferendo destinazioni diverse e ripristinando quelle originali. Quella che una volta era una tufara - la cava dove venivano tagliati i tufi per costruire la masseria - oggi è diventata l’orto giardino, dove i clienti possono raccogliere le verdure e la frutta insieme agli chef, ed ammirare, da

24

Tel +39 080 4829310

Fax ++39 080 4827992

sotto il portico, gli ingegnosi metodi dell’antica irrigazione per caduta. Nei sotterranei le antiche grotte naturali che ospitavano le stalle delle pecore e il frantoio con il grande caminetto ipogeo, sono state adibite a sale riservate per riunioni, eventi e matrimoni. La filosofia è stata quella del recupero di pezzi e materiali locali, che avessero una loro “storia”; arredi artigianali e oggetti d’arte sono stati scelti in funzione della presenza di materiali naturali quali la pietra, il legno, il lino, il cotone, la seta, per offrire al cliente un’atmosfera rilassata e far scoprire


GOLAVAGANDO

la cultura pugliese. Le antiche stanze dove dormivano le operaie della masseria, arredate con mobili antichi e corredate da bellissimi caminetti, sono state adibite a sale per degustazioni di vini ed oli, presentazione di libri e progetti audiovisivi. I fienili del 1900 sono stati trasformati in sale d’ascolto per la musica, attrezzate con strumenti musicali e giradischi con vinili ad uso degli ospiti. Le suite e le camere, inserite in un contesto naturalistico di rara bellezza, sono dotate di ogni comfort e sposano eleganza e rusticità. In un’antica grotta bianca sorge una suite speciale con piscina privata riscaldata, mentre dalle suite nell’antica torre fortificata si può ammirare il mare e la distesa di ulivi secolari. Per godersi lo splendido tratto di mare si può andare alla vicina spiaggia privata con ristorante gourmet, lounge bar, area massaggi, un oyster bar, barca privata per escursioni e pesca, kart, clay pigeon shooting a 5 km. L’Aveda Spa di Masseria Coccaro, con la sua romantica piscina ricavata all’interno

delle grotte naturali e con i suoi trattamenti specifici a base di prodotti naturali offerti dalla tenuta, regala momenti di puro benessere e relax. Le attività di Yoga, Pilates e Taichi, praticate con maestri esperti tra gli ulivi secolari o sulla lunga spiaggia sabbiosa, risvegliano la mente e il corpo Masseria Coccaro offre una scelta di 4 ristoranti: Ristorante Egnathia, cucina tipica pugliese, Ristorante le Palme di Masseria Maizza, cucina pugliese creativa, Ristorante Cabana a bordo piscina piatti freschi del territorio, Ristorante del Coccaro Beach Club, specialità di pesce e pizza. Le preparazioni conservano le tipicità del territorio e seguono le stagioni con i frutti dell’azienda agricola e del mare salentino. Torre Coccaro è stata votata tra i 100 alberghi più romantici al mondo dalla prestigiosa guida Mr & Mrs Smith.

25


GOLAVAGANDO

RISTORANTE

ANTICO FURLO

AD ACQUALAGNA, DOVE IL CIBO È ECCELLENTE E LA STORIA IMPORTANTE Alessia Pellegrini Giovanni Mastropasqua

di foto di

Lungo il tracciato originario della via Flaminia, nel tratto costeggiato e modellato dal fiume Candigliano nella provincia di Pesaro Urbino, si trova il ristorante Antico Furlo di Acqualagna. Un paesaggio silenzioso, quasi fuori dal tempo, uno di quei luoghi nei quali un viaggiatore spera di perdersi per ritrovarsi. Alberto Melagrana - chef e titolare della struttura ricettiva insieme a sua moglie Roberta e ai figli Giorgia e Andrea - qui ha trovato il suo “habitat” perfetto; un luogo a stretto contatto con la natura nel quale esprimere tutto il suo talento e tutta la sua esperienza. In questo ristorante ci sono la grazia e l’eleganza dei più grandi ristoranti d’Italia, ma soprattutto una cucina rispettosa delle materie prime utilizzate oltre che preparazioni e cotture che puntano a lasciare il sapore autentico dei prodotti. Qui il cibo è capito, curato e vezzeggiato, qui gli ospiti possono sentirsi a casa, davvero.

LA STORIA Un’origine che si perde nel tempo, una di quelle storie nelle quali il piccolo si intreccia al grande corso della Storia, quella con la esse maiuscola, quella che si legge nei libri di scuola. Alberto Melagrana, titolare del locale, infatti, lo sfoglia pagina a pagina. Parla, si ferma e mette un punto. Poi ricomincia, tutto d’un fiato. Non è necessario, quasi, fare domande, ché le risposte vengono da sé, una ad una.

Alberto ha 63 anni e la passione per la cucina gli è stata passata, come un testimone in corsa, da sua madre, cuoca e titolare del ristorante “Il Biroccio”, tra Fano e Pesaro. Frequenta la Scuola Alberghiera di Pesaro e, diplomato, segue il naturale corso della gavetta con le stagioni negli alberghi di tutta la riviera. Trascorre lunghi periodi all’estero, Francia, Inghilterra, Germania, Svizzera. Sceglie di tornare e restare in Italia perché sua madre s’ammala e muore precocemente. All’Albergo Ristorante Furlo arriva nel 1989 e lo apre il 4 gennaio 1990. La storia è fatta di eventi e di date che restano fisse nella memoria. Il locale esisteva dal lontano 1825, camere e cucina di trattoria per i viaggiatori dall’Adriatico al Tirreno e viceversa, e per tutti quelli che da Venezia erano costretti dalla viabilità del tempo a percorrere quella strada. Il locale apparteneva alla Famiglia Candiracci che, durante il periodo fascista, aveva ospitato ben 57 volte, con una camera a lui riservata, Benito Mussolini. Il duce, infatti, era solito sostare e mangiare qui duranti i viaggi a Predap-

XXXXX

xxxxxxxxxxx xxxxxxxxxxx

26


GOLAVAGANDO

XXXXX

pio e a Riccione, dove aveva casa al mare, e nei suoi spostamenti verso il Nord Italia. Alberto, nel 1990, eredita dunque un reperto storico di notevole interesse, ma il locale è piuttosto dimesso e trascurato, abitato da studenti universitari che pagano la stanza in cui dormono facendo i camerieri nel ristorante. Il suo progetto di cucina è semplice: in tempi in cui la cucina si dà etichette altisonanti, Alberto ha l’obiettivo di fare “una buona cucina” che rispetti il valore e le proprietà di una materia prima eccellente, selezionata con cura dopo attente ricerche. Si avvale delle moderne tecniche di preparazione e cottura, ma rifiuta ogni manipolazione superflua a favore di un rispetto quasi sacrale per i prodotti. Ciò che vuole è lasciare, attraverso preparazioni e cotture adeguate, che i prodotti esprimano se stessi nella loro genuinità e nel loro sapore autentico. “Il cibo – mi dice – deve essere conosciuto, capito, curato e vezzeggiato. Solo dopo tutto questo può essere presentato”. Se questa è la premessa, ne viene come naturale conseguenza che l’acquisto è il risul-

tato di lunghe ricerche ed assaggi per valutarne l’adeguatezza. Il pesce fresco viene acquistato personalmente da Alberto nei mercati dell’Adriatico, le carni provengono da allevamenti della zona, salumi e formaggi da aziende del territorio, ortaggi, verdura e frutta dai contadini locali. L’olio utilizzato nelle preparazioni è l’olio di Cartoceto DOP, del tipo Muraiolo e Leccino. Le paste fresche vengono fatte a mano da una nonna di Cagli, il pane viene preparato in casa, i dolci sono realizzati dal figlio Andrea, da poco entrato nella cucina del ristorante. La cantina, una grotta scavata nella montagna, punta sui vini marchigiani ma non mancano certo i classici nazionali, soprattutto Piemonte e Toscana, gli europei, in particolare Francia, perché, “dei francesi – mi dice – si può dir tutto, ma non che non sappiano fare il vino”. La carta dei vini, presentata con attenzione e cura dalla sommelier Roberta Roberti, moglie del titolare e deliziosa padrona di casa, propone anche bollicine nostrane e francesi.

XXXXX

xxxxxxxxxxx xxxxxxxxxxx

27


GOLAVAGANDO

GOLAVAGANDO

L’AMBIENTE L’Antico Albergo Ristorante il Furlo è un edificio importante del XIX secolo, recentemente restaurato, che mantiene intatto il senso del suo tempo e che si integra perfettamente nella bellezza dell’ambiente circostante. Il rinnovamento delle sale e della cucina non cancella i segni di una storia che, come abbiamo precedentemente detto, si è intrecciata al grande corso della Storia. Le sale sono in stile rurale, pareti bianche dai profili irregolari come quelli delle montagne circostanti; l’arredo è in legno, caldo ed accogliente senza complimenti, come usano le genti delle Marche. Di gran effetto la sala detta “Grotta delle delizie”, il grande camino e le credenze nicchia ricavate dalla pietra dei muri spessi. Nel locale è possibile ammirare un’interessante utensileria da cucina, dal 1800 ad oggi.

Xxxxxxxx

XXXXX

xxxxxxxxxxx xxxxxxxxxxx

28


GOLAVAGANDO

RISTORANTE ANTICO FURLO Via Flaminia, 66

61040 Acqualagna (PU)

COSA MANGIARE La nostra degustazione si apre con un antipasto a base insalata di capasanta, petali di pomodoro candito, arancia di Lentini e germogli dell’orto; a seguire risotto Carnaroli “riso e rane” mantecato alla crema di tartufo estivo, arringa affumicata e tartufo fresco; il secondo proposto è la terrina d’oca cotta a bassa temperatura, pelle croccante, purea di patata di Sompiano e rapa rossa, ristretto di piccione e verdure. Il dolce è un tartufo semifreddo con visciola di Cantiano in sciroppo di zucchero. Importante sapere che Alberto Melagrana è conosciuto come il “Cuoco Tartufaro” perché nel locale è possibile mangiare tartufi tutto l’anno: pregiato tartufo bianco, pregiato tartufo nero, bianchetto e scorzone in estate.

L’OSPITALITÀ L’Antico Albergo e Ristorante Furlo è un pezzo di storia incastonato nella magia degli Appennini, un luogo da cui ripartire ma anche un luogo nel quale fermarsi per un risveglio indimenticabile. La famiglia di Alberto, Roberta in sala, Andrea in cucina e Giorgia, sua sorella, sanno accogliere con grazia e guidare tra i piaceri di questo territorio.

29


GOLAVAGANDO

A SAN GIULIANO MILANESE

RISTORANTE LA RUOTA PER TROVARE ANCORA LA TIPICA CUCINA TOSCANA di

Via Roma, 57 - San Giuliano Milanese Tel. 02 9848394

Domenico Acconci

Cucina toscana a Milano. Di una volta. Anche la cucina milanese si è rarefatta, il risotto con lo zafferano e la cotoletta impanata e fritta, non a caso conosciuta come “alla milanese” sono ancora presenti , ma non sempre; un piatto simbolo della cucina locale cioè la cassoeula (dialettale per casseruola ) con la verza e le cotiche di maiale, è praticamente scomparsa, forse anche perché ritenuto piuttosto “ volgare” (in certi ristoranti non sanno nemmeno cos’è, anche perché spesso i cuochi sono forestieri). Una volta, fino a circa metà del secolo scorso, l’invasione era stata soprattutto di cuochi toscani; ora è dilagata la cucina cinese, giapponese, indiana, vietnamita, messicana, brasiliana (e chi più ne ha più ne metta). A Milano pionieri della cucina toscana, nel secondo dopoguerra, furono Aimo Moroni e la sua consorte Nadia, provenienti dal pistoiese (“Il luogo di Aimo e Nadia”, Via Montecuccoli). Il giovane Aimo salì a Milano e per prima cosa fece conoscere ai milanesi il castagnaccio, tipico dolce toscano a base di farina di castagne, vendendolo da ambulante con la teglia sul manubrio della bicicletta, con fortuna, tanto che poi gli fu possibile aprire il ristorante poi diventato famoso. Se scorriamo l’elenco dei ristoranti milanesi di chiara estrazione toscana troviamo insegne come “Trattoria toscana”, “Il Toscano”, “I quattro toscani”, “Poggio toscano”, “Il Pontremolese”, e ovviamente “La Torre di Pisa”, e “L’Oste di Lucca”, anche se i piatti serviti non sono esclusivamente regionali ma, ormai, di contaminazione polivalente.

30

RISTORANTE LA RUOTA

Tuttavia un ristorante dove si mangia quasi esclusivamente toscano c’è ancora, anche se non si penserebbe dato che l’insegna non fa riferimento alle sue origini: è “La Ruota” a San Giuliano Milanese, poco fuori città. Non a caso la lista delle vivande si apre con la proclamazione: “Da noi si gusta la vera bistecca alla fiorentina”. Fra gli antipasti sono in primo piano il tagliere di salumi e formaggi toscani e i crostini alla toscana con fegatini di pollo; fra i primi spiccano la zuppa di farro della Garfagnana, la ribollita alla toscana, i pici senesi con le briciole abbrustolite, non manca mai la pappa al pomodoro che piaceva tanto a Gianburrasca, discolo fiorentino. Naturalmente le preparazioni sono anche ben altre, sia di carne - soprattutto chianina, che di pesce, specialmente della costa toscana, in una lunga lista dove ci si può sbizzarrire nell’individuare le proposte più allettanti. Anche per i dolci ci si imbatte nella toscanità, non solo per quelli fatti in casa come lo zuccotto d’invenzione fiorentina, ma anche per le particolari mattonelle dai-dai con crema e cioccolata provenienti da un laboratorio dolciario del livornese. L’assortimento di vini non è solo toscano, ma anche con selezione di buone bottiglie nazionali ed estere. I conduttori di “La Ruota” sono originari di Pescia (dove hanno anche l’albergo “Villa delle Rose”); ne è amministratrice Marzia Puccinelli con la sua mamma Fioretta a guidare la brigata di cucina con il cuoco albanese Leo Delvivhi, che si è formato qui. Prezzi veramente equi.


GOLAVAGANDO

TRADIZIONE DI QUALITÀ A

PONTE GIORGI NELL’APPENNINO CESENATE di

Maria Chiara Zucchi

Si racconta che, negli anni del boom economico, l’uscita per Bivio Montegelli, sull’E-45 che dalla Romagna porta a Roma, sia stata predisposta a causa del gran numero di persone che da ogni dove arrivavano al Ristorante Ponte Giorgi, famoso per la sua cucina prettamente territoriale. Il locale, che oggi vanta una storia ultracentenaria, riempiva a dismisura le proprie sale e il grande giardino con clienti che amavano la genuinità di pietanze preparate secondo gli usi delle nonne, dai cappelletti alle lasagne e alle altre paste fatte in casa, dal celebre carrello dei bolliti del giovedì ai piatti creati con le carni e la selvaggina del luogo. I tempi sono cambiati e i locali si sono moltiplicati, ingenerando una concorrenza spesso non basata sulla qualità che invece rimane invariata al Ponte Giorgi: proprio per questo il ristorante rimane il punto di riferimento per chi cerca una cucina tradizionale, ricca dei sapori autentici della memoria. Così, il compito di perpetuare l’identità di un territorio che, da Cesena, abbraccia le colline e i boschi di Mercato Saraceno, è affidato da papà Guglielmo, tuttora grande anfitrione di questa casa, ad una serie di altre G, ossia Gilda, Genea e Giada, anime entusiaste del locale che prende il nome dal ponte che attraversa il fiume Savio. L’offerta, rassicurante, che da sempre caratterizza Ponte Giorgi è arricchita da prodotti selezionati con cura dal patron Guglielmo, quindi salumi di pregio e formaggi in primis, tartufi in stagione, erbe e ortaggi che vanno a comporre i piatti più richiesti, come i tortelli con le erbe, i garganelli con scalogno e formaggio di fossa, i fegatelli in rete e alloro, l’agnello al ginepro, il capriolo con porcini… Attivissimo il servizio di catering per eventi e matrimoni.

RISTORANTE PONTE GIORGI Via Palmiro Togliatti, 1945

47025 Cella di Mercato Saraceno (FC) Tel. 0547 96581 - Fax 0547 96636

www.pontegiorgi.it - info@pontegiorgi.it

31

31


GOLAVAGANDO

SETTE CUCINA URBANA

Via dell’Orso, 2 - 20121 Milano Tel. 02 8909 2660

A MILANO APRE

SETTE CUCINA URBANA NUOVO CONCEPT DI RISTORAZIONE foto di

Carlo Fico

La cucina della tradizione milanese e l’interpretazione in maniera creativa dei migliori prodotti della nostra penisola. Sono questi i punti cardine della proposta gastronomica di Sette Cucina Urbana, locale aperto a Milano in Via dell’Orso 2. Una ricerca di ingredienti di qualità, che non dimentica le solide radici lombarde, ma che non tralascia escursioni in piatti creativi e innovativi. Il progetto di Sette Cucina Urbana nasce dall’idea di creare un locale che la clientela può frequentare nei diversi momenti della giornata. La cucina è sempre aperta, dalle 7 alle 23, e dalla colazione al pranzo, dal breakfast internazionale all’aperitivo, alla cena è possibile degustare tutte le specialità preparate dallo chef e dalla sua brigata. Alla guida del locale Massimo Moroni e Clemente Tassello. Lo chef Moroni ha una lunga tradizione nella ristorazione lombarda, con importanti esperienze al Savini e al Don Lisander, ed è capace di interpretare al meglio i piatti milanesi, dal più classico risotto alla cotoletta, ma anche di sperimentare e creare nuove proposte adatte sia

32

ai clienti italiani, sia ai turisti stranieri. Lo affianca una brigata giovane, che prepara tutto con lo chef, inclusi i dolci e il pane. Insieme a lui, Clemente Tassello, già alla guida, sempre insieme a Moroni, della start up del locale milanese Sei.it, format innovativo di Bakery con cucina in Corso Italia, e con una lunga esperienza nell’organizzazione e nel management di aziende del settore. Punto focale del locale la cucina a vista, che accoglie i clienti all’ingresso, valorizzando il lavoro della brigata di cucina e la preparazione dei piatti e l’area caffetteria e pasticceria di produzione propria. Vista sul giardino interno del palazzo che ospita il locale, fiore all’occhiello del Sette Cucina Urbana: un dehors da 30 posti, tranquillo e piacevole, collegato alla sala interna.



34


35


GOURMETFOOD

TERRY

GIACOMELLO

E LA SUA CUCINA AVANGUARDISTA A PARMA di

36

Claudio Mollo


TERRYGIACOMELLO

DUE

rami della stessa famiglia con 40 anni di esperienza nel settore dell’accoglienza e un giovane chef di talento. Questi gli elementi che, incontrandosi, hanno dato inizio ad un sodalizio culinario foriero di ottime prospettive. L’imprenditrice Francesca Poli e lo chef Terry Giacomello ora insieme per lasciare un segno indelebile nel gusto e nel cuore di chi è in cerca di esperienze significative da vivere in un ristorante. Una storia lunga e affascinante, quella delle famiglie Poli, nel parmense, che alla fine degli anni sessanta inizia con una semplice trattoria-pizzeria, aperta nel piccolo paese di Castelnovo Sotto. Un luogo semplice e molto frequentato dalla gente locale. Poi la decisione di abbandonare la pizza per concentrarsi sulla ristorazione, così da far crescere il locale che presto si chiamerà “Da Poli alla Stazione”, una vera trattoria del tempo, nella quale si respirava la genuinità e l’ospitalità di un territorio vocato all’accoglienza, quella ve-

37


GOURMETFOOD

ra, emiliana doc. Dopo altri sviluppi ed evoluzioni, le due famiglie iniziano una nuova avventura a Parma, dando vita prima al ristorante Inkiostro e qualche anno dopo all’hotel Link124. Due edifici completamente staccati uno dall’altro, ma collocati all’interno della stessa area. Le due strutture, vicinissime ad un casello autostradale, si raggiungono con facilità: da un lato Inkiostro, il ristorante gourmet, minimale ed elegante, e dall’altra il business hotel 4 stelle, seguito da Gianluca Poli, struttura moderna e raffinata, dal design marcato, luogo ideale per accogliere il viaggiatore d’affari. Inkiostro apre nel 2011 ed è Francesca ad occuparsi di questo nuovo progetto, che nel 2013 conquista la sua prima stella. Ma la strada tracciata, per Francesca, non è ancora quella giusta per poter arrivare lontano. Così, dopo attente valutazioni e propositi di crescita e sviluppo, nel settembre 2015 le cucine di

38

Inkiostro passano di mano e arriva Terry Giacomello, friulano e artefice di una ristorazione d’avanguardia. La sua storia, fino ad un certo punto, è comune a quella di tanti altri giovani appassionati e poi innamorati del lavoro ai fornelli in quanto figli d’arte, con mamma e papà dediti alla gestione di locande e ristoranti di famiglia. Poi, però, nel momento in cui la voglia di conoscenza cresce e non ci si può più accontentare della ristorazione di “casa”, alle esperienze che di solito si fanno in locali vicini lui preferisce quelle nelle cucine internazionali, iniziando a frequentare alcuni tra i nomi più famosi del firmamento culinario mondiale. In Francia con Marc Veyrat e Michel Bras, in Brasile da Atala e Helena Rizzo, a Copenaghen al Noma, e poi la Spagna, grande amore di Terry, da Andoni Luis Aduriz, quindi dal suo maestro assoluto, Ferran Adrià. Ed è proprio la Spagna che rivoluziona completamente il modo

di pensare la cucina di Terry e che radica nella sua mente la voglia assoluta di studiare, sperimentare, modificare la materia prima, per creare i suoi capolavori gastronomici. Per i palati più allenati, i tratti arditi e le sfaccettature delle ultime tendenze culinarie ci sono tutti, fusi in piacevoli proposte che spiccano per la loro audacia, conservando, a differenza di tipologie di cucina simili, dettagli gustativi che a volte sorprendono. La qualità degli ingredienti è fondamentale come la ricerca di nuovi ed insoliti abbinamenti. Tutto però torna, nei piatti di Terry: dalla fantasia al sapore, non si rimane mai delusi. Ricerca, sperimentazione, innovazione, in una cucina che offre un’esperienza gastronomica originale e con una sua precisa identità. Nei due menù degustazione lo chef propone tutta la sua gamma creativa, utile a capire chi è davvero Terry Giacomello. Colori, forme, trame e consistenze, così ben armonizzati che dopo solo qualche


TERRYGIACOMELLO

RAVIOLI

di praline di frutta secca, siero di pecorino, latte cagliato ed essenza alle radici di rabarbaro INGREDIENTI

Per l’olio al rabarbaro

PROCEDIMENTO

g. 150 di farina 00

g. 80 di radici di rabarbaro tostate

45°C per 3 ore. Togliere dal forno e lasciar

Per la pasta fresca g. 80 di semola

g. 30 di olio d’oliva

Mescolare il tutto e mettere in forno a raffreddare.

1 uovo intero

Mettere il tutto sottovuoto e cuocere per 3 ore a 70°C.

Nel frattempo preparare i ravioli con il ri-

Procedere per una normale pasta all’uovo

Per il siero di pecorino

Prendere poi il latte cagliato e romperlo a

ore in frigo in un sacchetto sottovuoto.

g. 90 di acqua

1 tuorlo d’uovo

lasciando poi riposare il composto per 4

Per il ripieno

g. 50 di mandorle fritte e frullate g. 25 di ricotta di pecora g. 20 di mascarpone sale q.b.

Mescolare le mandorle frullate con il resto

degli ingredienti fino ad ottenere un composto omogeneo.

g. 100 di pecorino sardo stagionato

Mettere il tutto in pentola e portare a bol-

pieno come mostrato dalla foto. pezzi di circa 2 centimetri.

Scolare dalla busta sottovuoto l’olio di rabarbaro e tenere da parte.

lore. Scolare e filtrare.

Cuocere i ravioli in abbondante acqua

Per il latte cagliato

sione di acqua di cottura ed olio (poca) e

g. 100 di latticello

g. 90 di latte intero g. 3 di caglio

g. 50 di panna

salata. scolare e saltare i ravioli in un emulmaterni nel piatto.

Disporre poi il siero di pecorino, il latte cagliato a pezzi ed ultimare il tutto con l’olio

di radici di rabarbaro. Guarnire con foglie di romice sanguigna.

39


GOURMETFOOD

mese di attività gli valgono la conferma della stella Michelin, inaugurata poco tempo prima dallo chef che lo aveva preceduto. Interessante vederlo lavorare in cucina, insieme al suo giovanissimo staff, piacevole sentirlo colloquiare tra i tavoli, disposti comodamente nei due ambienti principali spaziosi, dove arredi, color nero e grigio scuro, si alter-

nano e sfumano in tonalità più chiare combinandosi con le luci delle grandi vetrate che delimitano gran parte del locale. Il design è ispirato alle mode cosmopolite e trasporta i clienti in un ambiente lineare e molto chic, con punti luce studiati ad arte e pennellate di colore distribuite in punti strategici, tra tele e altri complementi d’arredo. Un mix che appaga gli occhi. Tutto a Inkiostro è moderno, proprio come la sua cucina. Abbinati ai piatti una selezione di oltre 900 etichette, nazionali ed estere, che corredano la bellissima enoteca sottostante il ristorante, altro ambiente che vale la pena visitare, solo per godere della sua bellezza. La cantina viene arricchita da prodotti ricercati e aggiornati per qualità e innovazione. Al lungo elenco dei vini si accompagnano circa 150 etichette di distillati ed altre rarità da meditazione. Inkiostro: un’esperienza da fare, per chiunque? Forse si o forse no. Anche la cucina, come altri mestieri, per essere capita e apprezzata nella sua vera essenza, richiede cultura e preparazione e alla corte di Terry e Francesca si dovrebbe andare curiosi e consapevoli di fare una intrigante esperienza gastronomica, che non capita facilmente.

RISTORANTE INKIOSTRO

Via S. Leonardo, 124 - Parma Tel. 0521 776047

www.ristoranteinkiostro.it

40


TERRYGIACOMELLO

ILLUSIONE DI RISO

allo zafferano con cavalfiore e uova di sperlano INGREDIENTI per 4 persone

PROCEDIMENTO

Trascorso questo tempo, passare al frulla-

ottenuta con infusione di g. 2 di zafferano

portare a bollire.

Il burro acido si ottiene con emulsione

g. 100 di acqua di zafferano g. 2 di agar agar

g. 80 di cavolfiore

g. 100 di burro di malga vino bianco ridotto

g. 15 di aceto bianco

g. 12 di uova di Sperlano 1 pizzico di sale Maldon

Mettere acqua di zafferano e Agar Agar e Con l’aiuto di una siringa, formare dei

chicchi in un apposito stampo di silicone e lasciar raffreddare.

Sformare. Quindi condire con un olio allo zafferano ottenuto mediante una infusione

di olio e zafferano tostato, portato a 70°C e lasciato macerare per circa 2 ore.

Nel frattempo, procedere alla cottura del cavolfiore, sottovuoto ed in forno a vapore per 3 ore ad 85°C.

tore con 20 grammi burro acido.

di burro di malga, aceto bianco, e vino

bianco ridotto. Quest’ultimo, a sua volta,

si ottiene mettendo i 50 grammi di vino bianco in un pentolino e facendolo bollire

fino ad ottenere 25 grammi. Aggiustare di sale. Servire mettendo sul fondo del piatto

la purea di cavolfiore, adagiare i falsi chicchi di riso conditi con olio allo zafferano, scaglie di sale Maldon e uova di Sperlano. Guarnire con germogli a piacere.

TAGLIOLINO

di bianco d’uovo, il suo rosso, crema di parmigiano, caviale di tartufo nero Mescolare 200 grammi di acqua con 120

Per la fonduta di parmigiano: sciogliere il parmigiano reggia-

in acqua bollente e aceto, quindi stendere

Servire il tagliolino adagiandolo in un piatto fondo con foglie

grammi di albume cotto precedentemente su una placca.

Inserire la placca nella macchina sottovuoto e procedere alla disidrata-

no in un po’ di acqua e panna, aggiustando di sale e pepe.

di timo fresco e sale Maldon. Aggiungere la fonduta di parmigiano ed ultimare con il rosso dell’uovo ed il caviale di tartufo.

zione del composto.

Togliere dal sottovuoto, taglia-

re a striscioline come fosse una tagliatella tradizionale.

Nel frattempo, procedere con la realizzazione del caviale di tartufo tramite sferificazione dell’acqua del tartufo nero.

41


GOURMETFOOD

LA CUCINA DEI SENTIMENTI DI

VILLA MAIELLA TRA LE PIÙ EMOZIONANTI IN ABRUZZO di

Giovanni Angelucci

La Majella è servita, potrebbe enunciare Peppino Tinari uscendo dalla cucina tra i tondi tavoli bianchi a cui siedono i suoi ospiti. C’è profumo di funghi, e di carne alla brace o di ragù di agnello. C’è un profumo accogliente che varia al variare delle stagioni, che mai sparisce. È uno dei tratti distintivi di Villa Maiella, l’odore di casa, e trasmettono affetto e sentimenti autentici i piatti di questa cucina che per tre generazioni ha saputo coltivare l’amore per un territorio difficile, ma mai abbandonato, e la centralità di una tradizione da recuperare, sistemare e valorizzare.

42


VILLAMAIELLA

Tutto parte da Guardiagrele, il paesello che sorge nel cuore dell’Abruzzo e del Parco Nazionale della Majella: in realtà non ci si sposta più di tanto perché la territorialità non è mai stata chiave di volta come qui, in una delle migliori tavole della regione, quella che tra le eccellenze abruzzesi è forse la più colma di prestigio e merito. Negli anni ‘60 era una fiaschetteria che nonna Ginetta portava avanti, ma con il tempo la famiglia Tinari ha saputo creare un ristorante in cui si va ben oltre il piatto: ci si avvicina così tanto al territorio calpestato che pare quasi di mangiarlo, appunto. Insieme, Peppino e Angela, hanno percorso con misura e ragione la strada giusta, sempre insieme, che fosse in pieno freddo inverno guardiese o durante la primavera. Lui è l’anima di Villa Maiella, l’uomo lungimirante e di vasta cultura gastronomica, il padrone di casa generoso e accogliente a cui si finisce per voler bene già dopo la seconda visita. La moglie Angela, laureata in scienze dell’alimentazione, è l’altra metà, stringe meno le mani dei clienti in sala e lavora sodo; è lei che instancabile continua a “tirare” a mano le paste servite (è diventata famosa per quella “alla chitarra”). Poi ci sono i figli, i due giovani Arcangelo e Pascal, rappresentanti di un cambio generazionale che sta rafforzando Villa Maiella, continuando a darle lustro. La gavetta esperienziale sembrerebbe la classica, non fosse per la determinazione che li ha portati a muoversi in brigate prestigiose: Arcangelo nella cucina del ristorante di Michel Bras, tre stelle in Laguiole, in cui ha trascorso circa tre anni, e Pascal che dall’Auberge de l’Ill al Dal Pescatore si è fatto valere lavorando in sala. Non sapevano quando, ma erano convinti di voler tornare a casa per lavorare nel ristorante di famiglia e per poter dire la loro con cognizione di causa, per far diventare Villa Maiella ciò che è oggi.

LA CUCINA DELLA FATTORIA Definirlo un ristorante sarebbe riduttivo perché è la mecca dell’autenticità enogastronomica abruzzese: piatti della tradizione preparati secondo le regole, smisurata conoscenza dei prodotti (specialmente Peppino con la carne e i suoi tagli), ciclo chiuso dalla fattoria di proprietà alla cucina. Nel 2009, anno in cui la Guida Michelin assegna a Villa Maiella la prima stella, Peppino decide di utilizzare i terreni limitrofi come campo d’allevamento di suini neri abruzzesi allo stato semibrado, ma anche di galline e asini, di oche e agnelli che scorrazzano lungo i crinali dei circa dieci ettari, alimentati in modo naturale con ortaggi, verdure e farine nobili. Nato come un diversivo amatoriale, l’allevamento è oggi diventato il valore aggiunto in grado di creare “gli stagionati di maiale nero
della nostra fattoria”, il sontuoso antipasto in cui assaggiare i risultati dell’arte norcina

43


GOURMETFOOD

CHITARRA AL RAGÙ DI AGNELLO e ricotta affumicata al ginepro INGREDIENTI

Per la pasta: g. 250 di farina 00. g. 180 di semola, 4 uova, sale q.b., g. 800 di polpa di coscia di agnello, g. 200 di ossetti del collo.

Per il condimento della carne: g. 30 di sedano al listarelle, prezzemolo a foglie, 1 spicchio d’aglio a listarelle, pepe scuro, sale q.b.

Per il fondo: g. 20 di sedano, g. 30 di cipolla, 1 foglia di alloro, vino bianco, sale q.b., pepe, g. 800 di filetti di pomodoro.

Per la guarnizione: ricotta affumicata al ginepro. PROCEDIMENTO

Tagliare la coscia di agnello in modo da ricavare 2 fazzoletti della larghezza di

cm. 15 e lunghezza cm. 10, dello spessore di cm. 1 circa; tagliare la parte restante a dadini di cm. 1 per lato.

Appoggiare sui due fazzoletti i bastoncini di sedano, le foglie di prezzemolo,

l’aglio tagliato a listarelle; condire con sale e pepe. Arrotolarli e legarli a forma di salame con lo spago.

Versare l’olio in una casseruola e fare rosolare a fuoco dolce i due involtini e le ossicine del collo.

Aggiungere poi il fondo tritato, continuare a far rosolare e poi aggiungere i dadini di agnello; portare anche questi a rosolatura e bagnare con il vino bianco.

Aspettare che evapori ed infine aggiungere i filetti di pomodoro e portare a cottura per 1 ora e 30 a fuoco dolce. Nell’eventualità che la salsa si restringes-

se troppo, durante la cottura aggiungere dell’acqua. Nel frattempo cucinare la pasta in abbondante acqua salata, scolarla e mantecarla con il ragù di agnello. Guarnire con una grattugiata di ricotta affumicata al ginepro.

44

di Peppino tra cui capocollo e salsicce anche di fegato, ventresca e salame steccato, guanciale e lardo. Qui il gap culturale tra le due generazioni si riduce dato che Arcangelo, ora al comando della cucina, è riuscito a coniugare i saperi e i sapori tradizionali con le visioni e il coraggio (mai troppo) di un trentenne. Ed ecco che le pallotte cac’ e ove si affiancano al vitello marinato al caffè e cumino montano, al tacchino con finocchi,
arancia e nocciola all’insalatina di pollo, gelèe di porri 
e orzo perlato. Tra i primi, la chitarra al ragù d’agnello e ricotta affumicata al ginepro e i ravioli di burrata allo zafferano de L’Aquila. È l’impareggiabile Gianni Primavera, figura storica di Villa Maiella, a servire i due piatti di sostanza e finezza, la carne, una battuta d’agnello croccante su crema 
di canestrato di Castel del Monte, le costatine d’agnello alla brace che sanno di tempi andati e di buono, fino al filetto di baccalà in tempura su spuma


FILETTO DI BACCALÀ in tempura su spuma di finocchio INGREDIENTI per 4 persone

g. 320 di baccalà, g. 150 di farina, g. 150 d’acqua, amido di mais, l. 1,5 di olio di semi di arachidi, g. 300 di finocchi, g. 50 di crema di latte, g. 2 di sale. PROCEDIMENTO

Tagliare il baccalà dissalato a pezzi di media grandezza, panarli con amido di

mais. Miscelare la farina e l’acqua, tenendo la temperatura piuttosto fredda, ed ottenere una pastella. Passare il baccalà nella pastella, cuocere

in olio caldo a 180°C per 3/4 mi-

nuti, ottenendo una panatura croc-

cante. Nel frattempo, in una casseruola,

portare l’acqua ad ebollizione e cuocere i fi-

nocchi; scolarli e frullarli con la crema di latte,

aggiungere il sale, versare il composto ottenuto in un sifone e montare con una cartuccia.

Sistemare i pezzi di baccalà nel piatto, aggiungere

la spuma di finocchio e decorare con un insalata di finocchi e germogli spontanei.

di finocchio. Quasi d’obbligo chiudere con il classico semifreddo al parrozzo che nella carta dei dessert accompagna l’omaggio a Michel Bras, composto da Arcangelo per celebrare l’invenzione del tortino a cuore di cioccolato, avvenuta proprio nel mausoleo francese nel 1981. Dimenticati per due ore gli stereotipi della cucina moderna, cancellata l’immagine dei cuochi da rotocalco, qui si può vivere l’emozione di una cucina con un cuore grande.

RISTORANTE VILLA MAIELLA

Via Sette Dolori, 30 - Guardiagrele (CH) Tel. +39 0871 809319 Fax +39 0871 809720 www.villamaiella.it info@villamaiella.it

45


GOURMETFOOD

I CODICI DEL GUSTO DI

FABRIZIO TESSE PER APRIRE UNA CASSAFORTE DI SAPORI di

46

Alessandra Meldolesi


FABRIZIOTESSE

Sembra essere finalmente uscita dal suo letargo, la città di Torino, per tanti anni bella addormentata della cucina italiana. A darle la sveglia qualche anno fa lo squillo di tromba di Matteo Baronetto al Cambio, incantevole bastione del nostalgismo sabaudo; ma ormai è tutto un formicolio di aperture e iniziative gourmet, dal locale in partnership con Lavazza dei fratelli Adrià al bistrot arabeggiante di Christian Milone, al nuovo indirizzo di Antonino Cannavacciuolo. Cosicché i fasti sono nuovamente quelli di una capitale, anche a tavola. La stessa terminazione del Carignano, storica insegna cittadina, ha dato segni di vitalità. Celebre per specialità tecnicamente corrette e ben presentate, dal vitello tonnato a salse sabaude come l’antico “comodino” di rigaglie, vagamente ancien régime nelle atmosfere e nei gesti, dallo scorso mese di febbraio ha aperto un ingresso su via Carlo Alberto, dal quale sono transitati nuovi arredi, un nuovo spirito e soprattutto un nuovo chef. Si tratta di Fabrizio Tesse, classe 1978,

che Federico e Niccolò Buratti, giovani titolari dell’hotel Sitea, dentro il quale ha sede il Carignano, hanno conosciuto con le ginocchia sotto il tavolo. “Avendo una casa sul lago di Orta, venivano spesso a mangiare da me alla Locanda; apprezzavano in particolare il tuorlo d’uovo croccante con mousseline di patate e spezzatino tiepido di astice. Pian piano siamo entrati in confidenza e un giorno mi hanno chiesto di replicare ciò che facevo a Torino”. Era l’estate del 2016; è seguita una breve ristrutturazione, per spogliare gli ambienti di arazzi e drappeggi, mettendo a nudo gli stucchi di una bomboniera total white, vivacizzati da sculture di Michele Protti. Ed è bastato apparecchiare cinque tavoli per infilare un’altra chiave nel lustro di un albergo, già forte di 120 camere con banchettistica. “Niente più di un salottino”, lo definisce Tesse; ma ad aprile arriverà anche il bistrot Carlo e Camillo, così chiamato perché all’angolo con via Cavour. “Si rivolgerà a un pubblico più vasto, con i suoi 60 coperti e uno scontrino medio sui 20 euro. Offrirà un piatto del giorno a pranzo; la lista delle

47


GOURMETFOOD

CAPESANTE in foglia di verza, mousseline di topinambour, leggera “bagna cauda” e chips di radici amare INGREDIENTI per 4 persone

la capasanta e scottarla molto

ml. 100 di olio extravergine d’oliva, sale

antiaderente calda.

2 scalogni, 1 patata, kg. 1 di topinambour, q.b., macinata di pepe, l. 2 di brodo vegetale, ml. 100 di prosecco, ml. 50 di crema

di latte (per la crema topinambour), 4 foglie intere di verza, 1 scorzonera, g. 250

di acciughe sott’olio, ml. 200 di crema di

latte (per la bagna cauda), 4 spicchi d’aglio senza anima.

PROCEDIMENTO

Per mousseline di topinambour: rosolare in olio la patata e lo scalogno, sfumare con il prosecco. Quando l’alcol sarà evaporato,

aggiungere il brodo caldo (in più fasi nom tutto in una volta), la crema di latte e cuocere fino a cottura ultimata. Frullare con

frullatore a campana e passare al cappello cinese a maglia fine. Tenere in caldo.

Per la capasanta: pulire la capasanta e privarla del calletto e del corallo. Oliare

velocemente in una padella Sbollentare la verza in acqua salata e raffreddarla in acqua e ghiaccio. Asciugarla e avvolgere le capensante all’interno.

Passare le capasante in forno per 3 minuti

Per le radici amare: con l’ausilio di un

Per la leggera bagna cauda: rosolare gli

nera senza privarle della buccia preceden-

e servire calde.

spicchi d’aglio in olio fino a quando non saranno ben colorati. Rimuovere l’aglio e

aggiungere le acciughe facendo attenzio-

pelapatate formare delle strisce di scorzotemente lavata con cura. Friggere in olio a 165°C fino a colorazione voluta.

ne che l’olio non sia troppo caldo o bruce-

COMPOSIZIONE DEL PIATTO

quando non saranno sciolte, aggiungere

to, appoggiare le capesante, aggiungere

remo le stesse. Cuocere le acciughe fino a

la crema di latte, cuocere fino a densità voluta e frullare. Passare al cappello cinese a maglia fine e servire caldo.

Adagiare la mousseline sul fondo del piatun cucchiaio di cauda di radici amare.

Aggiungere un filo di olio e servire caldo. Decorare con pancetta abbrustolita.

vivande, con tanti classici piemontesi, a mezzogiorno e alla sera. Sarà anch’esso servito da due ingressi: dall’hotel oppure dalla strada,oltre che da una cucina separata, attualmente in allestimento”. Con Tesse, che firmerà la carta e presenzierà stabilmente il martedì e il mercoledì, sono già all’opera il resident chef Rolando Ruggero, veterano della struttura, e il “wiegman chef” Marco Miglioli, altro esponente della generazione Cannavacciuolo, passato per gli insegnamenti di Andrea Berton e Michel Roux jr, quale cinghia di trasmissione. In sala continua invece a officiare Giuseppe Andresini. La carta dei vini è in progress, con un probabile ingresso al comando di Sara Orlando, sommelier della Locanda di Orta, con trascorsi da Bottura e dai Roux.

48


FABRIZIOTESSE

L’IMPRINTING DI CANNAVACCIUOLO La cucina reca i segni di un’infanzia trascorsa nell’entroterra ligure, con i fornelli delle nonne e delle zie al posto di una ludoteca. Ma dopo l’alberghiero ad Arona, in un collegio privato, ci sono stati subito una sfilza di ristoranti stellati: la Taverna del Pittore sempre ad Arona, il Caffè Groppi di Trecate con lo chef Fabio Barbaglini, La Conchiglia di Arma di Taggia e i Balzi Rossi con la Mère de Vintimille Pina Beglia, fino a uno stage da Martin Berasategui a Lasarte. “Esperienze tutte formative, che hanno contribuito a delineare il mio profilo attuale”. Soprattutto c’è stato lui: Antonino Cannavacciuolo, dal quale Tesse è arrivato come capo partita agli antipasti nel 2003, per ripartire 8 anni dopo quale sous-chef. “Inutile dire che Villa Crespi mi ha segnato, anche per le responsabilità del ruolo che mi sono trovato a ricoprire, in coincidenza con l’ottenimento della seconda stella. Non conoscevo approfonditamente tecniche e ingredienti del sud, che mi hanno invece contagiato. Quindi una certa cultura dei primi piatti e delle paste secche, non così distante dalla sensibilità della Liguria, affacciata sullo stesso Mediterraneo. E Cannavacciuolo mi ha dato molto spazio, consentendomi di collaborare alla riuscita dei piatti attraverso scambi di idee ed opinioni. Con noi c’erano tanti colleghi, ciascuno dei quali ha oggi intrapreso un percorso personale: Pasquale Laera, Cristoforo Trapani, Federico Gallo, Andrea Napolitano”. Scalini nell’ascesa al ruolo di chef presso la Locanda di Orta, con i suoi 7 tavoli gourmet e un bistrot vista lago: bastano 3 anni e nel 2015 è già stella Michelin.

PROCEDIMENTO

Per gli scampi: tagliare la lemongrass in modo irregolare. In un

sacchetto sottovuoto aggiungere olio e la lemongrass. Cuocere l’olio sottovuoto ad una temperature di 65°C per un’ora. Raffreddare e usare l’olio per marinare gli scampi.

Per il risotto: tritare lo scalogno molto fine. In padella aggiungere olio e far rosolare lo scalogno; tostare il riso con lo scalogno, sfu-

mare con il prosecco. Quando l’alcol sarà eveporato, continuare la cottura con il brodo fino a cottura ultimata.

Mantecare con olio, burro,poco parmigiano, timo sfogliato e yuzu. PER LA COMPOSIZIONE

Adagiare il risotto sul piatto, scolare gli scampi dalla marinatura

e disporli sul risotto e aggiungere 1 grammo di uova di storione

RISOTTO CARNAROLI yuzu, timo, scampi marinati alla lemongrass

sopra gli scampi.

e caviale

INGREDIENTI per 4 persone

12 scampi di Sicilia freschi puliti, 2 lemongrass, ml. 100 di olio extravergine d’oliva (per marinare gli scampi), ml. 50 di yuzu liquido, g. 4 di timo sfogliato, g. 4 di uova di storione, 1 scalogno, ml. 70 di olio extravergine d’oliva (per mantecare), g. 30 di burro di montagna (per mantecare), g. 20 di parmigiano vacche rosse (per mantecare), 1 macinata di pepe nero, g. 280

di riso carnaroli, l. 2 di brodo vegetale, ml. 40 di prosecco.

49


GOURMETFOOD

LATTE E CASTAGNE foie gras, crema di funghi di campo e tartufo nero INGREDIENTI per 4 persone

Per il torcione di fegato: ammollare il

soia, g. 3 di sucro.

vere dal latte e ammollare nel passito

l. 1 di latte intero fresco, g. 8 di lecitina di

La cucina praticata nei due indirizzi è simile, con le declinazioni territoriali del caso: qualche pesce di lago alla Locanda, più riferimenti piemontesi al Carignano. Tesse parla comunque di una cucina del codice, fondata sulla leggibilità dei piatti e sulla riconoscibilità dei gusti.

I CODICI DEL GUSTO “C’erano una volta le Vie del Sale”, si legge sul menu, “crêuze, mulattiere, canali navigabili dedicati al commercio di un bene indispensabile per conservare gli alimenti nelle fredde pianure lontane dal mare. Vie che hanno avvicinato culture e usanze differenti, creando, in cucina, quelli che io chiamo ‘codici del gusto’. Il nostro alfabeto, ciò che sappiano riconoscere istintivamente in un piatto perché proviene da una sapienza antica. Insomma sapori e profumi a cui vogliamo bene. Quelle vie sono la mia bussola. Lombardia, Liguria, Provenza, Spagna e Piemonte sono i luoghi dove ho vissuto e mi sono formato, come persona e come chef. E sono i luoghi dei miei codici del gusto, una cassaforte di sapori che da artigiano della cucina cerco di reinventare”. La leggibilità del piatto prima di tutto, insomma, per fare ripassare dal cuore l’emozione del ri-cordo. Complici i pesci, per la maggior parte liguri, che arrivano dalla pescheria Gallina e le verdure del vicino mercato di Porta Palazzo.

50

1/2 fegato d’oca interno snervato g. 100 di passito

l. 0,5 di latte (per ammollate il fegato) 20 castagne cotte sale Maldon q.b.

olio extravergine d’oliva q.b. g. 70 di tartufo nero pulito

g. 800 di fungi misti di campo 1 scalogno 1/2 patata

g. 70 di prosecco

l. 1,5 di brodo vegetale

bouquet garnit (rosmarino, timo, salvia, alloro legati con spago) ml. 50 di crema di latte PROCEDIMENTO

Per l’aria di latte: portare il latte ad una

temperatura di 75°C, aggiungere il sucro e la lecitina, frullare e lasciar riposare.

Al momento di servire, con l’ausilio di un frullatore ad immersione formare un’aria emulsionando il liquido solo in superficie.

fegato nel latte per tutta la notte. Rimuo-

per 20 minuti. Arrotolare il fegato in carta da forno o torcione pulito e legare con

spago da cucina donandogli la classica

forma cilindrica. Cuocere il torcione sottovuoto per 20 minuti in acqua a 70°C.

Raffreddare in acqua e ghiaccio, affettare,

formare dei cubi e servire a temperatura ambiente.

Per la crema di funghi: rosolare lo scalogno e la patata in olio, sfumare con il pro-

secco. Quando l’alcol sarà evaporato, aggiungere i funghi di campo tagliati, salare e pepare,aggiungere il brodo veg e la cre-

ma di latte. Cuocere, frullare a passare al cappello cinese a maglia fine (un passino da cucina può bastare). Tenere in caldo. COMPOSIZIONE

Adagiare le castagne precedentemente riscaldate sul fondo del piatto, aggiungere i cubi di torcione di fegato, le lamelle

di tartufo nero. Salare con il sale Maldon,

ricoprire il tutto con l’aria di latte e solamente all’ultimo aggiungere la crema di fungo ben calda.


FABRIZIOTESSE

I menu degustazione sono due, come a Orta: uno scritto, composto di 5 portate, l’altro a sorpresa di 7, rispettivamente a 70 e 85 euro. “Perché le piccole porzioni hanno stancato”. Si comincia con il Benvenuto del Carignano, composto di sfizi fritti, come in Campania, ma alla maniera ligure. Quindi le acciughe ripiene di ricotta alla maggiorana e impanate, le polpettine di fassona alla farina di mais, le palline di baccalà mantecato alla brandacujun, l’ostrica al caviale su foglia ostrica e la focaccina ligure al sale di Maldon. Nel cestino, per accompagnare il burro demi-sel di Normandia, l’extravergine ligure o siciliano, oltre a grissini finissimi, passati alla trafila dei tajarin, ci sono pani da farine biologiche e lievito madre con semi di zucca o grano Senatore Cappelli. Segue la crème brûlée di foie gras al passito, cotta al vapore e bruciata al cannello in sala. Le capesante in foglia di verza con mousseline di topinambur, leggera bagna cauda e scorzonera sono un signature dish di Tesse, presente anche in Locanda: esemplificano la poetica dei codici, laddove l’idea base della grande

salsa piemontese viene svolta invertendo proporzioni e consistenze. Il consueto pinzimonio vegetale fornisce infatti creme, chips e l’involucro per tirare in ballo la tradizione italiana dei mille fagottini, sullo stile dei mondeghili, con la capasanta a riprendere l’ittico dell’acciuga. Piemonte ma anche Liguria, nella leggerezza e nelle tecniche di cottura, al vapore o nel court-bouillon: due regioni tanto vicine quanto complementari, in sequenza lungo la via del sale. Da Orta arriva anche il tuorlo d’uovo croccante con crema di patate e spezzatino tiepido di astice, una specie di oeuf Villeroy senza albume. Mentre a Torino ha preso forma la provocazione dell’astice al vapore con finanziera filologica al Marsala

RISTORANTE CARIGNANO GRAND HOTEL SITEA

Via Carlo Alberto, 35 - 10123 Torino Tel. + 39 011 51 70 171 Fax + 39 011 54 80 90

www.grandhotelsitea.it info@grandhotelsitea.it

e salsa leggera di aceto Bruno Giacosa ridotto, stemperato nel brodo e legato al burro, sul crocevia del cappon magro. La lasagnetta con radicchio tardivo, quartirolo lombardo e salsa al Vinsanto è una geometria di gusti primari in equilibrio: amaro, acido, dolce. Ma a stupire è la spalla di vitello piemontese cotta lentamente nel Franciacorta, senza sottovuoto, servita con pop corn di patate e purè di topinambur, dove il fondo di cottura ridotto, caramellato e acidulo, crea un effetto gastrique. La mente corre a un brasato in bianco, che dall’acidità del vino ricava una testura piacevolissima. Alla panaché di gelatina di birra allo zucchero di canna e granita di gassosa, in forma appunto di mini boccale con la schiuma, segue l’ottimo tiramisù composto di spuma di mascarpone e granita al caffè, arioso nelle consistenze e freschissimo nella sensazione di una granita siciliana con la panna, che chiude canonicamente il pasto. La piccola pasticceria si compone di macaron alla crema di limone, meringa al lampone, tartufino al cioccolato e panna cotta al Ratafià.

51



GOURMETFOOD

P

rendete l’ascensore vetrato, godete dello skyline di Milano che si schiude sotto i vostri occhi e lasciatevi coccolare in un ambiente “Unico”. Il ristorante panoramico, al ventesimo piano della WJC Tower in zona Portello, accoglie oggi gli appassionati della buona e ricercata tavola in un ambiente moderno, elegante ed esclusivo, e con lo chef Fabrizio Ferrari ai fornelli di una cucina completamente a vista. La sua sfida è recuperare il cibo perduto e i sapori radicati nella nostra memoria più profonda e trasformarli in piatti dal carattere distintivo e contemporaneo.

A MILANO, PANORAMA

“UNICO”

E CUCINA CONTEMPORANEA A VISTA

53


GOURMETFOOD

LO CHEF FABRIZIO FERRARI Pavese, classe 1965. Dopo diverse esperienze in Italia e all’estero, nel 2007 approda al Roof Garden di Bergamo dove, in poco più di un anno, conquista la promessa per la stella Michelin. L’anno successivo, il 2010, ottiene la conferma della stella che manterrà fino al 2013, quando lascerà Bergamo. Poi la Francia e il ritorno a Milano, dove aveva lavorato già diversi anni prima (Ristorante Altro c/o Spazio Strato e Gref), alla guida della Terrazza Triennale Osteria con Vista come chef Executive. Da aprile 2016, l’arrivo nelle cucine di Unico Milano.

54


RISTORANTEUNICO

CREMINO DI SGOMBRO E PEPERONE ARROSTITO sfogliata di patate e maionese di polpa di riccio INGREDIENTI per 4 persone

PROCEDIMENTO

2 peperoni rossi

narli; dividere ogni filetto in due metà.

2 sgombri di g. 500/600 g. 300 di patate

5 ricci di mare (polpa) dl. 2 di olio evo

1 mazzetto di maggiorana fior di sale pepe

la maggiorana in acqua poco salata, raf-

Sfilettare gli sgombri, parare i filetti e spi-

freddarla in acqua e ghiaccio, strizzarla e

Dividere i peperoni in 4 falde, pulirle dai

olio evo.

semi interni e cuocerle in forno a 200°C

per 40 minuti solo con poco sale e pepe; spellarle e serbarle a parte.

Sbucciare le patate e tagliarle in chips sottili, condirle con poco olio, sale e pepe. Sovrapporre in una teglia le chips e

frullarla in un mixer con mezzo decilitro di Su una teglia da forno sovrapporre le due metà dei filetti di pesce inserendo, a mo’

di sandwich, il paperone arrostito. Condire con poco sale, pepe e con un filo d’olio. Cuocere in forno a 110°C per 25 minuti.

infornare per 1 ora a 165°C, ottenendo la

IMPIATTAMENTO

Con la polpa dei ricci, mezzo decilitro di

fondo del piatto, piazzare il filetto farcito

millefoglie.

olio e poco pepe, montare nel bicchiere apposito una maionese con l’aiuto di

un frullatore ad immersione. Sbollentare

Porre le patate parate in rettangolo sul

al peperone sulle patate e puntinare il piatto con gocce di clorofilla di maggiorana e maionese di riccio.

55


GOURMETFOOD

PANCIA DI VITELLO MORBIDA terrina di rapa in aceto vecchio, sformatino di luppolo selvatico e carciofi alla vaniglia INGREDIENTI per 4 persone

PROCEDIMENTO

bicchiere per non fare colorire) per circa

2 carote, 2 coste di sedano, 2 cipolle bion-

pancia, una volta rosolata a parte su tutti

dere poco burro e portare a calore forte

g. 500 di pancia di vitello de (tritate per soffritto) l. 1 di birra bianca

1 mazzetto di ravanelli

g. 100 di zucchero di canna l. 0,5 di aceto rosso

2 mazzetti di luppolo selvatico 2 carciofi sardi

1 bacca di vaniglia g. 50 burro dl. 1 di olio

sale e pepe

Soffriggere in olio le verdure e porre la i lati con burro, con il soffritto a brasare per 20 minuti. Aggiungere la birra, cuo-

cere lentamente per 5 ore con coperchio. Filtrare la salsa e tagliare in 4 sezioni la pancia. Serbare a parte.

quando il burro è ben nocciola; aggiungere i quarti di pancia e rosolare bene

sulla faccia principale ottenendo una bella superficie colorata e croccante.

Cuocere in aceto rosso e zucchero i rava-

IMPIATTAMENTO

Cuocere il luppolo in acqua bollente per 3

avranno temperature diverse): i ravanelli

nelli per 10 minuti. Raffreddare.

minuti, poi passarlo in casseruola con po-

co burro sale e pepe, quindi suddividere in 4 stampini a cilindro.

Pulire i carciofi, stufarli in casseruola con

coperchio con poco olio e la stecca di vaniglia, aggiungendo poca acqua (1/2

56

10 minuti a fuoco vivo. In una padella fon-

Porre tutti gli elementi vegetali (che freddi, il luppolo caldo, i carciofi tiepidi,

adagiando al centro la pancia. Restringere a fuoco vivo la salsa di cottura, emul-

sionando infine con l’aiuto di un frullatore

ad immersione allo scopo di incorporare aria. Salare la carne.


RISTORANTEUNICO

IL SOUS CHEF MARCELLO BARATELLA Ha lavorato nelle cucine di diversi ristoranti italiani, collaborando con chef affermati dai quali ha appreso i segreti e le regole dell’arte della cucina. Quando al Roof Garden di Bergamo prese la stella Michelin, era al fianco dello chef Fabrizio Ferrari. “Mi piace sperimentare - sostiene lo chef partendo dai piatti della tradizione italiana, scomponendoli e rielaborandoli per creare nuove preparazioni, pur mantenendo inalterato il gusto. Le mie ricette sono originali anche nella presentazione con forme e colori che si sposano perfettamente nell’impiattamento. Nel 2001 ho frequentato uno stage presso il ristorante Joia a Milano sotto la guida dello chef Pietro Leemann. In seguito ho assunto la mansione di sous chef al ristorante Il Convivio di Londra con lo chef Lucas Pfaff. Dopo l’esperienza nel 2013 presso la Maison Florian e alla Terrazza Triennale a Milano nel 2015, sono approdato nell’aprile 2016 a Unico Milano”.

IL PASTRY CHEF BEPPE ALLEGRETTA Ha scoperto la sua vera vocazione per uno scherzo del destino: voleva entrare a far parte dello staff di un’importante sala ricevimenti, dove l’unico posto disponibile era proprio quello di pasticciere. Da qui non si è più fermato: “Dopo la scuola alberghiera, sono passato dall’Etoile di Chioggia, poi da Emanuele Saracino, da Aimo e Nadia e da Roberto Rinaldini. - spiega il pasticciere - Collaboro con numerose aziende come tecnico dimostratore e ho la possibilità di conoscere prodotti e materie prime sempre nuove. Ho avuto la fortuna di vivere esperienze come quella del Refettorio Ambrosiano di Bottura e ha avuto l’onore di collaborare con Ducasse, Roca, Patterson. Cosa mi piace di più del mio lavoro? L’ordine, la precisione, tanti elementi da far quadrare… Tutto questo mi dà soddisfazione e mi fa amare il mio lavoro che, prima di chiamarsi così, é la mia vera passione!”.

CASONCELLI alla cassoeula INGREDIENTI per 4 persone

Un impasto di pasta all’uovo base (6 uova, kg. 1 di farina, sale, 1 cucchiaio d’olio, poca acqua). Dopo l’impasto e il riposo, tirare la sfoglia il più sottile possibile.

Per il ripieno: 5 costine di maiale, 1 verza, 2 carote, 2 cipolle, 2 coste di sedano, 2 cucchiai di olio evo. PROCEDIMENTO

Fare un trito con le verdure di base e soffriggere con olio; tagliare la verza sottile in julienne e iniziare a stufare. A par-

te, rosolare in olio le costine, unire alle verdure e cuocere per 2 ore a fuoco moderato; salare e pepare.

Spolpare le costine a passarle tre volte al tritacarne fine con

le verze private del sugo di cottura, pressando bene in un colino cinese; unire due uova e 100 grammi di grana pada-

no riserva. Aggiustare di sale e pepe, separare il ripieno cosi ottenuto in polpettine da circa 10 grammi l’una e suddividere sulla sfoglia stesa e spennellata con l’uovo. Ricoprire con uno strato superiore di sfoglia e chiudere i casoncelli.

Il fondo di cottura ottenuto strizzando bene le verze brasa-

te, sarà il sugo di accompagnamento dei nostri casoncelli. UNICO MILANO

Viale Achille Papa, 30 - 20149 Milano Tel. +39 02 39214847

www.unicorestaurant.it

Lessare in acqua salata i casoncelli, scolarli e porli nella fondina (6/8 per porzione). Irrorare con il sugo di cottura della cassoeula opportunamente ristretto, spolverare con poco grana dadano riserva.

57


S

LOCHEF ANGUILLA alla boscaiola

PIER GIORGIO

INGREDIENTI per 4 persone

1 anguilla sfilettata di circa g. 500 g. 100 di funghi misti g. 100 di panna g. 200 di latte

g. 200 di cavolo nero pulito sale olio

PROCEDIMENTO

Mettere l’anguilla sottovuoto con poco olio e sale, cuocere per 45 minuti a 65°C, una volta terminata la cottura raffreddare velocemente e conservare in frigo.

Preparare la spuma ai funghi, tagliare i funghi e metterli a rosolare

in padella con poco olio, bagnare con latte, panna e poca acqua, far cuocere per circa 15 minuti.

Terminata la cottura frullare il tutto molto bene, riempire un sifone e caricare con 1 carica di gas, mantenere al caldo.

Spremere metà del cavolo nero alla centrifuga per estrarre il succo. Il restante cavolo viene seccato in forno a 130°C per circa 30 minuti. Per comporre il piatto aprire il sacchetto con l’anguilla, grigliarla

solo dalla parte della pelle, sistemarla nel piatto affianco la spuma calda di funghi, il succo di cavolo nero, completare con le foglie secche servire subito.

ILPIATTO 58

PARINI Uno dei più geniali “architetti” della cucina, artefice di creazioni eclettiche che uniscono sapori ancestrali a nuove intuizioni, in un mix sempre sorprendente ancorché atteso e perciò appagante.

V


LOCHEF

S

SILVER

SUCCI

PETTO e cosce d’anatra all’aceto balsamico verze e sedano rapa

Una cucina confortevole e avvolgente, di rassicurante seduzione domestica. I piatti dello chef, da anni colonna del ristorante Quartopiano di Rimini, contengono tutta la forza di una professionalità ricca e consapevole, frutto di un lavoro fatto di metodo e grande passione. INGREDIENTI per 4 persone 1 anatra di kg. 1,5

Per la falsa: sedano, carota, cipolla, erbe aromatiche, fondo di vitello, aceto balsamico.

Per la purea di sedano rapa: 1 sedano rapa, Martini Dry, panna, burro.

Per la la verza stufata: verza, scalogno, olio, aglio, uvetta, pinoli, olio, sale, pepe, burro, aglio, erba aromatica, aceto balsamico. PROCEDIMENTO

Montare l’anatra separando le cosce dai petti. Mettere sotto sale grosso le

cosce per 10 minuti. Passato questo tempo lavarle e inserirle in un sacchet-

to sottovuoto da cottura con olio burro e aromi. Cuocere a 65°C per 12 ore. Parare i petti e con una piccola parte di magro formare delle polpette con-

dite con patata cotta timo e scalogno. Cuocere il sedano rapa in acqua e latte. Una volta cotto frullarlo e metterlo a sgocciolare per una notte. Condire questa purea con una riduzione di Martini Dry, vino bianco, panna e bur-

ro, sistemando di sapore. Tostare le carcasse dell’anatra in un tegame, ag-

giungere le verdure, tostare anch’esse, sfumare tre volte consecutivamente

con l’aceto balsamico. Finita questa operazione coprire con fondo di vitello e ghiaccio, lasciare ridurre, filtrare e legare con un poco di burro sistemando di sapore. Tagliare la verza a quadretti scottarla in acqua e saltarla poi in padella con olio scalogno, uvetta e pinoli. Prima del servizio immergere

i petti in un olio aromatizzato a 50°C. Scottare le polpette in padella e finire

la cottura nel fondo. Aprire le buste dei sottovuoti e arrostire le cosce. Scolare i petti dall’olio e scottarli in padella con olio burro erbe aromatiche fino ad arrivare al punto rosa. In un piatto creare tre punti di purea di sedano

rapa adagiarvi sopra le tre cotture dell’anatra guarnire con la verza scottata e salsare con il fondo all’aceto balsamico.

ILPIATTO 59


GOURMETFOOD

MONDO PERBELLINI “Mondo Perbellini” potrebbe essere il titolo di un romanzo. La storia di un viaggio, dove i vari personaggi mischiano le loro vicende in diversi luoghi di una stessa città. Una trama tessuta da un unico filo: l’amore per la cucina che muta la sua forma al mutar dei luoghi e l’imprinting fondamentale dello chef Giancarlo Perbellini. di

Daniele Briani

AL CAPITAN DELLA CITTADELLA Iniziamolo, questo viaggio, immergendoci subito nelle tranquille tonalità blu oltremare del ristorante Al Capitan della Cittadella, ravvivate da forme architettoniche che richiamano sbuffi di bolle quasi fossero dei respiri sott’acqua, perché qui siamo nel regno del pesce, come ci ricordano le fluide forme delle sculture lignee. Andrea Manzoli, giovane chef di provata esperienza, guida la sua brigata alternandosi tra sala e cucina, perché un menù raccontato a voce da chi lo vive dal mercato alla tavola, non lascia dubbi sulla scelta di ciò che si vuol mangiare. Ogni sua pietanza porta il mare in bocca, che sia per una crudità o per un carpaccio, che sia per un bollito, per una minestra o un risotto. La capacità di amalgamare sapori di mare

Cernia al timo con melanzana condita e battuto di peperoni alla piastra

60


MONDOPERBELLINI

con aromi mediterranei ti fa compiere un viaggio in tutta la penisola stando comodamente seduto al centro di Verona. Un esempio? La volpina al vapore su spuma di patate alla genovese con pinoli e basilico, il tonno appena scottato al profumo di macchia mediterranea, oppure il carpaccio di branzino con olio e pistacchio di Bronte, per non parlare della granceola alla veneziana o degli gnocchi con la triglia e il prosciutto all’anconetana e gli spaghetti alle mazzancolle con limone che riescono a trasportarti su un’isola siciliana tra spruzzi d’acqua di mare e profumo d’agrumi. Scivolando sui dolci, preferiamo citare la rivisitazione del panpepato che testimonia la fantasia al servizio della tradizione. Per quaranta posti a sedere la carta dei vini è zeppa di vini bianchi d’Italia e Francia, con notevole propensione per le bollicine e soprattutto per gli Champagne. Per onor di territorio ci sono alcuni rossi della Valpolicella che ben si abbinano ad alcune pietanze robuste. Sicuramente Andrea è riuscito nel suo intento di far star bene i suoi commensali perché tutto, dall’ambiente al cibo, è un tripudio di eleganti emozioni.

Fricassea di cernia e canocchie con il suo brodetto al curry

AL CAPITAN DELLA CITTADELLA

Piazza Cittadella, 7 - 37122 Verona - Tel. 045595157 www.alcapitan.it - info@alcapitan.it

61


GOURMETFOOD

TAPASOTTO Continuiamolo questo viaggio, spostandoci in Galleria dei Pellicciai, ed entrando al Tapasotto. Lo chef Federico Zonta ha accettato la sfida lanciatagli da Giancarlo Perbellini di creare un locale che fosse un incrocio tra una cicchetteria veneziana e un bar a tapas spagnolo. La folgorazione ebbe origine a New York. Durante un’amabile chiacchierata Federico e Giancarlo decisero di dare vita a Verona ad un locale conviviale, dove servire piccoli assaggi di varie pietanze senza che il cliente fosse costretto a mangiare l’intera porzione, lasciandolo libero di sfogare la sua curiosità tra le mille offerte del menù che viene rigorosamente rinnovato all’inizio di ogni mese, tranne per alcuni must, come l’uovo in vetro che non può mai mancare. Dato il suo format innovativo – per questo nel 2015 è stato anche premiato a livello nazionale – il Tapasotto offre una miriade di

Battuta d’uovo con finocchi e pancetta

62


MONDOPERBELLINI

assaggi preparati espressi nella cucina a vista del piano terra, che vengono serviti in abbinamento ad una trentina di vini al calice, più quelli dell’ampia selezione di cantina. Dell’uovo in vetro, ricordo delle colazioni newyorkesi, abbiamo già fatto menzione, ma come dimenticare una semplicissima frittatina con verdure di stagione oppure una tartare di cavallo con pan grattato e prezzemolo, o i tortellini come una carbonara serviti anch’essi in un barattolo di vetro! Sui dolci, l’estrazione perbelliniana non si discute, ma in stagione una porzione di cachi vaniglia con ricotta e miele è il giusto modo di congedarsi dal locale.

In questa pagina, in senso orario, orzo, zucca e taleggio; zuppa di fagioli e radicchio; crema di zucca, mandorle e melograno; uovo in vetro; tartare di cavallo “tonnata”, ossia emulsionata al tonno, con capperi disidratati e pane al prezzomolo.

TAPASOTTO

Galleria Pellicciai 12 - 37121 Verona - Tel. 045 591477

www.tapasotto.it - tapasotto@gmail.com

63


GOURMETFOOD

DU DE COPE Ora spostiamoci di pochi passi e sempre rimanendo in Galleria del Pellicciai avviciniamoci ad atmosfere più chiassose, ereditate da vecchie trattorie del passato dove l’impasto di farina e lievito, cotto dalla vivida brace di un forno, ricolma l’aria del profumo caldo del pane. Al Du de Cope si sfornano pizze e schiacciatine per tutti i gusti, da quelle classiche a quelle rivisitate, ma sempre con una miscela di due tipi di farina e una lievitazione oltre le quarantotto ore. La forma è tonda, della misura di un vecchio LP in vinile come citato nel menù, e dal bordo alto, come richiede la tipica pizza napoletana. Per chi volesse cimentarsi in gusti meno usuali, allora consigliamo la schiacciata al grano arso, dal colore cinereo e condita con stracciatella pugliese e pomodoro. La scelta di vini al calice segna giustamente il passo rispetto all’abbondanza di birre artigianali da degustare.

PIZZERIA DU DE COPE Galleria Pellicciai, 10 37121 Verona

Tel. 045 595562

www.pizzeriadudecope.it info@pizzeriadudecope.it

Nonostante gli ottanta posti a sedere, non si riserva nessun tavolo. Lo staff capitanato da Eugenio Cavallaro, grazie alla sua professionale velocità di servizio, permette rotazioni rapide dei tavoli e tempi d’attesa molto corti. Ideale per un pranzo o una cena informale, il locale rimane chiuso solo il giorno di Natale e la sua posizione in centro storico a Verona lo rende particolarmente fruibile per chi ama la città.

64


MONDOPERBELLINI

DOLCE LOCANDA Già, i dolci! In questo viaggio poteva forse mancare un fiore all’occhiello di dolcissime bontà? Dolce Locanda è la risposta a chi vorrebbe vivere in un mondo fatto di pan di zucchero e marzapane. Nata nel 2014 nel centro di Verona, questa pasticceria – caffetteria con laboratorio a vista, sforna ogni giorno dalle brioches della prima colazione, ai dolci al trancio fino alle classiche torte e, nel periodo natalizio, il pandoro e il panettone che Giancarlo Perbellini dedica rispettivamente al nonno Ernesto e allo zio Enzo. Non scordiamoci poi il Bovolone, la sua famosa offella, dedicata al paese in cui è nato. Assistito da un team di esperti collaboratori quali Moreno Pellegrini e Dario Fracasso, e dallo stesso chef del Capitan della Cittadella Andrea Manzoli, Giancarlo Perbellini con questa avventura ritorna alle origini delle tradizioni della sua famiglia, con un taglio più moderno e adeguato ai tempi. La ricchissima offerta di pasticceria mignon non lascia nulla d’intentato nel provocare la golosità di chi entra anche solo per un caffè, ritrovandosi poi immancabilmente ad assaggiare un risino o piuttosto a farsi farcire al momento una brioches. Superfluo citare la Millefoglie Dolce Locanda di Giancarlo Perbellini (qui sotto nella versione monoporzione) per la quale è conosciuto e riconosciuto e che qui non manca mai.

DOLCE LOCANDA

Via Valerio Catullo, 12/14 37121 Verona

Tel. e Fax 045 8004211 www.dolcelocanda.it

pasticceria@dolcelocanda.it

65


GOURMETFOOD

CINQUE Dopo tanto girare, anche il riposo dei giusti doveva portare la firma di Perbellini. Cinque è il primo vero street hotel italiano dove si amplia il concetto di ospitalità di Casa Perbellini: sentirsi a casa con tutti i servizi di un hotel. Cinque camere distinte e nominate per i colori dei loro interni, arredate in stile moderno con preziosi oggetti di design, carte da parati svedesi, tessuti

floreali inglesi e supporti tecnologici all’avanguardia. Le enormi vetrate, dai vetri oscurati, permettono di sentirsi immersi nella città mantenendo la propria privacy. Una sensazione strana, acuita dal fatto che due di queste camere hanno l’accesso singolo dall’esterno attraverso la porta a vetri dotata di un badge elettronico. La struttura si trova nel quartiere di San Zeno, a poCINQUE ROOMS

chi passi dall’Arena, quindi dal centro pulsante della città vecchia. Un confort lussuoso, moderno ed elegante per una sensazione “on the road” che Giancarlo, assieme a Marco Pigozzo, garantiscono ai loro clienti. E allora novelli Phileas Fogg cimentatevi nel giro del Mondo Perbellini: non vi serviranno ottanta giorni ma un solo week end di gastronomico assoluto piacere.

Piazzetta Portichetti, 3 - 37123 Verona - Tel. +39 045 597004 - www.cinquerooms.it - contact@cinquerooms.it

66



68


69


70


71


FENOMENO

STREETFOOD MODA PASSEGGERA O SOLIDA REALTÀ?

Oggi una realtà che può tenere in vita le tradizioni regionali o inventare nuove proposte. A patto che da “strada” non diventi un “viottolo” di degradata periferia gastronomica. di

Alessandro Ricci

LE RADICI AMERICANE Nel 2008 nella contea di Los Angeles entra in vigore una legge che vieta ai truck ambulanti di sostare per più di mezz’ora nello stesso posto. Tutti protestano, tranne Roy Choi, lo chef di un gourmet korean taco truck, che ha l’idea di sfruttare, per primo, la potenza dei social network, twitter su tutti. In un anno raggiunge 100.000 followers, presto i 2 milioni di introiti ed è oggi considerato tra i dieci migliori chef di Los Angeles. È il caso seminale che dà il via al movimento food truck americano. Aggiungiamo anche la crisi, che nel 2008 batte forte, e si ottiene la trama di Chef – La Ricetta Perfetta, il film di Jon Favreau, uscito nel 2014, che racconta la storia di Carl Casper, lo chef di un prestigioso ristorante di Los Angeles che, perso il lavoro, cambia vita aprendo un chiosco ambulante e ottenendo successo grazie ai consigli social del suo giovane figlio.

72

Gelati

Hot dog

Pizza

Panini


FENOMENO

STREETFOOD In Italia lo street food ha origini antiche, ma nessuno lo ha mai chiamato così. Al massimo cibo da strada. O, più semplicemente, col nome delle specialità che potevano essere acquistate da chioschi, mercati, negozi e baracchini, pronte per essere consumate all’istante, in piedi, ancora fumanti, a scottadito. Ma sull’onda del movimento americano, lo stile dei food truck arriva anche in Italia. È una tendenza che prende piede verso la fine del 2011, con alcune importanti differenze rispetto all’archetipo del cibo di strada italiano.

LA VERSIONE ITALIANA “Ci sono almeno tre importanti varianti – spiega Stefano Marras (foto a lato), sociologo, esperto di street food (è consulente per la Food and Agriculture Organization delle Nazioni Unite) e autore del libro Food Truck all’Italiana (EDT, 2016) -. La prima riguarda il mezzo, che non è più solo la classica ape, ma mezzi di design, brandizzati, accattivanti, immediatamente riconoscibili. La seconda riguarda la proposta. Si può definire gourmet street food e il criterio non è il rispetto della tradizione, ma la necessità di utilizzare prodotti di alta qualità. La terza è l’utilizzo dei social network come strumenti per raggiungere la propria clientela e tenersi in contatto con i clienti”. Ma è il caso di distinguere tra l’uno e l’altro? “Se uno prepara il minestrone, me lo fa comprare dal furgoncino e me lo fa mangiare con la cannuccia, questo è street food – continua Stefano Marras –. Non vedo la necessità di distinguere tra lo street food tradizionale e quello moderno e gourmet. Per me l’unica definizione possibile di street food è un cibo venduto per strada e strutturato per essere mangiato per strada”. Cibo, design, comunicazione: sono i tre fattori dello street food 2.0. Esplosa la tendenza, occorrono momenti e luoghi

per attuarla. Proliferano così i festival. “Premesso che lo street food è un fenomeno prettamente metropolitano – continua Stefano Marras – all’inizio sono stati privilegiati spazi post industriali e abbandonati. Ma l’evoluzione in questi pochi anni è stata evidente: la quantità dei festival ha saturato in parte il mercato, facendo perdere velocemente il gusto della novità. Però il fenomeno dello street food non è una moda passeggera, e oggi si ritrova nei centri cittadini delle cittadine medio-piccole. Eventi più piccoli, anche a supporto di altre iniziative, che hanno successo. Si è trovata la giusta dimensione “italiana”: uno street food piccolo, bello e di qualità, che ha il suo habitat nelle feste di paese ”. È il problema delle mode: esplodono all’improvviso, sono di richiamo anche per chi si improvvisa, vanno troppo veloci per una burocrazia che fatica a tenere il passo. È (anche) questo caso. L’improv-

73


TENDENZE Pizza

visazione, in alcuni casi, e duplice: è quella di chi prova il passo dello street food senza avere le giuste competenze e soltanto con occhio al possibile guadagno, e di chi organizza gli eventi, senza conoscerne tutte le dinamiche. Mentre la burocrazia si avviluppa in regolamenti e ordinanze che non hanno respiro nazionale, ma molto spesso regionale o comunale. Si finisce così con il dover seguire regole diverse da regione a regione, provincia e provincia, comune e comune. Nonostante questo, la tendenza non registra flessioni. Lo dimostrano i numeri: nel 2016 c’è stata una crescita del 13% - fonte Coldiretti - delle imprese ambulanti. E c’è chi ha organizzato il primo corso per la qualifica di Street Food Specialist, rivolto a chi si sta affacciando su questa professione ma anche per chi già lavora nel settore. L’idea è della cooperativa sociale Dieffe Accademia delle Professioni di Padova. Il corso - che ha una durata di 600 euro, di cui 276 di stage – prevede lezioni di caffetteria e di marketing, di storia e cultura dello street food, di analisi merceologica. Ma anche uno studio delle tradizioni italiane e mondiali del cibo di strada.

LE CIFRE Più della metà dei food truck di nuova generazione in Italia ha la propria sede al Nord (la Lombardia è la regione più attiva), un terzo nel Centro e meno di uno su dieci al Sud. L’età media del trucker, in predominanza uomini, è di 41 anni. Nove su dieci hanno alle spalle almeno un altro mestiere e meno della metà ha imbracciato questa scelta perché appassionato di cucina, ma vede nello street food uno spazio di creatività e la giusta flessibilità. Il fatturato mensile lordo è di poco al di sotto dei 6000 euro, da cui si ricava mediamente un utile netto di 1600 euro. La spesa media per partecipare ad un evento si attesta tra i 1000 ai 2000 euro. Molto spesso sono eventi organizzati su tre giorni (e cinque turni): venerdì sera, sabato e domenica. Il target di pubblico maggiormente interessato è la fascia dai 25 ai 40 anni.

74

HANNO DETTO “La cucina asiatica è uno street food prettamente metropolitano. Nei piccoli centri fa più fatica ad imporsi, anche perché la tradizione gastronomica regionale è più forte”. (Giancarlo Zarattini – Gong Express) “Parlo per esperienza personale: tra un gazebo e un truck food bellissimo, lavora di più il gazebo, perché la gente vuole vedere sotto i suoi occhi la lavorazione. Sul mio truck, molto bello, è bastato spostare le spine della birra in una posizione più visibile per aumentare considerevolmente le vendite”. (Jean Crivelli - Truck food Oltrepò) “A volte il prezzo conta più della qualità, ma è vero che la gente ha voglia di cultura. Il commerciante classico fatica a fare street food: un conto è servire la gente, un altro è spiegare e fare cultura del prodotto”. (Jean Crivelli - Truck food Oltrepò) “Ogni regione ha i suoi regolamenti, anche a livello sanitario. Bisogna informarsi e capire come applicare determinate regole, come cambiano alcuni cavilli. Ma molti cominciano pensando sia soltanto un gioco”. (Giada Toffano – Agriturismo Viaggiante Street Food) “Ristorazione o street food, è sempre la qualità a fare la differenza. Ma nello street food occorre un’organizzazione perfetta, perché tempi e spazi sono ancora più ristretti”. (Luca Vici – Luca Street Food) “Non sempre il pubblico è curioso. A volte riscontro difficoltà perché il pubblico si avvicina ma non conoscendo il prodotto non sperimenta. Infatti ho avuto più successo in Romagna, dove il tortello fritto è molto conosciuto”. (Elisa Valbonesi – Retrogusto) “Velocità? Ho riscontrato che non è sempre un vantaggio essere troppo veloci: la fila richiama fila”. (Elisa Valbonesi – Retrogusto) “Speculare al risparmio sulla materia prima – nel mio caso i salumi – non avrebbe senso, sarebbe davvero stupido”. (Massimo Cuoghi – Mr. Max) “La dimensione ottimale è l’appuntamento medio – massimo 15 truck – e curato, organizzato nella piccola-medio città”. (Paola Tommencioni - Toscanacci on the road) “Il fritto è un prodotto che va sempre: è una golosità che per strada si mangia volentieri, mentre a casa è più difficoltoso farlo”. (Paolo Pacini - Noatri) “Lo street food è un ristorante a vista: c’è chi non sa farlo, e molte offerte sono improvvisate”. (Giuseppe Lippolis – Poco ma Buono)


FENOMENO

STREETFOOD

STREET FOOD STELLATO Lo street food, oltre a essere gourmet, può anche essere stellato? Può essere il cibo di strada una delle voci che - assieme ad eventi, banqueting, consulenze, tv - partecipa al bilancio finale delle aziende d’alta ristorazione? Ma soprattutto, l’alta ristorazione può trasferire le sue competenze sulla strada? Tra i primi è arrivato Mauro Uliassi, col suo mezzo avveniristico e colorato (nella foto in alto), una gastronavicella che racchiude tutta la filosofia dello chef di Senigallia. Sì, la sua alta cucina trova una sbocco pop, a partire dal cartoccio di pesce, il panino con la trippa e il celebre panino con la porchetta. Mentre alcune ricette classiche – seppie e piselli, per esempio – si sposano con il trapizzino di Stefano Callegari. Per le strade di Roma tocca invece all’Ape Romeo (qui sotto) portare in tour la filosofia che Cristina Bowerman e Fabio Spada hanno insufflato in Romeo Chef&Baker. Tra le proposte, panini (celebre il panino con pastrami di lingua), hot dog e fritti, e piatti pensati ad hoc per feste ed eventi privati. È il mix tra cibo quotidiano, piatti gourmet, prezzi accessibili a decretarne il successo.

75


TENDENZE Hot dog

Risalendo verso Nord, ecco lo chef bistellato Marco Sacco che recentemente ad un suo piatto iconico - la carbonara au Koque, ossia tajarin trafilati a mano, prosciutto della Val Vigezzo essiccato e salsa a base di tuorlo d’uovo, grana e gin - ha fatto abbandonare le sponde paciose del Lago di Verbania per riportarlo sulla strada. “Tre anni fa un’agenzia di Milano mi ha chiesto di progettare un’idea di street food – spiega Marco Sacco -. Ho pensato a tre linee di uscita, efficienti ed efficaci. Ho disegnato il truck ed è stato costruito”. Ma questo primo truck non porta la firma di Marco Sacco per le strade. “Spendere il mio nome su certe piazze non avrebbe avuto senso. Perché non è il mio pubblico, perché in fondo sono in pochi a conoscere per nome gli stellati italiani, se non sono i Cracco e i Cannavacciuolo famosi per la tv.

Però poi ho voluto fare una linea col mio nome, per portarla in eventi gourmet. Nasce così la carbonara au koque”. Adattato il truck con una station per la pasta, il concept ha preso il via lo scorso anno al Salone del Gusto di Torino ed è stato poi riproposto a Golosaria Milano. “Sul truck replichiamo esattamente quel che facciamo al Piccolo Lago. C’è la macchina per tirare la pasta, cuociamo, impiattiamo e serviamo. Tutto in 8 metri quadrati. Non abbiamo cambiato la ricetta, tranne piccoli dettagli. Eppure siamo capaci di servire con 4 persone 2000 piatti al giorno, a 8 euro l’uno”. Una sfida, un cambio di mentalità, un modo nuovo di proporre l’alta cucina al grande pubblico che non sia la formula del bistrot d’autore.

76

LO STREET FOOD

REGIONE PER REGIONE TRENTINO ALTO ADIGE PASTRAMI & CO. DI CASA LARGHER Perché una famiglia che da sette generazioni produce salumi tipici della tradizione trentina ha da qualche anno cominciato a sperimentare un prodotto di salumeria come il pastrami, ossia il muscolo del petto del bovino cotto, speziato e a volte affumicato? Perché in fondo non è così lontano dalla sua storia. “Il pastrami che si consuma tanto in Medio Oriente quanto negli Stati Uniti è nato dalla cultura yiddish nel cuore


FENOMENO

STREETFOOD

dell’Europa, tra Ungheria e Romania, in quell’Impero austro-ungarico di cui anche il Trentino faceva parte – spiega Loris Largher -. Quando lo abbiamo “scoperto” in Medio Oriente, abbiamo capito che già stavamo facendo un prodotto con la stessa tecnica – il prosciutto cotto speziato – utilizzando il suino al posto del bovino. Mentre il bovino è una materia prima che utilizziamo quotidianamente per la carne salada. Abbiamo dunque unito le nostre competenze e abbiamo cominciato a produrre il pastrami”. Dal 2015 Casa Largher gira il Nord Italia col suo truck che propone pastrami certificato halal in quattro versioni, a seconda delle speziature (la più gettonata è la Red Peppered con paprika e mostarda al miele) più il bacon di vitello. Nel 2017 lo vedremo per tutta la penisola. www.largher.it

ZIBO CUOCHI ITINERANTI Giulio Potestà e Alessandro Cattaneo, rispettivamente 29 e 31 anni, hanno frequentato l’Alma e vissuto importanti esperienze nelle cucine gourmet d’Italia. Ma il primo passo in autonomia, nel 2015, è stato un Ford Transit marrone scuro, e la strada. “È stata una scelta di libertà ed economica – spiega Alessandro – che ci ha permesso di farci conoscere ed apprezzare con un costo limitato. Una sorta di biglietto da visita, affiancato anche da catering e presto da un locale tutto nostro. Ma non abbandoneremo lo street food”. L’offerta è azzeccata: prodotti semplici ma curati, che denotano tecnica (“l’imprinting dell’Alma si può spendere a

LOMBARDIA GONG EXPRESS Una Renault Estafette del 1964 sfacciatamente gold è il truck con cui Giancarlo Zarattini dal 2015 propone il pad thai thailandese e altre specialità asiatiche come i roll vietnamit i e il ramen giapponese. Gong Express si può scovare tra le strade di Milano e gli eventi street food della Lombardia. Curiosità: se il gong è uno dei simboli dell’Asia (e la campanella è un richiamo al mondo della ristorazione), prima di ogni servizio sul Gong Express vibra una campana tibetana. www.gongexpress.com

qualsiasi livello: è una professionalità che serve sempre”) e ricerca del prodotto. “Abbiamo tre categorie di proposte. Da una parte c’è la rivisitazione dei primi piatti tradizionali, sotto forma di pasta ripiena, dove i condimenti classici – dalla carbonara, al pesto, dalla Norma al risotto al nero di seppia – diventano il ripieno della pasta fresca. Poi ci sono i sandwiches, realizzati con ingredienti preparati da noi: dal tonno sott’olio, al pastrami, dalla porchetta al salmone affumicato. Infine i fritti, di ogni tipo: primosale impanato nei corn flakes servito con salsa di cipolla, falafel, mondeghili, nuggets di pollo”. www.zibocuochiitineranti.it

77


TENDENZE

LUCA STREET FOOD La storia di Luca Vici è un caso modello. Ristoratore con locale a Torre Pedrera, località balneare nel comune di Rimini , decide di portare la sua esperienza su un truck. E visto che il suo è un ristorante di pesce, il cartoccio di pesce fritto diventa il cavallo di battaglia. “Lo proponiamo in due versioni: calamari, gamberi e verdure di stagione oppure fritto misto con paranza dell’Adriatico”. C’è anche la piadina, con i sardoncini marinati, misticanza di insalata, cipolla di Tropea cara-

TRUCK FOOD OLTREPÒ La storia di Jean Crivelli parte da un trascorso di 40 anni nel bar di famiglia con rivendita di prodotti enogastronomici. Passa attraverso un periodo di inattività. E prosegue con la nuova avventura on the road. La proposta è originale, e mescola la birra artigianale del Birrificio Oltrepò con il cioccolato di Pura Delizia. “Ho sempre trattato prodotti di alta qualità e ho voluto cercare di abbinare due prodotti di nicchia come la birra artigianale e il cioccolato”. www.facebook.com/truckfoodoltrepo

EMILIA-ROMAGNA AGRITURISMO VIAGGIANTE STREET FOOD Giada Toffano è una decana dello street food, visto che ha cominciato nel 2003, ben prima di ogni tendenza. “Tanto che il nostro agriturismo viaggiante lo abbiamo dovuto inventare noi: si tratta un traino senza motore a forma di casa, con veranda, che come una giostra si monta e si smonta ad ogni tappa”. Da buona romagnola, ha cominciato con i primi piatti della tradizione. “Ma abbiamo smesso subito, per dedicarci ad altro: i tortellini fritti, la patata tagliata a spirale con wurstel gluten free, gli hot dog con pane di canapa, l’hamburger rivisitato ad hot dog. Cerchiamo sempre di dare qualcosa di nuovo, anche se cambiando spesso città il cliente difficilmente è fidelizzato”. Con il suo Agriturismo Viaggiante Giada ha percorso tutta l’Italia, da Trieste a Gallipoli.

78

mellata e aceto balsamico di Modena servita come un kekab, e panini a base di pesce. “Parto sempre con due prodotti, e giro Nord e Centro Italia. Rispetto al ristorante, non deve scendere la qualità, e deve aumentare l’organizzazione: tutto deve essere razionalizzato e studiato, perché ti giochi il servizio in poche ore e non puoi rimediare ad eventuali dimenticanze”.


FENOMENO

STREETFOOD RETROGUSTO Le merende dell’Appennino toscoromagnolo vanno in giro su una Graziella Lander restaurata con gran gusto, e trovano in Elisa Valbonesi la giusta testimonial. È il progetto di Retrogusto, cominciato nell’estate dello scorso anno. “Col mio truck porto in giro le merende dimenticate del mio territorio. A cominciare dal tortello sulla lastra, ossia un tortello preparato con solo acqua e farina, riempito di patate, pancetta, parmigiano e pepe. C’è anche la versione con la zucca, tipica del paese di Santa Sofia. Viene cotto alla piastra, un tempo di pietra”. C’è poi “Otello nel mitico tortello”, un tortello fritto di pasta all’uovo, ripieno di ricotta e patate o ricotta e spinaci. E altri piatti come la polenta riscaldata di fagioli con Raviggiolo e il classicissimo dolce pane, vino e zucchero. www.facebook.com/retrogustostreetfood

MR. MAX L’OSTERIA DEL GNOCCO FRITTO Massimo Cuoghi, sulla strada Mister Max, propone “il” gnocco fritto di Modena - come da iscrizione alla camera di commercio – preparato con acqua, farina sale e lievito, fritto nello strutto di maiale e accompagnato da Mortadella di Bologna, Culatello di Parma, Coppa di Parma ma anche confettura di amarene brusche. “È la filosofia della vecchia osteria, dove l’oste dava il senso della convivialità: una boccia di lambrusco, una chitarra, lo gnocco fritto, ed è già poesia. Ma bisogna saperlo fare: il gnocco fritto va cotto al momento, e servito sempre in coppia, col salume in mezzo”. www.facebook.com/www.mrmaxontheroad.it

S

T

R

E

E

T

F

O

O

D

79


TENDENZE

TOSCANA TOSCANACCI ON THE ROAD 2010. Quando l’azienda in cui lavora il marito entra in crisi, Paola e Giuseppe decidono di investire su un truck e su una cucina “amorosa” di stretta impronta toscana. “Il cibo di strada è l’emblema della cucina popolare e ha senso solo se racconta della strada e porta con sé gli echi delle nostre radici” spiega Paola Tommencioni. Le radici in questo caso sono gli insegnamenti della nonna, che era cuoca, e della madre, altrettanto brava ai fornelli. Nei tegami finiscono il più classico degli street food toscani – il lampredotto – ma anche ribollita, trippa alla fiorentina, pappa al pomodoro, panzanella (in estate), schiaccia con l’uva (in settembre). www.facebook.com/Toscanacciontheroad

MARCHE IL FURGONCINO Il bozzo di una zampa d’elefante sul cofano racconta il passato della Citroën Type HY degli anni ’50 tutta gialla con cui Carlo Betti ha preso la via della strada l’8 marzo 2014. Il mezzo arriva da un circo, mentre Carlo dalla radio. E la sua passione per la musica – sul tetto del furgone ci sono due casse che diffondono buon rock’n’roll – si ritrova nei nomi dei panini gourmet che sono il fulcro dell’offerta gastronomica. C’è il Johnny Cash e l’Ozzy Osborne, il Califfo e il Patty Pravo, Lo

80

Skiantos e il Mick Jagger. Il Furgoncino percorre e sosta lungo la Via Emilia e la Romagna, ma è arrivato anche al nord (Milano, Bergamo, Padova), al ritmo speciale di pane, vino e rock’n’roll. www.facebook.com/IlFurgoncino


FENOMENO

STREETFOOD NOATRI Paolo Pacini viene da un’enoteca a Montegranaro, Nel 2014, chiusa l’attività, comincia a coltivare la nuova avventura, che diventa realtà nel maggio dello scorso anno. “Proponiamo tipicità marchigiane, dando spazio a must come l’oliva fritta ascolana e i cremini fritti, a ricette come il supplì agli gnocchi al sugo di papera e a panini gourmet. Nei panini andiamo a mettere preparazioni tradizionali del territorio: coniglio in porchetta, ciauscolo, fricandò, formaggi locali”. Il tutto in un Mitsubishi furgonato tre metri per due di grande impatto. “È importante offrire anche un po’ di show cooking. Io interagisco molto con chi ho davanti. Faccio domande, intrattengo. Insomma, un po’ di cinema”. www.facebook.com/NoatriStreetFood

PUGLIA POCO MA BUONO Giuseppe Lippolis arriva dalla vendita di prodotti pugliesi. Come molti, intuisce le potenzialità dello street food, e si lancia in una proposta forte dei capisaldo della sua regione. Così le orecchiette – che vengono impastate e preparate a vista – di grano arso impastato con vino Primitivo vengono condite con pomodorini, capperi e olive. Mentre le bombette pugliesi – capocollo di maiale con pancetta, caciocavallo, sale e pepe – sfrigolano alla brace. “Siccome il mondo del food, che sia ristorazione o street food - ha bisogno continuo di essere solleticato con novità, proponiamo sempre qualche novità. Per esempio, le orecchiette preparate con un mix di farina di canapa macinata a pietra e Senatore Cappelli impastate con Negramaro, oppure salsiccia di maiale cotta nel Primitivo e servita su cipolla e peperoncino”.

81


FENOMENO

STREETFOOD

TENDENZE

ANALISI E CONSIDERAZIONI

CAMPANIA JOHNNY PIZZA A PORTAFOGLIO Un’ape car con sopra un autentico forno a legna per la più classica delle pizze napoletane. E il takeuè diventa subito franchising, visto che oggi sono 5 le ape car in giro per l’Italia (e Londra). Le pizze, fatte al momento, sono servite “a portafoglio”, il modo tradizionale napoletano, piegandole in quattro avvolte in un foglio di carta paglia. “L’idea è nata nel 2012, è stata sviluppata ad hoc da amici ingegnieri e ha esordito nel 2013 alla notte bianca del Vomero – spiega l’imprenditore Giovanni Kahn della Corte -. Si tratta di una vera e propria pizzeria ambulante, con forno a legna dal peso contenuto in materiale refrattario con piano in biscotto di Sorrento. Prepariamo una classica pizza napoletana, con tanta cura e qualche accorgimento”. L’impasto è a lenta lievitazione (fino a 48 ore), le materie selezionate, ma il segreto sta nella farcitura. “La nostra pizza è all’ombra di pomodoro, ovvero con meno salsa, e con 40 grammi di fiordilatte: così la guarnizione non cola ed è facile assaporare la pizza addirittura passeggiando”. www.johnnypizzaportafoglio.it

SICILIA KOMPASTREETFOOD Arancine, crocché, ma anche la pizza fritta siciliana: il classico impasto della pizza fritto e condito con i condimenti tipici dell’isola, dalla versione alla Norma, alle acciughe e caciocavallo, fino alla cunzata. È l’offerta a km siciliani di Marco Pellerito, un passato da agrotecnico, un’esperienza in Portogallo e qualche corso di cucina alle spalle. “L’idea della pizza fritta prende spunto dalla tradizione, quando era condita con zucchero e rappresentava la classica merenda dei bambini. Un altro prodotto è la muffoletta di San Martino: un pane arricchito con salsiccia a cui aggiungiamo ricotta, melanzane fritte, riduzione di vino rosso e mandorle tostate”. Nel futuro, ci sarà una roulotte vintage, per poter muovere l’attività anche al di fuori dei confini siciliani. www.facebook.com/kompastreetfood

82



TRAVELFOOD

MAGICA INDIA

TRA PALAZZI MAESTOSI E PAESAGGI STRUGGENTI

di

Luigi Di Fronzo

Sontuose residenze da Mille e una notte, feste vorticose che eccitano i sensi tra fiammate di profumi e colori accesi, villaggi nei quali pulsa una vivacissima tradizione popolare. Con i suoi frenetici bazaar, i viottoli polverosi popolati di mucche sacre e le haveli rosse o giallo ocra impreziosite di affreschi pittoreschi, l’India è una reboante follìa, una sferzante provocazione gettata in pasto all’occidentale cartesiano. Un posto magico dove in ogni regione si mescolano tradizioni svariate che emergono anche nella moltitudine di festività sparse praticamente in ogni periodo dell’anno: in special modo nel nord ovest del Rajasthan (plasmato di castelli, fortezze e mausolei d’epoca Moghul) e in prossimità della punta a sud nel Kerala dove emerge un tipico paesaggio orlato di palme conradiane, piantagioni da tè e spiagge tropicali. Qui yoga, meditazione e mondo ayurvedico sono paesaggi obbligati dell’anima, prima ancora che del corpo, con un must del viaggiatore. Ma imperdibile è anche la porta d’accesso di New Delhi: l’antica città dei Pandava descritta nel Mahabharata – caotica, misteriosa e con struggenti oasi magiche come il sepolcro di Humayun che sembra lievitare nell’aria dai giardini circostanti – dove la prima assordante impressione è di farsi largo nel caotico paesaggio sonoro di taxi, camion e tipici rik-shaw. Un’impronta che resta anche al passaggio sotto le imponenti mura del Purana Qila (la fortezza rossa che rievoca gesta antiche di battaglia) o sul cortile della grandiosa Jama Masjid, la più grande moschea dell’India costruita a metà del Seicento, dal cui spiazzo antistante l’edificio dominato da torri e minareti si può ammirare la città. Tutto per non parlare delle varie dimore occidentali stile bri-

84


INDIA

tish, dove sui prati verdeggianti pettinati all’inglese si consuma ancora a metà pomeriggio l’immancabile rito del tè. Anche se è addentrandosi nel cuore del Rajasthan che si tocca con mano il miraggio di città, nelle quali secoli fa facevano tappa le lunghe carovane di elefanti e cammelli. Qui non è raro restare abbagliati dai colori luccicanti di teli, sandali, veli e bracciali: nomi esotici come Jaipur, la città rosa racchiusa da mura merlate, oppure Pushkar dove tuttoggi i cammellieri con turbante di Thar agghindano le loro «navi del deserto», specie quando la fiera si anima in una fiumana inarrestabile di mistici, fedeli, trafficanti e brahmini. Tra i luoghi imperdibili ci sono Jaisalmer - costruita sul ciglio del deserto – da cui si erge un imponente castello di sabbia – ma anche Udaipur sospesa sulle acque di due laghi e Jodhpur, la città blu per via del colore più nobile dei brahmini: di fatto l’antica capitale del regno dei Marwar, il cui borgo vecchio appare ancora adesso come un’incredibile dedalo di viuzze medievali dove sono accatastati in un disordine folle e irragionevole vecchi bazaar, negozi improbabili, ruvide botteghe e templietti storici. Poi da Dehli si può sempre raggiungere Agra (nello stato dell’Uttar Pradesh) dove oltre all’immancabile Forte e alle inquietanti rovine di Fatehpur Sikri si erge il fiabesco e marmoreo Taj Mahal: simbolo iconografico dell’India, che Kipling vedeva come «l’incarnazione di ogni purezza». Finchè c’è l’approdo in Kerala, la terra degli dei dove le acque dei canali sono meta di fascinose gite su case galleggianti e a Munnar si resta folgorati da colline e piantagioni di tè, immerse nel buio caliginoso della nebbia. Un altro approdo nella natura incontaminata dove le sapienti tecniche ayeurvediche vi promettono un programma tonificante, da consumarsi tra una doccia sotto la cascata di Athirampally e magari un giro avventuroso sull’idrovolante.

L’INDIA A TAVOLA Il confortante arricchimento che allevia le fatiche del viaggiatore è rappresentato dall’arte culinaria. Una cucina, quella indiana, che vanta un’incredibile fantasia di piatti a base di legumi, cereali, spezie e prodotti caseari capaci di rammentare i favolosi banchetti regali. Soprattutto a nord un pasto non è completo senza l’utilizzo di una dose abbondante di roti, il pane non lievitato che viene cotto in piccole forme arrotondate. Con il roti (o la variante del puri, ottenuto friggendo un impasto di pane integrale che poi diventa facilmente una soffice pallina croccante) e l’immancabile riso bashmati si gusta meglio l’incredibile varietà di pietanze tipiche: dahl (lenticchie), cereali – impreziositi di cumino, sale, olio e fresco coriandolo – ma anche carni come quelle di capra (il mutton, soprattutto a nord), l’agnello e il pollo. Eppure è tutta vegetariana, manco a dirlo la filosofia a tavola: nei ristoranti dominano un po’ ovunque piatti di verdure con curry e formaggi pressati (paneer) serviti prima di un amabile lassi a base di yogurt e acqua ghiacciata. Mentre per chiudere il pasto non c’è che il paan (mistura fragrante di noci di betel, condita di spezie e pasta di lime) o anche il kheer: tipico budino di riso indiano degustato fra una dose di chai (tè, con più latte che acqua) o caffè, fatto di una miscela di latte bollito, zucchero e acqua. Non irresistibile certo, se si prediligono quelli mediterranei di casa nostra.

85


TRAVELFOOD

GLI HOTEL MANDAWA HOTEL CHODBAR HAVELI Conosciuta in tutto il mondo per le sue haveli affrescate Mandawa – da secoli meta ideale di passaggio per caravane di mercanti - è un museo a cielo aperto di case decorate, cenotafi (monumenti sepolcrali), templi e pozzi a gradini. Si può soggiornare all’Hotel Chobdar Haveli che ha stanze di vari colori (blu, bianche e nere, verdi o arancio) impreziosite da deliziosi disegni floreali, oltre a molti arredi e mobili d’epoca. C’è anche un roof, classico tetto all’indiana delimitato da mura di pietra, da cui si domina la città. hotelchodbarhaveli.com

JAISALMER – JASMIN HOME A un kilometro circa dalla storica fortezza di sabbia, il Jasmin Home è un delizioso boutique hotel che mescola con abilità e buon gusto il profumo d’oriente alla cu-

86

ra raffinata nei dettagli. Pulizia assoluta, ampie camere con bagni spaziosi, una calorosa accoglienza e la sufficiente lontananza dal caos cittadino sono i segreti di quest’oasi di tranquillità che ha nella terrazza-ristorante una vista impagabile sulla città. Si organizzano anche safari e gite in cammello, al tramonto come all’alba.www.jasminhome.com

JAIPUR, HOTEL MEGHNIWAS Una casa affascinante costruita negli anni Cinquanta. Bianca come una residenza imperiale, l’ampio giardino retrostante (e una deliziosa piscina) è in grado di assicurare una tranquillità assoluta, al di

UDAIPUR, HOTEL UDAI GARH E POONAM HAVELI Nella città sul Lago Pichola sono due i luoghi di piacevole ristoro. Se vi piace ricordare l’atmosfera esotica del film Marigold Hotel (girato nel 2012) (foto qui sotto) non mancate l’Udai Garh: pro-

prio qui furono girate le scene di questa storia in cui un gruppo di pensionati britannici approdano in India, attratti da esotismo e lusso, in balìa dello stravagante proprietario Sonny Kapoor. Restaurato secondo i criteri dei viaggiatori eco-friendly ha una pregevole piscine, dislocata sulla terrazzo superiore da cui si domina l’imponente City Palace. L’alternativa fruibile e a due passi è il Poonam Haveli. Elegante, nel cuore della città, disegnato con gusto e qualche ritocco occidentale dalla proprietaria francese Sonia e dal marito-manager Hemant. www.udaigarhudaipur.com www.hotelpoonamhaveli.com

fuori del caotico traffico di Jaipur. Tutto merito del comandante di brigrata Singh, in uno stile molto old british, che per il suo Maghniwas ha creato a suo tempo camere immacolate e confortevoli, più un eccellente ristorante che serve tuttora deliziosi piatti di cucina locale. www.meghniwas.com TRIVANDRUM - HCYNTH BYSPARSA Un magnifico boutique hotel nel cuore di Trivadrum, quasi sulla punta dell’India. Ricercato nel design, attento alle decorazioni e confortevole per il viaggiatore: di più, con un ristorante con dehors all’aperto dal nome tutto italiano («Alfresco»),


INDIA

molto attento alle tradizioni dell’India tropicale: tra i piatti tipici c’è ad esempio il classico Hyderabadi Biryani a base di riso, verdura, spezie, carni e frutta secca (di cui esiste anche un variante a nord e in Pakistan) oppure il Malabar fish curry,

INFO India Tourism Milan Via Albricci, 9 - Milano - Tel. 02 804952 www.indiatourismmilan.com - www.incredibleindia.org

sud dell’India. Un angolo di paradiso sovrastato da vegetazione tropicale e palme di cocco, la cui lunga cornice di scogliera si percorre accompagnati da suoni di musica trance e petulanti richieste di venditori indiani. www.palmtreeheritage.com/ ALLEPPEY – PUNNAMADA RESORT Eleganti cottages in stile tropicale immersi nella vegetazione, prati all’inglese che si affacciano sul Punnamada Lake e un centro per sedute ayurvediche e di yoga. Votato al turismo eco-responsabile il Punnamada Resort offre anche attività extra come il giro sulla classica Houseboat (la romantica barca a motore) nella fitta rete di canali. Si toccano villaggi di pescatori,

fatto di pesce condito di cocco e zenzero. L‘hotel vanta anche una piccola, immacolata piscina all’ultimo piano. www. hycinthhotels.com VARKALA – PALM TREE HERITAGE Un piccolo, prezioso resort eco-friendly sulla costa del Kerala a due passi dalle spiagge oceaniche di sabbia, dove è facile concedersi qualche rilassante seduta di massaggio ayurvedico. Con alcune unità individuali e un piccolo ristorante da cui non è raro scorgere il passaggio dei delfini, il Palm Tree Heritage è a ridosso da Varkala: località ruspante, parecchio alternativa (divenuta una meta decisamente popolare per la schiera di backpackers) a

risaie, dimore sull’acqua e tipiche rivendite di toddy (il vino di palma), magari per assistere anche alla colorazione della fibra di cocco. www.punnamada.com

COCHIN - TISSA’S INN A Fort Cochin, dove si respira un’atmosfera coloniale fiammingo-portoghese, una scelta apprezzatissima è il Tissa’s Inn: la dimora circondata di palme appartenuta all’avvvocato e filantropo V.K.Hamza ha nove stanze imbiancate e alle pareti oggetti, sculture, piccole statue antiche in legno pregiato. Tra i punti di forza il ristorante, dove si assaggiano piatti indiani mescolati a inflessioni mediterranee (soprattutto pesce come scampi, gamberi, calamari, ma anche aragoste) oltre alla vicinanza con tutti i punti da visitare: la sinagoga (vecchia di 400 anni) e le chiese cattoliche di St Francis e Santa Cruz.

87


ILFOCUSDIALESSANDROMAGNUM

a cura di

Alessandro Rossi esperto di vino, bon vivant, fondatore del Premio “Dire Fare Sognare”

QUANTO COSTANO I VINI PIÙ CARI E PREZIOSI AL MONDO Se è vero che è la domanda che fa l’offerta, se è vero che per quanto riguarda i vini rari i prosumers sono una piccolissima nicchia elitaria (sarà corretto parlare di prosumer, nel caso di un consumatore passivo che genera valore per l’azienda e dunque è parzialmente responsabile di un prodotto che (non) consuma?), le aste enologiche esistono e confermano il trend positivo dei vini pregiati. Ciononostante, non posso fare a meno di interrogarmi sul prezzo esoso dei vini rari e pregiati, beni voluttuari che non saranno mai degustati.
Io sono per la qualità, sempre e comunque. Per il buon vino, quello che ti emoziona e ti seduce al primo assaggio. Spendo tanto per ciò che mi piace, ma non spenderei più di tanto per ciò che mi piace e che non posso avere! Perché, una volta stappata, la bottiglia va consumata: non puoi berne un sorso e metterla da parte! Ed oltre l’emozione, che ti resta impressa nella mente, finita la bottiglia quel vino fa immediatamente parte del tuo passato. Avere una bottiglia rara deve

88

significare vivere una tentazione continua, la tentazione di bere e dissipare in un sorso una cifra importante! Personalmente preferirei comprare un quadro da tenere esposto adottando le dovute precauzioni di sicurezza: lo guardo, lo tocco soltanto, ma posso urlare al mondo che è mio! Questo può essere un mio pensiero, propabilmente non condivisibile. Per il vino si può sicuramente perdere la testa, io l’ho persa effettivamente, sicuramente molti continueranno a perderla: esistono infatti grandi collezionisti in tutto il mondo che hanno anche il diritto, se vogliono, di perderla. Spesso la passione per una bottiglia non è intrinsecamente legata al pregio del suo contenuto, ma anche alla storia che sta dietro alla sua produzione. Chi ha la paternità del vino più prezioso purtroppo non è l’Italia, ma i nostri cugini d’oltralpe e anche altre zone geografiche del mondo. Ma quanto costano i vini più pregiati? Non ci sono cifre, a volte, che possano identificare il prezzo di un vino, perché i vini a volte non hanno prezzo. Non sempre si acquista vino per il piacere di berlo: talvolta lo si fa come investimento o per impreziosire la propria collezione privata. In questi casi, e in presenza di bottiglie particolarissime, le cifre possono diventare assurde.


ILFOCUSDIALESSANDROMAGNUM

ALCUNI DEI VINI PIÙ COSTOSI BATTUTI AD ASTE O COMPRATI DA COLLEZIONISTI CABERNET SAUVIGNON DI INGLENOOK, 1941 Euro 18.125 L’azienda è oggi di proprietà di Francis Ford Coppola grazie ai soldi guadagnati con il film Il Padrino. L’azienda è stata fondata nel 1879 da un capitano della marina finlandese negli anni ’40 e produceva sicuramente uno dei migliori vini degli Stati Uniti. È sicuramente una delle bottiglie di vino statunitense più care in assoluto ed è stata venduta nel 2004 ad un’asta. Il produttore è la casa vinicola Inglenook della Napa Valley, in California. ROMANÉE-CONTI DI DRC, 1990 Euro 20.650 Senz’altro il vino più famoso ed ambito al mondo: RomanéeConti, un nome che tutti gli amanti del vino conoscono. La Romanée-Conti nasce in poco più di un ettaro di terra nel cuore della Borgogna, a Vosne-Romanée nella Côte d’Or. È un Pinot Nero in purezza e nel 1996 la casa d’aste Sotheby’s ne ha battuta una cassa da otto bottiglie per 132.880 sterline, circa 20mila euro a bottiglia. GRANGE HERMITAGE DI PENFOLDS, 1951 Euro 28.222 Il Grange di Penfolds è un vino australiano prodotto da uve Syrah ed un piccolo saldo di Cabernet Sauvignon. E’ il vino più importante dell’azienda. L’annata del 1951 è molto rara perché ne esistono solamente una ventina di bottiglie. Questo ha determinato il valore d’asta per questa bottiglia. SHERRY DI MASSANDRA, 1775 Euro 31.953 È il vino liquoroso più antico prodotto dalla casa vinicola di Massandra, situata in Crimea. Il prezzo strappato durante un’asta organizzata da Sotherby’s nel 2001 è dovuto soprattutto all’età e ne fa lo Sherry più costoso del mondo. SAUTERNES DI CHÂTEAU D’YQUEM, 1787 Euro 73.456 Quando ci si appassiona al vino uno dei primi nomi a scuotere l’immaginario è sicuramente Yquem, lo Chateau nel Sauternes unico per storia, tradizione e fama. Sono vini considerati immortali e possono sfidare veramente le curve del tempo. Ad aggiudicarsi la bottiglia record è stato, nel 2006, un collezionista statunitense che ha mantenuto l’anonimato.

CHATEAU MOUTON ROTHSCHILD, 1945 Euro 84.191 Chateau Mouton Rotschild é uno dei vini piú famosi al mondo ed anche uno dei piú antichi, la cui storia inizia nel lontano 1680. Lo Chateau rimase fino al 1780 in possesso della famiglia aristocratica dei Segur, proprietari anche di Chateau Lafite Rotschild e Chateau Latour. Nel 1853, il barone Nathaniel de Rothschild comprò Brane-Mouton e lo ribattezzò Mouton Rothschild. Anche questa bottiglia (un Jéroboam, ovvero tre litri) è stata acquistata da un collezionista anonimo ed è stata battuta durante un’asta di Christie’s nel 1997. CHÂTEAU CHEVAL BLANC, 1947 Euro 99.257 Nel 1954 Château Cheval Blanc venne nominato “Premier Grand Cru Classé A” a Saint-Émilion, ricevendo così la qualificazione più alta conferita ogni 10 anni ai più prestigiosi Chateaux di quella zona. Questa bottiglia (anche in questo caso si tratta di un Jéroboam) è stata battuta ad un’asta nel 2006 a San Francisco. L’esperto di vini di Christiès, Michael Ganne, ha sottolineato che lo Cheval Blanc appena aggiudicato «è indubbiamente uno dei più grandi Bordeaux di tutti i tempi». Fra l’altro, per la sua longevità, «può essere ancora conservato e degustato fra 50 anni senza alcun problema». CHÂTEAU LAFITE, 1787 Euro 117.530 Primo fra i primi nella storia dei crus classés nel 1855 della zona di Bordeaux, Château Lafite Rothschild è uno dei grandi produttori di Pauillac. Questa azienda produce Bordeaux sopraffini. Inoltre, la bottiglia ha fatto parte della collezione privata del Presidente Thomas Jefferson, insieme allo Château d’Yquem che sta in sesta posizione. Ora appartiene all’editore Malcolm Forbes, quello della rivista Forbes, che l’ha acquistata nel 1985. CABERNET DI SCREAMING EAGLE, 1992 Euro 228.228 In assoluto la bottiglia venduta al prezzo più alto è una sei litri di Cabernet Sauvignon Screaming Eagle del 1992 che fu battuta a un’asta benefica nel 2000 alla vertiginosa cifra di 500.000 dollari. Questo rosso, prodotto da una casa vinicola californiana, occupa la vetta in virtù dei soldi spesi nel corso di un’asta del 2000.

89


VINARIA

VEDERE PRIMA NON VUOL DIRE SEMPRE VEDERE MEGLIO PROSPETTIVE E PROBLEMI DELLE ANTEPRIME VINI di

Marco Tonelli

Anteprime vini. Una preview, ma in molti casi anche qualcosa di più. Senza arrivare ai paradossi di alcuni critici stranieri che assaggiano, e giudicano, vini di annate che usciranno sul mercato solo 8/10 mesi dopo, l’inizio del 2017 è da sempre pieno di anticipazioni relative ai vini di casa nostra. La democrazia dell’anteprima non lascia fuori nessuno, dal grande pubblico che compra il vino per davvero, fino ai critici, o presunti tali, per altro sempre più spesso numericamente non inferiori alle presenze dei winelover. Non si tratta solo di successo di queste manifestazioni, ma del fatto che il web abbia accresciuto notevolmente le possibilità di diventare, o presumere di essere, critici, esperti, opinion leader. In

90

realtà le anteprime possono essere più che mai difficili, persino per un professionista. Servono anni di frequentazioni relative ai vini e ai rispettivi luoghi di produzione, per effettuare una valutazione su come sarà quell’annata e sulla sua effettiva capacità d’invecchiamento. Per esercitare quest’analisi con meno variabili possibili, non servono sfere di cristallo, ma palato e memoria gustativa. Non tutti calciamo il pallone con la stessa eleganza di un top player, ma alla stessa maniera non tutti avremo la stessa capacità degustativa e o la medesima memoria. Chi ce l’ha visiva, chi olfattiva, chi gustativa e chi un mix di tutte queste. Un dono che va allenato con visite sul campo - pardon sul vigneto - oltre a


ANTEPRIMEVINI

quel training determinato dall’assaggio di vecchie bottiglie di diverse annate, per vedere come quel vitigno, di quel cru, prodotto da quel vigneron, possa affrontare un’annata buona e una meno buona. Non basta perciò aprire la bocca per assaggiare, aprire un portatile per scrivere o persino aprire un profilo social, per sapere di vino. La prima anteprima importante del 2017 è stata quella andata in scena a Verona, dove il Consorzio Tutela Vini Valpolicella ha presentato l’annata 2013 relativa all’Amarone. Il giudizio su questo millesimo? Complesso. Accanto alla tendenza decisamente dolce di molti Amarone, bisogna segnalare come diversi campioni sugli oltre 80 assaggiati, provenissero ancora dalla botte e non da bottiglia. Un anticipare i tempi, forse sinonimo di un voler arrivare prima, che tuttavia ha rischiato di appiattire gli assaggi, rendendo al tempo stesso difficoltosa la lettura nel bicchiere di un’annata, come la 2013, che è stata buona, ma da un punto di vista delle aree di produzione molto a macchia di leopardo. Tanti, per fortuna, continuano a fare Amarone, quello vero, in cui la morbidezza è soltanto un lato del carattere di una tipologia che di personalità ne ha da vendere. Spostandoci in Toscana le novità sono 2012 Brunello e 2015, con qualche azienda ancora con il 2014, nel Chianti Classico. Alla fine il Sangiovese, vitigno molto incline ad assumere le caratteristiche del luogo di produzione, viene a essere un comune denominatore solo sulla carta. Nel bicchiere infatti emergono 2012 di Montalcino già piuttosto aperti e comunicativi, oltre che più eleganti rispetto ad un’altra annata calda come era stata la 2010 che invece mostrava più materia, ma meno facilità di beva. In quest’annata, la 2012 intendo, sono anche meno evidenti le divisioni geografiche dei vari versanti, con quello sud, di solito più temperato, in cui i produttori hanno lavorato sull’eleganza trattenendo, dove possibile, la potenza. Le cantine della zona nord (area invece notoriamente più fresca) saranno probabilmente anche in futuro quelle che avranno vita più facile, soprattutto in rapporto a questioni legate al riscaldamento. In generale anche in un’annata molto buona come questa ‘i manici’, intesi come aziende leader, sono sempre sulla breccia. Salendo verso il Chianti Classico al di là delle differenze territoriali di quest’area piccola, ma complessa sia dal punto di vista delle altitudini sia da quello geologico, l’annata, anche in questo caso molto buona (2015), ha portato un piccolo ma decisivo cambiamento. Quello per cui molti produttori hanno deciso di non concentrare troppo i vini, privilegiando un sorso maturo, ma al tempo stesso scorrevole e di conseguenza facilmente bevibile. Una contemporaneità legata in molti casi alla tipicità, che spererei di rivedere anche nei Chianti Classico del prossimo anno.

AMARONE 2013 CONFERMA Ca’ Rugate Amarone della Valpolicella Punta Tolotti SORPRESA Sartori Amarone della Valpolicella Classico Reius PERPLESSITÀ Roccolo Grassi Amarone della Valpolicella

BRUNELLO DI MONTALCINO 2012 CONFERMA Casanova di Neri Brunello di Montalcino Tenuta Nuova SORPRESA In realtà un’altra conferma, per Capanna Brunello di Montalcino PERPLESSITÀ Argiano Brunello di Montalcino

CHIANTI CLASSICO 2015 CONFERMA Castello di Monsanto Chianti Classico SORPRESA Stomennano Chianti Classico PERPLESSITÀ Félsina Berardenga Chianti Classico

91


VINARIA

LA GUERRA DELLE BOLLICINE SI CHIAMERÀ ASTI SECCO IL NUOVO SPUMANTE CHE ANDRÀ A COMPETERE CON IL PROSECCO di

Gianluca Ricci

Si chiamerà, con ogni probabilità, Asti Secco e diventerà nelle intenzioni dei vignaioli piemontesi il nuovo fiore all’occhiello della produzione dell’Asti doc, già oggi una delle realtà più prolifiche (80 milioni di bottiglie) dello scenario enologico italiano. La modifica del disciplinare, ufficialmente avanzata a Roma qualche mese fa, è stata definitivamente approvata dalla commissione tecnica del Ministero per le Politiche Agricole: se la procedura, a scanso di sorprese dell’ultima ora, farà il suo corso regolare, nel giro di qualche mese le oltre 1100 aziende che fra le provincie di Asti, Alessandria e Cuneo danno vita al Moscato più famoso del mondo potrebbero destinare parte delle uve alla realizzazione di una nuova tipologia di spumante dal tono zuccherino decisamente inferiore all’originale in modo da mettere in bottiglia una bollicina secca in grado di accompagnare gli appassionati lungo tutto il pasto. Una nuova frontiera, insomma, già ampiamente benedetta dalle autorità locali e dagli addetti

92

ai lavori: “L’Asti secco – ha dichiarato in proposito Giovanni Satragno, presidente dell’associazione produttori piemontesi – è una semplice variante del più noto vino e, se realizzato secondo quanto previsto dalla nuova regolamentazione, potrebbe risolvere i problemi legati alla crisi del Moscato”. Inutile girarci tanto intorno: nonostante tutti si affannino a giustificare


ASTISECCO

l’operazione come il tentativo di valorizzare ulteriormente un vitigno che tanto ha dato ai vignaioli locali (non va dimenticato che l’Asti è il vino docg più esportato del nostro Paese e uno dei più conosciuti al mondo), sono molti coloro che si interrogano sulla reale portata dell’iniziativa. Se è vero che la versione a secco dell’Asti non sarebbe una novità, visto che ai primi del Novecento erano in molti a produrre l’Asti champagne, altrettanto vero è che si trattava di un esperimento nemmeno tanto apprezzato, visto che le conoscenze enologiche dell’epoca non garantivano di poter gestire adeguatamente la completa fermentazione di un moscato e la inevitabile deriva verso spiacevoli percezioni amare che ne avevano bloccato lo sviluppo. Oggi però la scienza in cantina ha fatto passi da gigante e la produzione di un secco gradevole è diventata meno problematica. Il che non giustifica di per sé il gran passo che in Piemonte si è deciso di compiere.

SECCATI I PRODUTTORI DEL PROSECCO Più velenosi i commenti dei naturali competitor del nuovo spumante, ovvero i produttori del Prosecco: “È innegabile che in Veneto la notizia sia stata accolta con preoccupazione – ha dichiarato Stefano Zanette, presidente di Sistema Prosecco, la società in cui si sono riuniti i tre consorzi che reggono le sorti delle bollicine più note e vendute del mondo – Il timore infatti è che il nuovo Astisecco finisca per creare confusione nel consumatore medio e per vanificare la lotta che da anni conduciamo contro qualsiasi tentativo di richiamare una denominazione, la nostra, che è unica e protetta. Non è un

93


VINARIA

mistero che da più parti si sia tentato di inserire artatamente il termine secco in etichetta in modo da scimmiottare il suono che richiamerebbe al vino che in assoluto ha il riferimento più chiaro con quella assonanza”. In effetti quanti vini nel mondo provano a diventare “qualcosasecco” pur di avvicinarsi, se non altro in etichetta, al più noto originale? Il timore dei produttori trevigiani è che si tratti di un’operazione esclusivamente mirata a dare vita ad un Prosecco bis nel tentativo di forzare un mercato che negli ultimi anni ha mostrato un’estrema disponibilità ad accogliere e valorizzare questa tipologia di charmat. “Di recente – ha aggiunto Zanette – abbiamo intensificato le azioni volte a contrastare questo genere di operazioni: in collaborazione con il Ministero per le Politiche Agricole e fortificati da recenti sentenze della Corte di Giustizia Europea, stiamo per definire una strategia che consenta di vanificare qualunque tentativo di realizzazione di vini in cui la parola “secco” venga a generare confusione nel consumatore”.

94

PROSECCO: TENTATIVI DI IMITAZIONE Recentissimo il caso del Riosecco, uno spumante di produzione brasiliana i cui creatori tentavano di giustificare la denominazione come se si trattasse del “Prosecco delle Olimpiadi di Rio”, per non parlare dei tanti Rosecco, Brosecco e Orosecco inesorabilmente condannati all’oblio da mirati interventi normativi. O – ed è notizia recentissima – del nuovo Progrigio, spumante di uve glera e pinot grigio in cui ad evocare il più illustre vino di riferimento non è il suffisso ma addirittura il prefisso. Il timore dei produttori di Prosecco è dunque che il nuovo Asti Secco tenti di seguire la strada del cosiddetto “italian sounding”, con l’aggravante che a farlo sono proprio degli italiani. Come visto, molti ci hanno già provato, fortunatamente frenati da prospettive giudiziarie non proprio edificanti, ma ancora nessuno lo aveva fatto partendo dal Paese di origine. Da Asti fanno però sapere, per bocca del direttore del Consorzio Giorgio Bosticco, che “l’Asti Secco si può semplicemente trasformare nella piacevole integrazione di una denominazione storica, l’Asti dolce, e può rappresentare l’occasione per implementare consumi aggiuntivi. Si tratterà pur sempre di un prodotto unico, dalla forte identità territoriale e dalle caratteristiche organolettiche facilmente definibili e identificabili”. Inoltre, come ha rimarcato il presidente dello stesso consorzio, Gianni Marzagalli, “il termine secco non è un marchio e, come tale, nessuno può invocarne la proprietà esclusiva. La nostra intenzione non è certo quella di scopiazzare quello che fanno i vignaioli veneti né tanto meno minacciarne le specificità. Il nostro obiettivo è quello di incrementare il nostro mercato affiancando al tradizionale Asti spumante un nuovo prodotto”. Dichiarazioni che non hanno fatto seppellire l’ascia di guerra ai colleghi trevigiani, pronti a fare le barricate per tutelare l’esclusività del loro brand. “Attendiamo di verificare in quali modi verrà declinato il nuovo disciplinare – ha infatti controbattuto lo stesso Zanette – e se lo riterremo opportuno intraprenderemo tutte le iniziative volte a tutelare i nostri diritti”. La guerra delle bollicine è solo agli inizi.


Il buon gusto dell’abbonamento

Da 33 anni la prima rivista in Italia per la ristorazione di qualità. Anche on-line sul sito www.lamadia.com Sì, sottoscrivo un abbonamento annuale a La Madia Travelfood* Base E 40

Italcuochi Senior E 80

* 10 numeri per 12 mesi

Sostenitori e Estero (cee) E 100

Italcuochi Junior E 50

Informativa ai sensi dell’art. 13 D.lgs. 196/2003 - Ai sensi dell’art. 13 D.lgs. 196/03 - Codice Privacy, La informiamo che i dati da Lei liberamente conferiti verranno trattati, mediante strumenti cartacei e digitali, dal Titolare La Madia S.r.l. al fine di gestire il servizio richiesto. Il conferimento dei Suoi dati è facoltativo, tuttavia il rifiuto a fornirli comporta l’impossibilità di dar seguito alla Sua richiesta. Il rilascio dell’indirizzo mail è facoltativo, ma ci permetterà di contattarla rapidamente per eventuali comunicazioni inerenti al servizio. Inoltre previo consenso, i Suoi dati - mediante modalità tradizionali ed automatizzate (inclusi mail e posta cartacea) - potranno essere: a) utilizzati per l’invio di materiale informativo e promozionale da parte del Titolare, nonché b) comunicati alla controllante Cose Belle d’Italia S.p.A. per l’invio di materiale informativo sulle attività, eventi ed iniziative promossi dalla stessa. I Suoi dati potranno altresì essere comunicati a soggetti autorizzati in quanto svolgono attività strumentale e funzionale al raggiungimento delle finalità in parola (es. società che gestiscono il sistema informativo o che effettuano la postalizzazione del materiale informativo). I Suoi dati non saranno diffusi. Per esercitare i diritti di cui all’art. 7 D.lgs. 196/03 potrà rivolgersi al Titolare del trattamento La Madia S.r.l., via Pacchione 365 - Cesena (FC), o, in caso di consenso alla comunicazione dei dati e all’invio di materiale informativo proprio, alla co-titolare Cose Belle d’Italia S.p.A., via Lanzone 31 - Milano. Letta l’informativa di cui sopra, ai sensi dell’art. 23 Codice Privacy acconsento al trattamento dei miei dati: per le finalità di cui al punto a):

Nome

NO - Per le finalità di cui al punto b):

NO

Cognome

Ristorante

MODALITÀ DI PAGAMENTO

Indirizzo

Bonifico Bancario

Città Tel Data

Cap Prov

E-mail

Assegno Bancario non trasferibile

intestato a la madia srl

Firma

Compilare il coupon in stampatello e inviarlo a: La Madia srl - Via Pacchioni, 365 - 47521 Cesena (FC) bonifico bancario a La Madia srl su Banca per lo Sviluppo della Cooperazione di Credito spa - IBAN IT56Z0313923903000000158277 Il servizio di fornitura dei numeri arretrati viene effettuato esclusivamente agli abbonati paganti


Buone Nuove

le novità del mese

IL GUSTO E LA QUALITÀ KNORR, SENZA GLUTINE

BN

I nuovi Brodi Granulari Senza Glutine, di Manzo e di Verdure, completano l’ampia offerta di prodotti senza glutine di Unilever Food Solutions, già disponibili per i professionisti in cucina. Oltre 50 referenze per creare facilmente e velocemente tante ricette originali e gustose, senza glutine. Ricette su www.istitutoeccelsa.it

www.unileverfoodsolutions.it

LA GOLOSA OFFICINA A FANO

Appena nati… e già premiati

BN

LA PASQUA FIRMATA LOISON

BN

La Pasqua firmata Loison vede nascere un gusto inedito: la Colomba Camomilla e limone. Alle note fresche e intense del solare agrume si unisce la profondità della fragranza del fiore di camomilla. Nella collezione, in perfetto Stile Sonia Design che omaggia la ricorrenza della Pasqua nel pieno risveglio della primavera con confezioni d’alta pasticceria d’epoca, un dono nel dono: la colomba nel sacchetto in stile country. Tre varianti in pregiato cotone per differenziare i gusti proposti, nell’importante pezzatura da un chilo: Colomba Classica a.D. 1552, al Mandarino Tardivo di Ciaculli (presidio Slow Food), Amarena e Cannella. Anche la Latta “Limited Edition” dal sapore bucolico con decori che si rifanno ad immagini della tradizione pasquale europea ripresi da antichi libri custoditi presso la Biblioteca del Gusto Loison, contiene la Colomba Classica a.D. 1552, gustosa e soffice, ricca di canditi di arance di Sicilia e mandorle italiane, o la Colomba Pesca e Nocciola, dal sapore delicato e persistente.

www.loison.com

96

Un’officina di ricerca, di sperimentazione e di contaminazione di sapori: così Susanna Chiappa definisce la propria attività. E La Golosa Officina è davvero questo: materie prime di indiscussa, eccellente qualità, danno vita a diverse tipologie di biscotti, sia dolci che salati, tutte da scoprire. Una bottega talmente innovativa che, a pochissimi mesi dall’apertura, è già stata selezionata come vincitrice, tra oltre 500 candidati in Italia, di “Botteghe Digitali”, un progetto di Banca Ifis che premia l’eccellenza del Made in Italy artigiano.

La Golosa Officina Via M. Negusanti, 5 - Fano (PU) Tel. 0721 1795188 www.lagolosaofficina.it


LOCHEF Vento di Langa Ingredienti per 4 persone g. 300 di acqua, g. 64 di nocciole salate, g. 46 di Maizena, g. 25 di olio di nocciola, g. 40 di zucchero semolato, g. 3 di sale fino. Mettere tutto nel Bimby per 3 minuti; spolverare gli stampi a forma di foglie con polvere di zucca, cacao, lampone e tè Matcha. Versare il composto e cuocere per un minuto nel microonde. Per la crema di nocciola: g. 250 di panna, g. 60 di tuorlo, g. 60 di zucchero, g. 1,5 di colla di pesce, g. 60 di pasta alla nocciola. Per la crema Dulcey “Valrhona”: g. 250 di panna, g. 150 di cioccolato Dulcey. Per la crema Moscovado: g. 200 di panna, g. 200 di cioccolato moscovado Valrhona. Per la gelatina di lime: g. 100 di acqua, g. 100 di zucchero, g. 50 di succo di lime, g. 50 di succo di limone, g. 1,6 di agar, g. 6 di colla di pesce, zest di lime. Adagiare nel piatto nero le quattro foglie di nocciole con le creme e spolverare con le polveri di zucca, cacao, tè Matcha e lampone.

RISTORANTE PIAZZA DUOMO Alba (CN)

Enrico Crippa Classe 1971, è considerato uno dei più talentuosi cuochi italiani grazie a un background formativo di primissimo piano che parte dalla scuola alberghiera di Como e si sviluppa affiancando Gualtiero Marchesi, Michel Bras, Ferran Adrià e con esperienze internazionali che gli consentono di creare un suo stile originale e distintivo. Nel 2003 incontra la famiglia Ceretto con la quale inizia, nel 2005, il progetto del ristorante Piazza Duomo, ad Alba. Nel 2006 conquista la prima stella Michelin, dopo tre anni la seconda e nel 2012 la terza stella. In collaborazione con

ILPIATTO


EDITORE La Madia srl Sede legale: Via E. De Amicis, 53 - 20123 Milano (MI) Sede operativa: Via Pacchioni, 365 - 47521 Cesena (FC) Tel. 0547 23821 - Fax 0547 25809 Internet: www.lamadia.com - E-mail: lamadia@lamadia.com

CONFEDERATION EUROPEENNE

DES GOURMETS La famiglia dei Gourmets europei si è data una nuova dimensione per valorizzare

il piacere

della convivialità e della cultura

enogastronomica italiana

Direttore responsabile: Elsa Mazzolini La Madia srl è parte del Gruppo Cose Belle d’Italia www.cosebelleditalia.com

REDAZIONE Caporedattore: Maria Chiara Zucchi Impaginazione: Andrea Amadori Stampa: D’Auria Printing SPA - (AP) Webmaster: Giorgia Zucchi Redazione e centro di distribuzione in Gran Bretagna: ALIVINI Company Limited - London - Tel. +44 20 8880 2525

COLLABORATORI Domenico Acconci, Enza Bettelli, Silvia Bianco, Daniele Briani, Teresa Cremona, Giuseppe De Girolamo, Maurizio Di Dio, Gianni Di Lorenzo, Luigi Filippi, Roberta Filippi, Lucy Gordan, Verdiana Gordini, Giuseppe Lo Russo, Giovanni Mastropasqua, Antonietta Mazzeo, Alessandra Meldolesi, Claudio Mollo, Alessia Pellegrini, Giacomo Pilati, Alessandro Ricci, Gianluca Ricci, Alessandro Rossi, Simone Rosti, Flavia Tomaello, Marco Tonelli, Primo Vercilli. Fotografi: Nikoboi, Pasquale Spinelli, StudioGraf, Lido Vannucchi Illustratori: Patrizia Zavatti

PUBBLICITÀ adv@belviveremedia.com - Tel. 02.4816353

CONTATTI: Romano Lambri - Presidente Cell. 393.9815078 Mauro Marelli - Console della Stampa Cell. 392.3591439 www.cegourmet.eu - info@cegourmet.eu

Via Lanzone, 31 - 20123 Milano Upper & So.ge.co B.M. Srl Novate Milanese (settore Food) Claudio Bettinelli 348 27 22 719

SERVIZIO ARRETRATI PER NON ABBONATI 2 copie + spese di spedizione 10 euro e La Madia Travelfood TM sono marchi registrati di proprietà.

è vietata la riproduzione in toto o in parte di testi e foto pubblicati

ORGANO DI INFORMAZIONE UFFICIALE

Spedizione Postatarget Magazine Aut. del Trib. di Milano n. 222 del 10/07/15




Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.