La Madia Travelfood n. 321 - Ottobre 2017

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Mensile Sped. In Abb. Post. - Gruppo III° - 45% - Art.2 Comma 20/B Legge 662/96 - Fil. Forlì - Tassa Pagata - Taxe Perçue - Reg. Trib. Di Forlì N.653 - Del 14/6/84 - Dir. Resp. Elsa Mazzolini - La Madia Srl - Via Pacchioni, 365 - Cesena - Euro 4,00 - In caso di mancato recapito restituire al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa

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DAVIDE OLDANI L’EVOLUZIONE DELLA CUCINA POP

LA MADIA EDITORE

ANNO XXXIII - Ottobre 2017 - N. 321 - €E 4,00 - Direttore ELSA MAZZOLINI




SOMMARIO - LA MADIA TRAVELFOOD n. 321

GOURMETFOOD

di

Giulia Gavagnin

pag. 30

GOURMETFOOD

CRISTINA BOWERMAN

L’evoluzione della cucina Pop.

E la sua cucina melting pot.

di

Flavia Tomaello

Alessandra Meldolesi

pag. 40

DAVIDE OLDANI

GOURMETFOOD

di

VINARIA

di

Marco Tonelli

pag. 88

pag. 72 QUINTONIL

LA SCOLCA

In Messico, questo ristorante rappresenta l’essenza dell’amore per la cucina.

Il suo amore per il Gavi.


La cultura del benessere

Prodotti Eccellenti

La merenda dei bambini

Nocino Terre di Romagna................................................ pag. 28

di Primo Vercilli................................................................ pag. 8

FoodGallery

La scelta vegana

Stefano Cerveni - Ristorante Due Colombe..................... pag. 48

La Gran Bretagna sempre più green

Giovani Talenti

di Silvia Bianco................................................................. pag. 10

Nicola D’Addato

Assaggi di Galateo

di Antonietta Mazzeo....................................................... pag. 54

Missione: salvare il servizio di sala

FashionFood/Oraviaggiando

di Fabio Ferrantino........................................................... pag. 12

Ristorante White

Progettare l’impresa

di Sandro Romano........................................................... pag. 64

L’unico elemento che non deve mai mancare

Prodotti Eccellenti

(e manca sempre) nei piatti sul menù

Patatas Nana

di Lorenzo Ferrari............................................................. pag. 14

di Antonietta Mazzeo....................................................... pag. 78

Prodotti Eccellenti

Chef di Spirito

Dolcelatte......................................................................... pag. 16

Emanuele Vallini

Golavagando

di Sonia Leo..................................................................... pag. 80

Panificio Pascucci............................................................ pag. 18

Vinaria

Terracotta

Il focus di Alessandro Magnum

di Elisabetta Degli Esposti Merli...................................... pag. 20

Tre passi per entrare nel mondo del vino

Casa del Grecale.............................................................. pag. 24

di Alessandro Rossi.......................................................... pag. 86

Area Gluten Free

Il mondo celebra il Malbec

Panadas con carne e piselli

di Flavia Tomaello............................................................ pag. 92

a cura di Marco Scaglione................................................ pag. 26



EDITORIALE di

Elsa Mazzolini

L’ORRENDO PASTO Le aggressioni all’ambiente per me equivalgono a quelle compiute contro le persone. Sfruttamento, mancanza di rispetto e di tutele, violenze, mutilazioni sono termini evidentemente estensibili sia alla terra che all’essere umano. E non saprei definire se non con questi termini ciò che in Italia si continua impunemente a fare contro il suolo pubblico: un orrendo pasto di tre metri al secondo, trenta ettari al giorno, cinquemila ettari mangiati solo negli ultimi sei mesi. E di qui al 2050 – anno entro il quale l’Unione Europea chiede l’azzeramento di consumo del suolo – rischieremo di avere altri 3.400 chilometri quadrati di superficie costruita o cementificata. Un omicidio/suicidio, un disastro i cui unici responsabili sono gli ottomila comuni italiani a cui compete la possibilità di edificazione, il famelico comparto edilizio, nonché il Senato che da oltre un anno frena il disegno di legge sul consumo del suolo. Ora, con tutto quello che c’è da fare per mettere in sicurezza le scuole, salvare i comuni a maggiore rischio sismico o idrogeologico, rigenerare periferie degradate, riqualificare i centri storici, riutilizzare patrimoni storici abbandonati, ancora si continua a rubare la terra all’Italia, a legittimare forme di sfruttamento del tutto anacronistiche e inutili. La cura del nostro territorio e del paesaggio sono il viatico per la tutela stessa del nostro futuro e di quello dei nostri figli. Non permettiamo che gli interessi economici di pochi riducano o azzerino l’interesse collettivo e la speranza di un mondo migliore.

ME

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LACULTURADELBENESSERE

a cura di

Primo Vercilli Medico Dietologo

LA MERENDA DEI BAMBINI TRA SCUOLA, MAMME, INSEGNANTI E CONFUSIONE

Qualche settimana fa un’insegnante (nonché mamma) mi ha posto un quesito: “Nella mia scuola elementare (a tempo pieno) da anni c’è la tradizione della “merenda intelligente”. I bambini cioè non possono portare merendine confezionate, cioccolata, patatine, ecc. (solo 1 volta a settimana c’è merenda libera). Io personalmente sono contraria ad imporre alle famiglie questa linea, perché credo che ogni famiglia debba essere libera circa la questione alimentare. Ma al di là di questo, noi mamme ci siamo però trovate in disaccordo su alcuni alimenti: un panino con prosciutto crudo o un altro affettato è una merenda “non intelligente”? I prodotti fatti in casa (pizza o schiacciatina o biscotti)? I crackers? Siccome nessuna di noi è esperta in materia e i pareri fra colleghe sono discordanti (ognuna ha un suo buon senso, diverso da quello dell’altra), ho pensato di chiedere a te. Mi puoi dire la tua posizione al riguardo?” Questo quesito mi ha fatto inevitabilmente fare alcune considerazioni. Intanto ho notato come l’idea di promuovere un’attività istituzionale in cui si cerca di sperimentare (anche solo per un momento) una sana alimentazione, sia vista come un’imposizione alle famiglie. In secondo luogo, mi lascia un po’ perplesso il concetto di libertà che una famiglia difende di fronte a cosa proporre da mangiare per i propri figli. Per ultimo, la totale confusione che regna tra i genitori (che a volte sono anche in-

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segnanti). La domanda di questa insegnante fotografa in modo serissimo e precisissimo la nostra realtà. E non va minimamente sottovalutata. Direi che, al di là dell’impossibilità di rispondere in modo articolato ed esauriente, il primo punto da chiarire è: voi, se mandate a scuola vostro figlio e la maestra dice che vuole che gli alunni usino la penna nera, il quaderno a righe e stiano zitti durante le lezioni, lo vedete come una imposizione e come una mancanza di libertà? Certamente no. E allora, perché si dovrebbe vedere come imposizione un’iniziativa che cerca (tra limiti e difetti) di far vedere ai bambini che c’è anche un modo differente per far merenda? Ma ancor più preoccupante è l’idea che, invece, la libertà nel proporre cosa mangiare ai propri figli non dipenda da una conoscenza effettiva degli alimenti, ma solo essere libera di fare ciò pensiamo, senza minimamente capire se quello che pensiamo è corretto (obiettivamente corretto) o no. Secondo questa mamma è meglio che ciascuna famiglia venga lasciata libera. Ma libera da cosa? Libera per cosa? La vera libertà implica una conoscenza. E qui di conoscenza ne abbiamo molto poca, tanto è vero che poi, tra di loro, le insegnanti (o mamme che dir si voglia) discutono su cosa sia meglio o peggio. E allora un panino al prosciutto per qualcuno è veleno e per altri è sanissimo. Una torta fatta in casa può essere utilizzata senza problemi, mentre se acquistata “chissà cosa contiene”. Si fa confusione tra la


LACULTURADELBENESSERE

qualità nutrizionale di un cibo (chiaro che se il cibo è industriale può contenere sostanze che noi in casa, fortunatamente, non utilizzeremmo mai) e le proprietà nutrizionali (una torta, che sia industriale o meno, contiene sempre, più o meno, le stesse calorie, lo stesso tenore di zuccheri); siamo noi che vogliamo convincerci che, solo perché è fatta in casa, è “dietetica”. Perché allora non approfittiamo, come genitori, di queste situazioni e proposte istituzionali per informarci di più, invece che irrigidirci e arroccarci sulle nostre posizioni tanto da affermare che vogliamo essere liberi di decidere cosa dare per merenda ai nostri figli? A questa confusione, si associa poi una difficoltà oggettiva di risoluzione del problema. Purtroppo fare una merenda intelligente non è una cosa facile. Anche perché non si capisce quale sia il criterio che porta a dire “questa merenda è sana” e “questa non lo è”. Per la mamma/insegnante che mi ha fatto il quesito fare una merenda intelligente è privilegiare i prodotti fatti in casa. La questione è molto complessa. Dunque: intanto l’apporto calorico di una merenda normalmente non dovrebbe superare le 150 calorie circa. Il motivo per cui tutte le aziende alimentari ormai preparano “merendine” di una certa misura sta nel fatto che offrono un prodotto che sta dentro l’introito calorico giornaliero per quel pasto. Se quindi prendiamo una merendina (o anche delle patatine) noi assumiamo circa 150 calorie. Dove sta il problema? il problema

è che quei cibi sono poverissimi di principi nutritivi e ricchissimi di sodio: abituano il bambino ad un gusto eccessivamente dolce o eccessivamente salato e il bambino alla fine si educa a cercare quel tipo di sapori. Un panino al prosciutto ha più calorie di una merendina e ha anche più sodio rispetto ad una merendina, quindi da un punto di vista nutrizionale non è proprio una merenda intelligente (lo stesso dicasi per una pizzetta). Biscotti? Se i biscotti sono 2-3 (piccoli, ma molto piccoli) allora va bene. Bastano 3 biscotti frollini per raggiungere le 160 calorie (zero fibre e tanto zucchero)…. Una torta fatta in casa, seppur fatta con ingredienti controllati, è una bomba (una fettina equivale a 80 grammi di pasta…). E allora? Purtroppo, l’ideale per gli spuntini rimangono le solite cose: frutta, yogurt, pacchetto di crackers senza sale in superficie. Non ci sono comunque “merende intelligenti”, ma solo un modo intelligente di mangiare che però parte da un presupposto: frutta e verdura vanno prese in 5 porzioni complessive al giorno, possibilmente almeno 1 di queste lontano dai pasti (in modo da garantirsi che almeno 1 merenda sia fatta in modo sano). Una volta che siamo certi di consumare quelle 5 porzioni, ci possiamo costruire intorno tutto il resto!... Ma attenzione: un modo di mangiare intelligente non si trova in internet e non si trova ascoltando le pubblicità. Si trova informandosi adeguatamente e accettando di educarsi in prima persona!

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LA SCELTA VEGANA

a cura di

Silvia Bianco testimonial di cucina vegana

LA GRAN BRETAGNA SEMPRE PIU’ GREEN

Nel Novembre 2016 l’Academy of Nutrition and Dietetics si espresse a totale favore dell’alimentazione vegan (i principali passaggi del loro comunicato sono stati riportati all’interno di questa rubrica sul numero di Aprile 2017 “Alimentazione vegana nello sport”). Il 7 Agosto 2017 anche la British Dietetic Association - una delle organizzazioni più longeve in campo della nutrizione e dietetica (è attiva dal 1936) - ha dichiarato che “wellplanned vegan diets can support healthy living in people of all ages”, le diete vegane ben pianificate possono supportare uno stile di vita sano in persone di tutte le età” (potete leggere il bollettino ufficiale nella sezione “news” del sito www.bda.uk.com). La BDA, già in partnership con la Vegan Society dal 2014, dopo un approfondimento sull’alimentazione vegana, ha rinnovato questo accordo dichiarando che la dieta vegana può essere consumata da adulti e bambini, includendo i periodi di gravidanza e allattamento a patto che l’apporto nutrizionale sia ben pianificato. Entrambe le organizzazioni lavorano a stretto contatto per fornire informazioni ed istruzioni chiare a chiunque consumi o intenda considerare un’alimentazione a base vegetale, promuovendo consulenze attendibili e comprovate sia al pubblico sia ai medici professionisti. Le evidenze scientifiche sono dei pilastri fondamentali per dimostrare su più fronti che la scelta vegana è l’unica possibilità di rinnovamento in termini di sostenibilità etica ed ambientale. Queste significative conferme che ogni giorno riceviamo da un po’ tutto il mondo, hanno contribuito a mettere in “moto” la macchina del cambiamento green proprio in Gran Bretagna. Già nell’articolo di Marzo 2017 “La Salute della terra è la nostra” parlavamo del progetto “Our Planet, Our Health” che vede impegnata in prima linea la catena di negozi alimentari Sainsbury’s, colosso inglese, che in accordo con l’Oxford University ha intrapreso misure specifiche per incentivare la popolazione ad un’alimentazione sempre più a base vegetale con lo scopo di

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proteggere e sostenere il nostro pianeta. Questo progetto di studio che avrà una durata di 5 anni, ha portato a far riflettere anche altre aziende. In agosto ’17 è stata pubblicata la notizia che conferma l’accordo di collaborazione tra la Human Society International UK - organizzazione mondiale per la protezione degli animali - e la Compass Group UK & Ireland, una delle aziende di servizi di ristorazione più grandi del mondo, inserendola nel programma internazionale Forward food ideato dalla Human Society per rinnovare l’attuale sistema alimentare e renderlo più salutare e sostenibile. L’accordo prevede di creare una gamma di ricette 100% vegetali innovative e nutrienti realizzate con il supporto dello chef della Human Society UK, Jenny Chander che è anche un’autrice di libri di cucina ed il Culinary Director della Compass Nick Vadis. Jenny Chandler conduce una serie di corsi per formare gli chef della Compass verso una cucina 100% vegetale, portandoli a creare piatti deliziosi, innovativi ed al contempo salutari. Stando agli ultimi dati emersi dai sondaggi di IPSOS MORI nel 2016 e da Eating Better Alliance nel 2017, è stato dimostrato un aumento del 260% del numero di vegani in Inghilterra negli ultimi dieci anni e che i Britannici non mangiano carne o ne hanno ridotto sensibilmente il consumo per un totale del 44%. Compass serve 15.000 clienti distribuiti in tutta la Gran Bretagna ed Irlanda ed ha ampliato la sua offerta inserendo nei menù le nuove proposte vegan soddisfando l’incremento della richiesta di piatti a base vegetale. Compass svolge così un ruolo importante nella trasformazione del sistema alimentare globale per creare un mondo più sostenibile, sano ed umano. A dimostrazione di quanto siamo in fase di piena innovazione, ad Agosto 2017 è stato inaugurato il nuovo vegan shop on-line britannico NotFrom.com, in grado di soddisfare tutte le richieste di ordini provenienti non solo dall’Inghilterra, ma da tutta Europa. L’azienda è stata fondata da Dana Winner e Peter Birrell,


LASCELTAVEGANA

coppia inglese, entrambi vegan e stanchi di doversi districare tra le decine di voci delle etichette sui prodotti negli scaffali dei supermercati. All’interno dello shop si possono trovare prodotti alimentari di alta qualità, per la casa, i bimbi, il bagno ed i prodotti di igiene personale, tutti senza derivati animali, cruelty free e rispettosi dell’ambiente. Offrono anche una vasta gamma di prodotti senza olio di palma, biodegradabili senza SLS, MIT, parabeni e ftalati. L’obiettivo del negozio è quello di assicurare i propri clienti che i prodotti acquistati hanno il minor impatto possibile sul pianeta, senza doversi preoccupare degli ingredienti. Tutte queste novità che ci toccano molto da vicino ci dimostrano come l’atteggiamento generale sia quello di una presa di coscienza maggiore sulle strade da intraprendere per il nostro futuro.Utilizzando esclusivamente prodotti vegetali si conservano più a lungo le preziose risorse planetarie come l’acqua, si combattono i cambiamenti climatici migliorando il benessere degli animali e tutelando meglio la salute ed il benessere delle persone e dei nostri figli.

SPAGHETTO ALLO SCOGLIO “SCAPPATO” Ricetta del mese di ottobre, che ricorda i profumi del mare e dell’estate passata, donata da Dario Picchiotti, chef del ristorante “Antica trattoria di Sacerno” situato in Via di mezzo levante 2/ b Sacerno di Calderara di Reno (BO). INGREDIENTI per 4 persone

g. 360 di spaghetti, g. 50 di lattuga, 4 fogli di alga Nori, g. 50

di fagiolini di mare, g. 20 di acqua di mare, g. 100 di pomodorini, g. 30 di olive taggiasche, g. 200 di brodo vegetale, olio evo q.b., 1 spicchio d’aglio, peperoncino a piacere. PROCEDIMENTO

Rosolare l’aglio in camicia con il peperoncino, in seguito ag-

giungere i pomodorini tagliati in 4 e cuocere a fuoco lento

Silvia e gli esperti rispondono... Sento tanto parlare di avocado e sino ad oggi non l’ho ancora provato, perché al supermercato la provenienza è quasi sempre dal sud America. Un vegano non dovrebbe contrastare l’acquisto di questi prodotti visto che spesso sono poco ecosostenibili ed etici? Vittoria da Vicenza Sull’eticità della provenienza da oltre Oceano di questi frutti, così come di tanti altri, concordo sul fatto che spesso le modalità di coltivazione e raccolta non rispecchiano i dettami di eticità ed eco sostenibilità. La domanda di questo frutto è talmente aumentata che si è giunti ad un sovrasfruttamento dei territori, con conseguente deforestazione e depauperamento delle risorse idriche; sfruttamento della manodopera con campi di lavoro a bassissimo reddito e senza sosta; popolazioni che vivono in un ambiente devastato con corsi d’acqua inquinati e che vengono private di questo bene primario; per non parlare delle sostanze chimiche che vengono utilizzate persino per bloccare la maturazione durante il trasporto. Tutto ciò che è vegetale può essere tranquillamente consumato sia da onnivori che da vegani; l’avocado non è esclusiva vegana, così come l’essere attenti alla provenienza dei prodotti e quindi alla loro ecosostenbilità ed eticità. Tutti indistintamente onnivori e vegani sono chiamati a a riflettere e a scegliere in modo consapevole e critico nel rispetto dell’ambiente e dell’uomo. Una valida alternativa ad esempio sono le coltivazioni italiane di avocado (ad esempio in Sicilia). Non sono a KM zero, ma sono aziende serie e biologiche che coltivano rispettando le stagionalità e senza effettuare colture intensive.

per 5 minuti (ricordarsi di togliere l’aglio).

Nel frattempo frullare le alghe Nori fino a farle diventare una polvere finissima.

Scolare gli spaghetti al dente e metterli nella padella col

pomodoro; aggiungere il brodo vegetale e terminare la cot-

tura in padella. Quando saranno ben amalgamati col sugo, aggiungere acqua di mare, le alghe tagliate a julienne e le

olive. Emulsionare con olio evo e impiattare un bel nido, infine decorare con la polvere di alga Nori.

Inviate le vostre domande a: lamadia@lamadia.com

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Gala teo ASSAGGI DI

a cura di

Fabio Ferrantino Docente di Galateo presso Bon Ton Academy Professore di Enogastronomia IPSSAR Piobbico

MISSIONE: SALVARE IL SERVIZIO DI SALA RIPARTIAMO DALLE RISORSE UMANE

Per molti chef e patron di ristoranti e alberghi, la sala è il vero problema che si sta acutizzando negli ultimi anni. Spesso la causa è insita nella mentalità della proprietà, ottusa nel comprendere che il servizio di sala è un momento fondamentale di tutta l’esperienza ristorativa. Solo chi percepisce tale concetto si può avvicinare al successo. D’altro canto assistiamo ad una continua richiesta di personale giovane, senza esperienze, da far crescere lavorativamente parlando. Ancor meglio se stagisti da non retribuire. Lavorare in sala vuol dire sviluppare delle abilità che richiedono tempo e svariate esperienze in contesti differenti. In Italia siamo giunti al punto in cui bisogna capire che la soluzione è tornare a gratificare, in termini economici, le persone che sanno abilmente compiere il proprio mestiere. L’imprenditore consapevole deve comprende quanto una differenza economica nello stipendio possa apportare molto più valore nella propria attività.

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Il primo step deve prevedere una selezione mirata e accurata dello staff, che può avvenire da canali diretti che attingono in modo mirato dal settore ricercato o da una scuola di alta formazione. Il concetto di “tailored” che sta avendo successo nel mondo dei servizi, deve essere applicato anche nella ricerca delle risorse umane, in modo da creare una squadra su misura, adatta alla tipologia di servizio che si vuole offrire. L’elasticità mentale nell’approccio al servizio di sala è uno dei requisiti più importanti da ricercare nello staff e ancor più nei capi servizio. È necessario selezionare coloro che vantano svariate esperienze in contesti ristorativi anche distanti fra loro, ma utili a donare quella nota aggiuntiva nel quadro generale. Grande importanza va riposta nei responsabili. Spesso in azienda vi sono persone dello staff direttivo che non sono in grado di prendersi responsabilità. I capi servizio devono avere la capacità di trainare l’intera squadra e coinvolgerla in un’esperienza capace di gratificare ogni


ASSAGGIDIGALATEO

singolo membro della brigata e già questo di per sé rappresenta una grande responsabilità. Per poter compiere questa missione giornaliera è necessario possedere delle importanti doti di leadership. Questo sia per trasmettere la filosofia e la cultura aziendale, sia per vestire l’abito da perfetto intermediario fra la proprietà e lo staff. Non vi è un comparto dell’hôtellerie o della ristorazione che non preveda il gioco di squadra. Tutti i professionisti sanno bene cosa vuol dire convivere e relazionarsi ogni giorno con tutti gli altri componenti del proprio team. È da chi dirige la squadra che devono arrivare gli insegnamenti più importanti; spesso si parte dalla cosa più semplice, dal dettaglio che può apparire insignificante, utile ad avere una visione completa dello standard di servizio. Ci sono video, reperibili anche su YouTube, dove maître del calibro di Denis Courtiade del ristorante Plaza Athénée di Alain Ducasse ci fanno comprendere quanto il dettaglio nel servizio di sala sia fondamentale. Lezioni intere solo su come rispondere ad un cliente o come indicargli dove si trova la toilette. Potrebbe suonare come un confronto eccessivo, ma lo si può rapportare ad un gesto ed un dettaglio di base come il sorriso, apparentemente semplice, ma che in realtà difficilmente può essere trasmesso e percepito come autentico e vero. Un professionista è capace di sfoderarlo solo se crede nel mestiere che sta svolgendo e se l’azienda è stata in grado di inglobare

ogni singola persona del team nel proprio progetto. La passione è la determinante fondamentale. Forse questo requisito è il tesoro che tutti cercano negli aspiranti lavoratori. Quando si parla però di ristorazione, la passione ha una valenza particolare, in quanto lavorare in sala vuol dire sacrificare anche gran parte di ciò che è personale. Un lavoro che mette a dura prova le abilità fisiche e psicologiche dell’individuo. Poi viene lo studio. Di base ci sono elementi inaccettabili che, purtroppo ancora ad oggi, si riscontrano in alcune sale ristorante. Uno per tutti è l’impreparazione dello staff nella conoscenza di ciò che accade anche in cucina. Oggi il cliente è molto più preparato rispetto all’avventore di qualche decennio fa. Conosce bene cosa vuol dire intolleranza, allergia, celiachia, essere vegetariano o vegano. Non ci sono più ospiti sprovveduti neanche quando si parla di vino. Sul versante della comunicazione, si è verificata una mutazione notevole negli ultimi anni, anche grazie all’esaltazione generale della ristorazione da parte dei mass-media. Gli avventori odierni sono più curiosi, ma per poter far esprimere tale curiosità, il cameriere deve essere in grado di creare fin da subito un’empatia che permetta di far esprimere l’ospite a 360 gradi. Il cliente va sempre più coinvolto, in quanto non elemento passivo, ma protagonista dell’esperienza enogastronomica. Per questo il lavoro del cameriere è essenziale. È necessario comprendere che il piatto non viene terminato dallo chef, ma dal servizio di sala.


PROGETTARE L’IMPRESA

a cura di

Lorenzo Ferrari Direttore Marketing di RistoratoreTop

L’UNICO ELEMENTO CHE NON DEVE MAI MANCARE (E MANCA SEMPRE) NEI PIATTI SUL MENÙ

Il lettore avrà certamente presente «La pietà» di Michelangelo, una tra le maggiori opere che una mente occidentale abbia mai realizzato. La perfezione delle forme, delle proporzioni e dei dettagli è tale da renderla una scultura monumentale, ciclopica, ineguagliabile in grandezza, anche a dispetto delle sue modeste dimensioni. Tutte queste caratteristiche hanno contribuito a rendere la Basilica di San Pietro (dove è custodita la scultura) celebre in tutto il mondo, visitata da turisti e appassionati di ogni Paese, età, estrazione sociale e cultura. «La pietà» di Michelangelo ha trasceso il significato di scultura stessa, diventando un’icona, un simbolo e un riferimento per tutta l’umanità. Nonostante la sua fama mondiale, chi scrive crede che il desti-

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no de «La pietà» di Michelangelo sarebbe stato ben diverso se si fosse chiamata «Una Vergine Maria vestita che guarda con disperazione un Cristo morto e nudo che tiene tra le braccia». Astraendo il concetto, chi scrive crede che il destino di un’opera d’arte sia segnato nel momento in cui l’autore confonde il «nome» dell’opera stessa con la sua «descrizione». Se Michelangelo avesse confuso il nome della sua scultura con la sua descrizione, con ogni probabilità oggi non guarderemmo alla sua maggiore creazione con gli stessi occhi, pieni di meraviglia e stupore di fronte a cotanta maestosità. Mi perdoni il lettore se chi scrive passerà in maniera così indelicata dal sacro al profano, ma è per questa ragione che chi scrive si arrabbia – in maniera nemmeno troppo velata – quando, prendendo in mano il menù dei suoi clienti, trova scritto:


PROGETTAREL’IMPRESA

Ravioli di gamberi e seppie con il loro sughetto e verdure fresche, direttamente dall’orto. Cotoletta di maiale con purè di patate e verza e dressing allo yogurt. Mousse di cioccolato fondente con salsa al passion fruit. E via discorrendo. Insomma, chi scrive si arrabbia in maniera furente quando i fautori di quei menù confondono il «nome» delle loro opere d’arte con le loro «descrizioni». Perché sì, ogni piatto che viene scelto per l’inserimento sul proprio menù dovrebbe essere visto - innanzitutto dal suo creatore - come un’opera d’arte, come una creatura inimitabile, senza tempo e destinata a durare in eterno tra le pagine del proprio menù e tra i ricordi dei propri ospiti e clienti. Ma una domanda sorge spontanea: se non è in grado di riconoscerne il valore, l’importanza e l’unicità nemmeno il suo creatore o il suo ideatore, come potranno riconoscerne il valore, l’importanza e l’unicità i suoi clienti? Se sul menù ogni piatto non ha un nome, si sta compiendo un grave errore. Perché se ne sta segnando il destino.

E a parere di chi scrive, è un destino infausto, sfortunato e… breve. Si sta infatti tagliando loro le gambe, spegnendo sul nascere ogni possibile scintilla di interesse da parte dei clienti, dei media. Si sta privando ogni piatto della possibilità di sviluppare passaparola, memorabilità e stupore. Si pensi a piatti iconici della cucina contemporanea italiana, come il famosissimo Tonno Vitellato di Antonino Cannavacciuolo, o il Cyber Egg del controverso Davide Scabin, fino al Ricordo di un Panino alla Mortadella dell’inarrivabile Massimo Bottura. Il lettore non crede che il loro destino sarebbe stato ben diverso se i loro autori avessero confuso il nome con la descrizione? Chi scrive crede proprio di sì. …Ogni opera d’arte che si rispetti, e che ha fatto la storia dell’arte, ha prima di qualsiasi altra cosa un NOME. Un nome evocativo, emozionante, simbolico. Un nome che racchiude al suo interno tutto il significato, tutto il valore e tutta l’importanza dell’opera. Per questi motivi, ogni piatto che viene inserito sul menù, se si vuole che faccia la propria storia, la storia del proprio ristorante e - perché no - quella della cucina tutta più in generale, DEVE avere un nome. DEVE. Buon lavoro.


PRODOTTI ECCELLENTI

ALLA PROSSIMA EDIZIONE DI MILANO GOLOSA IL DEBUTTO UFFICIALE DI

DOLCELATTE

L’IMPAREGGIABILE DOLCE NATO SOTTO LE STELLE DI MEZZANOTTE In occasione dell’importante appuntamento di Milano Golosa (14/16 ottobre), la manifestazione enogastronomica che per la sua sesta edizione punta i riflettori sui migliori prodotti del territorio, sarà presentata ufficialmente Dolcelatte: la nuova crema universale prodotta solo con latte di alta qualità di montagna dal gusto amabile, che trova sempre più consenso grazie anche alle sue proprietà nutritive. Ricca di proteine ma povera di calorie, Dolcelatte è infatti creata artigianalmente tra le vette delle montagne, esclusivamente con ingredienti naturali accuratamente selezionati e priva di

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conservanti. Dolcelatte nasce in un antico castello francese dall’idea della padovana Laura Casali che, dopo averne ritrovato l’antica ricetta nelle cucine del castello, nel centro della Francia dove viveva con il marito Umberto, l’ha reinterpretata e riadattata ai gusti moderni ed internazionali cominciando a farla assaggiare a parenti e amici, quasi per gioco. Fatta raffreddare ogni sera sotto le stelle fuori dalla finestra della cucina dell’antica dimora solo dopo mezzanotte, Dolcelatte diventa per Laura un progetto, una sfida, un sogno da realizzare, magari aiutata proprio dalla stessa magia di


DOLCELATTE

quelle stelle che ogni sera illuminavano le confezioni casalinghe dell’imprenditrice. Con un bagaglio di commenti entusiasti e positivi, una volta tornati in Italia, dopo una serie di eventi negativi legati alla crisi finanziaria internazionale (culminati con un gravissimo incidente d’auto dove hanno messo a rischio la loro vita), Laura, con il marito Umberto, hanno dato avvio alla produzione, appoggiandosi al noto caseificio di Asiago Pennar per l’acquisto del latte. Alla base della ricetta oggi c’è esclusivamente sempre e solo latte di montagna di alta qualità di malghe venete e trentine, proveniente solo da bovine autoctone sopra i 600 metri d’altezza, che utilizzano superfici foraggere gestite secondo le norme di tutela della biodiversità vegetale, con una

forma di alimentazione volta a creare virtuose e innovative filiere lattierocasearie che ne esaltino le riconosciute proprietà nutraceutiche. Una materia prima, perciò, unica e originale, dotata di filiera completa, a km. 0, che viene messa nei cuocitori assieme alla vaniglia comprata direttamente in Madagascar e altri aromi naturali che sono alla base della ricetta segreta. oggi all’origine di vari brevetti internazionali. Dolcelatte è, per tutti, unica ed universale, come l’ha definita il noto guru

del food Paolo Massobrio. Ecco perché! Dolcelatte ha dato origine nel tempo già a due brevetti internazionali e ad un importante stabilimento produttivo a Luserna in provincia di Trento sull’Alpe Cimbra che occupa già diverso personale nelle varie aree di business. Gli utilizzi di Dolcelatte sono tra i più vari, oggi raccolti tutti in un importante libro di Ricette realizzato in modo sempre innovativo da Laura e Umberto: ecco perché rappresenta una valida alternativa alle comuni creme al cucchiaio in commercio. Oggi disponibile in vari gusti che richiamano famosi distillati come grappa, mandarino, prugna sempre di altissima qualità o i più famosi whisky, rum, cognac, la crema può essere spalmata su pane caldo e fette biscottate, ma anche utilizzata come guarnitura di dolci da forno in genere. • I bambini l’adorano per la merenda pomeridiana; • Gli sportivi la scelgono per avere energia prima delle competizioni; • Grazie alle sue caratteristiche nutrizionali ed in particolare nella versione con dolcificanti naturali, Dolcelatte è il prodotto dolce di riferimento innovativo negli ospedali, specifico per le persone diabetiche ed ipertese all’interno di programmi alimentari dietetici; • È amata dagli chef come guarnizione per dolci, pandori, panettoni, pasticcini e soprattutto come “top” di gelati, yogurt o crepes. • Si gusta perfettamente abbinata a formaggi saporiti durante una cena o un aperitivo, magari per accompagnare un bicchiere di vino d’annata fresco. Proposta ancora principalmente online, ma presto distribuita a livello nazionale attraverso una propria rete di punti vendita e rivenditori certificati - nelle varie confezioni anche regalo finite con la gommalacca e con il sigillo

OFFICINE DOLCELATTE S.R.L. Piazza Marconi, 10

38040 Luserna (TN) Tel. 393 9152811

www.officinedolcelatte.it

del castello dove tutto è nato - è ideale per il consumo quotidiano domestico. Dolcelatte è perfetta durante la prima colazione sul pane o con lo yogurt, ma anche accanto ad un formaggio saporito gustata con il cucchiaio davanti alla televisione sul divano con la famiglia e gli amici. “Non c’è niente di meglio di un amico che ama Dolcelatte”, usa ripetere Laura nel suo chalet in una notte stellata.

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GOLAVAGANDO

CALORE E COLORE DEL PANE AL

PANIFICIO PASCUCCI DI ROMA

PANIFICIO PASCUCCI

Piazza Giureconsulti 38, Roma Studio design e progettazione Costa Group

Arch. Gianfranco Berghich

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Non solo pane. E’ nello spirito del panificio di ultima generazione che ha aperto le porte il nuovo spazio Forno Pascucci a Roma. Forno, caffetteria e gastronomia “all in one”, per un’offerta variegata e destinata a soddisfare ampie fasce di clientela e accompagnare un gesto estremamemente naturale, come quello di comprare il pane. Con un occhio di riguardo a prodotti di qualità e autentiche eccellenze, come la bufala cilentina, o i ricchi taglieri che conducono all’aperitivo. Settanta metri quadri che ragionano in grande, per un’offerta modulata su tutto l’arco della giornata, scandita dalle delizie del palato e dalla convivialità della clientela. Pane, pizza, focaccia e prodotti da forno, torte dolci e salate, la “frutteria”, dedicata a centrifughe e insalate, e il laboratorio a vista, in fondo al locale, cuore pulsante di tutto lo spazio. A caratterizzare l’ambiente, un’ azzeccata rincorsa di colori, materiali e forme,


PANIFICIOPASCUCCI

abilmente interpretati da Costa Group, giocando con le sfumature dei prodotti. Legno, rame e ceramica si alternano e si ripetono restituendo tanto il colore quanto il calore del pane. E un’originale installazione di vecchi fiaschi per il vino a tutta parete diventa l’elemento caratterizzante di una scenografica composizione con protagonista assoluta la qualità, a ricordare che, come dice il proverbio, “chi ha pane e vino sta meglio del suo vicino”. Il risultato è un locale di raffinata semplicità, unico e moderno al tempo stesso: senza tempo. E così, Pascucci non è più soltanto sinonimo di qualità, ma anche di uno stile, capace di esaltare bontà e bellezza.

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GOLAVAGANDO

A BOLOGNA

TERRACOTTA LE NUOVE FORME DELLA TRADIZIONE di

Elisabetta Degli Esposti Merli foto di Niko Boi

Qual è il posto che per antonomasia è maggiormente vocato alla degustazione di un piatto? La cucina, no? Lì si percepiscono gli odori, si sentono i suoni, si vedono le scintille elevarsi dai fuochi. Al ristorante “Terracotta” succede un po’ questo. In realtà non ci si trova esattamente nella cucina da dove escono i piatti, ma ci si siede in quelle che furono le cucine del Palazzo Stella, un edificio del Settecento appartenuto alla famiglia Stella e che nel tempo è stato convento, ospedale, nonché sede municipale. Del palazzo si sono salvate dai bombardamenti del secondo conflitto mondiale solamente le cucine: i tavoli sono disposti in queste sale, tra il camino e i fornelli (quelli in muratura che funzionavano con il fuoco vivo sotto) che deliziarono probabilmente i palati dei signori della zona. Entrando negli spazi del ristorante si percepisce fin da subito una certa energia data dalla vocazione del posto: la cucina ha resistito nel tempo e ora il custode dei saperi e dei sapori di questo luogo è Alessandro Atzori, il giovane chef alla guida di “Terracotta”.

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TERRACOTTA

Le sue origini sono ben radicate in Sardegna, l’accento non tradisce, così come alcuni sentori e odori che ritornano nei suoi piatti. Da queste radici si sono sviluppati rami che hanno sorvolato il mare per attecchire prima in Lussemburgo e infine, dopo alcune peregrinazioni, a Zola Predosa, nel territorio bolognese. Da ogni luogo ha trattenuto qualcosa: le tecniche della cucina francese dall’esperienza lussemburghese, l’amore per la terra da quelle bolognesi. Alessandro ha seguito la sua vocazione ad esprimersi con il cibo, appoggiato e spronato da Annalisa (foto in alto a destra), moglie e maître di sala. Autodidatta, ha fatto sue le esperienze culinarie che ha appreso nelle cucine in cui è transitato, per poi decidere di raccontarle e metterle nel piatto in base alla sua propria idea e ispirazione. Come si fa per la terracotta, così Alessandro fa con il cibo, impastando l’argilla della territorialità con l’acqua della creatività, per poi cuocerla nel forno della tradizione con tecniche al passo coi tempi. Grandissima importanza è data alla scelta dei prodotti: la stagionalità prima di tutto, la qualità e la tracciabilità seguono a ruota, così come l’appartenenza a un territorio ben definito.

Alessandro va di persona dai fornitori, ci chiacchiera, si confronta con loro, per poi tornare al ristorante con ingredienti freschi ed eccellenti. Numerosi i presidi Slow Food in carta, tra cui il Salmerino del Corno alle Scale. Le carni, invece, provengono da allevamenti non intensivi (ma, anzi, dove gli animali vivono allo stato brado), mentre per la frutta e la verdura lo chef si rivolge alla fattoria sociale “Il Biricoccolo” di Crespellano o alla “Copaps” di Sasso Marconi. E come il contenuto è accuratamente selezionato, così anche il contenitore: le creazioni culinarie di Alessandro sono servite in ceramiche dalle forme e toni minimali, che offrono un neutro scenario ai colori, odori e forme del piatto (“Ceramiche Bucci” da Pesaro). I tavoli, apparecchiati con semplicità ed eleganza essenziale (per fortuna non mancano le tovaglie e i tovaglioli di stoffa, questi grandi desaparecidos nei ristoranti fashion e di avanguardia) sono il frutto del lavoro artigiano di Nicola Bonettini, di Zola Predosa.Un vivace ma educato swing jazz fa da sottofondo musicale e pare quasi provenire dal bellissimo giradischi anni ’70 situato all’ingresso del locale, su cui è piazzato un ottimo 45 giri di

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GOURMETFOOD

Fred Buscaglione. Il tutto va a comporre un’atmosfera intima e calda, ideale per una serata a due, ma che si presta perfettamente anche a un incontro di lavoro o una cena tra amici. Cosa si mangia esattamente in questa cornice così ben curata? Tra gli antipasti da segnalare la cheesecake salata allo stracchino su crumble alle erbe con verdure di inizio autunno e l’elegante battuta al coltello di cervo con tuorlo d’uovo al vapore, gambi di rapa rossa sottolio e rucola (chi ha origini contadine noterà le foglie bucherellate segno del suo essere “vera rucola e spontanea”). A seguire ci si può immergere, insieme ai passatelli, in un brodo di trombette dei morti che portano direttamente a contatto con la terra, oppure si può scegliere di crogiolarsi tra i succulenti gnocchetti di patate con porcini e sentore di aglio (per fortuna Alessandro toglie l’aglio dall’olio o dal burro prima che le alte temperature ne alterino il sapore). Nel petto d’anatra con pere grigliate e terra di cacao si vede il riflesso di Alessandro che plasma la tradizione come fosse argilla, mentre nella scioglievolezza della pancetta di maiale cotta 12 ore a bassa temperatura e servita con zucca e

TORTA DI MELE INGREDIENTI

Per la frolla: g. 250 di burro, g. 250 di zucchero, g. 250 di mandorle, g. 320 di farina.

Frullare mandorle, zucchero e farina fino ad ottenere una polvere finissima. Impastare col burro. Stendere su un silpat e cuocere a 165°C per 25 minuti a mezzaventola. Sbriciolare e seccare in forno a 70°C per 25 minuti.

Per la mela: kg. 1 di mele sbucciate e pulite, zucchero q.b.

Tagliare le mele a cubi irregolari, condire con poco zucchero e mettere sottovuoto. Cuocere a 80°C per 1 ora.

Per il caramello: g. 220 di zucchero, g. 220 di glucosio, g. 500 di panna, g. 180 di burro.

Cuocere zucchero e glucosio fino ad ottenere un caramello scuro, deglassare con la panna

calda mescolando con la frusta. Fuori dal fuoco incorporare il burro e lasciar raffreddare. REALIZZAZIONE DEL PIATTO

Creare nel piatto dei punti di crema al caramel-

lo, disporre dei cubi di mela cotta e coprire con la frolla sbriciolata.

sale al mirto si trova la maestria di una eccellente esecuzione. Per chi si astenesse dal mangiare carne, consigliatissima quella che definirei “la cipolla essenziale”: 3 ingredienti (cipolla, parmigiano, sale) rielaborati e serviti nella stessa cipolla. Pura metonimia. Si chiude in dolcezza con il conforto di un piatto che ha tutti gli odori, consistenze e sapori di una torta di mele, ma non lo è: mele confit, caramello e streusel. In realtà non è del tutto finita; non ci si alza infatti, dal tavolo senza aver assaporato uno dei caffè in carta: dal “Samac”, con aromi di cioccolato, frutta secca e agrumi, al “Decaffeinato Honduras”, ideale per la sera e ottimo da accompagnare con un buon distillato. Tutte le miscele

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TERRACOTTA

GNOCCHI DI PATATE porcini e infusione d’aglio INGREDIENTI

Per gli gnocchi: kg. 1 di patate, g. 50 di burro, 5 tuorli, g. 300 di farina, sale q.b.

Cuocere le patate, sbucciarle e passarle al setaccio. Impastare con burro e tuorli e, solo a impasto freddo, incorporare la farina. Correggere di sale e formare gli gnocchi. Per l’infuso d’aglio: g. 50 di olio extravergine, g. 50 di burro, 3 spicchi d’aglio.

Schiacciare l’aglio e metterlo in un vaso di vetro alto e stretto con olio e burro. Passare in microonde a massima potenza per 30 secondi senza coperchio.

Per il prezzemolo liquido: g. 250 di prezzemolo sbianchito, acqua minerale q.b., Xantana q.b.

Passare al Thermomix il prezzemolo aggiungendo

RISTORANTE TERRACOTTA

Via Roma, 2 - Zola Predosa (BO) www.terracottaristorante.it info@terracottaristorante.it

Menù degustazione: 5 portate 45€

provengono dalla torrefazione artigianale “L’Albero del caffè” di Anzola dell’Emilia. L’interessante sfida di questo giovane cuoco è quella di voler dare una veste diversa alla tradizione e al territorio, in base alla sua ispirazione, senza eccessi. L’essere in periferia, fuori dal centro, aggiunge pepe alla sfida: Alessandro ambisce ad avvicinare il pubblico locale, quello che probabilmente guarda Masterchef ma non sa di avere sotto casa una persona che ogni giorno sperimenta alchimie e combinazioni di sapori. E questo pubblico emergente sta cogliendo la sfida e apprezzando il nuovo di una tradizione che non deve restare natura morta, ma che ha la missione di crescere e mutare, come mutano i tempi.

acqua se necessario.

Filtrare e addensare con xantana. REALIZZAZIONE DEL PIATTO

Ingredienti: g. 500 di porcini a lamelle, sale q.b.

Cuocere le lamelle di porcini in padella con qualche cucchiaio d’acqua e poco sale.

Cuocere gli gnocchi in acqua bollente salata, scolare e versare in padella. Mantecare con l’infusione d’aglio. Disporre nel piatto accompagnando con qualche goccia di prezzemolo liquido.

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GOLAVAGANDO

AD ACIREALE

CASA DEL GRECALE È IL LUOGO IDEALE PER RICEVIMENTI Una “Casa” incantevole, incastonata nello splendido scenario della Timpa di Acireale, che celebra la Sicilia di eccellenza con garbati e affabili modi di altri tempi. Due le parole chiave: bellezza e tradizione. Una formula che rappresenta il connubio perfetto che ha guidato La Casa del Grecale verso i più elevati livelli dei ricevimenti di Sicilia, permettendole di collocarsi tra i dieci luoghi più belli e suggestivi d’Italia dove organizzarli e di ottenere la prestigiosa qualifica di Organo Ufficiale dell’Università degli Studi di Catania, per quanto concerne il cerimoniale e la ospitalità di Sicilia. Regola fondamentale è quella del “Mangia comu parri”, una ristorazione fatta di appartenenza territoriale, di ricerca di antiche preparazioni, di materie prime eccellenti, di grandi maestri cucinieri siciliani e di una organizzazione meticolosa per la preparazione “in Ca-

© Giovanni Federico

sa” delle specialità di Sicilia. Notevole la cura dei dettagli e degli oggetti presenti nelle sue sale interne, spaziose e raffinate, e dalla suggestiva terrazza esterna ricca di vegetazione mediterranea e che si affaccia sul mare degli eroi epici. Spazi, sapori e profumi da considerarsi come un vero e proprio privilegio: la villa si dedica ad un solo ricevimento al giorno, garantendo così ai futuri sposi l’utilizzo dell’intera struttura assegnata in esclusiva. LA CASA DEL GRECALE Via Santa Caterina, 51 95024 Acireale (CT) Tel. 095 605105

www. lacasadelgrecale.it info@lacasadelgrecale.it

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AREA

di

Marco Scaglione

www.marcoscaglione.it

ph ® Iuri Niccolai

Panadas

con carne e piselli INGREDIENTI per 6 persone g. 250 di mix pane e focaccia senza glutine, g. 120 di acqua, g. 70 di strutto, g. 3 di sale fino, g. 10 di olio extravergine. Per il ripieno: g. 100 di macinato di manzo, g. 100 di macinato di maiale, 1/2 cipolla bianca, g. 50 di lardo tagliato a listarelle, g. 60 di piselli congelati, g. 50 di pomodori secchi, 1 ciuffo di prezzemolo, sale fino, pepe nero macinato, olio extravergine d’oliva. Tempo: 1 ora e 20 minuti più riposo - Difficoltà: Facile PROCEDIMENTO In un tegame abbastanza capiente fare soffriggere nell’olio la cipolla tritata finemente in precedenza; aggiungere i due macinati di carne. Dopo qualche minuto a fuoco non fortissimo aggiungere i piselli, i pomodori tagliati a listarelle e il lardo e lasciare rosolare qualche minuto; ammorbidire eventualmente il composto con un po’ di acqua per non renderlo troppo asciutto.

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Nel frattempo preparare la pasta con il mix e lo strutto ammorbidito, il sale e l’olio; impastare fino ad ottenere un impasto uniforme ed elastico che lasceremo riposare 30 minuti in frigo coperto con della pellicola. Prendere la pasta e cominciare a tirarla con il mattarello, in modo da ottenere una sfoglia sottile: con un bicchiere, una tazza o un tagliapasta ricavare dunque tanti dischi, di numero pari. A questo punto si può procedere in due modi: utilizzando delle coppette dove adagiare il disco inferiore, riempirlo con del ripieno, sovrapporre l’altro disco e chiudere il tutto, saldando i bordi arricciandoli verso l’interno; oppure solo con le mani, senza l’aiuto delle coppette, mettere del ripieno nel disco inferiore, alzarne i bordi per dare al disco forma cilindrica, sovrapporre un altro disco di pasta a mo’ di “coperchio”, saldandone bene i bordi e arricciandoli verso l’interno. Disporre le panadas così ottenute in una teglia; prima di cuocere sbattere un uovo con i rebbi di una forchetta, spennellare le panadas ed infornarle a 180°C per 25 minuti: saranno pronte quando la pasta si colorerà uniformemente.



PRODOTTI ECCELLENTI

NELLA NOTTE DELLE STREGHE NASCE IL MIGLIOR

NOCINO

IN COMMERCIO. ED È ROMAGNOLO. Un colore limpido, bruno scuro, un sapore delicato, amabile con un finale suadente, quasi melleo. Sono queste le caratteristiche del Nocino Terre di Romagna prodotto dall’azienda agricola forlivese San Martino con le noci di Romagna di altissima qualità della varietà Chandler. La realizzazione avviene secondo la più antica tradizione contadina caratterizzata da un misto di storia e leggende. Se le prime fonti storiche trovano traccia del nocino già in documenti romani antichi in cui si parla di “uno scuro liquore di noce” bevuto nelle notti di mezza estate, i racconti popolari hanno contribuito a creare un alone di leggenda intorno alle fasi della preparazione del liquore. Nel rispetto di tutto ciò, le noci con cui si produce il Nocino Terre di Romagna vengono raccolte quando il guscio non è ancora formato ed il mallo è ancora perforabile da un ago. Le noci, seguendo la tradizione, vengono raccolte nella notte di San Giovanni, fra il 23 e il 24 giugno, la “notte delle streghe”, per essere poi tagliate e messe in infusione in alcool dove restano a macerare per circa un anno, alla fine del quale il prodotto viene separato dalla parte solida, aggiunto in zucchero e miscelato con sapienza assieme ad al-

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cune erbe aromatiche quali i Chiodi di Garofano, la Cannella e il Coriandolo. Dopo un ulteriore anno, il Nocino viene filtrato e imbottigliato per poi essere affinato in bottiglia per almeno 12 mesi prima della commercializzazione. “Il nocino di Romagna nasce dal desiderio di creare un prodotto tipico del territorio – spiega Alessandro Annibali, AD Azienda Agricola San Martino e New Factor (foto pagina accanto) – Viene prodotto dalle noci di alta qualità della Azienda Agricola San Martino all’interno del Progetto Noci di Romagna. Un progetto nato 18 anni fa per iniziativa delle nostre aziende - la stessa San Martino e New Factor - e che oggi conta più di 150 ettari di terreni di cui oltre 35 ettari avviati nell’ultima stagione, con importanti investimenti che vedono coinvolte aziende agricole di Forlì, Faenza e Ferrara e con l’obiettivo di arrivare al 2020 a 300 ettari impiantati. 3 le varietà sviluppate: Chandler, Howard e Lara. È la prima a essere stata scelta come materia prima di eccellenza per produrre dal 2010 2.000 bottiglie all’anno del nostro prezioso infuso”. Il Nocino Terre di Romagna viene prodotto con le noci provenienti dai noceti


NOCINO

della San Martino da una azienda a conduzione familiare che da 3 generazioni produce il miglior nocino in commercio. Un prodotto quindi di alta qualità riconosciuta e piena espressione della tradizione delle terre di Romagna come ha detto Pellegrino Artusi, il noto gastronomo letterato originario di Forlimpopoli, che ha per primo esaltato il valore del prezioso infuso creando una ricetta per la sua realizzazione. Un prodotto che dovrebbe avere un posto di maggiore rilievo sulle tavole nella nostra regione. “Auspico che quanto prima i nostri ristoratori – aggiunge Annibali – inizino a portare in tavola a fine pasto il Nocino come prodotto del territorio, testimone

della nostra storia e tradizione. Facciamo diventare le nostre tavole sempre più “local”, lasciamo alle regioni le loro specialità, alla Sardegna il mirto, alla Campania il limoncello, alla Calabria la liquirizia e iniziamo a promuovere quello che abbiamo la fortuna di avere nel nostro patrimonio eno-gastronomico e che ci differenzia rispetto agli altri, come il Nocino appunto, con il suo gusto così distinto e unico”.

Insieme al Nocino Terre di Romagna l’azienda San Martino, produce altri prodotti con le sue noci pregiate: la Crema di Noci Verdi, ideale con i formaggi stagionati ed i Gherigli di noce sciroppati, perfetti per guarnire dolci e gelati. Inoltre a breve arriveranno un Cremino con gherigli di noci all’interno, e le Praline ripiene di nocino affidate alla sapienza e all’abilità del grande cioccolataio di Forlì Gardini, che dista pochi km dai noceti della San Martino.

AZIENDA AGRICOLA SAN MARTINO Via Persiani 61

47010 San Martino in Strada (FC)

Tel. 0543 48 20 75 - Fax 0543 48 20 75 www.azienda-sanmartino.it info@azienda-sanmartino.it

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GOURMETFOOD

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DAVIDEOLDANI

NELLA SUA NUOVA “CASA”

DAVIDE OLDANI COMPIE L’EVOLUZIONE DELLA CUCINA POP di

Giulia Gavagnin

L’UOMO DI LEONARDO IN VERSIONE POP Se Davide Oldani non fosse un cuoco ma un’opera d’arte, fino ad oggi lo si sarebbe identificato con un quadro pop di Andy Warhol, per aver reso pop, popolare, anche la cucina d’autore, così come l’artista statunitense aveva reso le sue opere “consumabili” alla stregua di un qualsiasi altro prodotto commerciale. Ma oggi Oldani evolve la sua dimensione professionale che, nella piena maturità, compie quel movimento di perfetta circolarità che lo assimila all’Uomo Vitruviano di Leonardo Da Vinci: inscritto nelle due figure perfette del Cerchio che rappresenta il Cielo e del quadrato che simboleggia la Terra, icona della (faticosamente) ricercata proporzione aurea, in cucina come nella vita. Il Cerchio simboleggia, ovviamente, la Cucina Circolare. Per Davide Oldani la circolarità è da sempre un mantra, un inizio, una fine. Non è soltanto la filosofia alla base del suo percorso gustativo, che alla maniera di una gara Ciclistica (anche questa, grande passione dello chef, inizia con la lettera C) comincia la salita con un antipasto che presenti almeno un elemento dolce, prosegue con il primo, raggiunge la vetta con il secondo e scende con un dolce che sia anche un po’ salato. E’, soprattutto, la metafora della sua vita, per usare le parole dello stesso Oldani, “un sentiero che non finisce mai”, la strada verso la felicità in cui “la libertà è il faro”, “la via per la realizzazione dei propri sogni”. Il simbolo di questo percorso esistenziale è la celeberrima, iconica Cipolla Caramellata con Grana Padano caldo e freddo, riassunto di sfericità, tradizione italiana e cucina pop, diretta a tutti.

IL CERCHIO E LA SPIRALE Eppure, nella cucina di Davide Oldani, non c’è solo Cielo, teorie, idee. C’è anche Terra, intesa come materia e sostanza. Quest’anno lo chef compie cinquant’anni. Il suo percorso è ormai giunto alla piena maturità e può essere metaforicamente rappresentato dalla spirale disegnata sull’altro grande piatto iconico del D’O, Zafferano e riso alla milanese, perfetto esempio della sua cucina “del levare” nella quale il riso non viene nemmeno più tostato. La spirale, a differenza del percorso circolare, disegna un punto di partenza e uno di arrivo. Il punto di partenza è la testarda laboriosità da “calvinista milanese” che è insita nel carattere di Oldani, il suo bruciante desiderio di vincere e non di partecipare, l’ardente volontà di essere capitano

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GOURMETFOOD

di una squadra che lavora in perfetta sinergia (di uomini vestiti di bianco e non in nerazzurro, dice spesso con una punta di rammarico). Il percorso è la ricerca della materia prima, rigorosamente di stagione e possibilmente a km. zero per garantire l’assoluta freschezza del prodotto all’ospite; è lo studio delle assonanze e dei contrasti, l’esaltazione del sapore di ingredienti che, se non lavorati e trattati in modo corretto e rispettoso non potrebbero esprimere il loro potenziale. Il punto di arrivo è, naturalmente, il D’O, nella sua nuova sede di San Pietro all’Olmo di Cornaredo, in quella che Oldani, dopo tortuosi viaggi e duri apprendistati, chiama “casa” e dalla quale non ha intenzione di uscire. Nella “casa” ogni oggetto è studiato per creare sinergia con il percorso gustativo, dalla sedia denominata MIaccomod’O (c’è Milano, una seduta adatta alla digestione e, naturalmente, il nome onnipresente del ristorante) all’ormai celeberrimo

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passepartout, la posata una e trina che spedisce in soffitta le stoviglie d’argento delle tavole aristocratico-borghesi del secolo scorso. Infine, nella “casa”, l’estetica è definitivamente diventata etica, ogni ingrediente è selezionato e trattato in modo da non generare sprechi, per un progetto di sostenibi-

lità globale che sia anche educativo e persino solidale: ”una delle regole nella mia cucina è pensare e pesare. Fare la spesa giusta, usare i cibi di stagione. Poi per me cucina etica è aiutare chi non ha la possibilità di avere un pranzo o una cena. E farlo con il cibo fresco, non con gli avanzi”.


DAVIDEOLDANI

BATTUTA D’INIZIO INGREDIENTI per 4 persone Per mousse di gorgonzola g. 70 di gorgonzola dolce g. 10 di mascarpone

g. 40 di ricotta vaccina g. 5 di sale

g. 4 di colla di pesce g. 25 di panna calda

g. 50 di panna montata Per copertura pallina

g. 100 di burro di cacao

g. 1 di zafferano polvere Per la finitura

g. 50 di Teff germogliato

g. 100 di chutney di mele e pere g. 10 di amaranto soffiato PREPARAZIONE

Per la mousse di gorgonzola: mon-

tare la panna nella planetaria; nel frattempo scaldare l’altra panna e

sciogliervi la colla di pesce preceden-

temente ammollata in acqua fredda. Unire la panna calda al gorgonzola,

al mascarpone e alla ricotta vaccina e frullare tutto insieme. Amalgama-

re delicatamente la purea ottenuta con la panna montata e versare negli stampi. Riporre in abbattitore per un

paio d’ore. Sformare e aerogrefare con la copertura di burro di cacao e zafferano.

Per la finitura: dividere la chutney al

centro dei piatti, sopra il Teff germo-

gliato, l’amaranto soffiato attorno e la pallina da tennis.

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CREMA DI POMODORO

GOURMETFOOD

L’ESTETICA-ETICA DEL NUOVO D’O

uovo affogato e fichi tardivi

INGREDIENTI per 4 persone

Per la crema: g. 150 di pomodori maturi, g. 2 di olio extravergine

d’oliva, g. 2 di sale, g. 2 di zucchero (prima assaggiare e se è abbastanza dolce, non metterlo).

Per le uova: 4 uova fresche (g. 70

FAGIOLI ESTIVI mirtillo e riso INGREDIENTI per 4 persone Per il riso

g. 320 di riso Carnaroli g. 50 di burro

Materia prima di stagione, acquistata da produttori locali o che, comunque, ne garantiscano la freschezza assoluta. Ingredienti mai troppo costosi, che non obblighino lo chef a mettere in carta piatti a prezzi non accessibili. Leggerezza e digeribilità. Esaltazione dei contrasti e abbinamenti inconsueti, mai fini a se stessi. E, infine, ricerca dell’armonia estetica del piatto. Questi, in sintesi, i capisaldi del D’O, la cui carta si arricchisce progressivamente di nuovi piatti iconici. E’ il caso di Battuta d’inizio, un dessert-non dessert che Oldani ha studiato per l’apertura della nuova sede e che consiste di una sfera che riproduce le fattezze di una palla da tennis e composta di mousse di gorgonzola dolce, mascarpone, ricotta vaccina e ripiena di un chutney di mela e pera e amaranto soffiato, e posta accanto a un praticello di “teff” germogliato. Un colpo d’occhio notevole,

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l’una), l. 1 di acqua, ml. 2 di aceto di vino bianco.

Per la finitura: g. 1 di sale di Maldon, 2 fichi tagliati a spicchi. PREPARAZIONE

Per la crema: intiepidire l’olio in una casseruola e unire i pomodori tagliati in piccoli pezzi. Regolare di

sale e zucchero. Frullare e passare al setaccio. Tenere in caldo.

g. 60 di Grana Padano

Per le uova: portare a ebollizione

ml. 1 di aceto di vino bianco

io creare un vortice. Unire le uova

g. 2 di sale

la scorza di 1 pompelmo Per i fagioli

g. 100 di fagioli borlotti e cannellini

cotti in acqua e conditi con sale e g. 1 di olio extravergine d’oliva. Per la finitura

g. 8 di confettura di mirtillo PREPARAZIONE

Tostare il riso in una casseruola, bagnare con acqua bollente e sa-

lata e cuocere per circa 15 minuti. Togliere dal fuoco e mantecare prima con il burro poi con il Grana, la

scorza del pompelmo e infine l’aceto. Regolare di sale. Disporre il riso

al centro dei piatti, terminare con i fagioli e la confettura di mirtillo.

l’acqua con l’aceto; con un cucchia-

(precedentemente aperte in una tazza) uno a uno e cuocere per cir-

ca 3 minuti. Scolare e far asciugare su carta assorbente.

Per la finitura: disporre la crema al

centro dei piatti, poi l’uovo, i fichi e il sale di Maldon.


DAVIDEOLDANI

SARDINE

cavolo, prugne e Marsala INGREDIENTI per 4 persone Per le sardine

12 sardine pulite e sfilettate g. 3 di zucchero g. 2 di sale

scorza di 1 limone

scorza di 1 arancia

Per il cavolo

g. 150 di cavolfiore verde

sbianchito in acqua e sale olio extravergine d’oliva Per le prugne 1-2 prugne Marsala

Per la finitura

g. 80 di pane grattato tostato

PREPARAZIONE

Cospargere i filetti di sardine con sale e zucchero, unire la scorza di limone e di arancia, coprire con la pellicola e lasciare in salagione per 6 ore. In una padella arrostire il cavol-

fiore tagliato in pezzi con l’olio e il sale. Far raffreddare. Frullare le prugne con ii Marsala. Disporre le sardine lavate al centro dei piatti, poi il cavolfiore, le prugne e il pane tostato.

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GOURMETFOOD

che Oldani ha fin da subito considerato un nuovo signature-dish, “la nuova cipolla caramellata”. I contrasti sono ben rappresentati nella fregola con buccia di limone, cacio, pepe e rafano. A questo proposito, Oldani racconta un aneddoto divertente: il campione olimpico Antonio Rossi ha “tentato” di prepararne la ricetta, ma ha letto fragola al posto di fregola e ha dovuto portare la moglie fuori a cena. Prova inequivocabile del fatto che gli ingredienti non sono mai intercambiabili, soprattutto al

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DAVIDEOLDANI

NASELLO IN SALAGIONE porcini e uvetta piccante INGREDIENTI per 4 persone

g. 320 di filetto di nasello, g. 80 di zucchero, g. 70 di

sale, g. 2 di olio extravergine d’oliva, g. 200 di porcini freschi tagliati sottili, g. 2 di sale, g. 5 di uvetta piccante.

PREPARAZIONE

Cospargere il nasello con lo zucchero e il sale. Coprire con la pellicola e lasciare in salagione per circa 6 ore. Ammorbidire l’uvetta in acqua con un pizzico

di peperoncino. Scolare e asciugare. Scolare dalla

salagione e lavare con acqua fredda. Asciugare e tagliare a fette sottili. Disporre il nasello al centro

dei piatti, servire insieme ai porcini conditi con olio e sale e l’uvetta piccante.

BUCCIA DI LIMONE cacio, pepe, rafano e fregola

INGREDIENTI per 4 persone

g. 320 di fregola, g. 50 di burro, g. 30 di Grana Padano grattugiato, g. 3 di sale, la scorza di 1 limone, ml. 1 di aceto di vino bianco, g. 40 di Pecorino di

Pienza, g. 2 di pepe nero grattato al momento, g. 5 di rafano fresco.

PREPARAZIONE

Scaldare la fregola in una pentola, cuocere bagnando con acqua bollente per circa 15 minuti, togliere

dal fuoco e mantecare con il burro e il Grana; regolare di sale, aceto e limone. Disporre la fregola al centro dei piatti, completare con il pepe nero, il pecorino e il rafano grattato.

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GOURMETFOOD

IL CONCEPT D’O, dove tutto è studiato con millimetrica cura. Non potrebbe essere altrimenti. La crema di pomodoro, uovo affogato e fichi tardivi è di equilibrio straordinario dovuto ai tempi di cottura semplicemente perfetti degli ingredienti che, se non rispettati al secondo, darebbe esiti ben diversi. Il pesce è spesso povero, ma mai di contenuti. Le trippe, sovente in carta, sono state presentate recentemente con semola, bruscandoli e orzo mantecato. Il nasello è spesso presente, come comprimario (scaglie di nasello, mais, olive candite e tarassaco) ovvero come protagonista: in salagione, con porcini e uvetta piccante, stimola la succulenza del palato con un finale amaricato davvero sorprendente. I menu contemporanei del D’O sono ispirati alle “Lezioni Americane” di Italo Calvino, che riteneva la letteratura fondata su sei elementi: leggerezza, rapidità, esattezza, armonia, molteplicità, coerenza. La prima è la caratteristica

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costante della cucina di Oldani, l’ultima è l’essenza stessa del percorso circolare. Il menu quadripartito, dunque, è suddiviso tra “rapidità”, intesa come agilità e valorizzazione del tempo; “armonia”, come “equilibrio dei contrasti e assenza di peso senza rinunciare al gusto; “esattezza”, come “attenzione nella preparazione dei piatti della tradizione” e, infine, “molteplicità” come possibilità di scelta, “specchio della varietà come valore e della modernità come tradizione”. Quasi una summa dell’alta cucina italiana, di cui Davide Oldani, oggi, può essere a buon diritto annoverato tra i più grandi interpreti.

“Il nuovo locale è stato concepito dall’architetto Piero Lissoni, come dire un tre stelle Michelin dell’architettura. Gli arredi sono di gusto nord-europeo, in legno d’olmo, a richiamare il grande albero nella piazza sulla quale si affaccia il nuovo D’O. Due spazi totalmente nuovi completano il progetto di cucina pop iniziato tredici anni fa: il tinello, di fronte alla cucina a vista, dove viene servito un menu a sorpresa, e il piano interrato con una sua autonoma cucina, destinato alla sperimentazione dei nuovi piatti e allo sviluppo dei prodotti con marchio D’O (foto in alto).

RISTORANTE D’O

Piazza della Chiesa, 14 - 20010 San Pietro all’Olmo - Cornaredo (MI) Tel. 02 936 2209

www.cucinapop.do


DAVIDEOLDANI

GNOCCHI DI PATATE cozze, fave e timo

INGREDIENTI per 4 persone

PREPARAZIONE

g. 300 di cozze fresche

perchio e cuocere per 3 minuti. Eliminare il guscio e filtrare il fondo di cottura.

g. 320 di gnocchi di patate

g. 2 di olio extravergine d’oliva g. 5 di olio al profumo di timo g. 80 di fave cotte

in acqua bollente e salata

Scaldare l’olio extravergine in una padella, unire le cozze, coprire con il coCuocere gli gnocchi in acqua bollente e salata, scolare e condire con il fondo

di cottura delle cozze. Disporre gli gnocchi nelle fondine con le fave e l’olio profumato al timo.

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GOURMETFOOD

DALLA PUGLIA ALL’AMERICA E OGGI A ROMA

CRISTINA BOWERMAN E LA SUA CUCINA MELTING POT di

Alessandra Meldolesi

Si muove instancabile fra sinuosi ferri torti, teche di mirabilia e lamiere di ferro corrose, riunioni al ministero, pentole fumanti e cooking show la cresta rosa di Cristina Bowerman. Cuoca che più di ogni altra si è adoperata per smentire i cliché della romanità e smontare le ovvietà sul femminile, sgusciando per i vicoli sopra una bicicletta fluo, incalzante come la sua parlantina; gli occhi scuri che dardeggiano quali briganti nella notte, pronti a rapinare tour-de-main in qualsiasi altrove si posino. “Da Cerignola a New York”, si intitola il suo libro. Perché la strada per arrivare a Vicolo de’ Cinque, dove da 11 anni parcheggia nel suo Glass, ha attraversato l’oceano e un florilegio di mestieri prima della frenata finale. “C’è stata innanzitutto la pasticceria di mio nonno Domenico, tuttora celebre in Puglia per la finanziera e i mostaccioli; ma ho fatto appena in tempo a conoscerla. La mia era la classica famiglia dove si cucinava e mi è sempre piaciuto mangiar bene, anche se non avrei mai pensato di fare la cuoca. Fin quando non ho capito che poteva essere una professione, non un semplice lavoro manuale, vivendo negli Stati Uniti, dove questo processo stava avvenendo in largo anticipo sull’Italia”. Dopo il liceo linguistico e la laurea a pieni voti in giurisprudenza a Bari, il biglietto da turista per gli States è di andata e ritorno. “Ma nel giro di pochi giorni mi sono sentita a casa, come se fossi nata e cresciuta lì. Volevo vivere e pensare come loro, tanto che ho conservato il cognome del mio primo

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marito. Insomma ero Alice nel paese delle meraviglie. Mi sono messa alla ricerca di un alibi per restare e l’ho trovato nel perfezionamento dei miei studi legali a San Francisco, che ho abbandonato appena ho trovato una sistemazione. Venduto il vendibile, scovato un appartamentino, ho calcolato il fabbisogno per vivere e cercato un lavoretto. Ed è stato così che ho compiuto la mia prima esperienza in cucina, presso un ristorante libanese. Sono seguiti 15 anni sempre a San Francisco, nel sud della California e a Austin, in Texas, durante i quali ho lavorato come disegnatrice grafica, anche per la ristorazione. E ho approfondito lo studio della cucina laureandomi in Culinary arts alla scuola del Cordon bleu. Nel frattempo mangiavo tutto fuorché italiano, in particolare prediligevo la cucina giapponese e quella vietnamita. Un interesse che non ho mai smesso di coltivare viaggiando: sono affascinata da tutte le cucine e so che non ne esista una migliore. Appena arrivo in un luogo cerco di scoprire cosa c’è da rubare: mio padre ripeteva che ero come San Tommaso e che la curiosità mi avrebbe ucciso”. L’intenzione è quella di fermarsi pochi mesi quando nel 2006 approda al Glass di Fabio Spada, officina riconvertita al design dalla sofisticata atmosfera post-industriale, assediata dal pressappochismo del roman sounding in un quartiere per turisti. La cucina che abbozza al suo primo incarico da chef però è tutta sua: classica nelle basi grazie alla scuola francese (“perché la penso come loro: i fondi sono le fon-


CRISTINABOWERMAN

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GOURMETFOOD

damenta di ogni piatto e non possono mancare in linea, anche se è possibile giocare, mescolando pollo e manzo o usando la carne sul pesce”); americana nell’impronta, per il melting pot delle contaminazioni e specifici tratti gustativi come l’esaltazione dell’umami; senza mai perdere di vista l’Italia. Una rivoluzione per la scena romana, su cui doveva ancora abbattersi l’onda fusion dei Genovese e degli Apreda. Nella sua impresa stilistica è agevolata dalla formazione atipica, quasi da autodidatta: sul curriculum ci sono appena due stage, da David Bull e Angelo Troiani; mentre la forma mentis universitaria comporta la capacità di apprendere ad apprendere, cosicché si interroga instancabilmente sui meccanismi scientifici della cucina, per bibbia Harold McGee e Sandor Katz; l’esperienza da grafica, cambiando mezzi e non criteri, la agevola nelle composizioni.

UNA CUCINA FUSION ANTE LITTERAM Col tempo la contaminazione inizia a configurarsi come un metodo creativo, alla ricerca dei punti di contatto fra diverse tradizioni come farebbe uno strutturalista con le costanti linguistiche. “Perché la maniera in cui un popolo si evolve è simile, ma differente nel concreto a causa degli ingredienti e del modo di alimentarsi. Sussistono comunque punti di contatto attraverso cui passare un filo rosso. Per esempio fra la coda alla vaccinara e il mole, tanto che ho voluto applicare le sue stagionature alla ricetta romana. Se da sempre guerre, paci e amori si fanno a tavola, è per questo esperanto dovuto all’invariabilità del corpo. Un’artista con cui collaboro, Daniela Papadia, ha creato una tovaglia con il genoma umano ricamato da sei detenute, chiamata la ‘tavola dell’alleanza’, su cui far

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CRISTINABOWERMAN

LINGUINE

cotte in acqua di peperone, alici del Cantabrico e bottarga all’Armagnac INGREDIENTI

to i semi. Tutti!) con un po’ di olio e sale

altro liquido se necessario. Aggiungere le

8 peperoni rossi

peperone e, dopo averlo arrostito su fuo-

coulis di peperoni, la polvere di peperoni

g. 340 di linguine 5 cucchiai di olio

1 spicchio d’aglio

1 mazzetto di coriandolo fresco 20 alici del Cantabrico sott’olio bottarga all’Armagnac PROCEDIMENTO

Cospargere di olio 7 peperoni rossi e met-

terli a cuocere in forno a 170°C circa. Porli

a scolare e raccogliere il loro succo; uno frullarlo (dopo averlo spellato ed elimina-

e passarlo al setaccio. Prendere l’ultimo co vivo, metterlo a essiccare in forno fino a quando sarà completamente disidratato (circa 60°C per 7/8 ore) e frullarlo riducen-

alici e il coriandolo. In un piatto disporre il e la pasta, finendo con una grattugiata di bottarga all’Armagnac. Servire.

dolo in polvere.

Cuocere le linguine per 4 minuti in acqua salata.

In una padella fare rosolare 1 spicchio d’aglio in 4 cucchiai di olio, aggiungere l’acqua dei peperoni e farla ridurre di un ter-

zo. Aggiungere la pasta e finire di cuocerla in padella (4 minuti circa) aggiungendo

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GOURMETFOOD

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CRISTINABOWERMAN

FRANGIPANE

ciliegie, maionese di cioccolato bianco e wasabi INGREDIENTI

g. 250 di burro montato g. 200 di zucchero

g. 40 di zucchero invertito 3 uova

g. 300 di farina di mandorle ciliegie all’Armagnac PROCEDIMENTO

Assemblare il burro nella planetaria insieme allo zucchero granulato e allo zucche-

ro invertito per qualche minuto. Successivamente aggiungere le 3 uova intere e la farina di mandorle. Mettere l’impasto in

un piccolo sacchetto e lasciarlo riposare in frigorifero per un’ora.

Usando lo stampo appropriato in silpat cuocere a 170°C per 17 minuti.

Aggiungere in ciascuno stampo 3 o 4 ciliegie.

Per il gelato al Wasabi (per 1litro di gelato) g. 594 di latte fresco

g. 137 di panna fresca

g. 46.5 di latte magro in polvere g. 108 di saccarosio

g. 49 di glucosio 42 de g. 49 di destrosio

g. 5 di semi stabilizzanti di carrubo (E410)

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GOURMETFOOD

mangiare le persone per intessere un dialogo. L’abbiamo usata sotto i miei piatti a Rebibbia”. E ogni anno l’impegno è quello di frequentare un corso o compiere un breve stage, da Grant Achatz come dai Roca, in modo da aggiornarsi professionalmente. Il melting pot nel frigorifero segue: “Cerco l’eccellenza ovunque e del 90% degli ingredienti conosco produttori e affini. Sono tutti stagionali, anche se il criterio è quello effettivo e non tradizionale, perché tanti sono disponibili fuori dal periodo consueto. Ovunque mi sposto assaggio e tac, magari compro”. Nel 2012 sopraggiunge Romeo Chef & Baker, evoluzione dei foodtruck di cui Austin è capitale, con un’offerta che corre sul doppio binario di birra e pizza grazie alla collaborazione (archiviata) con i fratelli Roscioli. Per ragioni di spazio da quest’anno ha traslocato in piazza dell’Emporio dentro un maxilocale di 2000 metri quadrati comprensivo di ristorante, pizzeria (intitolata a Giulietta), forno, gastronomia e gelateria, a firma di Andrea Lupacchini come il Glass. Ed è arrivato anche il riconoscimento alla visione manageriale

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CRISTINABOWERMAN

e all’intelligenza del settore con la carica di presidentessa degli Ambasciatori del gusto, contro il cliché dell’alta cucina in pantaloni. “Ma secondo me questo lavoro non ha sesso. Altrimenti dovrebbero esistere anche la cucina omosessuale e quella transgender”.

TOGLIERE, PER AGGIUNGERE CARATTERE Come spesso accade agli autodidatti, oggi i piatti della Bowerman sono tecnicamente inappuntabili. Compongono menu articolati come narrazioni di viaggio, romanzi odeporici secondo il gergo letterario, fin dagli appetizer. Talvolta i riferimenti sono classici, vedi la capasanta arrostita e servita con una variazione di due mele, granny smith e golden, in forma sferificata, fermentata, cotta, cruda e liquida, secondo un accostamento familiare; più le uova di trota per la sapidità e il croccante e la chiusura dei germogli piccanti di Harald Gasser, che dal suo maso altoatesino spedisce anche i tuberi. L’utilizzo di frutta al Glass è quasi una costante,

garanzia di freschezza e acidità naturale. Oppure il predessert di torcione di foie gras, marinato classicamente e poi stagionato per 3 settimane, in modo da sviluppare al massimo grado l’umami, poi grattato e finito nell’azoto liquido per il contrasto caldo/freddo con l’animella spadellata e glassata alla salsa di soia dolce, più una visciola all’Armagnac di Fabio Stivale per ripulire. Una preparazione complessa, sintesi fra quella classica di Angelo Troiani ed elaborazioni contemporanee (il foie crudo, il foie grattugiato alla Ferran Adrià), per una composizione lineare. “Giacché sono la donna del tre: cerco sempre di levare”. L’umami è quasi sempre in evidenza nel piatto, quale gusto del preconscio italiano portato alla ribalta dalle contaminazioni. Vedi la bagna cauda classica, ma all’aglio nero fermentato, con gnocchetti di patate chewy, al limite dell’elastico grazie alla cottura in acqua quasi satura di sale, per una masticazione lunghissima, pomodori confit, edamame ovvero fagiolini giapponesi, ricci di mare e tartufo estivo. Oppure il capocollo succulento di maiale iberico cotto a bassa temperatura e finito

sul fry top, servito con pistacchi cotti nel dashi, secondo una classica preparazione statunitense, più un punto di kumquat nero fermentato per la nota al tempo stesso dolce e aspra. E perfino il dessert: una carrot cake, torta prediletta dalla chef, con gelato al pepe lungo, cremoso di cioccolato bianco per la dolcezza e un caffè che nell’impasto apporta amaro e note terrose, ancora una volta di umami. I menu così composti sono 3: il Vegetariano da 6 corse a 85 euro, il Tradizionale… ma non troppo da 7 a 90 e il Glass da 9 a 150. Sposano i vini selezionati da Fabio Spada, socio nel lavoro e compagno nella vita. La sua carta conta un migliaio di etichette spalmate geograficamente e per fasce di prezzo, con il nebbiolo, il pinot nero, Lazio e Toscana, Champagne e Mosella in evidenza, una buona profondità in verticale e tanti biodinamici.

RISTORANTE GLASS

Vicolo del Cinque, 58 - Roma Tel. +39 06 58335903

www.glass-restaurant.it infoglass@libero.it

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foto di

Luigi Brozzi

STEFANO CERVENI

tra classicità e contemporaneità al Due Colombe, in Franciacorta Il Ristorante Due Colombe al Borgo Antico è situato nel cuore della Franciacorta, in un antico borgo recentemente ristrutturato. L’ambiente, l’atmosfera e i menù stessi hanno un unico filo conduttore ossia l’unione fra tradizione e modernità. Le proposte gastronomiche dello Chef Stefano Cerveni spaziano tra piatti della tradizione franciacortina e di famiglia e nuove ispirazioni moderne e creative. Stefano Cerveni, classe 1969, da subito assorbe la passione per la cucina dalla nonna Elvira e dai genitori Beppe e Clara allora proprietari della Locanda Due Colombe nella sede storica di Rovato fino al 2010. Seguendo le orme del papà diventa chef del Ristorante nell’anno 2000. Nel 2008 il prestigioso riconoscimento della Stella Michelin e nel 2010 il cambio di sede nella splendida location del Borgo San Vitale a Corte Franca.

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“Vorrei che la passione, la dedizione e l’impegno che pongo nel mio lavoro fossero ingredienti tangibili e percepibili dal cliente. Vorrei che il cliente potesse gioire del piacere della cucina in un ambiente rilassato dove si possa sentire a casa, tra amici, ma senza rinunciare mai al servizio del nostro staff ad alla qualità assoluta delle materie prime utilizziamo in cucina”. Stefano Cerveni

ph ® Sbardolini


RISTORANTEDUECOLOMBE

RISOTTO

mantecato ai formaggi dolci, pomodorini canditi, bottarga di coregone, clorofilla di prezzemolo INGREDIENTI per 4 persone

pochi secondi i pomodori, raffreddarli in

Per il risotto: fare tostare il riso per pochi

ciliegia o Pachino, dl. 2 di olio evo, g. 30

Mettere l’olio con lo spicchio d’aglio ed il

ed iniziare una cottura classica.

Per i pomodori canditi: 20 pomodorini di zucchero, g. 20 di sale fino, 1 spicchio d’aglio, 1 rametto di timo.

Per il risotto: l. 2 di brodo vegetale leg-

gero, g. 250 di riso carnaroli stagionato, dl. 1 di olio evo, 1 cucchiaio di aceto di riso, g. 150 di robiola morbida di latte vac-

cino, g. 40 di burro, g. 40 di Grana Pada-

no, dl. 2 di panna, g. 20 di Maizena, g. 40 di bottarga di coregone del lago d’Iseo.

Per la clorofilla: 1 mazzo di prezzemolo,

dl. 1 di olio evo, acqua, sale, g. 5 di Xantana.

PREPARAZIONE

Per i pomodorini canditi: sbollentare per

acqua ghiacciata, sbucciarli.

timo a scaldare, toglierlo dal fuoco appena si rosola.

Stendere i pomodori su una teglia piana, condirli prima con una miscela di zucchero e sale, poi con l’olio ancora caldo.

Mettere in forno a 80°C per 1 ora circa; togliere e lasciate raffreddare.

Per la clorofilla: portare ad ebollizione 1 litro d’acqua, aggiungere il prezzemolo e fare bollire per 1 minuto.

Scolare (tenendo 2 dl. di acqua di cottura) e raffreddare velocemente con acqua e

istanti con l’olio evo, bagnare con il brodo Nel frattempo fondere a fuoco lento il burro, il Grana Padano e la robiola con la panna fresca.

Appena il tutto sarà sciolto, legare con poca Maizena disciolta in acqua, fino ad ottenere una fonduta densa e cremosa.

Quando il risotto sarà a 8 minuti di cottu-

ra, aggiungere la fonduta e portare a 12 minuti bagnando, se necessario, con poco brodo. Fare riposare il risotto fuori dal fuoco per 2 minuti continuando a mescolare.

ghiaccio. Frullare il prezzemolo con l’ac-

FINITURA

tana, fino ad ottenere una salsa liscia ed

di, appoggiare sopra i pomodorini, con-

qua di cottura, il sale, l’olio evo e la Xan-

omogenea; passare al setaccio e conservare in frigo.

Stendere il risotto in 4 piatti piani ben caldire con gocce di clorofilla e bottarga di coregone.

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INSALATA

di germogli e fiori all’aceto balsamico tradizionale, sulla créme brulée di foie gras INGREDIENTI per 4 persone

posto sarà uniforme. Stendere sul silpat,

Bagnare con il restante Cognac, flambare

g. 100 di zucchero semolato, g. 100 di

ad ottenere una polvere asciutta e fine.

Aggiungere i fogli di colla di pesce prece-

Per la caramellatura: g. 100 di glucosio, fondente di zucchero.

Per la crème di foie gras: g. 200 di foie

gras d’anatra fresco, dl. 2 di panna fresca,

g. 10 di colla pesce in fogli, g. 5 di sale Maldon, g. 3 di pepe macinato, 2 cucchiai di Cognac o Brandy.

16 fiori commestibili, g. 50 di germogli di

erba medica, Tahoon e Borage, aceto balsamico tradizionale di Modena q.b. PREPARAZIONE

far raffreddare bene; frullare il tutto fino Sempre su un foglio di silpat, formare del-

le piccole cialde della stessa dimensione dell’apertura della ciotola finger dove andrà servita la créme brulée, cercando di tenerle più fini possibile (2 millimetri).

Mettere in forno a 160°C fino a quando lo zucchero si sarà sciolto; togliere, raffred-

dare. Avremo così ottenuto delle piccole

Nel frattempo montare la panna a neve non troppo frema.

Incorporarla nella crema di foie mesco-

lando dolcemente; riporre in frigo per almeno 1 ora.

privo di umidità.

in 4 piatti fondi in vetro, appoggiarvi so-

Per la créme brulée: fare marinare il foie

fuoco lento la temperatura di 165°C, con-

Tagliarlo a spicchi e farlo rosolare in un

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lare bene e fare raffreddare.

ASSEMBLAGGIO

utilizzate. Conservare in luogo fresco

gras con il sale Maldon, il pepe ed un cuc-

tinuando mescolare fino a quando il com-

dentemente ammollati e strizzati; mesco-

cialde di caramello pronte per essere

Per la caramellatura: mettere i tre tipi di zucchero in un tegame, raggiungere a

e togliere dal fuoco.

chiaio di Cognac per circa un’ora.

tegame molto caldo per qualche istante.

Disporre uno strato di crema di foie gras

pra la cialda di zucchero, scaldare con l’aiuto di un cannello.

Sopra il caramello comporre un’insalata usando i germogli e i petali di fiori; condire con qualche goccia di aceto balsamico e servire.


RISTORANTEDUECOLOMBE

FARFALLE

di pasta fresca al ragù di cortile e tartufo nero INGREDIENTI per 4 persone

classico tutti gli ingredienti, fare riposare

Aggiungere la polpa, il miele, bagnare

semola rimacinata, 2 uova intere, 4 tuorli,

Tirare la pasta allo spessore di mezzo cen-

seguire con poco vino bianco alla volta,

Per la pasta: g. 200 di farina 0, g. 100 di cl. 2 di olio evo, g. 10 di sale fino.

Per il ragù: 1 quaglia intera (con interiora), mezzo pollo (con fegatini), mezzo

coniglio (con fegatini), g. 100 di burro, 2

in uno straccio umido per 1 ora circa.

timetro; con l’aiuto di una rotella formare

dei rettangoli di cm. 2x4; formare le farfalle con le dita e conservarle in luogo asciutto.

cipolle bianche, 3 carote, 2 gambi di seda-

Per il ragù: disossare il pollo, la quaglia e

chiaio di miele d’acacia, dl. 1 di Marsala

Con le ossa preparare un brodo leggero

no bianco, 1 rametto di rosmarino, 1 cuc-

secco, l. 0,5 di di vino bianco, sale, pepe, g. 30 di tartufo nero estivo. PREPARAZIONE

Per la pasta: lavorare come un impasto

il coniglio, tenendo a parte le interiora.

con il Marsala, fare asciugare. Bagnare a

continuando ad asciugare. Proseguire la cottura del ragù per circa 8 ore, a fuoco lentissimo, bagnando con poco brodo alla volta fino ad ottenere un ragù cremoso

e vellutato. Prima di spegnere il fuoco, aggiungere il restante burro e mantecare. Aggiustare di sale e pepe.

senza sale, la polpa invece va tagliata al

FINITURA

un tegame farle rosolare con la metà del

salata, scolarle ben al dente, mantecarle

coltello. Frullare le verdure finemente, in burro, aggiungere i fegatelli e le interiora tritate, continuare a rosolare.

Cuocere le farfalle in abbondante acqua con abbondante ragù servendo poi con delle fettine di tartufo sopra.

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LA PATATA VIOLA

il gambero rosso e il Franciacorta INGREDIENTI per 4 persone

Mettere la purea su fuoco dolce per pochi

extravergine, sale e pepe per 5 minuti.

beri rossi di Sicilia freschissimi, l. 0,5 di

1 dl di panna, mescolate bene, aggiustate

Franciacorta, aggiungere la restante pan-

1 scalogno, g. 800 di patate viola, 8 gamolio di semi di arachide, l. 0,5 di Francia-

corta brut, g. 40 di burro, dl. 2 di panna

fresca liquida, 2 cucchiai di olio extravergine d’oliva, sale e pepe. PREPARAZIONE

Fare bollire 600 grammi di patate viola pelate e tagliate a pezzi in abbondante

acqua salata con la scalogno tagliato grossolanamente.

Quando le patate saranno cotte, scolare senza asciugare troppo.

Passare al passaverdura fino ad ottenere un composto liscio ed omogeneo.

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istanti, aggiungendo 20 grammi di burro e di sale e pepe.

Pelare le patate non utilizzate per la pu-

rea, tagliarle in chips sottilissime, lasciarle in acqua fredda per 5 minuti (per eliminare l’amido in eccesso).

Fare ridurre della metà a fuoco vivo il

na, poco pepe; fare bollire ancora qualche istante. Togliere dal fuoco e montare

con l’aiuto di una frusta, incorporando il restante burro.

Scolarle, asciugarle bene e farle friggere

ASSEMBLAGGIO

alle temperature per mantenere il colore

corta su un piatto fondo ampio ben caldo;

nell’olio di arachide facendo attenzione viola vivo.

Togliere le chips dall’olio, metterle a riposare in caldo su un panno di carta as-

sorbente. Pulire i gamberi rossi tenendo solo la polpa della coda; tagliarla a piccoli cubi e farla marinare in poco olio

Stendere un sottile velo di salsa al Franciacon l’aiuto di un sac a poche formare una

striscia lunga 10 centimetri di purea calda;

appoggiare su di essa la polpa di gambero rosso, successivamente le chips di patate viola.

Servire immediatamente.


RISTORANTEDUECOLOMBE DUE COLOMBE Ristorante Al Borgo Antico Via Foresti, 13

25046 Borgonato di Corte Franca (BS)

“UOVO DI FASSONA ALLA COQUE”

Tel. 030 9828227 – Fax 030 9848772 www.duecolombe.com

salsa di ostriche di Bretagna, brunoise di cetriolo, foglia d’ostrica INGREDIENTI per 4 persone

tello la carne fino ad ottenere una battuta

per pochi istanti, togliere dal fuoco e frul-

di lombata di fassona freschissima, il suc-

ed amalgamare bene.

caldo.

Per la battuta di fassona: g. 400 di carne

co di mezza arancia, dl. 1 di acqua minerale gassata, sale e pepe.

Per il condimento: 4 foglie d’ostrica, 1 sca-

logno, dl. 1 di olio evo, 8 ostriche fine de

claire, dl. 2 di crème fraîche, 1 cetriolo, sale e pepe.

PREPARAZIONE

Per la battuta di fassona: tritare al col-

finissima, aggiungere gli altri ingredienti

Con le mani dare la forma di un uovo; con-

lare il tutto. Passare al setaccio e tenere in

servare in luogo fresco.

FINITURA

tenendo solo la parte verde e tagliarlo

to a 130°C per 40 secondi; appena sa-

Per il condimento: sbucciare il cetriolo a cubetti finissimi; conservarli in acqua

ghiacciata. In un tegame soffriggere leggermente lo scalogno tritato con l’olio evo, aggiungere i molluschi delle ostriche, poco pepe; saltare per 30 secondi.

Aggiungere la crème fraîche, fare cuocere

Mettere le “uova” di carne in forno asciut-

ranno leggermente colorate, toglierle e riporle al centro di 4 piatti caldi.

Ricoprire con la salsa di ostriche, aggiungere qualche dadino di cetriolo e le foglie d’ostrica tagliate a julienne. Servire subito.

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Giovani talenti A TRANI

N

ella Puglia Imperiale, terra di elevato prestigio storico-monumentale, Trani, meravigliosa cittadina affacciata sul mare, brilla di luce propria, elegante e raffinata com’è. I marmi bianchi che la rivestono riflettono la luminosità del cielo e del mare. La sua ricchezza culturale è evidente nella Cattedrale di San Pellegrino, nel Castello Svevo, nel Monastero di Santa Maria Colonna, solo alcune tra le costruzioni più rappresentative della città. Chiesa e fortino nel passato, ristorante oggi, il Fortino è un luogo unico, sintesi tra sacro e profano, tra storia e leggenda. Edificato infatti come luogo di culto nel XII° secolo, venne sconsacrato nel 1478 e trasformato in deposito per imbarcazioni. Nel 1491 il Fortino e la preesistente chiesa di S. Antuono vennero inglobati nell’opera di fortificazione, effettuata per la difesa dell’imboccatura del porto. L’amore e la passione di Fiorella Pasqua e Antonio Del Curatolo, unito ad un’attenta opera di restauro effettuato sotto l’attento controllo dei Beni Culturali, hanno riportato alla luce la Basilica a tre navate di S. Antuono. Oggi il Fortino, arricchito di oggetti moderni e preziosi, ospita uno dei ristoranti più prestigiosi della Puglia. La struttura del ristorante si compone di due ambienti distinti; la sala della vecchia chiesa del Fortino,

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NICOLA D’ADDATO SPOSA UNA LOCATION DI STRAORDINARIA BELLEZZA AD UNA CUCINA DI NUOVI INTRIGANTI SAPORI di

Antonietta Mazzeo Vito Rizzi

foto di


NICOLAD’ADDATO

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Giovani talenti

TRIGLIA

spinacio, mandorle, limone e zenzero INGREDIENTI

Per le triglie: sfilettare le triglie lasciando la coda; farcire con i

2 scalogni, pistilli di zafferano, g. 20 di olio alla mandorla, al-

Per la maionese alla mandorla: con un frullatore ad immersione

4 triglie medie, g. 200 di spinaci con radice, g. 150 di patate, bume di 2 uova, g. 150 di olio semi, g. 30 di filetti di mandorla, olio, sale, pepe, zenzero, limone.

filetti di mandorla, scottare sulla griglia.

emulsionare l’albume, l’olio di semi e l’olio alla mandorla, fino ad ottenere una consistenza abbastanza densa.

PROCEDIMENTO

Per il servizio: appena scottata la triglia, spadellare gli spinaci

aggiungere la patata tagliata a lamelle, portarla a cottura aggiun-

Adagiare sul piatto la triglia, puntinare con l’emulsione alla man-

Per la salsa limone e zenzero: realizzare un fondo di scalogno, gendo zafferano, limone e zenzero. Frullare il tutto, filtrare con un colino a maglia fine.

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con aglio, olio e peperoncino, precedentemente sbollentati.

dorla e riscaldare la salsa che va servita sul piatto finito con una leggera colata.


NICOLAD’ADDATO

STAFF DI CUCINA arredata con classe; la terrazza sul mare che si affaccia sul porto, lambita dalla brezza marina. Spontaneo, creativo e gentile, pervaso da un’innata curiosità, il giovane Nicola D’Addato è ora lo chef del ristorante Le Lampare al Fortino di Trani. La sua cucina è pulita ed espressiva, frutto e riflesso degli insegnamenti del suo “maestro”, lo chef Raffaele Casale, purtroppo scomparso prematuramente un paio di mesi fa. A lui è dedicato questo servizio, a testimonianza dell’amore e del rispetto che la brigata di cucina attribuisce al lavoro fin qui svolto insieme, ora più che mai compatta nel voler dare continuità ai suoi insegnamenti. Le preparazioni che si ispirano alla tradizione pugliese e barese in particolare, sono caratterizzate dall’utilizzo degli ingredienti strettamente necessari a rendere riconoscibile ogni ricetta e da cotture e tecniche che rispettano e valorizzano la freschezza delle materie prime, siano esse di terra o di mare. Il vero protagonista è il crudo di mare, proposto in un’ampia varietà e selezionato nei migliori mercati ittici, attraverso approvvigionamenti diretti che ne garantiscono la freschezza e l’indiscussa qualità. La brigata di cucina, come quella di sala, è composta da giovani di alto profilo, che condividono quotidianamente con Nicola la valorizzazione del lavoro di squadra. L’ampia carta dei vini, segno di un impegno e uno studio costante, consente di scegliere tra champagne, etichette nazionali importanti, piccole scoperte locali e sorprese enologiche da cui è difficile non lasciarsi tentare. Il sommelier sempre attento, con garbo e gentilezza consiglia e racconta ogni abbinamento. Particolare attenzione è riservata ad una delle eccel-

Executive chef: Nicola D’Addato Sous chef: Domenico De Gioia Chef de partie secondi piatti: Gianmarco Larosa Chef de partie sushi e sashimi: Rossella Battaglia Commis de cuisine: Onofrio Lomazzo Demi chef: Leonardo Chiaia Pastry chef: Giuseppe Vito Galliano Demi chef: Cosimo Amato Commis pasticceria: Mirko Saggese

IN SALA Chef de rang: Tito Verrigni Chef de rang: Giuseppe Stellatelli Chef de rang: Vito Pisicchio Maitre: Gaetano Tassiello, narratore di sala, esperto di olio evo Sommelier: Antonio Del Curatolo

lenze del territorio, uno dei prodotti simbolo e rappresentativi della Puglia, l’olio extravergine di oliva, che viene, per ogni piatto, differentemente proposto con cura e competenza. A fine pasto è possibile rilassarsi nella “Sigar Room Service”, dove degustare i migliori sigari, sorseggiando distillati e rhum da accompagnare alle diverse varietà di cioccolato, Le Lampare al Fortino, tra fascino e mistero, risplende della luce dei secoli, ma la magia nasce in cucina, dove colori, sapori e profumi si incontrano e raccontano il semplice, meraviglioso progetto di Fiorella e Antonio.

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Giovani talenti

ZABAIONE

birra, mirtilli e ribes INGREDIENTI

rino di Strega. Posizionare negli stampi di

g. 110 di albume

g. 800 di ricotta di bufala

minuti.

g. 150 di zucchero per lo sciroppo

Per il ripieno

g. 500 di zucchero

silicone e cuocere in forno a 180°C per 20

kg. 1 di crema pasticciera

Per la frolla

1 buccia limone

g. 250 di zucchero

kg. 1,5 di grano cotto 1 buccia d’arancia liquore Strega cannella

essenza d’arancia Setacciare la ricotta, aggiungere lo zucchero, amalgamare con la crema pasticcie-

ra e il grano cotto sgranandolo accuratamente; unire la buccia di limone, d’arancia

e la polvere di cannella. Aromatizzare con

2 gocce di essenza di arancia e un bicchie-

LE LAMPARE AL FORTINO Via Tiepolo s.n.

Molo Sant’Antonio (c/o Fortino) 70059 Trani (BT)

Tel. 0883 480308

www.lelamparealfortino.it info@lelamparealfortino.it

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g. 300 di burro

g. 450 di farina 00 g. 150 di fecola 3 tuorli

Unire gli ingredienti secondo il procedi-

mento della pasta frolla sableè; coprire gli stampi precedentemente riempiti di composto e cuocere per 20 minuti a 180°C.

Per lo zabaione alla birra doppio malto g. 350 di birra doppio malto

g. 80 di zucchero g. 140 di acqua g. 200 di tuorlo

g. 0,1 di zafferano

1 bacca di vaniglia Portare acqua e zucchero a 121°C, versare sull’albume semimontato come una meringa all’italiana; far raffreddare in planetaria, unire il tuorlo ed infine la riduzione di birra.

Finitura: a cottura ultimata, posizionare nel piatto di portata la pastiera e nappare con lo zabaione. Su un lato posizio-

nare la meringa all’italiana disidratata, mirtilli e ribes.


NICOLA D’ADDATO INTERPRETA

SCRIGNI AI FUNGHI PORCINI

corallo d’astice, pinoli, pepe rosa, spinaci e mozzarella dry INGREDIENTI per 6 entrée

PROCEDIMENTO

lata gli spinaci per 2 minuti, raffreddarli e

zioni Surgital (1 per ogni commensale)

scalogno, unire la patata tagliata a lamel-

Per il servizio: realizzare un’emulsione

6 Scrigni ai Funghi Porcini Divine Creag. 100 di corallo d’astice 1 mozzarella

g. 50 di pinoli

g. 100 di spinaci con radice 1 patata

g. 300 di brodo vegetale 1 scalogno

Per la salsa al corallo: fare un fondo di le, sfumare con il vino e portare a cottura la patata; tostare i pinoli in forno.

Frullare il tutto unendo il corallo d’astice

ad una temperatura di 80°C ottenendo una salsa corposa.

Per gli spinaci: sbollentare in acqua sa-

spadellarli con aglio, olio e peperoncino.

di burro, olio e brodo vegetale. Cuocere la pasta al dente, scolarla ed unirla all’emulsione. Posizionare nel piatto la salsa al pepe rosa, gli spinaci con la radice, il fondo di cottura. Guarnire con la mozzarella precedentemente liofilizzata.

burro, aglio, sale, pepe rosa, vino

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Giovani talenti

BALANZONI AL PARMIGIANO REGGIANO INGREDIENTI per 4 persone

PROCEDIMENTO

Divine Creazioni Surgital

scolarli e versarli in un fondo di burro e brodo

12 Balanzoni al parmigiano reggiano 12 gamberi rossi

g. 150 di tartufo nero estivo g. 10 di olio al tartufo

g. 50 di perlage di tartufo g. 200 di fondo di vitello

g. 200 di brodo vegetale g. 50 di parmigiano

15 foglie di pimpinella sale, pepe

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Sbollentare i Balanzoni in acqua per 4 minuti, vegetale emulsionato. Far addensare, aggiungere l’olio al tartufo e il parmigiano. Sgusciare i gamberi e coppare a rondella il tartufo nero estivo per la finitura del piatto.

Per la finitura: posizionare sul piatto i Balanzoni, su ognuno di questi adagiare un gambero condito con olio e sale, il caviale di tartufo,

la pimpinella e la lamella di tartufo, infine il fondo di vitello emulsionato al burro.


www.surgital.it

Giovani talenti per

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Giovani talenti

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www.surgital.it

Giovani talenti per QUADRELLI CON AGNELLO E TIMO ricotta, calamaretti, capperi e olive INGREDIENTI per 4 persone

12 Quadrelli con agnello e timo Divine Creazioni Surgital g. 200 di ricotta di bufala

g. 300 di calamaretti spillo g. 50 di olive Peranzana

g. 30 di capperi di Pantelleria

g. 20 di polvere di pomodoro g. 70 di brodo vegetale

sale, pepe, noce moscata PROCEDIMENTO

Per la salsa di ricotta: emulsionare la ricotta

con il brodo vegetale portato a ebollizione con aggiunta di sale, pepe e noce moscata per

ottenere una salsa densa e liscia, eliminando la presenza di grumi.

Per la polvere di capperi e olive: denoccio-

lare le olive Peranzana, essiccarle in forno a

100°C per 4 ore; con lo stesso procedimento trattare anche i capperi e le falde di pomodoro; appena secche, frullarle e setacciarle eliminando i grani più grandi.

Per i Quadrelli: realizzare un’emulsione di

olio, burro e brodo vegetale. Cuocere i Quadrelli in abbondante acqua salata, scolarli e versarli sull’emulsione, amalgamando bene.

Per il servizio: lasciar intiepidire la salsa di ricotta, posizionarla sul piatto, adagiarvi i Quadrelli e guarnire con i calamaretti spillo spa-

dellati. Distribuire la polvere di capperi e olive e un pizzico di polvere di pomodoro.

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FASHIONFOOD

IMPECCABILE OSPITALITÀ AL

RISTORANTE WHITE BORGO BIANCO RESORT & SPA DI POLIGNANO A MARE di

Sandro Romano Ezio D’Onghia

foto di

Una Masseria mozzafiato con SPA, piscina, 26 suite e un ristorante d’eccellenza: stiamo parlando del Borgobianco Resort e dell’annesso ristorante White di Polignano a Mare, struttura ricettiva appartenente al gruppo Greenblu hotel & Resort, organizzazione che in Puglia e Basilicata da sempre si impegna ad offrire elevati standard qualitativi nei servizi legati all’ospitalità. Il mare a soli 7 km non è un richiamo sufficiente per convincere gli ospiti ad abbandonare questa meravigliosa struttura: 48 camere di cui 26 suite e 1 suite presidenziale, 1000 metri quadri di SPA, una piscina immersa nel bianco accecante della masseria e un ristorante dalla cucina “fusion”, sono le “facilities” alle quali difficilmente si rinuncia una volta arrivati qui. Fare visita al ristorante White di Polignano significa, pertanto, entrare in un mondo esclusivo in cui nulla è lasciato al caso. Si amerà la cucina del bravissimo chef executive Vito Giannuzzi, capace di sorprendere con la sua cucina matura ed intrigante.

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UN VERO GIOIELLO TRA GLI ULIVI SECOLARI E’ facile, persino ovvio, pensare alla Puglia come meta di turismo di mare. In realtà la Puglia è tanto altro e le masserie disseminate nelle sue meravigliose campagne zeppe di ulivi secolari, lo testimoniano. Molte di esse sono state riattate e si sono trasformate in informali agriturismi o prestigiosi resort, qualcuna, invece, è stata costruita appositamente, nel pieno rispetto degli stili architettonici e della compatibilità ambientale. È proprio il caso del Borgobianco Resort & SPA MGallery By Sofitel (prestigioso marchio di affiliazione della catena internazionale ACCOR che colleziona Hotel di lusso e hotel boutique) un vero gioiellino a 5 stelle costruito ad hoc per ricreare, nella contrada Casello Cavuzzi di Polignano a Mare, un antico borgo con la sua corte in cui i signori amavano incontrarsi per chiacchierare dopo la giornata passata a svolgere i lavoro nei campi. Il mare è facilmente raggiungibile, ma chi vuole rilassarsi, qui ha proprio tutto per farlo: una Salus Per Aquam di 1000 metri quadri, sauna, bagno turco, piscina riscaldata, cabina massaggio e trattamenti a base di olio d’oliva e succo di melograno (proprio l’albero di quest’ultimo frutto è il protagonista della campagna circostante con numerosi esemplari piantati). C’è tutto - dicevamo - per non uscire dal resort, compreso il ristorante White per

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FASHIONFOOD

farsi coccolare da un servizio professionale e cortese e per assaggiare l’ottima cucina del territorio. “Noi facciamo di tutto per offrire ai nostri ospiti il massimo anche dal punto di vista enogastronomico – ci spiega Vito Semeraro, direttore F&B del gruppo Greenblu, che gestisce il resort e altre prestigiose strutture con a capo l’amministratore delegato Vincenzo Gentile – perché all’interno di Borgobianco c’è il ristorante White, il cui chef executive è un giovane preparato che fa parte della rappresentativa pugliese che porta la nostra cucina in giro per il Mondo. Certo, se si ha voglia di visitare i dintorni, qui c’è davvero tanto a pochi chilometri, ma la cucina del nostro ristorante è curatissima e propone un menù à la carte che varia in base ai prodotti che ci mettono a disposizione i produttori locali da cui ci serviamo giornalmente, creando una cucina pugliese che lascia ampio spazio alla creatività del nostro chef”. “I nostri clienti – gli fa eco Daniela Vernice, resident manager che si occupa del funzionamento e dei collegamenti fra tutti i reparti della struttura – sono per circa il 70% stranieri. Noi offriamo loro tutto quello che possono desiderare da una bella vacanza, relax, servizi di qualità, ottima cucina. Poi sta a loro decidere se uscire dal resort per visitare le bellezze che abbiamo nelle vicinanze... ma qui c’è proprio tutto ciò che serve.

INVOLTINI DI RISO

piastrati con crema liquida di basilico, burrata, tonno marinato alla soia, crumble alla liquirizia e crema di burro salato INGREDIENTI per 2 persone

6 fogli di riso, g. 120 di burrata, g. 100 di basilico, g. 3 di agar, g. 120 di tonno rosso, g. 30 di crumble (farina, burro, zucchero , sale e liquirizia), g. 50 di burro salato, fumetto di katsuwonus (scaglie di tonno secco), olio extravergine d’oliva, sale e pepe q.b.

PROCEDIMENTO

Sbollentare le foglie di basilico e raffreddarle in acqua e ghiaccio. Frullare il basilico con il fumetto, portarlo a 90°C e

aggiungere l’agar. Realizzare il crumble unendo gli ingredienti; cuocere in forno a

180°C per circa 8/10 minuti. Ammollare i dischi di riso in acqua tiepida, dopo di

che riempirli con la crema di basilico e con burattina. Chiuderli.

Tagliare il tonno a cubi, posizionarli in una ciotola, versare la salsa di soia e far ma-

rinare. Comporre il piatto posizionando gli involtini

di riso precedentemente

scottati; posizionare il ton-

no marinato, nappare con la

crema di burro salato ottenu-

to facendo sciogliere il burro,

sfumare gli involtini con il brodo

di tonno e guarnire con il crumble.

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LA BRIGATA La cucina del ristorante White è affidata alla collaudata conduzione del talentuoso chef Vito Giannuzzi, aiutato da 7 cuochi e 2 pasticcieri, e conta 40 coperti e una cantina dotata di una selezione di circa 250 etichette in costante crescita. La sala è nelle mani esperte del maitre putignanese Vito Tria, che assicura professionalità e orientamento al cliente in quel comparto, ritenuto dal manager Vito Semeraro, a giusta ragione, di fondamentale importanza per assicurare al ristorante White il meritato gradimento della clientela. Lo chef Vito Giannuzzi è tra i più interessanti giovani chef di Puglia. Dopo la scuo-

la alberghiera fatta in quel di Castellana Grotte, suo paese natale, ha accumulato esperienze in prestigiose strutture pugliesi come Torre Coccaro, Torre Maizza, Sierra Silvana, Canne Bianche ed ha arricchito la sua formazione con stage formativi in prestigiosi ristoranti come Pont de ferr e Glass Hostaria, fino ad approdare al White del Borgobianco Resort. “Ho lavorato in diversi hotel 5 stelle all’estero ed in Italia; - ci racconta con orgoglio quando gli chiediamo di raccontarci il suo percorso lavorativo - poi nel 2009 mi sono

TAGLIOLINO

con scampi e pomodoro confit su crema di ricotta al tabacco INGREDIENTI per 2 persone

Porre la crema di tabacco in un piatto e

g. 60 di scampi

gliolini.

g. 160 di tagliolini

g. 50 di pomodoro confit

su di essa posizionare il nido dei ta-

g. 100 di panna 1 sigaro

g. 70 di ricotta

fumetto di pesce q.b. sale e pepe q.b.

olio extravergine d’oliva q.b. PROCEDIMENTO

In una casseruola mettere la panna, il sigaro sbriciolato e far ridur-

re. Ottenuta la riduzione, frullare il

tutto e filtrare. Lavorare la ricotta

con il composto di tabacco, equi-

librando il gusto di sale e pepe.

In un sauté versare il fumetto, l’olio

e aggiungere i pomodori confit. Far

insaporire; terminare la cottura del ta-

gliolino nel sauté e aggiungere gli scampi. Mantecare il tutto.

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FASHIONFOOD

tolto la soddisfazione di diventare campione internazionale di “Cucina calda singola mediterranea” e nel 2015 campione d’Italia con la squadra regionale Apulia cooking team”. “La mia cucina – prosegue – parte spesso dai prodotti tipici pugliesi che utilizzo in chiave creativa e un po’ fusion, soprattutto attingendo qualche chicca dalla cucina orientale”.

LA DEGUSTAZIONE I piatti che potremmo segnalare come “imperdibili” sono davvero tanti. Citiamo tra questi la capasanta lardellata con capocollo di Martina Franca su spugna di basilico e gelato alla burrata o i fioroni e zenzero con gambero crudo e soffice al cocco. Non mancano gli antipasti a base di carne, come la costina di maiale o vitello cotta a bassa temperatura con salsa guacamole e riduzione di ciliegie Ferrovia o il filetto di maiale marinato al the, crema di nocciole, burrata e insalatina di albicocche e pesche. Anche i primi accontentano i palati più esigenti con piatti come il risotto alla salicornia, vongole affumicate e latte di mandorla, ricetta di stampo decisamente pugliese, oppure gli spaghetti agli scampi e pomodori confit su crema di latte di cocco, che, pur partendo da una rassicurante base marina, virano verso l’esotico in un abbinamento con il cocco che richiama l’idea di una cucina di stampo etnico. Ma la cucina dello chef Giannuzzi non dimentica che in un posto come il White del Borgobianco resort bisogna accontentare anche i vegetariani; da qui nasce l’idea delle orecchiette con zucchina grigliata, pomodoro fresco e primosale. E se si preferisce un primo piatto a base di carne? Niente paura, lui preparerà degli ottimi tagliolini con filetto di manzo marinato al passito di Pantelleria e taccole estive. Anche la scelta dei secondi è varia. Grandi piatti come la rana pescatrice bardata con rete di maiale su zattera di anguria e menta con soffice di lattuga di mare e patata

o l’ombrina con variazione di fagiolini e pomodori infornati, sono richiestissimi dagli ospiti, così come la pluma di maiale iberico con purè di patate, polpa di riccio e pomodoro confit o, ancora, la guancia d vitello a bassa temperatura su soffice di patata e liquirizia. E per finire i dolci: ganache al cioccolato bianco e limone con mousse al basilico e mandorle cristallizzate. In alternativa consiglio di assaggiare la crema fredda al cioccolato al latte con gelato al caramello salato e croccante alle arachidi. A pranzo il ristorante si sposta all’aperto e propone, a volte con cooking show a bordo piscina, piatti più semplici ma sempre curatissimi, come insalatone, primi piatti, pesci alla griglia, oppure frutta e dessert, con la possibilità di bere un calice di vino o sorseggiare un’ottima birra artigianale.

I DINTORNI Fuori da Borgobianco, a pochi chilometri c’è un mondo. Un mondo fatto di città bellissime come Polignano, Monopoli e Ostuni, oppure le perle della Valle d’Itria Alberobello, Locorotondo e Martina Franca. C’è il mare a soli 7 km con la possibilità di scegliere il luogo che più aggrada spostandosi lungo la costa verso Brindisi. Non distante, c’è anche il bel capoluogo di regione, Bari, con le sue chiese romaniche e, davvero a pochi chilometri, le meravigliose Grotte di Castellana, tra i siti ipogei più importanti al Mondo.

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LA VANIGLIA IN UNA SFERA INGREDIENTI

Per la pasta frolla alla mandorla

Per la mousse alla vaniglia: portare latte

g. 125 di latte

g. 150 di burro

di pesce e versare sul cioccolato e burro

Per il cremoso alla vaniglia g. 175 di panna

1 bacca di vaniglia g. 43 di tuorli

g. 133 di copertura bianca g. 4 di colla di pesce

Per il pralinato alla mandorla g. 300 di mandorle tostate

e vaniglia

g. 95 di zucchero a velo

g. 30 di mandorle in farina g. 1 di sale 1 vaniglia

g. 56 di tuorlo

g. 225 di farina 00

g. 200 di zucchero semolato

PROCEDIMENTO

1 vaniglia

una crema inglese latte: panna, vaniglia e

g. 1 di sale

Per la mousse alla vaniglia g. 235 di latte

g. 10 di colla di pesce

g. 350 di copertura bianca g. 15 di burro di cacao g. 500 di panna 1 vaniglia

Per la copertura croccante g. 100 di burro di cacao

g. 100 di cioccolato bianco Per la chablonatura

g. 100 di burro di cacao

g. 100 di cioccolato bianco g. 5 di biossido di titanio

Per il cremoso alla vaniglia: realizzare

tuorlo; aggiungere la colla di pesce; versare sul cioccolato bianco e mixare. Colare in stampi cilindrici da inserimento

e vaniglia a bollore, aggiungere la colla

di cacao. Mixare e far raffreddare a 35°C. Infine alleggerire con panna montata.

Utilizzare la mousse per riempire degli stampi sferici e completare con gli inserimenti. Abbattere in negativo.

Le sfere ottenute saranno prima glassate dalla copertura croccante e successiva-

mente chablonate con l’aiuto di una pistola ad aria compressa. Completare il

dessert posizionando la sfera su un disco

di frolla precedentemente preparata con metodo classico.

Per il pralinato alla mandorla: realizzare un caramello a secco, aggiungere la vani-

glia e il sale e infine le mandorle. Colare sul silpat e far raffreddare. Frullare finemente ottenendo una crema; colare sul cremoso e abbattere.

Per la copertura croccante: sciogliere

gli ingredienti, e utilizzare per glassare gli

inserti e, successivamente, la sfera com-

RISTORANTE WHITE BORGOBIANCO RESORT & SPA

Contrada Casello Cavuzzi

70044 Polignano a Mare (BA) Tel. + 39 080 214 9060 www.borgobianco.it

pletata.

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Grana Padano conquista l’Inghilterra Dal 30 ottobre al 30 novembre nei piÚ prestogiosi ristoranti inglesi si potranno degustare piatti realizzati esclusivamente con questa eccellenza italiana Questo eccezionale prodotto naturalmente privo di lattosio e ricco di principi nutritivi fondamentali diventa protagonista nelle cucine italo-inglesi della Gran Bretagna.


MENU SPECIALI NEI SEGUENTI RISTORANTI SAN CARLO MANCHESTER 40 - 42 King Street West, M3 2WY SAN CARLO LEEDS 6 - 7 South Parade, LS1 5QX SAN CARLO LIVERPOOL 41 Castle Street, L2 9SH SAN CARLO BIRMINGHAM Temple Street, B2 5BN SAN CARLO BRISTOL 44 Corn Street, BS1 1HQ SAN CARLO LEICESTER 38-40 Granby Street, LE1 1DE CICCHETTI MANCHESTER House of Fraser, King Street West CICCHETTI COVENT GARDEN 30 Wellington St, London, WC2E 7BD

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GOURMETFOOD

IN MESSICO

QUINTONIL

RAPPRESENTA L’ESSENZA DELL’AMORE PER LA CUCINA di

Flavia Tomaello

Lo chef Jorge Vallejo e la responsabile amministrativa di alcuni ristoranti, Alejandra Flores, si sono innamorati, si sono sposati e hanno dato vita a Quintonil: un ristorante di alto livello che offre i sapori e le tecniche della cucina messicana contemporanea.

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QUINTONIL

J

QUINTONIL

Newton No. 55, Polanco 11560 Miguel Hidalgo, Città del Messico

Tel. +52 55 5280 1660 www.quintonil.com

orge Vallejo e Alejandra Flores si sono conosciuti, e non poteva essere diversamente, in un ristorante. Era il primo decennio degli anni Duemila ed entrambi stavano lavorando per il locale minimalista Pujol, una delle mecche della gastronomia locale nella capitale messicana. Lei, che in precedenza aveva terminato gli studi in amministrazione di ristoranti, era responsabile amministrativa del locale, mentre lui si era presentato a un colloquio di lavoro come cuoco. “E’ stato tutto molto veloce: gli ho fatto il colloquio, dopo qualche giorno stavamo già uscendo insieme e dopo una settimana eravamo fidanzati”, racconta sempre Alejandra ai giornalisti. Entrambi avevamo un sogno in comune: essere proprietari di un ristorante. E questo sogno si sarebbe concretizzato nel 2012, con l’apertura di Quintonil, nel quartiere di Polanco, a Città del Messico. I primi cinque anni sono di pianificazione e di formazione. I due vivono in una casa che si trova sopra il ristorante, e ciò garantisce che uno dei due controlli sempre se tutto va alla perfezione.

Lo sforzo ottiene il suo premio: nel 2014 il ristorante entra nella classifica Latin America’s 50 Best Restaurants, direttamente al decimo posto (avanzando fino al sesto posto l’anno seguente). Anche nel 2015 rimane nella lista del Latin America’s 50 Best Restaurants, redatta dalla rivista inglese Reastaurant, al 35° posto. Nel 2016 scala molte posizioni, confermandosi 12°, e finora é questa la migliore posizione raggiunta da un ristorante messicano in tale ranking. Nel 2017 si conferma al 22° posto di questa importante classifica. I primi approcci al mondo della gastronomia Vallejo (classe 1981) li ha frequentando la casa di sua nonna, sempre impregnata degli odori tipici della cucina messicana: fagioli, tortillas, tacos di avocado… Per questo non appare fuori luogo la decisione, nel momento di aprirsi al mondo, di studiare gatronomia: intraprende gli studi presso il Centro Culinario de México (Ambrosía). I suoi primi passi in questa professione si dirigono verso l’ambiente nomade della marina: lavora infatti nelle cucine delle navi da crociera Princess, su diverse rotte in giro per il mondo. Quan-

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GOURMETFOOD

do ritorna sulla terra ferma, decide di passare per il Pujol e così incrociare il suo destino con quello di Alejandra, diventando in seguito “master chef” del Gruppo Habita, posizione da cui dirige le cucine degli hotel Condesa DF, Habita e Distrito Capital. Nel 2010 ricopre l’incarico di chef responsabile presso il Ristorante Diana dell’Hotel St. Regis, posizione che lascia per realizzare un soggiorno presso il Noma, a Copenaghen, in Danimarca, insieme con la moglie. Nel 2014 lancia l’iniziativa Orígenes, insieme con gli argentini Mauro Colagreco (ristorante Mirazur, Francia e la catena di locali Carne, in Argentina) e il peruviano Virgilio Martínez (ristorante Central, Lima). L’obiettivo è quello di recuperare e preservare i prodotti, le tecniche e le abitudini culinarie che sopravvivono nelle piccole comunità dell’America Latina. Da questo momento, gli chef si lanciano in viaggi verso diverse località del conti-

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nente per ricercare e condividere esperienze. Nel 2015 la rivista GQ lo sceglie come “chef dell’anno” e la rivista Quién lo include nella classifica dei personaggi illustri che stanno trasformando il Messico. Quello stesso anno riceve l’invito a parteciare alla cena dell’organizzazione The Best Chef, che promuove nuovi talenti nel mondo della gastronomia a livello mondiale e che si svolge a Lione, in Francia ed è aperta ai 100 migliori chef del mondo. Flores (nata nel 1982), dal canto suo, è sempre stata, da giovane, una ragazza indisciplinata. Da adulta diventa però un’ottima amministratrice: non solamente si occupa della gestione dei fornitori, ma anche della supervisione del livello offerto da Quintonil ai suoi clienti, in modo che sia sempre di prima qualità. Si diploma in Amministrazione di Ristoranti presso il Centro di Studi Superiori di San Ángel (CESSA).


QUINTONIL

In seguito al diploma, vola in Svizzera per frequentare un master in Amministrazione d’Impresa diretta all’accoglienza, con specializzazione in marketing, presso la scuola Les Roches. A dicembre del 2006, qualche mese prima dell’incontro con Vallejo - che le avrebbe cambiato la vita - entra a far parte del Pujol come direttrice operativa. In seguito lavora come direttrice commerciale del Gruppo Enrique Olvera per quattro anni, prima di partire per la Danimarca. Il suo obiettivo attuale, secondo quanto lei stessa afferma, è “mantenere un’efficiente comunicazione tra la sala e la cucina del Quintonil, al fine di creare uno spazio intimo e accogliente che descriva e rafforzi al massimo le proposte dello chef”. Quintonil rispetta la tradizione ed esprime l’”essere messicano” con una forma semplice, ma allo stesso tempo creativa. Il ristorante integra la dinamica del servi-

CHILACAYOTES IN MOLE INGREDIENTI per 4 persone

g. 105 di platano maschio

Versare il tutto nella pentola e salare. E’

(zucca siamese bianca)

g. 1 di chiodi di garofano

rendere la salsa meno spessa ma sempre

g. 500 di chilacayotes

g. 200 di chayote (zucca spinosa) g. 200 di zucchine

g. 200 di tortilla abbrustolita

g. 1 di pepe grosso g. 10 di sale

l. 1 di acqua

g. 80 di basilico

PREPARAZIONE

Per il mole

peperoncino separatamente, fino a dorare

g. 24 di peperoncino “guajillo” g. 24 di peperoncino “pasilla” g. 24 di pepite di zucca

g. 34 di mandorle pelate 1 foglia di aguacate g. 2 di cannella g. 18 di tortilla

g. 505 di pomodori g. 1 di origano

g. 67 di cipolla bianca g. 9 di aglio

Per il mole: tostare i semi e i vari tipi di i primi e a rendere brillante i secondi (sen-

za bruciarli). Soffriggere la cipolla, il platano, l’aglio e il pomodoro rosso fino ad ebollizione. Aggiungere gli altri ingredien-

ti. Lasciar cuocere per 10 minuti e aggiun-

gere l’acqua. Altri 20 minuti a fuoco basso, continuando a mescolare, preferibilmente in una pentola di coccio. Frullare per 5 mi-

nuti in un thermomix. Rimettere sul fuoco e cuocere per tre ore fino a togliere l’acidità. Frullare di nuovo e passare al setaccio.

possibile aggiungere un po’ d’acqua per

polposa. Conclusione: in una padella, tagliare le tortillas in forme irregolari con

il coltello o con la mano e lasciare che si dorino fino a che compaiono alcune parti bruciacchiate. Mettere da parte.

Sbiancare in acqua bollente e sale i chilacayotes e aggiungerli al mole per cuocerli

fino a che si ammorbidiscano, ma senza disfarsi. Circa 15 minuti.

Con una laminatrice, tagliare a lamelle le

zucchine e il chayote, metterli in acqua per farli diventare dei riccioli.

In un piatto disporre una base con un poco di mole, accomodare i chilacayotes e i

riccioli di zucchini e di chayote, collocarvi sopra le tortillas abbrustolite e i germogli di diversi tipi di basilico.

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GOURMETFOOD

zio con la cucina (grazie alla coordinazione della coppia che lo dirige) e si basa su criteri di sostenibilità. Ogni prodotto che viene utilizzato è scelto in base alla sua origine, al processo produttivo e ad altre particolari caratteristiche rivolte ad ottimizzarne le qualità. “Questo garantisce il rispetto dei criteri di qualità e di affidabilità con i produttori, i fornitori e le comunità da cui proviene la materia prima”, spiega Vallejo. Quintonil inoltre conta su un’orto proprio che si trova sulla terrazza del locale, e dove vengono coltivati vari ingredienti del menù, tra i quali i germogli, le spezie, l’insalata e i fiori che vengono raccolti quotidianamente per essere utilizzati freschi sia nei piatti, sia come infusioni o nelle bevande. Dal punto di vista gastronomico, Quintonil offre i sapori e le tecniche tipiche della cucina contemporanea del suo Paese. La proposta ha come fulcro la ricerca e l’e-

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spressione delle varietà dei prodotti della terra attraverso i suoi piatti, le sue salse nonchè le presentazioni dei vari piatti. La carne gioca un ruolo rilevante in questo menu, anche se prevalgono le spezie, la frutta e la verdura. Un dato non meno importante: Quintonil non rappresenta l’unico successo raggiunto dal connubio Vallejo e Flores: nel 2016 è nata la loro prima figlia, che ha obbligato Alejandra a far coincidere gli incarichi amministrativi con i suoi doveri di mamma. “La nostra intenzione è quella di stabilire una connessione intima con ogni commensale di modo che l’esperienza di mangiare nel nostro ristorante risulti calda e accogliente come quella della propria casa: ogni piatto è uno stimolo alla memoria”, spiegano insieme Vallejo e Flores. In sostanza: Quintonil è, prima di tutto, un ristorante che nasce dal concetto di amore.



PRODOTTI ECCELLENTI

LA STRAORDINARIETÀ DI UN PRODOTTO ARTIGIANALE DEL TUTTO NATURALE di

Antonietta Mazzeo

Patate fritte in olio di girasole, un pizzico di sale marino e niente più! Il segreto: solo materie prime naturali di altissima qualità, senza aggiunta di conservanti. Patatas Nana, il cui nome, “Nana” è ispirato dalla poesia di Federico García Lorca, Nana de Sevilla (che significa “Ninnananna di Sevilla”) è il progetto dello Chef Michele Gilebbi per valorizzare un prodotto amato da grandi e piccini, selezionando tre unici ingredienti. Le Patatas Nana, sono infatti chips di patate della sola varietà Agria, vengono coltivate secondo la tradizione nella zona della Vega Granadina in Andalusia e irrigate dall’acqua incontaminata del rio Dúrcal, che nasce sulla Sierra Nevada e che conferisce un sapore unico. La produzione è interamente artigianale: le patate vengono rac-

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colte, lavate, leggermente pelate e tagliate a fettine. Vengono fritte in olio di girasole puro, ritenuto il migliore perché insapore, a 180°C, scolate, asciugate, lasciate raffreddare a temperatura ambiente e salate con puro sale fino marino. Tutti gli ingredienti provengono dalla stessa zona della Valle del Lecrin, in provincia di Granada. I macchinari utilizzati per imbustare sono di ultima generazione e garantiscono l’originale sapore del prodotto senza aggiunta di gas conservanti. L’indice di garanzia è assicurato dalla breve scadenza, a soli 3 mesi. Le Patatas Nana, le chips artigianali di qualità che sono presenti nelle enoteche e nelle gastronomie di alto livello, nascono al Nana Piccolo Bistrò di Senigallia, il locale “internazionale” dal


PATATASNANA

sapore Italo-Francese-Spagnolo, dove lo Chef Michele Gilebbi e Valentina Greco coniugano semplicità e fantasia in un accurato menù con poche proposte che, come vuole la filosofia della “bistronomique francese”, cambia tutti i giorni, in funzione della disponibilità delle materie prime e delle stagionalità. Il gradimento e l’affermazione della proposta del Nana Piccolo Bistrò, hanno presto richiesto nuovi spazi, ed ecco che un pezzo storico della città (una ex autofficina meccanica ristrutturata, di fronte alla stazione di Senigallia) diventa uno store-magazzino e spazio polifunzionale. Si scrive “_P”, si legge “Spazio P”: è uno spazio aperto contaminato delle arti, il nuovo quartier generale delle Patatas Nana che qui si possono acquistare nei vari formati, sia al dettaglio, sia all’ingrosso. Un circolo contemporaneo dove ci si può dare appuntamento per una riunione di lavoro, o gustare un pacchetto di chips mentre si gioca una partita a flipper o a biliardino; si può leggere un libro, suonare il pianoforte e, per la conformazione della struttura e la scelta che è stata fatta sulle luci, si può richiedere anche per una mostra d’arte. Il nostro consiglio è quello di accompagnare ed arricchire le Patatas Nana a piacimento: spolverandole con pepe nero e aggiungendo succo fresco di limone o finger lime. Le preferite dello Chef Michele Gilebbi? Riscaldate in forno a 180°C per pochi secondi e servite con alici del Mar Cantabrico marinate in aceto.

PATATAS NANA VIALE BONOPERA 37 60019 SENIGALLIA (AN) ITALY TEL. +39 347 8231117 WWW.PATATASNANA.COM INFO@PATATASNANA.COM

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ILFOCUSDIALESSANDROMAGNUM

a cura di

Alessandro Rossi esperto di vino, bon vivant, fondatore del Premio “Dire Fare Sognare”

TRE PASSI PER ENTRARE NEL MONDO DEL VINO Esistono veramente molte regole, più o meno importanti, per destreggiarsi nel complesso mondo del vino, ma tre di queste sono fondamentali anche per chi, in questo universo, naviga da diversi anni: a) Bevi sempre, quando puoi, con chi ne sa più di te; non avere mai la presunzione di essere arrivato, sulla tua strada troverai spesso qualcuno più bravo, qualcuno da cui imparare. Il che non vuole dire che dobbiamo stare a sentire più di tanto quei degustatori saccenti che sanno scoprire 30 aromi diversi in un vino. Vuol dire piuttosto che un assaggiatore più esperto di noi sarà in grado di farci cogliere qualche sfumatura positiva o negativa (una lieve mancanza di acidità o freschezza, un tannino un po’ rigido, un finale armonioso e lungo, un perfetto equilibrio in bocca, ecc.) che potrebbe esserci sfuggito e che diminuirebbe la nostra capacità di comprensione di un vino; b) Bevi sempre vini differenti, non fossilizzarti su quelli che ti piacciono di più: probabilmente nel tuo percorso avrai la possibilità di scoprire tanti vini ancora migliori. E se ti capita di bere lo stesso vino della medesima cantina, se puoi assaggia un’annata differente: ogni vendemmia dà un vino diverso anche allo stesso

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produttore, quindi cerca sempre di indagare nella memoria storica di ogni azienda. Perché nella diversità ci sono grandi fonti di piacere; c) Bevi con attenzione. Infatti, per entrare nella personalità di un vino e coglierne le caratteristiche principali, possono bastare anche pochi istanti di tranquillità. Ma se si beve in modo svagato, in ambienti rumorosi o mentre si chiacchiera con altre persone, la nostra testa non sarà in grado di comprendere quasi nulla del vino che abbiamo nel bicchiere e men che meno potrà memorizzarne le peculiarità. Avremo bevuto un sorso di vino, speriamo buono, ma lo avremo inghiottito come se fosse un alimento neutro e privo di interesse. Niente di grave, ma quando vogliamo fare una degustazione, occorre che troviamo un attimo di concentrazione e di tranquillità, lasciando che i nostri sensi possano lavorare in pace. Degustare un vino significa valutarlo concettualmente e organoletticamente attraverso la propria conoscenza maturata negli assaggi e nelle degustazioni precedenti. Il know-how raggiunto attraverso il più importante metodo di studio, cioè la pratica, è fondamentale per accrescere sempre di più la propria memoria


ILFOCUSDIALESSANDROMAGNUM

degustativa: chiunque attraverso l’esperienza può diventare un degustatore, anche se ovviamente vi è chi è chi è più dotato a livello sensoriale e mnemonico e chi meno. Un vino, anzitutto, si degusta per valutare e descrivere le sue caratteristiche in maniera sia oggettiva che soggettiva. Il primo esame è quello visivo, cioè si osservano il colore, la limpidezza e la densità del vino. Le tonalità del colore di un vino ci possono fornire immediatamente delle indicazioni ben precise riguardo alla sua evoluzione, infatti per i vini rossi più ci si avvicina al colore aranciato o granato più il vino è maturo (esistono parziali eccezioni, vedi Nebbioli e Pinot Neri per esempio), mentre, per i vini bianchi, più ci si avvicina a un colore giallo ambrato e più questi tendono ad essere vecchi (anche in questo caso esistono eccezioni, ad esempio quando si è in presenza di lunghe maturazioni in legno o di sovramaturazioni). La limpidezza non è da considerarsi un esame così utile per ottenere importanti informazioni al fine di una valutazione organolettica, in quanto, soprattutto ultimamente, alcuni vini sono unfiltered, cioè non filtrati né chiarificati, al fine di preservare al meglio tutte quelle sostanze che collaborano a costruire l’integrità fisica e aromatica. Osservando attentamente la pesantezza degli archetti di glicerina che si formano sulle pareti del bicchiere otteniamo poi altre informazioni sulla densità, sulla consistenza e sulla complessità alcolica del vino che stiamo degustando. Successivamente si analizza un vino sotto l’aspetto olfattivo, un esame che permette di determinare, attraverso i profumi, gli aromi primari (cioè quelli tipici dell’uva, per esempio moscato e traminer), i secondari (che derivano cioè dalla fermentazione alcolica e dal tipo di lieviti utilizzati), i terziari (cioè gli aromi derivanti dall’invecchiamento del vino, anche indipendentemente dal

contenitore impiegato per la conservazione, e dall’affinamento in bottiglia), l’intensità della sensazione aromatica, l’identificazione dei singoli profumi ed eventuali difetti. Molto importante è sviluppare sempre di più la memoria olfattiva catalogando i vari profumi e i singoli aromi del vino. Questa fase è la più complicata e richiede un notevole allenamento nel percorso di un degustatore, ma è fondamentale per riuscire progressivamente a individuare le uve con cui un vino è stato prodotto, l’età e la zona di produzione. Per ultima vi è l’analisi gustativa, dove si valuta, introducendo il liquido in bocca, la struttura del vino e tutto quello che abbiamo analizzato nella parte olfattiva. In questa fase si colgono anche la finezza di un vino, la dolcezza (che deriva soprattutto dalla presenza di zuccheri residui), la concentrazione alcolica (cioè quella sensazione di grassezza, calore e morbidezza che deriva dall’alcol), l’equilibrio (che nasce da una buona armonia tra le componenti, oltre che dall’evoluzione in legno o in bottiglia), la sapidità (che aumenta l’intensità e la bevibilità), la mineralità (che contribuisce ad arricchire il sapore e gli aromi), l’acidità (che dona freschezza e longevità) e la tannicità (che determina la ruvidezza, l’astringenza e la durezza di un vino). Il nostro assaggio si chiude con la parte concettuale, in cui cerchiamo di rispondere ad alcune domande. Intanto: mi è piaciuto o no? C’erano equilibrio e armonia? Che cosa mancava per renderlo perfetto? Avrei voluto un po’ più di acidità oppure un po’ meno di tannino? È un vino che esprime bene le caratteristiche del vitigno e del territorio in cui nasce? C’era troppo legno? C’è una precisa personalità? E così via, tenendo conto di tutti i fattori esterni che possono influire nelle risposte, a partire dall’ambiente, dalla compagnia, dalla stagione e, comunque, anche delle nostre predilezioni personali.


VINARIA

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LASCOLCA

LA SCOLCA E IL SUO AMORE PER IL GAVI di

Marco Tonelli

Facile col Barolo. Non parlo di abbinamento o di tecnica di cantina. Parlo di godere di quella notorietà che aiuta, anche in fase di mercato, i produttori che operano sotto questa denominazione. Fare invece vino in zone meno note, implica oggigiorno non solo il produrlo senza difetti, valorizzando al tempo stesso le peculiarità portate in dote dal terroir, ma anche aggiungere alle difficoltà quella carpiatura - come nel caso del Gavi - dovuta all’impiego di una bacca bianca utilizzata, specie in passato, per colmare le lacune gustative di molti spumanti nostrani. In una terra a prevalenza rossa come il Piemonte, il coltivare quest’uva bianca chiamata Cortese rende perciò ulteriormente difficile la contemporanea valorizzazione di vino e territorio. La famiglia Soldati, proprietaria a Gavi dell’azienda la Scolca, la pensa in maniera differente. Già il luogo su cui sorge questa cantina prende il nome di ‘sfurca’, termine che si potrebbe tradurre con ‘vedere lontano’. Quasi una preveggenza del luogo che non ha dell’ultraterreno, bensì del terreno tout court, come dimostra quel cru argilloso e tufaceo di Rovereto di Gavi, dimora di gran parte delle vigne de la Scolca, per cui in Francia scomoderebbero addirittura la qualifica di grand cru.

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VINARIA

Un habitat ideale in cui l’uva Cortese sguazza, tanto da assecondare la propria naturale tendenza a strafare, produttivamente parlando. “Come azienda abbiamo scelto di ridurre le rese per ettaro della metà, rispetto a quelle imposte dal disciplinare. Oltre a questo, monitoriamo costantemente la vite con vendemmie verdi e cimature secondo le esigenze della pianta, dell’annata, ma anche avendo ben presente la nostra idea di Gavi”. La visione nitida sul suo Gavi, fa sì che Chiara Soldati, da diversi anni alla guida dell’azienda, demolisca con queste poche parole il cliché della bionda svaporata e poco concreta. Chiara ha un bel sorriso, è cortese come il suo vitigno, ma ha grinta da vendere, perché conosce a fondo le potenzialità di quest’uva; su tutte, la mineralità. Chiamatela, se preferite, sapidità, che oggi pare essere uno dei passepartout indispensabili per il successo di un vino. A questo le etichette di Chiara affiancano una purezza fruttata senza paragoni, un ventaglio di sfumature accessorie espresse con grande finezza e, cosa non trascurabile specie per un bianco, una grande capacità di affinamento in bottiglia.

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LASCOLCA

Quest’ultima caratteristica appartiene a molte delle sue etichette; la gamma è piuttosto ampia, anche se quelle che meglio di altre la esprimono sono: il Gavi dei Gavi, meglio conosciuto come etichetta nera, e il Gavi dei Gavi d’Antan. “Il d’Antan (creato dal padre oltre 20 anni fa per il suo esordio in azienda), prevede il solo utilizzo di acciaio e un affinamento sulle fecce fini che si spinge sino a dieci anni. Per questa referenza, prodotta solo nelle grandi annate, abbiamo anche brevettato una bottiglia dalla forma particolare”. Il risultato è un vino dalla finezza straordinaria, che al tempo stesso mantiene intatto quel panorama gustativo, tipico del vitigno, che culmina in una rigogliosa sapidità. Il progetto de la Scolca di perlustrare tutte le sfumature del Gavi e di conseguenza dell’uva Cortese, non può dirsi completo senza parlare della bollicina, ottenuta solo attraverso il metodo classico. Il monoteismo da Cortese, mantenuto nel brut e nelle versioni millesimate, variante d’Antan compresa, viene infranto, ma solo per una piccola percentuale, nel rosé millesimato d’Antan, in cui si utilizza anche il Pinot Nero. La sfida, come detto, di dare valore alla propria idea di Gavi, ma di fatto anche a tutto quanto il territorio di produzione (come quello del Barolo diviso in 11 comuni), è stata comunque in parte agevolata dalla grande versatilità del vitigno. Dove? Ma a tavola naturalmente! “Avendo una produzione che per oltre il 50% si vende all’estero, come ulteriore argomento per far conoscere i miei vini cerco sempre di trovare un collegamento gastronomico con i piatti di diversi Paesi. Per questo ho sperimentato numerosi abbinamenti tra i miei Gavi e le diverse specialità locali”. Gli abbinamenti più riusciti? “Ho trovato di

grande soddisfazione il Gavi etichetta nera sia con la cucina messicana sia con quella russa, in accompagnamento al borscht o con gli affumicati di pesce”. Un catalogo di possibilità che sicuramente andrà ad ampliarsi negli anni a venire, visto che la Scolca ha riempito anche i bicchieri di Australia, Messico, Corea del Sud, Sri Lanka e tanti altri Paesi. Grazie ad aziende come questa, quasi cocciute nel compito di diffondere il gusto e la notorietà del Gavi, anche i produttori meno noti o meno storici, potranno godere di indubbi benefici. Ma attenzione! Bisogna tuttavia che chi si trovi - anche solo temporaneamente - nelle retrovie della denominazione, si adegui a una qualità non meno che elevata, di modo che il consumatore, oggi più che mai globale, non percepisca il territorio a macchia di leopardo, bensì organico e coeso, in particolar modo da un punto di vista qualitativo.

LA SCOLCA

Strada per Rovereto 170/r 15066 Gavi (AL)

www.lascolca.net

contatti@scolca.it

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VINARIA

IL MONDO CELEBRA IL

MALBEC

Il malbec varietale, famosa qualità di vino argentino, ha di recente ottenuto la sua celebrazione. Il suo consumo rapresenta un boom non solo in Argentina, ma anche nel resto del mondo. Qual è il segreto del suo successo? di

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Flavia Tomaello


MALBEC

Quest’anno si è celebrata, per il settimo anno consecutivo, la giornata mondiale di uno dei simboli argentini più conosciuti al mondo: il vino Malbec. “Il mondo ammira questa qualità, allo stesso modo in cui ammira il tango, l’”asado” e innumerevoli altre ricchezze del nostro patrimonio culturale”, spiega Fernanda Orellano, direttrice generale della “Escuela Argentina de Sommeliers Latinoamérica” e autrice del libro La cucina del vino (“La cocina del vino”), casa editrice Albatros. “E’ la nostra varietà ambasciatrice ed è capace di conquistare palati in tutto il mondo”, aggiunge. Di fatto il Malbec detiene un record difficile da battere: è sia profeta in patria, sia attrazione vitivinicola argentina all’estero. L’Argentina ha la maggiore superficie al mondo coltivata con questa varietà (quasi 30.000 ettari, leggermente oltre il 17% del totale dei vitigni del Paese, in base ai dati dell’Istituto Nazionale di Vitivinicultura, INV). Dall’anno 2000, la superficie coltivata con questa varietà è aumentata nientemeno che del

140%. Se si compara con il 1993, l’aumento è stato quasi del 300%. Oltre agli esperimenti che vengono proposti in altre regioni ad alta vocazione vitivinícola, dal Cile e dalla California fino all’Australia e alla Francia, il connubio tra il Malbec e l’Argentina risulta sempre più fertile e solido. Secondo l’INV, il 36% delle varietà di rossi d’alta qualtà enologica che si producono in questo Paese corrispondono al Malbec. Tuttavia rimane ancora lontano dai record storici. Laura Catena ricorda infatti che a metà degli anni ’50, la quantità di ettari destinati a questa varietà ruotava attorno ai 48.000 ettari. “In seguito alla crisi finanziaria degli anni ’70, la domanda ha subito una profonda trasformazione e hanno cominciato ad emergere i vini economici, per i quali sono stati utilizzati migliaia di vigneti di Malbec tanto che la superficie coltivata si è ridotta ad appena 14.000 ettari”, ci spiega. Catena è autrice del libro Vino argentino, pubblicato originariamente in inglese da Chronicle Books e successivamente diffuso in versione bilingue in Argentina dalla casa editrice Catapulta Editores nel 2011. Il libro racconta il percorso sviluppato dall’industria vitivinícola argentina, con speciale riferimento al Malbec, e come si sia consolidata la sua presenza nei mercati di tutto il mondo.

IL SEGRETO DEL SUCCESSO Qual è il segreto del suo successo? Ce lo spiega Mario Giordano, Amministratore Delegato di Wines of Argentina, il marchio sorto per la diffusione del vino nazionale e per la realizzazione di manifestazioni internazionali: “E’ un vino che la gente apprezza facilmente e che convince il consumatore

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VINARIA

delle differenti latitudini perchè è morbido, per i suoi tannini dolci, per la sua corposità …”. Il terreno argentino gioca un ruolo fondamentale: “Ad altre latitudini, dove si è provato ad introdurre il Malbec, il risultato è stato quello di un vino molto vegetale, più duro, e per questo non ha ottenuto il successo che al contrario ha raggiunto in America Latina”, aggiunge Giordano. Orellano evita i tecnicismi e describe con poche parole la passione crescente verso il Malbec: “Piace e basta”, dice. E aggiunge, affrontando l’argomento: “E’ un vino con molte qualità organolettiche: ha un’eccellente varietà di aromi fruttati, è amabile, gradevole, buono... Il consumatore comune lo adora”. In termini di valore economico, inoltre, gioca un ruolo fondamentale: “È un prodotto che genera valore aggiunto e pertanto rappresenta un beneficio sostenibile per l’industria”, aggiunge la sommelier. “Può risultare grandioso come varietale unico o con il suo blend, dato che si combina con gli aromi e con i sapori intensi, maturi e concentrati dei suoi “fratelli francesi”, come il cabernet sauvignon e il cabernet franc, e lascia nel palato una sensazione di bontà e di morbidezza, descrive Catena. Non è strano, quindi, che sia stato adottato in varie regioni del pianeta. A livello mondiale, il 64% delle esportazioni del vino argentino a dicembre del 2016, sempre secondo i dati dell’INV, corrispondeva alla varietà del Malbec. E chi lo segue in seconda posizione? Al secondo posto c’è il cabernet sauvignon, ma solo con il 7,62%.

IL GRANDE AMBASCIATORE Tra i Paesi che consumano più Malbec argentino troviamo gli Stati Uniti, la Gran Bretagna (“è impressionante l’accoglienza ricevuta in questo paese, soprattutto in tutta la catena di distribuzione, dai ristoranti ai supermercati”, sottolinea Giordano), Canada, Brasile e Messico. Ma esistono tuttavia molti altri mercati che hanno manifestato un crescente interesse e che pos-

sono rappresentare un clamoroso giro d’affari a breve termine. Parliamo, ad esempio, di Paesi come la Cina. “Che il risultato non sia ancora all’altezza del potenziale di questa nazione, dipende dal un pregiudizio culturale: questo gigante asiatico non conosce molto l’Argentina e questo fa sì che sia più difficile penetrare commercialmente con un prodotto come questo vino, così tanto radicato nella nostra cultura”, indica Giordano. Pertanto è da sottolineare come “gli eventi come il giorno mondiale del Malbec siano importanti, per avvicinare il messaggio all’offerta che, come è già stato dimostrato, genera un’effetto di significativo sostegno economico per i produttori.”. Catena, da parte sua, sostiene che il turismo ricettivo che l’Argentina ha sperimentato negli ultimi anni ha rappresentato solo un tassello in più per spingere il Malbec alla conquista del mondo. “Molti stranieri si sono avvicinati per la prima volta a

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MALBEC

questa varietà di vino, proprio mentre erano in visita nel nostro Paese.” Il luogo per eccellenza del malbec è Mendoza, una delle province argentine: l’85% della superficie coltivata a questa varietà si trova proprio in quest’area geografica. Nonostante ciò, possiamo dire che al giorno d’oggi non è questo l’unico posto dove si manifesta tutto lo splendore di questa varietà: la troviamo infatti lungo tutto il territorio nazionale, da Salta a La Rioja fino a Neuquen e Rio Negro, passando per San Juan. “Il Paese offre vini di tutti i tipi, fruttati, freschi e dolci e perfino si vedono nascere alternative che adottano le caratteristiche tipiche della regione e del terreno, ed è per questo che nascono Malbec che provengono da aree più piccole: da Paraje Altamira, da Gualtallary, da Tupungato, da Cafayate, da Pedernal…”, ci spiega Orellano. E’ proprio in questa versatilità che risiede il segreto del suo successo. “E’ una varietà estremamente nobile,

che si manifesta con molta generosità rispetto ai diversi climi e alle diverse condizioni geografiche, che si offre generosamente sia da sola come in combinazioni (tagliata con il cabernet sauvignon, il merlot, il cabernet franc, il tannat), che risulta eccellente in invecchiamento ma che è capace anche di prescindere dal roveve”, ci spiega Orellano.

PRESENTE, PASSATO E FUTURO L’origine del Malbec si può far risalire alle regioni del sudovest della Francia, e più precisamente alla regione di Cahors, dove si coltivava questa varietà con la denominazione di cot. Verso la fine del XIX secolo, un’invasione di fillossera, insetto simile alla pulce ma che attacca la vite, distrusse l’intera vitivinicoltura francese: si calcola che tra

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VINARIA

il 1875 e il 1889 siano stati persi circa 2,5 milioni di ettari di vigneti su tutto il territorio nazionale. Ma erano ormai state piantate le prime radici del Malbec: i “vini di Cahors”, così com’erano conosciuti, erano arrivati fino al mercato inglese ed erano riusciti a radunare proprio qui alcuni estimatori. “Si calcola che al momento dell’invasione della fillossera, il 60% dei vigneti della regione di St-Émilion avessero piantato viti di Malbec”, ci racconta Catena. La fortuna dell’Argentina fu che questa varietà fosse già riuscita ad arrivare nel Paese nel 1853, per mano di Michel Aimé Pouget, un agronomo al soldo dell’ex presidente Domingo Faustino Sarmiento che intendeva portare avanti la gestione della “Quinta Agronómica de Mendoza” (Riserva Agricola di Mendoza, ndt), un’iniziativa che aveva come obiettivo l’introduzione di diverse varietà di viti al fine di migliorare l’industria vitivinicola argentina. Pedro Pascual Segura, l’allora governatore di Mendoza, appoggiò la mozione davanti alla Legislatura della Provincia e questo disegno, presentato esattamente il 17 aprile 1853, fu convertito in legge il 6 settembre dello stesso anno. Quel 17 aprile è da considerarsi, pertanto, come la data d’inizio della storia del Malbec. Il successo non fu immediato: fu necessaria l’immigrazione di francesi e di italiani che si riversarono su tutto il territorio portando con sè le conoscenze adeguate di tecniche di coltivazione e di vinificazione, che ormai erano state assimilate con successo in Europa, e fu questo che provocò una crescita esponenziale della vitivinicoltura argentina. Il Malbec e il terreno argentino in generale - e quello mendozino in particolare - erano destinati ad essere fatti l’uno per l’altro: la varietà di vite si adattò rapidamente ai diversi terreni fino ad svilupparsi anche meglio che nella sua regione d’origine. “Il clima secco e il terreno arenoso che caratterizzano la provincia, hanno evitato l’epidemia della fillossera, così che qui le viti non si ammalavano mai, mentre l’uva maturava eccezionalmente, grazie all’aria secca del deserto e all’esistenza di una lunga stagione di crescita.”, ci spiega Catena. “Questa varietà era destinata a trasformarsi nell’ennesimo immigrante europeo di successo”, conclude. Il futuro che si presenta è oltremodo promettente: cresce la superficie coltivata, aumentano le esportazioni, l’accettazione del mercato interno è sempre maggiore… Come piace dire a Orellano: “Di Malbec, ne avremo per un bel po’”.

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UN MALBEC PER DOMINARE TUTTI Principali destinazioni delle esportazioni argentine di Malbec MERCATO FINALE

QUANTITÀ DI CASSE 12 UNITÀ

1 STATI UNITI

5.080.046,21

2 REGNO UNITO

1.692.767,02

3 CANADA

1.028.243,76

4 BRASILE

743.422,62

5 MESSICO

480.902,69

6 PAESI BASSI

370.261,17

7 CINA

272.846,28

8 SVIZZERA

233.253,90

9 GERMANIA

183.719,49

10 DANIMARCA

149.687,08

(Fonte: Wines of Argentina)

ETTARI DI MALBEC COLTIVATI NEL MONDO Argentina: 39.486 ettari Cile: 6.000 ettari Francia: 5.300 ettari Sudafrica: 4.000 ettari Nuova Zelanda: 80 ettari California (Stati Uniti): 45 ettari (Fonte: Wines of Argentina)



EDITORE La Madia srl Sede legale: Via E. De Amicis, 53 - 20123 Milano (MI) Sede operativa: Via Pacchioni, 365 - 47521 Cesena (FC) Tel. 0547 23821 - Fax 0547 25809 Internet: www.lamadia.com - E-mail: lamadia@lamadia.com

CONFEDERATION EUROPEENNE

DES GOURMETS La famiglia dei Gourmets europei si è data una nuova dimensione per valorizzare

il piacere

della convivialità e della cultura

enogastronomica italiana

Direttore responsabile: Elsa Mazzolini La Madia srl è parte del Gruppo Cose Belle d’Italia www.cosebelleditalia.com

REDAZIONE Caporedattore: Maria Chiara Zucchi Impaginazione: Andrea Amadori Stampa: D’Auria Printing SPA - (AP) Webmaster: Giorgia Zucchi Redazione e centro di distribuzione in Gran Bretagna: ALIVINI Company Limited - London - Tel. +44 20 8880 2525

COLLABORATORI Domenico Acconci, Giovanni Angelucci, Silvia Bianco, Daniele Briani, Teresa Cremona, Giulia Gavagnin, Giuseppe De Girolamo, Claudia Deb, Maurizio Di Dio, Gianni Di Lorenzo, Fabio Ferrantino, Lorenzo Ferrari, Luigi Filippi, Roberta Filippi, Lucy Gordan, Verdiana Gordini, Carla Latini, Giuseppe Lo Russo, Giovanni Mastropasqua, Antonietta Mazzeo, Alessandra Meldolesi, Claudio Mollo, Alessia Pellegrini, Giacomo Pilati, Alessandro Ricci, Gianluca Ricci, Alessandro Rossi, Simone Rosti, Flavia Tomaello, Marco Tonelli, Primo Vercilli. Fotografi: Nikoboi, Pasquale Spinelli, StudioGraf, Lido Vannucchi Illustratori: Patrizia Zavatti

PUBBLICITÀ

CONTATTI: Romano Lambri - Presidente Cell. 393.9815078 Mauro Marelli - Console della Stampa Cell. 392.3591439 www.cegourmet.eu - info@cegourmet.eu

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SERVIZIO ARRETRATI PER NON ABBONATI 2 copie + spese di spedizione 10 euro e La Madia Travelfood TM sono marchi registrati di proprietà.

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