La Madia Travelfood n. 319 Luglio/Agosto

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Mensile Sped. In Abb. Post. - Gruppo III° - 45% - Art.2 Comma 20/B Legge 662/96 - Fil. Forlì - Tassa Pagata - Taxe Perçue - Reg. Trib. Di Forlì N.653 - Del 14/6/84 - Dir. Resp. Elsa Mazzolini - La Madia Srl - Via Pacchioni, 365 - Cesena - Euro 4,00 - In caso di mancato recapito restituire al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa

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MICHELANGELO MAMMOLITI Resort La Madernassa

GIOVANI CHEF CRESCONO FABIO PISANI e ALESSANDRO NEGRINI

Il Luogo di Aimo e Nadia

LA MADIA EDITORE

ANNO XXXIII - Luglio/Agosto 2017 - N. 319 - €E 4,00 - Direttore ELSA MAZZOLINI




SOMMARIO - LA MADIA TRAVELFOOD n. 319

GOURMETFOOD

di

Sandro Romano

pag. 50

GOURMETFOOD

di

Alessandra Meldolesi

pag. 58

IL LUOGO DI AIMO E NADIA

MICHELANGELO MAMMOLITI

Conferma il valore di scelte vincenti nel tempo.

Una cucina allegra nel cuore delle Langhe.

GOURMETFOOD

VINARIA

di

Teresa Cremona

di

Gianluca Ricci

pag. 70

pag. 90 LA POSTA VECCHIA A Palo Laziale un sontuoso albergo museo a cielo aperto.

VERSO LA NUOVA DOC LIPARI


La cultura del benessere

Buoneria

Genitori, figli e... cattive abitudini

di Teresa Cremona........................................................... pag. 36

di Primo Vercilli................................................................ pag. 8

Chef di Spirito

La scelta vegana

Giancarlo Casa

Il Vegan è moda: l’evoluzione dei prodotti vegetali,

di Sonia Leo..................................................................... pag. 38

dal cibo alla “passerella”

Buone Nuove..................................................................... pag. 42

di Silvia Bianco................................................................. pag. 10

Golavagando “Mon Trésor”

Assaggi di Galateo

Ristorante Borgo Bagnolo

Mare, profumo di mare...

di Giovanni Angelucci....................................................... pag. 44

Accorgimenti per un ristorante in spiaggia

La Paranza

di Fabio Ferrantino........................................................... pag. 14

di Jerry Bortolan............................................................... pag. 46

Progettare l’impresa

Enoteca Sgonico

L’eterno dilemma: mettere le foto dei piatti sul menù?

di Daniele Briani............................................................... pag. 48

di Lorenzo Ferrari............................................................. pag. 16

GourmetFood

Golavagando

Alla Lanterna di Fano

Vivo Barcellona................................................................ pag. 21

di Maria Chiara Zucchi...................................................... pag. 66

GolavagandOraviaggiando

Paradise Resort & Spa

Burro & Alici

di Teresa Cremona........................................................... pag. 74

di Giovanni Mastropasqua............................................... pag. 22

Eventi

Area Gluten Free

Dire, Fare, Sognare!......................................................... pag. 80

Crostatina con crema a freddo, granella di nocciole,

A Scuola di Cucina

fragole e cioccolato

Agostino Iacobucci........................................................... pag. 82

a cura di Marco Scaglione................................................ pag. 25

Vinaria

Golavagando

Il focus di Alessandro Magnum

Officine del Sale............................................................... pag. 26

Chi scrive di vino e l’insostenibile

Dispensa San Salvatore

leggerezza dell’ignoranza

di Teresa Cremona........................................................... pag. 28

di Alessandro Rossi......................................................... pag. 86

Concettina ai Tre Santi..................................................... pag. 30

Mercanti in fiera al Vinexpo di Bordeaux

‘O Munaciello

di Marco Tonelli............................................................... pag. 88

di Cristina Vannuzzi.......................................................... pag. 33

Sicilia en Primeur 2017

Romeo & Giulietta

di Giovanni Angelucci....................................................... pag. 94

di Teresa Cremona........................................................... pag. 34



EDITORIALE di

Elsa Mazzolini

COM’È TRISTE VENEZIA. E NON SOLO LEI. Quella del turismo è diventata la più grande industria “invisibile” al mondo, con 1.150 milioni di viaggiatori in movimento, contro i 22 milioni di 50 anni fa. Questo fenomeno, benefico per l’enorme indotto economico che crea e per l’avvicinamento a Paesi lontani soprattutto causa di motivi razziali o politici, si sta rivelando una terribile bomba a orologeria per l’Italia. Ormai sono noti gli ingenti danni che sta subendo Venezia, la cui corsa all’intercettazione di clienti, persino mediante l’accesso “in centro” delle grandi navi, la sta seppellendo di rifiuti sparsi senza riguardo soprattutto da un turismo mordi e fuggi di basso livello. Ma persino ogni più recondita spiaggia della Sardegna e della Sicilia soffre uno tsunami di avventori che poco si curano di mantenerne intatta la bellezza: le auto arrivano fino alle calette nascoste e scaricano porcheria umana e materiale ovunque. Non si salvano i siti archeologici, ora depredati, ora danneggiati da gente senza scrupoli e senza quella educazione storico-artistica che potrebbe renderli consapevoli di ciò che visitano: le nostre bellezze ambientali e architettoniche non possono valere solo qualche stupido selfie. E dire che il turismo italiano sta subendo un enorme calo di presenze, colpa soprattutto di una grande concorrenza più qualificata da parte degli altri Paesi (il Louvre, per esempio, con 9.300 milioni di visitatori l’anno batte i 3 milioni del British Museum e i 6 milioni dei Musei Vaticani o i 2 degli Uffizi). Le masse sterminate, dunque, ormai fisiologiche e inarrestabili, potrebbero essere un’enorme occasione di prosperità per tutti, ma solo se ben gestite. Con questa consapevolezza Francia, Spagna e Stati Uniti si stanno organizzando per trasformare il turista in un “cittadino temporaneo” consapevole del proprio ruolo e all’altezza del luogo che visita. Da noi, per ora, solo sanzioni e controlli severi possono contrastare il malcostume turistico in atto. Ma al momento, senza un piano preciso, neanche questo può bastare.

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LACULTURADELBENESSERE

a cura di

Primo Vercilli Medico Dietologo

GENITORI, FIGLI E...

CATTIVE ABITUDINI Sono da poco stati pubblicati i nuovi risultati delle elaborazioni statistiche dell’Osservatorio “Okkio alla Salute”, promosso dal Ministero della salute/CCM (Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie) e coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità. I dati che sono stati raccolti riguardano un campione di 48.946 bambini di 8-9 anni e 48.464 genitori, rappresentativo di tutte le regioni italiane. Il primo dato che emerge (e che potrebbe essere comunque identificato come positivo) è che, in Italia, i bambini obesi e in sovrappeso sono diminuiti del 13%, in meno di dieci anni. Prima però di cantar vittoria è bene sapere che l’Italia rimane una tra le nazioni con il più alto tasso di bambini in sovrappeso e obesi, come dimostra la COSI (Childhood Obesity Surveillance Initiative), iniziativa internazionale a cui partecipano più di 30 paesi europei. In un recente rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che ha preso in esame le abitudini di 53 Paesi, il consumo quotidiano di frutta tra gli adolescenti italiani risulta essere sceso dal 38,3% del 2002 al 37,4% del 2014, dopo aver raggiunto il 43,5% nel 2008. Buone notizie sul consumo di verdura: è in aumento in entrambi i sessi ed è passato dal 21,7% del 2002 al 26,6% del 2014. Altra nota interessante è la flessione (ben 10 punti in percentuale) nel consumo quotidiano di dolci (dal 38,2% del 2002 28,4% del 2014); andamento simile anche per le bevande zuccherate (dal 24,4% al 16,2%). Ci sono quindi dati contrastanti, alcuni incoraggianti, altri più preoccupanti. A proposito di questi ultimi, un dato interessante è quello che riguarda la percezione che i genitori hanno nei con-

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fronti del sovrappeso dei figli. Infatti, il 40% dei genitori con figli sovrappeso è convinto che abbiano un peso nella norma. Questo è un problema educativo e di consapevolezza estremamente serio: i genitori tendono a sottovalutare il fenomeno del sovrappeso nei propri figli e tendono, invece, ad ingigantire l’entità delle ore di attività fisica che i figli fanno; normalmente infatti il genitore si ritiene tranquillo se il figlio effettua 2-3 ore a settimana di attività fisica extrascolastica. Questo alterato criterio valutativo da parte del genitore porta ad avere percentuali abbastanza preoccupanti: il 23,5% dei bambini svolge giochi di movimento non più di un giorno alla settimana, il 33,8% svolge attività fisica strutturata con la stessa frequenza. Inoltre, solo un bambino su quattro si reca a scuola a piedi o in bicicletta. Ma cosa orienta le scelte alimentari dei bambini? Se lo sono chiesti i pediatri del Cohen Children’s Medical Center di New Hyde Park coordinati da Ruth Milanaik, in tre diversi studi presentati al recente congresso delle Pediatric Academic Societies svoltosi a San Francisco. Nel primo lavoro, al centro dell’attenzione c’erano i genitori, vittime del cosiddetto effetto halo, ovvero quella suggestione per cui si tende a vedere un risultato positivo anche quando non c’è perché lo si vuole vedere. L’effetto si verifica anche quando i genitori considerano un cibo sano per i figli, lo acquistano senza porsi tante domande e magari pensano che sia anche capace di esercitare un effetto positivo (un esempio è l’acqua calda con il limone, che è popolarissima, ma della quale non esiste un solo articolo scientifico che ne testimoni l’efficacia!). Nello specifico,


LACULTURADELBENESSERE

oltre mille tra madri e padri, sono stati invitati a scegliere tra alimenti che avevano caratteristiche nutrizionali praticamente identiche ma packaging diversi. In un caso la confezione enfatizzava le qualità nutrizionali e la naturalità del contenuto, mentre l’altra confezione era simile a quella del junk food. Il risultato è stato che quasi tre quarti dei genitori hanno optato per il primo packaging! Ma la cosa più interessante è che il 77% dei partecipanti ha affermato di voler leggere le etichette in un secondo tempo: questo significa che l’aspetto del packaging sembra dunque avere più importanza del valore alimentare. Attenti, cari genitori, perché questo meccanismo le industri alimentari lo conoscono benissimo: giocano (e vincono!) sfruttando questo fenomeno. Basta un packaging accattivante, due articoletti su un blog, uno slogan rassicurante e il gioco è fatto. Nel secondo studio i genitori di quasi duemila bambini di età compresa tra i 3 e i 10 anni sono stati invitati a indicare il comportamento alimentare dei protagonisti televisivi preferiti dai figli in 60 diversi programmi. È emerso è che il 92% dei personaggi mangia o comunque compie scelte alimentari, il 59% orientate verso un junk food, per lo più al di fuori di un pasto. Potete capire come questo sia fortemente diseducativo: i genitori dovrebbero scoraggiare la visione di alcuni programmi o, almeno, sottolineare che quello che i figli vedono nel programma è un atteggiamento alimentare negativo. Mi si dirà che è impossibile controllare quello che i figli guardano in televisione: verissimo. Allora, visto che ora sappiamo che il rischio è che passino certi messaggi subliminali, concentriamoci sul dare a tavola un modello (il nostro) che

sia più sano. Il vero problema è che non abbiamo la consapevolezza dell’entità del fenomeno e quindi lo sottovalutiamo. Il terzo studio ha effettuato un interessante confronto tra peso corporeo e tipo di programma preferito. Emerge che il 43% dei bambini normopeso o sottopeso guarda programmi con protagonisti che mangiano in modo poco sano, ma la percentuale sale al 54,5% tra quelli in sovrappeso e al 49,8% tra i piccoli obesi. Altro dato interessante riguarda la tendenza all’emulazione, da parte dei più piccoli, di comportamenti alimentari negativi che vedono nei personaggi preferiti. Infatti, il 22% dei bambini normopeso ricorda quello che mangia il personaggio preferito; la percentuale sale al 28,4% di quelli in sovrappeso e al 30,3% di quelli obesi. Evidentemente, il fatto di amare una certa figura di fantasia spinge i piccoli a imitarne i comportamenti, anche quando sono scorretti. Da qui cresce uno scollamento con le sane abitudini alimentari, che con il passare del tempo, diventano sempre meno sane! Sono proprio passati i tempi del mitico “Braccio di Ferro”! Emerge quindi, in modo estremamente evidente, che il programmare la salute nel piatto inizia da un approccio più attento (e sicuramente più faticoso) dei genitori, che, da una parte devono acquisire sempre più consapevolezza sull’entità del problema del sovrappeso, educandosi essi stessi al fine di raggiungere una maggior conoscenza alimentare e dall’altra devono fare una maggior fatica nell’indirizzare meglio scelte, attività, programmi televisivi, messaggi, esempi a tavola che possano poi, riuniti organicamente insieme, essere il vero, sano, modello che i figli siano in grado di seguire.

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LA SCELTA VEGANA

a cura di

Silvia Bianco testimonial di cucina vegana

IL VEGAN È MODA

L’EVOLUZIONE DEI PRODOTTI VEGETALI, DAL CIBO ALLA “PASSERELLA” No non sono impazzita. Essere vegan non è un trend radical chic: essere Vegan è e rimane una scelta puramente etica. Ciò non vuol dire rinunciare ad indossare capi di tendenza che non siano testati su animali e senza componenti di origine animale come pelliccie, pelli, etc. La domanda di tessuti crueltyfree alternativi alla pelle è in continuo aumento e le tantissime varianti alla pelle animale disponibili oggi sono proprio di origine vegetale, per lo più da prodotti di scarto e da fibre di vegetali molto comuni che spesso troviamo sulle nostre tavole.

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Ad aprile 2017 il progetto “Wineleather” (letteralmente “pelle di vino”) vince il primo premio del concorso Global Change Award indetto dalla H&M Foundation e considerato il Concorso Internazionale più importante dell’innovazione nel fashion business. VEGEA Vegetal leather è l’azienda che ha brevettato questa idea, nata dalla mente di Gianpiero Tessitore, architetto di Milano appassionato di eco-design, con l’ambizione di voler trovare alternative green e cruelty-free al posto di pelli animali e sintetiche. Così, in collaborazione con alcuni centri di


LASCELTAVEGANA

ricerca specializzati ed insieme a Francesco Merlino, chimico ambientale, hanno analizzato le caratteristiche fisiche e meccaniche di diverse fibre vegetali e la loro capacità di essere trasformate in materiali ecologici. Questo studio ha portato Vegea ad identificare nella vinaccia, composta dalle fibre e olii contenuti nelle bucce e nei semi dell’uva, ottimale per la creazione della prima pelle vegetale ecologica ricavata dal vino attraverso degli specifici trattamenti fisici e meccanici brevettati. Vegea si presenta come un’azienda di produzione di similpelli vegetali innovative, fondata sui principi etici di sostenibilità, tutela della salute dei lavoratori e dei consumatori, responsabilità sociale e totale rispetto dell’ambiente. L’idea è appunto quella di creare similpelli vegetali ecosostenibili i cui utilizzi spaziano in tutti gli ambiti ed applicazioni del settore della pelletteria: abbigliamento, accessori, arredo, packaging, i settori automotive e transportation. La lavorazione del Wineleather non richiede la costruzione di nuovi e costosissimi macchinari, poiché viene prodotta utilizzando gli impianti già esistenti delle aziende di produzione di pelle animale e sintetica, a cui vengono effettuate delle piccole modifiche ed integrazioni per adattare i macchinari al nuovo processo produttivo. In questo modo Vegea risponde pienamente alla sua mission unendo il concetto di sostenibilità alla tradizione ed esperienza della lavorazione delle pelle italiana realizzando un prodotto totalmente vegetale, cruelty free, innovativo ed a basso impatto ambientale. I processi produttivi dei materiali di simil pelle sintetica implicano l’utilizzo dei derivati del petrolio, con un conseguente forte inquinamento e devastante impatto ambientale. Sembrerebbe invece che la produzione del Wineleather sia di gran lunga meno impattante, sebbene al momento non ci sia ancora una descrizione dettagliata al riguardo. “Questo prodotto è ecosostenibile – racconta Gianpiero Tessitore – dacché nel mondo, ogni anno, vengono prodotti 26 miliardi di litri di vino. Da questo processo produttivo possiamo ricavare quasi 7 miliardi di kg di vinaccia, da trasformare in una materia prima dal grande valore aggiunto, per produrre potenzialmente ogni anno 3 miliardi di m2 di Wineleather.” Siamo di fronte ad una vera e propria rivoluzione green e cruelty-free nell’industria della pelletteria. Non ci resta che aspettare l’anno 2018, momento in cui Vegea promette che avremo i primi prodotti esclusivi che lanceranno ufficialmente Wineleather nel mondo della moda eco-friendly. Moltissime sono le aziende che si stanno applicando nella produzione di prodotti di moda utilizzando materiali di scarto vegetale. Un altro esempio è il Piñatex della azienda Ananas Anam, materiale ricavato dalle foglie della pianta di ananas. L’invenzione è della designer spagnola Carmen Hijosa, la quale dopo anni di studi e di test ha scoperto che decorticando le

CANNOLO DI PATATE

al limone siracusano con cuore di spinaci e ciliegino, su stuoietta di zucchine, mille punti di peperone arrostito e chips di patate INGREDIENTI per 1 persona

g. 100 di patate lesse, g. 40 di spinaci, g. 30 di ciliegino, 2 foglie di basilico, 2 foglie di nepitella, aglio, 1 zucchina, 1 peperone, scorza di limone grattugiata, olio, sale, pepe affumicato. PROCEDIMENTO

Mettere i peperoni ad arrostire in graticola o in forno; appena pronti avvolgerli in un sacchetto di carta e poi nella plastica. Lasciare riposare, togliere il velo, i semi, unire una lamella di aglio, la foglia di menta, pepe affumica-

to, olio evo e sale, quindi mettere in un bicchiere e mixare con minipimer, ottenendo una salsina densa.

Schiacciare le patate lesse, unire la scorzetta di limone, sale, pepe, olio evo e stirare il composto tra due fogli di carta forno.

Far rosolare in un pentolino con lo spicchietto d’aglio intero (che poi to-

glieremo), unire ciliegino e basilico, cuocere 10 minuti e poi passare al mixer. Rimettere nel pentolino lasciare ridurre e, se necessario, legare con

amido di riso. Far raffreddare la purea, stirarla su carta da forno, arrotolare e abbattere.

Spadellare gli spinaci con aglio, olio, sale e pepe, lasciarli raffreddare e tritarli al coltello, quindi porli sulle patate. Mettere al centro la purea di

pomodoro, arrotolare il tutto e ottenere il cannolo che cuoceremo al forno per 5 minuti a 190°C.

Affettare la zucchina, porvi del sale sopra per qualche minuto in modo che si ammorbidisca, tagliarla a strisce per ottenere una stuoietta.

Assiette: porre la stuoietta su un piatto, disporvi su il cannolo, decorare

con chips di patate, tutto attorno creare il mille punti di peperone e finire eventualmente con polvere di pistacchio e fiore di timo limoncello.

Una meravigliosa ricetta di Maurizio Urso, chef del ristorante “La terrazza sul mare” situato in Viale Mazzini, 12 sull’isolotto di Ortigia direttamente collegato con la città di Siracusa.


LA SCELTA VEGANA

fibre di foglie di ananas, che sono un sottoprodotto del raccolto dell’ananas, si ottiene una biomassa simile ad una tela molto versatile che può essere tinta e stampata ed inoltre può essere riconvertita ulteriormente in fertilizzante organico o biogas. Un vero e proprio materiale vegan innovativo e sostenibile giacché utilizza solo i prodotti di scarto e non ci sono ulteriori consumi di acqua e sfruttamento di terreni. Anche le grandi aziende come Reebok - multinazionale statunitense specializzata nella produzione di sportswear - si sono attivate per avvicinarsi ad una moda sempre più ecologica. Entro fine 2017 verrà messa in commercio la nuova e primissima linea di scarpe vegan “Cotton + Corn” a marchio Reebok prodotte con cotone ed il comunissimo mais. Il vicepresidente della Reebok Future, Bill McInnis, ha dichiarato che Reebok sta cercando di ripulire l’intero ciclo di vita della calzatura: dai materiali con cui le scarpe sono fatte, a dove vanno a finire quando vengono scartate. Normalmente le scarpe sportive sono fabbricate utilizzando sia pelle animale sia materiali derivati dal petrolio altamente inquinanti e che non sono per nulla biodegradabili. Reebok Future vuole invertire questo trend, grazie proprio ai materiali impiegati: cotone per la tomaia, mais per la suola, ovvero materie prime che crescono naturalmente e che possono essere reintegrate in natura, evitando di utilizzare i derivati del petrolio. Ciò rende la nuova linea green completamente biodegradabile. Questa nuova filosofia aziendale è ancora più apprezzabile, poiché Reebok Future prevede infatti di utilizzare queste scarpe per realizzare del compost quando saranno giunte alla fine del loro ciclo di vita, diventando concime per il terreno in cui si coltiveranno cotone e mais per la nuova produzione di scarpe. Ultima novità in campo vegan ed ecosostenibile sono le sneaker ULTRA III, la prima sneaker al mondo fatta di alghe, in commercio a partire da luglio 2017. Un progetto nato dalla col-

laborazione con la londinese Vivobarefoot e la Bloom Foam, un’azienda del Mississipi che si occupa di materiali innovativi ed alternativi alle schiume sintetiche e a base di petrolio. Queste scarpe sono realizzate utilizzando le alghe raccolte da fiumi, laghi ad alto rischio di fioriture algali. Le alghe vengono poi trasformate in una speciale schiuma, che garantisce elasticità e flessibilità ai prodotti. Le fioriture di alghe tossiche compromettono l’ambiente marino a livello mondiale. I rifiuti chimici, presenti nei fertilizzanti penetrano nei corsi d’acqua e danno origine alle condizioni ottimali per scatenare la crescita incontrollata delle alghe. A loro volta, le alghe rilasciano tossine nocive per l’uomo e gli animali, riducendo l’ossigeno nell’acqua e bloccando la penetrazione della luce del sole che sono le componenti vitali per un sano ecosistema marino. Ciò può portare ad una moria di massa di fauna locale (mammiferi marini, pesci, uccelli), all’inquinamento di acqua potabile e dell’aria che respiriamo. Rimuovendo le alghe dai sistemi marini e per utilizzarle in alternativa ai materiali petroliferi si ha una soluzione sostenibile che riduce l’utilizzo di petrolati e contribuisce alla salvaguardia dell’ambiente marino diminuendo la presenza eccessiva di alghe. In concreto, Vivabarefoot ha dichiarato che grazie a questa innovativa metodologia di produzione ogni paio di sneaker Ultra III aiuterà a far ricircolare 57 litri di acqua filtrata di nuovo negli habitat naturali, e prevenire il rilascio in atmosfera dell’equivalente di 40 palloncini pieni di CO2. Tante ancora sono le idee nel campo della moda che sfruttano i prodotti vegetali come alternativa alla pelle: un’azienda ha persino lanciato la pelle vegetale derivante da un fungo, un’altra ancora dagli scarti di lavorazione del tofu. Essere vegan vuol dire anche questo essere alla moda in modo cruelty free ed eco-friendly allo stesso tempo.

Silvia e gli esperti rispondono...

Inviate le vostre domande a: lamadia@lamadia.com

Come mai i vegani non mangiano le uova anche se le galline le producono naturalmente? Rossella - Forlì (FC) La produzione di uova dell’industria è interessata solo agli esemplari femmine, i pulcini maschi vengono uccisi con il gas oppure gettati vivi in macchine trita tutto poiché i maschi, nati dalle galline ovaiole, non producono uova e non acquisiscono peso rapidamente. A dimostrazione di ciò è la recente indagine di Animal Equity, associazione animalista che ha portato alla luce le terribili condizioni di vita delle galline negli allevamenti italiani: galline ammassate in gabbie sudice e dalle dimensioni talmente ridotte da non consentire loro nemmeno l’apertura delle ali. Inoltre negli allevamenti sono stati trovati ratti in decomposizione e a contatto con le uova deposte, che sono spesso infestate da larve ed insetti. Come se ciò non bastasse, sono state rinvenute galline in putrefazione nelle stesse gabbie in cui le compagne vive continuano a deporre. Da non sottovalutare che le precarie condizioni igienico-sanitarie in cui versano gli animali negli allevamenti, la porosità dell’involucro esterno dell’uovo e la dubbia qualità di molte catene produttive ci devono far comprendere che l’alto rischio di infezioni come la Salmonella sia sempre attuale.

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Gala teo ASSAGGI DI

a cura di

Fabio Ferrantino Docente di Galateo presso Bon Ton Academy Professore di Enogastronomia IPSSAR Piobbico

MARE, PROFUMO DI MARE… ACCORGIMENTI PER UN RISTORANTE IN SPIAGGIA

Con l’estate molte attività trasferiscono il proprio business all’aperto e, dove possibile, non c’è miglior luogo della spiaggia per una cena romantica o una festa fra amici. Questa scelta comporta la rivalutazione delle proprie abilità di fare ristorazione, in quanto non sempre questi luoghi presentano gli spazi e le comodità di un classico ristorante al coperto. In linea di massima si tende a snellire gli allestimenti; questo accade solitamente anche in alberghi di livello che hanno un lido attrezzato per fare anche ristorazione. La regola generale è mantenere uno stile della sala che sia in armonia con l’ambiente circostante. Tavoli, sedute e allestimenti estetici dovranno riprendere elementi marinari privilegiando materiali come il legno in tonalità naturali. Spesso in spiaggia vi sono degli spazi limitati da dedicare all’attività ristorativa, per questo motivo è fondamentale scegliere un arredo capace di essere flessibile e adattabile alle diverse necessità. A differenza di un ristorante classico, in spiaggia convive e ha un’importanza fondamentale anche il bar; è per questo che

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nella strutturazione del locale bisogna pianificare attentamente le attività. Il consiglio è quello di differenziare i due luoghi cercando di dedicare delle sedute basse e comode come divani e pouf per il bar, mentre, per il ristorante, tavoli quadrati o rettangolari di dimensioni ridotte da addizionare all’occorrenza con delle prolunghe. Le sedute dovranno essere eleganti, comode ma anche pratiche: un esempio sono quelle da regista capaci di mantenere un fascino intramontabile. Se lo spazio riservato al bar e ristorante non possiede una copertura stabile, è elegante e scenografico installare delle vele dalle tonalità chiare per schermare i raggi solari. Vi sono dei sistemi automatizzati capaci di estendere e ritirare i tendaggi durante la giornata. Per portare maggior sollievo ai nostri ospiti si può provvedere, negli spazi aperti, a installare ventilatori capaci di propagare acqua nebulizzata, soprattutto durante le ore più calde del pranzo. Sui tavoli troveremo una mise en place semplificata. Se il ristorante si trova sulla sabbia o a ridosso, evitiamo l’uso di classiche tovaglie, preferendo runner o tovagliette in misto


ASSAGGIDIGALATEO

lino sulle quali sostituire il piatto segnaposto con un tondo di vimini intrecciato. Un categorico no alle tovagliette in carta con il menù stampato su di esse. Anche nei locali dal servizio più informale non si può concepire che il cliente debba spostare posateria e bicchieri per leggere le pietanze da ordinare. È invece un gesto elegante e sempre di grande cortesia lasciare un piccolo cadeau ai nostri ospiti, un’idea per un ristorante in spiaggia è legare i tovaglioli in modo semplice con uno spago bianco e appoggiare su di essi una bella conchiglia che il cliente si sentirà libero di portare via a fine pasto. Date le dimensioni ridotte, non soltanto della sala, ma anche della cucina, è soluzione strategica stilare un menù contenuto con delle alternative sfiziose e mai banali. Il menù si dovrà presentare al cliente una volta accolto e fatto accomodare. La sua grafica potrà essere più informale e potrà contenere immagini dei prodotti usati e dei piatti. Se ci piace la presenza di tale parte visiva e grafica, lasciamo creare questo prezioso strumento ad uno studio che si occupi professionalmente di comunicazione (vedi servizio apposito a pag. 16). I menù, come in un qualsiasi ristorante, dovranno essere controllati a ogni servizio e sostituiti se sporchi. Bisogna fare molta attenzione dato l’ambiente: in spiaggia e più in generale all’aperto tutto si sporca più facilmente. Per quanto riguarda il personale, è fondamentale che sia sempre riconoscibile, dunque una divisa è d’obbligo. Non si sta parlando sicuramente di giacca e cravatta visto il contesto, ma una camicia a maniche corte e la gonna per lo staff femminile sapranno essere sempre eleganti e consone. Se l’ambiente risulta piuttosto informale, andranno bene anche

delle polo con il logo del ristorante riportato in piccolo sul petto a sinistra, corredate da una targhetta di dimensioni ridotte con il nome dell’addetto. Sono permesse calzature comode e sportive, l’importante è che siano neutre, di colore chiaro o blu scuro in accordo con l’abbigliamento. È bene riservare un’area di accoglienza che può coincidere con una parte del bar dedicata alla funzione di cassa/reception. Anche il servizio potrà essere più snello. Si prediligeranno piatti da portata con un servizio alla francese indiretto per i tavoli con più persone e un servizio all’italiana soprattutto per antipasti e dessert. Se si prevedono buffet per particolari eventi o aperitivi, è necessario valutare che vi sia sempre una copertura d’ombra su di essi e che gli alimenti di maggiore deperibilità rimangano refrigerati da ghiaccio o attraverso chafing dish con la funzione freddo. Se si prevede un punto di cottura alla piastra o alla griglia a carboni, è importante che questo sia predisposto con un buon sistema di aspirazione per non far arrivare i fumi e gli odori sulla clientela intenta ad abbronzarsi. Per valorizzare l’atmosfera serale, focalizziamo l’illuminazione diretta sui tavoli, utilizzando, dove possibile, anche delle luci autonome come lanterne e abat-jour ad energia solare. In linea generale è bene sempre utilizzare luci tendenti al caldo o al colore neutro. Infine, la musica in spiaggia non può mancare, dunque è fondamentale dedicare uno spazio capace di contenere, dove possibile, anche un gruppo di diversi elementi. Attenzione però a non posizionare i tavoli troppo vicini: il suono di alcuni strumenti, come le percussioni, potrebbe infastidire la serata.


PROGETTARE L’IMPRESA

a cura di

Lorenzo Ferrari Direttore Marketing di RistoratoreTop

L’ETERNO DILEMMA:

METTERE LE FOTO DEI PIATTI SUL MENÙ? Chi scrive ne ha lette di tutti i colori e, siccome gli piacerebbe elevare il discorso ad un livello superiore vorrebbe fare alcune riflessioni a riguardo. Non saranno riflessioni basate sul sentito dire, o su una frettolosa ricerca su Google, o sul fatto che adesso va di moda parlare di Menu Engineering, ma sono il frutto di anni passati mettendo le mani all’interno di diverse decine di menù, lungo tutta la penisola. Partiamo facendo una premessa: la risposta alla domanda di cui sopra, come spesso accade, è un classicissimo «dipende». Si avrà modo di convincersene leggendo le seguenti cinque riflessioni.

CINQUE RIFLESSIONI SULLE FOTO NEI MENÙ (1) LE FOTO CREANO ASPETTATIVE Prendere consapevolezza di ciò è il punto cruciale. Le foto creano aspettative. Significa che quando un cliente guarda il piatto rappresentato su di esse, se lo immagina già sotto i denti. Mentre guarda l’immagine, la sua mente pregusta e assapora già il gusto e gli aromi della pietanza, e la salivazione sale, così come le sue aspettative. E questo è di norma un bene, ma potrebbe essere un male. Perché se è vero che la maggior parte delle volte il piatto risulta identico a come era stato immortalato, è altrettanto vero che a volte capita: dalla foto ci si aspettava un capolavoro culinario, ma quando il piatto raggiunge il tavolo la realtà prende il posto della fantasia, e la delusione si fa sconcertante. Infatti, quando il piatto che arriva al tavolo non è esattamente IDENTICO a quello rappresentato dalla foto, si sarà ottenuto un cliente deluso. E non è nostra intenzione avere in sala un cliente insoddisfatto

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ancor prima di aver assaggiato le nostre pietanze, giusto? Io la chiamo Sindrome da Mc Donald’s, e purtroppo molti ristoranti italiani - specialmente in località turistiche - ne hanno contratto una forma acutissima. Foto splendida, piatto deludente. Non è ciò che andrebbe fatto. Perché… 2) …UNA FOTO VALE PIÙ DI MILLE PAROLE È proprio vero: un’immagine vale più di mille parole. Ed è la ragione per la quale molti ristoratori tendono ad utilizzarle. Se il piatto è scenografico, oppure troppo complesso da descrivere con le sole parole, oppure troppo bello per non essere rappresentano anche in foto, allora la foto diventa la conclusione più ovvia. Perché una foto di un piatto non lascia spazio ad interpretazioni: quella è, quello sarà il piatto. Ma questo è vero sia se la foto è splendida, sia se la foto è scandalosa.Se la foto è splendida, e la propria cucina riesce SEMPRE


PROGETTAREL’IMPRESA

a ricreare il piatto come raffigurato nello scatto, saranno rose e fiori. E clienti contenti. Se la foto è uno scandalo, oppure la propria cucina non riesce sempre a ricreare il piatto come raffigurato nello scatto, saranno spine e rovi. E clienti delusi. Quindi, prima di immortalare i propri piatti sul menù è giusto domandarsi: abbiamo delle foto che rappresentano la realtà o le abbiamo acquistate in stock su internet? E nel caso si sia in possesso di foto fatte-come-si-deve, abbiamo creato degli standard sugli acquisti, sulla produzione e sul servizio che permettono di realizzare sempre lo stesso identico piatto rappresentato in foto? (3) UNA BELLA FOTO È FACILE DA FARE, UNA COERENTE NO. Chi scrive vuole sfatare un mito durissimo a morire: al proprio locale, al proprio marketing e al proprio menù non serve una foto tecnicamente impeccabile. Al proprio locale, al proprio marketing e al proprio menù serve una foto COERENTE con la propria Identità. E questo cambia parecchio. Perché di fotografi in grado di fare foto splendide è pieno il mercato. Ma di fotografi in grado di intrappolare l’ANIMA del proprio locale in uno scatto e riportarla su carta stampata no. Di quelli ce ne sono davvero pochi. Quindi, prima di mettere foto sul proprio menù o di farle realizzare dal primo professionista che passa in convento, è giusto domandarsi: “Abbiamo le capacità - o conosciamo chi le ha - per fare degli scatti coerenti con la nostra identità?”. (4) LE FOTO CREANO UNA PERCEZIONE DI BASSA QUALITÀ Altro aspetto non da sottovalutare. L’associazione immediata che il cliente farà vedendo una foto sul tuo menù è con un fastfood. Anche se la foto è realizzata bene dal punto di vista tecnico. Questo non dovrebbe stupire: ogni fast-food di ogni nazione di ogni angolo dì mondo fa un uso smodato e continuo di foto splendide, sgargianti, ritoccatissime e…. manipolatorie. Nessun fast-food che si rispetti utilizza foto di pessima qualità. L’associazione foto splendida quindi manipolatoria è diventata scontata. «Manipolatoria» è la parolina chiave di questa riflessione. Infatti, come ti mostravo poco più sopra, alla vista di una foto si crea un’aspettativa ben precisa, che spesso non viene rispettata e soddisfatta. E questo, alla lunga, ci ha reso diffidenti e scettici. Di fronte ad una foto, alziamo le difese, perché le percepiamo come esagerazioni ed esasperazioni della realtà.

(5) LE FOTO AUMENTANO LE VENDITE DEL PIATTO CHE RAPPRESENTANO Questo è un vantaggio schiacciante. Infatti, il mettere una foto di un piatto sul menù le vendite dello stesso schizzeranno alle stelle. Un’immagine è l’elemento eye-catcher per eccellenza, quindi contribuisce molto bene alla vendita del piatto che rappresenta. Anche in questo caso, nel bene e nel male. Perché se si è fotografato un piatto profittevole, popolare e di semplice gestione, tutto bene. Ma se - come spesso chi scrive ha visto succedere - si è fotografato un piatto non profittevole, non popolare e non di semplice preparazione, tutto male. Perché si subirà tutte le conseguenze del vendere un piatto poco profittevole, che non piace alla tua clientela e di difficile gestione. Quindi? Foto sì, no, perché, e sì, quando? Come probabilmente si sarà capito, le foto hanno pro e contro. Sono perfette in certe situazioni, inadatte in altre. Di conseguenza, vorrei che la risposta alla domanda di cui sopra se la desse il lettore, calando le cinque riflessioni fatte nel proprio contesto e tirando le conclusioni più adatte al proprio caso. E buon Menu Engineering!

Contemporaneo come sempre, Gualtiero Marchesi è stato tra i

primi a utilizzare la tecnologia per meglio divulgare i propri menu: i piatti che si vedono sull’ipad fornito ad ogni commensale al momento dell’ordine, sono perfettamente corrispondenti a ciò che verrà servito al cliente.

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GOLAVAGANDO

A BARCELLONA

VIVO RAPPRESENTA L’ULTIMA VERSIONE ITALIANA DELLA MOVIDA GIOVANILE Grande successo per l’apertura di Vivo Tapas, il locale all’avanguardia sito nel cuore della movida barcellonese fra Calle Roselló e Passeig de Gràcia. Sapori e ingredienti tipicamente italiani accompagnati da prelibatezze caratteristiche spagnole dove la padrona indiscussa del menù è la tapas, declinata in varie modalità, a seconda del gusto personale del cliente e arricchita con ingredienti freschi di prima qualità, quali pesce, verdure e carne. Il tutto cucinato ed esibito su uno splendido bancone, fulcro del locale, che diventa cuore della movida giovanile nell’after-dinner con musica dal vivo. L’atmosfera che si respira da Vivo Tapas è decisamente suggestiva: il design, progettato da Costa Group, risulta elegante, moderno e valorizzato dalle pareti in mattone recuperate dal locale preesistente. Un pavimento pregiato a scacchi

bianco e nero dalle note anni ’60-‘70; pilastri in ferro; murature in cemento che contrastano prepotentemente ma in modo impeccabile ed efficace con la struttura e l’arredo Costa Group. La peculiarità assoluta è il bancone frontale del ristorante in stile anni ’70: l’intaglio e la bancalina in peltro sono stati realizzati a mano all’interno dello stabilimento di Costa Group. Materiali di pregio arricchiti da tendaggi mobili, lampade preziose, il tutto per esaltare la qualità del cibo in un ambiente insuperabile. Vivo Tapas, un viaggio enograstronomico sorprendente, attraverso la scoperta del design e dello stile italiano, nella città più vivibile del mondo.

“VIVO TAPAS”

Calle Roselló, 255, 08008 Barcellona Design e arredo: Costa Group, Arch. Flaviana Rimondi

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GOLAVAGANDO fotoservizio di Giovanni Mastropasqua

NEL PESARESE

BURRO & ALICI REALIZZA UN’OTTIMA CUCINA DI PESCE IN UN LUMINOSO LOCALE SUL MARE

Marotta è un borgo razionalmente adatto per accogliere chi, volendo abbandonare la più vivace Fano, cerchi tranquillità e relax, come anche ottime possibilità di assaporare i gusti schietti della cucina tipica locale. Chi sceglie Marotta per il buon cibo, non può non far visita al ristorante Burro & Alici. Lo storico ristorante Da Rina, dopo aver cambiato nome nel 2000 con l’insegna Bora Bora, oggi trasforma ancora una volta la propria identità, reinventando nome e sostanza. La vocazione di famiglia per la cucina di pesce semplice e genuina è salva, ma le preparazioni più intraprendenti e l’inserimento di alcune eccellenze provenienti da più lontano, permettono di godere il mare in modo più divertente.

STORIA, AMBIENTE E ATMOSFERA La storia del ristorante di pesce Bora Bora di Marotta inizia nel 1966, quando i giovani Rina e Franco Patrignanelli, aprono “Da Rina”, una tra le

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prime trattorie di pesce ad inaugurare in città. Gli anni passano, crescono i figli e, tra questi, il figlio che si dimostra più propenso a seguire le orme di famiglia è Ettore. E’ lui che completa gli studi alberghieri per entrare nelle cucine del ristorante di famiglia ed è lui che, anni dopo, prende in mano le redini del locale trasformando l’antica trattoria Da Rina in un elegante ristorante di pesce sul mare. Nasce così il ristorante Bora Bora. Corrono gli anni buoni della ristorazione, gli affari vanno benone e i clienti trovano in questo ristorante il giusto mix tra tradizione e innovazione. Ettore non si dimostra solo un ottimo chef, ma anche un lungimirante imprenditore. Rimane indenne durante la crisi economica iniziata nel 2009 e al momento giusto sceglie di cambiare ancora. Nasce Burro & Alici, probabilmente l’idea che da sempre Ettore aveva in mente di realizzare. Il ristorante è così vicino alla spiaggia che dai tavoli della veranda - rialzata rispetto al livello strada - è possibile godere della sensazione di mangiare

direttamente sulla sabbia. 80 sono i coperti che trovano respiro sui 130mq di terrazza, una veranda totally shabby chic, con librerie, mobili di recupero e stufe antiche, lasciati appena intravvedere dall’esterno da leggere tende color bianco e oro chiaro. Accogliente e romantico, è così che lo voleva Ettore. Di quello che c’era prima sembra davvero non esserci più nulla e invece c’è quasi tutto. Ci sono i tavoli e le sedie che sono stati carteggiati, modificati e dipinti con il bianco e il celeste. C’è ancora la barca in legno, un tempo adibita come carrello del

GARAGOI ALLA MAROTTESE INGREDIENTI per 4 persone

kg. 2 di lumachine di mare, kg. 1 di passata di pomodoro, cl. 2 di olio extravergine d’oliva, 3 spicchi d’aglio, mentuccia selvatica q.b., finocchio selvatico q.b.

PROCEDIMENTO

Lavare i “garagoi” in acqua di mare e privarli delle loro estremità. Lessarli per pochi minuti con finocchio e alloro.

Soffriggerli con un bicchiere di vino bianco e far sfumare. Aggiungere

1 chilogrammo di passata di pomodoro e un cucchiaio di concentrato. Allungare con 1 litro di acqua, sale pepe e peperoncino a proprio piacimento. Far cuocere a fuoco lento per almeno 2 ore.

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GOLAVAGANDO

pesce, oggi contenitore di scatole di burro e alici, pasta artigianale e altri prodotti alimentari di nicchia; e c’è la lavagna sulla quale Ettore scrive il menù del giorno. Non c’erano, invece, le porte in legno con sistema di apertura-chiusura assistita da sacchi di sabbia utilizzati come contrappeso; non c’era il banco per gli aperitivi realizzato con uno scuro in legno antico, verniciato e posto orizzontalmente; e non c’era il camino che d’inverno aggiunge calore agli animi già appagati dei clienti. Passato e presente, shabby and chic. Sono tanti i particolari su cui fermarsi, vecchi e nuovi, piccoli oggetti “preziosi” che man mano si scoprono se si presta la giusta attenzione.

LA DEGUSTAZIONE La nostra degustazione inizia con la selezione di alici del Mar Cantabrico con burro di bufala e prosegue con la porchetta di tonno con burrata, pomodori secchi e finocchietto selvatico. Due i primi che abbiamo provato e che consigliamo di non perdere: i paccheri “Mancini” con canocchie e

pomodorini infornati e i passatelli con molluschi e crostacei. I secondi più interessanti sono stati il filetto di ombrina con patate e cavolfiore scottato e il sandwich di spigola con pecorino dei Sibillini. Sfera di cioccolato con cuore di pistacchio di Bronte e orzo caldo per finire. La cantina qui è all’altezza del suo compito: tra più di 200 etichette di vini regionali e nazionali non sarà infatti difficile trovare l’accompagnamento ideale per il vostro pasto. Perché far visita al ristorante Burro & Alici: cordialità e professionalità qui non mancano, ma sono la cucina e l’ambiente le carte vincenti di questo ristorante. Ettore incarna la figura di chef patron ideale, giovane, ambizioso, dotato di una giusta dose di autocritica. Ama dare sempre il meglio ai propri clienti ma allo stesso tempo non ama le maniere artificiose e ruffiane. Per il suo ristorante, oltre ai prodotti ittici acquistati giornalmente dai pescatori locali, Ettore utilizza prodotti Presidi Slowfood provenienti da altre zone d’Italia come le Alici di Menaica, la colatura di alici di Cetara, il sale di Cervia, il salame di Fabriano, la mortadella di Modena, il pecorino dei Sibillini e il pistacchio di Bronte. Adatto a tutti coloro che non si accontentano solo del buon cibo ma che vogliono la giusta atmosfera per appagare la vista. Ottimi i prezzi rapportati a così tanta qualità.

SPAGHETTONE

con tonno fresco, olive taggiasche e pomodorini infornati INGREDIENTI per 4 persone

g. 300 di spaghettoni, olio extravergine, 1 spicchio d’aglio, g. 300 di tonno

dell’Adriatico, g. 300 di pomodori datterini, g. 150 di olive taggiasche, vino bianco, sale, pepe, peperoncino q.b., finocchio selvatico. PROCEDIMENTO

Mettere in padella l’aglio, l’olio evo e il peperoncino e far soffriggere. Aggiungere il tonno, far sfumare con 1/4 di bicchiere di vino bianco. Tagliare i pomodori

a metà e infornarli per 5 minuti a 200°C. Cuocere lo spaghettone al dente e aggiungerlo al tonno. Saltare la pasta aggiungendo alla fine i pomodorini infornati, il sale, il pepe e qualche ciuffo di finocchio selvatico.

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RISTORANTE BURRO & ALICI

Viale Cristoforo Colombo, 98 - 61037 Marotta - Mondolfo (PU) Tel. 0721 961200 - www.ristoranteburroealici.it


AREA

di

Marco Scaglione

www.marcoscaglione.it

© Iuri Niccolai

Crostatina

con crema a freddo, granella di nocciole, fragole e cioccolato INGREDIENTI per g. 850 circa di frolla g. 140 di burro, g. 200 di zucchero a velo consentito, g. 70 di amido di mais consentito, g. 80 di fecola di patate consentita, g. 190 di farina di riso finissima consentita, 2 uova intere, 2 tuorli d’uovo, g. 1 di sale fino, g. 2 di vaniglia, g. 7 di gomma di guar consentita. Per la crema: g. 600 di latte intero, g. 400 di panna fresca, g. 280 di tuorlo d’uovo, g. 200 di zucchero taglio finissimo, g. 70 di fecola di patate, g. 200 di panna fresca con 83% di massa grassa. Per decorare: 10 fragole, g. 200 di granella di nocciole consentita, 20 tavolette di cioccolato 74% fondente consentite, zucchero a velo consentito. Tempo: 1 ora più riposo - Difficoltà: Facile PROCEDIMENTO Disporre il burro e lo zucchero a velo in planetaria con il gancio a foglia e far mescolare, quando i due elementi si saranno totalmente assorbiti aggiungere le polveri e la gomma di guar, aggiungere le uova, a questo punto formare una palla e coprirla con della pellicola, riporla in frigo a riposo per circa 3 ore. Nel frattempo preparare la crema: versare il latte e la prima parte della panna in una casseruola e portare a circa 85°C. Lavorare i tuorli con le fruste elettriche in una terrina con lo zucchero; unirvi la fecola e conti-

nuare a lavorare fino a ottenere un composto spumoso. Versarvi a filo il composto caldo di latte e la panna, mescolando di continuo con una frusta a mano, fino ad amalgamare il tutto. Trasferire il composto nuovamente nella casseruola, metterlo sul fuoco e portarlo a 90°C, fino a quando si sarà addensato. Versare la panna con lo zucchero in una terrina, montarla con le fruste elettriche finché non risulterà ben ferma, riporre in frigo fino al suo utilizzo. A questo punto unire la panna e la crema in una terrina e mescolare il tutto con una frusta, fino a formare una crema ben liscia e compatta, quando la crema sarà ben fredda unire alla panna e mescolare bene il tutto con una frusta, riporre nuovamente in frigo fino al suo utilizzo. Riprendere la frolla e lavorarla a mano qualche minuto, mettere in sfogliatrice e stenderla sfoglia fino ad uno spessore di 6/8 millimetri, con un rullo a punta forare la frolla; prendere dei dischi antiaderenti dal diametro di 6 centimetri e foderare con la frolla. Adagiare i dischi di frolla in una teglia e cuocere il guscio di frolla nel forno caldo a 180°C per 20-25 minuti a valvola chiusa. Trascorso il tempo di cottura sfornare e lasciare riposare la frolla un’oretta a temperatura ambiente. Riempire un sac a poch con punta liscia dal diametro 8 cm, con la crema e farcire i dischi di frolla creando una cupola; lavare bene le fragole e dividerle a metà nel senso del lungo, mettere al centro una fragola spolverare con della granella di nocciole, aggiungere due barrette di cioccolato e spolverare con dello zucchero a velo.

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GOLAVAGANDO

A CERVIA

OFFICINE DEL SALE

Via Evangelisti, 2 - Cervia (RA) Tel. 0544 976565

www.officinedelsale.com info@officinedelsale.com

OFFICINE DEL SALE È UN RISTORANTE VERSATILE CON MOLTE ANIME Caffè letterario con libreria, bottega con i prodotti del territorio, osteria marinara e ristorante o semplice luogo d’incontro per una briscola o un intermezzo teatrale: saranno tutto questo e altro ancora le Officine del Sale, che vengono inaugurate il 29 maggio a Cervia in un antico Magazzino del sale. Un luogo polivalente, con una serie di spazi funzionali che dialogano tra di loro, con la città e con il territorio circostante. E’ il risultato di un progetto speciale per un luogo altrettanto speciale, identitario, monumento di quella storia della civiltà salinara che Cervia ha conservato e tramandato fino ad oggi, valorizzandola in una nuova cifra turistica. Le Officine del Sale nascono da questa lunga storia e da un silente quanto suggestivo dialogo con essa. Non senza l’ambizione di raccontarne una nuova, altrettanto importante, che sappia parlare di gastronomia, cultura e turismo. La sfida da cui si è partiti è stata quella di riaccendere un’architettura industriale abbandonata, l’ex Cral Saline appunto, uno dei magazzini costruiti tra 1600 e inizio ‘700 con compiti di de-

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GOLAVAGANDO

posito e di stoccaggio, valorizzandola con nuove funzioni dinamiche. Alla base dell’intero progetto, firmato dall’architetto Fabrizio Fontana di Archlabo e presentato dalla società Gestint capitanata da Alessandro Fanelli noto ristoratore di Milano Marittima, si evidenzia una forte sinergia tra gli aspetti culturali e quelli commerciali, grazie soprattutto a una serie di collaborazioni importanti. Come quella con Librerie Coop per un innovativo spazio dedicato al libro e alla lettura. Tra gli assi di collegamento culturali che arricchiranno la proposta delle Officine del Sale non poteva mancare la collaborazione con Musa, il Museo del sale di Cervia e quella con l’Associazione Culturale Civiltà Salinara. Da un punto di vista enogastronomico il progetto si avvale inoltre di interessanti consulenze, grazie al prezioso contributo dello chef Piergiorgio Parini e all’affiancamento del consulente beverage Andrea Morini. Nel grande Magazzino del sale trasformato in Officine trovano posto alcune aree a tema, realizzate seguendo una riqualificazione architettonica ispirata ai materiali originari e alle strutture antiche e organizzata secondo una modularità funzionale, capace di garantire una proposta versatile e interattiva. Nel corpo originario su via Costa si trova la Sala Camillona, una vera e propria bottega per prodotti a Km 0, vetrina per tutte le tipicità del territorio. Nella Sala troverà posto anche la libreria e una ludoteca. Nel cuore del corpo originario si apre l’Osteria del mercato, regno del sale di Cervia e del pescato km 0, insieme fish market, osteria e ristorante con cucina a vista, pensato in un’unica innovativa dimensione, in grado di offrire diverse proposte gastronomiche, dallo spuntino veloce, alla degustazione di un piatto della tradizione ma-

rinara. Nell’ultima zona del lungo magazzino è stato previsto uno spazio polivalente che riprende il concetto del vecchio circolo Cral, con bar, palcoscenico e tavolini, dove gustare un piatto informale, fare una partita a carte, incontrarsi per una serata di animazione. Il progetto ha incluso anche la sistemazione degli spazi che circondano il magazzino, con ampie zone all’aperto, rendendo le Officine del Sale un luogo per tutte le stagioni, un polo di aggregazione e di ristorazione di qualità in grado di esaltare la materia prima ad iniziare da quella del territorio.

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GOLAVAGANDO

NEL SALERNITANO

DISPENSA SAN SALVATORE 1988 CREA UN PERCORSO FRA GLI AROMI TIPICI CILENTANI di

Teresa Cremona Obiettivo: proporre e vendere le eccellenze agricole e casearie dell’azienda San Salvatore unitamente a quelle del territorio cilentano e campano, promuovendo anche i piccoli produttori di salumi, sia sugli scaffali dello store che nel menu del ristorante. Quando andare: per le prime colazioni con dolci, brioches, torte fatte in casa e per pranzi, merende e per acquisti. Orari dalle 7 alle 20 ma non si fa servizio di cena. La Dispensa San Salvatore è parte dell’omonima Azienda, di proprietà di Giuseppe Pagano. Una realtà che mette insieme i vigneti che vanno da Giungano a Stio, la Cantina dove si

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DISPENSASANSALVATORE1988

lavorano le uve di proprietà, l’olio extravergine d’oliva, gli allevamenti di bufale e l’ospitalità d’eccellenza. Da pochi mesi si è aggiunta La Dispensa, concept articolato in attività diverse ed integrate. Ha l’architettura di un piccolo casale rustico, immerso in una spaziosa, curata area verde, divisa in zone a tema: il Giardino degli Ulivi, il Parco dei Giochi per i bambini, il Pergolato dei Kiwi allestito con tavoli e panche, e il Viale degli Odori che diventerà un orto biologico dove è prevista la coltivazione di 9 specie di pomodori e la creazione di un percorso fra gli aromi tipici cilentani.

L’interno è diviso fra sala esposizione-vendita-bar e l’attiguo ristorante. Entrando, l’impatto visivo è con l’imponente bancone dove sono in mostra suadenti dolci e opulenta pasticceria e anche yogurt e gelati (realizzati a vista dal mastro casaro con latte di bufala dell’allevamento S.Salvatore, situato a Giungano). Alla fine del goloso banco, una parte più costretta e meno enfatizzata, è dedicata ai formaggi e ai latticini. Per il resto, l’arredo è essenziale, le scaffalature a parete dove sono in mostra i vini dell’Azienda e i prodotti del territorio, sono estremamente sobrie, più da Store che da boutique. Il ristorante è pieno di luce, ampie finestre ne delimitano interamente il perimetro in una continuità senza barriere con l’esterno. E la sosta diventa pausa di ristoro più che pranzo in sala. Gli arredi sono di lineare semplicità, forse qualche posto in meno gioverebbe sia alla fluidità del servizio che è molto lento e non perfettamente organizzato, sia ad abbassare la sonorità dell’ambiente. Il menu propone ricette di tradizione regionale e locale, realizzate non da uno chef, ma da cuoche di esperienza che fanno cucina con sapori e profumi di casa: gnocchi e paste con sughi di memoria casalinga, parmigiana, polpette, peperoni imbottiti, carciofi ripieni, zuppe di ceci o di altri legumi, tutti i contorni in accompagnamento sono cucinati con ortaggi locali. Delle cose assaggiate, buona l’acquasale cilentana con pane di grano, olive e pomodori e olio extravergine San Salvatore. Genuino e sostanziosissimo il gelato al pistacchio con latte di bufala. Ovviamente ottime le mozzarelle. Il carciofo ripieno era troppo ripieno, formaggio e sugo ne affogavano il sapore, la zuppa di ceci neri, proposta senza pasta, è un matrimonio in cui la sposa è assente.

AZIENDA AGRICOLA SAN SALVATORE 1988

Via Dioniso snc - 84050 Giungano (SA) - Lo store è sulla ss 18, uscita Cafasso Tel +39 0828 1990900 - Fax +39 0828 1990901

www.sansalvatore1988.it - info@sansalvatore1988.it


GOLAVAGANDO

CON CIRO OLIVA

CONCETTINA AI TRE SANTI È TRA LE PIZZERIE ECCELLENTI DI NAPOLI foto

© wstaff

“A volte è difficile fare la scelta giusta perché o sei roso dai morsi della coscienza o da quelli della fame.” (Totò) Addentrarsi nel Rione Sanità, a Napoli, è come immergersi in una dimensione parallela, luogo di una bellezza struggente, ma sfigurata. Il Rione che ha dato i natali a Totò e ha ispirato Eduardo De Filippo è una delle zone più antiche e con maggiore tradizione; inizialmente destinato ad accogliere importanti famiglie nobiliari e facoltosi borghesi, col passare del tempo è diventato uno dei quartieri più popolari di Napoli, dove emarginazione e disoccupazione hanno alterato profondamente il tessuto sociale, vere e proprie piaghe ancora oggi dolorose. E’ importante però sottolineare che il Rione, dotato di un potenziale culturale e umano molto elevato, ha iniziato un importante cammino di autopromozione e di rinascita grazie alle attività di tante associazioni di volontariato e all’impulso di alcuni imprenditori locali. Tra i catalizzatori e i fautori di tale rinascita c’è anche il giovane Ciro Oliva (foto qui sopra), oggi al timone della pizzeria di famiglia, proprio nel cuore del Rione Sanità. “Concettina ai Tre Santi” è un locale piccolo ed estremamente semplice, con quell’aria popolare da vecchia pizzeria di quartiere, animato da un numero imprecisato di giovani ed efficienti collaboratori. Sulla soglia, una ragazza dirige il traffico degli avventori in attesa del loro turno, perché qui, come da tradizione partenopea, non si prenota. Data l’affluenza, non c’è da stupirsi per il servizio asciutto e rapido, senza fronzoli. Nel menu la selezione di pizze è divertente e intelligente, fra grandi classici e proposte sfiziose, misuratamente creative, che non perdono di vista la sostanza né la tradizione. Immancabili i fritti. E in fondo alla carta c’è l’elenco dei fornitori, con molti

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CONCETTINAAITRESANTI

presidi Slow Food e L’Arca del Gusto, a sottolineare la grande attenzione e la ricerca sulle materie prime che la famiglia Oliva persegue con caparbietà. I condimenti tracimano lussuriosamente dalle pizze, tanto da far presagire un assaggio sostanzioso e un po’ pesante; ma gli impasti sono digeribili (grazie a una lievitazione di 12 – 14 ore e all’alta idratazione) e ben cotti, poco salati, con la giusta consistenza. Imponente, morbido e alveolato il famigerato “cornicione”, terrore dei nostri poveri e delicati stomaci. Menzione speciale per la pizza Cetarese con pomodoro San Marzano Dop, pomodorino del Piennolo, olive, alici di Cetara, aglio bianco, basilico, origano e olio evo: essenziale, un vero concentrato di gusto in cui si distinguono chiaramente tutti i sapori. Ricche e profumate, la Salsiccia e Friarielli Vellutata con salsiccia, friarielli, straccetti di bufala affumicata e olio evo, e la “1861” con gorgonzola naturale, mozzarella di bufala, ventresca e Salsiccia e friarielli

Pizza “1861”

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PIZZERIA CIRO OLIVA (CONCETTINA AI TRE SANTI)

Via Arena della Sanità, 7 Bis - Napoli

GOLAVAGANDO

Frittatina Genovese

basilico: qui la nota lattica della bufala ingentilisce la sferzante sapidità e la persistenza della ventresca e del gorgonzola in un voluttuoso connubio di consistenze e profumi. Bocconcini golosi e sfiziosi si alternano agli assaggi di pizza, come la Montanara allo Scarpariello con pomodoro di Corbara, pecorino bagnolese, peperoncino e basilico, e la Frittatina Genovese con cipolla ramata, carne Scarpariello di manzo, ziti, zeste di limone, parmigiano reggiano stagionato 48 mesi, provola affumicata e pepe. Unica nota dolente per i gourmand impenitenti, la carta dei vini un po’ scarna, anche se onorevolmente territoriale: in un mondo della ristorazione che evolve rapidamente, ogni giorno più sensi-

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Tel. 081 290037

bile al binomio food&beverage, anche le pizzerie stanno iniziando a cavalcare la nuova onda, uscendo dai classici canoni brassicoli e siamo certi che una realtà giovane e moderna come quella di Concettina ai Tre Santi saprà dare la giusta attenzione a questo aspetto, strizzando l’occhio anche agli enofili. In sala, il patron si aggira fra i tavoli con piglio da scugnizzo, senza trascurare nessuno: si mostra interessato all’andamento del pasto, pone mille domande, sommerge gli avventori di chiacchiere e racconti. E’ inarrestabile. Parla con ardore della propria famiglia di pizzaioli (a partire dalla capostipite Concettina), della situazione difficile ma sfidante del Rione, delle proprie intenzioni e dei propri sogni. Arriva al tavolo con tutta la sua irruenza giovanile e la sua determinazione, riempiendo quegli scampoli di tempo tra un assaggio e l’altro. C’è spazio anche per la solidarietà: Ciro racconta con orgoglio che i piatti di ceramica utilizzati nel locale (molto belli) sono decorati dai ragazzi dell’associazione “Casa dei Cristallini” del Rione Sanità, dove “un gruppo di volontari laici, con l’aiuto del parroco di zona, cerca di far comprendere ai bambini che l’alternativa non è solo la strada, ma esiste qualcuno disposto ad ascoltarli e a giocare con loro” (citiamo testualmente dal sito internet dell’associazione). Inoltre, ha istituito la “pizza sospesa”, un contributo di 2,50€ per offrire una pizza a chi non può pagarsela, in omaggio alla tradizione partenopea del “caffè sospeso”. Da Concettina ai Tre Santi si vive l’atmosfera di 50 anni fa, ma Ciro ha 25 anni e una testa contemporanea che viaggia alla velocità della luce. Stordisce con le parole, ha l’entusiasmo di un bambino, conosce il mestiere e vuole mangiarsi il mondo. Siamo certi che lo farà. Orgoglio del Rione Sanità, e di Napoli tutta. (L.F.)


GOLAVAGANDO di

Cristina Vannuzzi

‘O MUNACIELLO A MIAMI BEACH IL FOLKLORE NAPOLETANO, DOPO AVER CONTAGIATO FIRENZE, APPRODA NEGLI STATES 6425 di Biscayne Boulevard Corner con la 65th Street a Miami: qui siamo a Napoli e anche il nome ‘O Munaciello (piccolo monaco, in napoletano), uno spiritello leggendario del folclore napoletano citato nell’800 da Matilde Serao, mostra l’appartenenza ad una terra con tutti i suoi colori e la gioia di vivere, schidionate di ferro che reggono corone d’aglio, peperoncini e pomodorini piennolo, le profumate mele Annurca, i limoni di Amalfi e Sorrento, i prodotti provenienti dai terreni sotto il Vesuvio, ceste di frutta, il juke box, carrettini pieni di fiori e quello delle granite al limone. Il locale è un piacevole caos organizzato: tovaglie con i numeri della tombola stampati, un album fotografico di uno dei Quartieri Spagnoli napoletani; ti aspetti da un momento all’altro di vedere apparire Totò o Maradona, eroe indimenticabile al cuore dei napoletani, infatti la prima cosa che vedi, entrando, è il magico “numero 10”

stampato sulle maglie di Maradona tese, come fossero al sole, tenute dai chiappini di legno. I ragazzi, Leonardo, Valentina e Carmine, ti portano per mano negli affascinanti Quartieri Spagnoli che hanno riprodotto a Miami, per un viaggio nei sapori, profumi e colori della migliore cucina del mondo, dagli spaghetti, ragù, mozzarella, babà, sfogliatella, pastiera, caffè, salame di Napoli, struffoli, chiacchiere, zeppole di San Giuseppe, tortano, casatiello, caprese, delizie, cannelloni, lasagna, falanghina, limoncello… L’enorme forno a vista è regno incontrastato di Carmine Candito, un gigante di simpatia per la pizza più buona di Napoli, dapprima portata a Firenze in Santo Spirito ed infine a Miami, dove le sue pizze sono opere d’arte e la sua cucina, che nasce dal pane, si arricchisce via via di profumi e sapori che rendono unica la sua impronta napoletana.

‘O MUNACIELLO MIAMI

‘O MUNACIELLO FIRENZE

6425 Biscayne Boulevard - Miami ‘O Munaciello - Miami

Via Maffia, 31 - Firenze

‘O Munaciello - Firenze

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GOLAVAGANDO

A ROMA

ROMEO & GIULIETTA È RISTORANTE, FORNO E PIZZERIA. DI PREGIO di

Teresa Cremona

Roma, quartiere Testaccio, siamo sul lungotevere sotto la rocca dell’Aventino. Fu in questa zona che, secondo Virgilio, avvenne l’incontro tra Enea ed Evandro. Qui fu costruito da Porsenna il primo ponte, il Ponte Sublicio: era l’ingresso a Roma. Qui, ai tempi di Adriano, arrivavano via Tevere, all’Emporio, i marmi destinati al mausoleo dell’imperatore. In epoca più tarda i barconi che risalivano il fiume trasportavano sale che i monaci benedettini di S.Anselmo stivavano nelle gallerie sotto al loro convento. Ambienti naturali che si diramano nelle profondità della rupe e chedurante l’ultima guerra servirono come rifugi. Per poi diventare, negli Anni ‘60, una concessionariaofficina di auto tedesche. E poichè le economie cambiano,ora è il tempo di Romeo, anzi di Romeo & Giulietta, spazio articolato in multifunzioni che declinano in diversi modi il cibo e la gastronomia. Complessivamente 2000 mq, ristrutturati su progetto dell’architetto Andrea Lupacchini. Compito non facile per le caratteristiche peculiari di queste gallerie un po’ labirintiche, dove sono assenti aperture e finestre, dove le volte in mattoni vanno da oltre 5 fino a 7 metri. L’allestimento è stato studiato con elementi mobili verticali che scendono dai soffitti, hanno forma di rami di alberi stilizzati, talvolta sono solo volumi

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chiari che, oltre alla funzione decorativa, hanno il compito di controllare l’acustica degli spazi. I locali possono ospitare 500 persone sedute e circa il doppio in piedi, il bancone dove accomodarsi per snack veloci è lungo 27 metri; ma, di questi, 19 metri con 34 sedute sono dedicati al cocktail bar condotto del bartender Riccardo Gambino che ha progettato oltre a una lista di cocktail, anche una speciale carta dei Martini. Romeo è ristorante, forno, gastronomia, Giulietta è Pizzeria con 2 forni quella romana affidata alla consulenza di Marco Lungo e quella napoleta-


ROMEO&GIULIETTA

na affidata alla consulenza dei Fratelli Francesco e Salvatore Salvo di San Giorgio a Cremano. Ci sono poi anche 2 forni per il pane e ancora altri 3 forni per le altre preparazioni. Ci sono 3 cucine, 1 griglieria che è l’unica attrezzatura in comune sia al ristorante Romeo che alla Pizzeria Giulietta. Perché ogni settore è stato progettato perfettamente autonomo e indipendente: un impianto di domotica controlla ogni attività e ogni area, dalla climatizzazione, alle luci, all’audio, etc., dalle zone delle cucine a quelle dei forni che sono anche collegati con videocamere attraverso le quali i cuochi e i pizzaioli possono, se necessario, mettersi in contatto con i consulenti in tempo reale. Nell’organizzazione degli spazi, anche 2 salette per cene private, 1 sala convegni cablata, 1000 metri di laboratori e di spazi di servizio; ci sarà una scuola di cucina e, prossimamente, un giardino pensile e una zona ester-

na dove saranno allestiti tavoli nella stagione estiva. Ingressi dalla strada separati per Giulietta, Romeo e Frigo, circolarità interna fluida e senza barriere. Il progetto e il conseguente imponente investimento vede insieme Cristina Bowerman (foto in alto), chef di Glass Hostaria, Fabio Spada già suo socio nel precedente ristorante Romeo (oggi venduto e che si appresta a diventare l’Osteria di Birra del Borgo), il giornalista di Repubblica Antonio Scuteri e Giuseppe De Martino, industriale della Pasta, con i tre marchi De Martino, Pastificio dei Campi, Pastificio Antonio Amato. ROMEO

Piazza dell’Emporio, 28 - Roma - Tel. 06 32110120 - www.romeo.roma.it GIULIETTA

Piazza dell’Emporio, 28 - Roma - Tel. 06 45229022 - www.giuliettapizzeria.it FRIGO

Via Marmorata, 30 - Roma - Tel. 06 45229045 - www.frigogelato.it

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GOLAVAGANDO

A FIRENZE

BUONERÌA È IL PIÙ GRANDE POLO ITALIANO DELLA PIZZA di

Teresa Cremona Paolo Matteoni

foto di

Situata alle porte del Parco delle Cascine, accanto all’Opera di Firenze, vicina alla Leopolda,la ‘Buonerìa’ è pizzeria all’aperto che si estende su una superficie di 4500 mq. con 4 forni esterni e 2 nello spazio interno (che rimarrà operativo anche in inverno), con pizzaioli formati da Don Antonio Starita, aperta dalle 8 di mattina alle 2 di notte – è il più grande polo italiano della pizza.

della zona di Fosso Bandito,sottraendola al degrado. L’investimento è di un gruppo di imprenditori locali che ha realizzato una location che richiama l’atmosfera informale dello ‘star fuori’ dei Paesi dell’Italia meridionale. “Abbiamo voluto trasformare la Buonerìa in una sorta di accademia della pizza – spiegano Paul Vincent Piccinno e Valentina di

L’area, molto grande e con molto verde, si sviluppa intorno ad una ‘piazzetta’ centrale e si articola in spazi diversificati: da quello per famiglie o gruppi di amici con panche e tavoli di legno; al beer garden con mescita alla spina di birra cruda Pedavena da un mega fusto di 500 litri; alla terrazza lounge per cocktail, aperitivi e con deejay, dove non saranno ammessi i bambini; al palco per musica dal vivo o anche proiezioni di film e spettacoli di teatro. Un mondo dove fino a metà settembre sarà possibile assaggiare tutte le varianti della pizza, da quella napoletana a quella romana; da quella a “pala” alla pizza fritta, fino agli impasti realizzati con farine integrali e biologiche. Un mondo dove il sabato si arrivano a sfornare 1500 pizze. L’anteprima del debutto della Buonerìa (ci permettiamo di dire che il nome non ci piace) era avvenuto a marzo, quando ha aperto la zona che possiamo definire invernale,nei locali che fino agli inizi del 2000 sono stati occupati da una discoteca cult. La proprietà che ha rilevato gli spazi, oltre ad aver investito in infrastrutture e personale, ha di fatto riqualificato l’area urbana

Gioia, capofila dell’operazione – perché crediamo che anche nel campo della pizza la diversità di gusti e preferenze debba potersi tradurre nella massima libertà di scelta. In questo senso, la collaborazione con partner come don Antonio Starita o Valoriani fa sì che ogni singola pizza sfornata rappresenti il massimo livello di qualità che una pizza possa offrire”. Accanto ai forni a legna Valoriani, ci sarà uno spazio street food dedicato ai fritti della tradizione napoletana; i punti vendita saranno su speciali biciclette in vetroresina. Inoltre la Buonerìa d’estate ospita la prima postazione italiana mobile dei Magnum Algida personalizzabili: si tratta del debutto di una serie di dieci “chioschi” dove creare ad hoc il proprio gelato.

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BUONERÌA

Via del Fosso Macinante 4 - Firenze Tel. +39 055 365500

www. buoneria.com - info@buoneria.com


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Buone Nuove

le novità del mese

NUOVA LINEA SACLÀ DI SOTTOLI LEGUMI&GERMOGLI

BN

Tre le proposte Saclà della nuova linea sottoli, Fagioli rossi e germogli di legumi, mix di fagioli rossi e germogli di fagioli e lenticchie, molto nutrienti e ricchissimi di proteine; Edamame, ceci e fagioli rossi (edamame sono fagioli di soia tipici della tradizione giapponese, con caratteristico gusto dolce ed equilibrato); Peperoni, ceci e olive nere, una ricetta tradizionale dal gusto inconfondibile, saporita e subito pronta, perfetta anche per chi ha deciso di ridurre il consumo di carne e cerca fonti alternative di proteine.

www.sacla.it

CIRCUITO RISTOGOLF 2017 BY KITCHENAID & ESTRA

BN FREDDO ASSICURATO CON ELECTROLUX

BN

Electrolux Professional e Generali Italia propongono la nuova polizza “Freddo Assicurato” che copre il valore delle derrate alimentari stoccate all’interno di frigoriferi e freezer. I professionisti della ristorazione e dell’ospitalità, che acquistano un frigorifero o un tavolo refrigerato Electrolux della gamma ecostore di Elecrolux Professional entro l’1 ottobre possono usufruire di questa esclusiva polizza che si prende cura degli alimenti conservati all’interno di frigo/freezer in caso di mancato freddo. Si tratta di una novità assoluta nel mondo della ristorazione perché permette al cliente di non doversi preoccupare del deterioramento delle derrate alimentari e della loro attività di ristorazione. Spiega Massimo Presot, direttore Marketing Electrolux Professional Italia: “Electrolux Professional, promotrice di una refrigerazione responsabile attenta a qualità, ambiente e costi di gestione, offre con questa partnership un incentivo in più per l’acquisto di prodotti della gamma ecostore. L’iniziativa rientra nel percorso aziendale a sostegno e supporto di un’idea di ristorazione intelligente, attenta al food cost e agli sprechi”.

www.rinnovaerisparmia.it/ecostore www.professional.electrolux.it/

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Il Circuito Ristogolf festeggia quest’anno la sua quinta edizione. Nato nel 2012 dal desiderio di incrementare e sviluppare il gioco del golf fra ristoratori, albergatori, operatori del settore food&beverage e simpatizzanti, si rivela sempre più come un circuito ricco di sorprese dove buon cibo, sport e benessere la fanno da padroni! Ideato dall’Associazione Ristoratori Albergatori & Co Golfisti, fondata dagli chef stellati Enrico Cerea, Giancarlo Morelli, Davide Scabin, Norbert Niederkofler e guidata dal direttore Dario Colloi, golf professional e golf manager, Ristogolf cresce grazie agli sponsor, soci, golf club e media. Più di 40 chef rinomati sono intervenuti in queste edizioni rendendo Ristogolf un circuito d’eccellenza accompagnato da speciali showcooking. Prossime tappe, al Golf Club Colli Berici (8 settembre) con il pastry chef Diego Crosara, campione del mondo di pasticceria 2006 e campione del mondo di gelateria 2016, e gli chef Marco Perez - ristorante Amistà 33 - Corrubbio (VR) ed Enrico Cerea - ristorante Da Vittorio Brusaporto (BG). Ultima tappa il 27 settembre al Golf Club Franciacorta.

www.ristogolf.com



I locali

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Trésor Scopriamo insieme quali sono i locali che racchiudono piccoli grandi tesori... Ogni ristorante, locanda o trattoria, famosa o meno, può vantare il proprio “Mon Trésor”, un personalissimo tesoro fatto di attenzione per i dettagli, cura dei propri ospiti, professionalità in cucina e in sala. Noi abbiamo individuato alcuni di questi “Mon Trésor” e li segnaliamo nelle prossime pagine...

golavagando montresor di

Giovanni Angelucci

ALLE PORTE DI MILANO

BORGO BAGNOLO È UNA PICCOLA OASI NEL VERDE

Il ristorante Borgo Bagnolo si trova a pochi passi da Milano, all’interno di un borgo del 1700 dove si respira l’aria antica di ciò che questo posto era secoli fa. La zona è verde e tranquilla, tra Milano e San Donato Milanese, non lontano dall’abbazia di Chiaravalle, e il ristorante è solo una parte di questa realtà tornata a nuova vita. Nel complesso immerso nella totale campagna si esercitava l’allevamento del bestiame e si praticava l’agricoltura, ma la maggior parte dei fabbricati veniva utilizzata dai loro ricchi proprietari come seconda residenza estiva. Questo complesso ricco di passato ha vissuto negli ultimi decenni in abbandono, rischiando di essere dimenticato per sempre e cadere nell’oblio. Fortunatamente oggi è rinato in un progetto di recupero che ha avuto sin dal principio come obiettivo quello di valorizzare ciò che gli edifici offrivano, senza modificarne le qualità estetiche, architettoniche e storiche. Appena giunti nel borgo ad accogliere sono le

strutture che contano numerose porte e finestre come una volta, si cammina sul parquet e si osservano le grandi travi a vista. Il risultato del lavoro di rifacimento è un luogo piacevole a due passi dalla città che non si avverte in alcun modo, anzi si dimentica per qualche ora. Qui si può godere della natura e cenare all’interno di un ristorante moderno che si esalta nel porticato esterno in mattoni a vista: con la bella stagione infatti il giardino diventa sala da pranzo già dall’arrivo della primavera. Completamente immerso nel verde, tra alberi, siepi e giardini, è la location ideale per rilassarsi, a tavola. Una cucina che ricerca la qualità delle materie prime e che cerca il più possibile di seguire la stagionalità. I sapori sono quelli mediterranei che seguono la tradizione gastronomica lombarda. Il menù del ristorante Borgo Bagnolo si declina attraverso una vasta scelta di piatti che vuole soddisfare il gran numero di clienti che qui giungono soprattutto durante il week end.


on

Trésor Aprono le danze gli antipasti semplici e ma appetitosi come la millefoglie di pane carasau con ricotta di capra e composta di arance e zenzero o il cotto e crudo d’oca con pettole fritte. Seguono le linguine abruzzesi cacio e pepe rosa con gamberi di Mazara marinati al lime. Le chitarrucce nere alla carbonara di mare con rana pescatrice fanno la loro bella figura e preparano, dopo una breve pausa, alla tartare di fassona con

carciofi, scaglie di pecorino e mirtilli usati per bilanciare mediante la parte acida. I più tradizionalisti andranno sul sicuro con l’ossobuco di vitello con risotto alla milanese e la tipica cotoletta di vitello fritta. I piatti a base di carne sono i prediletti dello chef come il petto di anatra laccato al miele con arancia e cannella o la coppetta di maialino cotta a bassa temperatura con carciofi e pomodorini. Ma il pesce non manca e il tonno scottato in crosta di sesamo e pistacchio con caponata di melanzane o il merluzzo arrostito su crema di zucca e cracker di pane non deluderanno. A disposizione per chi non può fare a meno della pace neanche di giorno, l’offerta più contenuta del pranzo, dove trovano spazio i piatti più freschi che cambiano quotidianamente a seconda di ciò che offre il mercato. Inoltre questa realtà rappresenta la location azzeccata per organizzare eventi e matrimoni con la sua sala di 250 metri quadrati al pian terreno.

Il Mon Tresor è... L’AMENITÀ DEL LUOGO La location d’eccezione in cui perdere la cognizione del tempo. Non è facile trovare nelle vicinanze di una metropoli un ristorante così in simbiosi con la natura. Ciò vuol dire relax e pace dei sensi, scoprendo che non è mai stato così piacevole un pranzo al ristorante.

RISTORANTE BORGO BAGNOLO Via Luigi Calabresi, 42

San Donato Milanese (MI) Tel. 02 51879639

www.ristoranteborgobagnolo.it

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golavagando montresor di Jerry

Bortolan

foto di Giovanna Di Lisciandro

A LADISPOLI

LA PARANZA

OFFRE UNA CUCINA A VISTA, DAL PRODUTTORE AL CONSUMATORE Rincorrere i trend di successo nel mondo della gastronomia e riproporli, magari con un format diverso, è diventato ormai la garanzia di una quasi totale sicurezza economica. E questo grazie al tam tam del consumatore del food che, essendo sempre legato al suo smartphone, comunica via etere quello che una volta si faceva attraverso il passaparola: per cui il gioco, se è valido e “gustoso”, vince si entra velocemente nel giro che si deve provare e frequentare. Da un po’ di tempo nel trend dei posti dove ristorarsi sono entrate le pescherie: fa tanto diverso e originale. Per i più maliziosi enogastronomi si tratta dell’evoluzione del “pane-

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vino-formaggio e mortadella ” che si trovava nelle storiche osterie. La pescheria, però, oggi vince perché è molto suggestivo mangiare in un ambiente dove si respira l’aria di mare che profuma di iodio e, poi, il pesce esposto arriva rigorosamente dal nostro mare. Per cui si mangia ciò che si vede: una garanzia per la nostra salute. A Roma, sono già diverse le pescherie che si sono attrezzate con uso cucina e tavoli, associando vendita e ristorazione. Così non si vende solo pesce da portare a casa ma anche la possibilità di mandarlo cucinato dal banco al tavolo. E’ quello che hanno pensato e fatto qualche hanno fa Angelo


on

Trésor Chiocca e il figlio Luca, patron della pescheria “La Paranza” di Ladispoli, la cittadina sulla costa nord del litorale laziale . Beinge Chiocca, il nonno, è lì dagli anni 40: arrivato da Pozzuoli dove faceva il pescatore, anche i figli di professione non potevano che fare i “pescivendoli”, come i romani chiamano quelli che commerciano con questo alimento. Figli “pescivendoli” che sono anche dotti e attenti a tutto quello che è di tendenza nella ristorazione, pronti a proporre nuove idee per una ristorazione alternativa. Così, hanno pensato che non c’era niente di meglio che far consumare il pesce fresco direttamente in una bella pescheria che, per quantità e diversità, ricorda l’atmosfera del mercato del pesce della Vucciria di Palermo: nei grandi contenitori

sul banco si muovono crostacei e molluschi e tutto il pescato del giorno, garanzia di freschezza, perfetto per essere cucinato al momento. Dal banco del pesce ai fornelli: dalle 13 alle 15 si può fare un lunch o spaziare sulle proposte giornaliere che presenta la cucina in quel momento, seduti a uno dei tavoli conviviali nel dehors della pescheria. Ma, siccome il pasto non può essere lento (o slow), ma rapido, si può scegliere l’appena cucinato tra l’insalata di mare, il polpo arrostito, o la catalana di mazzacolle. Con qualche minuto in più, vale la pena di buttarsi su uno spaghetto con polpa di granseola, che mette in pace tutti, o “sporcarsi le mani” attingendo in un grande piatto di telline, cozze, e lupini: un insieme esaltante di profumi di mare e succose sensazioni gustative. Se poi si accompagna il tutto con bollicine millesimate o, in alternativa, con un superbo sauvignon fumé dell’azienda vincola Wallenburg di Trento, servito alla giusta temperatura, il proseguimento della giornata entra in un’altra dimensione. Ma è alla sera, dopo aver tirato giù la saracinesca alle 19.30, che la cucina presenta le sue semplici proposte nel pesce povero e in quello più blasonato per qualità: spigole e dentici, pescati all’amo, e superbi tranci di pesce spada pescato nel nostro mare.

Il Mon Tresor è... LA FRESCHEZZA DEL PESCATO Qui c’è è la quadratura del cerchio, con i prodotti d’eccellenza freschissimi che, una volta entrati in cucina, si traducono in sapori netti se trattati bene da sapienti chef.

LA PARANZA

Viale Mediterraneo, 1 - Ladispoli (Roma) - Tel. 06 991 3802

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golavagando montresor di

Daniele Briani

A TRIESTE

ENOTECA SGONICO

PROPONE LA VERA CUCINA DI MARE CON OTTIMA CARTA VINI E’ sempre la stessa storia. Vuoi prenderti il tuo tempo, dedicarti a te stesso e, per fare questo, è necessario avere un’attività che te lo permetta. Allora lasci il tuo vecchio lavoro – nella fattispecie il ristoratore con vocazione a carne e selvaggina – e ti dedichi con passione al mondo del vino avviando l’Enoteca Sgonico. Con grande dedizione promuovi soprattutto i vini del territorio ma apri gli orizzonti dei tuoi clienti anche ad altre varietà e tipicità italiane ed estere. Poi, però, ti fai prendere la mano sull’onda del crescente successo e, spinto da una clientela sempre più esigente che apprezza le tue proposte, cedi alla loro insistenza di vedere abbinato anche il cibo, ma

non un banale “rebechin” come si usa dire da queste parti, ma qualcosa di più sostanzioso e ricercato. E allora la tua natura prende il sopravvento e comincia a imbandire le tavole dell’enoteca con i migliori pesci e molluschi del golfo di Trieste e non solo, ricompattando il sodalizio con tua madre che va avanti incessantemente da anni. Questa, in sintesi, la strada che ha portato Mitja Riolino a realizzare il suo ristorante di pesce nel cuore di quella parte della provincia di Trieste affacciata sulla Slovenia. La sua cucina, che nasce dalla perfetta simbiosi con la madre che sta ai fornelli, sposa vecchie e intramontabili ricette a volte lasciandole scevre da riammodernamenti del terzo millennio, a volte corredandole di sbuffi fantasiosi che generano accostamenti impensabili, tant’è che qui il menù non lo consulta nessuno da almeno quindici anni. Pesce fresco e materia prima di altissima qualità sono da sempre un imperativo di chi vuole distinguersi nel mare magnum di chi pratica la ristorazione, a questo si aggiunga la scelta di varietà che vanno dall’autoctono all’internazionale per non essere mai banali. Per questo nascono piatti come la tartare di gamberi rosa con riso nero venere e zucchine marinate al lime servite con corredo di gamberi blu

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on

Trésor della Caledonia con fragola e limone. Oppure, seguendo la stagionalità, dei fiori di zucca ripieni di mazzancolle avvolti nel lardo di Patanegra: su questi il dubbio amletico se valgono da antipasto o da secondo o da “rebechin” di lusso. Tra i primi sicuramente i ravioli ripieni di ragout al nero di seppia con crema di pioppini e tartufo rappresentano un piatto fuori dall’ordinario. Per chi ama i carpacci la scelta è ampia e basata sulla stagionalità, così come per il pescato giornaliero a corredo dei secondi piatti di pesce, siano essi alla griglia, al sale o al forno. Gli amanti della carne non rimarranno delusi nemmeno per la scelta dei vini rossi. Per assaggiare bene la cucina di Mitja e mamma Neva forse non basta un pranzo o una cena e allora perché non cogliere l’occasione e assaporare anche il Carso più autentico, i suoi paesaggi, profumi e sapori originali restando ospiti qualche giorno nel B&B che Mitja ha ricavato a poche centinaia di metri dall’enoteca. Composto di tre appartamenti, ognuno dei quali sviluppato su due piani, il complesso usufruisce di tutti i moderi servizi e di una piscina esterna dove rilassarsi o riposarsi al sole magari dopo aver in-

Il Mon Tresor è... L’INCONTRO TRA IERI E OGGI Il piacere della sfida nella creazione di nuovi sapori e abbinamenti, che nasce dal continuo confronto di due generazioni – madre, figlio – e che non si adagia mai sugli allori, ma si rinnova incessantemente in un continuo piacere della ricerca di nuove sensazioni.

trapreso una passeggiata in bicicletta lungo il percorso Gemina, che parte proprio dall’enoteca e si inoltra per 15 chilometri all’interno del territorio, sfruttando le vecchie strade poderali utilizzate nel passato come vie di servizio per le attività agricole. Questo potrebbe essere un nuovo modo di vivere il Carso a 360 gradi.

ENOTECA SGONICO

Località Sgonico, 15 - Trieste

Tel. 040 2296623 - Cell. 348 8512625 FB Enoteca Sgonico

www.bbsgonico.it - info@bbsgonico.it

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GOURMETFOOD

IL LUOGO DI

AIMO E NADIA

CONFERMA IL VALORE DI SCELTE VINCENTI NEL TEMPO

foto

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di Sandro Romano © Brambilla/Serrani - Sara Magni


AIMOENADIA

AIMO, LA GENESI “Io non sono Bernadette o E.T., non ritengo di essere più bravo degli altri, ma amo il mio lavoro e, se non avessi qualche acciacco dovuto all’età, ancora adesso sarei ai fornelli, da sempre la mia vita. Non ho mai pensato al denaro: oggi vivo di pensione, ma la mia ricchezza è la cucina”. Sono le parole più belle della lunga ed emozionante chiacchierata fatta con Aimo Moroni, in occasione della visita a Il Luogo di Aimo e Nadia: traspare la semplicità di quest’uomo ma, al tempo stesso, la sua forza e il suo rapporto passionale con la professione di cuoco, che lo ha portato per tanti anni, insieme a sua moglie Nadia, a calcare la scena da protagonista nella grande ristorazione italiana. “Il Padreterno ci ha dato questo pezzo di terra che è unico al mondo, uno stivale bagnato da cinque mari, una terra lavica e vulcanica, venti salmastri, un sole caldo e luminoso, insomma una collocazione che ci ha premiato e che, forse, neppure meritavamo - continua Aimo.

Noi italiani siamo un po’ autolesionisti: abbiamo creato la cucina mediterranea, apprezzata in tutto il mondo ma un po’ meno proprio in Italia, nonostante la qualità delle nostre materie prime. Non c’è solo la stagionalità della frutta e della verdura, c’è anche quella del pesce, ma la gente non lo sa. Se, nella giusta stagione, preparassi un piatto con le cicale di mare e uno con l’aragosta, sono sicuro che ogni cliente preferirebbe il primo, allo stesso tempo anche molto meno costoso”. “Oggi Milano – prosegue - è piena di sushi bar, di posti dove ti fanno gli spaghetti con il wasabi e le alghe fritte, non trovi più un piatto di vermicelli con la “pummarola” fatto come si deve, con i pomodori del piennolo. In casa mia la pummarola è sempre esistita, si faceva la passata di pomodoro con quello di stagione; mio

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GOURMETFOOD

RISOTTO all’olio extravergine di olive Nocellara

con gamberi “viola” di Sanremo e origano di Vendicari INGREDIENTI per 4 persone

Per la composizione: 8 foglioline di ane-

Per la marinatura dei gamberi: pulire le

Gran Riserva, g. 10 di olio extravergine

cari, 8 foglioline di basilico.

disporli su un vassoio aggiungendo il sale.

Per il risotto: g. 200 di riso Carnaroli di olive Nocellara per la cottura, g. 30 di

to, 8 fogioline di menta, origano di Vendi-

olio extravergine di olive Nocellara per

PROCEDIMENTO

tritata, g. 20 di cipollotto di Tropea tritato,

separando le code dalle teste. Togliere

la mantecatura, g. 30 di burrata di bufala g. 20 di capperi di Pantelleria dissalati,

g. 900 di fumetto di pesce, ml. 10 di vino

bianco, scorza di limone, sale marino integrale.

Per la salsa di gamberi: 12 teste di gamberi ‘viola’ di Sanremo, g. 100 di pomodo-

rini datterino, 1 spicchio d’aglio, g. 50 di cipolla, g. 50 di carote, l. 1 di acqua, g. 50

di olio extravergine di oliva Nocellara, g. 6 di sale.

Per i pomodori “al filo”: g. 50 di pomo-

dori pugliesi “al filo”, 1 acciuga di Monterosso dissalata e tritata, 8 foglioline di basilico, sale.

Per la marinatura dei gamberi: 12 code di gamberi, g. 4 di sale.

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Per la salsa di gamberi: pulire i gamberi,

il carapace dalla testa e, con l’aiuto di un cucchiaino, togliere la ghiandola digestiva, gli occhi e il cuore di colore rosso vivace.

In una casseruola con l’olio fare una mire-

poix di aglio, cipolla, carota e pomodorini datterino. Tostare molto bene, aggiungere le teste di gambero, l’acqua, il sale e fare

cuocere per 30 minuti. Frullare con un mixer ad immersione e filtrare. Riportare ad ebollizione la salsa e farla ridurre di 3/4.

Per i pomodori “al filo”: pelare i pomodori “al filo”, tritarli con il coltello lasciando tutto l’interno dei pomodori. Condirli con

l’acciuga, le foglioline di basilico e un piz-

zico di sale. Metterli in un colino a scolare per 20 minuti.

code togliendo l’intestino, tagliarli a metà, Per il risotto: in un tegame, scaldare l’olio

e unirvi il cipollotto tritato a fuoco dolce (se necessario aggiungere un cucchiaio di acqua).

Aggiungere il riso, farlo tostare bene a fuoco vivace, sfumare con il vino e aggiungere metà del fumetto. Cuocere per

8 minuti a fuoco moderato, quindi unire la

burrata, i capperi e continuare la cottura

per altri 6 minuti aggiungendo il restante fumetto. Al termine della cottura togliere

dalla fonte di calore, aggiungere la scorza

di limone grattugiata e mantecare con l’olio. Regolare di sale se necessario.

Per la composizione: stendere il risotto

su un piatto, distribuire sopra il trito di po-

modori “al filo”, i gamberi e le foglioline di basilico, aneto e menta e l’origano. Com-

pletare con la salsa di gamberi calda e un filo di olio extravergine d’oliva.


fratello, che ha 86 anni, 2 più di me, ancora oggi produce 20 quintali di “Rio grande”. “Tanti anni fa a San Francisco - racconta ancora Aimo - alla presenza di grandi personalità come Giuliani, Coppola e Bush padre, mi chiesero di preparare lo spaghetto al cipollotto, un piatto diventato importante nonostante la sua apparente semplicità. Fu apprezzato da tutti e il giorno dopo ne parlò pure il New York Times. Eppure solo pochi semplici ingredienti: spaghetti di qualità, cipollotto di Tropea, basilico di Prà (ne ho ancora 80-90 piante sul balcone di casa), peperoncino di Diamante, olio crudo e alloro, ma preparati con un procedimento meticoloso che ne esalta le caratteristiche”.

AIMOENADIA

FABIO E ALESSANDRO, LA CONTINUITÀ Aimo Moroni non è più alla guida della cucina del ristorante, oggi affidata alle talentuose mani del pugliese Fabio Pisani e del valtellinese Alessandro Negrini, chiamati alcuni anni fa ad affiancare i Moroni e ad assimilarne e svilupparne i concetti. Stessa età (38 anni), simili nel fisico, quasi stessa altezza, tutt’e due magri senza la tipica pancetta da cuoco. Fabio, pettinato preciso, moro, faccia da ragazzo posato, carattere riflessivo e all’apparenza chiuso, almeno finché non lo conosci meglio e viene fuori tutta la sua cordialità da uomo del Sud; Alessandro, occhi chiari un po’ strabuzzati, capelli spettinati ad arte, sguardo furbetto e carattere aperto, sempre sorridente. I due chef sono assolutamente complementari e intercambiabili, si con-

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GOURMETFOOD

SPAGHETTONI AL CIPOLLOTTO INGREDIENTI per 4 persone

PROCEDIMENTO

di Benedetto Cavalieri

Tagliare i cipollotti a striscioline sottili. Tritare l’aglio.

g. 280 di spaghettoni

g. 500 di cipollotto rosso di Tropea g. 100 di pomodori ramati 1 spicchio di aglio 1 foglia d’alloro

g. 1 di peperoncino calabrese prezzemolo fresco tritato 5 foglie di basilico

ml. 200 di brodo vegetale (vedi ricetta base)

g. 50di olio extravergine d’oliva g. 20 di parmigiano reggiano

stagionato 28-30 mesi grattuggiato sale marino integrale

Per cuocere la pasta l. 5 d’acqua

g. 50 di sale

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Lavare i cipollotti togliendo le radici, la parte verde e la prima falda esterna. In una casseruola bassa scaldare l’olio con l’alloro, unire l’aglio e i cipollotti.

Cuocere a fuoco dolce per circa 25 minuti, bagnando di tanto in tanto con poco brodo caldo. Togliere dal fuoco, aggiungere il sale, il peperoncino. Far riposare per almeno un ora.

Pelare il pomodoro, privarlo dei semi e tagliarlo a cubetti.

In una casseruola far bollire l’acqua, aggiungere il sale e cuocervi la pasta per 17 minuti.

In una padella larga mettere il sugo di cipollotto, i cubetti di pomodoro e poco

brodo vegetale. Aggiungere la pasta ben scolata e cuocerla a fuoco vivace per 2 minuti, unendo il prezzemolo e il parmigiano. Amalgamare bene il tutto, rego-

lare di sale e di peperoncino. Servire in una fondina calda completando con il basilico. Ultimare con un filo di olio extravergine d’oliva.


AIMOENADIA

frontano su concetti e idee, ma poi i piatti escono con una filosofia unica e uno stile chiaramente riconoscibile, teso alla valorizzazione della materia prima, da sempre leitmotiv della cucina di Aimo e Nadia. Insomma, decisamente diversi all’apparenza, ma due cavalli di razza che, ai fornelli, sviluppano in perfetta sintonia un percorso gastronomico che è la naturale continuità di quello dei coniugi Moroni, caratterizzato, però, dal loro necessario tocco personale e dalle esperienze maturate nelle cucine di importanti ristoranti in Italia e all’estero. Infatti, Fabio e Alessandro si sono conosciuti quando erano dai Santini e avevano già fatto varie esperienze in giro per il mondo, lavorando in brigate di cucina numerose e organizzate, con solida disciplina e compiti ben precisi. In questo loro percorso di formazione hanno consolidato tecniche e idee, ma hanno anche maturato la voglia di esprimersi con forti connotazioni territoriali, lasciando emergere la loro creatività senza essere ingabbiati in regole standard come spesso avviene in strutture di quel tipo. Ecco quindi che, nella loro cucina, trionfano prodotti pugliesi quasi onnipresenti nelle proposte che compongono l’attuale carta: burrata, cime di rapa, marasciuolo di campo, lampascioni, olive nolche, mostaccioli, seppie “arricciate” (all’uso

barese) e farina di ceci tostati, reinterpretazione della tipica farinella di Putignano, si trasformano da ingredienti poveri in elementi preziosi, valorizzando e, soprattutto, conferendo un preciso carattere ad ogni piatto. Stefania Moroni, figlia di Aimo e Nadia, ha fortemente voluto il nuovo progetto che vede alle redini della cucina Pisani e Negrini, ma, comprendendo quanto in un ristorante così importante sia fondamentale avere in sala altrettanta professionalità, ha arricchito la squadra con il maitre Nicola Dell’Agnolo e il sommelier Alberto Piras, due giovani di comprovata esperienza e competenza. L’attuale successo di questo ristorante è proprio il risultato della perfetta sintonia fra i due reparti, tra i quali lo scambio di notizie, impressioni e idee, avviene continuamente, quasi in una sorta di naturale automatismo. Parlando della cucina, infatti, Pisani sostiene con estrema convinzione che essere in due è una grande cosa, perché tra lui e Negrini c’è amicizia, stima e rispetto, e, insieme, perseguono il raggiungimento di un unico obiettivo.

“Insieme guardiamo oltre – dice il cuoco pugliese - ma non dimentichiamo il passato glorioso di questo ristorante, da cui ancora attingiamo e traiamo preziosi insegnamenti e nuove ispirazioni”. “Il nostro modo di lavorare insieme – gli fa eco Alessandro - è basato sullo scambio e sul confronto. A volte abbiamo idee diverse sulla realizzazione di un piatto e così ne prepariamo due, poi li assaggiamo e ci confrontiamo. Quando un piatto va in carta è perché ha ottenuto l’approvazione di tutto lo staff e tutti ci crediamo fortemente. E’ proprio attraverso il confronto costruttivo, che i nostri pensieri si fondono in un unico risultato, quello che deve andare in tavola per l’approvazione finale del cliente”. “Uno scambio così totale - continua sorridendo - che, a volte, io divento l’uomo del Sud e Fabio il valtellinese”. I piatti proposti sono un crescendo di sensazioni e di alternanze tra il dolce, il salato, l’acido e l’amaro, con grande attenzione alle varie consistenze e la scelta attenta delle cotture più adatte.

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GOURMETFOOD

ZUPPA ETRUSCA INGREDIENTI per 4 persone

extravergine di oliva, g. 5 di sale.

A cottura ultimata aggiungere il sale.

cavolo nero senza nervature, g. 50 di foglie

extravergine d’oliva, 2 spicchi d’aglio tritati,

unire il farro, farlo insaporire 3-4 minuti a

Per la zuppa di verdure: g. 50 di foglie di di cavolo verza senza nervature, g. 30 di

foglie di bietole, g. 60 di cipollotto fresco, g. 60 di porri medi (usare solo il bianco), g. 50 di carote medie, g. 50 di zucchine

Per l’olio aromatizzato: g. 100 di olio g. 10 di aghi rosmarino, g. 10 di salvia.

Per la composizione: g. 5 di fiore di finocchietto selvatico, 8 foglie di basilico.

piccole e sode, possibilmente la varietà

PROCEDIMENTO

tate medie a pasta bianca, g. 50 di gambi

gredienti in una pentola piccola e portare a

“striata di Napoli” verde chiaro, g. 50 di pa-

di sedano verde (preferibilmente quello piccolo molto profumato), g. 100 di foglie

di spinacino, g. 200 di fiori di zucca, g. 50

di piselli freschi sbaccellati, g. 50 di fave fre-

sche sbaccellate, g. 8 di semi di finocchio

tritati, g. 20 di foglie di prezzemolo e basilico spezzettate, 1 spicchio d’aglio, ml. 500 di brodo vegetale, g. 20 di olio extravergine d’oliva, g. 15 di sale, g. 3 di pepe.

Per i fagioli: g. 300 di fagioli bianchi di So-

rana, l. 2 di acqua oligominerale, 1 spicchio d’aglio diviso a metà, 2 foglie di salvia, 2

foglie di alloro, g. 10 di olio extravergine d’oliva, g. 5 di sale.

Per i ceci: g. 100 di ceci della Garfagnana,

l. 1 di acqua oligominerale, 1 spicchio di aglio diviso a metà, 2 foglie di salvia,

2 foglie di alloro, g. 10 di olio extravergine d’oliva, g. 5 di sale.

Per il farro: g. 60 di farro della Garfagnana, g. 15 di cipolla tritata, g. 1 di vino bianco secco, g. 200 di brodo vegetale (vedi ricetta base), g. 6 di olio

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Per l’olio aromatizzato: unire tutti gli in90°C per 10 minuti. Filtrare.

Per i fagioli: in una pentola di terracotta

mettere i fagioli a bagno nell’acqua oligo-

minerale per 24 ore. Aggiungere l’olio, la salvia, l’alloro, coprire con il coperchio di terracotta e cuocere in forno preriscaldato

a 180°C per 60 minuti. A cottura ultimata aggiungere il sale. Eliminare l’aglio, l’alloro e la salvia. Frullare 3/4 dei fagioli con l’olio

aromatizzato in un blender fino ad ottenere una crema liscia. Aggiungere sale, se necessario.

Per i ceci: in una pentola di terracotta mettere i ceci a bagno nell’acqua oligo-

minerale per 48 ore. Aggiungere l’olio, la salvia, l’alloro, coprire con il coperchio di terracotta e cuocere in forno preriscaldato a 180°C per 60 minuti.

Per il farro: appassire la cipolla nell’olio,

fuoco dolce, bagnarlo con il vino bianco, far evaporare a fuoco vivace, quindi cuo-

cerlo per 30 minuti bagnando con poco brodo vegetale per volta. Cinque minuti prima che sia completata la cottura, regolare di sale.

Per la zuppa di verdure: pulire e lavare tutte le verdure. Tritare il cipollotto e l’aglio;

tagliare a cubetti il sedano, il porro, le caro-

te, le zucchine e le patate. Spezzettare tutte le altre verdure a foglia: cavolo verza, cavolo nero, bietola, spinacino e fiori di zucca.

Pelare (salvo siano piccoli e teneri) piselli e fave. In una pentola larga stufare con l’olio la cipolla, l’aglio e i semi di finocchio per 2 minuti. Aggiungere carote, sedano, patate

e porri cuocendo a fuoco moderato per 5 minuti. Unire le verze ed il cavolo nero;

cuocere per altri 5 minuti aggiungendo brodo se necessario.

Continuare la cottura per 2 minuti aggiungendo: zucchine, fagioli, ceci, farro, crema di fagioli e brodo vegetale caldo.

Ultimare la zuppa con foglie di bietola, spi-

nacino, fiori di zucca, fave, piselli, basilico e prezzemolo.

Per la composizione: disporre la zuppa calda in una fondina e decorare con il

fiore di finocchietto selvatico, le

foglie di basilico ed un filo d’olio extravergine d’oliva.


AIMOENADIA

LA DEGUSTAZIONE Le cicerchie dei Monti Dauni in crema con marasciuolo, mosto cotto di fichi, lampascioni canditi e olive Nolche con biscotto mostacciolo (qui sopra) sono la perfetta sintesi di questo concetto, in cui il dolce del mosto e del biscotto si alterna con l’amaro dell’erba selvatica e del lampascione, il tutto inglobato ed esaltato dalla cremosità della cicerchia. Anche “Quasi un raviolo” (foto in alto a destra), piatto capolavoro in cui la sfoglia è un velo di seppia arricciata a mano, con la tipica tecnica utilizzata a Bari per renderne le carni più croccanti, composto con marmellata di limoni, scamorza affumicata e granita di barbabietole, ha per risultato un intrigante rimbalzo di sapori. Piatti di concezione moderna che si alternano a concetti più rassicuranti ma di grande appeal, come lo stoccafisso ragno mantecato all’olio extravergine d’oliva affiorato Mancianti in raviolo croccante di pane di Matera e rape all’aceto di mele o la meravigliosa zuppa etrusca, piatto simbolo della cucina di Aimo, intramontabile classico in cui le verdure, i legumi, le erbe aromatiche e il farro mantengono le loro precise identità, pur amalgamandosi fra loro in maniera perfetta. Pasta e patate con frutti di mare e crostacei all’erba lippia e i tortelli farciti di ossobuco di Fassone e midollo nel suo ristretto allo zafferano sardo e parmigiano Bonati, sono piatti che conquistano facilmente anche i palati meno allenati, per una più facile armonia fra i vari ingredienti utilizzati, predisponendo al secondo che, nel nostro caso, è stato l’agnello del Gargano alla liquirizia calabrese e pecorino sardo con carciofi di Albenga, piatto fusion tra quattro regioni, in cui la Puglia dello chef Pisani torna protagonista, pur degnamente accompagnata da Calabria, Sardegna e Liguria in un intrigante percorso di sensoriale. La vera anima della cucina de Il Luogo di Aimo e Nadia è questa: armonia, interazione, equilibrio fra gli ingredienti utilizzati, risultato che scaturisce dalla spiccata sensibilità dei due cuochi, che, anche quando vanno alla ricerca del contrasto netto, trovano sempre il giusto bilanciamento, con intuizioni intriganti, spesso addirittura geniali. Così è nello strepitoso predessert carciofo, caramello salato, birra, perfetta conclusione di un percorso e preludio al più strutturato dessert Black Lemon, in cui convivono crema di limoni, spuma di lime e polvere di loomi, in una summa di acidità che riescono quasi miracolosamente a non annullarsi, rimanendo perfettamente riconoscibili.

Piccola pasticceria per una chiusura in dolcezza insieme a un ottimo caffè, scelto tra le preziose miscele proposte, completano quella che è stata una giornata densa di emozioni, in cui la più gratificante in assoluto è stata la lunga chiacchiera con il grande Aimo, completata dalla consapevolezza che il Luogo di Aimo e Nadia rimarrà nel futuro un punto di riferimento sicuro della grande cucina italiana, grazie alla scelta azzeccata che la famiglia Moroni ha fatto, scommettendo sulla qualità e la competenza di Fabio Pisani e Alessandro Negrini. E se oltre vent’anni fa è arrivata la seconda stella, chissà, con queste premesse, con questa chiarezza di idee e la forza dell’attuale progetto, quali nuove soddisfazioni potranno arrivare. La scommessa è lanciata.

IL LUOGO DI AIMO E NADIA

Via Privata Raimondo Montecuccoli, 6 Milano

Tel. 02 416886

www.aimoenadia.com

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GOURMETFOOD

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MICHELANGELOMAMMOLITI

LA CUCINA ALLEGRA DI

MICHELANGELO MAMMOLITI NEL CUORE DELLE LANGHE di

Alessandra Meldolesi Davide Dutto

foto di

Occorre scavallare un paio di dossi verdi, tutti frutteto e boscaglia, dopo aver guadagnato la sponda sinistra del Tanaro, per approdare in frazione Madernassa, e da lì imboccare la salita verso il casolare che prende nome dal toponimo, come le pere, convertito 14 anni fa in ristorante dai patron Fabrizio e Luciana Ventura. Il cielo gastronomico è lo stesso delle Langhe, oggi allo zenit della ristorazione italiana: un mezzogiorno che il corso d’acqua non ha certo arrestato e che trova anzi nel relais uno dei paesaggi più convincenti, a tutto tondo. Nell’aria c’è anche un po’ di Francia: dentro l’edificio geometrico e moderno, fiancheggiato dalla piscina, la cucina a vista incornicia dodici toque in movimento sincronico, animate dalla concitazione nonchalante che regola le grandi maison. E le premure del servizio non sono da meno, per i 40 coperti che col bel tempo si allungano nella terrazza soleggiata. Di fronte c’è Alba, ma potrebbe chiamarsi tranquillamente Laguiole. “Quando ho visto questo posto, ho subito pensato: è quello giusto”, si incanta Michelangelo Mammoliti, chef trentaduenne che vanta uno dei curriculum più belli d’Italia, non solo fra i ragazzi.

UN CURRICULUM STRAORDINARIO Tanto tetragono nella determinazione quanto etereo nelle mani, la cui leggerezza imprime un solco profondo; la erre ancora moscia dopo un decennio oltreconfine, che solleva la voce in una cantilena. “Ma io sono nato a Giaveno, come Baronetto, e sono cresciuto nel ristorante l’Americano di Avigliana, dove mia nonna insegnava la cucina calabrese a una signora del posto, in cambio, le mostrava come fare i tajarin: la prima delle contaminazioni cui ho partecipato. In quinta elementare avevo già deciso che avrei fatto il cuoco, anche se mia mamma avrebbe preferito studi da geometra. Un anno dopo ho compiuto il mio primo servizio, ma aiutavo anche mio nonno a fare i salami e in casa abbiamo sempre avuto l’orto. È stato quindi naturale frequentare l’alberghiero a Torino e poi girare ristoranti come il Caval’d Brons e il Cambio. A 14 anni mi è capitato per le mani il libro di Michel Bras in francese e ne sono rimato folgorato: fin dall’inizio ho desiderato affermarmi in un ristorante come il suo, immerso nella natura”.

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GOURMETFOOD

L’APOTEOSI DELLA COMPONENTE VEGETALE Il percorso per arrivarci tuttavia è stato lungo e tortuoso: prima l’Albereta e il Marchesino con Gualtiero Marchesi, poi Villa Feltrinelli con Stefano Baiocco. “Ma constatavo che gli chef di successo erano tutti passati per la Francia, così gli ho chiesto di intercedere per me e sono finito a Monaco da Alain Ducasse, poi a Saint-Tropez per un’apertura di Gagnaire. In cerca di nuovi stimoli ho ricominciato a inviare curriculum e mi hanno risposto sia Robuchon sia Alléno, che mi ha proposto un inquadramento da sous-chef. E per lui ho lavorato in Svizzera, Libano e per finire al Meurice, due stelle poi premiato con la terza dove mi sono occupato della ricerca, lavorando a crioconcentrazioni ed estrazioni, e sono finalmente diventato chef. Contemporaneamente sognavo qualcosa di più classico, volevo lavorare sulle grosses pièces e l’ho fatto all’Espérance di Marc Meneau. Poi ha prevalso la nostalgia dell’Italia e quando Fabrizio e Luciana, con la mediazione di Damiano Nigro, sono saliti a visitarmi in uno stellato svizzero, ho subito accolto il loro invito alla Madernassa”. Una lucidata alla cucina e il 28 giugno 2015 era già coup de feu. Il gradus ad parnassum ha decantato tecniche impeccabili e sicurezze proprie di altre maturità. Per quanto Michel Bras sia un riferimento puramente ideale, come nel caso di Andoni Luis Aduriz, il suo magistero è lampante.

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Nel protagonismo del vegetale, innanzitutto: sono oltre 120 le erbe aromatiche piantate intorno al ristorante e raggruppate per famiglie (mentolate, piccanti, citriche, amare…), stoccate ogni mattina in frigo dentro contenitori da laboratorio di analisi. Una passione rinfocolata al fianco di Baiocco e coltivata compulsando libri di botanica perlopiù francesi. Ma la Madernassa ha anche un orto completo di serra coltivato dalla brigata di cucina per i vegetali. “Venendo dalla montagna, Bras è stata una rivelazione: ho sentito che il vegetale faceva parte di me. In cucina porta la vita perché cambia continuamente, la mattina per esempio ha più acqua, in mezzo a materie che invece sono morte”. L’utilizzo è originale: sparpagliate a ragion veduta, le erbe vivacizzano il piatto come un perlage di clorofilla e lo ritmano come una punteggiatura. Microscansioni che aiutano a solfeggiare una cucina Champagne.


MICHELANGELOMAMMOLITI

LE MIE RADICI risotto cotto in un’estrazione di sedano rapa, emulsione di bagna cauda, cardo di Nizza e fava di Tonka INGREDIENTI per 4 persone

Tagliare i cardi in brunoise e cuocere. Fare

qua, g. 600 di sedano rapa.

re il brodo. Portare ad ebollizione, cuocere

Per l’estrazione di sedano rapa: l. 1 di acPelare il sedano rapa e tagliarlo in cubi di 2

centimetri per lato. Metterlo in una pentola e aggiungere l’acqua senza salarlo.

Portare ad ebollizione e lasciare cuocere

per 8 ore a 85°C. Filtrare e ridurre della me-

stufare i cardi in olio di acciughe, aggiunge-

Per il risotto: g. 200 di riso Carnaroli Riser-

tore e montare con il burro; rettificare con

no rapa tagliata a 2 mm., g. 30 di burro, g. 5

te. Frullare il cardo all’interno di un frullasale, montare con burro d’acciughe.

Per la bagna cauda: g. 250 di latte, g. 80

Per la crema di sedano rapa: g. 200 di se-

3 spicchi d’aglio.

di sale, g. 1 di pepe Sarawak.

Tagliare il sedano rapa a brunoise e cuoce-

re nel latte con uno spicchio d’aglio privato del germe e del timo.

Cuocere fino a quando il sedano rapa non risulterà fondente. Frullare il sedano rapa

all’interno di un frullatore e montare con il burro; rettificare con sale e aggiungere del pepe Sarawak.

di olio evo, g. 80 di acciughe sott’olio, Tagliare l’aglio in due ed eliminare il ger-

me, se presente. Sbianchire l’aglio da par-

tenza a freddo per tre volte. Mettere l’aglio

e il latte in un pentolino e cuocere per 35

minuti. Aggiungere in pentolino le acciughe e fare stufare con olio evo fino a quando le acciughe non sono completamente disciolte. Aggiungere le due basi e portare

ad ebollizione; frullare e passare allo chinois etamine. Mantenere in caldo.

Per la crema di cardo di Nizza: g. 500 di

Per il cardo: 4 cuori di cardoi di Nizza.

ro, g. 4 di sale, g. 1 di pepe Sarawak.

sbianchirli in acqua acidula e rosolarli in una

cardi di Nizza, g. 250 di brodo, g. 25 di bur-

fino a quando non saranno ben dorati.

fino a quando il cardo non risulterà fonden-

tà. Conservare per bagnare il riso.

dano rapa, g. 100 latte, g. 25 di burro, g. 2

padella con olio, aglio e un filetto di acciuga

Pulire i cardi e privarli delle parti fibrose,

va San Massimo, g. 80 di brunoise di seda-

di scalogno, g. 20 di burro, g. 10 di crema di cardo, g. 10 di crema sedano rapa, 1 fava di Tonka.

Mettere in un pentolino scalogno e riso

a tostare per 1 minuto, fino a quando il riso non raggiunge la giusta temperatura;

aggiungere la brunoise e incominciare la cottura. Cuocere il riso per 12 minuti e, a cinque minuti dalla fine della cottura, ag-

giungere le puree di cardo e sedano rapa.

Lasciare riposare il riso e mantecare con burro e parmigiano 48 mesi. Disporre il riso

in un piatto piano all’onda, utilizzando un

ring per conferire una forma rotonda; grat-

tarvi sopra il riso e la fava di Tonka; disporre il cardo nel centro del piatto; aggiungere

l’emulsione alla bagna cauda e, infine, tagliare generosamente delle lamelle di tartufo bianco d’Alba sopra il riso.

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GOURMETFOOD

LA NATURA E IL TERRITORIO AL CENTRO DELL’ISPIRAZIONE

Ma Bras significa anche giapponismo, non pedissequo ma interiore, e “niac”, agglomerato di movimento, energia, sorprese e piccoli piaceri, così descritto dal grande chef nel suo libro: “A me e Sébastien piace una cucina allegra, la cucina che sorprende e dispensa piaceri. Per questo i nostri piatti sono composti e ornati da una moltitudine di combinazioni che chiamo niac. Strutture di elementi visivi, aromatici, gustativi, consistenze che risvegliano desideri di nuove sensazioni e scoperte. Il niac anima, dinamizza, tonifica e interroga attraverso la provocazione. Questi elementi si situano al margine del nucleo di presentazione del piatto, sono quelli che chiamo tocchi, tratti, linee. Talvolta può trattarsi di emulsioni fluide di acetosa, di peperoncino; talaltra di elaborazioni secche di olive nere, combinazioni di zucchero grezzo di canna e frutta, montaggi di verdure… la gamma si va ampliando di giorno in giorno. Queste strizzatine d’occhio, questi graffi, questi chiaroscuri, armoniosamente combinati con la componente principale della creazione, mi si svelano contemplando il paesaggio, viaggiando”.

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E proprio così sono composti i piatti di Mammoliti, dove il dettaglio prende il sopravvento anche in fase creativa, se è vero che da un’erba o un condimento parte spesso l’ispirazione, attraverso l’associazione con ingredienti di stagione. Anche qui in chiave esperienziale, di conoscenza del territorio, guadagnata pescando o esplorando, dragaggio nel passato o souvenir di terre lontane, che arricchiscono il bagaglio di tecniche e spezie, dal Giappone alla Thailandia, fino in Maghreb. Lui li chiama “gadget”, per esempio una fragola in conserva che un giorno sferzerà chissà cosa: qui e altrove, adesso e sometimes. Un “contorno” che serve anche alla personalizzazione del piatto, più o meno dolce, acido o amaro sulla forchetta del gusto soggettivo. Rispetto a Bras, la cucina poggia però su fondamenta più classiche, negli impiattati geometrici come nelle cotture e nelle salse, con fondi che in primavera si alleggeriscono come una stoffa leggera. L’obiettivo natura è raggiunto percorrendo strade opposte alle tratte scandinave, da cui pure arrivano le fermentazioni che corroborano il niac, studiate a Copenhagen. E sotto la tecnica cova l’inquietudine: i contrasti fra gli elementi, sempre riconoscibili nella loro individualità all’interno di composizioni articolate e complesse, sono in via di esacerbazione con esiti pienamente attuali e talvolta piacevolmente azzardati. Nessun tassello può essere sfilato da equilibri che sublimano una fragilità di cristallo, tutta riflessi e colori cangianti, dove a spiccare è l’acidità, gusto prediletto in ogni sua genealogia, dall’agrume, dall’aceto, da bacilli disparati. Specialmente se volatile mette in circolo profumi, di erbe e fiori, che sono la vera carne del piatto: la bocca è deodorata come non mai in un lavacro da bazar orientale. “Lavoro moltissimo col naso, dalla primavera all’autunno”: un circolo di acidità e profumi in cui si insinua la nota fumé, probabile retaggio delle braci sotto i salami dell’infanzia.


MICHELANGELOMAMMOLITI

RAGGIO DI SOLE bouchet fondant al lime, biglia di ananas impregnata alla vaniglia di Thaiti INGREDIENTI

Per il bouchet fondant: g. 120 di zucche-

ro semolato, g. 140 di acqua, g. 10 di colla di pesce, g. 120 di purea.

Portare a bollore acqua e zucchero, sciogliere la colla di pesce, poi versare sulla purea. Raffreddare in acqua e ghiaccio e

conservare in frigorifero sottovuoto. Quando raggiunge una consistenza gelatinosa,

montare e versare negli appositi stampi. Abbattere e conservare in congelatore.

Per la meringa: g. 300 di albume, g. 300 di zucchero semolato, g. 300 di zucchero a velo.

In planetaria, con la frusta, montare l’albu-

me con lo zucchero semolato, poi a mano

aggiungere lo zucchero a velo setacciato.

Stendere su carta da forno e lasciare una notte nell’essiccatore.

Per l’ananas: g. 150 di succo di ananas,

Unire gli ingredienti in un pentolino e por-

Unire le due puree e scioglierle, mentre

Per il gel di ananas: g. 200 di purea ana-

g. 150 di sciroppo di melissa.

con l’aiuto dello scavino creare delle sfere di mango e banana.

tare a 58°C.

nas, g. 1,3 di agar.

Conservare i due frutti i due contenitori

Unire la xantana alla purea sciolta e mixa-

quantità di puree.

frigorifero.

diversi aggiungendo ad ognuno la stessa

re. Ritirare in una pipetta e conservare in

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GOURMETFOOD

Lo stile in questi due anni si è evoluto non poco, da una partenza classicheggiante al naturalismo georgico, fino agli svolgimenti attuali. Mette al centro il territorio, da cui inizia la giornata di Mammoliti, in strada all’alba per verdure roerine, carni di fassona e trote di Mondovì. Nei ritagli di tempo ci sono da cogliere le botaniche spontanee quali luvertin, aglio orsino, sambuco ed erythronium; oppure da trapiantare i germogli nell’orto. I menu degustazione sono tre: Metamorfosi, composto da 10 corse a 100 euro, 160 con abbinamenti; Emozione, da 8 a 80/120, e Impronta, da 4 a 60/90. I loro piatti sono via via più corposi ma sempre autonomi per articolazione interna (“non mancano l’acido, il croccante, il basico, l’amaro e il salato”) e stilisticamente variati. “Perché, come mi ha insegnato Meneau, ogni piatto deve essere diverso”. La sala è guidata da Pedro Demetrio, sommelier portoghese che amministra una carta da 600 referenze, concentrata su naturali e piemontesi, con qualche innesto iberico. Nasce dal ricordo di un gusto piemontese (la giardiniera) interpolato con il modello botturiano della salad in bloom il giardino in un morso, cuore di lattuga condito al tavolo con vinaigrette all’ibisco e farcito di sgombro crudo marinato: un circolo di acidità e profumi che stordisce nel consueto solfeggio delle erbe, spesso pungenti per

scongiurare qualsiasi accenno di monotonia. Incanta innanzitutto l’occhio l’omaggio a Kandinskij, con le alici marinate su un intarsio di salse multicolori ai peperoni, bagnetto verde e anchoïade: un caleidoscopio acido/sapido che trova requie nella spuma di lievito madre, elemento di morbidezza per gusto e testura che finisce per evocare un crostino. Fra i primi risaltano i cubix, ravioli cubici di anguilla allo yakitori con emulsione di rafano per un ricordo di wasabi e barbabietole in estrazione di Parmigiano 48 mesi (foto pag. 62). Oppure, per cambiare repentinamente registro, gli spaghetti cotti in estrazione di prosciutto di Cuneo e al barbecue, conditi con olio di prosciutto di Cuneo e croccante dello stesso: appena due ingredienti e nessuna acidità, come un intermezzo che rovescia il resto del pasto. Ma a diradare nuovi percorsi è anche la cipolla con luvertin, zucchero mu-

LA MADERNASSA RESORT

Località Lora, 2 - Castelrotto Guarene (CN)

Tel. 0173 611716

www.lamadernassa.it

info@ lamadernassa.it

scovado, anice stellato e cioccolato puro grattato al tavolo: un ring di gusti primari dove il gong è suonato dal kumquat fermentato alla maniera marocchina, come i limoni confit. Seguono l’agnello esotico, con la sella al cumino e la spalla sfilacciata nel pane nam, o la trota mi-cuit con emulsione di levistico e gamberi di fiume. In chiusura di nuovo due elementi: yuzu e liquirizia, come nei dolciumi d’infanzia, sotto forma di scacchi di bavarese gelificata, baguette di meringa e gelato, a riprendere il tam tam acido/balsamico del pasto.

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GOURMETFOOD

IL PRANZO IDEALE? È ALLA

LANTERNA DI FANO CON I PIATTI CHE ESALTANO UN PRODOTTO DI MARE, ECCELLENTE di

Maria Chiara Zucchi

Il pranzo ideale alla Lanterna di Fano potrebbe iniziare con un omaggio a Pino Cuttaia e alla sua “pizzaiola” (foto 3 pagina accanto) che, al posto del baccalà all’affumicato di pigna utilizzato dal famoso chef siciliano, viene proposta efficacemente con salmone dalla chef Elide Pastrani. Tale pranzo potrebbe poi continuare con una serie di crudi che sottolineano la maniacale ricerca del pesce nella sua perfetta stagionalità e al massimo della sua qualità: filetti di triglie su misticanza, polpo e patate con finocchietto selvatico, soffice panino con pomodoro e alici fresche (foto 4 pagina accanto).

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ALLALANTERNADIFANO

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In una sequenza con segno ascendente si dovrebbe poi degustare la parmigiana di mare affiancata da un trancio di baccalà in salsa allo zafferano con chips di patate (foto 5). Perfetta poi la fritturina di pesce e verdure (foto 1), profumata e fragrante con i suoi gamberetti, i calamaretti freschissimi, la coda di rospo, le soglioline, gli zanchetti, le alici, le sarde, le triglie: un trionfo del mare e il giusto riconoscimento al lavoro di chi come Flavio Cerioni, anfitrione marito della cuoca, lo sa scegliere e valorizzare con la più assoluta competenza. Ed ecco che quel famoso pranzo ideale potrebbe proseguire con i cresc’tajat (foto 2), ossia “crescia tagliata”, una antica

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GOURMETFOOD

pasta marchigiana realizzata con la polenta: la sua esaltazione massima si ottiene quando, in primavera, la si condisce con sugo di pesce e favette fresche sgusciate; in ogni caso un buon condimento ottenuto con polpa di scampi, concassé di pomodoro, finocchietto selvatico (e sensibilità di Elide), riescono a creare sempre un piatto di rara perfezione. Il climax si può raggiungere con il piatto che ha reso celebre in Italia questo ristorante fanese: i gamberoni reali dell’Adriatico appena scottati (foto sotto), sontuosi nella semplicità della presentazione con

solo sale grosso, introvabili in cucine che non possono permettersi il lusso di utilizzare materie prime rare e di questo straordinario livello. Pane fatto in casa a regola d’arte, abbinamento a tutto Lantieri (meraviglioso Franciacorta di grande eleganza), ottimo servizio curato da Enrico Cerioni – ora artefice di una spettacolare cantina a vista, posta all’ingresso del locale – più la “moretta” (caffè e mistrà Varnelli con scorzetta di limone, preparato ad arte da Silvia Cerioni) concludono ciò che abbiamo voluto descrivere: il pranzo ideale, alla luce della Lanterna di Fano. Ristorante Alla Lanterna

Str. Nazionale Adriatica Sud, 78 - 61032 Fano (PU) Tel. 0721 884748

www.allalanterna.com - info@allalanterna.com

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GOURMETFOOD

Iperboli, enfasi, punti esclamativi, nulla è troppo per descrivere la Posta Vecchia, albergo nella collection dei Leading hotels of the World. La storia di questo luogo romantico attraversa i millenni: nelle sue fondamenta mosaici e reperti di una villa marittima romana, e un piccolo museo di quanto fu trovato durante i lavori che, si dice, furono iniziati per costruire una piscina interna - la piscina fu poi realizzata in un godibile e luminoso ampliamento, annesso alla biblioteca. L’edificio, come ora lo vediamo, fu costruito nel XVII secolo per essere foresteria del vicino Castello Odescalchi, poi divenne dogana pontificia, quindi fu albergo e punto di ristoro.

A PALO LAZIALE

LA POSTA VECCHIA È UN SONTUOSO ALBERGO MUSEO A CIELO APERTO di

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Teresa Cremona


LAPOSTAVECCHIA

Quando, negli anni ’60, fu acquistato da Paul Getty, era poco più di una rovina devastata da un incendio e lasciata in abbandono. I lavori di restauro lo hanno trasformato in una dimora scenografica e sontuosa, con fughe di salotti, biblioteca, stanze che si aprono in altre stanze in opulenta sequenza, ambienti importanti, ma tutti comodi e avvolgenti. Fu arredata con mobili antichi di molte provenienze, e molti degli acquisti di opere d’arte furono fatti con la consulenza dello storico dell’arte Federico Zeri. Quando Paul Getty lasciò l‘Italia, portò con sé una parte di quelle opere, ma altre furono lasciate dove il miliardario

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GOURMETFOOD

americano le aveva collocate, come i due bellissimi busti romani di epoca imperiale posti nell’atrio della villa, o come il quadro dipinto da Vanvitelli con la veduta della casa e della tenuta che racconta il luogo come era nel XVIII secolo. La Posta Vecchia è un albergo dal sapore unico, ha conservato inalterata la sua dimensione di ‘casa’, l’arredamento corrisponde al gusto e allo stile di vita del proprietario, il suo carattere deriva dalla sua storia, ci vogliono secoli per crearlo e non si può imitare, la sua posizione è unica, è sul mare letteralmente lambito dalle onde, ed è anche immersa nel verde, a pochi

chilometri da Roma. Ora l’albergo è parte del Pellican Group hotels di proprietà della famiglia Sciò, ed è sotto la diretta consulenza della giovane Marie-Louise Sciò, che ne è vice-presidente e creative director. Ha 19 camere, alcune sono suite spettacolari, per dimensioni e per ambientazione (la mia aveva una vasca d’epoca di porfido rosso di dimensioni imponenti, soffitti a cassettoni, letti imperiali, boiserie d’epoca; le altre camere sono piccoli mondi di intima accoglienza). La terrazza sul mare, con lo sfondo del Castello Odescalchi, a un passo dala Capitale, è luogo di delizie e nelle sere estive il tramonto, visto da qui, è tutto da vivere. La terrazza è anche il dehors del Cesar Restaurant, dove è chef Antonio Magliulo (foto in alto) che fa una cucina di impronta imediterranea, modulata sul gusto dalle esigenze di una clientela internazionale, sapori freschi e materie prime che arrivano anche dall’orto biologico dell’albergo.

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LAPOSTAVECCHIA

TORTELLI DI ASTICE vongole ed estratto di erbe INGREDIENTI

raffredda-

farina “00”, 8 uova bio, 2 astici blu, g. 500

e ghiaccio.

g. 500 di semola di grano duro, g. 500 di

di vongole, 1 spicchio d’aglio, g. 100 di prezzemolo, g. 50 di melissa, olio extravergine d’oliva, pepe Timut. PROCEDIMENTO

Impastare la pasta, avvolgerla nella pel-

licola e lasciarla riposare in frigo per almeno 1 ora. Cucinare gli astici in acqua profumata con buccia di limone, sedano

e vino bianco per 2 minuti, raffreddarli in acqua e ghiaccio, estrarre la polpa dal

carapace, tritarla a coltello finemente e condirla con olio, sale e pepe.

Sfogliare il prezzemolo e la melissa, far-

li bollire in acqua e sale per un minuto,

re in acqua

Aprire le von-

gole in un te-

game con olio

e aglio; una volta

aperte, filtrare l’acqua

che, insieme alle erbe

cotte, andrà inserita in un

frullatore; emulsionare fino ad

ottenere una salsa liscia. Stendere

la pasta sottilmente, inserirvi il battuto di

astice e confezionare i tortelli. Lasciarli cuocere

per pochi secondi in acqua e sale, scolarli condirli

LA POSTA VECCHIA HOTEL

del piatto, adagiare i tortelli e completare con le

Tel. +39 06 9949501 – Fax +39 06 9949507

con l’olio evo. Disporre l’estratto di erbe nel fondo vongole aperte in precedenza.

Palo Laziale (Roma)

www.pellicanohotels.com

reservations@pellicanohotels.com

VITELLO scorzonera, carciofo croccante e nocciola della Tuscia INGREDIENTI

1 filetto di vitello, g. 200 di scorzonera, 1 carciofo, 20 nocciole, kg. 2 di

alette di pollo, g. 100 di burro, 1 scalogno, 1 foglia di alloro, timo, olio extravergine d’oliva. PROCEDIMENTO

Rosolare le alette di pollo in un tegame, lasciarle sgocciolare e farle

bollire, partendo da acqua fredda per 3 ore, avendo cura di toglie-

re le impurità durante la cottura. Profumare questo fondo con lo scalogno e l’alloro. Lasciare ridurre fino a quando non sarà denso. Pulire il carciofo, tagliarlo in 4 parti e passarlo nel pane panko.

Friggere in olio di semi a 180°C. Pulire il filetto privandolo del

connettivo e del grasso in eccesso. Ricavare delle porzioni da 200

grammi. Condire con il sale e lasciare dorare in padella lentamente.

Aggiungere burro e timo e lasciare insaporire la carne per qualche

minuto. Lasciare riposare. Pelare la scorzonera, tagliarla a bastoncini e

farla bollire per 3 minuti; passarla nel fondo di pollo. Tostare le noccio-

le in forno per 4 minuti a 180°C. Montare e nappare con il fondo di pollo.

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GOURMETFOOD

XXXX

XXXXX XXXXX di

Xxxxxxx

Xxxxxxxxx

IN SARDEGNA

PARADISE RESORT & SPA SI INSERISCE IN UN CONTESTO AMBIENTALE DI GRANDE FASCINO di

Teresa Cremona - Riccardo Frezza

foto dei piatti

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PARADISERESORT&SPA XXXXXXXXX

In Sardegna Paradise Resort & Spa, inaugurato nel 2012, è un complesso di 111 camere ospitate in costruzioni piccole, a falda spiovente ed esterni in granito, architettura semplice che si ispira allo stile isolano spontaneo. Diffuse su un appezzamento collinare di circa 13 ettari, sono disposte a gruppi di due, tre unità, e richiamano l’idea del borgo. L’impatto sul contesto ambientale è quindi ridotto e con il tempo, crescendo alberi e vegetazione, le costruzioni saranno quasi invisibili dal mare. L’ambiente, così come è stato progettato, risulta molto vivibile per gli ospiti, immersi in un contesto di verde curatissimo, con prati, siepi, cespugli e zone fiorite in un continuum, senza barriere, molto gradevole e riposante.

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GOURMETFOOD

Le camere vedono il mare, pur distando il resort dal mare quella distanza che tutte le nuove costruzioni devono rispettare. Dall’albergo un sentiero piano e comodo attraversa un boschetto di macchia mediterranea, uno specchio di laguna e arriva alla spiaggia di Lu Impostu, arco di sabbia bianca, che si distende intorno ad una splendida baia, con panorama di largo respiro dominato dalla sagoma inconfondibile dell’isola di Tavolara. Davanti è il mare dell’Area Marina protetta di Punta Coda Cavallo dai colori tropicali, limpido, trasparente, cristallino, in una parola mare di Sardegna. Le camere sono grandi, vetratissime, e circa 80 sono in fase di trasformazioni, i nuovi arredi hanno colori chiari che vanno dal beige sabbia al bianco guscio d’uovo, mobili moderni e alcuni elementi che richiamano la tradizione sarda, come le lampade in ceramica, i comodini realizzati con sezioni di nodosi tronchi d’albero, e pareti con intonaco trattato a spatola che contribuiscono a ‘scaldare’ l’ambiente e a dare carattere. Tutte le camere hanno terrazza-patio coperta e at-

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trezzata, con vista mare o giardino. Al centro del resort la piscina panoramica e quella per bambini, la Spa con trattamenti che utilizzano i prodotti naturali biologici del Dr. Hauschka, e la palestra. Sulla piazzetta del borgo affacciano il Sunrise bar dove si fa musica dal vivo, e il ristorante Verandah con vista sulla piscina, e sul mare. Al Verandah, prima colazione, pranzo o cena, informali e con buffet, mentre per cene più intime e a lume di candela c’è il ristorante Piccola Cucina, brand che la proprieta ha aperto anche a New York, Londra e in Spagna.


PARADISERESORT&SPA

AL MAIALINO PIACE IL MIELE INGREDIENTI

PROCEDIMENTO

1 broccoletto

la guancetta condita con sale e pepe

1 guancetta di maialino miele di limone 1 scalogno

1 peperoncino

olio extravergine d’oliva sale e pepe

In un tegame dai bordi bassi rosolare

e lo scalogno in poco olio extravergine. Completare la cottura al forno per

20 minuti. Una volta terminata la cottura, servire caldo accompagnando con

il miele di limone al peperoncino e un broccoletto croccante; aggiungere un cucchiaio di olio extravergine.

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GOURMETFOOD

INFORMAZIONI Per i collegamenti Aeroporto di Olbia a 20 Km. Consultare l’operativo dei voli Meridana, compagnia fondata da Karim Aga Khan IV www.meridiana.it Per le escursioni al Monte Nieddu www.natalibera.it Tel 339 6907767/3296621224 Orizzonti di Gallura www.orizzontidigallura.it Tel 3665319797/3404825681/3926067904

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Lo chef è Agostino Vinci con esperienze nazionli ed internazioni. I suoi piatti sono gustosi e stagionali e le sue ricette si ispirano alla tradizione locale. La sua è una cucina fresca, salubre, dai profumi mediterranei. A soli 2 km dall’albergo c’è il Golf di Puntaldia, (per chi volesse, il Pevero è a circa 50km). Nelle vicinanze anche la possibilità di visite in barca allo Stagno di San Teodoro, organizzate da Orizzonti di Gallura – consigliate all’ora del tramonto, per la bellezza degli effetti della luce in Laguna. Ettari di acque salmastre, rocce di granito, dune protette, sono il suggestivo habitat di fenicotteri rosa, aironi, cormorani e altre specie di uccelli sia stanziali che di passo. Un’altra escursione è al Monte Nieddu: si sale a quasi 1000 metri e si ha una vista panoramica a volo d’uccello di tutta la linea di costa, fino a Punta Cavallo: baie, insenature, lagune, la lunga striscia di sabbia bianca nota come la ‘cinta’ di San Teodoro, sotto ai vostri occhi come una mappa geografica. Scendendo si fa sosta alle cascate e alle piscine naturali dove si può anche fare il bagno.


PARADISERESORT&SPA

IL TONNO FA AMICIZIA CON LO SCAMPO INGREDIENTI

PROCEDIMENTO

punte d’asparagi

scampo e il filetto di tonno appena salato,

1 filetto di tonno rosso 1 scampo

1 cucchiaio di mostarda piccante di albicocche

2 fette di pancetta

olio extravergine d’oliva sale

In un tegame dai bordi bassi scottare lo con uno scalogno, in poco olio extravergine, tenendolo ancora rosso all’interno.

Servire appena scottato accompagnando

con lo scampo, la mostarda di albicocche e le punte di asparagi; aggiungere un cucchiaio di olio extravergine.

PARADISE RESORT & SPA

Località Lu Impostu

08020 San Teodoro (OT) Tel. +39 0784 1908000

www.paradiseresortsardegna.com info@paradiseresortsardegna.com

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EVENTI

DIRE, FARE, SOGNARE! RICONOSCIMENTO ALLA CULTURA DEL CIBO E DEL VINO IN EMILIA ROMAGNA, SAN MARINO E MARCHE

C’è tutto l’universo della cucina nei premiati del riconoscimento “Dire Fare Sognare” giunto alla sesta edizione. A scegliere i nomi dei premiati, tre tra le più qualificate firme del giornalismo enogastronomico: Andrea Grignaffini, Elsa Mazzolini e Alessandra Meldolesi. Nomi di prestigio a partire da Luigi Sartini, chef del Ristorante Righi a San Marino, stella Michelin dal 2008, cresciuto sotto l’ala di due grandissimi della cucina italiana come Gualtiero Marchesi e Gino Angelini. Percorso diverso e altrettanto importante per Ido Migliari, uno dei decani della cucina ferrarese, prima con l’Osteria da Ido e oggi nella trattoria La Chiocciola, in un percorso arrivato alla terza generazione che continua a stupire. Così come stupisce il San Domenico di Imola, quasi cinquant’anni di storia alle spalle, 44 dei quali sotto il segno della prestigiosissima guida Michelin, tanto da festeggiare quest’anno le quattro decadi della doppia stella. Ma in un ristorante è fondamentale anche il servizio di sala, e qui spunta il nome di Ciro Fontanesi, docente nella prestigiosa scuola Alma di Colorno (PR). Il cerchio si chiude con un tema di cui troppo poco si parla, come la sicurezza a tavola (www.sicurezzatavola.it), progetto che da due anni impegna Maria Chiara Zucchi, caporedattrice de La Madia Travelfood, che ha svolto centinaia di corsi di formazione a ristoratori, chef e personale di sala,

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Alessandro Rossi, ideatore del Premio

“Dire, Fare, Sognare!” premia Ido Migliari (foto 1); Andrea Grignaffini con Ciro Fontanesi di Alma (foto 2) quindi Elsa Mazzolini con lo chef Luigi Sartini (foto 3), Mas-

simo Reggiani, amministratore delegato di Partesa, premia Maria Chiara Zucchi (foto

4), infine il presentatore Giacomo Zito con Alessandra Meldolesi conferisce il premio

a Massimiliano Mascia, Natale e Valentino Marcattilii del ristorante San Domenico di Imola (foto 5).

insieme all’agenzia di formazione sanitaria Salvamento Academy. Insieme a loro “Dire Fare Sognare” consegna un riconoscimento a un ristoratore per ogni provincia emiliano romagnola: Michele Balocchi, “La dispensa dei Balocchi” (Piacenza); Trattoria i du Matt (Parma); Stefania Lombardi, “Locanda da Piera” (Reggio Emilia); Bernardo Paladini, “La Franceschetta58” (Modena); Daniele Bendanti, “Ristorante Oltre” (Bologna); Sara Mantarro, “Il Sorpasso” (Ferrara); Marcello e Gianluca Leoni, “Osteria Casa di Mare San Domenico” (Forlì); Irvin Zannoni, “La Capannina” (Ravenna); Mariano Guardianelli e Camilla Corbelli, “Abocar due Cucine” (Rimini). Unico premio per le Marche a Daniele Patti e Matteo Ambrosini, “Lo Scudiero” (Pesaro).

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A SCUOLA DI CUCINA

A SCUOLA DI CUCINA

L’ENERGIA DI

AGOSTINO IACOBUCCI CONTAGIA LA RISTORAZIONE BOLOGNESE foto di

Gianni Triggiani

Travolgente e solare chef campano, Agostino Iacobucci ha trasportato nell’hotel design “I Portici” di Bologna non soltanto i colori e i sapori della grande cucina mediterranea, abilmente intrecciati con quelli della tradizione emiliana, ma anche il prestigio di una stella che già aveva conquistato a Napoli e che aveva riottenuto sotto le due torri. La sua è dunque una cucina ricca di suggestive contaminazioni, ma soprattutto di materie prime di assoluta eccellenza, soprattutto di mare.

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AGOSTINOIACOBUCCI

TRIGLIA CROCCANTE pappa al pomodoro, elisir di bufala e ricci di mare INGREDIENTI

PROCEDIMENTO

latte di bufala e panna fresca, far ridurre,

g. 200 di latte di bufala

delle spine e della testa, conservando so-

una carica a crema.

g. 150/180 di triglia di scoglio g. 350 di pane raffermo g. 250 di pomodoro

g. 80 di ricci di mare sale e pepe q.b. basilico

olio extravergine d’oliva formaggio q.b.

g. 80 di panna fresca

Pulire le triglie privandole delle squame, lo la coda e, con l’aiuto di una pinzetta, togliere le spine; condire con sale, pepe, erbette aromatiche e timo limonato.

Per la pappa al pomodoro: in una pen-

filtrare al colino e inserire nel sifone con

Per i ricci di mare: togliere il frutto facendo attenzione alle spine per ricavarne solo la polpa al naturale.

tola unire olio extravergine d’oliva e aglio

Cuocere dolcemente la triglia in una pa-

dopo circa 5/6 minuti inserire il pane e far

quenelle di pappa al pomodoro, adagiarvi

e far rosolare; aggiungere il pomodoro; cuocere lentamente; aggiustare di sale e condire con basilico e formaggio.

Per la spuma di bufala: in pentola unire

della antiaderente, disporre nel piatto una

sopra la triglia precedentemente scottata, sifonare la spuma di bufala ed infine posizionare i ricci di mare.

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A SCUOLA DI CUCINA

OSTRICA mango e gelatina di Campari INGREDIENTI

Per il gelato al mango

g. 500 di acqua

g. 70 di acqua

Per la gelatina

g. 120 di zucchero g. 150 di Campari g. 60 di prosecco

g. 6 di gelificante naturale PROCEDIMENTO

In una pentola unire l’acqua e lo zucchero fino ad ottenere uno sciroppo, lasciarlo

g. 50 di zucchero

g. 200 di glucosio

PROCEDIMENTO

Far bollire il tutto fino a ottenere uno sci-

roppo; unire 6 grammi di stabilizzante, 500 grammi di polpa di mango, 240 gram-

mi di sciroppo di base e 3 grammi di succo di limone.

raffreddare; successivamente unire il pro-

Disporre 1 ostrica naturale con la sua ac-

naturale. Deporre in frigo per 6 ore.

gelatina di Campari.

secco e il Campari e infine il gelificante

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qua di governo sul gelato al mango e la


AGOSTINOIACOBUCCI

NAPOLI INCONTRA L’EMILIA INGREDIENTI

prezzemolo q.b.

kg. 1 di farina

g. 20 di pecorino

Per la pasta all’uovo 10 uova intere Realizzare l’impasto, come da tradizione, al tagliere: impastare farina e uova; far riposare per circa 30 minuti. Per il ragù napoletano

2 scatole di pomodori pelati Cirio Alta Cucina

g. 100 di strutto di maiale 1 cipolla bianca

1 spicchio d’aglio

g. 300 di muscolo

g. 300 di tracchie di maiale

g. 250 di copertina di costa

g. 200 di cotica di maiale

g. 300 di salsiccia

g. 50 di uvetta sultanina

g. 40 di pinoli

g. 30 di parmigiano reggiano sale q.b.

ml. 150 di vino rosso Pulire la carne dal grasso, preparare un trito di prezzemolo, aglio, uvetta, pinoli e parmigiano. Con l’aiuto di un batticarne

battere la copertina di costata preceden-

temente pulita; ricavarne degli involtini.

Al loro interno disporre il trito precedentemente realizzato, fare lo stesso con la cotica e legare il tutto con lo spago. In una

pentola fare rosolare tutta la carne; dopo 8/10 minuti aggiungere la cipolla tagliata

a julienne, bagnare con il vino rosso e fare sfumare; quando il vino sarà evaporato,

di lardo per far sì che l’impasto rimanga morbido.

PROCEDIMENTO

Tirare la sfoglia sottile e tagliarla con un coppapasta; riempire con la farcia e formare un tortello.

Per la spuma di parmigiano: bollire latte

e panna fresca in un pentolino facendoli ridurre; unire il parmigiano e, dopo 15 minuti, filtrare il tutto e inserirlo in un sifone aggiungendo una carica di crema.

Per l’emulsione di basilico: pulire le fo-

glie di basilico, sbollentarle in acqua salata

per 30 secondi e subito dopo in acqua e ghiaccio. Asciugarle ed emulsionarle con olio.

aggiungere il pomodoro precedentemen-

Disporre nel piatto fondo la spuma di par-

4/5 ore. Estrarre la carne dal sugo e pas-

qua; unirli al parmigiano, versare il sugo

te passato al passaverdure e cuocere per

sarla in planetaria aggiungendo un poco

migiano, bollire e scolare i tortelli dall’ac-

nei tortelli ed infine aggiungere l’emulsione di basilico.

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ILFOCUSDIALESSANDROMAGNUM

a cura di

Alessandro Rossi esperto di vino, bon vivant, fondatore del Premio “Dire Fare Sognare”

CHI SCRIVE DI VINO E L’INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DELL’IGNORANZA L’enciclopedia Treccani cita: ignoranza s. f. [dal lat. ignorantia]. - 1. Con sign. ristretto, l’ignorare determinate cose, per non essersene mai occupato o per non averne avuto notizia. Ora, non partiamo male e non prendetemi troppo sul serio (anche se lo sono) ma sono particolarmente stanco di leggere il niente sul mondo del vino. Non che io abbia scisso l’atomo nella mia carriera, ma sono uno che prende spunti e purtroppo, ad oggi, ho quasi esaurito le mie fonti d’ispirazione: si è detto troppo (in tutti i sensi) e non si dice più niente (purtroppo) di estremamente interessante. Che si siano esauriti gli argomenti come le risorse e le materie prime in alcuni Paesi del mondo è palese, ma cerchiamo una soluzione, per cortesia! Ok, ok mi piace sognare e credere che oramai i pensieri, anche se estremamente importanti, non vengono più pagati come una volta ed essendo romantico (ah ! adoro il mecenatismo) voglio credere che nessuno scriva cose più sensate, perché se uno è bravo a fare una cosa, non deve mai farla gratis (o sottocosto). Ma non credo a quanto ho precedentemente scritto perchè i miei genitori mi hanno insegnato che Babbo Natale non esiste già quando ero molto piccolo per non avere brutte sorprese da adulto, quindi non ci credo. Cito un tratto: “Ai tempi di Francesco I, saggi e benevoli giganti correvano le campagne e la loro principale missione era di libe-

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rare il mondo dai pedanti, dagli sciocchi e dagli scrittori senza talento, pisciando loro addosso da grandi altezze”. Ora, prendiamo l’ultimo “attore” del verso, ovvero lo scrittore, in questo caso di vino (se vogliamo anche di cibo, ma vorrei restringere il campo al mio settore principale). Chi scrive di vino? provo ad elencare alcuni soggetti atti a prendersi questa briga. Colui che pensa di avere un buon dizionario (soprattutto dei sinonimi e dei contrari) ma purtroppo non ha idee innovative o, in alcuni casi, proprio senza idee. Risultato? Un’esercizio di stile allo specchio che non cede al lettore neanche un barlume di saggezza. Negativo. Soluzione? Limitare le dosi di inchiostro oppure le opportunità di scrittura (care riviste mi rivolgo a voi!). Colui che ha delle idee, in alcuni casi geniali, ma purtroppo non è in grado di riportarle nero su bianco. Risultato? Questo è un caso eclatante di come tante menti siano purtroppo sprecate. Potreste dirmi: ma come? Se ha delle idee, come può non essere in grado di tramutarle in pensieri su carta? Citerei il mestiere che avrei voluto intraprendere se non fossi stato folgorato dal vino, ovvero il procuratore. Tutti quelli


ILFOCUSDIALESSANDROMAGNUM

che mi conoscono sanno che il mio idolo indiscusso è tal Carmine Raiola detto Mino. Ok, tutti sanno che questo soggetto, che vi piaccia o no, è un genio assoluto nel bene e nel male. Mino non è proprio un animale da palco e forse non è proprio il suo mestiere quello di avere una penna in mano, eppure è un genio. Massimo rispetto per le idee che si tramutano in azione (poche parole e tanti fatti). Soluzione:= W i ghostwriter, ne esistono troppo pochi in questo mestiere e aiuterebbero tante menti lucide e preparate a rivoluzionare un mondo stantio.

ri). Cito Andreotti: “Non importa che le citazioni siano esatte. L’essenziale è il proporle con voce ferma e grande sicurezza. Ad un convegno di teologia morale citai uno studio universitario inesistente secondo cui sarebbe più grave per un uomo sposato avere un’amante che dieci. Parecchi oratori successivi commentarono questa massima, arricchendola di particolari e dandole persino un’esatta paternità”.

Poi abbiamo l’esperto - uomo/donna “Ego”, ovvero quello che pensa (ripeto pensa) di avere una soluzione a tutto (un po’ come il “tuttologo” da bar) ma non si accorge di ripetere quello che altri dicono da anni e pensa di avere in mano un Kalashnikov al posto della penna e di poter fare la guerra a tutti. Soluzione: non fateli scrivere! Sono le persone più pericolose del mondo e non portano a nessun risultato (ne conosco molti, anzi direi molte …).

Ora, io mi chiedo: ma il vino è solo aspetto tecnico? Il vino è solo storia delle persone? Non credete si possano esaurire certe informazioni prima o poi? Tutte queste persone hanno storie così interessanti da essere raccontate? O tutte queste persone meritano di essere raccontate così tante volte? Io non credo.

Passiamo allo storico del vino, colui che da anni ripete sempre gli stessi concetti, ovvero quelli visti, rivisti e stravisti. Un “panificatore” di idee: prendere un concetto e reimpastarlo all’infinito, quotidianamente (che noia). Soluzione: mandarlo in pensione subito, non vedo alternativa. In questo caso gli editori o i direttori delle riviste sono i principali responsabili soprattutto di ritardi generazionali. Poi esistono quelli che vivono di citazioni, i famosi “uomini del copia-incolla” veri e propri artisti del googlecollage. Soluzione ? Nessuna (vedi il capitolo sui reimpastato-

E poi ci sono io…

A volte mi faccio alcune domande e credo tutti dovrebbero porsele prima o poi: che cosa vorrei da un articolo sul vino ? Non mi vergogno a dirlo, l’ultimo articolo per il quale ho sussultato nel mondo del vino è stato scritto da Andrea Grignaffini e trattava di neuro-marketing applicato al mondo del vino. Mi sembra poco uno solo, non trovate? Prestiamo a volte più attenzione ad un pensiero personale scambiandolo per un articolo, e poi non ci soffermiamo su veri e propri trattati dedicati al vino scaturiti da anni e anni di studio. Il futuro? Ottenere informazioni e convertirle in una materia stupenda e atroce, essere pericolosi, essere visionari. Forse sono in confusione anche io, ma per cortesia aiutatemi: chi devo leggere?


VINARIA

MERCANTI IN FIERA AL VINEXPO DI BORDEAUX di

Marco Tonelli

Prima della sbornia derivante dagli eventi dedicati al vino, tipici, nei mesi estivi, presso numerose località di villeggiatura, la stagione enoica internazionale ha un punto di riferimento da rispettare: il Vinexpo, fiera bordolese con cadenza biennale (la prima edizione risale all’inizio degli anni ’80). Questo 2017 è stato perciò l’anno buono, per ‘provare’ la temperatura al mercato del vino mondiale. Responso? Il ribollire di Paesi produttori, oltre 40, di buyers (siamo a quota 45000) e giornalisti, ha trovato, meteorologicamente parlando, un omologo nei 38°C di temperatura meteo, ma non altrettanto fuoco negli entusiasmi di molti operatori. Alcuni di essi hanno infatti lamentato un calo di una

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kermesse che in anni passati non aveva né eguali, né rivali. Se il nostro Vinitaly, manifestazione con cui Vinexpo ha peraltro stretto una collaborazione in gran parte rivolta a evitare la sovrapposizione di date, fatica a reggere la concorrenza, specie per problemi di accesso, nuovi competitors sgomitano per la palma dell’eccellenza. Primo della lista è il ProWein, kermesse tedesca che in pochi anni ha catalizzato il vino mondiale e il mercato a esso legato. La fiera bordolese di quest’anno ha avuto tuttavia diversi momenti di unicità, come la preview dei Bordeaux targati 2016, oltre a una buona fetta di degustazioni e presentazioni (interessante il cru di Barolo - si chiama Brunella


CHABLIS

- presentato qui dalla famiglia Boroli) relative ai vini del nostro Paese. Da un punto di vista di spazi, invece, dopo la corposa pattuglia di territori transalpini, le aree più rilevanti, all’interno della fiera, sono state quelle dell’Italia, in parte divisa tra consorzi, singoli produttori e regioni, ma anche Cile, Austria, Argentina e Portogallo. Discorso a parte merita la Spagna, per il fatto di essere la guest star di questa edizione di Vinexpo, con una serata dedicata, svoltasi nella calda atmosfera, anche meteorologicamente parlando, del Palais de la Bourse (foto pagina accanto). Da un punto di vista dei visitatori, il far east l’ha fatta da padrone. Dalle retrovie ri-avanzano tuttavia i russi, dopo un periodo di black out, relativo a presenze e acquisti. L’appeal dell’evento si mantiene comunque su buoni livelli, anche se, come detto, la crisi, la nascita di nuovi happening enoici e la proliferazione di altri momenti targati Vinexpo - ad esempio quello del prossimo anno con sede ad Hong Kong - fanno sì che molte aziende debbano scegliere a quali eventi dedicare le proprie energie economiche. Dopo i numeri relativi a temperature e accessi, quelli riferiti ai vini. Risparmiando, solo per motivi di spazio, il resoconto sui sorsi di casa nostra, gli assaggi hanno messo in luce ancora parecchie ingenuità enologiche dei vini cinesi, mentre crescono a passi da gigante, anche per merito delle rispettive peculiarità dettate da altitudine e conformazione dei suoli, le etichette prodotte in Cile e Argentina. Solida, ma con punte d’eccellenza, per altro numericamente in crescita, la realtà austriaca a base di Sauvignon blanc in Stiria e Grüner Veltliner e Riesling in Wachau e Weinviertel. Conferme per i soliti Knoll e FX Pichler, ma anche nomi

nuovi tra cui Zillinger, con i suoi incroci di anfore, metodo solera e botti, e Karl Fritsch. In Australia si va sul sicuro con le ultime annate di Penfolds. Stessa cosa in Nuova Zelanda con Clos Henri, già tra i protagonisti del numero precedente de la Madia. E i vini di Bordeaux? Buoni i bianchi, molto buoni i dolci, anche se il divario tra i produttori più blasonati e quelli meno medagliati si sente parecchio. I rossi, invece, meritano un discorso a parte. La critica, specie quella straniera, ha levato lodi a questa annata, attribuendole un valore assoluto simile alla 2015, comunque più abbondante per sensazioni, concentrazione e prezzo; non per i numeri, perché già terminata.

I 2016, pur essendo in diversi casi più eleganti, mostrano una prontezza non così comunque per i Bordeaux, specie se pensiamo che i vini sono ancora in affinamento. Questo potrebbe far sorgere qualche problema in merito alla tenuta nel tempo, da sempre una delle caratteristiche distintive e più qualificanti dei vini di queste parti. Non per difendere la categoria, ma la critica su questi vini è molto complessa, richiedendo la contemporanea presenza, in sede di assaggio, non solo di palato, ma anche una profonda conoscenza dei vini prodotti in quest’area. Poi va da sé che per tanti l’ultima annata, per inciso quella che si deve ancora vendere, risulti essere spesso la migliore…

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VINARIA

VERSO LA

NUOVA DOC LIPARI di

Gianluca Ricci

Non sono più i tempi in cui Guy de Maupassant poteva descrivere la Malvasia delle Lipari come “uno sciroppo di zolfo, denso, zuccherato, dorato, il vino del diavolo”. All’epoca - era la seconda metà dell’Ottocento - il poeta francese si era potuto permettere il lusso di assaggiare una delle ultime bottiglie prodotte sulle isole siciliane prima che la fillossera distruggesse i vigneti e condannasse molti degli abitanti, che proprio sulla coltivazione della vite avevano fondato il loro progetto di vita, ad emigrare in cerca di fortuna. E sì che nel corso dei secoli la diffusione della Malvasia sulle isole Eolie era stata tale da consentire ai contadini di produrre fino a 10mila ettolitri all’anno e di poter vivere dei proventi delle vendite del vino, assai apprezzato soprattutto dall’alta nobiltà meridionale per i suoi sapori intensi e inimitabili. Oggi a malapena si raggiungono i mille ettolitri, un risultato comunque ragguardevole dovuto in gran parte alla pertinacia della storica Cantina Sperimentale di Milazzo, i cui lungimiranti direttori, in sintonia con alcuni audaci imprenditori del posto, concretizzarono un ambizioso progetto di reintroduzione della vite: erano gli anni Cinquanta del secolo scorso quando si mise a punto anche la tecnica di produzione, primo passo indispensabile per attribuire ad un vino che aveva saputo affascinare chiunque lo avvicinasse il giusto risalto nel panorama vinicolo nazionale. Nel 1973 il disciplinare vero e proprio, subito dopo il riconoscimento della sospirata Doc. Questa l’architrave su cui una sessantina di eroici produttori ha costruito il successo di uno dei vini più apprezzati da quanti cercano nel bicchiere il calore e la forza esplosiva che solo il sole di Sicilia è in grado di donare. La Malvasia delle Lipari è un

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NUOVADOCLIPARI

vino dolce e colorato, grazie alla potenza della Malvasia e alla stabilità cromatica del Corinto nero, le due varietà che il disciplinare ammette alla vinificazione. Due vitigni difficili, frutto di un territorio altrettanto difficile: dalle terre vulcaniche nascono piante bisognose di cure continue, dai frutti piccoli e resistenti. Il passito è diventata una scelta pressoché obbligata per esaltare al massimo le peculiarità di quelle uve, capaci di trasformarsi in un nettare topazio e rosa dal singolare profumo di ginestra e albicocca. Nel 1999 il salto di qualità tanto atteso da chi intanto si era speso per sviluppare il progetto elaborato a suo tempo da Paulsen, Nicosia e Barbara, i direttori della Cantina di Milazzo che sulla Malvasia avevano fatto la scommessa più importante della loro vita professionale: la nascita del Consorzio di tutela. Intanto gli ettari vitati erano passati dai 15 degli anni Ottanta ai 45 della fine del secolo: oggi sono già 90, tanto per fotografare con la forza dei numeri l’esuberanza di un fenomeno che la vecchia configurazione burocratica fatica a tenere insieme. Ecco perché qualche settimana fa i produttori che hanno insistito a battere la strada che i loro eroici predecessori avevano aperto tra mille ostacoli si sono riorganizzati in un nuovo Consorzio di tutela, rispondente ai requisiti per il riconoscimento ministeriale, dunque organismo istituzionale a tutti gli effetti in grado di sostenere ulteriormente gli sforzi del pugno di imprenditori che fra Lipari e Salina hanno pervicacemente voluto portare avanti una tradizione secolare. Decisamente ambiziosi i progetti annunciati dal nuovo presidente, Carlo Hauner, primo fra tutti la riformulazione del disciplinare e l’avvio delle pratiche per l’ampliamento della produzione

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VINARIA

anche alla Malvasia secca: «Negli ultimi anni - ha spiegato Hauner - sono stati fatti alcuni tentativi per verificare come e quanto la Malvasia potesse trasformarsi in un bianco secco, e i risultati sono stati più che incoraggianti». Motivo sufficiente per provare a forzare la tradizione e ad ampliare un’offerta rimasta negli ultimi anni arroccata su quelle 200mila bottiglie di passito che hanno finito per limitare, secondo alcuni dei produttori più avanguardisti, gli sviluppi del settore. L’idea è dunque quella di affiancare alla tradizionale Malvasia un bianco secco da bere a tutto pasto, anch’esso nato dalle medesime uve, entrambi però riconoscibili in un’unica denominazione che dovrebbe prendere il nome di Lipari. Anche perché già da qualche tempo esiste un bianco prodotto sulle isole siciliane e configurato secondo i dettami dell’Igt chiamato Salina. Ma l’opinione comune è che l’inclusione in un unico disciplinare di secco e passito non possa che fare del bene all’intera produzione locale: a tutt’oggi infatti il disciplinare della doc della Malvasia delle Lipari non contempla la possibilità di una vinificazione a secco di uve che invece devono seguire procedimenti che finiscono per escludere quelle opportunità di crescita che il nuovo consorzio vuole invece sperimentare. «I numeri per l’Erga Omnes ci sono - ha aggiunto Hauner - il che può diventare un passo fondamentale per noi produttori e per l’intero sistema eoliano». Non si può nascondere infatti che, a fronte di controlli assai più puntuali e precisi e di procedure burocratiche un po’ più asfissianti, si prospetta la possibilità di avere un prodotto qualitativamente migliore e di godere dell’accesso a fondi riservati. Il che, per vignaioli che lavorano in condizioni decisamente estreme come sono quelle dei terreni vulcanici delle Eolie, può trasformarsi in un buon viatico. Nessuna pretesa di grandi numeri, ovviamente. La nuova doc Lipari, quando troverà la forza anche burocratica per diventare realtà, non potrà che rimanere un prodotto di nicchia. Tuttavia la nuova configurazione potrebbe infondere nuovo coraggio ad operatori che oggi faticano a trovare adeguato riconoscimento al loro duro lavoro. Se anche la nuova doc si limitasse solo a questo, lo sforzo di Hauner e colleghi potrebbe essere ascritto senza dubbio a successo.

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VINARIA

SICILIA EN PRIMEUR 2017 I NUMERI DI UNA REGIONE CHE CRESCE di

Giovanni Angelucci

Dai dati di Assovini emerge il fatto che la Sicilia del vino occupa il quarto posto come produzione regionale (5,6 mln di ettolitri, 12% del totale, dato 2015; fonte Wine Monitor Nomisma) dopo il Veneto, la Puglia e l’Emilia Romagna. La Sicilia ha la maggiore superficie vitata nazionale (oltre 110000 Ha) ed è in testa alla classifica delle superfici biologiche italiane con 25000 ettari su 68000, pari al 37% del totale. Di più, “l’imbottigliato di vini Igt e Doc è in aumento” ha sintetizzato Antonio Rallo, presidente di Unione Italiana Vini e del Consorzio di tutela vini Doc Sicilia, “la Doc Sicilia registra un +11,05% nell’anno 2016 senza che ciò abbia avuto riflessi negativi sui vini Igt Terre Siciliane e Doc territoriali che, al contrario, vedono aumentato il volume della loro produzione; lo dimostra la Doc Sicilia che nell’ultimo anno ha raggiunto 26,8 milioni di bottiglie”. Dunque una regione vinicola in piena salute che si presenta al mondo con i suoi grandi vini e si esprime con tutta la forza che è intrin-

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seca nel territorio. Quando si fa qualità, i numeri non sono nulla senza l’etica, “la salvaguardia dell’ambiente e la tutela del territorio sono tematiche sempre più fondamentali per la viticoltura e in special modo per le aziende” ha dichiarato il presidente di Assovini, Ferreri. “Aver organizzato “Sicilia en Primeur” sullo sfondo del “Radicepura Garden Festival” è stata un’opportunità irrinunciabile per il vino siciliano che ha fatto della green filosofy la sua bandiera”. I giornalisti, come ogni anno, sono stati suddivisi in gruppi con tour dedicati nelle principali zone della Sicilia enoica. Un’isola così tanto variegata da proporre un arcobaleno di vini non soltanto organoletticamente differenti ma frutto di altrettanti vitigni che da sempre convivono per esprimersi al meglio lungo l’intera regione. L’Etna con i suoi rossi, il Frappato ragusano, i Nerello concentrati nelle zone di Messina e Catania, fino alla ventosa Marsala con la sua storia e Pantelleria che parla arabo con i giardini panteschi e gli inconfondibili dammùsi.

VITICOLTURA EROICA La millenaria tradizione vinicola di quest’isola, arricchita da numerosi miti e leggende, ha ottenuto la denominazione Doc nel 1971. Non è semplice allevare la vite sull’isola e per questo si può parlare di viticoltura eroica in un ambiente impervio, un territorio caratterizzato da terrazzamenti e muretti a secco, vigneti difficili da lavorare, in cui lo Zibibbo però è il protagonista assoluto. Una pratica agricola così importante da far diventare la vite ad alberello di Pantelleria patrimonio dell’Umanità secondo l’Unesco. Orgoglio e merito per le viti pantesi visto che nessun altro Paese era mai riuscito ad iscrivere nella celebre lista dei patrimoni culturali una pratica agricola. Le uve da cui proviene il famoso Passito sono uve del Moscato d’Alessandria, comunemente conosciuto come Zibibbo,

appunto, raccolto quando è ormai molto maturo, così da dare un mosto naturalmente dolce. Varietà contraddistinta da elevata concentrazione zuccherina e grande ricchezza aromatica, considerato che la maturazione delle uve avviene sotto un sole generoso che regala estati decisamente calde. Il Moscato di Pantelleria

è ottenuto in genere dalla vendemmia tardiva, con appassimento sulla pianta o, dopo la raccolta, su graticci, così da ottenere un mosto lasciato brevemente macerare sulle bucce perchè si arricchisca dei generosi aromi che lo caratterizzano. La superficie vitata si attesta intorno ai 500 ettari e le poche cantine produttrici valorizzano al massimo un vino non solo di qualità, ma bandiera di un paesaggio unico nel suo genere. A dimostrarlo ci pensano i nomi ormai storici come Salvatore Murana, Marco de Bartoli, Donna Fugata che a buon merito spicca con il suo Ben Ryé, frutto di un’attenta selezione di zibibbo da undici diverse contrade dell’isola e di un processo lungo almeno tre mesi: grande equilibrio tra dolcezza e freschezza, meraviglioso profilo organolettico delineato attraverso le note di albicocca matura, dattero, carrube, fichi secchi e miele, capace di un lunghissimo affinamento in bottiglia. Ma non solo, compaiono anche interessanti new entry come l’ardente Giulia Pazienza Gelmetti dell’azienda Coste Ghirlanda capace di mettere in piedi un progetto fenomenale tra il vitivinicolo e l’accoglien-

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VINARIA

NINO 2009 - CARUSO E MININI In un antico baglio nel cuore di Marsala viene prodotto il Nino, simbolo d’eccellenza dedicato al creatore della cantina, un vino suadente che ha tanto da raccontare. Realizzato dal blend di quattro varietà autoctone e della selezione del meglio dei 120 ettari vitati, può essere definito l’Amarone siciliano considerato che la raccolta avviene in due momenti diversi: metà all’inizio di settembre e trasferita in fruttaia a 25°C per 20 giorni (dove perde il 40 % del suo peso), la restante viene raccolta nella prima decade dopo un naturale appassimento al sole siciliano. I 4 anni in tonnaux di legno francese ed americano, realizzate ad hoc da un mastro bottaio siciliano, e l’affinamento di 12 mesi in bottiglie, fanno il resto. All’assaggio si presenta particolarmente rotondo con un frutto pieno e succoso, è complesso e da bere con la calma che merita così da assaporare ogni piccola evoluzione che è in grado di concedere.

za esclusiva: da una parte grandi vini e dall’altra il 5 stelle lusso unico sull’isola, il Sikelia, nato un anno fa dal recupero di una dimora privata in contrada Monastero, un rifugio mozzafiato senza tempo. I vini sono la dimostrazione che con un’uva, anche a Pantelleria, si può fare qualcosa di completamente diverso dagli standard e le due etichette di Zibibbo sono qualcosa di davvero inaspettato e speciale: Jardinu e Silenzio, espressioni di quest’uva al primo sorso spiazzanti. Se il ruolo del primo è presentare l’azienda con una freschezza e lunghezza notevoli, un vino secco espressione dei profumi della macchia mediterranea tra l’agrumato e il sapido, al secondo spetta di stupire (non che il Jardinu non lo faccia) e ci riesce con tutta la delicata potenza di un profilo aromatico che spazia dalla frutta alle spezie, dall’anice alla vaniglia e in bocca si desta coadiuvato da una persistenza notevole. Il Silenzio presenta un’importante longevità e una finezza anticonvenzionale. Presente anche il passito Alcova, dall’ampio spettro aromatico, con splendide strutture e di grande piacevolezza. Per altri validi assaggi bisogna tornare sulla terra ferma, nel trapanese.

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BIANCA DI VALGUARNERA 2007 DUCA DI SALAPARUTA La storica azienda ha in archivio alcune interessanti chicche tra cui quest’Insolia in purezza, proveniente da un terreno argilloso calcareo e allevata oltre i 300 metri d’altitudine. A contatto con i lieviti in barrique per almeno otto mesi, si rivela in piena forma e regala una soddisfacente bevuta. Il naso è contraddistinto da una leggera nota di miele che aumenta la complessità olfattiva. Le note speziate sono presenti lungo tutto l’assaggio e sono la vaniglia e la nocciola tostata ad essere esaltate. La rotondità e gli anni alle spalle vengono sorretti da una buona acidità ancora ben presente.

PIETRASACRA 2009 - CASA VINICOLA FAZIO Questo Rosso Riserva è il figlio prediletto della famiglia Fazio, ritenuta una delle più rappresentative realtà della Doc Erice, di cui Lilly Fazio è volto ammaliante e voce stimata. La mancanza di irrigazione rende il vino molto concentrati e il terreno vulcanico delinea un profilo elegante e caratteristico che trova buona espressione in questo cru di Nero d’Avola. Tre anni di affinamento tra cui due in legno piccolo e uno in bottiglia. È morbido e ma complesso con note cariche di frutta rossa, tipiche del vitigno, e sentori terziari e speziati di pepe, tabacco e cacao.

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EDITORE La Madia srl Sede legale: Via E. De Amicis, 53 - 20123 Milano (MI) Sede operativa: Via Pacchioni, 365 - 47521 Cesena (FC) Tel. 0547 23821 - Fax 0547 25809 Internet: www.lamadia.com - E-mail: lamadia@lamadia.com

CONFEDERATION EUROPEENNE

DES GOURMETS La famiglia dei Gourmets europei si è data una nuova dimensione per valorizzare

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enogastronomica italiana

Direttore responsabile: Elsa Mazzolini La Madia srl è parte del Gruppo Cose Belle d’Italia www.cosebelleditalia.com

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