La Madia Travelfood n. 320 - Settembre 2017

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Mensile Sped. In Abb. Post. - Gruppo III° - 45% - Art.2 Comma 20/B Legge 662/96 - Fil. Forlì - Tassa Pagata - Taxe Perçue - Reg. Trib. Di Forlì N.653 - Del 14/6/84 - Dir. Resp. Elsa Mazzolini - La Madia Srl - Via Pacchioni, 365 - Cesena - Euro 4,00 - In caso di mancato recapito restituire al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa

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FESTIVAL DELLA

CUCINA ITALIANA 22-23-24 SETTEMBRE 2017

LA MADIA EDITORE

ANNO XXXIII - Settembre 2017 - N. 320 - €E 4,00 - Direttore ELSA MAZZOLINI

PESARO

Il meglio del cibo e del vino con grandi chef di tutte le regioni italiane




SOMMARIO - LA MADIA TRAVELFOOD n. 320

GOURMETFOOD

di

Teresa Cremona

GOURMETFOOD

di

Giulia Gavagnin

pag. 40

pag. 48 CASTELLO DI SPALTENNA

FULVIO PIERANGELINI

Un’ospitalità di buon gusto estetico e buona cucina.

La solitudine dei numeri primi.

EVENTI

VINARIA

pag. pag. 88 86

Il meglio del cibo e del vino con grandi chef di tutte le regioni italiane

pag. 96

17°FESTIVAL DELLA CUCINA ITALIANA

UNGHERIA DIVINA

A Pesaro la grande cucina scende in piazza.

Tra i vitigni primeggiano Furmint e Tocaji

di

Marco Tonelli


La cultura del benessere

Lo chef... il suo piatto

La ristorazione della pausa pranzo

Maurizio Urso.................................................................. pag. 32

di Primo Vercilli................................................................ pag. 8

Golavagando “Mon Trésor”

La scelta vegana

Trattoria Alpina

Roma Caput Vegani!

di Giovanni Angelucci....................................................... pag. 34

di Silvia Bianco................................................................. pag. 10

Hotel Ristorante Giardinetto

Assaggi di Galateo

di Daniele Briani............................................................... pag. 36

Il cliente ha sempre ragione?

Alpemare

di Fabio Ferrantino........................................................... pag. 14

di Claudio Mollo............................................................... pag. 38

Progettare l’impresa

GourmetFood

Così come scegliamo, veniamo scelti

Francesco Oberto

di Lorenzo Ferrari............................................................. pag. 16

di Alessandra Meldolesi................................................... pag. 52

Golavagando

Giancarlo Morelli

Tenuta di San Pietro

di Giovanni Angelucci....................................................... pag. 60

di Domenico Acconci....................................................... pag. 18

Lo chef... il suo piatto

Dolcevita.......................................................................... pag. 19

Daniele D’Alberto............................................................. pag. 66

La scommessa del “Pub” Nidaba

Buone Nuove..................................................................... pag. 68

di Simone Rosti................................................................ pag. 20

GourmetFood

GolavagandOraviaggiando

Mangiare in Galera

Oste del Convivium a Bari

di Carla Latini................................................................... pag. 70

di Sandro Romano........................................................... pag. 24

Cooking for Freedom

Golavagando

di Stefano Bramanti......................................................... pag. 72

Pizzeria Da Cecio e Il Grillo

Tre chef a confronto a Bologna........................................ pag. 78

di Domenico Acconci....................................................... pag. 27

Chef di Spirito

Trattoria La Gatta

Rosette Fogliari di Papavero Selvatico di Campo

di Carla Latini................................................................... pag. 28

di Sonia Leo..................................................................... pag. 82

Il Gourmettino a Firenze

Vinaria

di Cristina Vannuzzi.......................................................... pag. 30

Il focus di Alessandro Magnum

Area Gluten Free

Avrei voluto conoscere Veronelli

Gnocchetti di panino integrale con triglie e ceci

di Alessandro Rossi.......................................................... pag. 92

a cura di Marco Scaglione................................................ pag. 31



EDITORIALE di

Elsa Mazzolini

INTERNET IS BROKEN L’ultimo in ordine di tempo a cadere nella rete volgare della rete è stato il grande Iginio Massari che si è beccato del nonnetto con annessi irripetibili epiteti, da una virago che non aveva tollerato un suo civilissimo e condivisibilissimo post sul costo esoso di brioches e cappuccino di una grande catena. Il noto pasticciere - che subito ha elegantemente rimosso la polemica (con lui solidale) che si stava innescando - è dunque incorso nel più consueto degli agguati dei social e a nulla serve che il suo pensiero fosse stato esposto con educazione e dal suo pulpito di grande esperto. Il problema, su cui io spesso mi soffermo in questa pagina, sta proprio nell’utopia di poter usare il web secondo criteri di logico senso civico. Non è così, perché appostati dietro profili più o meno fasulli, si nascondono esseri sub-umani che un tempo potevano assurgere, al massimo, al titolo di scemo del paese e che oggi invece scaricano su Facebook tutte le proprie frustrazioni, l’ignoranza, l’incapacità vera di capire le cose e di rapportarsi agli altri. Ne è perfettamente conscio Evan Williams - fondatore già nel 1999 della piattaforma Blogger, di Twitter nel 2006 e recentamente di Medium - che ha scelto però la carta del New York Times per ammettere una sorta di sconfitta: “Internet is broken, non funziona più”, ha dichiarato. E dopo aver elencato una serie di nefandezze della rete, dagli omicidi in diretta postati su Facebook, alle orde di troll su Twitter, dal voyerismo sguaiato dei troppi selfie, alle fake news fino alle parole in libertà di Trump, il più esperto dei navigatori del web dice che l’intento demagogico di offrire a tutti libertà di espressione è fallito: un’illusione devastata dalla pochezza degli esseri umani: “Internet - asserisce Williams - non è fatto per supportare la qualità, bensì la quantità, e l’attenzione di milioni di utenti non è sufficiente a garantire che questa poggi su basi corrette”. La sua soluzione: mentre teorizza, ad esempio per Facebook, l’assunzione di migliaia di persone che possano monitorare e controllare i contenuti dei post, indica il più semplice dei rimedi, ossia una porta con una bella serratura, un limite contro gli importuni. Non tutte le persone sono perbene ed ecco perché i cafoni devono trovare le porte chiuse.

ME

Ha fatto bene Iginio a pulire la sporcizia sul suo zerbino e a mostrare la porta chiusa del silenzio a chi non sa parlare.

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LACULTURADELBENESSERE

a cura di

Primo Vercilli Medico Dietologo

LA RISTORAZIONE DELLA PAUSA PRANZO QUALE SCEGLIERE PER IL PROPRIO BENESSERE

Nel campo della ristorazione si fanno ormai avanti diverse tendenze “light” e “bio”, soprattutto nella proposizione di pasti in pausa pranzo. Quello della ristorazione “veloce” è un segmento che in questi ultimi anni ha avuto una crescita esponenziale incredibile. Alla fin fine però, anche se spesso i locali “light” e “bio” sono abbastanza pieni e frequentati, ci si accorge che c’è qualcosa che non funziona, in quanto la persona difficilmente fa sì che quel mangiare “light” sia parte integrante di una esperienza di vita: il più delle volte è un’ esperienza staccata da quanto poi avviene nell’arco dell’intera giornata, oppure rappresenta addirittura un alibi per poi, a cena, mangiare in modo più disordinato e abbondante (“tanto a pranzo sono stato leggero!”). Quello che manca è, il più delle volte, la relazione effettiva tra esperienza quotidiana della persona e punto di ristoro e, viceversa, tra punto di ristoro e quanto quel pasto a pranzo possa essere replicabile a casa nella quotidianità. Voglio dire che, difficilmente le persone, quando vanno in pausa pranzo, sono realmente aiutate nel seguire un ordine nella loro alimentazione e, altrettanto difficilmente, il punto di ristoro propone ricette che poi siano replicabili a casa. Si crea quindi uno scollamento tale per cui una persona, che magari è a dieta, fa fatica a dare continuità al suo programma alimentare. Quali devono essere quindi le caratteristiche di un pasto proposto da un qualsiasi punto di ristoro (in pausa pranzo) affinché questo diventi un momento di integrazione con il resto della giornata e delle intenzioni della persona? Una qualsiasi ricetta proposta deve avere le seguenti caratteristiche: FACILE - BILANCIATA - GUSTOSA - BELLA - PERSONALE/PERSONALIZZATA. FACILE fa rima con QUOTIDIANO, perché ripetibile. I piatti proposti devono essere una sfida da ripetere a casa. E la sfida non sta nel fatto che proponiamo gli spaghetti al pomodoro, che tanto uno già sa come prepararli un casa, ma provochiamo la persona a

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capire che può preparare in casa piatti che mai avrebbe pensato di poter fare! È il ristorante che deve stimolare la creatività nel quotidiano; non dico che sia semplice, ma si può fare. Quello che dobbiamo chiederci è questo: perché, se io dico ad una persona che può mangiare pasta, verdura e pesce, la persona, d’istinto, pensa che può semplicemente consumare pasta in bianco + sogliolina lessa e contorno di verdure? Perché manca un’esperienza nel quotidiano che gli faccia percepire che la creatività va educata. Qui la NUTRIZIONE diventa GASTRONOMIA: la Nutrizione è compito del Nutrizionista, la Gastronomia è compito del ristoratore: due mondi che quando si incontrano nel modo giusto possono spalancare un universo. Quindi FACILE/QUOTIDIANO significa selezionare alimenti facilmente reperibili e trovare modalità di cottura e preparazione che siano replicabili in casa e in poco tempo. Quindi il data base ricette deve innanzitutto essere improntato su questi due elementi. BILANCIATO fa rima con SANO. Questa relazione non è del tutto scontata, in quanto c’è chi per “sano” intende diete totalmente squilibrate. Pensate a tutte le diete low-carb e capite che il concetto di “sano” è assolutamente fuorviante: infatti, se partiamo dal presupposto che i carboidrati fanno male, allora la dieta sana è quella senza carboidrati, il che significa che il concetto di sano è completamente opposto al concetto di bilanciato. Affermare quindi il concetto di “sano” in termini non di “alimento come valore assoluto” ma in termini di “bilanciamento” è la sfida che si pone una Gastronomia sensata. Perché il concetto di “sano” deve essere sempre messo in relazione con “bilanciato”? Perché solo così teniamo conto di tutti i fattori in gioco. Non discutiamo appena quanto un alimento sia sano di per sé: questo ormai lo sanno tutti! Dobbiamo invece discutere di quanto un alimento sano o meno riesce ad entrare in un ordine (bilanciamento) quotidiano e/o settimanale.


LACULTURADELBENESSERE

In questo momento ci sono quattro diversi tipi di ristorazioni “alla moda”, cioè, per così dire, molto gettonati: a) i fast food dozzinali (tipo Mc Donald’s) che propongono autentiche schifezze e si sforzano di dire che NON sono schifezze, cioè, attraverso una strategia marketing incredibile, danno un senso di tranquillità, gioco, familiarità, infanzia, sponsorizzano le Olimpiadi, ecc., mettono le informazioni nutrizionali sul prodotti, che, viste così, ci fanno addirittura pensare che “alla fin fine, quel Mc Bacon non è poi così male!” ; b) i ristoranti che “basta che si mangi che va sempre bene”, cioè posti in cui l’unica nota distintiva è la totale inconsapevolezza di ciò che si mangia; c) i posti “superfighilight-perché-bio-è-la-mia-vita”, che possono andare bene per un numero limitato di persone, che possono essere una moda, una tendenza, ma che propongono una stile di vita che stravolge quelle che sono le normali abitudini delle persone. Sono cioè posti staccati dalla realtà, in cui, magari, uno mangia anche sano e poi la sera, a casa sua si abbuffa! d) i fast food “che si sforzano di fornire una alimentazione pseudo-sana, ma fondamentalmente anonima”: sono tutti quei posti che sono nati sull’onda di un’esigenza ben precisa, cioè quella di fornire un pasto rapido a tutti coloro che, per motivi di lavoro, sono costretti a mangiare fuori casa. Questi fast food hanno due caratteristiche fondamentali: non sono dozzinali come Mc Donald’s, ma sono totalmente impersonali (cioè non pensati veramente per la persona); in questo caso quindi il fast food punta tutto sul marchio, sul marketing, su fattori esterni al concetto di salute nel piatto e su fattori “esterni” alla persona stessa. È chiaro che la proposizione DEL CONCETTO DI ALIMENTAZIONE SANA non può essere ridotto ad un mostrare le informazioni nutrizionali o al proporre una banale insalata o un banale passato di verdure o un centrifugato! Come non è detto che una persona che mangia hamburger una volta a settimana sia da prendere come prototipo del “si-sta-scavando-la-fossa-mangiando-male”. Il concetto di SANA ALIMENTAZIONE sta nel trovare il giusto equilibrio tra ciò che ci fa obiettivamente bene e ciò che ci fa sentire bene. C’è una componente di gratificazione emotiva in ciò che mangiamo che non andrebbe mai estrapolata dal contesto di un cibo. Un cibo è sano quando ci fa bene, piace e sappiamo esattamente come gestirlo. GUSTOSA: sembra la cosa più normale del mondo, ma è difficilissima da rendere, tanto è vero che spesso, per rendere più “gustosi” i cibi si aggiunge il sale! Quando una ricetta è gustosa? Quando piace, quando non appesantisce dopo l’assaggio, quando gli ingredienti sono riconoscibili e ben equilibrati. Alla GASTRONOMIA spetta il compito di rendere GUSTOSO E BELLO quello che in NUTRIZIONE è INDISPENSABILE! La NUTRIZIONE fallisce perché raramente si evolve in GASTRONOMIA. E la GASTRONOMIA non educa perché troppo spesso si vuole sostituire alla NUTRIZIONE.

BELLA: è un concetto che va di pari passo con il precedente, ma non è la stessa cosa. Sono 2 concetti complementari. Attraverso il GUSTO noi attiviamo principalmente due sensi: l’olfatto e il gusto. Mentre la bellezza la percepiamo con gli altri 3 sensi: il tatto, l’udito, la vista. Il “crunch” di un croccante, le consistenze di una salsa o di una mousse o di una gelatina, l’impiattamento: questo attiva i sensi e ci permette di arrivare a dire “bello”. Forse questa è la sfida più affascinante: far vedere che anche una “normale” omelette può essere “bella”! La bellezza è qualcosa a cui noi aspiriamo di continuo, perché quello che caratterizza l’uomo è il desiderio (e la capacità) di sorprendersi. Questo desiderio e questa capacità l’uomo l’ha completamente persa nel rapporto con il cibo quotidiano: il cibo quotidiano è un “mordi e fuggi”, un “dare per scontato”, un “tanto bisogna farlo”, un “adesso mi rilasso e mangio quello che mi pare”. Niente di tutto questo è compatibile con una bellezza nel piatto. La sfida più grande è affermare la bellezza nel piatto in un luogo (ristorante) e attraverso un modo (pausa pranzo) apparentemente assolutamente incompatibili con la bellezza stessa! PERSONALIZZATA: il piatto che dobbiamo creare deve poter far dire alla persona “questo è veramente per me”. Non è difficile come si possa credere, in quanto, con le moderne tecnologie, è facile prevedere attraverso modelli matematici menu “ad hoc” per le persone, che poi possono ordinare in ristoranti precisi le loro pietanze, preparate secondo standard gastronomici coincidenti con le esigenze nutrizionali specifiche della persona. Non a caso, nella recente Fiera Tutto Food a Milano, tenutasi lo scorso maggio, nell’ambito di “Start Up Initiative” è arrivata tra le finaliste un’iniziativa, chiamata Libraway, che ha ideato un progetto di gestione di piani nutrizionali (collegato ad un sistema di educazione alimentare) da ordinare poi, tramite APP, ad un ristorante. L’iniziativa ha incontrato moltissima curiosità, tanto da verificare subito l’interesse delle persone (cioè i potenziali utenti finali) ad un simile progetto: è stato infatti inviato un questionario a persone che seguivano una dieta, chiedendo se potessero essere interessate a un servizio in cui gli veniva recapitato il loro (specifico/ personale) pasto direttamente in ufficio o a casa o in università e poi gli fossero recapitati anche i condimenti da utilizzare nel pasto serale a casa, in modo da impiegare pochissimo tempo nelle preparazioni casalinghe dei cibi, con l’obiettivo di realizzare piatti belli, gustosi e personali. Il risultato è stato sorprendente: oltre il 70% delle persone intervistate si è dichiarato interessato o molto interessato. La richiesta delle persone di essere aiutate in un percorso nutrizionale che faciliti le scelte nella pausa pranzo è evidente: sta a noi rendere possibile questo aiuto. È un percorso lungo, che prevede la messa a punto di strategie e competenze, ma che, alla fine, può essere un significativo passo verso la vera educazione alimentare.

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LA SCELTA VEGANA

a cura di

Silvia Bianco testimonial di cucina vegana

ROMA CAPUT VEGANI! ECCO UNA GUIDA ALLE MIGLIORI REALTÀ RISTORATIVE DELLA CAPITALE

Roma, la città Eterna, la città vibrante, dove storia e bellezza regnano sovrane pur se insediate da degrado e incuria, si è aggiudicata il quinto posto in classifica tra le città più veg d’Europa, da una ricerca effettuata da Hundredrooms.com che si basa sul numero di ristoranti vegan presenti nella città in relazione al suo numero di abitanti. Considerato che la popolazione romana supera i 4 milioni, Roma si è qualificata con un ottimo punteggio. Questa classifiche eseguite da siti di promozione turistica come Hundredrooms, ad essere sincera mi fanno sempre pensare a qualcosa di pilotato. In realtà mi tocca smentire, perché in uno dei miei ultimi viaggi destinati proprio a Roma, ho trovato una città molto aperta al veganismo e con un’opportunità di scelta incredibile. Dal piccolo bar che offre colazioni vegane, al locale più in voga che promette happy hour per tutti, vegani inclusi. Scelte vegane disponibili anche nei minimarket in centro, sia nel reparto frigo che nel reparto gastronomia e nella maggior parte dei

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locali: se si informa il personale che si è vegan, sanno perfettamente cosa voglia dire e come orientarsi. Inoltre Roma è stata la prima città d’Italia ad aprire il supermercato “IVEGAN” che vende prodotti esclusivamente vegetali: in questo supermarket non troveremo mai carne, pesce e formaggi, ma solo un’infinità di prodotti senza derivati animali e cruelty free, come ad esempio le alternative vegetali delle proteine (seitan, tofu, tempeh, mopur, etc) e gli innumerevoli prodotti vegetali che si propongono come alternative ai formaggi, i legumi, cereali, farina, pasta, condimenti, dolci, ma anche prodotti per la cosmesi, l’igiene e l’abbigliamento. Il negozio vende anche online in tutta Italia. Nel mio breve soggiorno romano ho avuto modo di provare alcuni ristoranti, pizzerie, bistrot e pasticcerie vegan, ognuno di loro speciale, ognuno di loro con delle peculiarità che le contraddistingue. Per questo ho deciso di parlarvene molto volentieri, vediamoli.


ROMACAPUTVEGANI

IL MARGUTTA VEGGY FOOD & ART Ubicato nel cuore del centro storico, proprio dietro a Piazza di Spagna, è attivo dal 1979 ed è il primo ristorante vegetariano della Capitale. Situato nella strada degli artisti “Via Margutta”, ne scaturisce un forte e stretto legame con tutta l’arte in generale ed in particolar modo con la pittura e la scultura. Il Margutta si autodefinisce “RistorArte” proprio per le tante opere in mostra al suo interno che cambiano periodicamente e per gli spettacoli di teatro ideati in esclusiva per Il Margutta da registi ed attori. Gli ospiti vengono accolti in un ambiente dove si sente il profumo del buon cibo ed al contempo si respira arte: oltre alle frequenti mostre di artisti e agli eventi teatrali, si possono godere incontri, discussioni e presentazioni di libri. Anche l’impegno con campagne di solidarietà a tutela degli animali dimostra come questo sia non solo un ristorante raffinato e culturale, ma anche un luogo dove le tematiche sociali e a difesa dei più deboli stanno molto a cuore. Il Margutta è anche arte nel cibo ed è perciò un punto di riferimento per tutti i vegetariani e vegani, accolti in un ambiente raffinato e contemporaneo e dove possono gustare veri propri piatti gourmet amati anche da chi vegetariano non è. Dal brunch alla cena, i piatti sono curati minuziosamente, con armonia e con prodotti di alta qualità e biologici. La pasta è lavorata a mano, nel cestino del pane troviamo pane, focacce e grissini tutti sfornati dalla cucina del Margutta in più varianti come il pane ai semi, fragrante e soffice o quello alla cipolla, oppure la focaccia romana ed i deliziosi e croccanti grissini rustici. Il menù varia spesso con attenzione alla stagionalità ed ai prodotti locali. Le ricette sono legate alla tradizione italiana ma innovative (ricordo con delizia un favoloso e morbido filetto di seitan bio, autoprodotto dallo chef, al pepe rosa e Madera, con rosti di patate e riduzione di lamponi, delle polpettine di melanzane con salsa di pomodoro alla siciliana, capperi, olive e basilico ed una vellutata tiepida di fave e piselli con bocconcini di filetto di seitan autoprodotto. Per i più esigenti c’è un’interessante cantina dei vini biologici e biodinamici che accompagnano dall’antipasto al dolce.

MORBIDO

di insalata russa e Tofu al curry INGREDIENTI

Per il tofu: g. 100 di tofu, g. 20 di carote, g. 20 di sedano,

g. 5 di curry, olio extravergine di oliva, sale, pepe q.b.

Per il morbido: g. 250 di carote ridotte in purea, g. 15 di amido di riso, g. 15 di fecola di patate, g. 15 di amido di

mais, g. 250 di patate ridotte in purea, g. 15 di amido di riso, g. 15 di fecola di patate, g. 15 di amido di mais, g. 250 di piselli ridotti in purea, g. 15 di amido di riso, g. 15 di fecola di patate, g. 15 di amido di mais. PROCEDIMENTO

Scaldare bene le tre puree, unire gli amidi, condizionare sottovuoto e cuocere a vapore a 90°C per 13 minuti.

Composizione del piatto: dopo aver cotto le puree, raffreddarle e ottenere una dadolata; condirle con olio e sale,

e conferire le forme volute su un piatto (in questo caso un cubo). Porre tre quenelle di tofu, guarnire con sedano ed

erbette e finire con un filo d’olio. Si può spolverare con frutta secca e, volendo, si può aggiungere frutta fresca.

Una meravigliosa ricetta di Maurizio Urso, chef del ristorante “La terrazza sul mare” situato in Viale Mazzini, 12 sull’isolotto di Ortigia direttamente collegato con la città di Siracusa.

GREZZO RAW CHOCOLATE E’ il paradiso per ogni vegano goloso che ama i sapori autentici con un occhio alla salute. Questa pasticceria oltre ad essere al 100% vegan, propone torte, gelati, praline, brownie, mousse, crostate, tartufi, semifreddi, frullati, “cheesecake”, biscotti, creme e tanto altro ancora tutto rigorosamente crudista. Fa-

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LA SCELTA VEGANA

moso per essere “la bottega” del cioccolato crudo, ovvero non tostato, ma lavorato esclusivamente a basse temperature per mantenere intatte le qualità nutrizionali del cacao. Grezzo Raw Chocolate vi accoglie con le sue linee minimal in marrone e oro come se fosse un piccolo scrigno, dove i gioielli sono le creazioni del Raw Chef Vito Cortese. Situato nel rione Monti a pochi passi dalla stazione Termini, è l’unica pasticceria, cioccolateria e gelateria crudista in Italia, che, sull’onda dell’enorme successo romano, ha aperto di recente una sede anche a Torino. Sì, perché questa pasticceria vegetale e crudista è amata anche da chi vegano non è, perché ogni loro dessert è un tuffo nei sapori puri delle fave di cacao, delle nocciole, pistacchi, mango, ananas, cocco e tanto altro ancora. Non vengono utilizzati zuccheri raffinati, l’unico zucchero utilizzato è lo zucchero di cocco noto per il basso indice glicemico e quindi indicato per tutti e specialmente per coloro che hanno una particolare sensibilità glicemica. Gli ingredienti sono biologici, selezionati con cura dai migliori produttori e lavorati senza cottura, talvolta essiccando ad una temperatura max di 42°C. Tra le bontà che sono riuscita a provare in un pranzo-merenda dopo una seduta in palestra ed una corsa nella splendida cornice di Villa Borghese, mi sento di consigliare la crema al cioccolato crudo senza zucchero (c’è anche la versione con lo zucchero di cocco), la cheesecake al mango, il gelato al cioccolato, alle mandorle, ai pistacchi, alla gianduia con nocciole e cioccolato crudo, ma anche quelli alla frutta come mango e frutto della passione, il bocconotto bonet ispirato alla tradizione piemontese e realizzato in chiave veg con mandorle, cioccolato e caffè, ed in ultimo una pina colada con base di latte di mandorla autoprodotto, ananas e cocco, davvero squisito e rinfrescante. Se non avete in programma viaggi a Roma (o nella seconda sede di Torino) potete acquistare alcune di queste delizie direttamente dal sito online spaziando tra le varie praline, tartufini, torte brownie, biscotti e la crema spalmabile di cioccolato e nocciole.

SOLO CRUDO E dopo una pasticceria crudista, ecco il primo ed elegante bistrot natural chic vegan crudista romano. Ha aperto i battenti nel 2015 ai Parioli, per poi aprire una nuova sede più ampia a Prati, non molto distante dal Vaticano. Questo ristorante nasce come punto di riferimento non solo per i vegani, ma anche per coloro che vogliono avvicinarsi ad una cucina creativa e gustosa e soprattutto salutare per il nostro corpo e per l’ambiente. Già, perché quando si parla di Solo Crudo si parla di ecosostenibilità al 100%.

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Le materie prime vengono selezionate con estrema meticolosità e sono tutte naturali, provenienti da aziende rigorosamente biologiche e locali. Il menù totalmente gluten free e senza derivati animali si rinnova in base alla stagione ed alla creatività dello chef. La parola d’ordine è “meno spreco possibile”. Tutto ciò che avanza la sera, viene donato a società benefiche che poi si occupano di distribuirlo a persone bisognose. Il locale dichiara di utilizzare energia “pulita” e le consegne a domicilio vengono effettuate solo con mezzi elettrici (motorini e biciclette) per limitare il più possibile l’inquinamento. L’arredamento del locale è fatto con materiali riciclabili, costituito per lo più da legno naturale, maioliche finemente disegnate e dipinte a mano; i colori predominanti hanno le tonalità tenui del bianco e del verde; le sedie di legno e ferro, e si possono riconoscere dei pezzi di arredamento vintage presi da altri cantieri a favore della loro politica anti-sprechi orientata al recupero degli oggetti. All’interno una cucina a vista, visibile anche dalla strada per richiamare l’idea del fast food, modalità con cui aveva aperto Solo Crudo nella prima sede dei Parioli. Insomma un’atmosfera calda, genuina, ma elegante. Ma veniamo alla cucina. L’unica “cottura” utilizzata, ove necessario, è l’essicazione non oltre i 42 gradi, perché altrimenti il cibo perderebbe ogni proprietà nutritiva. Gli ingredienti principali sono verdure, ortaggi e frutta fresca, essiccata e secca. Il menù di Solo Crudo Bistrot è in continuo evolversi e viene costantemente aggiornato e rinnovato seguendo le stagioni, le disponibilità dei produttori locali e ovviamente l’estro degli chef capitanati dallo chef Riccardo Rossetti. Le specialità da non lasciarsi scappare sono tra gli antipasti una fresca tartare di avocado e mango al coriandolo, con salsa di peperoni, tabasco e crackers crudisti ed un delicatissimo gazpacho di fragole e mandorle. Tra i primi abbiamo un gustoso cacio e pepe ovvero spaghetti di zucchine con formaggio di anacardi e carciofi e dei ravioloni di zucchine tonde con ricotta di anacardi e pesto al basilico; tra i secondi una leccornia unica: la selezione di formaggi stagionati di anacardi al pepe rosa, pepe nero e curry con crackers crudisti di zucchine, pomodoro e marmellatine varie crudiste. Tutti i piatti sono presentati elegantemente con un taglio decisamente gourmet. Per gli amanti del cacao, come dessert, non fatevi mancare la mousse di cioccolato bianco e nero con brownie al cioccolato e nocciole guarnito con frutti di bosco, se desiderate qualcosa di rinfrescante come fine pasto suggerisco l’imperdibile mousse di avocado e lime con salsa di mango, cocco e cialde al sesamo. Le bevande sono rigorosamente biologiche si spazia dagli infusi e tea, con aggiunta di bevanda vegetale (ad es. di mandorle),


ROMACAPUTVEGANI

elisir, succhi e frullati. Per i più esigenti, c’è una selezione di vini biologici e biodinamici vegan e birre artigianali crude a bassa fermentazione.

ANTICA PIZZERIA FRONTONI DAL 1940 Nuova sede a nome Frontoni inaugurata lo scorso dicembre 2016 che si trova nella zona di San Giovanni. Frontoni è un cognome storico per quanto riguarda la pizza e la panificazione a Roma, direi un quasi brand gestito dai vari ceppi della stessa famiglia, spezzettato (proprio come il pane) con più insegne di locali per tutta la città, ma anche all’estero con il padre Roberto, della penultima generazione, che ha esportato la pizza romana a Santo Domingo, nei Caraibi. Ho avuto il piacere di incrociare lo Chef Daniele Frontoni (figlio di Roberto), mentre era indaffarato a seguire la linea in cucina e controllare che ogni comanda fosse completa. Dal primo sguardo ho capito che lui è la vera anima del locale, dalla personalità forte e non certo per i suoi innumerevoli tatuaggi che sono tutti un inno alla pace, serenità ed amore. Lo Chef Daniele, con i suoi sorrisi tra la barba rossa, ma con lo sguardo attento sui piatti, ha mostrato una personalità eclettica e poliedrica con tanti progetti per la testa. Difatti la pizzeria è stata aperta di proposito nel “Centro Culturale Quid” ricavato recuperando una vecchia fabbrica della zona e nato per dare vita all’area creando un punto di aggregazione per il quartiere attraverso eventi culturali per coinvolgere tutti, di qualsiasi fascia d’età. L’aspetto esterno della pizzeria potrebbe indurre a dubitare del posto, poiché per giungervi bisogna attraversare una sala del Centro Culturale Quid, dove si svolgono le attività del centro e ci sono alcune rampe di scale da fare. Quando però si arriva nell’ampia sala superiore e ci si affaccia sulla terrazza fiorita, si rimane a bocca aperta: uno spazio enorme guarda sui tetti della città, dove si può gustare una pizza in totale relax o in compagnia di amici. L’architettura del locale è data dall’utilizzo di materiali di recupero per tavoli, sedie, fioriere e gazebi in legno; nelle fioriere ci sono piantine di pomodorini e fiori di zucca (ho visitato il locale a giugno 2017) e proprio questi fiori di zucca sono uno dei fiori all’occhiello del menù ben studiato e rigorosamente stagionale, le cui materie prime provengono esclusivamente dai dintorni di Roma, inclusa l’azienda agricola di famiglia. Il menù è della tradizione, ma sono presenti molte opzioni vegetariane e vegane. Lo stile della pizza è quello romano per eccellenza: un disco leggero, molto sottile, una sfoglia fragrante e molto digeribile

grazie alla perfetta lievitazione ed agli ottimi ingredienti. Tra le pizze, oltre alle versioni vegan con mozzarella e formaggi interamente vegetali, ci sono anche delle pizze alla frutta, speciali ma piacevoli, proposte ogni mercoledì in base alla frutta disponibile. Il rotolino di pizza, che non è un calzone, ma un vero e proprio rotolo di impasto della pizza farcito e cotto in forno, è croccante ma ben strutturato tale da sostenere la farcitura. Buone le fritture come i supplì di riso, fatti con riso carnaroli, pomodoro, basilico essiccato e senza mozzarella. Tra i fritti in voga ci sono gli gnocchi di pizza che spariscono dai piatti immediatamente: sono leggeri, gustosi e serviti con foglie di basilico fresco e sugo di pomodoro. Il menu offre alcuni vini e diverse birre alla spina e, per terminare, una carta di dessert anche 100% veg.

RIFUGIO ROMANO A conclusione del mio mini tour gastronomico in quel di Roma, ho scoperto il Rifugio Romano proprio poco prima della mia partenza in rientro a Milano. Si trova vicinissimo alla stazione Termini, quindi per i viaggiatori è un ottimo punto di appoggio, se si vuole mangiare qualcosa di buono dopo un viaggio in treno oppure per rifocillarsi prima di una partenza. E’ a conduzione familiare, la cucina tradizionale si fonde con la cucina vegana. I proprietari hanno esperienza in cucina da oltre 30 anni e la loro bravura sta nell’aver introdotto la cucina vegana per completare il loro menù con lo scopo di unire ed ospitare gruppi di amici dagli stili di vita diversi (vegani, vegetariani, onnivori) ma che convivono in armonia. Da notare anche la presenza di ben 3 camerieri vegani, probabilmente membri della famiglia di questo ristorante, preparati ed affidabili, che sanno spiegare alla perfezione i piatti. Il Rifugio Romano propone una cucina tipica romana, pizze e dessert. La caratteristica principale di questo locale è la capacità di realizzare praticamente tutte le portate presenti nel menù in versione vegana. Tra le più apprezzate, la carbonara e la amatriciana vegan, la tagliata di seitan ai porcini, le pennette alla vodka vegan e le gustosissime scaloppine di seitan al limone, le pizze e calzoni vegani, tiramisù, pana cotta e sbriciolata nelle versioni vegan. C’è anche un’ampia scelta di vini, biologici e vegani, la maggior parte provenienti da cantine trentine, marchigiane e laziali. L’ambiente è accogliente, caldo e familiare, l’atmosfera è tranquilla ed in cucina sono pronti a rispondere a richieste ed esigenze particolari. Una piacevole scoperta dell’ultimo momento, dove ritornerò con piacere per goderne in tutta tranquillità senza pensare al treno che parte.

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Gala teo ASSAGGI DI

a cura di

Fabio Ferrantino Docente di Galateo presso Bon Ton Academy Professore di Enogastronomia IPSSAR Piobbico

IL CLIENTE HA SEMPRE RAGIONE? SUGGERIMENTI PER UNA CORRETTA GESTIONE DELLE LAMENTELE

“Il cliente ha sempre ragione!”, una frase che mi ricorda un esilarante Alberto Sordi in un film commedia del 1991, dove in un Grand Hotel di Saint Moritz, il direttore ricordava al cameriere più anziano, appunto Sordi, come il cliente avesse sempre ragione e per tale motivo non andasse mai contraddetto. La reazione dell’attore era quella di chinare il capo e rispondere: “Si, signor direttore”. In realtà sappiamo che non è esattamente così. In qualunque tipo di azienda enogastronomica possono accadere episodi di reclami da parte del cliente, che può lamentare un disservizio grave, lieve o a volte inesistente. Il punto che ogni ristoratore o albergatore deve comprendere è che la gestione dei reclami deve essere condotta in maniera efficace; solo così l’azienda può ottenere un ritorno d’immagine positivo.

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Bisogna concepire che ogni cliente rappresenta uno strumento indiretto di comunicazione della nostra immagine. Dunque, ogni persona che entra in albergo o nel nostro ristorante può rappresentare un mezzo di pubblicità positiva o negativa. L’ospite inizialmente ha un parere più o meno neutro sull’azienda che si occuperà della sua vacanza o del suo pasto. Tale neutralità viene alterata dal livello di aspettativa che il cliente ripone verso la struttura: maggiore è l’aspettativa di un servizio eccellente, maggiore è la facilità che un disservizio possa creare nella mente dell’ospite un’immagine negativa e dunque una pubblicità negativa. La maggior parte delle aziende contemporanee adottano l’approccio del “customer oriented” che ha lo scopo di fornire ai propri clienti un servizio capace di farli sentire coccolati, importanti e che li fidelizzi al fine di renderli mezzi di comunicazione


ASSAGGIDIGALATEO

positiva tramite il passa parola. Davanti a un qualsiasi reclamo, non è importante comprendere da che parte stia la ragione, ma bensì gestire la situazione nel migliore dei modi. La prima azione da compiere, quando il cliente si presenta per una lamentela, è ascoltare. L’ascolto è fondamentale in questa circostanza. Anche se già si conosce la causa del problema, nel quale potremmo anche non avere nessuna responsabilità, non appena il cliente comincia a parlare fate in modo che esso possa esprimere il suo reclamo senza interruzioni. Con tono rispettoso e senza note polemiche cerchiamo di fornire una risposta valida. Non siamo obbligati ad essere d’accordo con quanto il cliente afferma, ma sforziamoci nel comprendere il suo punto di vista. Per prima cosa, dunque, ascoltare le ragioni del cliente con attenzione e comprensione, al fine di smorzare il momento di irritazione. In seconda battuta bisogna scusarsi, anche quando non si hanno colpe. Questo ci farà assumere un’immagine professionale e aiuterà a tranquillizzare il cliente. Insieme alle scuse bisogna trovare celermente una soluzione valida al problema. Potrebbe costarvi tempo e denaro, ma dei clienti insoddisfatti nel breve e soprattutto nel lungo periodo potrebbero recarvi molti più danni.

Invece di soffermarsi sul problema cercando di capire chi ha ragione, è meglio semplicemente domandare “Cosa possiamo fare per aiutarla?”, distogliendo così l’attenzione dall’eventuale disservizio e focalizzandosi su un’adeguata soluzione. Se la lamentela arriva a un addetto che non ha una conoscenza profonda delle dinamiche aziendali, è bene fare intervenire un superiore, che saprà gestire in modo migliore la situazione, dando così anche importanza al cliente che abbiamo di fronte. Infine, abbiate l’ultima parola. Anche se avete risolto il problema, è importante non lasciare che la questione finisca lì: questo potrebbe divenire sinonimo di incuranza nei confronti del cliente. Una telefonata o un’e-mail, per accertarvi che il cliente sia soddisfatto della nuova soluzione, è il modo giusto per dimostrare il vostro interesse verso la sua persona e per accertarvi della sua soddisfazione finale. È difficile non riuscire a perdere la calma davanti a un cliente che si pone con un tono poco garbato, ma è proprio in questi momenti che lo staff deve saper mostrare la propria esperienza e professionalità, mantenendo un’immagine positiva e impeccabile dell’azienda per cui lavora. Non dimentichiamo che a volte basta una parola fuori luogo detta in più per passare dalla ragione al torto.


PROGETTARE L’IMPRESA

a cura di

Lorenzo Ferrari Direttore Marketing di RistoratoreTop

COSÌ COME SCEGLIAMO, VENIAMO SCELTI E SE LA SOLA DISCRIMINANTE È IL PREZZO...

Esiste una correlazione quasi scientifica tra come scegliamo e come veniamo scelti. Chi scrive ha avuto modo di rendersene conto ingegnerizzando decine di menù in tutta Italia. Per esempio, supponiamo che il proprietario (o il responsabile acquisti) di un ipotetico ristorante acquisti basandosi unicamente sul prezzo, ricercando quello minore oppure cercando di spuntare quello migliore. È estremamente probabile che i clienti di quel locale lo sceglieranno in base al prezzo. Perché? Questione karmica? Forse, ma a parere di chi scrive è una questione meramente… logica. Dopotutto, se si acquista il prosciutto dal prezzo minore presente su tutto il mercato, poi, com’è possibile rivenderlo con credibilità e efficacia? Com’è possibile proporlo al meglio al proprio pubblico? Com’è possibile descriverlo, raccontarlo e narrarlo ai propri clienti con credibilità? Come è possibile strutturarci attorno una qualunque operazione di marketing?

QUANDO LA QUALITÀ È PESSIMA LA CLIENTELA È LA PEGGIORE Chi scrive non può fare a meno di immaginarsi il Ristoratore dell’esempio qui sopra nel descrivere il proprio prosciutto agli ignari avventori del proprio locale:

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«Buonasera signori, oggi proponiamo il peggio del peggio del reparto salumeria del nostro fornitore. Un anonimo e dozzinale prosciutto, proveniente da suini nati, vissuti e macellati in allevamenti intensivi, dove vivono in condizioni degradanti, nutrendosi di scarti alimentari. Una vera e propria chiccheria, il cui tagliere viene proposti a soli 9,99€!» Una scena grottesca, surreale, che non si augurerebbe nemmeno al proprio peggior nemico. Ma, partendo da una materia prima di questa categoria, non è possibile fare nulla di nulla dal punto di vista comunicativo che non sia affermare il falso. Non è possibile scendere nei dettagli di nulla che riguardi quel prosciutto. Perché farlo equivarrebbe ad un autogoal, ad un’ammissione di colpevolezza senza attenuanti. Anzi, si avrebbero esclusivamente due possibilità: 1) Si potrebbe parlare d’altro, glissando sulla qualità del proprio prosciutto - ma sarebbe una scelta distruttiva, in quanto si finirebbe per attirare un target di clientela che non dà peso a ciò che mangia. E non è proprio il massimo se parliamo di ristorazione. 2) Si potrebbe rimanere sul vago nel descrivere i propri prodotti, parlando di alta qualità delle materie prime, servizio, cortesia eccetera eccetera, finendo di fatto per fare come fan tutti. Di fatto non ci si differenzierebbe dalla concorrenza e si rimarrebbe lì, nel mezzo, senza un’identità precisa e con una clientela né soddisfatta né insoddisfatta: indifferente. Inoltre, in entrambi i casi sopracitati, si finirebbe per attirare l’unico target di clientela che viene attirato da una comunicazione del genere: IL PEGGIORE.


PROGETTAREL’IMPRESA

Un target di clientela che: a) Ha pretese illogiche del tipo “spendo poco ottengo molto” (come il Ristoratore dell’esempio) b) Guarda solo al prezzo, spaccando il centesimo e lamentandosi della qualunque (come il Ristoratore dell’esempio) c) Pretende pure di avere lo sconto sullo sconto sul prezzo più basso (come il Ristoratore dell’esempio) Ma soprattutto NON attiri il target di clientela che si dovrebbe attirare, cioè un target di clientela che: a) Ha un’unica pretesa: fare una bella esperienza; b) Il prezzo non lo guarda (sì, esistono, chi scrive è felice di annoverarsi tra le loro fila) c) Lascia la mancia garantito - se si fa un bel lavoro. Ma questo target non è possibile attirarlo con il peggio del peggio del reparto salumeria. Lo si attira facendo un altro genere di acquisto.

SCEGLIAMO IN BASE ALLA NOSTRA IDENTITÀ PER AVERE CLIENTI COMPATIBILI Il consiglio, in fase d’acquisto, è di seguire queste due regole auree: 1) Acquistare al meglio delle proprie possibilità, coerentemente con la propria identità. Non sempre è necessario (o utile) acquistare il meglio del mercato. Non troverei coerente assaggiare un Jamon Iberico all’interno

di una tipica osteria parmense, così come troverei strano non trovare un buon prosciutto di Parma nello stesso ambiente. 2) Comunicare i propri acquisti al meglio delle proprie possibilità. Si deve iniziare a pensare al marketing e alla comunicazione come a due amplificatori. Supponiamo che la materia prima acquistata va da un range di 1 a 10 in termini di «qualità», qualsiasi cosa possa significare questa parola. E supponiamo che il marketing «amplifica» di un fattore 3 questa «qualità». Pare chiaro che se si parte da una materia prima che vale 1, applicandovi un buon marketing si otterrà un punteggio di 3. Che non è proprio il massimo. Ma se si parte da una materia prima che vale 3? Facendo un buon marketing si arriverebbe a 9. E se si partisse da un 9? Non si arriverebbe ad un 27? Stiamo ovviamente banalizzando a scopo didattico, in quanto la questione è decisamente più complessa di come la si sta ponendo. Ma questa rappresenta comunque è una buona approssimazione. Per questo ai miei clienti - e a me stesso - ricordo sempre questi due consigli quando si tratta di compiere un acquisto per la propria attività ristorativa, specialmente se in ottica di ingegnerizzazione del menù: a. Ricordiamoci che così come scegliamo, veniamo scelti; b. Acquistiamo in ottica di costruire intorno ai nostri prodotti un marketing e una comunicazione accattivante, degna di nota e di cui andare fieri. E buon lavoro.


GOLAVAGANDO

TENUTA DI SAN PIETRO MANGIARE SUL “BALCONE” DELLA LUCCHESIA CON VISTA SUGLI ULIVI A PERDITA D’OCCHIO di

Domenico Acconci

TENUTA SAN PIETRO HOTEL & RESORT

Via San Pietro 22/26

San Pietro a Marcigliano (Lucca) Tel. +39 0583 926676 Fax +39 0583 926678

www.tenuta-san-pietro.com info@tenuta-san-pietro.com

Si dice abitualmente un “panorama mozzafiato”, ma quello che si vede dal paese collinare di San Pietro a Marcigliano è veramente di quelli che lasciano a bocca aperta: al di sotto si spalanca l’ampia visione della Piana di Lucca, punteggiata di campanili e racchiusa a catino fra le alture delle Pizzorne a nord, i colli di Montecarlo a est e, a sud, quei Monti Pisani per cui - come diceva Dante Alighieri nella sua Divina Commedia : “I Pisani veder Lucca non ponno”- consistenti in una lunga catena sormontata dal Monte Serra; infine a ovest, a completare la cerchia, i monti di Balbano e di Quiesa, oltre cui riluce il pucciniano Lago di Massaciuccoli e poi, al di là delle creste delle pinete, il Mar Tirreno. E, insomma, è quanto si può ammirare dal salone se ci si siede a tavola e, specialmente col bel tempo, dalla grande terrazza del ri-

storante della “Tenuta di San Pietro”, un complesso edilizio ricavato da alcune vecchie case coloniche contigue, così da formare una specie di piccolo castello, rustico quanto elegantemente rifinito. Ambiente confortevole, con piscina nel cortile, e ampio parcheggio. Se si volessero assaggiare tutti i piatti della ricchissima offerta di cibi bisognerebbe soffermarsi alcuni giorni, e si potrebbe anche fare, dato che la tenuta dispone di varie camere e di due mini-suite ricavate, con garbo, da quelle che erano stalle e capanne. Tra le golosità spiccano, detti alla francese, gli “amuse bouche” (cioè “diverti bocca”): piovra alla griglia con profumi mediterranei e chips di patate viola; tempura di molluschi e crostacei con verdurine croccanti; caprino gratinato con miele e ruchetta; composizione di quinoa alla frutta secca con bocconcini di coniglio saltati al rosmarino; fra i primi piatti: mezzi paccheri con pomodori datterini, basilico e burrata campana; linguine di Gragnano con astice alla mediterranea; cavatelli freschi saltati con maialino da latte, cipollotto di Tropea e granella di pistacchi di Bronte; fra i secondi piatti: filetto di rombo con olive, pomodorini e capperi; carrè di agnello della Nuova Zelanda croccante con senape ed erbe aromatiche; composizione di faraona e arachidi con primizie di stagione e cipolline all’agro; carrè di vitella cotto a bassa temperatura con erbe aromatiche e patate al forno; bistecca fiorentina alla griglia con sali profumati e foglie di olivo; per il dessert ci sono numerose offerte sotto il titolo di “dolci tentazioni”. A richiesta si può avere un menù vegetariano o adatto a chi ha intolleranze alimentari. Da notare che tutte le verdure sono prodotte nell’orto dell’azienda, così com’è “fatto in casa” l’olio extravergine d’oliva. I prezzi variano secondo le scelte, ma ci sono due menù degustazione a 55 euro - escluse bevande, e a 75 euro – con degustazione di vini. La cucina è affidata allo chef Guido Litti, di lunga esperienza professionale, mentre la conduzione dell’azienda è demandata all’amministratore unico Gastone Di Domenico.

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DOLCEVITA

Sestiere Dorsoduro - Venezia Studio design e arredo

Costa Group - Arch. Marta Romboli

A VENEZIA

DOLCEVITA

È PASTICCERIA, CAFFÈ E CUCINA. PER TUTTE LE ORE. Apre a Venezia Dolcevita, il nuovo format targato Unilever. Situato nel cuore di Dorsoduro, a due passi da Ca’Foscari e Campo S. Margherita, Dolcevita è lo spazio food diretto e gestito da Flavio Camoli, con una proposta innovativa e accattivante. Pasticceria, caffetteria e cucina per 80 mq che ragionano in grande e una proposta modulata su tutto l’arco della giornata. Tutto viene lavorato a vista e sul momento, con un pasticciere che è anche chef e che propone la farcitura espressa per brioche dolci o salate e panini gourmet. Tra gli strumenti dello chef non manca la piastra a freddo per la preparazione in diretta di cocktail esotici e freschi dessert a base frutta. Il caffè è elaborato e proposto in tutte le sfumature possibili a partire da dieci differenti miscele, con macinatura dei chicchi in diretta anche per orzo e ginseng. Il design dello spazio è stato affidato a Costa Group, con un intervento che, partendo da una location storica, ha saputo integrare gli elementi originali con materiali innovativi: il tutto nel segno di una raffinata eleganza. A partire dal bancone in nobile di Carrara, protagonista assoluto dello spazio, e dalla vetrina che vi si integra come una scultura, impreziosita da profili in rame rosa, che vengono replicati anche nelle linee degli specchi che riflettono la classe veneziana. Un format innovativo e multifunzionale che dopo Venezia, Unilever vede replicabile nel resto della penisola.

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LA SCOMMESSA DEL

“PUB” NIDABA

PER UNA QUALITÀ SENZA COMPROMESSI di

Simone Rosti Marco Varoli

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Lasciate ogni pregiudizio, o voi che entrate! E non abbiate timore, perché varcando l’ingresso di questo pub capirete molto della contemporaneità culinaria. Intendiamoci, non stiamo registrando la morte del ristorante classico, anzi. Stiamo solo evidenziando che nei mille rivoli della ristorazione odierna, anche un pub può rappresentare un vessillo di qualità. Al Nidaba, alle porte di Montebelluna, il lusso delle innumerevoli “spina” - che rappresenta il modo migliore per appezzare la birra di qualità - in così tante opzioni è una rarità e va segnalata. Notevole anche la ricca carta dei gin che potrebbe indurre facilmente alla tentazione di consumare prima di cena un gin tonic secondo un rito che sta prendendo piede anche in Italia!


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Gli si potrebbe accompagnare con una frittura di verdure fatta a regola d’arte; fra gli altri fritti segnaliamo le crocchette fondenti con cacio e pepe, le alici fresche e i funghi shiitake. Siamo pur sempre in un pub, pertanto svettano, a seguire, straordinari hamburghers come il Nidaburger con pane morbido al latte, carne Limousine, scaloppa di foie gras, cipolla stufata al Porto, maionese bio al tartufo, insalata; ottimo anche il Nidaburger 2.0 con carne Limousine, formaggio Dobbiaco, pancetta, pomodoro, insalata e salsa tartara home made. E che dire del Ganassa con guancia di maiale cotta a bassa temperatura, spuma di patata, cavolo cappuccio rosso in agrodolce, cipolla fritta, maionese? Ma non finisce qui, perché il resto del menù è in grado di soddisfare chi non si arrende all’evidenza, ovvero che il Nidaba è un locale unico, lontano da certi stereotipi. Infatti coloro che “snobbano” l’hamburgher troveranno piatti come la tartare di manzo scottata con carciofi grigliati, uovo fritto, scaglie di formaggio stagio-

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nato “Vezzena” oppure la pancia di maiale grigliata e, ancora, la battuta di gamberi rossi, fiore di zucca fritto ripieno, crema di avocado, sfoglia croccante, mozzarella di bufala. Anche i dolci, in conclusione, sapranno appagare i palati più esigenti con la tortina al caramello, salsa di lamponi, gelato allo yogurt, lamponi croccanti o con il semifreddo al cioccolato Azelia, crumble alla nocciola, sorbetto al frutto della passione. Scorrendo il menù si trova la lista dei fornitori, anche questo un segno distintivo per un locale moderno che punta ad essere scelto da coloro che amano l’assoluta qualità.

NIDABA

Via Argine, 15 - 31044 - Montebelluna (TV) Tel. +39 0423 609937

www.nidabaspirit.it - info@nidabaspirit.it

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A BARI

DALL’OSTE DEL CONVIVIUM VANTA UNA TRADIZIONE ANTICA CON CONTEMPORANEA SENSIBILITÀ di

Sandro Romano Ezio D’Onghia

foto di

Dall’Oste del Convivium è un ristorante informale che si trova a Bari in Corso Vittorio Emanuele e che propone una cucina tipica rivisitata, ma anche una misurata e gustosa cucina innovativa, basata sulle materie prime che vengono acquistate giornalmente da fornitori locali. Il ristorante sorge in uno degli antichi palazzi che si affacciano sul centralissimo Corso Vittorio Emanuele, i cui interni sono caratterizzati dalle tipiche volte a botte e dai pavimenti nella caratteristica chianca locale. Interessantissima la cucina che punta sia sull’innovazione, sia sulla tradizione. Uno dei piatti appartenenti alle antiche tradizioni casalinghe pugliesi che merita di essere assolutamente provato è lo spaghetto spezzato in brodo di pesce, che lo chef interpreta magistralmente mescolando, a seconda della disponibilità del giorno, più brodi fatti con triglia, gallinella, scorfano e cernia, ottenendo un risultato che da solo merita la visita.

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LA STORIA Succede, a volte, che una storia inizi là dove ne finisce un’altra. Così è per Dall’Oste del Convivium, che nasce a Bari nei locali che erano occupati da quello che era considerato, probabilmente, il più importante tra i ristoranti di Bari, lo stellato Bacco. La storia del ristorante Dall’Oste del Convivium arriva, però, da molto più lontano, in quanto stiamo parlando di una famiglia barese, i De Bartolo


che, sin dagli anni ’40, avevano in città una storica un attività di vendita formaggi. Onofrio De Bartolo a quell’epoca faceva l’ambulante nelle province di Foggia e Taranto, ed era universalmente riconosciuto, in Puglia, come uno tra i più esperti e talentuosi conoscitori di formaggi, tanto che – come ricorda, non senza una punta d’emozione, il figlio Nicola – riconosceva la qualità delle forme di Parmigiano Reggiano semplicemente battendole con le dita della mano e ascoltandone il suono, al punto da aver sviluppato persino dei calli sulle nocche. Padre di 5 figli, 4 maschi e una femmina, riuscì a trasmettere la sua grande conoscenza e queste sue capacità innate ai figli. Così, nel 2002, Nicola e il fratello Fortunato avviano un negozio di formaggi, salumi ed enogastronomia, ricalcando le orme paterne, in una zona poco frequentata del centro di Bari. Il successo fu immediato grazie alla qualità dei prodotti selezionati dai due fratelli tanto che, nel 2005, fu considerata tra le migliori cinque salumerie d’Italia da Golosaria, la guida del giornalista Paolo Massobrio. Così, nel 2006 i fratelli De Bartolo decisero di aprire una piccola sala degustazione di 25 posti e, da quell’esperienza, il passo verso il catering fu breve. Nel 2009 presero la gestione del ristorante di uno degli storici circoli della città di Bari, il Circolo Canottieri Barion, facendosi apprezzare per l’ottimo servizio e per la qualità della cucina. Ma, nel 2014, nel centralissimo Corso Vittorio Emanuele il ristorante Bacco chiude per proseguire a Barletta la sua attività, così i locali si liberano e Nicola De Bartolo ritiene sia arrivato il momento di creare un ristorante tutto suo nel quale riversare le esperienze e le conoscenze acquisite nel campo.

L’AMBIENTE Nasce così Dall’Oste del Convivium, ristorante vocato alla leggerezza dell’informalità, dove gustare una cucina curata, ma al tempo stesso semplice e basata sulle ottime materie prime che lui stesso si occupa di acquistare da fornitori locali.


GOLAVAGANDO

L’ambiente ha pareti bianche e sedie colorate stile anni ’80, che contrastano con l’apparecchiatura neutra sui toni del beige e donano una sensazione di raffinata informalità. Tre sono le sale, di cui una con un tavolo imperiale, per un totale di circa 50 coperti in tutto.

LA DEGUSTAZIONE La cucina è affidata al giovane chef Gerardo Racanelli, un ragazzo concreto ma dotato di buona creatività e sensibilità verso le materie prime. Nicola De Bartolo si occupa della spesa giornaliera e alla sala. E’ lui che si occupa anche di selezionare i formaggi di qualità che vengono serviti nel locale, con particolare attenzione a quelli pugliesi, dai caciocavalli ai pecorini di masseria. Ecco la nostra degustazione. Tra i piatti d’apertura segnaliamo il polpo arrosto con crema di patate e scalogno, cicoriella selvatica, puntarelle e chips di sponsali oppure le seppioline a vapore con stufatino di cardoncelli al timo su vinaigrette al pomodoro e coriandolo o, ancora, le rape saltate in padella con olio al peperoncino e stracciatella, pinoli tostati e uvetta sultanina. Tra i primi si può optare per l’ottimo risotto alle verdure murgiane, burrata e olive termiti di Bitetto o per gli gnocchetti di

POLPO scottato su crema di patate e chips di porro dolce INGREDIENTI

g. 250 di piovra locale (con tentacolo), g. 100 di porro dolce, g. 150 di crema di patate di Polignano, g. 100 di cicorielle selvatiche a vapore, sale alla vaniglia, olio evo.

Procedimento: bollire una piovra di kg. 5-7, farla raffreddare e saltarla leggermente in padella di

pietra per renderla croccante. Scaloppare i tentacoli e condirli con olio e un po’ di limone. Tagliare sottilmente un porro dolce e metterlo nel forno a 180°C per 10 minuti per renderlo croccante.

Impiattamento: tenere in caldo la crema di patate e saltare leggermente le cicoria in padella con un filo di olio e un po’ di scalogno. Adagiare il polpo scaloppato sulla crema di patate accanto alle cicorielle, infine le chips di porro dolce anche come effetto decorativo.

DALL’OSTE DEL CONVIVIUM

Corso Vittorio Emanuele, 126 - Bari

Tel. 080 969 7007

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ricotta con ragù di triglie, finocchietto selvatico e pinoli. Tra i secondi una buona scelta può essere la scaloppa di spigola con panure alle erbe e crema di patate oppure le costolette di agnello panate al pistacchio con riduzione di vincotto. Buona la scelta tra i dessert: pastierina di ricotta aromatizzata ai clementini, con cioccolato equadoriano su crema inglese alla grappa, oppure il centrifugato di cacomela con crema alla cannella e sbriciolato di frolla ai cereali e olio extravergine d’oliva. Dall’antipasto al dessert, escluso vini, da scegliere tra una settantina di etichette, si possono spendere 30/35 euro. Una buona scelta di distillati completa l’offerta del Dall’Oste del Convivium.

I DINTORNI Il Castello Svevo, una delle porte di accesso alla città vecchia è a due passi. Ma appena usciti dal Dall’Oste del Convivium c’è Corso Vittorio Emanuele, uno dei lati che delimitano il Borgo Murattiano e zona di locali e negozi di tutti i tipi, oltre che uno dei luoghi di passeggio della città, insieme alle vicinissime via Sparano e Corso Cavour. Il consiglio, insomma, è quello di lasciarsi un po’ di tempo prima o dopo cena per fare due passi nella zona centrale della bella città di Bari.


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NEL LUCCHESE

PIZZERIA DA CECIO E IL GRILLO

TENGONO ALTA LA TRADIZIONE DELLA CECINA di

Domenico Acconci

Così come la pizza è napoletana - in origine, poi diffusa in tutto il mondo - così come la piadina è romagnola, malgrado le piadinerie siano ormai comparse in tutta Italia, così anche la cecina (o torta di ceci) è ligure-toscana seppure cambia nome a seconda delle località: è cecina nella provincia di Livorno (dicono i cecinesi che “la migliore

cecina è di Cécina; a Pisa dove viene chiamata “torta” per antonomasia, e in Lucchesia dove la fanno cosparsa di fettine di cipolla; a Viareggio “Rizzieri” la fa fina come un’ostia (vi fece le prime esperienze Romano Franceschini); a Carrara viene chiamata “calda calda” e viene mangiata fra due fette di focaccia, in Liguria viene chiamata “farinata” (in dialetto “fainà”), fino a Ventimiglia, dove il suo nome è “zocca” come nel basso Piemonte e nella confinante Provenza fino a Nizza , territorio una volta italiano (vi nacque l’italianissimo Giuseppe Garibaldi). Solitamente la cecina viene mangiata a fette così come si leva dalla teglia, spesso come antipasto, ma a Livorno la mangiano col pane come imbottitura di mezzo filoncino detto “cinque e cinque” (cioè, una volta, cinque lire di pane e cinque di cecina, famoso spuntino da accompagnare al “ponce” di caffè e rum). C’è anche da dire - una stranezza - che nelle zone dove la cecina è quotidiana, i ceci non vengono coltivati, o lo sono solo in minima parte, e devono essere importati per l’uso intensivo dalla Puglia dove, però, la cecina non la fanno e neanche la conoscono. C’è sicuramente da gustare una buona cecina in un locale, in località Porcari, che guarda caso! - si chiama “Da Cecio”, nome d’arte di Andrea Marini, il quale ne fa una sua specialità assieme alla pizza, tanto che la sua pizzeria è stata inserita fra le migliori d’Italia nell’edizione del 2017 della guida del “Gambero Rosso”. Fa anche pasticceria: un suo panettone lo mette 30 euro, come le migliori pasticcerie di Milano, certo con ingredienti di prima qualità.

Ma, a proposito di esercizi gastronomici fuori del comune, ancora a Porcari, c’è la pizzeria “Il Grillo”, fondata e diretta da due donne; invero nelle tante immagini sulla stampa e televisive che ci vengono fornite continuamente, non si vedono mai donne; ebbene qui abbiamo le pizzaiole, certamente con notevoli capacità, tantochè per un referendum fra i lettori indetto da un quotidiano toscano, la loro pizzeria è stata dichiarata la migliore della provincia. Sono Raika Lucchini e Angelica Selvi, che sfornano anche la cecina e servono direttamente ai tavoli le loro specialità, anche da asporto. DA CECIO

Via Romana Est, 201 - Porcari (LU) Tel. 0583 299315

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GOLAVAGANDO

LA GATTA SUL TETTO CHE SCOTTA OVVERO

LA GATTA

CHE PARLA IL DIALETTO DEL SUD A BOLOGNA di

Via Bellaria, 18/e 40139 Bologna

Tel. 051 545151

Carla Latini - foto di Leonardo Sofritti

Sorprendersi è il piacere più bello. Arrivare e parcheggiare davanti alla Gatta ti fa domandare, nel rumore dei tuoi pensieri, cosa aspettarsi. Entrando vale il viaggio e un ritorno. Gerardo Cairone accoglie schivo e ironico. Rimango in silenzio e osservo il posto. Alle pareti ci sono le locandine di tanti vecchi e indimenticabili film. Uno fra tutti La Gatta sul tetto che scotta. Il film che Gerardo ama di più. Per continuare a scrivere di loro devo raccontarvi di Gerardo e Gerardina (sua moglie e cuoca del locale) e della loro storia. Gerardo arriva a Bologna emigrante da un piccolo paese del salernitano. Da piccolo ha vissuto il cinema, quello dei cinematografi di paese, tutte le sere per tante sere. Il padre gestiva una sala proiezioni. Gerardo ha fatto teatro, forse cinema, chissà? Se lo incontrate e riuscite a impostare un rapporto verbale che vada al di là delle formalità, lui si apre e racconta. Cresciuto con i mitici film degli anni ’30, maturato con Fellini, Totò, De Sica, Elia Kazan, Tennessee Williams e tanti altri, lui che somiglia a Jean Gabin da giovane, (adora Jean Gabin) ti accoglie con intelligenti frasi di Honeré De Balzac sulla cucina, la tavola, il bon vivre. Riavvolgo il nastro e vi riporto a quando Gerardo arriva emigrante a Bologna. Gli amici ora ridono di lui ma è vero che l’unica che capiva la sua lingua dialettale era Gerardina, salernitana anche lei e già emigrata con la famiglia a Bologna (spezziamo una lancia ed apro una parentesi per tutti i dialetti che siano nordici o suddisti. Impossibile capirsi dal Trentino al Piemonte, dal Lazio alla Sicilia. Chiudiamo e continuiamo). Fra loro è stato più di un colpo di fulmine. Un’attrazione fatale, tanto per rimanere sugli schermi, che continua anche ora. La Gatta nasce ispirata al film La Gatta sul tetto che scotta. Forse il finale che fa dire a Paul Newman una sorta di frase tipo: basta con le menzogne, facciamola finita con le bugie mentre, finalmente, Elisabeth Taylor si fa abbracciare sia stata scatenante

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TRATTORIA LA GATTA

per la scelta di Gerardo e Gerardina? Lei, la vedete nelle foto, è una Giulietta Masina che interpreta la parte di cuoca, giovane e bella. Lui, a parte Jean Gabin, sembra un personaggio di Eduardo De Filippo. Lasciando, per un attimo, cinema, teatro e Balzac qui si mangia davvero bene e si beve benissimo. Lo dimostra il fatto che tanti amici cuochi e esperti del settore vengono spesso. La cucina è semplice, descritta nel menu che è mensile e ispirato alla stagione e a due film dello stesso regista ogni volta, sincera nei prodotti usati, dal pesce alle verdure. Poco elaborata. Molto rispettata la materia prima. Crediamo che alla Gatta si mangi il miglior gazpacho di Bologna. Croccanti le verdure che, frullate, diventano una salsa dolce e piacevole. A menu, il giorno che sono stata, c’erano dei generosi gamberi con cipolla e asparagi, generosi perché grandi e attocigliati alle lunghe julienne di cipolla e asparagi, e i peperoni alla sorrentina. Ripieni di mozzarella di bufala e ‘annegati’ in una salsa di pomodoro da fare scarpetta.


GOLAVAGANDO

Durante il nostro incontro degustazione abbiamo bevuto, in anteprima, dei vini della Borgogna. Un Malbec 2015 in purezza e un Malbec Sauvignon Cabernet. Ma alla Gatta val bene anche una pizza. Il forno è all’entrata. La cantina e la carta dei vini sono ragionate ed emozionali e le scelte ragionate ed emozionali di Gerardo e Gerardina, detta Gerry, vi confermiamo che non si possono discutere. Vanno assaggiate.


GOLAVAGANDO

IL GOURMETTINO

Via Palmieri, 31R - Firenze Tel. +39 055 2001237

www.ilgourmettino.com

firenze@ilgourmettino.com

A PERPENDICOLO SU FIRENZE

IL GOURMETTINO PORTA IN TOSCANA LA VITALITÀ PUGLIESE di

Cristina Vannuzzi

Fuori tanta gente che passa, curiosa, mille botteghe, quasi una musica di sottofondo: siamo nel centro storico fiorentino, ma entrando lasci tutto, i rumori della strada si affievoliscono… noti subito un giardino d’inverno pieno di colori e profumi, un maestoso arancio in mezzo alla corte, insolita e preziosa nel pieno centro della città, un angolo di Puglia dove Domenico Cilenti - lo chef venuto dal sud (aveva il locale Porta di Basso a Peschici) - ha fissato la sua base fiorentina; un locale pieno di luce e di allegria, dove ti accolgono tanti ragazzi, belli e sorridenti, davanti alla cucina a vista, una scatola di cristallo dove nascono mille sapori. Il locale unisce tutti gli elementi caratteristici della Puglia, inseriti nei locali di una antica bottega fiorentina con pietra a vista, le volte a crociera, calde luci soffuse, tavoli di legno biondo con le gambe ottocentesche di ferro nero, una lunga panca in muratura piena di cuscini dai colori soft, un sottofondo sound appena percepito. Ottimo e professionale il servizio effettuato da pugliesi giovanissimi e professionali, ed eccellente la carta dei vini. E poi il “primo attore” Domenico Cilenti: la cucina parla della sua terra “a perpendicolo sul mare”, con piatti a base di burrata, pallone di Gravina, canestrato pugliese, paparina con le olive, lampascioni, giuncata, stracciatella, e poi l’olio salentino. Una cucina che scava nella memoria collettiva e ne tira fuori rivisitazioni ragionate, mai estreme, dove il richiamo alla tradizione casalinga si fa meno presente per lasciare spazio alla sua creatività controllata, in un locale a perpendicolo su Firenze.

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AREA

di

Marco Scaglione

www.marcoscaglione.it

Gnocchetti

di panino integrale con triglie e ceci INGREDIENTI per 4 persone Per gli gnocchetti: g. 250 di panino bianco senza glutine, g. 150 di farina di riso finissima senza glutine, 1 uovo, g. 80 di grana grattugiato, g. 50 di burro, dl. 5 di latte, 1 cipolla piccola, farina di riso finissima senza glutine, 1 foglia di basilico, sale fino, pepe nero in grani. Per il condimento: g. 200 di ceci secchi, g. 350 di filetti di triglia, 1 spicchio d’aglio, ml. 50 di vino bianco secco, 1 cipolla bianca piccola, g. 150 di pelati, 2 foglie di salvia, 1 ciuffetto di prezzemolo, olio extravergine d’oliva, sale fino, pepe nero in grani. Tempo: 2 ore + tempo di riposo - Difficoltà: media PROCEDIMENTO Ammollare i ceci in una terrina con acqua per 10 ore, cambiando l’acqua 2-3 volte; trascorso questo tempo, scolarli e cuocerli per 1 ora e 30 minuti in una pentola con abbondante acqua e portare ad ebollizione con l’aglio schiacciato (non sbucciato) e la salvia. Al termine dovranno risultare cotti e integri; regolare di sale e di pepe, togliere dal fuoco e fare riposare per 30 minuti prima di scolarli. Preparare gli gnocchetti. Spezzettare grossolanamente il pane, disporlo

in una teglia e farlo tostare nel forno caldo a 180°C per circa 40 minuti; sfornare, lasciare raffreddare e ammollarlo in una terrina con il latte e dl. 3 di acqua per 40 minuti. Scolarlo, strizzarlo bene, disporlo in un contenitore e farlo riposare in frigorifero per 3 ore (al termine dovrà risultare ben sodo). Aggiungervi quindi la farina di riso e iniziare a impastare, poi regolare di sale e di pepe, quindi unire l’uovo, il burro, il grana, e amalgamare il tutto. Prelevare delle parti di impasto e creare con esse dei salamini, rotolandole sul piano cosparso con poca farina di riso; tagliarli con un coltello a tocchetti di 5 millimetri, disporli su un vassoio infarinato con farina di riso e proseguire in questo modo fino a terminare l’impasto. Preparare quindi il condimento. Sbucciare la cipolla, tritarla e farla rosolare in un tegame con 2 cucchiai d’olio; cuocere per 1-2 minuti, poi aggiungere i filetti di triglia divisi a metà e privati delle eventuali lische. Cuocere a fuoco vivace per 5 minuti, muovendo i filetti delicatamente, senza romperli, poi bagnare con il vino e unire i pelati schiacciati con le mani. Cuocere per 4-5 minuti, poi regolare di sale e di pepe, e completare con il prezzemolo lavato e tritato. Cuocere infine gli gnocchetti in abbondante acqua bollente salata e scolarli man mano che vengono a galla; trasferirli in una zuppiera, unire il condimento e i ceci, mescolare delicatamente per amalgamare il tutto. Guarnire, a piacere, con le barbine della carota, e servire.

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LOCHEF Risotto al fumo di alloro con arancia, limone femminello, spada e pistacchio “Frantuma l’alloro secco che metterai nell’apposito attrezzo affumicatore, quindi metti il riso in un contenitore e affumicalo lasciandolo tre minuti chiuso ermeticamente. Pela le arance a vivo e tagliale a cubetti, grattugia la scorza del limone e spremilo per ottenere il succo che aggiungerai alle arance insieme alla scorzetta. Riduci lo spada a dadolata e lascia sudare in padella con burro e rosmarino. In un pentolino di rame metti un filo di olio, 2 spicchi d’aglio, 2 foglie di alloro e il riso; lascia brillare e, quando ben caldo, unisci il brodo bollente e continua la cottura per circa 10/12 minuti. Togli le foglie di alloro e gli spicchi d’aglio, quindi, qualche minuto prima di servire, unisci lo spada e completa con arancia, succo di limone e scorzetta in mantecatura, con qualche noce di burro. Servire spolverando con granella di pistacchio e, se vuoi, una falda di pomodoro”.

Maurizio Urso Vero conoscitore della materia prima, basta fargli il nome di un ingrediente e lui ne descriverà ogni caratteristica, come fosse un dizionario gastronomico. Questo piatto è fatto di accostamenti e di contrasti ottenuti avendo ben presente la tradizione, il territorio, le civiltà che si sono succedute in Sicilia, il gusto, la novità, l’armonia e l’estetica.

RISTORANTE LA TERRAZZA SUL MARE GRAND HOTEL ORTIGIA SIRACUSA

foto © Walter Silvestrini - PixelXpixeL.it

ILPIATTO



I locali

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Trésor Scopriamo insieme quali sono i locali che racchiudono piccoli grandi tesori... Ogni ristorante, locanda o trattoria, famosa o meno, può vantare il proprio “Mon Trésor”, un personalissimo tesoro fatto di attenzione per i dettagli, cura dei propri ospiti, professionalità in cucina e in sala. Noi abbiamo individuato alcuni di questi “Mon Trésor” e li segnaliamo nelle prossime pagine...

golavagando montresor di

Giovanni Angelucci

NELLA RISERVA NATURALE VALLE BOVA, NEL COMASCO,

TRATTORIA ALPINA RISCALDA AL FUOCO DELLA BRACE E DI UNA CORDIALE OSPITALITÀ

Se pensate di esservi persi vuol dire che siete sulla strada giusta. A pochi chilometri da Como e da Lecco, all’interno della Riserva Naturale Valle Bova nella parte più nascosta di Erba, la Trattoria Alpina si desta tra gli alberi del bosco da cui è abbracciata. Quota 600 metri, gradevole freschino nelle sere d’estate, quando si giunge si nota subito l’insegna che sa di tempi andati con su scritto Trattoria Alpina “Bar - Ristorante”. Invece, appena valicato il cancello e guardando di poco a destra, ecco che si manifesta in tutta la sua bellezza il panorama sul Pian d’Erba. E se si è fortunati è possibile intercettare anche le dolci note di pianoforte o di violino di Alberto ed Annalisa, i figli di Cosimo Ligorio e Tiziana Longoni che qui vivono. Una famiglia di musicisti, abituata quindi al gusto e alla sensibilità, in questo luogo da venticinque anni ad offrire la sua cucina casalinga. La Trattoria Alpina riflette la passione dei proprietari verso la vita riservata in tranquillità, una valore raro di questi tempi; il

ristorante (che è anche casa loro) mantiene un sapore rustico e l’esperienza a tavola racconta della famiglia brianzola qui radicata insieme al mobilio di una volta, ai ricordi, agli oggetti propri, al camino al centro sala come è d’obbligo che sia. E se il fuoco riscalda gli animi e le ossa nel periodo invernale, nella meravigliosa terrazza panoramica vive un angolo cottura (un barbecue in pietra vecchio stile) dove d’estate viene preparato uno dei cavalli di battaglia del ristorante, la carne alla brace di Cosimo. È lui che si occupa delle ricette, uomo schivo che da bravo cuoco trova nella cucina il suo habitat naturale in cui starsene a preparare i piatti che meglio gli riescono; è invece alla moglie Tiziana che è affidata la sala, il contatto, il benvenuto, i racconti e i sorrisi. È brava in questo: lei, oltre ad essere il menù orale della trattoria, riveste la figura dell’oste che accoglie e si mette a disposizione dei propri clienti. E senza perder troppo tempo, eccola ad elencare i piatti della settimana (vo-


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Trésor

carne di qualità proviene dal macellaio di Erba Baruffini), o tra i primi gli gnocchi al gorgonzola, le crispelle ricotta e spinaci e la classica lasagna. Questi meritano la menzione, oltre alla pasta all’uovo fatta a mano con diversi condimenti e la grande braciata di carne mista cotta alla brace nell’apposito spazio all’esterno. Solo d’estate anche tonno, misoltino e persico. Ed avendo Cosimo origini pugliesi, talvolta è possibile imbattersi nelle sue speciali orecchiette con cime di rapa. TRATTORIA ALPINA

Via Buco del Piombo, 1 - Erba (CO) - Tel. 031 640288 - 335 6707363 www.trattoriaalpina.com - trattoria.alpina@hotmail.it

Il Mon Tresor è... lendo si potrebbero scorgere scritti su di una lavagnetta all’entrata della sala) che cambiano di sovente: l’antipasto ricco dell’Alpina con affettati misti, sottaceti, assaggi di formaggio, verdure grigliate e le specialità che variano con la stagione come coppa, lardo, salame di cinghiale, pancetta, funghi porcini o il Caslino d’Erba, lo squisito formaggio di latte di capra locale. Solo scelta a “centimetro zero” per rafforzare il rapporto territoriale come il miele di Martino Mazzola, la Cascina Spina per i frutti di bosco e l’orto di proprietà per le verdure. E ancora prosciutto e fichi d’estate, salamino con lenticchie di inverno. Con le temperature rigide, Cosimo si esalta proponendo piatti importanti come i secondi a base di polenta con cervo, rognoncini trifolati, brasato d’asino, coniglio al forno o alla cacciatora (la

IL VALORE AGGIUNTO DEL PANORAMA Poter mangiare circondati dalla natura e ammirando dalla terrazza estiva un paesaggio incantevole rappresenta il vero valore aggiunto. Se poi teniamo conto che a disposizione ci sono anche due stanze in cui pernottare, allora è il miglior modo per far convivere i piaceri della pancia con quelli dello spirito.

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golavagando montresor di

Daniele Briani

SUL GARDA

GIARDINETTO REALIZZA UNA CUCINA ESPRESSA CON I PROFUMI DEL MARE DEL SUD

In principio era un’osteria, ma dobbiamo tornare con la memoria ai primi del novecento, quando nonna Olga serviva il vino e la birra abbinati al baccalà, al risotto con la tinca o alle trippe, tant’è che il cartello esposto fuori dal locale diceva: trippe sempre pronte! Erano anni di povertà, nei quali per la maggior parte della gente mangiare era un’esigenza e non certo un’esperienza sensoriale come lo diventerà più in là nel tempo. Anche se a ben guardare, forse, erano più emozionali quel risotto alla tinca o quelle trippe se confrontati con la media della ristorazione turistica dei nostri giorni. Da quel tempo a oggi di acqua ne è passata sulle rive del lago qui a Garda, ma il Giardinetto è ancora lì, affacciato sulla sponda est del lago, senza più il suo verde giardino ma con lo spirito dei vecchi fondatori che gli aleggia intorno e che sospinge nel futuro una delle discendenti: Giuditta Gelmetti. Giuditta ha preso in mano la gestione da inizio anno, dopo che era stata

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lasciata per anni a degli affittuari che l’avevano ricevuta dal Marco Gelmetti, papà di Giuditta, vero patron alberghiero che, negli anni del boom economico, aveva trasformato il Giardinetto da osteria ad albergo-ristorante rilevandone anche la proprietà. Oggi la volontà è quella di proporre una cucina che sappia esprimere vere emozioni anche in una zona che per la sua connotazione prettamente turistica negli ultimi anni ha visto l’impoverimento dell’offerta, proprio sul fronte lago, e soprattutto per un periodo che non sia solamente quello estivo. Una sfida per la quale Giuditta ha scelto due compagni di viaggio di provata esperienza: lo Chef Vito Murolo e il maitre di sala Aldo Berardi, una vecchia conoscenza della ristorazione di alto livello nel bacino del Garda. Già dando un’occhiata alla disposizione della sala o del plateatico esterno, si capisce che la possibilità di poter mangiare senza sentire i discorsi dei vicini di tavolo, ti permette di poter iniziare il percorso


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Trésor degustativo con la giusta serenità d’animo che anche le placide acque del lago infondo. Una carta vini di circa trecento etichette, consente di scegliere il giusto abbinamento con le pietanze, potendo assaggiare molti vini del territorio, ma non solo, perché si può spaziare in quasi tutta l’Italia con delle puntate in Francia e Spagna. Il servizio al calice con molti vini

aperti consigliati dallo stesso Aldo, offre al cliente la possibilità di ingannare l’attesa necessaria a una cucina espressa che della qualità e dei corretti tempi di cottura fa la sua ragion d’essere. Ora andiamo a scoprire questa cucina, scegliendo dal menù un probabile percorso gastronomico, iniziando da un antipasto di calamari e gamberi rossi di Sicilia avvolti in lardo di Colonnata su crema di fagioli cannellini, uova di salmone in riduzione di basilico e pistacchi. A seguire un primo piatto con il raviolo ripieno di burrata di Andria, gambero rosso di Sicilia e bisque di gambero guarnito con Baileys, aneto e scorze d’arancio grattugiato. Il secondo piatto prevede uno sgombro in sinfonia di sapori su passata di pomodoro secco, scampi, pistacchi e olio al basilico. Chiudiamo con un dolce, scegliendo il lingotto di cioccolato al latte, con frangipane al cacao e arancia, gelato alla vaniglia su croccante di mandorle e salsa al Baileys. Chi fosse interessato a qualche crudità può scegliere dal banco del pesce ciò che più gli aggrada e poi attendere il carpaccio di pesce fresco appena ordinato. Il menù prevede anche piatti di carne che aumenteranno nella stagione invernale quando, con le temperature più fresche, si possono apprezzare maggiormente una tagliata di Scottona o un filetto di maialino con salsa alla birra. Chi amasse i formaggi resterà assolutamente affascinato dall’ampia scelta e dal fatto che le mostarde che li accompagnano sono fatte in casa.

Il Mon Tresor è... LA CUCINA MARINARA IN RIVA AL LAGO La sfida di una ristorazione di pesce in un territorio di lago. La capacità dello chef Vito Murolo che pescando, è proprio il caso di dirlo, dalle sue origini baresi riesce ad amalgamare i giusti sapori del sud facendoli apprezzare a chi è più abituato a climi miti ma decisamente nordici, attraverso una cucina che è tutta rigorosamente home made.

Le dodici camere aperte tutto l’anno completano l’offerta sia per chi voglia adagiarsi sulle sponde del lago per una settimana di riposo, sia per chi preferisca riposare dopo la cena invece di rientrare in città.

HOTEL RISTORANTE GIARDINETTO

Lungolago Regina Adelaide, 27 - 37016 Garda (VR) Tel. +39 045 5118385

www.giardinettogarda.it - info@giardinettogarda.it

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golavagando montresor di

Claudio Mollo

A FORTE DEI MARMI

ALPEMARE BEACH PROPONE PESCE NELLA NATURALITÀ DELLA SUA FRESCHEZZA

“A” come Alpemare e “A” come l’iniziale del nome di Andrea Bocelli. Due aspetti che hanno trovato un bellissimo punto di contatto, in un progetto - quello di diventare proprietario di uno stabilimento balneare - a quanto pare coccolato e sostenuto dai figli del famoso tenore, Amos e Matteo di 23 e 20 anni. Situato praticamente di fronte all’abitazione della famiglia, nella parte più a nord di Forte dei Marmi, lo stabilimento diventa di proprietà del maestro nel gennaio 2017, quando hanno inizio i lavori per una completa trasformazione della struttura, che cambia veste: una veste curata, raffinata ma senza esagerazioni, che ha fatto diventare il bagno un altro punto di riferimento per il “bien vivre” versiliese. All’interno, non solo accoglienza ma anche servizi, come un fornitissimo e ampio bar e, per non farsi mancare niente, anche un ristorante, in grado di offrire ad una clientela selezionata ed esigente, snack, pranzi, aperitivi e cene d’autore. A guidare la

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on

Trésor brigata, lo chef Dario Leonardi, originario di Forte dei Marmi, che propone una cucina prevalentemente a base di pesce, semplice, diretta e il più naturale possibile. Nei suoi piatti, la tradizione si fonde spesso con l’innovazione per offrire al cliente sapori toscani impreziositi da un po’ di fantasia e tecnica. I suoi trascorsi culinari sono di pregio, iniziando con il noto ristorante Bistrot nel quale Matteo ha lavorato per un bel po’ di anni e, a seguire, con altre strutture di zona Forte dei Marmi e Versilia più in generale. Cresciuto con i sapori della sua terra impressi in profondità nel suo dna, è riuscito, nel tempo, oltre che a crescere professionalmente, a catturare l’attenzione di noti personaggi, venendo chiamato spesso a cucinare privatamente per loro. Ma nonostante tutto la semplicità di Dario si rispecchia nelle sue preparazioni, nelle sue attenzioni per il cibo, nella cura che mette nello scegliere la materia prima, dai pesci alle verdure, alla carne. Ad alzare la qualità delle sue preparazioni, un orto biodinamico di 2.000 mq, sempre di proprietà della famiglia Bocelli, poco distante dalla costa, che fornisce primizie di stagione di eccezionale qualità. Abbinata ai piatti, non poteva mancare una interessante selezione di vini, adatti a soddisfare anche i palati più esigenti. Sono 60 i coperti disponibili, distribuiti comodamente sotto due strutture, vista spiaggia e mare. A servire, personale rigorosamente multilingua, attento e preciso, al quale non sfugge niente.

Il Mon Tresor è... IL VALORE IMPRENDITORIALE AGGIUNTO Il Mon Tresor dell’Alpemare, è decisamente racchiuso nel nome del proprietario: Andrea Bocelli, tenore e figura carismatica conosciuta a livello mondiale che, visti i risultati, ha deciso di aggiungere ai suoi successi anche uno stabilimento balneare. Con lui il resto della famiglia e altre persone, scelte tra le migliori e più professionali del settore dell’accoglienza e dell’enogastronomia, con le quali sta portando avanti con successo, questa sua nuova attività.

ALPEMARE BEACH Viale Arenile, 69

55042 Forte dei Marmi (LU) Tel. 0584 181 1042

www.alpemare.com

info@ alpemare.com

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GOURMETFOOD

NEL CHIANTI

CASTELLO DI SPALTENNA

OFFRE UN’OSPITALITÀ FATTA DI BUON GUSTO ESTETICO E BUONA CUCINA di

Teresa Cremona Claudio Mollo

foto di

Le suggestioni di un luogo magico e la bravura di Vincenzo Guarino alla guida del ristorante Il Pievano. Il complesso di Spaltenna, costruito su un colle panoramico immerso nei vigneti di Sangiovese, è stato da tempo trasformato in luogo di ospitalità, precedentemente agriturismo, ora resort esclusivo. Era, in origine, un minuscolo borgo feudale raggruppato intorno alla Pieve, alla torre campanaria che risale all’anno 1000 e al Monastero Fortificato, e ne facevano anche parte anche alcuni piccoli casali oggi divenuti appartamenti dell’hotel. Tutti gli edifici hanno conservato carattere e fascino, ma

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CASTELLODISPALTENNA

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GOURMETFOOD

in questi ultimi anni il complesso ha perfezionato la qualità dell’accoglienza. Una nuova proprietà ha elevato, rinnovato e ampliato l’offerta dei servizi, con l’aggiunta della Spa, della piscina riscaldata interna che si affaccia con grandi vetrate sulla valle, della palaestra, di una piscina esterna panoramica e di un composito ventaglio di offerte per la ristorazione, che vanno dal ristorante gourmet, alla terrazza, all’osteria nelle antiche Cantine del Monastero.

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CASTELLODISPALTENNA

EMOZIONE DI MARE INGREDIENTI per 4 persone

PROCEDIMENTO

4 scampi freschi

180°C per 40 minuti; una volta cotte, pe-

4 gamberi rossi di Mazara 4 calamari

4 trancetti di spigola

4 cubi di tonno rosso g. 400 di patate 4 carote baby

4 rametti di salicornia sale maldon olio evo

chips di pane raffermo

Per salsa bouillabaisse kg. 1 di pesci di zuppa

g. 100 di carapaci di astice

g. 100 di carapaci di gamberi kg. 1 di vongole kg. 1 di cozze

kg. 1 di carote sedano 1 finocchio

1 peperone

g. 100 di passato di pomodoro 2 bustine di zafferano

Realizzare un fondo di carota, sedano e ci-

polla; aggiungere i pesci precedentemete

Cuocere le patate sotto sale in forno a

larle e schiacciarle aggiustando di sale e pepe; disporle in uno stampino rettangolare e formare una batonette alta 1 centimetro.

Cuocere il gambero sgusciato su ambo i

lati; cuocere il lingotto di tonno stile tataki 15 secondi per lato; scottare i trancetti di spigola dal lato della pelle a mo’ di pan

fried; scottare i calamari a fuoco vivo per pochi minuti.

Sbollentare la salicornia per 4 minuti e

raffreddare in acqua e ghiaccio; pelare le carote e metterle in una busta sottovuoto

per cottura; cuocere a vapore a 85°C per 16 minuti.

Su un piatto adagiare la batonette di patate scottata sotto la salamandra e adagiarvi sopra tutti i pesci scottati, la salicornia e le

carote baby; infine versare la bouillabaisse

e completare con germogli di sakura, sale maldon e olio evo.

puliti insieme agli altri ingredienti per la

salsa, coprire con ghiaccio e lasciare cuo-

cere per circa 1 ora, infine tritare tutto con un blender e passare prima allo chinoix fine e poi in un etamina.

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GOURMETFOOD

EVOLUZIONE DELLA PAPPA AL POMODORO INGREDIENTI per 4 persone

Per la pappa al pomodoro: kg. 1,5 di pomodori pelati, kg. 1 di pane toscano raffermo, 1 cipolla, 2 spicchi d’aglio,

olio extravergine d’oliva, sale q.b., pe-

pe q.b., g. 150 di burro, g. 200 di parmigiano.

Versare l’olio extravergine di oliva in

una casseruola, mondare le cipolle e tritarle finemente, aggiungere i 2 spic-

chi d’aglio in camicia e lasciare soffrig-

gere il tutto; togliere l’aglio una volta

imbiondito, aggiungere i pomodori pelati e lasciare cuocere il tutto per

circa 2 ore, affinché si asciughi l’acqua del pomodoro, infine aggiungere il

pane raffermo privo di crosta, quindi il burro e il parmigiano. Aggiustare di sale e pepe.

Per il cremoso di pecorino di Pien-

za: g. 800 di pecorino di Pienza, l. 1

Le camere, diverse tra loro, conservano l’impronta della loro toscanità nei travi di castagno, nel cotto dei pavimenti, nel taglio delle finestre, ma sono tutte arredate con mobili antichi, tappezzerie eleganti e hanno un carattere che ricorda la calda accoglienza di una casa. L’ingresso è nella corte che, nelle sere estive, ospita i tavoli del ristorante Il Pievano, accanto alla reception un’area chiusa a vetri è diventata il salotto jardin d’hiver dove leggere e oziare. Nella piazzetta antistante l’ingresso all’hotel, c’è la boutique dove una ceramista fa lavori su ordinazione e dove sono esposte specialità alimentari, e dove si possono comprare i vini dell’Azienda, Castello di Spaltenna Toscana igp, Chianti Classico e Riserva.

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di panna, l. 1 di latte, g. 500 di panna semimontata.

In una casseruola versare la panna

ed il latte e cuocere a fuoco basso;

portare il composto a riduzione (circa

1 litro). Aggiungere alla riduzione il pecorino tagliato a dadini e lasciare

riposare per circa 10 minuti, dopodi-

ché frullare il composto in un cutter

ed infine setacciare il tutto mediante uno chinoix a maglia fine. Una volta raffreddato, aggiungere la panna semimontata e amalgamare il tutto.

Versare il composto in appositi stampi

a forma di quenelle e lasciare riposare

in frigo fino a quando non si ottiene un composto solido.


CASTELLODISPALTENNA

Per il sorbetto di pappa al pomodoro:

nel congelatore. Nel frattempo riscaldare

un cutter e ridurre in polvere. Sbattere le

olio extravergine d’oliva, foglie di basilico

peratura di 90°C, aggiungere la kappa e

vo e poi panarle nella polvere di pappa al

g. 600 di pappa al pomodoro, g. 15 di fresco.

Mettere la pappa al pomodoro in un bic-

chiere da Pacojet, aggiungere l’olio e le foglie di basilico; surgelare il tutto me-

il coulis di pomodoro giallo ad una temmescolare bene con la frusta.

Prendere le sfere di pappa e intingerle

nel composto affinché il coulis aderisca alla sfera.

diante abbattitore e, una volta raggiunta la

Per le alici panate: g. 500 di alici fresche,

sto e riporlo in congelatore.

di pappa al pomodoro, 6 uova.

temperatura di -18°C, pacossare il compo-

g. 100 di pecorino semistagionato, g. 200

Per il panzarotto ripieno di pappa a po-

Eviscerare e spinare le alici; una volta puli-

burro, g. 180 di acqua, g. 300 di latte,

in una teglia. Intanto tagliare il pecorino

modoro: kg. 1 di farina tipo “0”, g. 125 di g. 12 di zucchero, g. 25 di sale fino,

g. 20 di lievito di birra, g. 200 di pappa al pomodoro.

In una planetaria versare il latte, l’acqua,

te, asciugarle con un canovaccio e riporle

a striscioline e farcire le alici. Stendere la pappa al pomodoro su un silpat; lasciare essiccare in forno a 70°C per circa 4 ore.

Una volta essiccata la pappa, frullarla in

uova in una ciotola, passare le alici nell’uo-

pomodoro. Friggere le alici in abbondante olio di semi d’arachide ad una temperatura di 180°C.

Per il coulis di basilico: g. 300 di basilico,

l. 1 di acqua, g. 20 di sale, g. 10 di zucchero, g. 20 di olio.

Sfogliare il basilico; mettere a bollire

una pentola con acqua, sale e zucchero;

immergervi il basilico e far cuocere per 7 minuti. Una volta cotto, raffreddare subito in acqua e ghiaccio.

Non appena raffreddato, con l’uso di

un blender frullare il basilico con olio e aggiustare di sale.

lo zucchero e il lievito. Con l’aiuto di una

frusta miscelare tutti gli ingredienti, dopodiché aggiungere la farina e il burro morbido, infine il sale. Lasciare riposare l’im-

pasto. Stendere l’impasto ad uno spessore di circa 2 millimetri e, con un coppapasta di forma circolare, formare dei dischi; con l’utilizzo di un sac a poche farcire la pa-

sta e richiuderla con un altro disco. Friggere il panzarotto in abbondante olio di di arachide ad una temperatura di 180°C. Per

le

sfere di

pappa al

pomodoro:

g. 300 di pap-

pa al pomodoro,

g. 200 di coulis di

pomodoro giallo, g. 2 di kappa.

Munirsi di stampi di silpat a mezza sfe-

ra, riempirli di pappa al pomodoro me-

diante un sac a poche, mettere in abbat-

titore a -18°C. Una volta abbattuti, unire 2

mezze sfere formando una sfera e riporre

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GOURMETFOOD

SOUFFLÉ al cioccolato Valrhona con sorbetto al mango INGREDIENTI

PROCEDIMENTO

consistenza liscia. Inserire il cioccolato in

g. 60 di tuorlo

lato gli stampi, sciogliere a bagnomaria

bumi montati, facendo attenzione a non

g. 250 di cioccolato 70% g. 300 di latte

g. 20 di fecola

g. 200 di albume

g. 80 di zucchero

Imburrare e ricoprire di zucchero semo-

il cioccolato, a parte montare a neve gli albumi con lo zucchero.

Cuocere la fecola nel latte, versare poi i tuorli e sbattere fino ad ottenere una

questo composto; finire unendo gli al-

smontare il composto; versare a filo negli

stampi e cuocere a bagnomaria a 200°C per 18 minuti.

Per il sorbetto al mango g. 290 di acqua

g. 165 di zucchero g. 125 di glucosio

g. 540 di purea di mango PROCEDIMENTO

Portare tutto a bollore, versare nel bicchiere del Pacojet e abbattere. Quando

sarà pronto, pacossare e servire il sorbetto vicino al soufflé.

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CASTELLODISPALTENNA

Il Ristorante Il Pievano, 1 Stella Michelin, è sotto la guida dello chef Vincenzo Guarino. Vincenzo è nato a Vico Equense, ha lavorato con Marchesi, Peter Wiss, Nazzareno Minghini, solo per citarne alcuni. E’ stato Chef all’hotel Bellevue Syrene di Sorrento, ha ottenuto la prima stella Michelin nel 2009 a ‘I Salotti’, ristorante dell’hotel Il Patriarca (Chiusi), stella poi riconfermata nel 2012 al Ristorante L’Accanto del Grand Hotel Angiolieri di Vico Equense, dove è rimasto fino all’autunno del 2016. Qui coniuga la generosità della sua origine campana ai prodotti del territorio toscano; la sua rivitazione della pappa con il pomodoro, è entrèe colorata, divertente che va dalla texure croccante al sorbetto, piccoli bocconi di piacere. Esplosione di gusto nella sua parmigiana scomposta e poi il risotto mantecato al caprino con polvere di anatra ‘Azienda Laura Peri’ e profumata all’arancia amara, con i chicchi netti che il palato distingue, senza cremosità di mantecatura, equilibrio di consistenze e di acidità, in una parola, perfetto. Predessert e dessert realizzati con abilità da Florentia Breda, la giovane pasticcera italo argentina.

CASTELLO DI SPALTENNA

Via Spaltenna, 13 - Gaiole in Chianti (SI) Tel. 0577 749483

www.spaltenna.it - info@spaltenna.it

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GOURMETFOOD

FULVIO

PIERANGELINI

L’ESILIO DELL’ARTISTA E LA SOLITUDINE DEI (NUMERI) PRIMI. RIFLESSIONI SUL DISCORSO TRE ANNI DOPO di

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Giulia Gavagnin


FULVIOPIERANGELINI

“Siate affamati, siate folli” è il canto del cigno di Steve Jobs e, al tempo stesso, il più intenso mantra motivazionale del nostro tempo. Lo troviamo su gadget e magliette, lo citano vecchi e giovani, manovali e plurilaureati, inseguendo il sogno di essere divorati da una passione bruciante e perdere un po’ quel lume della ragione che, in fondo, permette la sopravvivenza a una vita istituzionale come un cielo senza lampi né stelle. Fame e follia, in realtà, sono privilegi riservati a pochissimi, doni preziosi che costituiscono l’ingrediente principale di vite vissute a velocità diversa dal normale, vite straordinarie o, quantomeno, più interessanti della media. E’ consolatorio pensare che con una formuletta magica si possano spalancare le porte dell’eccellenza, ma non è così. Fame e follia sono solo il punto d’inizio, la miccia innescata, il blocco di partenza. Ma senza il “conosci te stesso” socratico non si va da nessuna parte. Solitudine, concentrazione, aspirazione totale alla verità e alla conoscenza ultima delle cose. Un percorso difficile, aspro, duro ricompensato dall’alba più bella all’uscita della caverna, mentre tutti gli altri figuranti continuano a essere sedotti dalle ombre come nel mito platonico. Una vita eccellente e solitaria, che inizia nel solco di Kafavis (“E se non puoi la vita che desideri / cerca almeno questo / per quanto sta in te: non sciuparla / nel troppo commercio con la gente / con troppe parole in un viavai frenetico”) e finisce con Proust (“il bel libro necessita di oscurità e silenzio, non di piena luce e chiacchiere”). Troppo difficile? Per i più, di sicuro.

Notizia delle notizie. Il più bel discorso motivazionale (o de-motivazionale, che tanto gli estremi si toccano sempre) degli ultimi anni non l’ha tenuto Steve Jobs, ma Fulvio Pierangelini. Un cuoco. Un cuoco bizzarro, saturnino, di letture importanti e intransigenza viscerale. Molti dicono: “uno stronzo”. Ma, si sa, sono gli stronzi a raccontare le più grandi, scomode verità della vita. Gli altri, i questuanti (o cronometristi, come si dirà oltre) della vita raccolgono le briciole, perché reggere la luce del sole all’uscita della caverna non è da tutti. Chi conosce Pierangelini già sa che lui di pentole ha parlato ben poco: il mezzo non interessa, conta il fine, sempre. La Verità Ultima, per amore della quale è uscito dal folle palcoscenico delle pignatte ormai anni orsono. Quando, nell’anno 2014, è stato chiamato da Rene’ Redzepi a Copenaghen per dare qualche buon ammaestramento di vita ai giovani cuochi, non ha dispensato consigli su cotture e fondi (del resto, molti ricordano che ai noti convegni degli chef lui non cucinava ma parlava di Kierkegaard) ma ha pensato bene di tenere una lectio magistralis intrisa di catastrofe e nostalgia sulla solitudine dell’artista, sulla vanità, sul coraggio e il ribollire interiore proprio di chiunque sia impegnato in un progetto creativo. In poche parole, sul fine ultimo dell’esistenza. Solo a ripercorrerne i passi vengono i brividi perché poche menti hanno saputo esprimere così tanto in così poche pagine (mezz’ora di conferenza, spezzata dalle frequenti traduzioni in inglese dell’interprete). Inizia il suo discorso autodefinendosi “vecchia popstar ospite in un concerto di musica d’avanguardia” rammentando (casualmente, come fece Steve Jobs) che il tempo è tiranno e in un giorno non troppo lontano “voi giovani sarete messi da parte”: per questo, dall’alto dei suoi ‘anta’, con l’urgenza tipica di chi ha già vissuto e ha meno tempo davanti a sé, con poche, lapidarie frasi ammonisce di restare lontani dal peccato più grave, quello di superbia, tipico di chi si illude di sapere tutto. “Cucinare è un impegno sociale”, per adempierlo è necessario avere dentro una “tensione”, “coltivare il dubbio e superarlo con una delle doti principali di un cuoco: il coraggio”.

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GOURMETFOOD

E qui emerge tutto il temperamento dell’artista: “Un grande piatto esce di getto, ogni moina gli farà perdere energia, abbiate il coraggio dell’imprecisione. Ricordate sempre che un cuoco è principalmente un esecutore, oggi troppi si credono compositori: il mondo ha più bisogno di una perfetta schnitzel che di un’improbabile sogliola al cioccolato”. L’arte è imitazione della Natura e la cucina il luogo di massima manipolazione della natura stessa, che offre prodotti vivi, da amare e rispettare. Molti giovani cuochi non lo capiscono: “troppi ragazzi”, dice Pierangelini, ”non sanno riconoscere i cibi”, “troppo spesso li prendono con le pinzette di metallo, quasi per prendere le distanze, quasi ne provassero repulsione. Non cercano il contatto, non ne conoscono la comunicazione, la semantica sensoriale. Cucinare è raccontare una storia, per farlo bene bisogna conoscere prima i fatti”. Può sembrare la solita retorica dello “sporcarsi le mani”, ma in quanti mestieri è necessario conoscere profondamente i fatti o la tecnica? Non è forse vero che per scrivere una pagina di riassunto è necessario conoscere alla perfezione le dieci pagine che si intendono riassumere? O, parlando di tecnica, non è forse vero che per essere un grande pittore astrattista bisogna prima essere grandi figurativi (penso a Mondrian, ma anche a mille altri)? E qui, se c’è desiderio assoluto di conoscenza e aspirazione a quella dannata perfezione che toglie il sonno la notte, non si può che essere soli nel mondo, monadi dell’universo esposte agli accidenti della Natura come gli eroi romantici di Friedrich che osservano dall’alto le asperità delle onde del mare. E, infatti, dopo i primi, faticosi inizi di un percorso cominciato solo per amore (“adoravo cucinare e la sera guardare il tramonto sul mare, non avevo soldi, mi sono indebitato…non conoscevo le guide, internet per fortuna non esisteva…”) giunge il successo e, con esso, la corte dei miracoli, i questuanti che tirano per la giacca, i mille inviti, i vip in lista d’attesa e il monstrum sommo: internet. Sono gli ostacoli al perseguimento della ricerca, i disturbatori, le “troppe parole in un viavai frenetico” di Kafavis. In quel momento, si affaccia una voce scomoda, quella dell’”indipendenza” a far dire basta, il gioco è finito, so che non mi lascerete in pace, quindi mi nego. Su tutte, le mille voci del web a turbare la solitudine dell’artista, che tuona una frase epocale:

“i blog di cibo stanno alla gastronomia come un pedofilo all’amore”. Così, come era emerso dalle onde, nelle profondità del mare Pierangelini è ritornato, ritirandosi in un esilio volontario, “Exile on main street” come suonavano i Rolling Stones. Perché era divenuto insopportabile essere “atleti” che hanno permesso ai “cronometristi” (critici, produttori televisivi, giornalisti ecc.)

di prendere il sopravvento “con critiche discutibili”, perché la “mediaticizzazione e inevitabile sovraesposizione dei cuochi ci hanno fatto perdere ogni dignità: cuochi trasformati in merce da audience a ogni costo, giullari del gusto in mano a sceneggiatori e registi a corto di idee e conoscenze, solo assetati del nostro sangue”. L’unico feroce avversario era lui stesso, e le “chiacchiere” e i troppi “uomini della caverna” gli hanno fatto perdere di vista l’obiettivo. Il se stesso. L’abbandono è stato necessario ma dolorosissimo, le parole di Montaigne potrebbero essere le sue: “la retraite è un’esigenza dello spirito”. E’ evidente che nel palcoscenico mediatico Pierangelini intravede il Falò delle Vanità, intesa nel senso più deteriore:

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FULVIOPIERANGELINI

fatuo compiacimento di sé e delle proprie doti, desiderio di suscitare plauso e ammirazione, vanagloria, presunzione, superficialità. Quella è la causa di molti mali, soprattutto per un uomo di grandi letture com’è lui (a proposito, parole sue: “una base culturale è indispensabile per un cuoco, oggi più che mai”). Ma è altrettanto vero che persegue la Vanitas latina, quella fa nascere la luce “a guisa di baleno” dalla precarietà, dalla transitorietà, e dall’ inquietudine. Vanitas è intensità di desiderio, tanto più appassionato quanto più consapevole della caducità del proprio oggetto e di se stesso. Dopo l’abbandono, Pierangelini ha percorso altre strade, nessuna delle quali ha appagato l’artista. Ha raccontato storie, fatto il consulente, cucinato per “Paperoni che si scannano per la verità di una ceasar salad mangiata a orari imprevedibili”. Forse non ha più saputo ritrovare la magica grazia dell’esistenza, ferito dagli uomini della caverna, ma ci lascia un affresco commovente sull’essenza della vita, della sua vita che non c’è più: “mi manca l’emozione che mi assale al mercato, guardando ingredienti pronti a lasciarsi fare e farmi sognare; mi manca camminare per la campagna a cercare erbe e verdure selvatiche che solo mani esperte di anziane signore sanno raccogliere; mi manca andare a salutare i maialini liberi nel bosco; mi mancano le mani bruciate e tagliate. Arrivare a casa a pezzi per la fatica, disperato per la stanchezza, fiero e orgoglioso della mia giornata” o forse ho semplicemente fatto mia la frase di una meravigliosa canzone di Jaques Brel.

“c’è voluto del talento per invecchiare e non diventare adulti”. Per me il mantra del millennio dovrebbe essere questo.

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GOURMETFOOD

LA CUCINA AUTORIALE MARINARA E TERRITORIALE DI

FRANCESCO OBERTO NELLO SCENARIO AFFASCINANTE DELLE LANGHE di

Alessandra Meldolesi

Sta succedendo qualcosa di epocale fra le Langhe e il Roero, terre finora consacrate al vino, sempre più fertili per la ristorazione gourmet, di cui rappresentano ormai uno dei poli nazionali. Merito di una cultura della gola secolare, probabilmente dovuta alla vicinanza con la Francia, e delle ricadute di un turismo del vino sempre più florido, prodigiosamente spinto dai riconoscimenti UNESCO. Porta un pubblico unico in Italia: non solo ricco, ma gastronomicamente curioso e competente. I templi della nuova religione sono sempre più fitti sulle colline vitate, attorno alla cattedrale di Piazza Duomo: il nuovo 21.9 di Flavio Costa come la Madernassa di Michelangelo Mammoliti, il Fre di Paolo Meneguz, l’Hostaria Arborina di Andrea Ribaldone, il ristorante di Andrea Larossa. Non fa eccezione l’ascesa di Francesco Oberto, cuoco trentunenne nato a Bra, che nel silenzio di proselitismi e catechesi avrebbe proseguito i riti della tradizione, invece oggi serve la sua cucina di giovane autore, in gran parte marinara, dentro uno scenario incomparabile: il vecchio salone da ballo dei marchesi Fracassi Ratti Mentone, unici produttori di Barolo a Che-

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FRANCESCOOBERTO

PICCIONE limone e cedro candito, caffè INGREDIENTI 1 piccione

g. 50 di caffè

g. 10 di limone candito g. 10 di cedro candito g. 5 di gelespessa olio q.b.

1 spicchio d’aglio sale

pepe

1 rametto di timo PROCEDIMENTO

Disossare il piccione dividendo i petti dalle cosce. Scottare entrambi iniziando dalla

parte della pelle con un filo d’olio, uno spicchio d’aglio e il rametto di timo. Cuocere i due petti per circa due minuti per lato, ottenendo, così, una cottura al sangue. Le cosce, invece, dovranno essere ben

cotte e richiederanno, quindi, una cottura

più lunga. Sistemare il piccione sul piatto

con il caffé precedentemente addensato con il gelespessa e dei cubetti di limone e cedro candito. Ultimare il piatto con del sale Maldon, fiori e germogli.

rasco, adibito a comando nazista durante la seconda guerra mondiale e poi a usi disparati. Qui la vecchia marchesa aveva fatto scavare un cunicolo che collegasse la casa alle cucine, in modo da potersi recare indisturbata a desinare con le amiche; e qui Fausto Carrara aveva condotto il suo ristorante per 18 anni. Passato il salottino e salito lo scalone, è la magia degli affreschi tardo settecenteschi di Pietro Paolo Operti a instaurare il giusto mood: allegorie e trompe-l’oeil covano una cucina contemporanea ma generosa, che si lascia scrutare nel suo farsi attraverso il vetro della saletta moderna.

RICONOSCIMENTO AL VALORE La stella Michelin non si è fatta attendere, premio tanto tempestivo quanto inatteso per un cuoco praticamente autodidatta. “Se penso che fino a qualche anno fa servivo pranzi a 10 euro, mi sembra di essere salito su una navicella spaziale”, dice. Perché la gavetta si è svolta senza esclusione di sforzi: l’alberghiero a Torino, scelto per amore dei lavori manuali, e la pratica in un ristorante vicino alla casa di campagna in estate; qualche altro locale nel Braidese e poi sei anni all’Albergo dell’Agenzia di Pollenzo, accanto agli Alciati, spesi a studiare con Daniele Sandri i capisaldi piemontesi, dai brasati alle paste fresche.

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GOURMETFOOD

Piatti da cui ha preso le mosse la Trattoria da Francesco aperta a Bra a soli 23 anni, evolutasi pian piano in ristorante con la complicità della moglie Francesca Panetto, in arrivo dallo studio di un commercialista, che continua a guidare la sala. Il turning point è girato due anni e mezzo fa, in occasione di un pranzo alla Francescana organizzato dall’amico Enrico Crippa. “Alla fine ho passato due ore a parlare in cucina con Massimo Bottura e mi sono detto: so cosa voglio fare”. Due anni fa il trasferimento e a stretto giro la consacrazione. “Ci siamo limitati a sostituire la moquette con il parquet e sdrammatizzare l’atmosfera attraverso una mise-en-place minimale, che viene montata quasi interamente al momento. È vero che non ho fatto stage, ma giro tantissimo per mangiare dai più bravi. Chi è autodidatta può avere bisogno di più tempo per provare e riprovare, laddove sembra ci sia un solo modo di fare le cose; ma alla fine è sempre l’istinto a prevalere: sento che due cose possono stare bene insieme e mi basta limare temperature e consistenze per finire la ricetta”. Il territorio è ben presente nella linea dei piatti tipici, appena rivisti tecnicamente (vedi l’uso del sottovuoto espresso nella bistecca in carpione con un gel acido che precisa le consistenze), e soprattutto nell’ingredientistica: le carni della macelleria con piccolo allevamento a pochi chilometri dal ristorante come i formaggi di Giolito a Bra e gli ortaggi piantati su commissioni da tre contadini, delle cui serre Francesco detiene le chiavi, per potersi rifornire all’occorrenza. Ma c’è anche tanto mare, perché la Liguria dista appena un’ora: ogni sera dalle barche di Savona parte un SMS col pescato, è sufficiente rispondere per ritrovare le cassette davanti alla porta la mattina. Ed è stato proprio dal mare che è salito lo tsunami in carta, con le prime

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prove di creatività utili per differenziarsi dall’offerta circostante. Tutte materie che vengono lavorate espresse: “I coperti sono al massimo una quarantina, ma abbiamo la fortuna di lavorare molto, quindi posso permettermi di preparare tutto fresco, senza stoccare e rigenerare. Il mio strumento preferito è la padella di rame durante il servizio; oppure il Green egg, barbecue a legna che uso sempre à la minute per centrare un gusto dimenticato”.

LA POLITICA DELL’ACCESSIBILITÀ Dietro il successo di Francesco c’è anche una politica dei prezzi popolare, che è calcolo ma soprattutto umiltà. “Perché se da un cuoco che ha mantenuto la stella per tanti anni è normale spendere determinate cifre, io che sono appena arrivato non posso chiedere lo stesso”. Il menu F elenca 5 corse al prezzo di 55 euro, l’F plus 6 a 65, l’F power a mano libera 8 a 75, con percorsi di abbinamento da 3, 4 e 5 calici rispettivamente a 20, 30 e 40 euro. Pescano nella carta dei vini messa a punto da Francesca con Fabio Aimar e Lorenzo Di Gennaro: una selezione di 600 referenze ispirata al criterio della completezza, ma concentrata sulle Langhe e sulla Francia, con tanto Barolo (compreso quello della casa), tanti Champagne e qualche Triple “A”, sempre con ricarichi molto contenuti. Sposano con facilità una cucina materica e concreta, che vuole innanzitutto essere


FRANCESCOOBERTO

GNOCCHI BLU DI BUFALA salsa di soia, guacamole INGREDIENTI

Per la crema Blu di bufala

kg. 1 di patate di montagna

g. 150 di panna da cucina

Per gli gnocchi

g. 600 di farina 00 sale q.b.

2 uova intere Per la crema di guacamole 1 avocado 2 lime

1 pizzico di sale

kg. 1 di Blu di bufala

PROCEDIMENTO

Per gli gnocchi: mettere a bollire le pa-

tate per circa 1 ora e mezza. Schiacciare le patate, farle raffreddare, aggiunge-

un pizzico di sale.

Per la salsa di soia: frullare la soia con la agar agar in modo da renderla più densa.

Per la crema Blu di bufala: parare la

re sale e uova, impastare le patate con

forma di Blu di bufala, metterla in un

grammi l’una.

Far bollire l’acqua in un pentolino, but-

la farina. Formare delle sfere di circa 5

Per la salsa di soia

Per la crema di guacamole: pelare l’a-

g. 2 di agar agar

dentro un mixer con il succo di due lime

g. 100 di soia

spremuti, frullare il tutto e aggiungere

vocado, tagliarlo a concassè e metterlo

pentolino e farla scogliere con la panna.

tare gli gnocchi, scolarli e saltarli in pen-

tola con un po’ di salsa di blu di bufala.

Riporli al centro del piatto, guarnire con salsa di soia e guacamole.

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GOURMETFOOD

“buona” ma raggiunge il suo obiettivo attraverso dettagli, gesti e sensibilità di personale eleganza, forse un po’ carente di acidità, nonostante il PH hard del territorio. Già il pane è ottimo: i grissini di semola, i panini al burro, soprattutto le pagnotte di farina bio semintegrale e ai 5 cereali preparate con il lievito madre liquido di Gianfranco Fagnola, maestro di arte bianca. I piatti di pesce, allora. Per esempio, ottima, la trota pescata tante volta da bambino con lo zio, in arrivo questa volta dalle vasche di Mondovì e in versione salmonata. Appena condita con olio, sale e pepe, misuratamente spolverizzata di liquirizia e avvolta in una foglia amarognola di costa, viene passata al barbecue con la sonda infilzata fino alla giusta temperatura. Un antipasto di grande pulizia e armonia, privo di salse e quasi privo di grassi aggiunti, puristico nel disegno dei suoi tre elementi, dove il vegetale si lega alla spezia amara, che anche per via di balsamico sgrassa la ricchezza della polpa. Oppure, non da meno, patata, pesce e pesce: in fin dei conti un’insalata di mare servita poco più che tiepida, che però seduce il palato con le consisten-

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ze soft dovute a cotture in stile shabu shabu, separate ed espresse, dentro un pentolino di acqua prebollente, per non irrigidire le fibre; di fronte al cuoco c’è la linea dei bocconi crudi (calamari, scampi, gamberi, cozze, vongole, tartufi di mare). Dove la crema di patate è una Parmentier al latte e burro; le salse sono a base di nero di seppia, uovo alla Cracco semimarinato effetto bottarga, ricci toscani e islandesi, per calibrare la sapidità. Eleganza ed avvolgenza. Pescano invece nel repertorio piemontese i ravioli del plin, preparati con la sfoglia che all’Agenzia era in uso per i tajarin, da 40 anziché 30 tuorli, quindi più difficile da lavorare ma decisamente più croccante, e serviti in forma bifida, secondo una tradizione tutta piemontese. La versione classica è farcita con un ripieno di vitello, spinaci, riso e parmigiano, poi glassata al burro e salvia. Segue la variante Francesco, con la stessa sfoglia attorno a un ripieno di cosce di anatra cotte sottovuoto e riso; per saltare la pasta c’è il burro di Isigny alle scorze di arancia, limone e lemon grass, tenuti in infusione per un giorno a 50°C, con l’aggiunta di poco fondo bruno,

un passaggio nei semi di lino per il crunch e una puntina di aneto. Oppure le lumache, simbolo del paese, che Francesco ha imparato a cucinare dallo chef del ristorante La Torre Marco Falco. Dopo la spurgatura e la bollitura, vengono sgusciate ma servite con gli stessi aromi di una parigina, quindi aglio, scalogno e prezzemolo; sul piatto sono accostate a una pluma di maiale iberico passata al momento sul barbecue con origano, timo e rosmarino, dalla succulenza perfetta. Dove il gioco è fra le consistenze dei due elementi; ma alla fine è la salsa a legare con un ricordo di maître d’hotel sul grigliato. La pasticceria guarda oltreconfine con la tarte au citron modello Robuchon: mousse di limone, biscotto e crumble alle mandorle, crema al limone e abbondante meringa all’italiana bruciata al cannello, più il rabarbaro marinato nello sciroppo tutt’intorno per la finale pulizia amara.

DA FRANCESCO

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GOURMETFOOD

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GIANCARLOMORELLI

TRA POMIROEU E BULK

GIANCARLO MORELLI ESPRIME LA PROPRIA VITALITÀ PROFESSIONALE di

Giovanni Angelucci

“Ci sono voluti più ristoranti prima che finalmente riuscissi ad avere ciò che cercavo da tempo: un luogo diverso da tutti gli altri, una nuova dimensione. La mia!”. È la prima frase del vulcanico Giancarlo Morelli, che ci accoglie in cucina. Un ambiente di circa 200 mq luminoso, ordinato, spazioso e colmo di gioventù. Un po’ come lui, classe ‘59, cuoco e artista, conoscitore e sperimentatore, viaggiatore e imprenditore, ma soprattutto un eterno ragazzo pieno di vita e voglia di scoperte. Il ristorante gourmet Morelli e il Mixology Food bar Bulk, all’interno del nuovo 5 stelle Hotel Viu, sono la fotografia di cosa di buono si riesce a fare anche quando si potrebbe pensare di “essere arrivati”. Morelli ha alle spalle altri locali, tra cui lo stellato Pomiroeu a Seregno, nota insegna dal 1993; in seguito ha aperto la Trattoria Trombetta a Milano; oggi si occupa anche della gestione estiva del ristorante nel Phi Beach in Costa Smeralda e si muove contemporaneamente su altri centoeuno paesaggi. Seregno resterà sempre la fucina delle idee che poi, però, vengono proposte al Bulk e animate con nuova e diversa linfa vitale. La sua nuova storia parte dunque dal Bulk: il nome è riferito al centro sociale che qui viveva, ma non solo il nome. Morelli vuole infatti continuare a conservare il concetto socializzante di stare insieme, condividere, godere del bello e del buono senza essere obbligatoriamente “abbottonati” in stile stellato. Il tavolo unico presente in cucina è esempio tangibile di questa intenzione, una convivialità predominante che siede ad un tavolone in legno da 14 posti (disegnato dallo stesso chef) in cui condividere un momento, e un pasto, anche tra sconosciuti.

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GOURMETFOOD

”Il progetto che ho sempre avuto in mente è stato questo; il rischio imprenditoriale dei cuochi oggi è sempre più alto: qui con me ho una ventina di ragazzi tutti pagati, nessuno escluso. Buona parte della brigata viene dalla “casa madre” di Seregno. C’è solo da lavorare, e in un ambiente in cui nulla è lasciato al caso, gli spunti e i modi per farlo non lasciano scampo: l’attività è frenetica, ma all’insegna del fare bene. E pare siamo sulla buona strada”. I progetti e le idee sono tante, una ne fa cento ne pensa, verrebbe da dire; in verità, però, Morelli ne fa quante ne pensa: “Da settembre, la domenica a mezzogiorno, servo anche il vero brunch americano, non quello con la cassoeula! Voglio avere qualcosa di dinamico, di evoluto: il Bulk è evoluzione”. Doppia anima al Bulk: se da una parte ci si diverte a fare alta cucina sperimentale, dall’altra si crea un ambiente gradevolissimo a tutte le ore del giorno per un caffè, per un panino, una merenda nel pomeriggio, un aperitivo, per un super

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GIANCARLOMORELLI

TUORLO MARINATO INGREDIENTI per 4 persone

PROCEDIMENTO

g. 120 di miele di castagno

giungere il miele. Portare a una consistenza caramellosa.

4 tuorli d’uovo di selva

ml. 500 di birra bionda g. 100 di erbette

g. 50 di bruscandoli g. 250 di panna g. 50 di yogurt

g. 25 di caprino g. 100 di orzo

Cuocere le uova a 65°C per 30 minuti; tenere solo il tuorlo. Ridurre la birra di 1/3 e agPortare a bollore la panna, aggiungere lo yogurt e il caprino, aggiustare di sale e passare allo chinois.

Cuocere l’orzo in acqua bollente, scolarlo e farlo disidratare in forno a 60°C per 6 ore.

Soffiarlo in olio di semi. Pulire le erbette e i bruscandoli, saltarli in padella con dello scalogno e olio extravergine d’oliva. Mettere a marinare l’uovo nella birra per 15 minuti. Formare una sorta di nido dove adagiare il tuorlo e l’orzo soffiato. Terminare con la cagliata di latte tiepida.

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GOURMETFOOD

drink o per uno spaghetto al pomodoro che sappia di prelibata informalità. Il cliente ha bisogno di star bene e qui tutto sembra esser stato studiato perchè ciò avvenga, anche nel lounge mixology bar, nelle mani del quotato Mattia Pastori. Il disegno, la cornice e la scelta degli acquerelli sono a opera dello stesso chef Morelli che si è plasmato addosso le volontà di un cliente buongustaio. Da grande viaggiatore qual è, vive il cibo come espressione di cultura e identità dei popoli, comunica con i cuochi d’oltre oceano, continua a viaggiare e a farsi contaminare, rinnovandosi ed evolvendosi. Lo fa con la spontaneità e l’empatia che ha di default: è uno spasso ascoltare i suoi racconti di caccia (è un profondo intenditore di selvaggina, conosce a menadito razze, carni, sapori e ricette; sarebbe capace di creare un racconto di ore solo sulla beccaccia...). Sono tre i menù degustazione proposti: il Tradizione in cui compaiono la cappasanta farcita al tartufo nero, salsa all’aglio dolce e il riso ai pistilli di zafferano, midollo e riduzione al vino rosso, l’Esperienza Sensoriale con i bottoni di pasta fresca alle melanzane viola alla brace e spuma di mandorla, e il maialino croccante, maionese di levistico, mela e avena soffiata, salsa alla birra e cardamomo, tra gli altri. E infine il percorso a sorpresa in sette portate scelte tra le proposte di uno chef con venti anni di esperienza stellata alle spalle, oggi (e ieri) coadiuvato dal giovane Livio Pedroncelli che qui è resident chef.

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GIANCARLOMORELLI

SPALLA D’AGNELLO INGREDIENTI per 4 persone

PROCEDIMENTO

12 carotine ciuffo

olio, erbe e burro. Salare e pepare, abbat-

Via Garibaldi, 37- Seregno (MB)

erbe fresche e aromi. Cuocere a 60°C per

Fax +39 0362 325340

e legarle con agar agar per ottenere due

info@pomiroeu.it

g. 750 di spalla d’agnello disossata g. 100 di farina di mais g. 25 di burro

1 spicchio d’aglio 1 scalogno

erbe aromatiche machis

g. 150 di carote viola

g. 150 di carote gialle

Rosolare le spalle d’agnello in padella con tere e mettere in sacchetti sottovuoto con

12 ore. Con le carote fare due estrazioni creme. Con la buccia delle patate: tostarle

POMIROEU

Tel +39 0362 237973 www.pomiroeu.it

in forno a 160°C per ottenere una polvere, realizzare una polenta classica, aggiungere la polvere di patata tostata. Servire la

spalla d’agnello con la crema di polenta e le due creme di carote; caramellare le ca-

rotine con machis e zucchero. Finire con il jus d’agnello ottenuto dalla cottura.

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LOCHEF Daniele D’Alberto Trent’anni, dopo il diploma all’Alberghiero di Pescara inizia il suo giro di esperienze dapprima stagionali nelle località turistiche, poi nelle cucine di alcuni ristoranti importanti: nel 2006 all’Hotel Villa S. Carlo Borromeo di Senago, nel 2011 all’Hotel Luna Baglioni di Venezia e poi a “Casa Vissani” a Civitella del Lago (TR) come capo-partita. Nel 2013 approda a La Madonnina del Pescatore di Senigallia da Moreno Cedroni e nel 2015 trascorre un breve periodo a Il Pellicano di Porto Ercole. Eletto “Chef emergente Abruzzo 2014”, oggi Daniele è lo chef del Ristorante Fonte Scura a Silvi (TE). Passione per il dettaglio, recupero delle tradizioni, ma anche una vena immaginativa e divertente, collocano i suoi piatti in un Mediterraneo creativo.

Sgombro, rape rosse e pompelmo INGREDIENTI per 4 persone: 2 sgombri dell’Adriatico, 5 pompelmi rosa, 3 rape rosse, g. 50 di rosmarino, g. 100 di olio evo, menta. Per il ristretto di pompelmo: spremere e setacciare i pompelmi allo spremiagrumi; mettere in una casseruola e lasciar ridurre fino al 70% del composto. Per la salsa di rapa rossa: pulire le rape, privarle della buccia, tagliare a pezzetti piccoli, metterli in una casseruola e lasciarli stufare coprendo la casseruola con un coperchio.

Una volta cotto, frullare tutto al Bimby per circa 5 minuti; aggiungere sale, olio e pepe e lasciar riposare in frigo. Per l’olio al rosmarino: mettere in una casseruola l’olio evo e il rosmarino e lasciar cuocere a fiamma dolce per circa 45 minuti; togliere il rosmarino con l’aiuto di un setaccio e lasciar raffreddare. Scottare gli sgombri dal lato della pelle in una padella antiaderente molto calda, abbassare la fiamma e girare lo sgombro dal lato della carne. A cottura ultimata, adagiare il pesce su un piatto piano e completare con il resto degli ingredienti.

In collaborazione con

ILPIATTO



Buone Nuove RIGONI DI ASIAGO, PREMI A NEW YORK E MILANO

BN

Ben due sono stati i riconoscimenti per Rigoni nella Grande Mela, uno per la categoria “Dolciari” e uno per “Sostenibilità” riferiti a uno dei prodotti di punta dell’Azienda Veneta: Nocciolata Senza Latte, la crema di nocciole biologica gettonatissima sui mercati internazionali per l’alta qualità dei suoi ingredienti, apprezzata anche dagli intolleranti al lattosio e dai consumatori con alimentazione vegana. Primo Premio assoluto al “Brands Award 2017” invece per la Nocciolata Classica. Brands Award è un’iniziativa che ogni anno viene organizzata da GDOWEEK e da Mark Up allo scopo di premiare le migliori performance delle marche presenti sugli scaffali della grande distribuzione italiana. La Rigoni di Asiago è presente anche in Bulgaria dal 1993. Le società agricole sono Ecoterra, Biofruta e Biotop che si occupano della produzione e della commercializzazione di frutta biologica e svolgono le loro attivita su 1400 ettari, in parte situati nella provincia di Montana, Berkovitsa, nei pressi del confine con la Serbia, e parte nella zona di Pazardzhik, fiorente centro agricolo tra Sofia e Plovdiv. I terreni sono coltivati con fragole, more, lamponi, ribes ed uva spina. Frutteti di mele, prugne, ciliegie, amarene, albicocche e noccioli. A Pazardzhik, nel settembre del 2004, è stato inaugurato un moderno stabilimento per la prima lavorazione e surgelazione dei prodotti, che sorge su un’area di oltre 12.000 mq di cui 7.000 coperti. Nel 2010 è stato effettuato un investimento di oltre 4 milioni di euro, che ha portato la capacità produttiva ad oltre 3.000 tonnellate annue di frutta surgelata. Le numerose varietà di frutta coltivate in pieno campo, scelte per le loro qualità organolettiche e nutritive, raccolte al grado ottimale di maturazione e surgelate nell’arco di qualche ora dalla raccolta, sono destinate a diventare l’ingrediente principale della confettura Fiordifrutta.

www.rigonidiasiago.com

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le novità del mese BIRRA COLLESI: L’ARTIGIANALE DI APECCHIO TRIONFA ALL’ESTERO In progetto anche una linea di cosmetici a base di birra: è la prima in Italia

BN

Siamo a quota 76, ma i premi, per Giuseppe Collesi, patron dell’omonima Fabbrica della Birra - Tenute Collesi di Apecchio, piccolo paese abbarbicato sul Monte Nerone, nel cuore dell’Appennino marchigiano, continuano a essere una sorpresa e un orgoglio. Gli ultimi in ordine di tempo sono quelli arrivati dalla patria della birra, la Germania, che ha certificato che la Ubi di Collesi - la rossa non pastorizzata a rifermentazione naturale in bottiglia, di grande carattere e gusto dolce - meritasse il massimo riconoscimento, la medaglia “Platinum” all’ultimo “Meiningers International Craft Beer Awards” 2017, unica italiana ad ottenere il riconoscimento di platino, tra le quasi 1000 aziende partecipanti da 28 paesi del mondo. Poco prima sono arrivate: la medaglia d’argento per la Blanche Collesi che ha ricevuto gli encomi del “Tasting - World Beer Championships (USA) e i 3 premi, la medaglia d’oro per la Maior, d’argento per la Ipa, quella di bronzo per la Ubi, assegnati dal “2017 Australian International Beer Awards”. Premi che, a inizio 2017, sono stati assegnati anche alla Alter (medaglia d’oro) e ancora una volta alla Blanche (bronzo) dal “Barcelona Beer Challenge”. Meriti indiscussi alla base di idee innovative, quasi pionieristiche, come quella che prevede, per il prossimo gennaio 2018, una nuova linea di cosmetici a base di birra. Si chiamerà Sorgente di birra, la nuova sfida del birrificio che prevedrà 18 prodotti, tra creme viso, creme corpo, tonici e solari a base di mosto di birra, luppolo, cereali, lieviti e acqua del Monte Nerone. SALA EMOZIONALE: tra i progetti di Giuseppe Collesi anche la Sala emozionale che vedrà compimento a fine 2018 (a metà aprile è stato dato il via ai lavori): uno spazio di 400 mq, all’interno dello stabilimento, che prevede un percorso sensoriale. Dal pavimento di vetro il visitatore vedrà scorrere sotto ai suoi piedi vera acqua di sorgente, potrà immergersi nella scenografica cascata a parete, ammirare un giardino verticale con orzo e luppolo e dedicare tempo alla sala degli aromi delle birre Collesi. GIN e VODKA: il brand ha continuato a rinnovarsi. L’ultima che ha già ottenuto importanti riconoscimenti, Giuseppe Collesi l’ha dedicata alla sua Distilleria: nel maggio scorso sono state lanciate sul mercato due novità: un Gin e una Vodka d’alta gamma, 100% made in Apecchio.

www.collesi.com


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Cucinare

InGalera il ristorante del carcere piùù stellato d'Italia

e a Porto Azzurro dove carcere e scuola alberghiera si incontrano

C’è una promessa di libertà mentale immediata e futura nelle pratiche di cucina. Si potrebbe parlare di “cucina d’evasione”...

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INGALERA

Via Cristina Belgioioso 120 - Milano Tel. 334 3081189 - www.ingalera.it

MANGIARE

IN GALERA

VUOL DIRE APRIRSI A UN’ESPERIENZA CHE GUARDA OLTRE LE SBARRE di foto di

Carla Latini Andrea Guermani

Il carcere di Bollate è considerato il carcere più stellato d’Italia. E quello che vanta la recidiva più bassa. In questo carcere, dalle pareti color pastello, i detenuti benedetti dall’articolo 21 sono tanti. L’articolo 21 permette loro di lavorare, di fare volontariato ‘in libertà’ e di rientrare. In Galera, così si chiama il ristorante all’entrata della struttura, lavorano dalla cucina alla sala ‘ospiti del carcere’. Tutti sotto il controllo e la guida di Silvia Polleri che chiamano Mamma Articolo 21. Silvia merita una parentisi graffa dove inserire quadra e tonda. Sono 14 anni che ha fortemente (e fortemente non rende l’idea) voluto il catering interno ed esterno al carcere. Un catering che fa dei numeri interessanti. Il primo anno usciva con la scorta. Oggi i ragazzi/detenuti sanno che non devono fare ‘cazzate’, sanno quanto devono all’impegno di Silvia verso di loro. Dentro c’è anche l’Istituto Alberghiero Paolo Frisi gestito da insegnanti esterni. In Galera nasce dopo. Sempre voluto da Silvia. Dare ai detenuti uno scopo per riconcigliarsi con la vita nel rispetto e nel ricordo fermo e costante delle loro vittime è un impegno difficile. “Un equilibrio su due gambe” lo chiama Silvia.

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COOKMANGIAREINGALERA

Come si fa ad andare a mangiare In Galera? Sempre grazie a Silvia che ha combattuto anche per questo, si chiama e si dice: “Stasera siamo in 3, mi chiamo Paolo Rossi.” Poi si arriva al parcheggio del carcere e si aspetta nella saletta ‘d’aspetto’. Vi viene a prendere un giovane allievo dell’alberghiero che vi guida dentro il ristorante. In cucina c’è Davide aiutato da Federico. Davide ha una mano decisa, coraggiosa e al tempo stesso molto delicata. Al primo piatto ho sentito subito profumi intensi e ben distinti. Audaci e armoniosi. Mentre assaggio, Silvia mi racconta. Non riesce a trattenere due lacrime che scaccia via subito con un gesto veloce. Ma gli occhi rimagono rossi. Davide in cella non faceva altro che cucinare. Il secondo si chiama Federico. Mi colpisce la sua cultura classica,

in cucina? Poi ho visto il volto bello e magrissimo di Davide. I suoi stupendi occhi celesti. Il simpatico rapporto con Silvia, un po’ mamma, un po’ capa, un po’ complice. Il rispetto che lei riesce ad ottenere con il sorriso gentile di una bella mamma/signora. Ho mangiato l’insalata di frutti di mare con riduzione di arance rosse, ottima; il gambero croccante con misticanza e gelato al limone, un bell’equilibrio di consistenze; per chiudere (lo so che non è politicamente corretto ma l’ho fatto) ho voluto assaggiare gli spaghetti con le polpette. Un generoso ritorno all’infanzia. Nel bagno delle donne c’è Steve Mc Quenn con il Papillon tatuato sul petto. In quello degli uomini, Fuga per la

come quella di Davide. Ragazzi colti, profondi, consci del ‘casino’ in cui si sono cacciati. Brutti scherzi della vita che poi, in questo caso, si concentrano e rinascono dentro una passione che ha un punto fermo: la cucina con gli ingredienti, la manipolazione e la trasformazione per arrivare alla ricetta finale. Ho assaggiato piatti interessanti e semplici. Piatti che mi hanno stupita al punto da farmi pensare: ma chi c’è

vittoria (Prostamol docet). Sono i manifesti originali dei film. Altri, sempre a tema, arredano la sala. Che è sobria e riprende i colori pastello in tutte le sfumature del celeste. Tovagliette veloci a colazione, illustrate con le foto dei carceri di tutta Italia. Bianche tovaglie a cena. A colazione c’è un menu dedicato. A cena si mangia a la carte. Ingredienti ben scelti. Direi che Davide e il suo

gruppo sono proprio illuminati. Al momento del caffè viene coivolto anche Fabrizio De Andrè. Davide al tavolo prepara con la moka il caffè di Don Raffaè. La ricetta del caffè ch’à Ciccirinella, compagno di cella ci ha dato mammà. Lo zucchero sbattuto per fare la ‘cremina’ e il limone candito che lo fa essere buono anche freddo mi terranno sveglia per le 4 ore di viaggio che mi portano verso casa. Devo ritornare.

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COOKING FOR FREEDOM

9 DETENUTI ARTICOLO 21 FANNO SCUOLA AL BRIGNETTI CON GLI ADOLESCENTI ALL’ISOLA D’ELBA foto di

di Stefano Bramanti Manuela Cavallin e Vlada Mocan

SCUOLA ALBERGHIERA DI PORTOFERRAIO: LA LIBERTÀ PASSA ANCHE DAL CUCINARE INSIEME Lorenzo, giovane studente, frequenta la classe quarta enogastronomia nella scuola alberghiera Raffaello Brignetti di Portoferraio. Vuole diventare un valente chef e chissà, potrebbe scoprirsi, un giorno, pasticcere d’avanguardia sulle tracce di Simone Battistella, stimato capo pasticcere di “Dulcis Simo” nella cittadina medicea e napoleonica. Lorenzo s’impegna al massimo e da qualche tempo è alle prese con una missione in più, unica in Italia: deve accogliere, insieme ad Aurora, Virginia, Marco ed altri allievi, 9 speciali compagni di classe. Sono Benedetto, Sebastiano, Pietro, Paolo, Michele, Giuseppe, Artur, Antonino e Sandro, tutti detenuti della Casa di reclusione che “gode” di una sede storica d’eccezione, cioè la maxi fortezza spagnola del 1600 che si affaccia sul golfo-cartolina di Porto

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Azzurro. La struttura è diretta da un determinato Francesco d’Anselmo, il quale ha pure scritto a Papa Francesco per rappresentare al Santo Padre il bisogno di un importante recupero della chiesa di San Giacomo Maggiore, che si trova dentro l’antica costruzione. “I ragazzi dell’istituto Brignetti e quelli più grandi di Porto Azzurro - commenta Mariateresa Lisco, la giovane docente pugliese che agisce nella sezione scolastica del penitenziario - sono molto entusiasti di questa esperienza; partecipano ad un progetto europeo d’inclusione. Hanno capito quanto sia utile lavorare insieme per costruire qualcosa di bello, per crescere dal punto di vista umano e professionale”. E la cosa “magica” del piano formativo, che da fuori potrebbe sembrare difficile, è che invece risulta piuttosto


COOKINGFORFREEDOM

facile. Chiunque lavora fianco a fianco, in questo caso in un corso di cucina, si scopre privo di preclusioni grazie alla potenza della conoscenza diretta, che elimina ogni barriera. Del resto cucinare è sinonimo di libertà, di creatività e, condividendo l’esperienza, cresce la soddisfazione. Ad esempio Sandro ha fatto coppia proprio con Lorenzo (foto a lato) nell’ultima lezione tenuta nel laboratorio di cucina dal professor Luca Panerini, che si avvale dell’assistente tecnico Daniela Tarantino. Lo chef in precedenza è stato impegnato nel rinomato ristorante di San Vincenzo “La Perla del mare”, ma poi ha scelto di trasferire le sue conoscenze ai giovani. Lo studente portoferraiese ha quindi fatto vedere al suo nuovo compagno di classe - il più maturo dei 9 della fortezza spagnola - come si prepara lo sciroppo di zucchero, per arrivare a comporre una bavarese alle fragole con crema ai cantucci di Prato. E non sono mancati piatti da star come il risotto gamberi, cozze e zucchine, alla Antonino Cannavacciuolo e la passatina di ceci emulsionata con olio evo e gamberi, marca Fulvio Pierangelini del celeberrimo “fu” Gambero rosso, sempre della vicina San Vincenzo. Nei giorni precedenti c’è stata anche la preparazione della tradizionale schiaccia briaca elbana e delle mele cotte caramellate su coulis

di fragole, ma anche delle penne alla crema di piselli, ricotta e guanciale croccante. Il gruppo di studenti un po’ cresciuti vive in regime di articolo 21 che consente di svolgere attività all’esterno del penitenziario. Per loro, in ogni caso, c’è voluto coraggio, determinazione. Forte l’emozione, mista a preoccupazione, nell’affrontare un progetto didattico che durerà fino al 2018, e che si concluderà all’Elba. I 9 potevano temere, infatti, il peso della loro “diversità sociale”. Sentimenti contrastanti provati prima dell’avvio di questa chance formativa formidabile, finanziata dall’Europa con Erasmus Plus, chiamata “Cooking for freedom”. I fatti hanno smentito le sensazioni negative: “La solidarietà esiste ed è a portata di mano”- ha detto Benedetto del team portoazzurrino dopo qualche lezione questi studenti adolescenti del Brignetti stanno diventando amici di noi più grandi, e devo dire che trovo questi ragazzi molto maturi e ci fanno riflettere”. “E’ vero - ha ribadito Antonino, che vuole finire presto il suo percorso riabilitativo (lo attende anche il figlioletto di 8 anni) - abbiamo capito l’importanza dello studio e Le docenti Mariateresa Lisco e Daniela Cirino dello specializzarsi, per trovare un lavoro serio”. Questo gruppo, guidato dalla prof. Lisco, è composto di persone che di certo hanno fatto sbagli nella loro vita, ma che stanno riconquistando la normalità sociale: è prossima una nuova libertà, aiutata anche da questa esperienza organizzata a moduli didattici, con lezioni di inglese, sicurezza e igiene, dieta mediterranea, e ci saranno anche futuri meeting con partner europei. Abbiamo partecipato a due lezioni di laboratorio di cucina al Brignetti di Concia di Terra, presente anche la docente referente del progetto,

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Daniela Cirino, calabrese e attrice di teatro nel tempo libero, la quale porta avanti il piano dell’istituto scolastico superiore Foresi di Portoferraio, diretto da Enzo Giorgio Fazio, istituto che comprende 4 sezioni di studio. D’intesa con altri Enti l’impegno si sviluppa ed è rivolto a questi due gruppi di apprendimento: 8 studenti delle classi terza e quarta dell’alberghiero e gli studenti della “ fortezza San Giacomo”, la storica costruzione che dal 1860 fu adibita a penitenziario. Un’esperienza di elevato valore culturale e sociale, una sfida accettata insieme a Portogallo, Turchia, Lituania, che hanno aderito al progetto di alternanza scuola lavoro, che promuove anche il reinserimento di qualità dei reclusi nella società, un piano che conta su un investimento pari a circa 100 mila euro. Impegnati nella gestione del piano socioculturale anche la cooperativa sociale elbana Beniamino, capofila, e l’associazione Antigone, nonché la Condotta Slow Food Isola dell’Elba. Una piccola nota di valore storico è necessaria, riportando ciò che scrisse Sandro Pertini nel 1933, mentre era collega di Nino, Benedetto e gli altri che abbiamo conosciuto con il corso di “Cooking for freedom”. Pertini era “elbano” allora, detenuto politico a Pianosa, colpevole solo di essere antifascista. Scrisse al Procuratore del Re una accorata lettera in cui diceva, anticipando le future leggi democratiche:”Il regime carcerario serva alla rigenerazione del condannato, nell’interesse dell’individuo e della società. Il carcere non sia solo luogo di espiazione, ma dovrebbe essere anche luogo di redenzione. Ora, signor Procuratore del Re, come si potrà ottenere che il recluso ritrovi se stesso, per risorgere a nuova vita, quando nella pratica della sua nuda esistenza lo si obbliga a dimenticare se stesso? Solo quando uno sente viva in sé la propria dignità, cercherà sempre di elevarsi da ogni umana bassezza”. (Dal libro Editori Riuniti “Portoferraio 1933, processo a Sandro Pertini”).

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PARTNER STRANIERI Gazi Universitesi è una città universitaria nel centro di Ankara. L’Università è spesso impegnata in progetti nazionali ed internazionali. Yildirim Beyazit Mesleki ve Teknik Anadolu Lisesi è una scuola professionale del distretto di Sincan della città di Ankara. La scuola dispone di 38 insegnanti e 796 studenti. Confiar è un’associazione fondata nel 1999 nei dintorni di Lisbona; dal momento della sua nascita si occupa del reinserimento dei detenuti e dei rapporti di questi ultimi con le loro famiglie. Agrupamento Escolas D. Carlos I Sintra lavora da tempo con Confiar e la prigione di Sintra. Hanno preso parte anche al progetto Taste of Freedom. Direzione generale di riabilitazione e servizi alla detenzione di Lisbona, si occupa di sviluppare politiche di prevenzione del crimine, esecuzione delle pene e delle misure e reinserimento sociale. Socialiniai Paramos projektai è stata fondata nel 2004 a Vilnius; è una società privata che vuol creare e testare una metodologia di reinserimento sociale per ex tossicodipendenti ed ex-detenuti attraverso la formazione e il lavoro in un ristorante in città che è diventato molto popolare.

IL CARCERE DI PORTO AZZURRO La fortezza spagnola fu edificata nel XVII secolo per ordine del re di Spagna Filippo III. Direttore: Francesco D’Anselmo. Personale al 18/02/2017: polizia penitenziaria: previsti 234, effettivi 168; educatori: previsti 9, effettivi 3; amministrativi: previsti 41, effettivi 17. La struttura dispone di 287 stanze di detenzione, una sala colloqui, un campo sportivo, una palestra, 7 aule, una biblioteca, un locale di culto, una mensa detenuti. Attività Scolastiche: corso alfabetizzazione funzionale iscritti 8, scuola secondaria


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primo grado iscritti 22, scuola secondaria di 2° grado Liceo - scientifico Foresi iscritti 51, Istituto professionale Brignetti iscritti 27. Formazione professionale falegnami, agricoltori, laboratorio teatrale organizzato dall’Associazione Dialogo con detenuti 25. Attività sportive rugby, calcio, atletica, organizzate da Area trattamentale detenuti 180. Attività culturali: concorsi letterari, conferenze, organizzato da Associazioni di volontariato per detenuti 80, attività religiose catechesi e riti cattolici, organizzato dal cappellano, detenuti 60. Il direttore, Francesco D’Anselmo (foto in basso), ci ha detto: “Ritengo questo progetto molto importante, poiché prevede l’interazione con altra realtà educativa e professionale fondamentale, qual è l’Istituto Foresi. Il progetto procede molto bene e i detenuti si stanno integrando con consapevolezza, acquisendo una professionalità che sarà spendibile in seguito. Anche il confronto con altre realtà penitenziarie europee è e sarà sicuro elemento di crescita oltreché di utile comparazione ai fini della conoscenza di altre sperimentazioni penitenziarie illuminanti e della auspicata risocializzazione che resta il fine ultimo stabilito dall’Ordinamento penitenziario”.

ISTITUTO STATALE D’ISTRUZIONE SUPERIORE ”R. FORESI” (ISIS) Nasce dal dimensionamento tra il Liceo Classico “Raffaello Foresi” e l’Istituto Professionale “Raffaello Brignetti”. L’Isis ha pertanto una struttura molto articolata essendo costituito da: SEZIONI LICEI: Liceo Classico e Liceo Scientifico (con una sezione presso la Casa Circondariale di Porto Azzurro), quindi Liceo delle Scienze Umane opzione Economico sociale; Liceo delle Scienze Applicate. SEZIONI PROFESSIONALE: Istituto Professionale Brignetti, servizi per l’enoga-

stronomia e ospitalità alberghiera. Manutenzione ed assistenza tecnica. Alunni totali 701 (464 licei, 159, professionale, 78 sezione carceraria) 90 docenti e 22 ausiliari. Il dirigente scolastico Enzo Giorgio Fazio «Abbiamo a cuore questo corso di cucina, è un arricchimento dell’azione formativa tesa ad una forte professionalità ed anche alla solidarietà. Esiste un feeling forte con il direttore della struttura di forte San Giacomo, Francesco D’Anselmo e quindi c’è perfetta sintonia educativa. Qui si sta attuando la massima inclusione, mentre purtroppo il mondo, in molti casi, va al contrario e si alimentano divisioni, crescono le guerre, il terrorismo. Invece noi stiamo mettendo in campo una vera solidarietà e questo ha un elevato valore umano e solcale. Un esempio per i giovani e per noi tutti». Daniela Cirino, docente referente: “Cooking for Freedom” è la libertà che passa anche attraverso il cibo. Gli studenti acquisiscono conoscenze e competenze per cucinare, creare e gestire una situazione lavorativa legata al cibo, e capiscono il bisogno di un’alimentazione sana realizzata con prodotti locali e di stagione, libera anche dai condizionamenti insani del mercato. L’impegno comune tra studenti del Brignetti e quelli della Casa di reclusione è un’esperienza innovativa e realizza una vera integrazione”.

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I PENSIERI DEI DETENUTI Michele: “Il corso a cui partecipo ha per me una importanza enorme, vista la condizione in cui mi trovo. mi offre una prospettiva clamorosa in cui credo fortemente. Sogno il lavoro, il sacrificio e di avere una vita serena e soddisfacente”. Artur: “Questa esperienza non è solo un orizzonte al quale ambire, ma una concreta opportunità per dare una svolta alla mia vita”. Benedetto: “Cerco un riscatto, una rivincita, e credo in questo progetto relativamente lungo, che porta a soluzioni davvero positive per tutti noi. Devo dire grazie a questi ragazzi del Brignetti, agli insegnanti e a tutti gli altri”. Antonino: “Credo nella efficacia di questi studi che possono portarci a occasioni di lavoro nel futuro e sono sicuro di potercela fare”. Sebastiano: “Mi sento molto ispirato dalle attività di cucina e credo di avere le attitudini necessarie, i requisti e le competenze si fanno anche strada facendo”. Pietro: “Penso che questa sia una cosa molto ben impostata e quindi a noi molto utile; queste relazioni con la scuola sono davvero incredibilmente buone e da tenere nei nostri cuori”. Paolo: ”Stiamo ricevendo un vero arricchimento da questi giovanissimi, una

Benedetto

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Lo chef Panerini istruisce un’allieva del Brignetti e gli studenti della San Giacomo

cosa insperata che ci sta accadendo e quindi dobbiamo farla crescere nel migliore dei modi, per il nostro futuro”. Giuseppe: “Stiamo apprendendo delle tecniche di lavoro interessanti; fare il cuoco è davvero un bel mestiere, e conosciamo persone vere che ci stanno dando tanto”. Sandro: “Sono il più grande in questa classe mista, e quindi apprezzo ancora di più l’importanza di questa occasione. Come si dice: non è mai troppo tardi. Importante è anche imparare bene l’inglese: ci permetterà di avere un dialogo con gli stranieri, indispensabile nel turismo di questa isola.”

Antonino


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SCHIACCIA BRIACA È un dolce tradizionale tipico dell’Isola d’Elba. Pare sia originaria di Rio Marina, ma esiste anche una versione di Capoliveri. INGREDIENTI

kg. 1 di farina, g. 500 di zucchero semolato, g. 300 di noci, g. 200 di uvetta, g. 100 di pinoli, g. 200 di mandorle, l. 0,25 di olio evo, alchermes, aleatico o moscato q.b. PROCEDIMENTO

Mettere la farina a fontana, unire al centro tutti gli ingredienti spezzettando la frutta

secca, bagnando con moscato o aleatico, fino a ottenere un impasto dalla consistenza

simile agli gnocchi. Imburrare e infarinare le teglie e versare l’impasto con uno spessore di

circa 1 centimetro e mezzo. Cuocere in forno a 180°C per 30-40 minuti e a 3/4 della cottura spolverare con zucchero e bagnare con alchermes. Sfornare e lasciare raffreddare.

2 RICETTE SECONDO IL PROGRAMMA DIDATTICO DEL PROF. LUCA PANERINI

PAPPA AL POMODORO È un primo piatto tradizionale della cucina toscana: si tratta di una specie di zuppa a base di pomodoro e pane raffermo. INGREDIENTI per 6 persone

g. 500 di pane toscano raffermo, 2 cipolle, 2 carote, 1 costa di sedano, g. 700 di pomodori maturi, olio evo, peperoncino, sale, pepe, porro, g. 50 di basilico, origano, prezzemolo, aglio.

PROCEDIMENTO

Preparare un brodo vegetale con se-

dano, carota, cipolla, prezzemolo, pomodoro, porro e altre verdure a

disposizione. In casseruola con olio

evo soffriggere sedano, carota e

cipolla tritati; aggiungere i pomodo-

ri senza buccia, il sale e far cuocere per

cinque minuti, poi unire il pane spezzettato

e far cuocere aggiungendo il brodo e il basilico.

Servire ben caldo o tiepido aggiungendo ancora

olio e basilico fresco.

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GOURMETFOOD

TRE CHEF A CONFRONTO Al ristorante La Porta di Bologna, lo chef patron Cristian Mometti si è confrontato con gli chef Irina Steccanella e Terry Giacomello all’insegna del dialogo e della comune evoluzione. foto di

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Alfonso Santolero


TRECHEFACONFRONTO

Irina

STECCANELLA Chef della tradizione classica bolognese all’Agriturismo Mastrosasso di Savigno (BO), ha frequentato le cucine di Massimo Bottura e Niko Romito, da cui ha appreso le tecniche più moderne in cucina e le idee che caratterizzano i due grandi maestri, cioè semplificare e concentrare, alleggerire e lasciare solo l’essenziale partendo dalla tradizione e dai prodotti locali.

QUAGLIA RIPIENA INGREDIENTI

4 quaglie, 2 patate, g. 150 di mortadella, g. 100 di parmigiano, 1 tuorlo d’uovo, sale q.b., pepe q.b., g. 200 di fondo di quaglia. PROCEDIMENTO

Disossare le quaglie, a parte lessare le patate, schiacciarle e, una volta raffreddate,

aggiungere la mortadella tritata finemente, il

parmigiano, il tuorlo d’uovo, il sale e il pepe.

Appena amalgamato tutto il composto, formare quattro palline che faranno da ripieno per le quaglie.

Adagiarle al centro della carne, chiudere a sfera e, con la pellicola, sigillare strette le quaglie. Cuocere in forno a 95°C a vapore

per 2 ore; togliere la pellicola e passare 10 minuti a 100°C in forno. Adagiare la carne

sul piatto, versarvi sopra un fondo di quaglia e servire subito.

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MEZZE MANICHE

di brodo di prosciutto, torta fritta, riduzione di balsamico tradizionale e parmigiano reggiano INGREDIENTI

Per le mezze maniche di brodo di prosciutto

g. 250 di prosciutto crudo 24 mesi, g. 400 di acqua mi-

nerale naturale di bottiglia, g. 16 di agar-agar, g. 300 di paratura di grasso di prosciutto, g. 40 di olio di semi,

g. 125 di farina bianca, g. 3 di sale, g. 25 di strutto, ml. 70

di acqua, g. 3 di zucchero, g. 3 di lievito di birra, g. 80 di brodo di pollo.

Terry

GIACOMELLO Si è formato alla scuola spagnola di Ferran Adrià, è stato tre anni chef de partie a El Bulli, ora chef stellato nelle cucine di Inkiostro a Parma. Per lui la tecnica e l’elaborazione, la trasformazione e l’illusione sono ingredienti fondamentali; quello che non esiste si crea, la magia della cucina forgia la materia scomponendola e ricomponendola in qualcosa di nuovo e già conosciuto allo stesso tempo.

PROCEDIMENTO

Partendo da freddo, fare un brodo immergendo in acqua

il prosciutto crudo 24 mesi. Quindi filtrare e sgrassare il brodo: si ottengono circa 250 grammi di brodo lucido.

Fare raffreddare. Ai 250 grammi di brodo aggiungere

16 grammi di agar-agar e idratare partendo da freddo e

portando a bollore. Arrivati a questo punto, inserire nel brodo gelatinato un tubo in acciaio inox in modo tale che la gelatina acquisti la forma del tubo stesso. Il cilindro

gelatinoso ottenuto andrà fatto raffredare e quindi verrà tagliato in tanti piccoli cilindri simulando la forma delle mezze maniche. Porre queste in frigo fino al momento di utilizzarle, in posizione verticale. Nel frattempo fondere le parature del grasso di prosciutto (circa 100 grammi con

40 grammi di olio di semi) in modo tale che, fondendosi,

assuma quel gusto rancido che ricordi poi il sapore esterno del prosciutto. Per la torta fritta

g. 125 di farina, g. 3 di sale, g. 25 di strutto, ml. 70 di acqua, g. 3 di zucchero, g. 3 di lievito di birra. PROCEDIMENTO

Procedere come per una ricetta tradizionale e friggere in abbondante olio di oliva.

Asciugare su carta assorbente. Frullare poi i pezzi di tor-

ta fritta con 80 grammi di ottimo brodo di pollo, fino ad ottenere una salsa fluida ed omogenea. Servire le mezze

maniche tiepide a piacere con la salsa di torta fritta, l’olio

di grasso di prosciutto, qualche goccia di aceto balsamico e dei cubetti di parmigiano. Guarnire a piacere.

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TRECHEFACONFRONTO

VASETTO ASPARAGI E UOVA INGREDIENTI per 6 persone

Per il flan asparagi: g. 100 di uova, g. 30 di tuorlo, g. 350 di crema di asparagi, g. 100 di panna da cucina, sale q.b., pepe q.b.

Per la crema di asparagi: g. 300 di asparagi, 1 cipolla, 1 patata bollita di medie dimensioni.

Per la crema Blu di Bagnoli: g. 150 di panna, g. 150 di Blu di Bagnoli.

Per il tuorlo marinato: 4 tuorli, l. 1 di acqua, g. 200 di zucchero, g. 200 di sale.

Per completare il vasetto: 6 foglie di mentuccia, 12 punte di asparagi verdi, 12 punte di asparagi bianchi.

Cristian

MOMETTI È artefice una cucina contemporanea, sceglie le migliori materie prime e le porta nel piatto usando tecnica ed esperienza per conservarne ed esaltarne il sapore, abbinandole in equilibrio tra gusto e leggerezza. Le cotture, gli abbinamenti, i condimenti, tutto deve far risaltare il prodotto di partenza.

PROCEDIMENTO

Per il flan di asparagi: mescolare tutti gli ingredienti, dividere il composto in sei differenti vasetti “Weck”, cuocere in forno a vapore a 75°C per 35 minuti.

Per la crema asparagi: sbollentare gli asparagi in acqua, frullarli nel mixer unendo la cipolla soffritta e la patata preceden-

temente bollita. Frullare gli ingredienti, setacciare la crema ed aggiustare di sale e pepe.

Sopra il flan aggiungere 30 grammi di crema di asparagi verdi ottenuta sbollentando gli asparagi e frullandoli, aggiustando di sale e pepe.

Per la crema Blu di Bagnoli: far ridurre la panna a fuoco lento, unire il formaggio fuori dal fuoco e mescolare lentamente con una frusta da cucina.

Una volta raffreddata la crema, metterla nel sifone e caricare quest’ultimo con due cariche.

Per le uova quaglia: cuocerle a bassa temperatura a 62°C per 20 minuti.

Per il tuorlo marinato: mischiare sale, zucchero ed acqua; uni-

re i tuorli. Girare ogni 4 ore e lasciar marinare per 12 ore. Una volta trascorse 12 ore risciaquare i tuorli, setacciarli, spalmarli sopra una placchetta ed essiccarli in essicatore. Una volta secchi, frullare fino ad ottenere una polvere grossolana.

Al momento del servizio, riscaldare a 60°C il vasetto per qualche minuto, unire sopra il flan, due cucchiai di crema di aspara-

gi e circa 40 grammi di crema di Blu di Bagnoli sifonata. Sopra

a questo strato porre le punte degli asparagi sbollentate in precedenza, il tuorlo marinato, l’uovo di quaglia e le foglie di mentuccia.

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EVENTI

ORGANIZZATO DA

PESARO

PATROCINATO DA

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Comune di Pesaro

Provincia di Pesaro e Urbino

SETTEMBRE 2017

Il meglio del cibo e del vino con grandi chef di tutte le regioni italiane

Nel cuore della città marchigiana (Piazza del Popolo e adiacenti vie San Francesco d’Assisi e Rossini) i profumi e i sapori dei piatti tipici di tutte le regioni italiane abbinati a grandi vini e alle più prestigiose bollicine. E poi musica, intrattenimento, lezioni di cucina, degustazioni guidate di vini e cene con chef stellati.

www.festivaldellacucinaitaliana.it


FESTIVALDELLACUCINAITALIANA

LA GRANDE CUCINA SCENDE IN PIAZZA Il Festival della Cucina Italiana, dopo avere fatto il giro d’Italia, per la prima volta fa tappa a Pesaro, in Piazza del Popolo, in Via Francesco d’Assisi e in Via Rossini. Appuntamento dal 22 al 24 settembre 2017 con uno degli eventi enogastronomici più rilevanti del Paese, una tre giorni che raccoglie il meglio del cibo, del vino e della cultura agroalimentare, giunto alla 17ª edizione. Una delle caratteristiche del Festival è quella di essere itinerante: negli anni passati è stato ospitato nel Museo della Marineria di Cesenatico, nella città del Tartufo Bianco Pregiato di Pergola, all’Isola d’Elba, a Londra, a Piobbico, a San Benedetto del Tronto, a San Patrignano, a Rimini e a Bologna. Il Festival è coordinato da La Madia Travelfood, oggi inserita nel contesto di Cose Belle d’Italia. (www.cosebelleditalia.com).

FESTIVAL DEL VINO Il vino sarà ovviamente protagonista nella central Piazza del Popolo con tante aziende marchigiane e non, e con spazi dedicati alle bollicine italiane e agli champagne. Nella sala nobiliare affrescata di Palazzo Gradari, in via Rossini, verranno invece ospitate prestigiose degustazioni guidate dal wine manager Alessandro Rossi, e grandi verticali di rossi e champagne.

COSE BUONE D’ITALIA GOURMET STREET FOOD In appositi stand collocati in Piazza del Popolo, gli chef dell’Accademia Nazionale Italcuochi, coordinati da Gianfranco Vissani, preparano i piatti tipici della propria regione di appartenenza, ciascuno in uno stand dedicato. Invece nella Via San Francesco, accesso principale alla Piazza, si possono acquistare formaggi, oli, salumi, tartufi, cioccolato, sottoli e altre specialità, in un’esposizione che privilegia esclusivamente la qualità e che si discosta nettamente dalle offerte tradizionali del cibo di strada.

LE MANI IN PASTA Sotto i portici del Palazzo del Governo sarà possibile imparare a fare la pasta presi per mano dalle Mariette artusiane, storiche “arzdore” che hanno fatto della cucina romagnola un ‘marchio’ di bontà.

LE DEGUSTAZIONI VENERDÌ 22 SETTEMBRE ore 18,30 CHAMPAGNE, STILE ED ELEGANZA - Euro 25 SABATO 23 SETTEMBRE ore 17 GRANDI VITIGNI ROSSI D’ITALIA - Euro 20 ore 18,30 GRANDI METODO CLASSICO ITALIANI - Euro 20 DOMENICA 24 SETTEMBRE ore 17 BIANCHELLO DEL METAURO - Euro 10 ore 19 GRANDI VITIGNI BIANCHI D’EUROPA - Euro 20

VENERDÌ 22 SETTEMBRE ORE 16,30

CONVEGNO

“BIANCHELLO DEL METAURO, LA TRADIZIONE CHE GUARDA AL FUTURO” Prenotazioni sul sito www.festivaldellacucinaitaliana.it

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EVENTI

CENE D’AUTORE Venerdì 22 e sabato 23 settembre, cene esclusive con gli chef Gianfranco Vissani e Davide Oldani, affiancati dai giovani chef del Ristorante Lo Scudiero, Daniele Patti e Matteo Ambrosini.

CENA D’AUTORE

CENA D’AUTORE

GIANFRANCO VISSANI

DAVIDE OLDANI

con gli chef Daniele Patti e Matteo Ambrosini VENERDÌ 22 SETTEMBRE ORE 20,30 Ristorante Lo Scudiero - Via Baldassini, 2 - Pesaro

con gli chef Daniele Patti e Matteo Ambrosini SABATO 23 SETTEMBRE ORE 20,30 Ristorante Lo Scudiero - Via Baldassini, 2 - Pesaro

Aperitivando Margarita, come una patata al forno ripiena di foie gras e fondente di patate, chips al cremoso di gorgonzola e uova di salmone Balik e oliva alla pesarese con cipolla di Tropea e alice di lampara Selezione di Bianchelli del Metauro

Aperitivando Margarita, come una patata al forno ripiena di foie gras e fondente di patate, chips al cremoso di gorgonzola e uova di salmone Balik e oliva alla pesarese con cipolla di Tropea e alice di lampara Selezione di Bianchelli del Metauro

Crudo di carne bovina con solo su un lato farina di buccia di mele carle, spaccasassi Rinci, crema di mandorle amare e a finire spugna di peperone di Artino, puntini di the damman Verve Extra Brut Metodo Classico Oltrepò Pavese - Vigne Olcrù

Triglia “a ghiotta” cremoso di albicocche e zafferano Vino Spumante “Il Mattaglio” Metodo Classico Cantina della Volta

Risotto anni ‘80 con cremoso di mazzancolle, mantecato con burro acido e burro di crostacei, cialda di carapaci e mazzancolle laccate alla salsa Worcestershire Pinot Nero Spumante Metodo Classico - Monsupello Tonno fresco con ragù di pecora e cotto di fichi raggio di scampi battuti con wafer di formaggio di Montebore, tartufo bianco e muschio Verdicchio dei Castelli di Jesi Doc Classico Superiore Stefano Antonucci - Azienda Santa Barbara Mondo di passione (morbido di pistacchio con croccante e visciole) Vino e visciole - Azienda Agricola SiGi Caffè con piccola pasticceria Acqua Galvanina Euro 120

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Risotto, pane, pepe nero e Marsala Virtus Metodo Classico Oltrepò Pavese Vigne OlCrù San Pietro laccato al melograno Soave Classico Doc Monte Fiorentine - Ca’ Rugate Caramello, soffice cremoso, biscotto salato al cacao, gelato di barbabietola e profumo di rosmarino Maximo Marche Sauvignon Igt Passito Botrytis - Umani Ronchi Caffè con piccola pasticceria Acqua Galvanina Euro 120

PRENOTAZIONI: WWW.FESTIVALDELLACUCINAITALIANA.IT


FESTIVALDELLACUCINAITALIANA

SICUREZZA A TAVOLA, SICUREZZA IN FAMIGLIA PREMIO WEB CHEF Per il quarto anno si rinnova il sodalizio con il “Premio WEB Chef”, riconoscimento conferito alle organizzazioni ristorative capaci, nel corso dell’anno, di comunicare la loro identità e il loro lavoro attraverso il mezzo di comunicazione oggi più potente al mondo: internet. A farlo è il portale enogastronomico www.oraviaggiando.it - e lo staff della società Engenia Web Communication farm - a cui è stato ancora una volta conferito il compito di “scandagliare” la rete e nominare i vincitori. Il premio punta i riflettori su un mezzo di comunicazione divenuto in pochi anni sempre più indispensabile, capace di amplificare il “passaparola” e generare nuovo business.

La rete di formatori altamente qualificati di Salvamento Accademy organizza, in collaborazione con La Madia Travelfood, corsi gratuiti, rivolti alle famiglie, per la prevenzione e sicurezza dei bambini in casa, in auto, a scuola, a tavola. Per professionisti, personale addetto alle mense, baristi, etc, organizza corsi per la prevenzione del soffocamento a tavola, la rianimazione cardiopolmonare e l’utilizzo del defibrillatore.

PREMIO NAZIONALE GALVANINA Domenica 24 settembre nella Sala Nobiliare di Palazzo Gradari in Via Rossini verrà assegnato il Premio Nazionale Galvanina, riconoscimento alla Cultura, all’Imprenditoria, al Giornalismo, alla Cucina. Nelle edizioni passate sono stati premiati personaggi dello spessore di Gualtiero Marchesi, Tonino Guerra, Pierluigi Celli, Vittorio Sgarbi per la cultura, Anna Scafuri, Andrea Scanzi, Gioacchino Bonsignore, Bruno Gambacorta, Luigi Cremona, Carlo Cambi per il giornalismo, Carlo Cracco, Gino Angelini, Gianfranco Vissani, Pino Cuttaia, Niko Romito, Gino Fabbri, Moreno Cedroni per la cucina, Saclà, Surgital, Babbi e Callipo per l’imprenditoria - per citare solo alcuni nomi. Quest’anno i premiati sono Davide Oldani per la Cucina, Davide Paolini per il Giornalismo, Antonio Attorre per la Cultura, Fabio Di Gioia per l’Imprenditoria. Premio Speciale del Cuore a Francesca Matacena.

Davide Oldani

Davide Paolini

FESTIVAL E MUSICA Nella città di Rossini è obbligatorio pensare ad un festival gastronomico costantemente abbinato alla musica. Pertanto, in Piazza del Popolo, uno spazio sarà dedicato ai saggi del Conservatorio, a musicisti locali, alle bande, e a momenti di intrattenimento musicale contemporaneo.

Antonio Attorre

Fabio Di Gioia

INFO E PRENOTAZIONI Per tutte le informazioni, prenotazioni cene, degustazioni, corsi ed eventi: www.festivaldellacucinaitaliana.it

INGRESSO LIBERO - ANCHE IN CASO DI MALTEMPO

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ILFOCUSDIALESSANDROMAGNUM

a cura di

Alessandro Rossi esperto di vino, bon vivant, fondatore del Premio “Dire Fare Sognare”

LEGGENDO UN ARTICOLO DI VERONELLI NEGLI ARCHIVI DE LA MADIA MI SENTO DI DIRE, CON ENTUSIASMO:

AVREI VOLUTO CONOSCERE VERONELLI

Durante una giornata in ufficio da Elsa mi viene passato un vecchio pezzo di Luigi Veronelli arrivato in redazione, ovviamente via fax, nel 2000. Elsa me lo aveva passato quasi involontariamente, solo perché narrava di Tchelistcheff del quale ho scritto più volte ed addirittura inciso un “Deep Red Stories”: era evidente per lei che per il sottoscritto il testo sarebbe stato estremamente interessante.

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ILFOCUSDIALESSANDROMAGNUM

E infatti, andando in profondità, mi sono accorto che Veronelli è stato un vero, grande “visionario” e che, pertanto, tantissimi concetti sono più che futuristici e si adattano perfettamente al momento storico che stiamo attraversando (parlo di vino). Vorrei che lo leggeste nella sua forma originale, qui a lato, per far capire quanto, oggi più che mai, egli fosse un uomo del futuro. Estrapolo: ”... il pregio (da pretium, che è pure – ahinoi, fortunati noi – prezzo)... in primis e soprattutto per me, Luigi Veronelli – pregio è il riconoscimento. Mozart, Picasso, un vino (uno, ben determinato), una mela renetta della Val di Rabbi, un’aringa di Bergen (“addolcita” dalla musica di Grieg?) e il risotto alla milanese di Alfredo Valli, hanno la prima delle loro valenze alla singolarità.” Cosa vuole dirci Luigi Veronelli? Che il piacere del vino alla fine è soggettivo e, in quanto tale, la soggettività è fondamentale e va rispettata, sempre e comunque. Non tutti abbiamo lo stesso palato, non tutti degustiamo allo stesso modo, non tutti portiamo la stessa attenzione ad un vino o prestiamo la memoria degustativa nello stesso modo. Ciò non vuol dire che uno è meno bravo di un altro nelle metodiche di degustazione e di giudizio, però c’è chi è più portato e chi lo è meno, ma questo non vale solamente per il vino. Nonostante ciò ogni giudizio, di chiunque, va rispettato, nella democrazia e nella libertà di pensiero.

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ILFOCUSDIALESSANDROMAGNUM

In quest’ottica, comunque, il prezzo, come scrive Veronelli, rappresenta una discriminante valoriale e qualitativa in termini oggettivi e influenza le scelte di ognuno in modo sostanziale in quanto, di per sé, determina una fisiologica scrematura. In pratica nel vino, come in altri prodotti o nelle opere d’arte, il prezzo ne definisce il pregio, nel senso sinestetico di valore. Nel paragrafo a fronte, infine, Veronelli ci racconta della riconoscibilità di un vino, altro argomento spesso scottante, di questi tempi. Io pretendo la pulizia, la tracciabilità e la riconoscibilità in un vino perché voglio captarne la geologia e l’impostazione geografica dettata dalle uve. Questo è quello che voglio da un vino ed è quello che, seppur in altri termini, comandava Veronelli. E’ anche vero che dedurre da una mente complessa come quella di Veronelli, che formulava pensieri di coltissima profondità, è estremamente difficile: spesso e volentieri la nota critica dell’autore costituisce un rimando alla storia stessa del personaggio, che nel caso del grande Gino è stato immenso. Leggendo dunque questo pezzo storico e attualissimo del suo pensiero, Veronelli era, a mio avviso, un uomo del recente passato che teorizzava il futuro.

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VINARIA

TUTTI I VITIGNI DI

UNGHERIA DIVINA TRA CUI PRIMEGGIANO FURMINT E TOKAJI di

Marco Tonelli

Abbiamo gli stessi colori della bandiera, anche se poi le strisce, da loro, sono orizzontali e non verticali come nel nostro caso. Abbiamo in comune un passato legato alla civiltà romana e un presente fortemente connesso ai vitigni autoctoni. Sto parlando delle similitudini tra Italia e Ungheria. Situata nel bel mezzo dell’Europa, questa nazione è molto nota per numerosi aspetti e, in misura minore, per il vino. Dalle nostre parti la viticoltura magiara è addirittura quasi unicamente conosciuta per la disputa sull’utilizzo del nome Tokaji. Era il 2007 quando in Friuli si dovette ribattezzare questo vitigno e i vini che da esso prendevano il nome, con il termine Friulano. Gli ungheresi rivendicarono l’utilizzo del termine, nel loro caso riferito al vino e non al vitigno, spuntandola tuttavia a livello legale in virtù di una tradizione molto più antica rispetto all’impiego del nome. La determinazione ungherese non si manifestò solo in questo episodio, ma anche durante tutta la storia del vino di queste parti, combattendo contro una sorta di proibizionismo imposto dagli invasori musulmani, contro la filossera e contro un regime comunista, anche se più all’acqua di rose rispetto a tanti altri paesi dell’ex blocco sovietico, che ne frenò l’esportazione nel libero mercato per molti anni. La lotta nel mantenere viva la propria identità, ricchissima di varietà autoctone, non si fermò neppure negli anni ’90 del secolo scorso, tanto che numerosi produttori magiari si opposero all’invasione dei vitigni internazionali che, quindi, contaminarono i vini di queste parti in maniera meno rilevante, rispetto ad altre aree vitivinicole europee. Ecco spiegato perciò come qui siano più vive che mai eti-

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chette composte da vitigni dai nomi impronunciabili, ma dal gusto molto riconoscibile. La parte del leone, quantitativamente parlando, la fanno le bacche bianche. Il Budai Zold cresce a est di Budapest ed ha un sapore acido ma fruttato che ricorda la mela verde, mentre invece l’acidità si attenua, a tutto beneficio della parte fruttata morbida, nella varietà chiamata Ezerjó. Continuando nell’elenco, vanno ricordati il Muscat Ottonel, diffuso anche in Alsazia, l’Irsai Olivér (sa di uva fresca e spezie dolci), l’Olaszriesling che non ha niente a che vedere con il Riesling, ma rimane comunque probabilmente la varietà più piantata in Ungheria. Altre bacche bianche? Il Rózsako, il Kabar (il sapore ricorda il tiglio), il Kéknyelu (gusto cremoso), il Királyleányka (varietà originaria della Transilvania), il Szürkebarát (gli acini hanno un colore rosa simile a quelli del Pinot Grigio), il Vulcanus, il Serga Muskòtaly (sinonimo di Muscat à Petits Grains) e quelle che sono le due varietà più famose ovvero il Furmint e l’Hárslevelu. Non mancano tuttavia uve rosse come Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Kardake (buona acidità e poco tannino, molto utilizzato in blend con altre varietà nella zona nord occidentale del Paese, per la produzione di un vino chiamato Sangue di Toro), il Kékfrankos e il Portugieser (uno tra i rossi più coltivati in Europa Centrale). Il vino più famoso rimane tuttavia il Tokaj, anche se i vini secchi stanno facendo passi da gigante rispetto alla propria definizione aromatica e gustativa, compatibilmente con il millesimo, i vitigni utilizzati e lo stile, come dimostra, ad esempio, la scelta produttiva che sottopone all’utilizzo di legno i vini a base Furmint.


UNGHERIA

Proprio questo vitigno, in abbinamento con l’Hárslevelu, dà origine al Tokaji Szamorodni e al Tokaji dolce, così come lo conosciamo tutti. Se la prima categoria comprende vini che, a seconda dell’annata, possono essere dolci o meno (l’affinamento in botti scolme fa sì che si sviluppi un lievito, un po’ come per lo Sherry, che dà al vino uno stile ossidativo), la seconda tipologia è dichiaratamente morbida. Quanto? Il minimo residuo zuccherino da disciplinare è di 120 gr/litro. Come si arriva a tanta dolcezza, dirà qualcuno, specie se la base di partenza del Tokaji è un vino ottenuto da grappoli integri, quindi non appassiti? Prima o durante la fermentazione si aggiungono acini aszú, ovvero botrytizzati, al vino base. La macerazione dura fino a un massimo di 5 giorni e i grappoli aszú sono inseriti in forma di pasta, per evitare che la buccia degli acini appassiti possa rilasciare sensazioni amare. Più sarà alta la percentuale di acini aszú e più dolce sarà il vino finale. L’unità di misura della dolcezza dei Tokaji si calcola in puttonyos ovvero le gerle che si utilizzano per la raccolta dei grappoli. Il massimo della dolcezza di un Tokaji aszú è di 6 puttonyos. Il Tokaji ha un gusto dolce che ricorda l’arancia candita, il miele, l’albicocca, le spezie dolci e tanto altro, il tutto però sorretto da un’acidità che, anche nelle versioni con 6 puttonyos, non rende il vino mai esclusivamente dolce e, di conseguenza, stucchevole. Non fa eccezione il non plus ultra del Tokaji ovvero l’Eszencia (letteralmente essenza o nettare). Si tratta di vini estremamente rari, ottenuti dal mosto che fuoriesce dagli acini aszú. Il mosto è perciò talmente ricco di zucchero che i lieviti in fermentazione faticano a lavorare. Il risultato è perciò quello di un vino dal residuo molto alto, il contenuto minimo di questa categoria è di 450 mg/litro, e dal grado alcolico che non supera il 5% di alcol.

I VINI KIRÁLYUDVAR TOKAJI FURMINT SEC 2013 Quasi 90% di Furmint completato da Hárslevelu, coltivati in regime di viticoltura biodinamica. Profumi di acacia, pompelmo rosa e miele. La grande acidità del Furmint non sbilancia mai il vino in chiave verticale. Finale lievemente fumè, complici, probabilmente, il legno e l’Hárslevelu, vitigno spesso caratterizzato da note affumicate. www.kiralyudvar.com

90/100 DISZNÓKO TOKAJI ESZENCIA 2007 Grado alcolico rasoterra, consistenza quasi da dessert al cucchiaio e un prezzo che rasenta i 1000 euro a bottiglia. Troppo? Tutto sommato no, visto che molto spesso evolve per un secolo o giù di lì. Se, come chi scrive, vorrete commettere un infanticidio, dentro al bicchiere troverete una complessità talmente alta che vi ci vorranno carta e penna per annotare tutti i descrittori. Importato in Italia da Vino & Design (www.vinoedesign.it).

97/100 WENINGER PINCÉSZET KÉKFRANKOS BALF 2015 Il Kékfrankos è una varietà indigena della zona di Sopron, vicina al lago austriaco di Neusiedl. Di fatto quindi la varietà è quella che in Austria è conosciuta come Blaufränkisch, l’azienda ha infatti una cantina anche di là dal confine. Profuma di ciliegia e spezie dolci piccanti. Il duo di sensazioni si ripresenta anche in bocca, che perciò risulta essere succosa, slanciata e ricca di beva. Tannino morbido e ben integrato. Persistenza così così.

85/100

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EDITORE La Madia srl Sede legale: Via E. De Amicis, 53 - 20123 Milano (MI) Sede operativa: Via Pacchioni, 365 - 47521 Cesena (FC) Tel. 0547 23821 - Fax 0547 25809 Internet: www.lamadia.com - E-mail: lamadia@lamadia.com

CONFEDERATION EUROPEENNE

DES GOURMETS La famiglia dei Gourmets europei si è data una nuova dimensione per valorizzare

il piacere

della convivialità e della cultura

enogastronomica italiana

Direttore responsabile: Elsa Mazzolini La Madia srl è parte del Gruppo Cose Belle d’Italia www.cosebelleditalia.com

REDAZIONE Caporedattore: Maria Chiara Zucchi Impaginazione: Andrea Amadori Stampa: D’Auria Printing SPA - (AP) Webmaster: Giorgia Zucchi Redazione e centro di distribuzione in Gran Bretagna: ALIVINI Company Limited - London - Tel. +44 20 8880 2525

COLLABORATORI Domenico Acconci, Giovanni Angelucci, Silvia Bianco, Daniele Briani, Teresa Cremona, Giulia Gavagnin, Giuseppe De Girolamo, Claudia Deb, Maurizio Di Dio, Gianni Di Lorenzo, Fabio Ferrantino, Lorenzo Ferrari, Luigi Filippi, Roberta Filippi, Lucy Gordan, Verdiana Gordini, Carla Latini, Giuseppe Lo Russo, Giovanni Mastropasqua, Antonietta Mazzeo, Alessandra Meldolesi, Claudio Mollo, Alessia Pellegrini, Giacomo Pilati, Alessandro Ricci, Gianluca Ricci, Alessandro Rossi, Simone Rosti, Flavia Tomaello, Marco Tonelli, Primo Vercilli. Fotografi: Nikoboi, Pasquale Spinelli, StudioGraf, Lido Vannucchi Illustratori: Patrizia Zavatti

PUBBLICITÀ

CONTATTI: Romano Lambri - Presidente Cell. 393.9815078 Mauro Marelli - Console della Stampa Cell. 392.3591439 www.cegourmet.eu - info@cegourmet.eu

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