La Madia Travelfood n. 324 - Gennaio/Febbraio 2018

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Mensile Sped. In Abb. Post. - Gruppo III° - 45% - Art.2 Comma 20/B Legge 662/96 - Fil. Forlì - Tassa Pagata - Taxe Perçue - Reg. Trib. Di Forlì N.653 - Del 14/6/84 - Dir. Resp. Elsa Mazzolini - La Madia Srl - Via Pacchioni, 365 - Cesena - Euro 4,00 - In caso di mancato recapito restituire al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa

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ANNO XXXIII Gennaio/Febbraio 2018 - N. 324 - €E 4,00 Direttore ELSA MAZZOLINI

ADRIÀ

EN CONSTRUCCIÓN

LA MADIA EDITORE


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SOMMARIO - LA MADIA TRAVELFOOD n. 324

GOURMETFOOD

di

Alessandra Meldolesi

GOURMETFOOD

di

Simone Rosti

pag. 50 ELBULLI DOPO ELBULLI

MASSIMILIANO POGGI

Cosa sta davvero facendo Ferran Adrià.

La svolta di Poggi nel suo nuovo MP Cucina.

GOURMETFOOD

di

Flavia Tomaello

VINARIA

di

Giulia Gavagnin

pag. 76

pag. 44 CRISTIAN MORALES

DAMIJAN PODVERSIC

Quando la cucina dà un senso alla vita.

La grande bellezza è nel vino.

pag. 92


foto di copertina © Pepo Segura

La cultura del benessere

GourmetFood

Peso e salute... quanta fatica!

Menti giovani a Les Caves

di Primo Vercilli................................................................ pag. 10

di Lisa Foletti.................................................................... pag. 54

La scelta vegana

Giovani Talenti

Vegan Poker Power

Stefano Deidda - Ristorante Dal Corsaro

di Silvia Bianco................................................................. pag. 12

di Antonietta Mazzeo....................................................... pag. 60

Agriturismo Coroncina

faccio cose...vedo gente...

di Gianni Di Lorenzo......................................................... pag. 16

a cura di Elsa Mazzolini.................................................... pag. 67

Assaggi di Galateo

Prodotti Eccellenti

Online reputation: fobia da recensioni

Collezione 110 Pentole Agnelli

di Fabio Ferrantino........................................................... pag. 18

di Maurizio Di Dio............................................................. pag. 68

Progettare l’impresa

Chef di Spirito

Il copywriting

Cime di rapa

di Lorenzo Ferrari............................................................. pag. 20

di Sonia Leo..................................................................... pag. 72

Chissenefood

Prodotti Eccellenti

Food Lovers, vil razza dannata

Riserva San Massimo

di Cristiano Giliberti.......................................................... pag. 22

di Antonietta Mazzeo....................................................... pag. 82

Golavagando

Bibo Srl

Gino’s 1928...................................................................... pag. 26

di Giovanni Mastropasqua............................................... pag. 85

GolavagandOraviaggiando

Vinaria

Osteria Zanchetti

Il focus di Alessandro Magnum

di Alessia Pellegrini.......................................................... pag. 28

Descrivere il vino

Golavagando

di Alessandro Rossi.......................................................... pag. 88

Ferramenta a Santarcangelo

Cambiamenti climatici

di Gianni Di Lorenzo......................................................... pag. 32

di Cristiana Lauro e Alessandro Rossi.............................. pag. 90

Schneeberg Family Resort & Spa

Assaggio di libri................................................................ pag. 96

di Maria Chiara Zucchi...................................................... pag. 38



EDITORIALE di

Elsa Mazzolini

LA MUSICA È FINITA Sarà sgradevole pensarci appena finite le feste natalizie, ma noi tutti sembriamo ormai quelli che si ostinano a ballare nel salone delle feste, mentre il Titanic affonda, squarciato dall’iceberg. In una situazione vistosamente compromessa non ci saranno scialuppe per tutti e a salvarsi, come sempre, saranno solo quelli della 1ª classe, mentre l’orchestra continuerà a suonare la consueta musica di propaganda, oppiacea e stordente, per quelli della 2ª e 3ª classe. Fino al black out. Peccato non voler ascoltare gli avvisi ai naviganti, peccato non provare a scansare quell’iceberg ben visibile sulla nostra rotta, fatto di mancanza di lavoro, di un’orda epocale di migranti che non siamo mai stati in grado di integrare, di stipendi non ancorati al costo della vita, di pensioni minime da fame, di fallimenti di aziende (ancora 2 ogni ora), di rapacità del fisco, di massacro inesausto del territorio, di incapacità di favorire il futuro dei nostri giovani. Che l’Italia manifesti segni di ripresa certa, è pura propaganda elettorale. Rimangono infatti intatti i privilegi dei soliti e l’enorme incertezza economica di tante famiglie, la povertà sempre più endemica, la scuola che traballa sia nelle sue strutture murarie che istituzionali. Solo per fare un esempio del quadro disastroso, basti dire che rimane senza risposta, anche nelle promesse elettorali, il problema della tutela delle famiglie e del lavoro delle donne in particolare: nel 2017 le dimissioni volontarie per madri con figli fino a 3 anni sono state 37.738, causate soprattutto da mancanza di nidi o esosità delle rette. Se una donna percepisce uno stipendio di 1.000 euro (quando va bene) e ne spende quasi la metà per il nido, senza contare poi le necessarie spese per vestiario, alimenti e pannolini, si capisce bene che non conviene lavorare sette ore al giorno senza poter badare ai propri figli, solo per pagare nidi o tate, visto che i nonni ormai sono ancora tutti al lavoro per il prolungamento dell’età pensionabile. Questo non investire sul capitale umano del futuro costituisce la miopia più scandalosa perché rappresenta il primo tassello a favore delle discriminazioni e

ME

delle enormi differenze sociali di cui è permeata la nostra società. Sarebbe dunque ora di poter ascoltare un’altra musica.

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ADDIO AL PADRE DELLA NUOVA CUCINA ITALIANA di

Giulia Gavagnin

Per tutti era “Il Maestro”, ma avrebbe potuto essere anche

grazie all’affettuosa destrezza di una brigata di zie e comari

“Il Professore”, “Il Sommo”, “l’Eletto”, “il Migliore”. Gualtiero

intenerita per il lieto evento in una capace casseruola di ra-

Marchesi è stato il più grande cuoco italiano del Novecen-

me, imbottita di tiepidi panni”. È figlio d’arte: i genitori sono

to e ne era perfettamente consapevole. Quando conquistò

proprietari di un ristorante-albergo nel capoluogo milane-

la terza stella Michelin nel 1985, primo italiano di sempre,

se, nel quartiere di Porta Vittoria. Compie studi irregolari.

disse, laconicamente: “Questo è solo l’inizio”. Non aveva

Viene iscritto alla scuola commerciale, ma l’ abbandona al

bisogno di essere falsamente modesto, conosceva a fondo

terzo anno perché non riesce ad affascinare la sua mente

i propri mezzi ed era certo di rappresentare il futuro anche

curiosa. La madre, stufa di vederlo fare il perdigiorno, lo

quando, in realtà, rappresentava già il passato. Pensava

iscrive alla scuola alberghiera di St. Moritz. Lì apprende i

che la sua rivoluzione sarebbe durata in eterno, fingendo di

fondamenti dei fornelli e della sala e impara il francese e il

ignorare che i rivoluzionari cambiano il mondo con azioni

tedesco, “meno bene l’inglese perche’ non mi interessava”.

che durano l’espace du matin. La sua stella è brillata fulgi-

Una volta rientrato in Italia, prende servizio presso l’alber-

da per più di un decennio,

go di famiglia. Serve tutti i

dall’approdo in Bonvesin de

giorni i piatti della tradizio-

la Riva nel 1977 fino a poco

ne lombarda dalle 12 alle 19,

prima del buen ritiro all’Al-

quando fugge puntualmente

bereta di Erbusco, quando

per coltivare i suoi molteplici

il mondo era già cambiato,

interessi: letture filosofiche,

forse in peggio. Con la sua

libri d’arte e, soprattutto, le-

aura da Accademico, l’ince-

zioni di piano. Così conosce

dere elegante, l’italiano for-

la futura moglie Antonietta

bito, l’innata eleganza con la

Cassisa, pianista di talento e

quale indossava la casacca

sua insegnante fino alla data

immacolata alla stessa ma-

del matrimonio. A 32 anni,

niera della cravatta Regimen-

infatti, Marchesi decide che

tal, riusciva a sembrare tut-

vestira’ la casacca del cuoco

to fuorché un cuoco. È stato

e non il frac da pianista, il

pero’ il piu’ grande di tutti, a

bianco e non il nero. Eppure,

costo di sembrare antipatico,

quegli anni sono stati decisivi

semplicemente perché deci-

per la formazione del futuro

se di esserlo: con il talento

Maestro. L’amore per il Bel-

dei predestinati e la tenacia dei forti. Gualtiero Marchesi nasce a Milano nel 1930 “scodellato,

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Nel 2014 La Madia assegnò a Gualtiero Marchesi il Premio Nazionale Galvanina alla Cultura, nell’ambito del Festival della Cucina Italiana.

lo, per l’Arte, per l’Armonia, gli fanno intravvedere quello che c’è “Oltre il Fornello”, come recita uno dei suoi libri


fondamentali. È l’inizio dela Cucina Totale, ma per metterla a

una delle tre stelle. Nel 2008, subito dopo l’inaugurazione

punto è necessario un periodo a “risciacquare la casacca” in

del Marchesino alla Scala, indice una conferenza stampa,

Oltralpe. Insieme alla Nouvelle Vague, infatti, in quegli anni

durante la quale dice provocatoriamente che restituirà le

soffiava il vento della Nouvelle Cousine. “La nuova cucina

stelle. Due anni dopo, la Rossa lo menzionerà come cuoco di

riservava un’importanza particolare alla presentazione del

un “ristorante-albergo”, fuori dal circo dei macarons.

cibo, puntando sulla cura del dettaglio, sull’armonia del

Intanto, però, il suo prestigio come Maestro vero e proprio

colore e delle forme. La composizione delle materie doveva

cresceva. Già nel 2004 aveva fondato l’Alma di Colorno, l’u-

apparire nel piatto alla stregua di un’opera d’arte visiva. E

nica, vera Università della cucina del Belpaese, conferman-

siccome il risultato doveva essere una creazione artistica,

do l’innata vocazione alla formazione, quella che già aveva

questo nuovo stile culinario non poteva fondarsi su regole

coltivato alcuni dei più importanti astri nascenti della cucina

rigide e codificate e non poteva dare luogo a un prodotto

e della pasticceria italiana: Carlo Cracco, Davide Oldani, An-

finale riproducibile”. Trascorre un lungo periodo tra Ledoyen,

drea Berton, Pietro Leemann, Ernst Knam, Paolo Lopriore,

Le Chapeau Rouge e, soprattutto, Troisgros. Torna in Italia;

Daniel Canzian.

nel frattempo l’attività paterna ha chiuso, e Marchesi deve trovarsi un lavoro. Passa qualche anno prima di tornare alla

Negli ultimi anni diceva di non capire le nuove tendenze.

ristorazione, quando rileva una pizzeria in disarmo in via

Non amava Bottura, rifiutava di accettare il successo di

Bonvesin de la Riva. È l’inizio della Storia.

Adrià. Di molti fenomeni emergenti diceva: «Troppa ricerca della spettacolarizzazione fine a se stessa. Tanti cuochi non

Gualtiero Marchesi ha già 47 anni quando inaugura il risto-

conoscono la materia prima, la strapazzano, io li chiamo “i

rante che porta il suo nome. A questa età molti suoi colleghi

fantasisti del crimine in cucina”. Se conoscessero l’ingredien-

sono già nella curva discendente della parabola creativa.

te, non lo ucciderebbero”. Marchesi era figlio del suo tempo,

Lui, invece, è nel pieno del fulgore intellettuale. Gli inizi so-

non poteva capire i suoi successori. Era imbevuto di cultura

no difficili: le stoviglie sono acquistate a prezzo di realizzo,

classica, della ricerca delle Proporzioni Auree, come Canova

posate e pentole sono realizzate insieme all’amico Eugenio

nella scultura.

Medagliani, figlio di artigiani specializzati nella produzione

Il suo era un linguaggio di strutturazione, non di destruttu-

di utensili di cucina e attrezzi per cuochi. È un lavoro sinergi-

razione, di composizione e non di scomposizione. Parlava la

co: il cuoco studia le vivande e il modo piu’ corretto di cuo-

lingua di Pinturicchio, non quella di Picasso.

cerle per renderle più essenziali possibile, l’artigiano studia

Agli eredi, lascia la riscrittura delle regole della cucina ita-

i materiali più idonei a realizzarle. Trionfa il rame, proprio

liana, che ha trasformato da mezzo di sussistenza a forma

quello della casseruola nella quale Marchesi fu deposto alla

d’Arte come la pittura, la musica, la letteratura. Un mezzo

nascita. È una cucina che appartiene al mondo delle idee, lui

espressivo a volte narcisistico ma rivolto al perseguimento

stesso la definisce “cucina concettuale”: cotture brevi, mate-

dell’eccellenza assoluta, “oltre il fornello”. Una volta disse:

ria prima impeccabile, rilettura ragionata della tradizione, e,

«La cucina a cui ho sempre aspirato è la cucina della forma

soprattutto, aspirazione a fare del piatto un’opera d’arte per

e della materia, la cucina intesa come cultura e come lin-

tutti i sensi tangibili: vista, olfatto, tatto, gusto. In poco tem-

guaggio per esprimere il meglio di se stessi. Non basta la

po matura la Rivoluzione marchesiana: riso zafferano e oro,

padronanza della tecnica, occorre anche una sensibilità per

raviolo aperto, seppia al nero, cubi di cotoletta. Arriva su-

le cose belle e la curiosità per il mondo. (…) La ricetta è in

bito la prima stella Michelin, l’anno successivo la seconda,

fondo uno spartito e la nostra categoria è formata da due li-

nel 1985 la terza. Marchesi è nell’Olimpo dei cuochi, come

velli di preparazione: i bravi esecutori e i buoni compositori.

Bocuse, Point, Troisgros. Non era mai accaduto prima a un

Sapete già che a loro aggiungo sempre un terzo livello: l’ar-

italiano.

tista. Raro, ma capace di proiettare la cucina sul piano degli

Dopo un lungo periodo di trionfi, il lento declino. Il mutato

altri linguaggi artistici. Come è giusto che sia».

clima politico non gli perdona una contiguità giudicata ec-

Marchesi non ha mai voluto essere meno che un artista. Co-

cessiva a certi ambienti di potere. Nel 1992 abbandona Mila-

me gli piaceva dire, parafrasando Picasso, “un grande cuoco

no, si trasferisce all’Albereta, in Franciacorta. Gradualmente

è un bambino che per tutta la vita gioca a fare un mestiere

la stampa e i critici lo emarginano. Veronelli lo priva del sole

da grande”. Nel suo caso, da Grande con la G maiuscola.

(massimo riconoscimento nelle sue guide), la Michelin di

Forse il suo vero erede non è ancora arrivato.

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LACULTURADELBENESSERE

a cura di

Primo Vercilli Medico Dietologo

PESO E SALUTE... QUANTA FATICA! Mentre ci lecchiamo le ferite causate dai troppi eccessi subiti durante le Feste Natalizie, ecco subito il triste ritorno alla realtà: dobbiamo metterci a dieta! Il periodo da gennaio a maggio è quello che, notoriamente, è maggiormente preso di mira per rimettersi in forma. In questo niente di male, direi. Certamente c’è qualcosa che dovremmo migliorare: bisognerebbe smetterla di pensare alla dieta come qualcosa a tempo, e ci si dovrebbe maggiormente concentrare su un atteggiamento più omogeneo durante tutto l’anno piuttosto che pensare che ci sono “periodi sì” e “periodi no” di dieta! Proprio non riusciamo a slegare l’idea della dieta da quella della privazione e, inevitabilmente, pensiamo che una dieta, al massimo, può durare per qualche mese, giusto il tempo di rimettersi un attimo in forma. Questo dualismo è proprio quello che non ci permette mai di affrontare una dieta con il giusto approccio: il perder peso non deve essere il fine della nostra alimentazione, ma solo la verifica che la nostra alimentazione è corretta. Se impariamo a mangiare va da sé che il peso migliorerà… e, badate bene, imparare a mangiare non significa semplicemente che dobbiamo scegliere alimenti qualitativamente “sani”, ma anche scegliere i giusti rapporti e le giuste proporzioni tra

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i diversi nutrienti; infatti, possiamo mangiare sano quanto vogliamo, ma, se non utilizziamo quegli alimenti sani nelle giuste proporzioni potremmo ugualmente aumentare di peso. La bilancia quindi rappresenta una cartina al tornasole importante: è inutile appellarsi a cambi del metabolismo, età, stress che non ci permettono più di essere magri. La verità è che, se siamo in sovrappeso, stiamo sbagliando qualcosa nella nostra alimentazione. E, se stiamo sbagliando qualcosa nella nostra alimentazione, stiamo esponendoci a maggiori rischi di malattie. Quasi il 6% dei tumori a livello mondiale è causato da diabete, sovrappeso e obesità. Questo è quanto dice un recento studio dell’Imperial College di Londra, pubblicato dalla rivista The Lancet Diabetes & Endocrinology, che ha analizzato i dati del 2012 di 175 Paesi, relativi a dodici tumori che l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) dell’Organizzazione mondiale della sanità e il World Cancer Research Fund hanno giudicato direttamente connessi a un Indice di Massa Corporea uguale o superiore a 25 kg/mq e al diabete (per intenderci l’Indice di Massa Corporea è un indice che si calcola rapportando il peso con l’altezza e che permette una distinzione tra persone normopeso, sovrappeso e obese, definendo come limite 25


LACULTURADELBENESSERE

tra normopeso e sovrappeso). La casistica raccolta è estremamente interessante: si tratta di circa 800.000 casi di tumore causati da questi due fattori, di cui circa 500.000 tra le donne e 300.000 tra gli uomini. Le percentuali di incidenza di diabete e obesità sono particolarmente elevate nei casi di cancro al fegato (24,6%) e all’endometrio (38,4%). Nei maschi i più comuni sono quello del fegato e quello colon rettale, mentre nelle donne quello al seno e quello dell’endometrio. Gli autori dello studio indicano che se i tassi globali di diabete e sovrappeso continueranno a crescere, entro il 2035 la percentuale di tumori attribuibili ai due fattori combinati salirà al 20% negli uomini e ad oltre i 30% nelle donne. Bastano questi pochi dati per comprendere che c’è un serio problema di controllo del peso, di cui non possiamo solo ricordarci dopo le feste natalizie o prima di andare al mare. L’attenzione alla salute dovrebbe proprio partire da una sana attenzione al cibo, che, per carità, ci permetta anche di vivere le nostre trasgressioni alimentari con maggior serenità e spensieratezza. Il problema di mettersi a dieta non deve mai essere quello di pensare che non si deve più consumare quello che piace, ma piuttosto quello di capire meglio come gestire

quello che piace senza che questo sia nocivo alla salute. Solo se c’è questo punto di partenza si può pensare che in una dieta ci può tranquillamente stare il panettone o il salame o il cotechino: proprio perché anche questi alimenti sono stati inseriti in un ordine che ci permette di ottenere un equilibrio. La vera differenza è sempre la stessa: scegliere di essere anarchici o veramente liberi. Gli anarchici sono quelli che usano gli alimenti senza un ordine stabilito dalle reali esigenze dell’organismo (e, se il peso è eccessivo, basta questo per capire che non stiamo rispettando le reali esigenze del nostro corpo), mentre le persone libere sono esclusivamente quelle che scelgono quello che piace, ma lo fanno secondo i criteri di un ordine che rispetta le reali esigenze del proprio corpo. In questa sottile differenza, che si impara con il tempo, con la pratica, con l’ascolto di sé e con l’ascolto di persone realmente competenti, sta la vera realizzazione della nostra salute! Non esistono diete mediterranee o mima digiuno o Dukan o altro: esiste solo un equilibrio che è dettato (in modo differente per ciascuno) dalle esigenze del proprio organismo… e il peso (così come gli altri parametri clinici ed ematochimici) è un serio indicatore di dove sta andando la nostra salute.

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LA SCELTA VEGANA

a cura di

Silvia Bianco testimonial di cucina vegana

VEGAN POKER POWER I TAVOLI DA POKER SEMPRE PIÙ VERDI

Quando si tratta di poker, la salute ed il benessere potrebbero non essere le prime cose che vengono in mente. Molti giocatori sono noti per le loro abitudini malsane: stanno svegli per giorni, bevono alcol e ordinano ai ristoranti del casinò cibi grassi per mantenersi sazi e spesso sono in sovrappeso. Nonostante ciò, ci sono molti professionisti del poker che sono consci di ciò che ingeriscono e molti di loro hanno intrapreso la scelta vegana.

DANIEL NEGREANU (O VEGREANU) L’esempio più notevole è probabilmente il pro di PokerStars Daniel ‘KidPoker’ Negreanu. Personaggio carismatico, è uno dei giocatori di poker professionisti più acclamati al mondo, conosciuto come “Kid poker” (il ragazzo del poker”) avendo iniziato a giocare a poker quando aveva poco meno di 22 anni. Oggi, superati i 40 anni, Daniel Negreanu conta sei braccialetti WSOP, ha vinto due titoli dell’European Poker Tour (EPT) ed è stato anche inserito nella Poker Hall of Fame. Nel 2000, Negreanu decise di abbandonare la sua dieta costituita principalmente da carne al barbecue, hamburger, patatine fritte,

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LASCELTAVEGANA

purè di patate, vino, birra e vodka poiché si rese conto che molto spesso si sentiva appesantito, assonnato. Sensazioni che si riflettevano anche sulla sua attività nel poker, dove l’assoluta concentrazione e la prontezza mentale nelle lunghe ore al tavolo da gioco è di estrema importanza. Daniel Negreanu, preoccupato per la sua salute e intenzionato a continuare ad esibirsi al meglio al tavolo da gioco, decide così di eliminare la carne. All’inizio Daniel non si sentì subito meglio, perché non sapendo bene cosa mangiare, si nutriva principalmente di pizza ai formaggi senza prodotti vegetali freschi e nutritivi e quindi ben lontano da un cammino salutare. Nel 2006 prese più seriamente il fatto di volersi nutrire in maniera sana e così decise di fare un passo in più e diventare vegan al 100%. Negreanu è oramai espertissimo in nutrizione vegana e consuma una dieta ricca ed equilibrata. I suoi pasti tipici sono zuppe di legumi e cereali, con insalata o verdure, oppure verdure al forno con riso integrale e asparagi o broccoli con anacardi o mandorle di contorno e, come snack, tanta frutta fresca e di stagione. Ammette però di essere un pessimo cuoco e così, a casa sua a Las Vegas, ha due assistenti che gli preparano i suoi piatti preferiti come miglio e quinoa con i broccoli, verdure saltate, insalate ricche con formaggi di anacardi e crackers crudisti con semi di lino e zucca. Se scorrete il profilo instagram di Daniel, oltre alle foto delle sue esibizioni di poker, dei suoi yorkshire terrier, nonchè fratelli, Rocky e Apollo (a cui gli ha anche creato un profilo instagram personale), vedrete le foto dei pranzetti preparati dalle sante manine delle sue assistenti. Quando è in viaggio e sa che alcuni casinò ed hotel non sono preparati a fornire piatti vegan, porta con sé barrette proteiche vegan e snack vari a base di cocco, datteri, semi di sesamo e cacao, beve acqua di cocco, bevande vegetali di mandorla e semi di chia e, pensate, porta con sé il suo frullatore da utilizzare nella camera d’albergo per farsi degli energetici frullati con tutti questi ingredienti, aggiungendo frutta e verdura comprati in loco dal fruttivendolo. Da quando è diventato vegetariano e poi vegano, anche l’attitudine dei suoi colleghi di poker è cambiata. Prima lo deridevano, perchè “i veri uomini mangiano carne” ed un ambiente come quello del gioco il cibo era quello tipico del fastfood: hamburger, patatine e birra. Pian piano, però, gli altri giocatori hanno iniziato ad accettare molto di più la sua scelta, mostrando un genuino interesse tanto che alcuni l’hanno persino abbracciata al 100%, mentre altri gustano con lui delle cene vegane ai tavoli da poker al casinò che Daniel si preoccupa di far trovare per tutti. E così ora Negreanu è stato simpaticamente denominato Vegreanu. Daniel, oltre ad essere uno dei testimonial della Peta (organizzazione no profit internazionale per la salvaguardia degli animali) ha anche lavorato ad un documentario di James Cameron proprio per dissipare il mito del “i veri uomini mangiano carne”. Il Documentario che si intitolerà “The Game Changers” uscirà proprio

nel 2018 e vede coinvolti un gruppo di atleti, come l’uomo più forte del mondo, campioni di braccio di ferro, combattenti di Ultimate Fighting, pugili e giocatori NFL, tutti vegani. Dopo aver intrapreso la scelta vegana, Negreanu ha iniziato a capire che il veganismo non è solo uno stile alimentare, ma è direttamente collegato con il benessere degli animali e la sostenibilità ambientale. Grazie agli innumerevoli documentari, tra i quali Cowspiracy e le migliaia di libri letti, ha scoperto come l’essere umano sta distruggendo il mondo e quali le atrocità riservate agli animali. Se da un lato è preoccupato per il danno ambientale causato dall’industria della carne e per la salute di chi mangia carne e latticini, dall’altro è anche ottimista perché a differenza di un tempo, dove i giocatori di alto livello erano in sovrappeso (anche di molto) ora sono molto più orientati a scegliere opzioni più sane. Da quando “Kid Poker” (che continua a conseguire nel poker un successo dopo l’altro da oltre vent’anni), ha dichiarato “Being Vegan makes me a better poker player” asserendo che essere vegano lo ha reso un giocatore migliore ed ancora più forte, numerosi suoi colleghi si sono avvicinati al veganismo, informandosì e spesso chiedendogli consigli sul come fare, cosa mangiare e come organizzarsi. Daniel, un successo in tutto, non solo nel poker!

CYNDY VIOLETTE Cyndy Violette viene spesso menzionata come una tra le più belle ed affascinanti giocatrici di poker; allo stesso tempo le sue abilità al tavolo da poker corrispondono in egual misura alla sua straordinaria bellezza. Per oltre vent’anni, coloro che hanno sfidato al gioco Cyndy sanno che non è solo una splendida donna, ma un’avversaria che rientra nella classifica dei migliori giocatori di poker avuti sino ad oggi. Cyndy Violette, classe 1959, si è sempre divertita a giocare a carte da bambina attorno al tavolo in cucina insieme ai suoi famigliari ed in particolar modo con lo zio Ross. Ha iniziato a giocare a poker da professionista all’età di 22 anni mentre era incinta di sua figlia. Dopo pochissimo tempo vinse il più grande premio di allora mai vinto da una donna nella storia del poker ($ 74.000) e nel 2004 vinse il suo primo braccialetto alle World Series of Poker dimostrandosi una giocatrice eccellente, classificandosi tra le prime sette vincitrici di premi femminili di tutti i tempi. Cyndy non è concentrata solo sul poker, conduce uno stile di vita molto sano ed è vegana dal 1990. Cyndy pratica yoga e aromaterapia e spesso al tavolo con lei porta i suoi amuleti portafortuna e pietre curative a portata di mano. “Bisogna avere equilibrio nella vita e soprattutto nel poker – dice Cyndy – Il poker può diventare ossessivo ed è per questo che è necessario rimanere concentrati in ogni momento, senza farsi coinvolgere emotivamente e non lasciare che prenda il controllo sulla propria vita”. Per questo

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LA SCELTA VEGANA

motivo Cyndy crede fermamente che la sua alimentazione totalmente a base vegetale, molto più leggera e digeribile rispetto ad un’alimentazione a base di hamburger di carne, patatine fritte, salse grasse ed alcool, l’abbia da sempre aiutata a rimanere focalizzata sui suoi obiettivi ed essere vincente ai tavoli - oltre che a mantenere un’invidiabile forma - aggiungo. Durante i tornei Cyndy ha persino uno chef personale che le prepara pasti 100% vegetali, che lei poi consuma al tavolo da gioco durante le estenuanti sessioni da 12-14 ore. Nel corso degli anni si è resa conto che molti dei suoi colleghi desiderano mangiare proprio come lei, in modo più sano senza sentirsi appesantiti, come purtroppo spesso accade mangiando i cibi grassi che servono nei casinò. Così Cyndy, intuendo la crescente domanda di piatti vegan, ha deciso di aprire il “Violette’s Vegan Eatery and Juice Bar” nel 2014 a Las Vegas, un piccolo ristorante molto grazioso che serve piatti biologici interamente vegan, che offre dalle zuppe alle insalate ai piatti principali come burritos, hamburger , primi piatti, frullati e succhi, un menù studiato negli anni in base alle esigenze di Cyndy e sviluppato con la collaborazione dello chef vegano Mark Rasmussen. Tra i piatti più noti nel menù, il “Violette Club”, un sandwich doppio con pane a lievitazione naturale, tofu al forno con aromi, fettine di tempeh affumicate, avocado, cetrioli, lattuga, pomodoro ed un generoso pesto di aglio e canapa, oppure l’insalata di fagioli neri, mais, cipolle rosse, coriandolo e succo di limone. Tra i succhi il “ The Beet Goes On “ (barbabietole, carote, sedano, mela) o “ The Hangover “ (mela, sedano, carota, limone, zenzero, acqua di cocco, pepe di cayenna). Tra i frullati il dolcissimo “ Date Me “ (banana, datteri, cocco, cannella, con latte di soia, latte di mandorla o acqua di cocco) o il detossinante” Green Lava “ (banane, cavoli, bietole, avocado, spirulina, latte di soia, latte di mandorla o acqua di cocco). Il locale è molto accogliente ed adatto a tutti, ad adulti e piccini, ai quali è dedicata una libreria con libri e pastelli e giocattoli vari a loro disposizione.

ANDREW LICHTENBERGER Classe 1987, Andrew si è rivelato sin da subito un brillante giocatore, dalle straordinarie capacità. Già all’età di 23 anni era considerato uno dei giovanissimi fenomeni nel mondo del poker, nel 2016 ha vinto 1 braccialetto nelle World Series of Poker e si stima che abbia vinto $ 7.400.000 (Maggio 2016). Ho avuto modo di intervistarlo personalmente ed è stata una piacevole scoperta: un ragazzo dai modi gentili e con un approccio alla vita molto profondo. Ammette che, agli inizi della sua carriera a Las Vegas, era molto affascinato da tutto ciò che stava attorno al mondo del poker: cene e viaggi costosi, il glamour e lo sfarzo di questo ambiente

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Violette’s Vegan Eatery and Juice Bar

erano coinvolgenti. Gradualmente realizzò che tutto ciò non era davvero appagante e, col tempo, sentì che “la tua connessione con la natura è ciò che realmente ti nutre, e senza del cibo “pulito”, acqua e un posto dove dormire, è una vita dura”. Ecco perché Andrew ha deciso di costruire ad Austin, in Texas, una sorta di rifugio polivalente lontano dal trambusto di Las Vegas, e a contatto con la natura. Un progetto di edilizia sostenibile per sostenere seminari, lezioni di yoga ed arti marziali, ristoranti e residenze a prezzi accessibili. Un progetto che racchiude la meditazione ed il contatto con la natura, un modo per dare un’alternativa alla confusione della città, invitando alla presa di coscienza su alcuni temi che gli stanno più a cuore, come l’agricoltura pulita e sostenibile a tutela dell’ambiente. Nel 2013, il passaggio ad una dieta vegana è stato provvidenziale per Andrew. Inizialmente la sua fu una scelta dettata da motivi di salute: sin dalla tenera età soffriva di vari disturbi come difficoltà di digestione, asma, allergie e problemi di sonno. Ben presto realizzò anche che l’approccio ad un’alimentazione non


LASCELTAVEGANA

violenta era il metodo più nobile e preferibile per se stesso. La dieta di Andrew è prevalentemente vegan-crudista, ma non segue un regime esclusivamente composto da cibi crudi. Si prepara da solo tutto ciò che mangia, ma si concede di tanto in tanto delle deliziose cene nei sempre più presenti ristoranti vegani. Una sua giornata tipica a casa, inizia con un frullato con acai e granola, poi un’insalata con avocado o hummus nel pomeriggio e la sera delle verdure al vapore. Durante i suoi viaggi, essendo la scelta vegan molto più diffusa rispetto ad un tempo, è anche più facile trovare una buona scelta di ristoranti vegani e ristoranti onnivori che offrono delle opzioni veg, ma non manca di avvalersi di applicazioni per smarthphone come “HappyCoW” oppure semplicemente di un qualsiasi motore di ricerca internet per trovare dei locali plant based. Quando gioca, invece, preferisce mangiare sempre a casa prima di iniziare qualsiasi evento. Ama condividere gli aspetti più benefici e gradevoli della sua scelta veg, come i cambiamenti positivi in termini di salute che ha vissuto direttamente sul suo corpo ed altri più relativi agli aspetti nutrizionali degli alimenti “verdi” come la funzionalità amminoacidica di talune sostanze, la biodisponibilità delle proteine vegetali, i minerali, i micro e macro nutrienti. Ritiene che questo sia il modo migliore per lui per approcciare chi vegan non è. Ha rispetto e comprensione per le scelte di tutti, “anche se non tutti sono ancora pronti a fare un tale cambiamento”. Perseguire il veganismo è stato senza dubbio un vantaggio per la sua carriera nel poker - asserisce Andrew - innanzitutto perché si sente meno appesantito e letargico dopo i pasti ed, al contempo, ritiene che la maggior parte del beneficio sia stata una naturale conseguenza data proprio da questo stile di vita che spesso si presenta quando si fa un tale cambiamento. Una volta iniziato il suo percorso ha seguito pratiche di yoga, consapevolezza e meditazione e ciò è stato sicuramente un utile complemento al suo successo nel gioco. Nel suo libro “Yoga of poker”, cerca di spiegare proprio questo. Non è un libro sulle strategie nel poker, ma un libro in cui racconta un aspetto di se stesso e della prospettiva che ha trovato interessante ed utile per la sua crescita. Grazie alla meditazione ha scoperto ciò che davvero porta felicità nella vita ed è altresì riuscito a capire come vivere al meglio una professione così stressante come quella del giocatore professionista di poker, tant’è che ha voluto condividerne i pensieri in questo libro con l’idea di poter essere di aiuto a qualcuno. Decisamente dallo spirito ottimista per le sorti della Terra e degli animali, ritiene che per sostenere il cambiamento che la filosofia vegana vuol vedere nel mondo, l’unica cosa migliore che si possa fare è essere se stessi nel modo più completo possibile, qualunque cosa significhi per ognuno di noi. Non bisogna vergognarsi di essere ciò che siamo, indipendentemente da cosa gli altri pensano, ed essere consapevoli di ciò che riteniamo vero e non accettare le credenze altrui come vere

senza prima verificarne la veridicità. Andrew è stato ribattezzato come l’“Hippie poker player”: fino a qualche tempo fa portava barba e capelli lunghissimi, si presentava ai tornei con abiti morbidi e comodi e le scarpe con le cinque dita stile barefoot. Ora i suoi capelli sono corti e la barba rasata, ma sorride quando sente questo soprannome, perché nel cuore e nell’animo lui è sempre lo stesso.

Silvia e gli esperti rispondono... Se volessi provare un’alimentazione vegetale, esistono delle linee guida affidabili che posso seguire senza dovermi per forza affidare ad un medico? Antonio da Frascati Il consiglio di un medico qualificato in nutrizione, in questo caso, vegana, è sempre ben auspicabile e raccomandabile. Tuttavia in mancanza della possibilità di un consulto medico è possibile consultare l’articolo dedicato alle linee guida del “Piattoveg” per la dieta plant based mediterranea pubblicato il 21 Novembre 2017 sulla prestigiosa rivista americana dell’Academy of nutrition and dietetics. L’articolo pubblicato sul Journal of Academy of Nutrition and Dietetics illustra il “PiattoVeg”, ovvero la guida pratica per elaborare in pochi minuti diete a base vegetale e nutrizionalmente ottimali per l’adulto e la donna in gravidanza e allattamento. Gli autori dell’articolo sono tutti membri della Società Scientifica di Nutrizione Vegetariana – SSNV: Dr.ssa Luciana Baroni, medico specialista in Neurologia e Geriatria con un Master Internazionale in Nutrizione e Dietetica, la quale ha ideato il metodo del “PiattoVeg” nel 2015, descritto nel libro Il PiattoVeg (2015). Il Prof. Maurizio Battino, Professore Associato all’Università Politecnica delle Marche e direttore del Master in Alimentazione e Dietetica Vegetariana della medesima università. La dr.ssa Silvia Goggi è medico del servizio di Dietologia e Nutrizione Clinica dell’ospedale Sacco di Milano. Il PiattoVeg, che privilegia una dieta 100% vegetale, è utilizzabile da chiunque desideri aderire alla tradizione mediterranea. Fornisce indicazioni dettagliate sulle quantità precise di alimenti vegetali da consumare a partire dai diversi gruppi alimentari, per le diverse fasce di fabbisogno calorico, per gli adulti e per donne in gravidanza e allattamento. Gli alimenti scelti per la composizione del piatto sono quelli derivati dalla tradizione mediterranea, tutti disponibili nel nostro territorio: cereali, cibi proteici come legumi e derivati, verdure, frutta, frutta secca e semi, olio d’oliva e di semi. www.PiattoVeg.info - www.jandonline.org - www.VegPlate.info Inviate le vostre domande a: lamadia@lamadia.com

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LA SCELTA VEGANA

AGRITURISMO CORONCINA

Via Fossa, 1

62020 Belforte del Chienti (MC) mob.+39 3669238075

www.agriturismocoroncina.it

fb: Agriturismo Coroncina veg

instagramm: @coroncinavegmelania

STILE DI VITA VEG ALL’AGRITURISMO

CORONCINA NELLE MARCHE a cura di

Gianni Di Lorenzo

“Dieci anni fa (era giugno 2007), quando decisi che la cosa più bella da fare fosse aprire il primo agriturismo nelle Marche, dove la cucina fosse esclusivamente vegetariana, mi diedero della “matta”, neanche il termine vegetariano era noto allora... figuriamoci vegano.. Mi prendevano in giro, qualcuno confondeva questo stile di vita con altri un po’ più noti come quelli che seguono la macrobiotica. Credo in quello che faccio cercando di valutare tutte le possibili conseguenze, quindi o vinco, o imparo e la mia scelta è di natura etica nel rispetto del creato e degli esseri viventi”. I suoi punti di forza? Le verdure fresche, di giornata, a metri zero, la realtà biologica e, di conseguenza, un menù sempre vario e ricercato che cambia in continuazione. Il tutto condito con l’olio extravergine di oliva varietà Coroncina (da qui il nome al locale), la frutta e le piccole produzioni di pane, biscotti, dolci, confetture e passate di pomodoro. Nel 2012 l’offerta si è completata con 3 camere matrimoniali e un piccolo, intimo, centro benessere, dotato di sauna a raggi infrarossi, termo sauna per i bagni di fieno e idro-

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CECINA ALLE VERDURE INGREDIENTI

g. 500 di farina di ceci l. 1,5 di acqua

1 pizzico di sale e un paio di giri di olio verdura di stagione

(in questo periodo invernale vanno bene la bieta, i topinambur, il cavolo nero, il cavolo rosso, i cavolfiori, i broccoli. Lavare bene la verdura, tagliare a piacere e cuocere a vapore). PROCEDIMENTO

In un contenitore miscelare e amalgamare la farina di ceci, togliere i grumi, far riposare un’ora.

Unire tutte le verdure cotte e aggiungere un pizzico di

sale. Mettere il preparato in una teglia bassa e oleata. Cuocere in forno a 200°C per circa 15-20 minuti (deve fare una crosticina sulla superficie).

Estrarre dal forno e farla stabilizzare per qualche minuto, poi toglierla dalla teglia: è buona calda e tiepida.

All’interno si possono aggiungere tutte le verdure (già

cotte) e in questo caso diventa anche un buon antipasto e/o secondo.

massaggio, oltre alla parte dedicata ai massaggi rilassanti. Qui l’entrata è ad uso esclusivo di chi prenota, per la tranquillità e l’intimità degli ospiti. La biopiscina esterna è un’altra coccola per chi soggiorna nei caldi mesi estivi, da giugno a volte fino a settembre. Gli animali sono graditi ospiti e non pagano nessun supplemento, basta munirsi di paletta e buone regole di convivenza, visto gli 8 cagnolini e altrettanti gatti già presenti nella struttura. Il motto di Melania? “Dal cuore, con il cuore, per il cuore...”!

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Gala teo ASSAGGI DI

a cura di

Fabio Ferrantino Docente di Galateo presso Bon Ton Academy Professore di Enogastronomia IPSSAR Piobbico

ONLINE REPUTATION

FOBIA DA RECENSIONI COME RISPONDERE E GESTIRLE

Da quando gli chef e i ristoratori sono entrati nelle nostre case grazie a talent e tutorial, si è rapidamente diffusa la convinzione che ognuno di noi abbia una cultura gastronomica sufficiente per muovere critiche e accuse verso ristoratori e albergatori che da anni si impegnano a portare avanti la propria attività. D’altro canto si è andata via via perdendo la consapevolezza delle proprie capacità analitiche e delle proprie conoscenze, allentando quei freni della razionalità che permettono di comprendere se una critica o un reclamo sia sensato, così come il suo livello. Fra i fattori pro e contro della rete, quello della facilità di esprimere la propria opinione senza esporsi in prima persona è uno degli elementi negativi dell’evoluzione digitale. Si lancia il sasso e si nasconde la mano, senza rendersi conto degli effetti che si creano da tale comportamento. Al riguardo, spesso, si spendono parole sulla discutibile onestà di chi usa lo strumento web per esprimere le proprie opinioni in merito alle strutture ricettive e ristorative. Ad ogni modo, oggigiorno, chi gestisce un’azienda alberghiera o ristorativa non può non conoscere e capire tale trasformazione psicologica degli individui, possibili clienti, preparandosi a gestire nel modo migliore le critiche e i reclami al fine di salvare la propria immagine aziendale, ossia la online reputation. Se ad un reclamo scritto sul web non segue un’adeguata risposta, ciò sarà percepito come un inequivocabile segnale di noncuranza verso la propria attività. Secondo un’indagine di mercato condotta dal sito TripAdvisor, il 62% degli intervistati è d’accordo nell’affermare che preferisce scegliere, fra due hotel della medesima categoria, quello che replica alle recensioni ricevute; mentre l’87% del campione

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afferma che la sua considerazione verso un hotel migliora se è stata pubblicata una replica appropriata della direzione dopo una recensione negativa. Si può dunque dedurre quanto sia forte tale strumento e di quanto bisogna prendersene cura. È importante rispondere alle recensioni per dimostrare agli ospiti, pregressi e potenziali, che la struttura è interessata a ricevere commenti e suggerimenti e che attribuisce una corretta importanza al servizio clienti. La risposta ad un complain tramite il web è più difficoltosa, in quanto viene a mancare tutta quella mimica del corpo e la modulazione del tono della voce che, spesso, hanno un peso notevole nella risoluzione delle problematiche. Per prima cosa dovremmo chiederci a quali recensioni è giusto rispondere. Per alcuni solo alle più critiche, per altri a tutte quelle negative. In linea di massima è corretto rispondere a tutte le recensioni negative; in base alla gravità potremmo far rispondere da un addetto della comunicazione, da un organo direttivo o dalla proprietà. Se la mole delle recensioni non è notevole, potreste valutare di rispondere anche alle recensioni positive. È importante in generale non standardizzare le risposte, ma individualizzare, per ogni commento, una replica personale: questo risulterà come un segnale di cura verso la clientela. Sappiate che, per avere la funzione di replica alle recensioni, bisogna essere registrati sui siti in cui potreste ricevere recensioni, dunque approfondite a quali di questi siti il vostro target di clientela si rivolge. Anche le tempistiche sono importanti. L’impegno della struttura nel cosiddetto customer care (cura del cliente), dipende anche dalla prontezza che essa ha nel rispondere alle lamentele.


ASSAGGIDIGALATEO

Anche online i tempi devono essere brevi: circa 24 ore entro le quali replicare. Scegliete la o le persona/e addette al monitoraggio delle recensioni e alle risposte online. Stabilite la policy da seguire per gestire anche le situazioni più spinose. Infine stabilite dei momenti della giornata o della settimana durante i quali revisionare le risposte e pubblicarle. Per iniziare, ringraziate sempre il viaggiatore o il fruitore dei vostri servizi per aver visitato la vostra struttura e per aver lasciato una recensione. Fategli comprendere che la sua opinione è importante per voi. “La ringraziamo per aver scelto la nostra struttura e per il tempo che ha dedicato a tale recensione. La sua opinione è molto importante per noi…” Se, dopo un’accurata analisi interna, non concordate con la recensione o se ritenete che i contenuti non rispecchino la realtà, fornite la vostra versione dei fatti in modo cordiale e professionale. L’ultima cosa è scoraggiare potenziali visitatori con una replica aggressiva o troppo difensiva. Se la recensione contiene reclami precisi, illustrate le misure adottate per risolvere quei determinati problemi, in modo che i potenziali ospiti possano sentirsi rassicurati dal fatto che la struttura si impegna a migliorare il servizio. Nel caso in cui abbiano allegato una foto alla recensione, che indica oggettivamente un punto negativo della vostra struttura o del vostro servizio, rispondete semplicemente scusandovi e promettendo che farete risistemare il danno il prima possibile. Potreste, al termine del lavoro, inserire una fotografia della parte

sistemata. Considerate sempre che state, non solo rispondendo a colui che ha scritto la recensione, ma anche a tutti i futuri ospiti che controllano la vostra struttura per scegliere il posto ideale in base alle loro esigenze. Dunque, chiedetevi se state replicando a tutte le preoccupazioni principali legate a quella critica. Se non siete riusciti a fare una buona impressione agli ospiti durante il soggiorno, parlate dei cambiamenti specifici che state attuando per offrire un servizio eccellente in futuro. I lettori noteranno il vostro impegno e questo ispirerà loro fiducia. Potete citare, eventualmente, anche altre recensioni positive. Come possiamo dimostrare il nostro sentito dispiacere senza poterci avvalere del nostro fisico, del nostro volto e della nostra intonazione di voce? Quando si risponde, non bisogna mai iniziare la frase con una parola che esprime il nostro rincrescimento, smentito poi, da una piccola congiunzione come il -ma-. “Ci dispiace, ma…”. Quel “ma” nega tutto ciò che lo precede. Cercate, al fine di non tediare il lettore, di non scrivere troppo dilungandovi sulla questione, cadendo in ripetizioni e autocelebrazioni che sarebbero viste non positivamente. Come spesso capita, la recensione potrebbe essere non veritiera o assolutamente falsa. In tal caso rispondete diplomaticamente indicando chiaramente che quella recensione non è veritiera. Se il commento è troppo violento e può danneggiarvi seriamente, contattate il sito e chiedete la rimozione della recensione. Concludete firmando con il vostro nome e cognome ed il ruolo che ricoprite. È fondamentale porgere sempre le vostre scuse per eventuali mancanze, anche se solo percepite.

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PROGETTARE L’IMPRESA

a cura di

Lorenzo Ferrari Direttore Marketing di RistoratoreTop

IL COPYWRITING

L’ARTE DI SCRIVERE UN MENU CORRETTO Il Copywriting - da non confondere con il Copyright, che è la disciplina che tutela il diritto d’autore - è l’arte di scrivere per persuadere. Nasce come un particolare linguaggio che permette, seguendo alcuni principi e schemi, di scrivere annunci pubblicitari efficaci. Traslando questo principio sul menù, possiamo definire il Menu Copywriting come la scienza e l’arte di scrivere nomi e descrizioni dei piatti che siano efficaci, memorabili e… Giusti. Scendendo ancora più nel dettaglio della disciplina possiamo definire il Naming come l’arte e la scienza di scegliere il nome migliore da dare ad un piatto. Chi scrive la definisce sia arte - perché necessita di una buona dose di creatività, e di ardore - che scienza - perché deve basarsi su principi scientifici e misurabili. Chi scrive ormai ha perso le speranze: nonostante ci provi da tempo, non riuscirà mai ad esprimere a parole quanto sia importante, fondamentale, necessario e imprescindibile studiare la scienza del Naming oggi. Un nome è tutto. Al contrario, un giusto naming accende nella mente di ognuno noi una lampadina che è destinata a non spegnersi mai. Il giusto naming crea le giuste aspettative.

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Inoltre crea memorabilità, stupore, meraviglia e chiarezza. Il giusto naming è immediato, dritto al punto, e racchiude in pochissime parole significati e sfumature ampissime. Si dia il nome giusto ad un piatto e lo si vedrà trasformarsi in un’icona, in una leggenda, in una tradizione. In un simbolo di appartenenza e comunità. Al contrario, un nome sbagliato genera confusione, oscurità, malintesi e noia. Si dia un nome sbagliato ad un piatto e non ne si vedranno mai decollare le vendite, non gli si vedrà mai associata un’esperienza davvero memorabile e non si vedrà mai un cliente approcciarlo con le aspettative corrette. Ma che caratteristiche deve avere un nome per essere efficace? Chi scrive ne ha identificate tre: 1) Unico 2) Coerente 3) Memorabile. Vediamole nel dettaglio. 1. Unico. “Unico” ha valore letterale. Ogni nome deve avere caratteristiche di unicità. In primo luogo perché DEVE differen-


PROGETTAREL’IMPRESA

ziare ogni piatto dagli altri, e lo deve fare senza interpretazioni. Ad esempio, se la ricetta della propria Margherita la si produce allo stesso modo da decine di anni, o contiene un ingrediente particolare, il nome della stessa dovrebbe rispecchiare queste caratteristiche di unicità, e dovrebbe essere diverso nelle due situazioni. Rispettivamente si potrebbe pensare a “Margherita 1983” - che rispecchi la data di nascita della ricetta o procedura - e “Margherita Sbagliata” - per sottolineare la presenza di un ingrediente che la differenzierebbe dalla ricetta tradizionale. E in secondo luogo il nome dovrebbe essere realmente unico, perché se così non fosse ci si priverebbe della possibilità di registrare il nome stesso come marchio. 2. Coerente. “Coerente” significa che deve esserlo con la propria identità. Perché il titolare di un locale informale ed accessibile non dovrebbe scegliere per i propri piatti dei naming aulici ed altisonanti, essi striderebbero come unghie sulla lavagna. Al contrario, il titolare di un ristorante esclusivo e ricercato dovrebbe utilizzare la stessa esclusività e ricercatezza in ognuno dei naming che decide di dare ai propri piatti. 3. Memorabile significa che deve essere «sticky», appiccicoso. Deve entrare nella mente del cliente e appiccicarsi alle pareti del cervello, non staccandosi più! Per ottenere questo effetto ci sono diverse strategie (ne abbiamo codificate più di 15) ma in questa sede mi limito a riportarne due. La prima strategia prende il nome di “Conta gli ingredienti”,

perché consiste esattamente in questo: contare il numero di ingredienti che compongono un piatto. La sfida diventerà, per il cliente, quella di riconoscerli tutti. Ad esempio, una zuppa potrebbe chiamarsi «Tredici verdure più una», lasciando trapelare che essa contiene una verdura particolare e inusuale. Oppure «Cinque stagionature di Parmigiano Reggiano in cinque differenti consistenze e temperature» se volessimo scomodare sua Maestà Massimo Bottura e uno dei suoi piatti più famosi presenti in carta all’Osteria Francescana. La seconda strategia si chiama “Precisione Chirurgica”, perché è proprio la qualità richiesta per elaborare nomi di questo tipo. I nostri clienti associano la precisione chirurgica alla nostra profonda conoscenza della materia e del piatto, e questo aggiunge valore a tutte le nostre creazioni. Quando possiamo, dobbiamo essere specifici, precisi. Chirurgici! Per esempio potrebbe servire la nostra classicissima “Bistecca al sangue” rimoninandola «Fiorentina 52°C», sottolineando come al cottura al sangue sia perseguita scientificamente. Oppure «19 Luppoli», per nominare una birra particolarmente luppolata e ricercata. E ancora «Panino 7 Morsi», per un panino così godereccio da non richiedere più di sette bocconi per essere assaporato. Il consiglio, giunti a questo punto, è quello di riprendere in mano il proprio menù: ogni piatto, ha un nome? Se lo ha, segue le tre regole d’oro per un naming efficace? In caso di risposta affermativa: ottimo lavoro. In caso di risposta negativa: si avrà un bel po’ di lavoro da fare. Buon lavoro e buon naming.


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GOLAVAGANDO

NEL CENTRO DI MILANO

GINO’S 1928

SIGNIFICA CALDA ACCOGLIENZA E BUON CIBO Il cerchio della pizza perfetta dovrebbe avere un diametro di 30-35 cm e pesare circa 200 grammi. La pizza napoletana a regola d’arte è il primo comandamento per Gino’s 1928, il ristorante pizzeria che ha aperto i battenti in Via Berchet, nel cuore pulsante di Milano, a un passo dalla Galleria e a due dal Duomo, di fronte al Ferrari Store. La passione per la tradizione e l’utilizzo di materie prime d’eccellenza fanno di Gino’s 1928 un punto di riferimento imprescindibile per chi apprezza il buon cibo. Un locale caldo e accogliente, curato nella progettazione e nel design da Costa Group, che si snoda su due piani per oltre 400 mq. Al suo interno l’immancabile forno a legna, l’angolo della birra, con le spine del birrificio Poretti, e quello dei dolci con una vetrina di golose proposte tradizionali. Materiali grezzi come cemento, mattoni e ferro la fanno da padrone al piano terra, mentre al primo piano dominano l’ottone, nei profili, nei tagli e nelle lampade, il marmo e la ceramica, quest’ultima sapientemente trattata per creare l’effetto venatura in oro.

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GOLAVAGANDO

L’armonia degli accostamenti e le sedute in pelle e velluto creano, al primo piano, un effetto salotto che si affaccia sulla brulicante via dello shopping milanese. Una grafica accattivante e gli specchi a soffitto rendono ancor più unico questo locale che si cala alla perfezione nella ricca offerta culinaria del centro città.

GINO’S 1928

Via Giovanni Berchet, 44 - Milano Arredo e design

Costa Group - Massimiliano Faggioni

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GOLAVAGANDO

PIATTI DAL GUSTO SINCERO E GENUINO:

OSTERIA ZANCHETTI FOSSOMBRONE di

Alessia Pellegrini Wilson Santinelli

foto di

Un gruppo di case poste sulla prima zona collinare della Valle del Metauro, strade ripide e tortuose che restituiscono un aspetto medievale ancora ben conservato. Ci troviamo a Fossombrone, bellissima città della media Valle del Metauro che precede – per chi arriva dal mare – la più famosa Acqualagna e la Gola del Furlo. E’ proprio nel cuore di questo borgo che abbiamo fatto visita all’Osteria Zanchetti, un locale nel quale si respira un’accoglienza gioiosa ed una sapiente passione culinaria. Una cucina che gioca d’equilibrismo, tra tradizione e modernità, con una materia prima protagonista, per lo più reperita sul territorio e proveniente da realtà produttive di fiducia. Presso l’Osteria Zanchetti di Fossombrone si trovano pasta fresca di produzione propria preparata con farine ed uova biologiche, carni da allevamenti locali, pesce di fiume e di lago da allevamenti non intensivi e soprattutto una cucina brillante, sana e di qualità.

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L’ACCOGLIENZA Ci sono luoghi nei quali non resta che entrare. E di solito sono i luoghi che vibrano di suggestioni fuori dall’ordinario. Dal cancello in ferro, attraverso un cortile allestito per consumare all’aperto, si accede agli interni del locale. La bellezza dell’Osteria Zanchetti si fonde con la funzionalità e la praticità; l’arredamento in stile anni ’20 è originale e di gusto, molto piacevole visivamente. Il pavimento in graniglia ed il marmo giallo d’Istria delle scale che portano al piano superiore, conferiscono all’ambiente un aspetto elegante, prezioso e ricercato. Legno, ferro, vetri, specchi e cornici in cornice arricchiscono e decorano, ma senza fasto. Il bancone per la mescita del vino e per il taglio del pane e le lampade discendenti in ottone, i tavoli in legno del cortile, richiamano la sapienza artigiana delle maestranze locali. Bella l’idea di accostare a questo sapore retrò uno stile molto pulito e sofisticato nell’apparecchiatura.

LA STORIA Non è poi così difficile riconoscere qualcosa di prezioso perché quando lo incontri ti senti finalmente pieno, appagato. Luca Zanchetti, proprietario e chef del locale, aveva avuto, durante gli studi di formazione all’Istituto Alberghiero, alcune brevi esperienze lavorative nella ristorazione della riviera adriatica che lo avevano deluso al punto di pensare che, forse, non solo la sua carriera in cucina non si sarebbe mai avviata ma che, addirittura, il mestiere scelto per sé non fosse quello giusto. E’ la proposta che gli arriva dallo chef Stellato Lucio Pompili a cambiare le carte in tavola e a metterlo sulla strada di un mestiere che non abbandonerà mai più e che lo porterà a fare esperienza in tutto il mondo tra Italia, Francia, Stati Uniti e Russia. E’ al Symposium che Luca scopre l’effettivo spessore della cucina che comincia con lo studio approfondito delle ricette e degli ingredienti che le fanno importanti, che riflette su come applicare la modernità alla tradizione, che ricerca la migliore materia prima sul mercato, che si consolida, di volta in volta, nelle esperienze di gusto maturate nel durante. Pompili, Marchesi, Barbieri, Norbert, Colonna e Derflingher, sono alcuni dei preziosi compagni che Luca ha avuto in questo viaggio lungo quasi 20 anni, dentro e fuori i confini della sua terra e della tradizione culinaria che la rappresenta. Un legame ben rappresentato

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GOLAVAGANDO

dalla scelta di dar vita ad un’osteria proprio nella regione che gli ha dato i natali, dalla volontà di riproporre un’ospitalità amichevole e cordiale, servire piatti dal gusto sincero e genuino, semplici sì ma che richiedono grande impegno e cura nella preparazione. Luca ha costruito una rete di relazioni di fiducia che gli consente di rifornirsi di materia prima di prima qualità reperita per lo più sul territorio, verdura, ortaggi e frutta arrivano da un orto che ogni giorno ispira il menu. Il pane e le paste fresche (tacconi, tagliatelle e tortellini) sono fatte a mano utilizzando farina ed uova biologiche, carni da allevamenti locali, pesce di fiume o lago da allevamenti non intensivi, i dolci sono di produzione propria. La carta dei vini propone una cinquantina di etichette di vini naturali e biologici da piccoli produttori del territorio circostante o poco più lontani ed alcuni classici nazionali. Birra artigianale “Oltremondo”, una buona selezione di distillati ed amari della zona.

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LA DEGUSTAZIONE Tradizione e gusto contemporaneo: Luca ci ha dato occasione di fare un giro nei sapori dell’una e dell’altra. Ci basterebbe elencare i piatti degustati per darne prova evidente: tartare di manzo accompagnata da giardiniera fatta in casa con cialde di pane croccante, cappelletto cacio e pepe con crema di pecorino affinato al pepe; pancia di maiale con crema di zucca ed erbe di campo al limone. Ed ancora un antipasto a base di insalata russa e paté d’anguilla servito con cialde di pane, tagliatelle al baccalà e crema di ceci; petto di faraona con salsa al sambuco e verdure di stagione. I dolci proposti sono il l’intingolo del salame di fico (Presidio Slow Food), in cacao de “Lù Calzolà” e ricotta alla visciola, e il cheese cake New York con amarene di Cantiano.

OSTERIA ZANCHETTI

Via Cesare Battisti, 1 - 61034 Fossombrone (PU) Tel. 349 312 2567

www.osteriazanchetti.it

PERCHÉ FARVI VISITA Luca Zanchetti è uno chef di talento che potrebbe lavorare in qualsiasi ristorante stellato del mondo. La coraggiosa scelta di tornare nella sua città natale è, per tutti gli abitanti delle Marche e per tutti i viaggiatori che si trovano in zona, un’occasione ghiotta per provare una cucina gourmet di alto livello a prezzi al di sotto delle aspettative. Luca è un “artigiano del gusto” che si distingue per una cucina brillante, sana e di qualità e che soprattutto fa felici.

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GOLAVAGANDO

LE PROPOSTE STELLARI DI

FERRAMENTA NEL CUORE DI SANTARCANGELO DI ROMAGNA di

Gianni Di Lorenzo - foto di Pasquale Spinelli

Torna a rivivere, dopo oltre 150 anni, una delle più antiche trattorie d’Italia sulla storica Piazza Ganganelli a Santarcangelo di Romagna. Correva infatti l’anno 1850 quando apriva i battenti la Trattoria del Commercio, in seguito in parte assorbita da due giovani coniugi santarcangiolesi che, in fuga dalla mafia americana che aveva distrutto la loro attività, aprirono la Ferramenta Semprini, una delle più fornite di ogni tipo di utensileria, così colma di prodotti ed attrezzature di varia natura, da richiamare l’attenzione di pubblico da tutta la regione e ben oltre, tanto da diventare persino punto di riferimento territoriale per l’esposizione e la vendita di bestiame, con annessa asta pubblica. Oggi FERRAMENTA - Officina del gusto, dentro le sue spesse mura risalenti al 1400, mostra con orgoglio i segni del tempo pur nella sua nuova veste di fascinoso ristorante. Recupero e restyling compiuti con rara sensibilità sono opera di un imprenditore innamorato del nostro patrimonio di storia e cultura, anche alimentare, e della sua salvaguardia: Rino Mini, Presidente del Gruppo Galvanina.

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FERRAMENTA

COS’È OGGI FERRAMENTA Né industrial, né vintage, né shabby chic: FERRAMENTA non segue alcuna tendenza estetica semplicemente perché ne crea una propria, originale e ricca di quello charme naturale che hanno solo le cose autentiche. Tutto fatto a mano con legno, ferro e vetro, dai banconi di legno, ai sontuosi lampadari realizzati con una cascata di bottiglie Century Galvanina, dalle teche per il vino in ferro battuto ai morbidi divanetti in pelle, FERRAMENTA unisce alle opere di artigiani locali le più sofisticate attrezzature di cucina e di conservazione degli alimenti. Per le carni provenienti da 12 Paesi – dall’Argentina al Messico, dall’Olanda alla Francia, alla Polonia, all’Uruguay, alla Spagna…- sono state acquistate celle, ben visibili nel locale, con un sistema di climatizzazione all’ozono che, oltre a garantire la non proliferazione dei batteri e quindi una salutare sterilità, a temperatura controllata permettono frollatura e mantenimento al massimo livello di sicurezza. Per la cottura, altra strumentazione d’avanguardia: un avveniristico forno X-Oven alimentato con il carbone di legno di Mogano della mangrovia cubana che non produce fiamma e non emana alcuna esalazione, così da evitare la dispersione nell’ambiente di particelle volatili o ceneri dannose per l’organismo. Questo rivoluzionario forno, con griglie sterilizzate ogni giorno, permette di ridurre i tempi di cottura e di evitare la pericolosa carbonizzazione delle carni, esaltandone nel contempo il sapore e le caratteristiche naturali. A legna il grande forno circolare che offre la possibilità delle migliori performance al mitico Mimmo Fabozzi (foto in alto), il pizzaiolo napoletano che da sempre realizza, per questa proprietà, pizze di altissimo livello sia grazie alla

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GOLAVAGANDO

sua innata passione per le farine e per gli impasti, sia ai prodotti eccellenti per la guarnizione di ogni pizza. In mano allo chef Leonardo Rossetto (al centro nella foto qui sotto), altro affidabile collaboratore storico, tutta la cucina a vista che produce primi rigorosamente con pasta di Gragnano oppure pasta all’uovo (d’oca) fatta in casa, secondi e dolci della tradizione italiana, ma non solo, utilizzando quelle ricette una volta riservate ai pranzi di famiglia nelle occasioni di festa, ma elaborate

con materie prime d’eccezione, come i polli di Bresse, i maiali bradi di Simone Fracassi, quelli “Tranquilli” di Onesto Ghirardi, fino alla pura razza iberica alimentata a ghiande. Anche i pesci freschissimi sono presenti nella carta di FERRAMENTA, in questo caso cotti su durissime tavole di legno che ne rispettano le proprietà e conferiscono sapori indimenticabili, così come è vasta l’offerta di verdure biologiche la cui varietà sarà in grado di soddisfare il popolo dei vegani, pur in questo regno di opulenza carnale.

IL VINO IN CASSAFORTE E LA BIRRA IN BOTTE In un contesto così attento alla qualità dell’offerta, è importante da tutti i punti di vista il tema enologico. Una delle cantine appartenenti all’ampia struttura di FERRAMENTA conterrà, come in un vero e proprio caveau, una serie di cassette di sicurezza, le chiavi di ciascuna delle quali sarà unicamente nelle mani del cliente che creerà una propria riserva di bottiglie scelte dalla carta ad un prezzo ridotto; potrà spaziare tra champagne famosi o di piccoli vigneron, tra bollicine di Franciacorta, Trento Doc e piccole meraviglie frizzanti di altre regioni, insieme ai più nobili rossi, a bianchi raffinati e a piccole produzioni per tutte le tasche. Menzione a parte merita la birra FERRAMENTA prodotta da Amarcord su specifica ricetta di Rino Mini; contenuta in due

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FERRAMENTA

capaci serbatoi da 500 litri l’uno, ben visibili al di là delle vetrate, viene spillata in apposite crowler da 750 ml. griffate, che vengono chiuse ermeticamente al momento del servizio al tavolo. Né pastorizzata, né filtrata, questa birra bionda e cruda, tipo Lager è particolarmente adatta a tutte le proposte gastronomiche di FERRAMENTA.

L’OYSTER, SUSHI E RAW BAR Punto focale di FERRAMENTA è lo spettacolare e lunghissimo bancone in legno e marmo posto proprio all’entrata di fronte ad una funzionantissima ghiacciaia dei primi anni ’50: direttamente dalla strada si potranno richiedere le ostriche nazionali, sia dell’Adriatico che del Tirreno, dal plateau in bellavista, con una coppa di champagne in ghiaccio, mentre Orges Haxhiu, forte di esperienze internazionali di altissimo livello, proporrà il Sushi più raffinato.

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GOLAVAGANDO

Poco più in là un barman si destreggia con i cocktail dell’aperitivo serale di fianco ad un oste che sforna pani caldi e focacce serviti sempre con una incredibile rassega di salumi da far invidia alle più fornite norcinerie. La ricerca esasperata del buono assoluto e a volte pressoché introvabile, consentirà di poter assaggiare qui la finocchiona di Simone Fracassi, la spalla cruda di Palasone Sissa, il prosciutto extra dolce di maiale “Tranquillo” fino ai preziosissimi Pata Negra spagnoli e ai prosciutti di tutt’Italia, da Udine all’Aspromonte. Sul banco svetta anche una nerissima Carpigiani per la produzione di gelato fatto al momento e, accanto, la pasticceria con le proposte dei dolci della memoria. Completano l’offerta due belle vetrine dove è esposta una meravigliosa coltelleria (un coltello per ogni carne), insieme a taglieri e carrelli costruiti all’interno della foresta amazzonica, pentole trendy, piatti

in raffinata ceramica e originali canovacci da acquistare per la propria casa o per i regali più originali.

I GENERI ALIMENTARI FERRAMENTA torna ad essere una straordinaria bottega di generi alimentari di produzione propria: dalle scansie occhieggiano invitanti vasi di prodotti conservati, dalla frutta sciroppata ai vegetali, ai prodotti ittici, sino a spezie, legumi secchi, condimenti vari, olio extra vergine, aceti di ogni genere, accanto a creme di vegetali e a un’importante collezione di sottoli e sottaceti. Pasta di Gragnano, caffè in grani e macinato, vini, bibite e succhi di un’ampia gamma in gran parte biologica, costituiscono l’ulteriore offerta di questa bottega.

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FERRAMENTA

QUALITÀ ALLA PORTATA DI TUTTI Testimonial del locale, lo chef santarcangiolese Valerio Braschi, giovane e talentuoso vincitore di Masterchef 2017, che periodicamente sarà in FERRAMENTA per realizzare un suo piatto, da lasciare poi in carta. FERRAMENTA è tutto questo e molto altro, una fucina di idee in continua elaborazione, una cucina non stellata ma “stellare” per la qualità indiscutibile di prodotto del tutto fatto in casa, nel rispetto della tradizione. Piatti e prezzi accessibili a tutti, a partire dall’abolizione del costo del coperto, perché l’esperienza culinaria, nella precisa volontà di chi ha deciso di ridare identità e vita a FERRAMENTA, deve essere un piacere condivisibile.

Da sinistra, il pizzaiolo Mimmo Fabozzi, lo chef Leonardo Rossetto e il patron Rino Mini.

FERRAMENTA

Piazza Ganganelli - 47822 Santarcangelo di Romagna (RN) Tel. 0541 626141 - www.ristoranteferramenta.com

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GOLAVAGANDO

VAL RIDANNA

SCHNEEBERG FAMILY RESORT & SPA UNA VERA VACANZA A MISURA DI FAMIGLIA di

Maria Chiara Zucchi

L’accoglienza alberghiera si sta orientando sempre più verso le famiglie: organizzare la propria struttura prevedendo le esigenze di ogni componente della famiglia significa regalare ai propri ospiti una vacanza di vero relax. E’ proprio su questo principio che la famiglia Kruselburger (composta dalla mamma Edith e dai figli Andreas, Heinrich e Christian) ha costruito e gestisce da 35 anni lo Schneeberg Family Resort, a Racines- Vipiteno, nello splendido fondovalle alpino di Ridanna. I genitori possono praticamente dimenticare la responsabilità di seguire i bambini - e godersi intanto gli 8000 metri quadri di SPA - affidandoli, senza limite di tempo, alle educatrici all’interno della vastissima Kinderheim dotata di una sala cinema, con sedute a gradoni in moquette cosparse di cuscini, pista per le macchinine a pedali, area videogiochi con tavolo di air hockey, area relax, area gioco con percorsi e scivoli. Questa incredibile spazio offre un programma di intrattenimento per tutte le ore della giornata, compreso il pranzo.

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HOTELSCHNEEBERG

La vasta area piscine interne ed esterne dedicata agli adulti è comunicante con il “Bergiland”: una serie di piscine immerse all’interno di in un vero e proprio villaggio, come quello dei più bei cartoni Disney, costruito in legno, con casette all’interno delle quali si può giocare, o fare la sauna con mamma e papà (a temperatura calibrata per i più piccoli) o fermarsi nella piscina per neonati, ospitata nel giardinetto di un’altra casetta, oppure divertirsi a scivolare giù dagli scivoli che scendono dal castello. Al centro di questo villaggio sono stati di recente aggiunti due nuovi scivoli, di cui uno a caduta libera, che ha riscosso grande successo anche tra gli adulti. Un’altra delle novità offerte dall’ultimo ampliamento è la realizzazione di una grande area pizzeria (foto in alto), all’ingresso della quale spicca uno stiloso e moderno forno a legna. Le famiglie possono quindi scegliere se mangiare nella vasta area in stile prettamente tirolese o se rimanere nella più moderna area dedicata alla pizzeria e al menù a la carte, per poi

degustare un digestivo nella nuova area bar o nel suggestivo soppalco in legno, riservato ai fumatori.

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GOLAVAGANDO

SCI E SLITTINO D’inverno lo Schneeberg Family Resort & Spa è un punto di partenza perfetto per gli appassionati di sport invernali. Con la cabinovia panoramica a 8 posti RacinesGiovo si raggiunge quota 2.150 m, dove si apre una ampia area montana che è un vero incanto per gli sciatori e gli amanti della neve. Da qui 8 impianti da risalita portano ancora più su, quasi a toccare il cielo con un dito. Si ammira lo scenografico panorama

SCHNEEBERG ED ENERGIA TERMICA ECOCOMPATIBILE La famiglia Kruselburger ha costruito due centrali in un progetto di ecosostenibilità: una per il teleriscaldamento che sfrutta come materia prima il cippato di legno (scarti di legno derivanti dal disboscamento e dalle attività di trasformazione del legno) in grado di riscaldare tutto il paese, e una centrale idroelettrica. Le due centrali offrono riscaldamento e corrente a tutta la struttura dello Schneeberg e a tutta la valle, a costi veramente vantaggiosi. Il giacimento minerario di Ridanna-Monteneve, attestato sin dal 1237 come Sneberch (oggi Schneeberg) e attorno al 1500 di proprietà dei Fugger di Augusta con oltre 1000 minatori, è uno dei più alti d’Europa (tra i 2.000 ed i 2.500 m s.l.m.) e quello più a lungo produttivo dell’arco alpino (si estraeva argento già dalla fine del XII secolo). I numerosi impianti minerari fuori e dentro la montagna, che si erge tra la Val Ridanna e la Val Passiria, sono quasi tutti intatti. La miniera sotterranea didattica di Masseria dà un’idea della dura vita dei minatori, con la possibilità di effettuare un’escursione sottoterra nelle gallerie in disuso.

delle montagne circostanti lungo i 25 km di piste attraverso incantati boschi di pini e abeti. Divertimento assicurato anche per i più intrepidi grazie allo Snowboard Funpark, un vero parco giochi per gli appassionati di acrobazie e alle 3 piste da slittino preparate nel migliore dei modi per assicurare divertimento per tutta la famiglia. Per gli amanti dello sci di fondo 50 km di piste su 3 anelli, ben battute sin dalle prime luci del mattino. L’attrezzatura si noleggia direttamente in hotel: perfettamente preparata e curata.

MINIERA

HOTEL SCHNEEBERG FAMILY RESORT & SPA****

39040 Masseria 22 - Ridanna (BZ)

Tel. 0472 656232 - Fax 0472 656383

www.schneeberg.it - info@schneeberg.it

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A circa 10 minuti di passeggiata dallo Schneeberg Family Resort & Spa si trova il “Mondo delle miniere”, il Museo delle antiche miniere di Monteneve, che attrae grandi e piccini. Il Museo custodisce reperti e testimonianze sulla vita dei minatori e consente ai visitatori di conoscere le vicende che hanno influenzato in particolar modo la vita della Val Ridanna. Tappa obbligatoria durante un soggiorno per portarsi a casa un ricordo prezioso.





GOURMETFOOD

ELBULLI DOPO ELBULLI

ADRIÀ EN CONSTRUCCIÓN COSA STA DAVVERO FACENDO FERRAN ADRIÀ foto di

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di Alessandra Meldolesi Elbulli Foundation e Lukihuber (fotografo Francesc Guillamet)


ELBULLI

“Genio? Macché. Il genio è lavoro”. Si schermisce Ferran Adrià di fronte allo stupore per un’impresa intellettuale titanica, che rischia di far apparire il ristorante più importante di sempre come il semplice prodromo di qualcos’altro. Sembra che abbia una molla sotto la lingua, tanto scatta inarrestabile mentre si aggira per spazi inclassificabili: quelli di Bulligrafia, in Carrer de Mexic, Barcellona. Al termine della rampa grigia per i garage sulla destra, dietro un portone di metallo, l’open space somiglia a un capannone, con le scrivanie sparse qua e là, sotto i gomiti di ragazzi assorti al computer, i pannelli divisori tappezzati di fogli, le copertine di riviste appese come il bucato da un lato all’altro della cubatura e qualche lavagna multimediale; su un lato un divanetto per gli sporadici incontri con la stampa. L’ultima stanza è quasi un museo: riunisce ventimila oggetti censiti di elBulli che hanno fatto la storia, non solo della ristorazione, ma anche del design. Ci sono un tavolino sradicato pari pari da Cala Montjoi, sorprendentemente rétro con la glacette e la stoffa sulle sedie; una teca di misurini per il taglio degli alimenti, di tutti i colori e le forme; stoviglie e posate in quantità. Anche il premio Lucky Strike Designer Award, ricevuto nel 2006, in compagnia di Philippe Starck fra gli altri. Subito sotto dai garage si accede agli spazi della biblioteca gastronomica, dove sono catalogate 700 referenze fra libri e riviste del settore, “non tutto, ma l’imprescindibile”. La differenza stordisce con l’atmosfera lussuosa e felpata dell’alta cucina, eppure si lavora altrettanto sodo. “Per me sono almeno dodici ore al giorno, talvolta anche quindici; oggi mi sono svegliato alle cinque”, dice Ferran, orgoglioso di questa trasformazione miracolosa del cibo in conoscenza, della materia in pagine.

“La gente pensa che elBulli sia chiuso e che mi goda la pensione. Invece io e Lluis Garcia, che era direttore al ristorante, sgobbiamo più che mai”. Solo la materia è radicalmente cambiata, per così dire spostata dal fuoco. Tanto che torna in mente la morte dell’arte: “La più alta destinazione dell’arte nel complesso è per noi un passato”, scriveva Hegel. “Per noi è trapassata nella rappresentazione, l’idea peculiare dell’arte per noi non possiede più l’immediatezza, che aveva nel suo periodo di massima fioritura”. E questo a causa della sovrabbondanza di contenuto, del costante interrogarsi sul significato dell’opera così traghettata verso la conoscenza astratta. Proprio Ferran, “individuo cosmico storico” nell’accezione ancora hegeliana del termine, di colui che persegue un principio nuovo per l’epoca e ne innesca il cambiamento, aveva già spinto oltre ogni limite il contenuto di una cucina più concettuale che mai, cadaverica nel costante imperativo del ricominciamento da zero e nel ripiegamento ossessivo in chiave di metacucina. Contenuto che si è finalmente emancipato prendendo il sopravvento. “Non potevamo più andare oltre”, commenta. “Eravamo giunti al limite della cucina e dell’esperienza gastronomica. Nel

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GOURMETFOOD

senso che non potevamo aumentare il numero dei piatti: arrivati a 45, potevamo solo diminuirli. Per quanto riguarda il confine fra cucina e arte, lo avevamo già raggiunto e superato. Ormai il pasto era pura performance, non si trattava più di cibo. Nel 2009 abbiamo smesso di creare ai massimi livelli. Ma negli ultimi 8 anni, quali novità ci sono state nella ristorazione? Qualcuno parla del naturalismo di René Redzepi, ma in cucina esiste sempre un livello di elaborazione. Posso avere il chuleton oppure il consommé: Michel Bras era già questo negli anni ’80”.

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Quali sono le novità che hai registrato tu, invece? L’ultima è Enigma, il ristorante di mio fratello Albert a Barcellona, soprattutto per lo spazio. Può piacere o non piacere, ma è dirompente, qualcosa che oggi è molto raro. Nell’arco di 20 anni a elBulli abbiamo fatto di tutto, nel 1997 servivamo già la mousse di fumo; ma dopo una cosa simile, cosa può esserci? Creare diventa sempre più difficile. Inoltre la società non ha più la stessa capacità di sorpresa, manca il cosiddetto potere di shock. Donald Trump presidente degli Stati Uniti? Normale. Brexit? Normale. Il nuovo ristorante di Redzepi? Normale. Non esiste più lo scandalo. Se vai da Enigma invece ti chiedi: dove mi trovo? Su Marte? L’assuefazione è un problema molto grave per chi fa innovazione. La soglia della sorpresa è diventata quasi irraggiungibile. Forse ci sono altri valori in cucina, diversi dalla sorpresa? Non nell’innovazione, per chi cerca un ristorante creativo. A Norman Foster o Frank Gehry viene chiesto di stupire, a parte la qualità. Invece chi va da Etxebarri


ELBULLI

non cerca il livello 10 di creatività, perché non è quello il suo focus. Poi bisogna distinguere fra ciò che è creativo e ciò che è dirompente, parola che in cucina non si usa praticamente mai. Indica una frattura con le consuetudini, come quando a elBulli abbiamo smesso di servire il pane. Per questo hai cercato l’innovazione altrove? Avrei bisogno di tre giorni per spiegarti quel che abbiamo fatto negli ultimi sei anni. In questo momento siamo concentrati su tre progetti, tutti sotto l’ombrello di elBulli Foundation. Per tre anni qui c’è stato il BulliLab, uno spazio dove lavoravano 70 persone, in collaborazione con università, centri di ricerca e istituzioni. Oggi si chiama BulliGrafia. Dopo il catalogo ragionato di elBulli, con le sue 7000 pagine, sta producendo la Bullipedia, enciclopedia già in via di pubblicazione, che comprenderà un database, per capire chi ha inventato cosa e quando, e 35 libri sulla ristorazione gastronomica occidentale, dalla cucina al servizio, dal vino al marketing. Verrà pubblicata prima su carta, con traduzione in inglese, poi online, perché ci interessa lavorare sulle sinergie fra intelligenza artificiale e umana, quindi con i traduttori simultanei, ma solo quando avranno fatto progressi significativi. Credo occorreranno cinque anni, adesso sarebbe un suicidio. Si tratta di libri accademici, ne sono già usciti due, dedicati alle bibite e a come è iniziata la cucina. Perché il 99,99% degli addetti ai lavori lo ignora. Poi nel 2018-2019 ne pubblicheremo altri: i prodotti elaborati, non elaborati, il vino, i cocktail e la classificazione dei tipi di cucina fra gli altri. La ristorazione gastronomica finora non ha avuto né il tempo né il denaro per sistematizzare queste conoscenze, cosicché non esistono riferimenti in materia, a parte Modernist Cuisine di Nathan Myhrvold. Se ti chiedo un’opera sulla storia della ristorazione occidentale, cosa rispondi? Non esiste. Oppure sui prodotti. Eppure tutti parlano di materie prime. Noi in dieci anni andremo a investire otto-dieci milioni di euro, poi vedremo quanti ne recupe-

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GOURMETFOOD

reremo, per collaborare con scienziati, grafici e storici allo sviluppo di una visione olistica, di cui condivideremo i risultati. Bisogna studiare: è qualcosa di nuovo nel nostro lavoro, ma la conoscenza è il futuro. E bisogna smettere di parlare per approssimazioni e per sentito dire. Le categorie innanzitutto: la gente pensa che sia un bene mangiare naturale, ma il naturale che cos’è? Può essere biologico? Oppure è una manipolazione? Chi finanzia tutto questo? Io, col mio denaro. Ma non si tratta del progetto più importante. La mia sfida è Sapiens, che riguarda la metodologia dell’innovazione, in collaborazione con MIT, Harvard, Telefonica... Ci vorrebbero ore per spiegarlo. Significa ordine e conoscenza connettiva, perché se sono ordinato e metto le informazioni in relazione posso capire e innovare; e posso perfino essere confuso. Ho lavorato con i migliori creativi del mondo e non li ho mai visti disordinati. Anch’io sono sempre stato ordinatissimo nella mia creazione. Per il momento la ricerca si svolge qui, ma non è un luogo definitivo: intendiamo raddoppiare, per avere da una parte il museo biblioteca di elBulli, dall’altra l’innovazione. Lavoreremo perché nel giro di un anno ci sia una prima esposizione, preferibilmente a Barcellona, ma an-

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che altrove: abbiamo bisogno di 4000 metri quadrati. La cucina sarà sempre il nostro linguaggio, ma chiameremo persone di tutte le discipline per lavorare sull’efficienza e l’innovazione. Sembra una nuova disciplina, una specie di scienza dell’innovazione che fatalmente deve considerare come funziona il cervello. Certo. Ti faccio un esempio: se ti dico pomodoro, di cosa sto parlando: una pianta? Un frutto? Un vegetale? Solo a quel punto posso creare un pomodoro, un cocktail oppure un marketing attorno al pomodoro. Ma non è ancora finita: resta Cala Montjoi, che al suo quarto progetto architettonico diventerà una postazione work in progress, dove ci sarà un lab con un’équipe creativa sull’innovazione. La cucina cucinata è il passato? Personalmente non ho niente a che fare con i locali di mio fratello Albert: ci vado e mangio, se mi chiedono un feed-back glielo do. Ma anche ora stiamo parlando di cucina, anche qui concepisco ricette. Quando torneremo a Cala Montjoi, nel giro di un anno, ricominceremo pure la pratica: sarò il direttore creativo. Abbiamo una fretta relativa, perché sono progetti per le nuove generazioni, dodici mesi non fanno la differenza se la gittata è di 20,

30 o 50 anni. Ma in questo momento la mia sfida non è creare in cucina, quanto capire la creazione e l’innovazione in modo olistico. Voglio condividere con il mondo della gastronomia tutto ciò che faccio: negli ultimi 5 anni abbiamo allestito dieci mostre di elBulli, quando al mondo non ne era mai stata fatta nemmeno una su un singolo ristorante. Qual è l’eredità più importante di elBulli? Che tutti i più grandi cuochi del mondo ne sono figli, da Redzepi a Bottura. Come me: siamo tutti fratelli nella maniera di pensare. Significa capire per creare, domandarsi tutto. Chi lo dice? Prima che c’era? Come e cosa è accaduto? Questo è il contributo più importante di elBulli, anche se occorreranno decenni per capirlo, come la cucina, che è stata a lungo misconosciuta. Bob Noto era un profeta nel deserto. Suona come una rivoluzione culturale. C’è un ritardo epocale da colmare. Questione di tempo e di denaro, come ho detto, Ma anche di pregiudizi. Si è sempre pensato che i cuochi fossero stupidi e non avessero cultura; che se l’avessero acquisita sarebbe stato un problema. Ci vuole pazienza, bisogna avanzare pian piano perché forse non siamo ancora preparati.



GOURMETFOOD

UN “CUOCO” VERO

MASSIMILIANO POGGI LA SVOLTA DI POGGI NEL SUO NUOVO MP CUCINA di

Simone Rosti Fabio Gamberini

foto di

Abbiamo scritto più volte di Massimiliano Poggi perché siamo tra quelli che hanno da sempre apprezzato il suo stile misurato, la sua professionalità e anche un ruvido carisma che ne fa punto di riferimento anche tra gli stessi colleghi. Max Poggi è un cuoco vero, con i tratti di chi lavora duramente e la consapevolezza che nessuno regala nulla. Aggiungiamo a tutto questo il suo coraggio di lasciare Al Cambio (che resta suo, ma con una guida indipendente) per crearsi un nuovo mondo nei locali dello storico Sole di Trebbo di Reno, nel cuore della campagna bolognese.

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MASSIMILIANOPOGGI

CANNELLONE

di ricotta e pomodoro , brodo di amarene INGREDIENTI

PREPARAZIONE

g. 60 di zucchero

ro a velo e sale e informare a 60ºC per un paio d’ore.

g. 300 di ricotta freschissima 20 pomodorini

zucchero a velo sale q.b.

g. 30 di pasta fillo Per il brodo

g. 100 di amarene denocciolate g. 100 di acqua

g. 30 di succo di limone

g. 10 di vino bianco secco

Stendere i pomodorini ben lavati in una teglia, spolverarli di zucchePreparare tutti gli ingredienti per il brodo e chiudere in sottovuoto.

Lasciare macerare in frigo per 24 ore, poi filtrare bene ed utilizzare solo il brodo macerato.

Mantecare la ricotta con lo zucchero ed inserirla in un sac a poche.

Arrotolare la pasta fillo attorno a 4 stampi per cannolo, cuocere in forno a 180°C fino a doratura. Farcire i cannelloni ottenuti con la

ricotta, guarnire con i pomodorini tagliati a cubetti, qualche foglia di erbe aromatiche a piacere e servire con un calice di brodo in accompagnamento.

3 foglie di basilico 3 foglie di menta

3 foglie di prezzemolo

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GOURMETFOOD

Quì è nato un anno fa Massimiliano Poggi Cucina, qui Max ha deciso di compiere l’ultimo miglio del suo percorso. In questo ambiente di lavoro regna la linearità (anche nell’arredo minimal del locale): la materia prima è sempre al centro; non c’è mai affollamento di sapori; la tecnica è al servizio della nitidezza e degli equilibri. Max ha dunque lavorato per sottrazione e coerenza, togliendo il superfluo e legandosi al territorio senza compromessi, guardando presente e futuro, forte del patrimonio culturale che la sua terra gli offre. Basta il benvenuto dalla cucina per capire tutto questo: polenta e formaggio di fossa; tagliatella fritta al ragù, pane e lardo; bignè con patè di ripieno dei tortellini. Il primo piatto - gnocco al semolino e zafferano (paglia), con fiori ed erbe di campo (fieno), brodo di prosciutto e insalata di piselli crudi - è una carezza avvolgente; sulla

PORRO GRIGLIATO mandorle e burro al limone INGREDIENTI

4 porri freschi e grossi, g. 100 di burro salato, g. 50 g di mandole tostate e salate, 1 limone.

PREPARAZIONE

Cuocere i porri interi su una griglia a carbone fino a quando la parte esterna risulti quasi

carbonizzata. Lasciarli riposare coperti per una mezz’ora. Inciderli con una forbice, togliere la parte interna che sarà diventata molto morbida, tagliare la parte superiore più

verde e spremerla con le mani per ottenerne il succo. Tagliare la parte chiara del porro in lunghezza e avvolgere le strisce ottenute come per formare un nido di tagliatelle.

Fare fondere il burro in un pentolino e lasciarlo cuocere finché non prende una colora-

zione nocciola ed un profumo di tostato; aggiungervi il succo tenuto da parte, il succo del limone e frustare forte per ottenere una emulsione. Disporre il porro a nido in 4 fondine, irrorare di burro salato al limone e guarnire con le mandorle salate grattugiate.

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MASSIMILIANOPOGGI

stessa lunghezza d’onda le tagliatelle di porro al carbone, ragù di mandorle e burro tostato. Il secondo piatto ci riporta alla grande ironia di Max (dote delle persone molto riflessive come lui) con il filetto alla Rossini rimodulato in chiave povera, ovvero con quel che offre la campagna, e così accanto ad un manzo cotto magistralmente (altro caposaldo di Max) troviamo un topinambur anziché il tartufo e i fegatini di pollo anziché il foie gras, con una fetta di rapa rossa alla base. Ma forse il suo piatto più significativo oggi è la terrina d’anguilla spinata, fritta in farina di semola, salsa di soffritto, brodo di pomodoro verde (l’Artusi 495)! Geniale il pre-dessert, che nei fatti ripropone un’autentica “scarpetta”, con acqua di pomodoro ghiacciata, lamponi, sale, olio e sedano, crostini di pane fritto, il tutto a ricordare l’ultimo boccone in fondo all’insalata raccolto con il pane. Il dessert è fresco e dissacrante: cannellone di ricotta, prezzemolo e pomodoro con brodo di fragole! La piccola pasticceria, preceduta da un’interessante scomposizione del certosino, ci urla ancora una volta dove siamo, ovvero in un territorio da dove parte sempre tutto, e così è con torta di riso, raviola con mostarda bolognese, pralina di mascarpone, cioccolato e pralina di zuppa inglese. La gestione in sala è sobria e informale, in coerenza con il forte messaggio identitario che Max vuole offrirci.

POTREI MA NON VOGLIO (idea di una Rossini)

INGREDIENTI per 4 persone

RISTORANTE MASSIMILIANO POGGI Via Lame, 65, 40013 Trebbo (BO) Tel. +39 051 704217 www.mpoggi.it info@mpoggi.it

g. 600 di controfiletto di manzo di razza romagnola, tagliato in 4 fette 4 topinambur

g. 200 di fegatini di pollo g. 200 di fondo bruno g. 50 di burro

g. 500 di sangiovese 5 scalogni

g. 60 di spinaci novelli ben lavati ed asciugati 4 fette di sedano rapa cotto al vapore salamoia bolognese sale, olio evo

PREPARAZIONE

Pulire gli scalogni, tagliarli finissimi e farli sudare in una casseruola con un filo d’olio; bagnare con il sangiovese e lasciare ridurre di 4/5 a fuoco dolce (più o meno servirà una ora e mezza).

Aggiungere il fondo bruno di vitello. Fare ridurre ulteriormente fino ad ottenere una salsa spessa e “sciropposa”, aggiungere i fe-

gatini passati ed un setaccio, spegnere il fuoco, aggiustare di sale e condire con il burro. Tenere in caldo.

Pulire i topinabour e farli stufare in tegame con burro al tartufo

e brodo vegetale. Condire la carne con salamoia bolognese,

cuocerla su una griglia a carbone, lasciarla riposare 4/5 minuti. Disporre la carne in 4 piatti, aggiungere gli spinaci appena scot-

tati in padella con olio e pochissimo sale, le fette di sedano rapa rosolate in padella, le fette di carne e la salsa calda. Guarnire con il topinabour a fette o addirittura intero.

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GOURMETFOOD

MENTI GIOVANI A

LES CAVES

AMBIENTE INTRISO DI STORIA, NEL PARMENSE

di

Lisa Foletti

Maria Amalia Anedda e Jacopo Bracchi hanno 27 anni, Alberto Francalanci 24. Chef patron i primi, maître sommelier il secondo. Il loro ristorante, Les Caves, occupa gli spazi che furono le cantine di un antico palazzo nobiliare, la Rocca Sanvitale di Sala Baganza (PR), dimora dell’omonima famiglia sin dal XIII secolo. È impossibile prescindere dell’anagrafe introducendo questa insegna, poiché la tenera età della squadra fa contrasto con l’antichità del luogo, un contrasto che è puro risalto, poiché definisce l’incontro di menti giovani e fresche con un ambiente intriso di vissuto e di storia. L’atmosfera è sobriamente moderna: l’importante ristrutturazione dell’edificio (completata all’inizio di quest’anno) e la scelta di un arredo semplice ma contemporaneo hanno tramutato gli spazi delle antiche cantine in un distensivo luogo di convivio. La grandissima sala, al centro della quale si staglia magnificente una Berkel rossa fiammante, è illuminata soffusamente e gestita con disinvolto garbo da Alberto, che appare un poco acerbo in alcuni passaggi, ma rivela passione e competenza nella selezione enoica, per nulla scontata né blasonata, come pure nella padronanza del servizio.

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LESCAVES

Maria è la parte estroversa e frizzante della coppia di chef, Jacopo sembra invece più riservato e composto: lei si palesa spesso in sala dispensando sorrisi e parole, lui si affaccia solo sul finire del pasto, in punta di piedi, quasi a disagio nella veste di comunicatore. Qualcuno ricorderà questa coppia di giovani cuochi sugli schermi televisivi, come concorrenti del talent show culinario “Top Chef”; prima dei riflettori, però, la strada di entrambi ha incrociato diverse esperienze lavorative, la più significativa delle quali alla corte di Alain Ducasse, a Parigi, dove sono nati il loro amore e il sodalizio professionale. Si mangia solo alla carta, a Les Caves, pizzicando da un menu piuttosto nutrito che tradisce la voglia di sperimentare su basi concrete e rassicuranti. Qualche piccolo richiamo all’Emilia e tanta cucina classica, con guizzi che

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GOURMETFOOD

RISOTTO

mantecato con crema di melanzane leggermente affumicata, battuto di gamberi, stracciatella di burrata e pesto rosso alla siciliana INGREDIENTI per 6 persone

Per la crema di melanzane affumicate:

2 melanzane di media grandezza, 1 spicchio

acido, g. 40 di parmigiano reggiano grattugiato.

d’aglio, 1 rametto di timo, 2 cucchiai di olio

PREPARAZIONE

alimentare, fieno da agricoltura biologica.

melanzane a metà nel senso della lun-

EVO, sale, pepe, trucioli di faggio per uso

Per il battuto di gamberi: 18 gamberi rosa del Mediterraneo di bella pezzatura, succo di mezzo limone, zenzero fresco.

Per il pesto rosso alla siciliana: g. 20 di

capperi, g. 10 di olive nere taggiasche,

2 filetti di alici sott’olio, g. 50 di pomodori secchi, g. 30 di mandorle, g. 10 di pinoli, g. 50 di olio extravergine d’oliva.

Per il burro acido: 1 bicchiere di vino bianco secco, 1 bicchiere di aceto di vino

bianco, 1 scalogno, pepe in grani, alloro, ginepro, g. 200 di burro.

g. 150 di stracciatella di burrata, g. 400

di riso superfino carnaroli, g. 50 di burro

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Per la crema di melanzane: tagliare le

ghezza, inciderne la polpa praticando dei tagli paralleli in diagonale, avendo cura di lasciare la pelle intatta. Adagiare le melan-

zane in una teglia, condirle con olio, sale,

pepe, l’aglio a fettine e il timo fresco, poi coprirle con un foglio di alluminio e cuocerle in forno a 180°C per 60 minuti.

Una volta raffreddate, affumicare le melanzane con il fieno e I trucioli di faggio, poi privarle della pelle e frullarne la polpa.

Per il battuto di gamberi: pulire, sguscia-

re i gamberi e privarli del filo intestinale.

Tritare la polpa a coltello e condirla con olio, sale, succo di limone, poca salsa di

soia e una grattata di radice di zenzero fresco. Conservare il battuto in frigorifero fino all’impiattamento.

Per il burro acido: ridurre in una casse-

ruola il vino e l’aceto con lo scalogno in

brunoise, e gli odori. Una volta ottenuta la quantità di un cucchiaio di liquido, emulsionarlo al burro ammorbidito a tempe-

ratura ambiente. Formare un panetto e riporlo in frigorifero.

Per il pesto rosso: frullare i pomodori

secchi ammollati in acqua tiepida con le

olive, I capperi, le acciughe, le mandorle e i pinoli. Emulsionare aggiungendo l’olio

a filo continuando a frullare; regolare di

sale e pepe e conservare in una tasca da pasticceria.

Per il risotto: tostare il riso in una casseruola con un filo d’olio e portarlo a cottura aggiungendo poca acqua bollente alla volta. Mantecare con la crema di melan-

zane affumicate, il parmigiano ed il burro acido; regolare di sale e pepe e mantenere una buona consistenza “all’onda”.

Impiattare il risotto in un piatto piano e decorare armoniosamente con il battuto di gamberi, la stracciatella di burrata e qualche punto di pesto rosso.


LESCAVES

MEDAGLIONE DI FILETTO DI VITELLO con panatura croccante alle noci, zucca e crema al Roquefort

mirano a stemperare e rinverdire. Per iniziare, il polpo croccante con crema di fave, cicoria ripassata, broccolo romano ed emulsione di alici, semplice nella sua carnosità, strizza l’occhio con leggerezza al sud Italia; a seguire, la scaloppa di foie gras con crema di sedano rapa, uva saltata, nocciole e mosto fresco evoca i trascorsi francesi dei due chef, sfoderando un’opulenza fin troppo generosa a inizio pasto, ma goduriosa. Tra i primi piatti, il risotto mantecato alla crema di melanzane affumicate, pesto rosso, stracciatella di burrata e crudo di gamberi è un ulteriore omaggio al Meridione, dove l’affumicatura si impone al limite dell’eccesso, senza però mortificare gli altri elementi, coadiuvata da un’ottima mantecatura e da una cottura encomiabile del riso. Nei secondi piatti, è la materia prima a condurre il gioco: la suprema di galletto ruspante con finferli, patate americane e jus al tartufo nero estivo, malgrado la scarsa succulenza della carne dovuta probabilmente a un minuto in più di cottura, porta in dote l’autunno e allieta il palato tra aromi e sapidità; il filetto di dentice con sauté di carciofi, topinambur e salmoriglio alle erbe e pomodori secchi convince per gli equilibri di ingredienti risolutamente mediterranei e ben leggibili. Come prédessert giunge una mini porzione di dessert, la pavlova ai frutti esotici, non proprio defatigante né rinfrescante, ma prodiga di profumi e dolcezza. L’approdo al dessert è di quelli in pompa magna, con una rilettura della duchessa, torta parmense a base di zabaione, cioccolato e biscotto alla nocciola, qui nella versione al cucchiaio con ganache al cioccolato, crumble alla nocciola e salsa di zabaione: un dessert come gola comanda, ricco, morbido, avvolgente, zuccherino, di certo impegnativo al termine di un pasto completo, ma indicato per

INGREDIENTI per 6 persone

Per la panatura: stufare lentamente la

circa ciascuno, g. 50 di burro pomata,

marla con il burro pomata, il Panko e le

6 medaglioni di filetto di vitello di g. 160 g. 40 di Panko, mezza cipolla tritata, g. 50

di noci tostate, g. 300 di zucca mantovana,

g. 100 di Roquefort stagionato, dl. 1 di panna fresca, dl. 1 di brodo di carne, 1 spicchio d’aglio, 1 rametto di timo,

1 noce di burro, olio extravergine d’oliva, sale, pepe.

PREPARAZIONE

Pulire e mondare la zucca mantovana, ta-

gliarla a tocchetti e riporla in una teglia con sale, pepe e un filo d’olio. Coprire la

teglia con un foglio di alluminio e cuocere in forno preriscaldato a 180°C per un’ora. Conservare la metà della zucca arrostita

al caldo e frullare l’altra metà con il brodo

di carne fino a ottenere una consistenza liscia e vellutata.

Per la salsa al Roquefort: fondere il for-

maggio tagliato a pezzetti nella panna precedentemente portata a bollore, aven-

do cura di non superare i 60°C durante il procedimento.

cipolla tritata molto finemente e amalganoci tostate e tritate grossolanamente. Stendere questa miscela fra due fogli di

carta da forno allo spessore di 3 millimetri circa, raffreddare in frigorifero e ritagliare dei dischi dello stesso diametro dei meda-

glioni di filetto, con l’aiuto di una coppapasta.

Legare i medaglioni di filetto con lo spago da cucina per mantenere una forma

più regolare in cottura e rosolarli a fuoco vivo in una padella con il burro ben cal-

do, l’aglio in camicia e il rametto di timo. Una volta colorati uniformemente su tutti

i lati, adagiarli su una placca da forno con

un disco di panatura per ogni medaglione e infornare a 200°C per 5 minuti per ultimare la cottura della carne e dorare la panatura.

Slegare i filetti gratinati e impiattarli in piatti piani, accompagnati dalla puré di zucca, dalla zucca arrostita e dalla salsa al Roquefort. Decorare con qualche gheriglio di noce e servire ben caldi.

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GOURMETFOOD

SUPREMA DI GALLETTO RUSPANTE finferli, patate dolci e jus al tartufo nero dell’Appennino INGREDIENTI per 6 persone

3 galletti ruspanti di media grandezza, 1 cipolla, 2 carote, 1 costa di sedano, alloro,

ginepro, 2 spicchi d’aglio, 1 rametto di timo fresco, 1 rametto di rosmarino, 1 bicchiere di vino bianco secco, 1 bicchiere di cognac, g. 500 di finferli freschi, g. 500 di patate dolci, g. 30 di tartufo nero dell’Appennino tosco-emiliano, g. 40 di burro, sale, pepe.

PREPARAZIONE

Prelevare i petti dai galletti, avendo cura di lasciare l’aletta attaccata; smontare le

cosce e riservarle per altre preparazioni. Tostare le carcasse dei galletti in forno a 200°C fino a raggiungere una bella colorazione bruna uniforme.

In una casseruola rosolare l’aglio con le erbe, le verdure pulite, mondate e tagliate in mirepoix, poi aggiungere le carcasse ben tostate e sfumare prima col cognac e

poi con il vino bianco. Lasciare evaporare l’alcol e ricoprire il tutto con acqua fredda.

Portare a bollore, schiumare e far sobbollire lentamente per almeno 8 ore a fuoco

gli irriducibili ghiottoni alla ricerca del dolce comfort. Menzione speciale per la bottiglia di En Billat 2014 di Domaine Labet, uno chardonnay dello Jura (Francia) in stile non ossidativo, ouillé: al naso, bellezza e complessità di agrume giallo e mela, fiori e cera d’api, con la dolcezza appena sfumata dello chardonnay, e note quasi sassosse, scheletriche di gesso; sensazioni che tornano perentoriamente in bocca, con la salivazione che naviga a vele spiegate e una materia ricca seppure in fíeri. Il cimento dell’alta ristorazione in un paesino sui colli di Parma, a poco più di 20 anni d’età, non è certo per deboli di cuore. E proprio il cuore, unito a una buona dose di cervello, è ciò che guida le scelte di Maria e Jacopo, caparbiamente alla ricerca di una solidità tecnica e di una cifra stilistica che gettino le basi di una dottrina limpida e personale.

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molto basso. Filtrare il fondo ottenuto con un colino a trama molto fine e lasciare

ridurre fino a raggiungere una consistenza sciropposa. Aggiustare di sale e pepe e unire circa la metà del tartufo grattugiato finemente. Pulire e mondare le patate

dolci, tagliarle a rondelle e sbianchirle per pochi minuti in abbondante acqua bollente e salata, poi scolarle e rosolarle in una padella antiaderente con burro, sale e

pepe. A parte saltare a fuoco vivo i finferli ben puliti e privati dell’eventuale terriccio

che li ricopre (è consigliabile sciacquarli molto rapidamente in abbondante acqua tiepida), salare e pepare. Arrostire in padella le suprême di galletto, partendo dalla

parte della pelle per renderla dorata e croccante, aggiungere una noce di burro freddo e proseguire la cottura nappando con il burro, a fuoco moderato, di modo che il calore penetri fino all’interno senza asciugare la carne, poi ritirare dal fuoco e lasciare riposare la carne coperta da un foglio d’alluminio prima di servirla.

Impiattare le suprême e accompagnarle con finferli e patate dolci saltate, irrorare con il jus al tartufo e decorare con lamelle di tartufo fresco.


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Giovani talenti di

Antonietta Mazzeo Niko Boi

foto di

RISTORANTE

DAL CORSARO QUALITÀ, TRADIZIONE ED INNOVAZIONE DA TRE GENERAZIONI

LA

storia di un’impresa è anche una storia familiare che spesso attraversa le generazioni. Lo sanno bene le tre generazioni che hanno fatto la storia del ristorante Dal Corsaro, da sempre punto di riferimento della gastronomia isolana, aperto nel 1967 da Filippo Deidda e sua moglie Ester che hanno passato il testimone, negli anni ’80, ai figli Giancarlo e Gianluigi.

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DALCORSARO

Quest’ultimo nel 1998, con la moglie Giuseppina Pilloni, sommelier professionista, ha preso in gestione il ristorante, la cui cucina oggi è stata interamente affidata al figlio, lo Chef Stefano Deidda, autore di una svolta profonda e creativa. Nel cuore del centro storico e commerciale di Cagliari, ad un passo dal porto, le sale sobrie ed eleganti del ristorante Dal Corsaro conservano interessanti testimonianze di vestigia passate. Nel 2013, per volontà dello Chef Stefano Deidda, il locale è stato diviso in due sale indipendenti, per far posto all’ambiente più semplice e alla cucina rustica nella versione bistrot del Fork. A capo della brigata che anima il locale cagliaritano appunto lo chef Stefano Deidda, classe ‘82,che tra l’altro fa parte dei Jeunes Restaurateurs Italiani (la prestigiosa associazione che riunisce i migliori e i più giovani rappresentanti dell’alta gastronomia). Dopo aver lasciato gli studi di giurisprudenza, ha frequentato il corso superiore presso l’Alma classificandosi primo del suo corso. Ha lavorato all’Hotel Principe di Savoia di

OSTRICA

brodo di gallina croccante, tuorlo affumicato e germogli e acetosa INGREDIENTI pr 4 persone

4 ostriche Belon, 1 gallina ruspante, 1 costa di sedano, 2 carote, 1 cipol-

la, 2 foglie di alloro, 4 uova biologiche di giornata (di galline allevate a terra), segatura di faggio aromatizzato alle noci di Pecan, acetosa : q.b. PROCEDIMENTO

Iniziare dalla preparazione del brodo di gallina croccante. Preparare

un brodo classico partendo con acqua fredda, le verdure in mirepoix,

l’alloro e la gallina privata della testa e delle interiora. Lasciare cuocere a fuoco molto basso per circa 1 ora in pentola a pressione. Recuperare

il brodo ottenuto, eliminare il grasso in affioramento e filtrare con una stamina. Porre il brodo nel rotaval (alambicco in pompa a vuoto) e im-

postare un ciclo di 8 ore a 40°C in atmosfera modificata così da ridurre il brodo ed ottenere un concentrato dalla consistenza sciropposa.

Mettere il brodo concentrato su una placchetta con carta forno e disidratare in forno a 50°C per 6 ore circa. A questo punto coppare dei dischi di cm. 7 di diametro, disidratare ulteriormente per 2 ore e conser-

vare. Aprire le uova separando il tuorlo dall’albume. Affumicare i tuorli a freddo con l’apposita pistola o con un affumicatore (è importante che

l’affumicatura avvenga a freddo). Sbattere leggermente i tuorli e porli in una busta sottovuoto, quindi cuocere in bagno termostatico a 64°C per

40 minuti. In questo modo si otterrà un gel perfettamente trasparente e dal colore dorato. Aprire le ostriche, coglierle delicatamente e sezionarle in 5 parti ciascuna.

Scaldare l’olio di arachidi a 175°C, immergere i dischi di brodo per un minuto circa, quindi piegarli in modo da ottenere una sorta di tacos.

Mettere il gel di tuorlo con una sac a poche ed adagiare sopra l’ostrica. Completare con un filo d’olio extravergine e l’acetosa.

Milano e in diversi ristoranti stellati: Sadler di Milano, il Realis & Chateaux Villa Fiordaliso sul lago di Garda, Villa Crespi a Orta San Giulio ed infine in Spagna da Martin Berasategui a Lasarte (Paesi baschi). Ha ricevuto premi come miglior chef emergente per la guida del Sole24ore e per la guida del Touring. Dal 2011 è lo chef del suo ristorante, che ha ottenuto una stella Michelin, e del Bistrot Fork. Il ristorante Dal Corsaro propone due tipologie di cucina, due formule diverse, entrambe accomunate da una qualità eccellente: la prima, più semplice, per i clienti che non si sono ancora avvicinati alla cucina gourmet, fatta quindi di piatti legati alla tradizione sarda; la seconda, frutto delle esperienze giovanili e della precoce maturità stilistica di Stefano, è una cucina creativa, particolare, tecnica, frutto di tanto lavoro e di appassionata ricerca, caratterizzata da preparazioni equilibrate ed armoniose.

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Giovani talenti

LINGUA RISO E CAFFÈ INGREDIENTI pr 4 persone

1 lingua di vitella, g. 80 di sale, l. 1 di acqua minerale, kg. 3 di ossa e muscolo di vitella

per demi glace, 3 coste di sedano, 4 carote, 3 cipolle bianche, 1 mazzetto odoroso, g. 500 di riso varietà Arborio, g. 10 di caffè tostato in grani. PROCEDIMENTO

Preparare una salamoia con 1 litro di acqua a circa 4°C e 80 grammi di sale; preparare una soluzione salina con l’ausilio di un mixer ad immersione. Immergere la lingua in salamoia per circa 1 ora, quindi la scolarla, porla in una busta sottovuoto adatta per la

cottura e cuocere in bagno termostatico a 64°C per 24 ore. A parte preparare un fon-

do di vitella seguendo il procedimento classico. Tostare le ossa in forno a 200°C per

20 minuti, mondare e tagliare le verdure in mirepoix, quindi tostare anch’esse in forno per circa 10 minuti. Tagliare il muscolo a tocchetti e rosolare la carne in abbondante

burro chiaro. Porre le ossa, la carne e le verdure in una marmitta, aggiungere abbon-

dante ghiaccio, acqua e far sobbollire a fuoco moderato per circa 10 ore. Filtrare il fondo con una stamina e conservare in frigorifero una notte in modo da permettere

l’affioramento del grasso. Trascorso il tempo, eliminare il grasso oramai addensato in superficie e ridurre ulteriormente mettendo in infusione i chicchi di caffè battuti grossolanamente. Ridurre il fondo fino ad ottenere una glassa.

Una volta cotta la lingua, abbatterla in positivo e sezionarla dopo averla spellata in

modo da ottenere dei parallelepipedi di cm. 3x5. A parte cuocere 250 grammi di riso

eccedendo nella cottura in modo da poter ottenere una crema e i restanti 250 grammi di riso in acqua e con i chicchi di caffè in infusione. Quindi, come detto, con la prima

cottura preparare una crema liscia ed omogenea, setacciarla e porla in un sifone con

una carica di azoto. La seconda cottura di riso deve essere scolata dall’acqua e posta RISTORANTE DAL CORSARO

in forno su una placca per una disidratazione controllata a 50°C per 12 ore.

09124 Cagliari

Rosolare le porzioni di lingua con del burro chiaro, quindi procedere al laccare la carne

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Con Stefano l’impostazione della cucina si è arricchita negli anni di nuove tecniche di cottura, studi approfonditi su materie prime e accostamenti, ingredienti nuovi che vanno ad affiancarsi a tutto ciò che la tradizione ha sempre offerto. La cucina segue l’andamento delle stagioni; la rappresentazione volutamente minimale delle pietanze lascia spazio ad una interpretazione creativa, sempre attenta nel mettere in risalto le qualità di ogni singolo ingrediente. Nelle preparazioni rivivono i sapori sardi con modernità e fantasia; armonie, contrapposizioni ed equilibri partono e ritornano sempre a un gusto o a un piatto della memoria. Ricordi e suggestioni della terra e del mare affiorano nitidi e consapevoli con un risultato pieno e ammirevole.

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Una volta disidratato il riso, soffiarlo in olio di semi di arachidi a 180°C e tenerlo in parte. con la glassa di carne al caffè sino a che non risulterà perfettamente coperta e lucida. Servire in piatto piano la lingua laccata con la spuma di riso e il riso soffiato al caffè.


STEFANODEIDDA

STEFANO DEIDDA INTERPRETA

SCRIGNI RIPIENI AGLI SCAMPI

croccanti agli scampi, crema di zucca e scampo crudo INGREDIENTI per 4 persone

12 Scrigni ripieni agli scampi Divine Creazioni Surgital, 8 scampi, mezza zucca, 1 cipolla

bianca, 4 bacche di pepe bianco, cl. 10 di olio evo, l. 1 di olio di semi, l. 1 di brodo vegetale. PROCEDIMENTO

Infornare in forno pre riscaldato a 170°C per

30 minuti la mezza zucca condita con olio extra-

vergine, sale, erbe aromatiche ed avvolta nella stagnola.

Stufare la cipolla bianca in un rondeau con un filo di olio extravergine d’oliva; aggiungere la

polpa cotta di zucca e bagnare con il brodo vegetale; lasciare quindi cuocere per altri 20

minuti. Omogeneizzare il tutto con un mixer e setacciare con un setaccio a maglie fini. Privare gli scampi del carapace, condire la polpa con un filo d’olio e sale. Scaldare l’olio a 180°C,

immergervi gli Scrigni sino a quando non risul-

teranno ben dorati. Servire in una fondina po-

nendo prima la crema, poi gli Scrigni ed infine il battuto di scampi. Completare il piatto con alcuni anelli di cipolla disidratata.

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Giovani talenti

BAULETTI CON FRIARIELLI E “CACIOCAVALLO SILANO DOP” e rapa rossa

INGREDIENTI per 4 persone

PROCEDIMENTO

parare una fonduta a bagnomaria.

e “Caciocavallo Silano DOP”

a parte tostare il pepe in padella con un

le e raffreddarle in acqua e ghiaccio per

20 Bauletti con friarielli

Divine Creazioni Surgital 3 rape rosse 4 scalogni

2 bacche di pepe

l. 0,5 di vino rosso

g. 50 di cime di rapa

g. 200 di caciocavallo g. 50 di latte

g. 50 di panna

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Pelare la rapa e tagliarla in pezzi regolari, filo d’olio, aggiungere lo scalogno in bru-

noise finissima, sfumare con il vino rosso facendo evaporare l’alcool.

In una busta per cottura in sottovuoto por-

re la rapa e il soffritto sfumato con il vino, quindi cuocere a 87°C per 40 minuti circa.

Una volta completata la cottura, setacciare e tenere la salsa di rapa da parte.

Con il caciocavallo, il latte e la panna pre-

Sbiancare le cime di rapa in acqua e sa-

bloccarne la cottura. Cuocere i Bauletti in

abbondante acqua salata, scolarli in una padella, aggiungere la salsa di rapa rossa e lasciare cuocere ancora qualche minuto

sino a quando la pasta non prende un bel colore rosso. Servire in un piatto piano

con un poco di salsa di rapa, fonduta di pecorino e le cime saltate con un filo d’olio e uno spicchio d’aglio.


www.surgital.it

Giovani talenti per

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Giovani talenti

QUADRELLI CON AGNELLO E TIMO INGREDIENTI per 4 persone

bondante ghiaccio, cuocere a fuoco mo-

Divine Creazioni Surgital

Filtrare il fondo ottenuto e ridurre ulterior-

20 Quadrelli con agnello e timo sedano rapa

1 stinco di agnello

kg. 1 di ossa e muscolo di agnello per fondo

g. 500 di burro chiaro 1 costa di sedano 3 carote

2 cipolle

timo q.b.

PROCEDIMENTO

Preparare un fondo di agnello tostando le ossa e le verdure in forno a 190°C, tagliare

la carne per il fondo in piccoli pezzi; rosolarla in abbondante burro chiaro.

Porre la carne, le verdure e le ossa in una

marmitta, aggiungere 5 litri di acqua e ab-

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derato, schiumando secondo necessitĂ . mente sino ad ottenere una salsa corposa.

Inserire lo stinco e il fondo di agnello in

una busta sottovuoto per cottura e cuocere a 64°C vapore per 6 ore circa.

Una volta cotto, spolpare lo stinco, con-

servarne la carne, recuperare il liquido di cottura e ridurlo ulteriormente.

Stufare il sedano rapa con una cipolla

bianca, quindi omogeneizzare in modo da

ottenere una crema perfettamente liscia ed omogenea.

Cuocere i Quadrelli in abbondante acqua salata, scolarli e completare la cottura in

padella con il fondo di agnello, qualche

pezzo di polpa di stinco di agnello e del

timo. Servire i Quadrelli con la purea di

sedano rapa sul fondo, qualche pezzo di polpa e la glassa di agnello.


Faccio cose... ...vedo gente a cura del direttore Elsa Mazzolini

UN PREMIO CHE FA FURORE PIEVE DI SANTA MARIA DELLA PIETÀ - FURORE (SA)

Ne ha fatta di strada il Premio FURORE di Giornalismo che è giunto quest’anno alla ventunesima edizione e la cui cerimonia di consegna si è svolta nell’ottobre scorso nella suggestiva cornice della Pieve di Santa Maria della Pietà. Correva l’anno 1996 e l’accoppiata Raffaele Ferraioli/Nino d’Antonio imperversava a Furore nel tentativo – pienamente riuscito – di portare il “Paese che non c’è” all’attenzione della pubblica opinione e inserirlo nei circuiti turistici fino ad allora negati alle aree collinari e interne. Fra le tante intuizioni e le innumerevoli iniziative avviate in quel periodo spicca questa che si è dimostrata con gli anni una delle più riuscite. Il Premio ha ottenuto già parecchi anni addietro l’Alto Patronato della Presidenza della Repubblica e annovera nel suo Albo d’Oro circa duecento giornalisti, sia della carta stampata che della televisione e dei moderni mezzi di comunicazione “online”. Citiamo a caso: Donatella Bianchi, Osvaldo Bevilacqua, e tantissime altre firme di grande prestigio. Non è stata da meno la pattuglia di quest’anno, con i dieci “premiati” che di seguito elenchiamo, in ordine alfabetico: • PINO APRILE, già vicedirettore di Oggi e poi direttore di Gente, “per il coraggio con il quale ha svelato verità sulla storia del nostro Risorgimento per troppo tempo negate”; • UMBERTO BELPEDIO, già capo della redazione salernitana de “Il Roma” e del “Giornale d’Italia”, alla carriera, “per la sua brillante carriera di cronista attento e impegnato”; • CARLO CAMBI, fondatore e direttore de I Viaggi di Repubblica, docente universitario di Teoria e Politica del Turismo, “per la passione e la com-

petenza, l’autorevolezza e le magistrali doti affabulatorie”; • ANTONIO DI GIOVANNI, giornalista de La Città di Salerno “per la grande passione e il fattivo impegno nel promuovere il territorio”; • FRANCO DI MARE, di origini napoletane, conduttore di Uno Mattina RAI 1, “per lo stile sobrio e misurato e le spiccate doti di scrittore accattivante e di scrupoloso cronista”; • ANGELA MATASSA, giornalista e scrittrice napoletana, “per la particolare attenzione rivolta ai problemi dell’infanzia e dell’adolescenza, che testimonia l’importante ruolo della comunicazione”; • ELSA MAZZOLINI, direttrice del mensile La Madia Travelfood, storicamente il primo mensile di enogastronomia e cultura dell’ospitalità, “per la prestigiosa e pionieristica attività nel campo del giornalismo enogastronomico”; • GIAMPAOLO PIOLI, affermato giornalista, corrispondente da New York di Quotidiano Nazionale, “per aver fatto della sua professione di giornalista uno strumento di tutela attiva dei valori etici del rispetto della persona umana”; • MARINA TAGLIAFERRI, giornalista con specifica competenza nel settore del turismo, “per la capacità di far vivere in anteprima al viaggiatore il sogno della vacanza”; • ENZO TODARO, presidente dell’Associazione Giornalisti Salernitani, alla carriera, “per la sua non comune attenzione all’evoluzione del costume nella società contemporanea”. Conduttrice dell’evento Daniela Bruzzone della RAI.

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PRODOTTI ECCELLENTI

PENTOLE AGNELLI

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LA MAGIA DI UNA STORIA POETICA AL SERVIZIO DEI CUOCHI. FASCINO E GLAMOUR IN CUCINA. di

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Agnelli110, infatti, rende ancora più belli gli strumenti della tradizione regionale italiana con un design rinnovato nei dettagli, che però resta fedele agli altissimi standard del marchio bergamasco e che assicura sempre la stessa cura che ha fatto di Agnelli il brand preferito dagli chef. Quasi una storia d’amore, infatti, quella fra i cuochi e l’azienda, una relazione di scambio reciproco che è cresciuta e si è evoluta insieme alla cucina italiana e l’ha spinta a creare sempre la pentola migliore per ogni esigenza fino a farne la propria filosofia. Una collaborazione che ha portato l’azienda a produrre strumenti grazie allo

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studio di funzionalità condiviso con grandi chef. Casseruola bassa, padella a mantecare, tegamino a due manici, pentolino con manico lungo, in alluminio nudo, antiaderente, rame e ghisa. Solo per citare alcune forme e alcuni dei materiali scelti da Agnelli per la nuova linea. Una linea contraddistinta sì dai manici utilizzati nel 1907, ma anche dall’impugnatura dei coperchi: ecco che le forme ergonomiche più tradizionali, vengono sostituite da pomelli raffiguranti il marchio storico, per l’appunto un agnello. Gli strumenti Agnelli110 sono il frutto di infinite combinazioni pensate sempre per tutelare la grandezza della vera cucina italiana: ogni piatto vuole la sua pentola e ogni cottura il suo materiale. Chi conosce il marchio sa che è questo

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AGNELLI110

il verbo che guida da 110 anni la sua produzione, che supera il milione di pezzi prodotti all’anno. Rispettare il cibo vuol dire assicurare sempre la cottura migliore che preservi le qualità organolettiche della materia prima. E la linea celebrativa non poteva essere da meno: Agnelli110 è sintesi perfetta della funzionalità di strumenti rinnovati di un tocco di eleganza. E se le caratteristiche di questa linea la rendono unica di per sè, Agnelli ha pensato di renderla ancora più speciale. Una selezione di strumenti personalizzabili: non solo i professionisti della cucina ma anche gourmet e appassionati potranno infatti rendere unici anche con il proprio nome i loro nuovi strumenti di cottura. #NONTOCCATEMILAPADELLA www.pentoleagnelli.it

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GOURMETFOOD

CRISTIAN MORALES QUANDO LA CUCINA DÀ UN SENSO ALLA VITA di

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Flavia Tomaello


CRISTIANMORALES

Cristian Morales nasce in Argentina e diventa famoso in Messico. Per prenotare nel suo ristorante c’è una lista d’attesa di oltre due anni. Il segreto del suo successo? Offrire ad ogni cliente un’esperienza unica. Il nome dello chef Cristian Morales è profondamente legato alla bellissima località balneare di Cancún, con le sue splendide acque turchesi, le sue catene albeghiere che si snodano lungo tutta la linea costiera e le spiagge di sabbia finissima. Nonostante ciò lui proviene da un umile quartiere della cittadina di Godoy Cruz, nella provincia di Mendoza, il principale centro vitivinicolo dell’Argentina, Paese che lascia all’età di 18 anni. Uno dei suoi obiettivi sembra essere stato quello di un continuo apprendimento e miglioramento personale. Infatti si diploma come consulente in ristorazione e tecnico per la qualità e per la certificazione ISO 9000 presso l’Universidad Autónoma de Barcelona, in Spagna, e anche come ingegnere in alimentazione presso l’Universidad de Luján a Buenos Aires (Argentina) e infine come sommelier presso la Rouvenez in Svizzera. Si ritrovano tracce del suo passaggio anche per il “Taller El Bulli”, del leggendario Ferrán Adriá. Nel 1998 lascia il suo Paese natale, l’Argentina (lo stesso Morales ricorda di essersene andato via con appena 70 dollari in tasca) e viaggia per il mondo fino a giungere in quello che sarebbe diventato il “suo posto nel mondo”: Cancún. Nel suo girovagare, ha visitato nientemeno che quattordici Paesi tra l’America Latina e l’Europa e ha svolto diversi lavori come lavapiatti, cameriere e barista. Comunque sempre vicino a qualche cucina. Il suo primo impiego sulla riviera Maya non è stato tuttavia quello dei suoi sogni: ha trovato infatti lavoro come cameriere in un hotel cinque stelle nel quale si servivano la bellezza di 15.000 pasti al giorno. “Dormivo due o tre ore a giorno”, ricorda Morales. Ma con l’ansia imprenditoriale che lo contraddistingue, decide di creare un piccolo locale con quattro tavoli. Un giorno, al suo modesto locale si presentano due giovani. Bevono, mangiano, chiacchierano e se ne vanno più che soddisfatti.

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GOURMETFOOD

Quelle non erano due persone qualsiasi, ma due critici gastronomici del The New York Times. La rassegna stampa relativa al suo locale che ne scaturisce offrirà a Morales un’accelerazione al suo lavoro come non avrebbe mai immaginato. Grazie a questa spinta, Morales riesce ad aprire il suo attuale ristorante a cui dà il proprio nome: uno spazio che ospita solamente 38 commensali al giorno, in due turni, a pranzo e a cena. L’obiettivo è quello di far degustare piatti d’autore “fusion”, “nei quali i profumi e i colori si uniscono in una creazione unica anche per i palati più esigenti”, ci spiega Morales. Per accaparrarsi uno di questi posti, bisogna prenotare con un paio d’anni d’anticipo. Morales ha dato vita anche ad una impresa di catering per eventi, ed un locale, il “Macaron Store” (dove si vendono delizioni pasticcini in un ambiente che sembra una gioielleria) e “The Café” che, come indica lo stesso nome, offre bevande calde in uno spazio di tutto relax. “La mia casa è la casa di tutti, come quella di mia madre; la casa di tutti è sempre aperta e si cucina quello che c’è e come si può, ma sempre con amore” ci assicura lo chef. Nonostante mantenga un basso profilo e un atteggiamento di

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umiltà, Morales si è strasformato velocemente in una vera celebrità della gastronomia. Tra i suoi clienti si annoverano Brad Pitt e Julia Roberts e addirittura Donald Trump lo ha scelto per un evento privato di capodanno, molto prima di candidarsi alle elezioni presidenziali negli Stati Uniti. “Lo abbiamo organizzato in uno yacht alle Bahamas”, ricorda Morales, che sottolinea come l’attuale presidente degli Stati Uniti abbia scelto piatti semplici e leggeri, esclusivamente di pesce.

UN CLIENTE COME IN UN FILM C’è stato anche un cliente “speciale” che gli ha fatto vivere un’esperienza degna di una produzione di Hollywood: il famoso narcotrafficante messicano “El Chapo” Guzmán. Un giorno, si presentano due uomini nel suo ristorante, armati fino ai denti. Fuori c’erano delle auto blindate. Incappucciano Morales, lo fanno salire su un aereo privato e lo trasportano fino ad un campo di atterraggio dove lo fanno scendere e lo mettono su un’auto che lo scorta per circa un’ora.


CRISTIANMORALES

RAVIOLI

ripieni di huitlacoche con carne di vitello INGREDIENTI per 4 persone: 16 fogli di

e lasciare riposare. Chiudere le estremità

ben lavati e sminuzzati, 1 cipolla sminuzza-

Per il ripieno di huitlacoche: g. 100 di

bume d’uovo. Cuocere in abbondante ac-

pepe a piacere, burro q.b.

pasta tagliata.

huitlacoche (mais), 1/4 di cipolla tritata, 1 piccolo spicchio d’aglio tritato, Jitoma-

tes (pomodori rossi) a cubetti senza semi e

senza pelle, peperoncino serrano (a piace-

re) senza semi e sminuzzato, 1 cucchiaio di olio, sale, a piacere.

Preparazione: in una padella versare l’o-

lio e metterlo a scaldare; aggiungere la

cipolla e l’aglio e cuocere fino a quando non diventano trasparenti. Aggiungere il

peperoncino e i pomodori rossi. Aggregare l’huitlacoche sminuzzato, condire a

piacere con sale e lasciar soffriggere in modo che prenda più gusto, e poi mettere da parte.

Per i ravioli: stendere un foglio di pasta e collocare in mezzo una porzione del ripieno di huitlacoche. Richiudere il tutto

precedentemente inumidite con dell’alqua salata in una pentola sufficientemente grande. Quando riemergono in superficie significa che sono pronti.

Togliere dalla pentola e scolare.

Per gli sfilacci di carne (carnitas): g. 400

di carne di maiale, latte q.b., vino bianco q.b., sale e pepe, a piacere.

Preparazione: tagliuzzare il maiale e lasciarlo immerso nel latte per un paio di

ore. Scolare e collocare un recipiente per

forno insieme con il vino bianco, Aggiun-

gere pepe e sale. Coprire con un foglio di alluminio e cuocere per un’ora, facendo

attenzione che il contenitore rimanga ben coperto. Aggiungere il vino bianco se fosse necessario durante la cottura. Lasciar riposare.

Per la salsa: 2 grappoli di fiori di zucca

ta, 1 tazza di panna acida, latte a piacere,

Preparazione: in una padella collocare un po’ di burro, aggiungere la cipolla e lasciar soffriggere. Aggiungere il fiore di zucca, far in modo che rilasci tutta l’acqua e che si asciughi un po’. Lasciar riposare.

Versare il tutto in un frullatore insieme alla panna acida e al latte e condire a piacere. Conservare in una pentola.

Presentazione del piatto: introdurre in un barattolo da conserva da 3 a 4 ravioli. Aggiungere una cucchiata di carnitas.

Riscaldare leggermente e coprire completamente i ravioli.

Consigli: servire insieme ad una brochet-

te fatta con pezzi di carne ed avvolta con

una foglia di kale (cavolo rosso) cotto al vapore. Spolverare con paprika e formaggio parmigiano ben grattugiato.

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GOURMETFOOD

SUBLIME DI VERDURE INGREDIENTI per 4 persone 4 tortine pronte per il ripieno 2 melanzane grandi

Riempire le tortine. Scaldare in forno.

2 carote grandi

Per la salsa di anguilla

4 cipollotti

g. 100 di scarti di pesce (facoltativo)

1 zucchina

g. 150 di foie gras

g. 150 di un formaggio semistagionato, tipo Manchego o Grana Padano, a piccoli cubetti o simile

g. 100 di peperoni “piquillo”

g. 50 di anguilla tagliata a pezzettini ml. 200 di liquore di riso ml. 100 di salsa di soia. g. 100 di zucchero

ml. 50 di aceto di riso

ml. 100 di panna

PREPARAZIONE

foglie verdi tagliate a julienne per de-

rare i pezzettini di pesce. Aggiungere

olio, pepe e sale a piacere corare.

PREPARAZIONE

Tagliare a cubetti le melanzane, salar-

le e lasciarle scolare per circa un’ora

in un colapasta. Oliare una pirofila e collocarvi le melanzane ben scolate e le altre verdure crude a cubetti, sale e

In una pentola irrorata d’olio, far dol’aceto di riso e deglassare. Aggiun-

gere il liquore di riso, la salsa di soia e lo zucchero. Lasciar bollire a fuoco

basso fino a quando la salsa raggiunge la consitenza di uno sciroppo. Togliere dal fuoco e setacciare. Lasciar riposare.

pepe. Cospargevi sopra il formaggio.

PRESENTAZIONE

re il tutto. Togliere dal forno. Aggiun-

prire con un po’ di salsa di anguilla tie-

Portare il forno a 150ºC fino a far doragere i peperoni, il foie gras e la panna.

Appena prima di portare in tavola, copida e decorare con riccioli di verdure.

Quando gli tolgono il cappuccio, Morales si trova nella cucina di una casa. Gli spiegano che in sala c’erano venti persone e che avrebbe dovuto preparare da mangiare per tutti. Ad ogni momento, mentre preparava i suoi piatti, c’erano sempre almeno tre persone armate attorno a lui. “Tutto molto buono, le faccio i miei complimenti” gli dice il boss dei narcos alla fine dell’evento. Poi lo hanno incappucciato di nuovo e hanno rifatto il percorso al contrario per lasciarlo sano e salvo nello stesso posto dove lo avevano prelevato: il suo ristorante. La filosofia di Cristian Morales si può riassumere in una frase che lo stesso chef ha l’abitudine di ripetere ogni volta che gli si chiede da dove venga la sua ispirazione: “La cucina d’autore è un’idea e una filosofia che serve per avvicinarsi alla fruizione di ogni singolo sapore, profumo e colore, e soprattutto per arrivare al vero piacere di degustare ogni proposta gastronomica offerta esclusivamente nel locale che la propone. Questa sensibiltà è quella che ci fa apprezzare il vero senso della vita”. Le sue caratteristiche più singolari sono le presentazioni dei piatti, la creatività, l’eccellente capacità di combinare i vini con le proposte gastronomiche (sicuramente un’eredità genetica dovuta all’essere nato a Mendoza) e la sua vocazione all’accoglienza personalizzata dei clienti, in modo da offrire una vera e differenziata esperienza culinaria. Ha girato il mondo, ha conosciuto alcune delle principali stelle del pianeta, è diventato famoso. Nonostante ciò, i suoi sapori preferiti continuano ad essere quelli della sua infanzia. “Preferisco la cucina di mia mamma”, afferma lo chef. “Sono cose molto semplici ma, come diceva un grande chef, il miglior modo di sedurre qualcuno di importante a cui si debba offrire da mangiare è quella di servirgli il piatto più semplice possibile”, conclude.

CHEF CRISTIAN MORALES

Avenida Xpuhil #20 entre Contoy y Nizuc, Cancún, Q. Roo, Mexico. 77500 Tel. +52 998 251 9145

www.chefcristianmorales.com

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PRODOTTI ECCELLENTI

RISERVA SAN MASSIMO DOVE LA NATURA CRESCE IN ARMONIA E LA BIODIVERSITÀ CREA VALORE, NASCE L’AUTENTICO RISO CARNAROLI, IL PIÙ BUONO DEL MONDO di

Antonietta Mazzeo

A breve distanza dal terrazzo che domina la Valle del Ticino, a Groppello Cairoli, nella Lomellina pavese, un’ansa del fiume Ticino che nel corso degli anni ha modificato il suo percorso, ospita l’Azienda Agricola San Massimo, un’azienda agricola d’eccellenza nella produzione di riso, estesa in una zona fertile e pianeggiante per circa 600 ettari. La protezione della biodiversità e la salvaguardia delle colture tradizionali messe in atto all’interno della Riserva San Massimo, sono testimonianza della scelta impegnativa della famiglia Antonello, da decenni proprietaria della Riserva, che si è dedicata a tutelare la bellezza del luogo e a sostenere le coltivazioni autoctone. L’acqua del fiume Ticino rappresenta la vera e propria linfa vitale della Riserva: questo è uno dei pochi corsi d’acqua di pianura ancora in grado di “divagare” e dà vita a piccole diramazioni, lanche, stagni e tantissime “zone umide” temporanee. Il territorio è inoltre ricco di risorgive e fontanili che garantiscono la vitalità e la mobilità di specie ittiche, anfibie, insetti e uccelli, sia nidificanti che svernanti. La foresta naturale igrofila, che costituisce l’Azienda Agricola Riserva San Massimo, si sviluppa senza soluzione di continuità

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RISERVASANMASSIMO

per circa 400 ettari; ontani neri, querce, pioppi e salici crescono a ridosso dell’antico terrazzo fluviale del Ticino, su un terreno solcato da fossi, lanche e paludi. Il suggestivo ecosistema forestale, con i campi che lo circondano, è divenuto Sito di Interesse Comunitario (SIC IT2080015) nel 2004 e successivamente Zona di Protezione Speciale (ZPS). Il terreno è di straordinaria fertilità, un substrato torboso molto ricco, composto da resti vegetali e microorganismi che, a causa dell’acidità mantenuta dall’acqua, non si decompongono completamente, rendendolo così fecondo e consentendo di concimare poco i terreni, utilizzando ad integrazione, solo in alcuni casi, sostanze organiche. L’alternanza ambientale della Riserva crea le condizioni ideali per il ciclo vitale della fauna selvatica. Il tasso, il riccio, la volpe, la lepre, la puzzola, la faina, lo scoiattolo, il daino e il capriolo, sono di casa ed è ormai stabile la presenza della martora. Vasto il campionario degli uccelli, nidificanti, con oltre 50 specie, rappresentati, per esempio, da picchi, rigogoli, torcicolli, cince, verdoni, cardellini, gufi, succiacapre. Tra i rapaci è frequente osservare la poiana, lo sparviere e il gheppio e udire il richiamo notturno dell’allocco e della civetta. Nella riserva è presente una delle colonie di aironi nidificanti più importante d’Italia e, in inverno,

gli ambienti umidi ospitano numerose specie di uccelli svernanti o di passo, che vanno dai piccoli trampolieri, come il combattente, la pettegola, il cavaliere d’Italia, il beccaccino, agli anatidi, rappresentati in ordine di abbondanza relativa da germano reale, alzavola, marzaiola, mestolone e codone Nelle acque che nutrono il terreno dell’Azienda Agricola, è possibile riconoscere, ma non pescare: trote, carpe, alborelle, lucci, cavedani, vaironi, anguille. La biodiversità della riserva è il contesto ideale per la produzione biologica di miele di acacia e millefiori. Il processo è totalmente naturale e le api non vengono sfruttate: il miele di edera viene lasciato nelle arnie affinché se ne nutrano durante l’inverno e solo un 70% di quello d’acacia e millefiori viene prelevato. La Riserva San Massimo dà vita, in 200 ettari della tenuta, a tre varietà di riso di altissima qualità: l’autentico Carnaroli, sia classico che integrale, il Rosa Marchetti e il Vialone Nano. La coltivazione avviene esclusivamente all’interno della Riserva, dalla trebbiatura al confezionamento; ogni operazione è supervisionata dal direttore, Dino Massignani. Tutto si svolge ancora in modo artigianale e ciò permette al riso di mantenere integri il sapore, la fragranza e tutte le qualità organolettiche acquisite durante la crescita in

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PRODOTTI ECCELLENTI

questo ambiente assolutamente naturale. Raggiunta la giusta maturazione, il risone (il riso grezzo non ancora pilato) viene raccolto e subito essiccato in cascina, a basse temperature. La Riserva San Massimo, infatti, nonostante la normativa permetta ancora di essiccare il riso a gasolio, a “fiamma diretta” con i fumi che raggiungono il chicco, lasciando residui e modificandone il sapore, essicca a gas metano, grazie a uno scambiatore termico che evita il contatto tra esalazioni e chicchi di riso. Oltre a garantire la salubrità del riso, questo metodo di essicazione rende possibile l’utilizzo di temperature moderate, che mantengono integro e compatto ogni singolo chicco. Per garantire sempre un prodotto d’eccellenza, usato da molti chef stellati anche a livello internazionale, (tra cui Cracco, Cannavacciuolo e Bottura) per il Carnaroli, la Riserva San Massimo seleziona solo le migliori sementi, certificate dall’E.N.S.E. (Ente nazionale

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sementi elette) varietà 100% Carnaroli. È evidente al primo assaggio la differenza di pregio tra quest’ultimo riso e varietà succedanee quali Karnak, Carnise e Carnise precoce, che possono a loro volta essere vendute con denominazione di vendita “Carnaroli”. La Riserva San Massimo meta abituale di escursioni didattico-pratiche per studenti impegnati nei corsi di laurea in Biologia e Scienze Naturali, è un esempio di eccellenza a livello nazionale, il riconoscimento di Sito di Interesse Comunitario e Patrimonio dell’Unesco, dovuto all’eccezionalità dell’ambiente che ospita, sono il frutto dei progetti, degli interventi e di ogni singola attività compiuta dalla proprietà, che dedica attenzioni costanti, tempo e ricerche al miglioramento del contesto ambientale nel suo insieme e per il mantenimento delle attività agricole, valore di memoria materiale storico-culturale, nonché positiva e oggettiva ricaduta a basso impatto ambientale e faunistico.

AZIENDA AGRICOLA SAN MASSIMO Loc. Cascina San Massimo

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www.riservasanmassimo.net info@riservasanmassimo.net


PRODOTTI ECCELLENTI

IL MARE DELLE MARCHE NEL CUORE DI

ALESSANDRO e RICCARDO TOMASETTI IL MARE È SENZA STRADE, IL MARE È SENZA SPIEGAZIONI: LO GUARDI E TI STREGA PER SEMPRE. di

Giovanni Mastropasqua

Alessandro e Riccardo Tomasetti, padre e figlio titolari della Bibo Srl che commercializza pesce nelle Marche, fanno parte di quella rara nicchia di persone capaci di infondere serenità e fiducia al primo incontro; un ritratto d’innocenza che forse non rende giustizia alla figura che un po’ tutti noi abbiamo del classico commerciante smaliziato, ma che non ha negato loro l’opportunità di farsi rispettare in questo settore. Alessandro, classe 1969, il mare ce l’aveva nel cuore sin da bambino. Il papà muratore e la mamma impiegata in ospedale, con i loro rispettivi lavori di certo non lo hanno iniziato alla religione del mare: “È stato un richiamo che è arrivato da dentro, che non mi so spiegare: lo guardi e ti strega per sempre” mi dice Alessandro. Questa intervista non fa altro che darcene conferma. “Io nasco pescatore. A 18 anni lavoravo già in mare”. Inizia così il nostro colloquio con uno dei proprietari di questa azienda storica di Fano che commercializza prodotti ittici all’ingrosso. Padre e figlio, o meglio, figlio e padre, perché sulla carta è Riccardo il titolare e Alessandro “solo” un dipendente. “Mi sono diplomato come meccanico navale e a 18 anni avevo già il libretto di mare”.

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PRODOTTI ECCELLENTI

L’INTERVISTA Lavorare in mare è un mestiere d’altri tempi. Si fanno sacrifici. Come ti è saltato in mente, a soli 18 anni, di desiderare un lavoro così duro? A: Amavo il mare e sapevo che i marinai guadagnavano un sacco di soldi. Si guadagna davvero tanto? Alessandro: Quando ero ragazzo, sì. Erano altri tempi. Lavoravo per altri pescatori, ho fatto il motorista, poi il comandante fino a quando ho comprato una barca mia a 23 anni. Comprai una “vongolaia”. Eravamo due soci. Da lì abbiamo iniziato a vendere le vongole per conto nostro perché non ci accontentavamo del tramite dei commercianti. Pensai subito: “Pesco bene, sono bravo, mi fanno i complimenti, posso lavorare per conto mio”. In cosa consiste la bravura in questo settore? A: Avere la costanza di lavorare bene in mare, non avere fretta. Cercare le zone buone. Poi è fondamentale esse-

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Riccardo (a sinistra) e Alessandro Tomasetti

re onesti con i clienti e raccontare loro il prodotto. Io amo spiegare ai miei clienti, ad esempio, la differenza che c’è tra uno scampo pescato nelle acque di Ancona ed uno scampo pescato nel basso Adriatico. Stessa cosa vale per tanti altri pesci e per i mitili. Poi come si è evoluto il lavoro? A: Questa barca l’abbiamo venduta nel 2004. Non bastava più quello che

riuscivamo a pescare noi, pertanto abbiamo iniziato ad acquistare da altre barche. Abbiamo aperto un centro di spedizione (è un centro riconosciuto dall’Unione Europea) e iniziato a lavorare le vongole. Tu Riccardo quando sei entrato in azienda? Riccardo: Sono entrato nel 2014 direttamente come titolare della società.


BIBOSRL

L’apertura della partita iva è avvenuta una settimana dopo aver terminato la scuola. Non avevo voglia di fare l’università, quindi, dopo aver terminato gli studi al liceo scientifico, ho provato con mio padre. Mi sono subito innamorato di questo lavoro. Non è stato un peso, per me, svegliarmi tutte le mattine alle 3. La nostra giornata inizia così presto che la colazione la facciamo più tardi. Quando arriviamo nel nostro box, i clienti sono già lì ad aspettarci. A: Da padre ho cercato di dargli subito molta responsabilità. - Alessandro sorride soddisfatto. Che rapporto avete con la vostra clientela? R: I nostri clienti sono principalmente le pescherie, ma serviamo anche tantissimi ristoranti. Dalle 3 alle 4.30 vendiamo vongole, dopodiché saliamo in tribuna e partecipiamo all’asta del pesce. Ad un certo punto ci dividiamo. Io rimango a Fano, mentre mio padre va a Pesaro. Quali pesci trattate? A: Oltre alle vongole e alle cozze, trattiamo solo pesce fresco di qualità: scorfani, sanpietro, rombi, scampi. Tutto pesce locale.

cozze di Pesaro. Dicono che quelle di Pesaro sono differenti perché sotto il monte San Bartolo ci sono alghe che danno un sapore diverso. Lavoriamo bene anche con quelle di Cattolica, ma in generale, sì, quest’anno le cozze della zona non erano agli stessi livelli degli altri anni. A fine stagione abbiamo, infatti, acquistato di tanto in tanto cozze provenienti dalla Grecia, leggermente migliori delle nostre quest’anno. E le cozze spagnole? R: Altra domanda di riserva? Perché non sono buone? R: E’ il modo in cui le lavorano. Un nostro cliente ci ha raccontato che hanno un retrogusto forte perché le lavorano sul delta dell’Ebro, all’interno di un parco naturale, dove le lasciano sul bagnasciuga dentro dei sacconi. Hanno un sistema diverso dal nostro: sono buone se si mangiano sul luogo freschissime. Dopo due, tre giorni sono da buttare via. Come si evolverà il vostro lavoro anche in funzione dei grandi cambiamenti? A: A questa domanda abbiamo pensato quando abbiamo partecipato al Festival della Cucina Italiana e abbiamo avuto il piacere di conoscere e parlare con la direttrice de La Madia, Elsa Mazzolini. La signora Elsa ci ha fatto pensare sulle diverse opportunità del mercato. Mi ha aperto gli occhi sulla possibilità di aprire nuove frontiere e “allargarci” e farci conoscere di più. Qual è il vostro valore aggiunto? A: A parte il prodotto freschissimo, indubbiamente il nostro valore aggiunto è la conoscenza del prodotto e la disponibilità nei confronti del cliente. Quello che noi vendiamo lo spieghiamo come pochi fanno. Tante volte gli stessi nostri colleghi ci chiedono informazioni. A differenza di un normale commerciante di pesce, io sono un marinaio, conosco il mare e lo so raccontare.

Voi lavorate solo fresco? A: Il tonno per forza è d’importazione. Tutti i giorni vi svegliate così presto, anche la domenica? R: La domenica ci svegliamo leggermente più tardi, ma ormai i nostri clienti sono abituati a chiamarci qualsiasi giorno e a qualsiasi ora. D’estate è più dura, mentre d’inverno, quando finisce la stagione estiva delle cozze, ci riposiamo un po’ di più. Quest’anno le cozze non sono state il massimo... A: Nel 2017 abbiamo lavorato con le

Bibo Srl

Via IV Novembre, 83 61032 Fano (PU)

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ILFOCUSDIALESSANDROMAGNUM

a cura di

Alessandro Rossi esperto di vino, bon vivant, fondatore del Premio “Dire Fare Sognare”

DESCRIVERE IL VINO Nel vocabolario corrente del mondo del vino esistono termini, aggettivi e tecnicismi fondamentali per poter descrivere ciò che si sta degustando. È un vocabolario piuttosto diffuso, molto vasto, che tutti gli attenti degustatori usano quotidianamente, spesso abusandone. Di seguito sono riportati i termini principali, quelli più usati e più significativi per descrivere un vino in modo comprensibile ai più, senza pretendere di essere degli enologi:

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Abboccato: termine usato per indicare la presenza di una nota dolce. Aromatico: caratteristica di alcuni vitigni che conservano gli aromi primari presenti nell’uva, ad es. traminer, malvasia, brachetto, moscato. Asciutto: le mucose della bocca rimangono pulite grazie alla leggera astringenza. Astringente: aggettivo che indica la contrazione della mucosa a


ILFOCUSDIALESSANDROMAGNUM

causa dei tannini presenti nel vino. La sensazione che si prova è quella di avere la bocca secca o la lingua rugosa, come quando si mangia una banana poco matura. Botritizzato: si definisce tale un vino le cui uve d’origine sono state colpite dalla muffa nobile (Botritys Cinerea). Caldo: è una sensazione termica causata dalla notevole presenza di alcol. Corpo: indica la struttura del vino in base alla quantità di estratto secco presente; più la presenza di particelle solide (zuccheri, sali, ecc...) è alta, più un vino viene considerato di corpo. Corto: proprio di un vino sfuggente, che non lascia traccia nel suo passaggio in bocca. Debole: caratteristica che indica scarsità di materia e di corpo, eccessiva leggerezza. Dolce: La presenza di zuccheri residui nel vino determina la dolcezza, che può essere accentuata dalla presenza di alcol, dalla temperatura di assunzione e dalla glicerina. Disarmonico: si definisce tale un vino quando uno o più componenti hanno il sopravvento sugli altri creando un disequilibrio. Duro: vino con un’eccessiva presenza di tannini, che creano disarmonia. Equilibrio: termine usato per indicare la giusta armonia in un vino tra le diverse componenti, soprattutto alcol, acidità e tannini. Etereo: Sensazione olfattiva indicante una gradevole e ben amalgamata compresenza di alcol e profumi, soprattutto nei vini invecchiati. Finale di bocca: termine relativo alle sensazioni percepite nella parte conclusiva di un assaggio, prima della deglutizione. La

piacevolezza e la complessità di tali sensazioni costituiscono il momento definitivo sulla valutazione della qualità di un vino. Grasso: si riscontra quando la presenza di glicerina dà sensazioni di pienezza in bocca. Minerale: indica una nota (terra più o meno bagnata, idrocarburi, pietra focaia, radici) espressa principalmente da vini bianchi quali il Riesling e lo Chablis. Persistenza: indica la durata di tutte le sensazioni gustative e il loro perdurare nel tempo. Personalità: complesso delle caratteristiche di un vino percepite durante la degustazione. Profumo: termine generico utilizzato per indicare l’insieme delle sostanze odorose che si formano sia durante la fermentazione sia nel corso dell’invecchiamento. Ridotto: sgradevole sensazione di chiuso e muffa dovuta alla carenza di ossigeno nel vino, soprattutto se molto vecchio. Può svanire con un buon arieggiamento in caraffa o nel bicchiere. Sapido/Salato: sensazione dovuta alla notevole presenza di sali minerali. Sottile: definisce un vino scarso di corpo e povero di alcol che, spesso, esprime profumi fini ed eleganti. Il vocabolario moderno sta comunque cambiando profondamente, il lessico del mondo del vino è in continuo mutamento adeguandosi sempre più al consumatore medio in modo tale da rendere, ovviamente, il tutto sempre più semplice o pop; non dimentichiamoci mai che il vino nasce come alimento e cultura “del” e “per” il popolo.


VINARIA

CAMBIAMENTI CLIMATICI E’ ANCHE COLPA NOSTRA di

Cristiana Lauro e Alessandro Rossi

Il clima è cambiato. L’ultima vendemmia per molti produttori è stata complicata e poco produttiva, per qualcuno addirittura disastrosa, non solo in Italia, infatti i prezzi dei vini aumenteranno. Cosa sta succedendo? Il clima si comporta con moto fluttuante, la natura non sta lì a sentir ragioni e l’agricoltura si deve adeguare. Annata strana, più che mai imprevedibile con gelate ad aprile che hanno compromesso i germogli in pianta, violente grandinate un po’ a casaccio, siccità estiva e caldo torrido con scarsa escursione termica fra il giorno e la notte, condizione che sarebbe necessaria per la giusta maturazione delle uve. Ma questo andamento climatico, apparentemente eccezionale se osserviamo il trend degli ultimi anni, non è in realtà un evento straordinario. Francesco Paolo Valentini, agricoltore e produttore di vino in Abruzzo, ha lanciato da tempo il suo allarme in mezzo a tanti che fan finta di niente. Carlin Petrini di Slow Food è chiaramente sensibile e allineato e il geologo Mario Tozzi, senza mezzi termini, affonda in maniera tutt’altro che incoraggiante. A questo punto ignorare significa rendersi indirettamente complici di quello che potrebbe rivelarsi a breve un vero e proprio disastro.

INTERVISTA A MARIO TOZZI Quali sono le cause dell’evidente cambiamento climatico in atto? Diversamente rispetto al passato sono prevalentemente le nostre attività produttive compreso andare in auto. La produzione di energia, l’allevamento di bestiame destinato al consumo di carni per alimentare l’uomo, il traffico sulle strade. In passato le cause erano naturali, astronomiche, l’eruzione dei vulcani, ad esempio. Ora parliamo prevalentemente di cause umane ed è molto più preoccupante il problema, un vero e proprio guaio. Dovremmo pensare e, conseguentemente, darci una regolata.

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CAMBIAMENTICLIMATICI

L’agricoltura subisce danni notevoli dovuti a questi mutamenti climatici. La viticoltura, nello specifico, sta cambiando, ad esempio c’è chi investe su aree geografiche attualmente più fresche e non solo. Può essere una soluzione? Il vino è il risultato di alcuni fattori, di sicuro i tre fondamentali sono il clima il vitigno e il terreno. Non possiamo parlare solo di clima e, per tanto, non ce la caviamo con lo spostamento a nord delle vigne. Il terreno non si può spostare. Soffermiamoci sulla viticoltura. Quali sono le conseguenze dirette di tutto questo? Se nello specifico ci riferiamo alla viticoltura, dobbiamo pensare anche al cambiamento climatico in Italia, a casa nostra e smettere di ignorarne gli effetti devastanti, sempre che si voglia continuare a produrre il Brunello di Montalcino, tanto per fare un esempio noto. Se andiamo avanti così va a finire che il Prosecco si produrrà a Oslo, mentre qui coltiveremo palme, ananas e banane.

INTERVISTA A FRANCESCO PAOLO VALENTINI Inquadriamo il problema: a cosa ci riferiamo, genericamente, quando parliamo di cambiamento climatico in agricoltura? Solitamente si fa riferimento a stravolgimenti della natura come alluvioni, siccità prolungate, trombe d’aria, grandinate violente, assenza di stagioni intermedie, ma in realtà ci sono altri cambiamenti meno evidenti - ma non per questo meno importanti - e sono segnali da non sottovalutare. Alcuni pesci tropicali migrano nei nostri mari, significa che la temperatura sta salendo. Possiamo osservare la muta del pelo dei nostri cani anche in inverno e questo non è normale. Per restare dalle mie parti, gli orsi marsicani del Parco Nazionale d’ Abruzzo escono dal letargo con notevole anticipo rispetto a prima, le zanzare girano anche in autunno avanzato. Insomma gli esempi di micro cambiamenti climatici sono tanti, non possiamo far finta di niente. L’allarme è reale, lo dico da agricoltore. Più specificamente nel vino? Anomali cambiamenti climatici come il caldo torrido improvviso e l’assenza di stagioni intermedie o le gelate di aprile, come successo lo scorso anno, creano danni sempre più frequenti alle maturazioni zuccherine spesso in netto anticipo senza la giusta maturazione fenolica. Le vendemmie degli ultimi trent’anni sono sensibilmente anticipate, ma i processi naturali sono avvenuti comunque in un tempo molto più dilatato, parliamo di secoli. Madre Natura ci sta lanciando dei segnali che purtroppo vengono spesso ignorati. Artigianale, convenzionale, quali sono le differenti tecniche per gestire in vigna il cambiamento climatico in atto? Da artigiano del vino sono propenso a curarmi della vigna - a questo punto molto più difficile da gestire - in maniera più possibile rispettosa sia per la vigna che per l’uva. Ho un’innata forma di rispetto per tutte le forme di vita, inoltre l’uso di fitofarmaci condiziona le successive lavorazioni in cantina, interferisce. Io utilizzo solo rame e zolfo, come facevano gli antichi romani. E’ una gestione difficile e più costosa. Se intervenissi in vigna con un prodotto fitosanitario antibotritico sistemico per un attacco di muffa grigia, ad esempio, correrei il rischio di danneggiare il lieviti naturali presenti sulla buccia degli acini compromettendo la successiva fermentazione alcolica spontanea (senza lieviti aggiunti). Ecco perché scelgo di usare solo prodotti di contatto semplici e

tradizionali come il rame e lo zolfo. Ci sono molti altri aspetti ovviamente, come la lavorazione del terreno, la gestione dell’apparato fogliare e via dicendo. E in cantina? Se la vite risente dei cambiamenti climatici, il vino ne risentirà a sua volta se prodotto con metodi artigianali rispettosi della materia prima, quindi senza interventi chimici e fisici volti a modificare lo stato iniziale dell’uva, come il condizionamento delle temperature o l’aggiunta di lieviti estranei preparati ad hoc. Produrre vino con metodologie industriali permette di “aggiustare” quello che Madre Natura non riesce più a dare. Ma ricordiamo che resterà sempre un vino con un equilibrio precario, perché “costruito”. Preso atto dell’inesorabile situazione irreversibile, cosa consiglieresti agli altri produttori? Come si dovrebbero comportare? Mi limito a suggerire il massimo rispetto per la vite, di ascoltarla e assecondarne necessità e richieste, di usare il buon senso e tener conto delle esperienze dei vecchi viticoltori del posto. Per come stanno le cose, potresti realmente gettare la spugna come hai recentemente accennato? No, non direi. Non sono uno che si arrende.

CONCLUSIONI Non c’é solo disgrazia in tutta questa storia, ma fare previsioni attendibili è difficile e forse vano. Probabilmente per quanto riguarda la coltivazione della vitis vinifera la latitudine cambierà e, in parte, questo processo è già in atto. La fredda Champagne, a esempio, è la zona di produzione con la latitudine più alta, quindi potrebbe beneficiare di questa variazione di rotta. Occorre riflettere, questo è certo, ma è giunto anche il momento di agire: l’indifferenza non opera, non agisce, non risolve e ci sta rendendo complici di un possibile disastro.

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VINARIA

DAMIJAN PODVERSIC LA GRANDE BELLEZZA È NEL VINO di

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Giulia Gavagnin


DAMIJANPODVERSIC

Non so dire se Damijan Podversic si sia ispirato al pensiero forte di Eleanor Roosevelt quando ha deciso di diventare un vignaiolo. La storica attivista americana, nonché moglie di uno dei più influenti presidenti degli Stati Uniti un giorno disse: “Il futuro appartiene a coloro che credono nella bellezza dei propri sogni”. Di certo, è difficile imbattersi in un viticoltore che in ogni istante della propria vita abbia avuto come obiettivo esistenziale il perseguimento di un sogno così ambizioso, l’estrazione della “grande bellezza” dalla terra. Si, perché i vini di questo omone sempre pensoso, a tratti scontroso come il profilo del Monte Calvario che ospita i suoi dieci ettari di vigna, posseggono la grazia del risveglio primaverile della Natura e l’armonia di una grande opera d’arte. Il sogno di Damijan è sempre stato questo: fare un “grande vino”. E ci è riuscito. Un grande vino dall’animo femminile, talvolta sensuale, altre riservato, ma sempre armonico. Lui stesso invoca la bellezza muliebre quando parla dei suoi “figlioli”. Il Nekaj (significa “qualcosa” in sloveno) proviene da un vitigno aromatico, il friulano (prima che la burocrazia europea incedesse con la mannaia si chiamava tocai), ed è come una donna appariscente, “di quelle che si notano da lontano e fanno girare la testa a noi maschietti”. Profuma di frutta matura e spezie, con note di mango e persino di patchouli, come una diva del cinema. La ribolla gialla, invece, proviene da un vitigno basale, avaro di profumi, è come una di quelle ragazze minute e delicate “che non si notano subito, ma che quando si siedono vicino a te non ti alzi più”. Che poi, sono quelle da sposare. E, infatti, sebbene non avvolgente al naso, con note di pesca gialla e bouquet floreale, questa ribolla conquista per eleganza e mineralità, come fosse un vino quotidiano, da bere tutti i giorni. Ed è sorprendente, perché chi conosce i vini macerati sa che leggerezza e leggiadria vanno poco d’accordo con il contatto del mosto con le bucce. La vocazione alla vigna in Damijan è precoce. Assaggia il vino per la prima volta durante una messa (faceva il chierichetto) e capisce che nell’allegoria del sangue di Cristo c’è la vita vera. Suo padre possiede qualche ettaro subito fuori Gorizia, fa anche il viticoltore, ma non ha consacrato la propria esistenza interamente alla vigna. Damijan, invece, non ama le mezze misure. Termina l’istituto agrario, e inizia le prime vendemmie. Sono proprio i metodi appresi durante gli anni di formazione a portarlo sulla strada sbagliata: “Per anni ho fatto il vino prostrato per terra seguendo i dettami

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VINARIA

DAMIJAN PODVERSIC

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della scuola tecnica. Solo dopo molti anni ho capito che stavo sbagliando: per fare il vino bisogna essere un filosofo, non un tecnico. Un filosofo si pone continuamente domande e adegua il proprio lavoro ascoltando quello che gli dice la natura. Il tecnico applica quello che gli è stato insegnato come se fosse la verità assoluta, come se sapesse sempre tutto. Ma il tecnico non potrà mai sapere sempre tutto; e senza mettere in discussione il proprio lavoro inevitabilmente commetterà degli errori”. Dice che la ricetta magica per produrre un grande vino cambia ogni dieci anni, come il modello della Mercedes. “Negli anni ’70 guai se non avevi il torchio, negli anni ’80 il non plus ultra era la pressa a polmone, negli anni ‘90 la barrique era obbligatoria, poi sono arrivati gli anni 2000 che se non avevi il “grande guru” come Cotarella o Calvin Klein non potevi produrre un buon vino, nel primo decennio del 2000 il must era

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l’anfora e oggi senza botte a forma di uovo non sei nessuno”. La verità, invece, è sotto agli occhi di tutti: quanti hanno utilizzato la barrique e prodotto vino mediocre? E davvero tutti i vini macerati in anfora sono “grandi vini”? La risposta è ovvia: no. Infatti, per fare un grande vino non ci vuole la ricetta magica, ma sono necessari tre elementi: “un grande terreno vocato alla frutticoltura, un grande vitigno e il seme maturo”. Le vigne di Damijan crescono sulla ponca, una marna arenaria di origine eocenica, frutto di stratificazioni millenarie ricche di sali e di microelementi che conferiscono al vino caratteristiche peculiari. I vitigni sono cinque, di cui quattro vinificati in purezza: ribolla gialla, malvasia, friulano e merlot. Lo chardonnay, insieme al friulano e alla ribolla dà vita al Kaplija, l’uvaggio bianco elegante e aromatico che “aspira a essere quella donna che piace sia per il suo aspetto este-


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riore che per la sua profondità”. Il seme maturo è l’elemento che conferisce al vino quel caratteristico sentore di frutta matura, senza alcuna nota erbacea: «Nei miei vini sentirete frutti di tutti i generi, dalla pesca agli agrumi alle erbe fresche, comunque sempre frutti maturi. Non troverete mai sentori erbacei, perché l’uva che vinifichiamo è “stramatura”. È l’acidità che dà la freschezza in bocca, e se questa è naturale ed equilibrata non avremo la sensazione di amaro e slegato». La barrique alle nostre latitudini è dannosa, toglie longevità e freschezza al vino: “è necessaria in Francia, dove il seme non giunge mai a piena maturazione per motivi climatici”. Il risultato di questa filosofia è un vino che deve essere sempre “croccante”, teso tra maturità e acidità a prescindere dall’andamento delle stagioni: “aspetto che l’uva maturi in vigna e a seconda della stagione so già il tipo di vino che nascerà. Se la stagione è stata calda e ventosa, il vino sarà come una canzone degli AC/DC, vitale ed esplosivo. Se la stagione è stata bagnata e fredda, il vino sarà come la Nona sinfonia di Beethoven, arriva piano e poi si apre in tutta la sua meraviglia. E poi il seme, il filo del rasoio tra ossidazione e riduzione, impartirà il suo carattere”. Questa filosofia, ovviamente, è anche il frutto della frequentazione di grandi maestri, da Nicola Manferrari (il farmacista-enologo di “Borgo del Tiglio”) a Josko Gravner: dal primo ha assorbito la vocazione all’eleganza, dal secondo ha appreso il rispetto per la terra e il ciclo della Natura. Oggi Damijan Podversic è sul punto di portare a compimento il suo sogno. Ha una famiglia unita e numerosa, ha saputo realizzare un grande vino e sta per terminare la nuova cantina. “E’ l’ultima fase di realizzazione del mio sogno: ho ancora 7-8 vendemmie da-

RIBOLLA 2012 (MAGNUM, 14 % VOL.) RIBOLLA 2009 (MAGNUM, 14 %VOL.) RIBOLLA 2005 (RISERVA, 13 %VOL.) Ribolla Gialla in purezza. Luminoso e leggermente ambrato, sentori di frutta secca e fiori gialli; possente ma elegante, è tannico e minerale, con ricordo di botrite nobile. Il secondo è frutto di “un’annata calda che arriva con tutta la sua potenza, come un pezzo degli AC/DC”, dice Damijan. Il suo giallo ambrato è vivido, il frutto intenso, con accenni di erbe aromatiche fresche. Al palato è ricercato e vagamente calcareo. Il terzo, infine, è di un ambrato antico, con profumi che ricordano quasi la pasticceria. In bocca è marino, sapido con tannini ricchi, di frutto ancora croccante. Lo stesso Damijan, che non lo degustava da molto tempo, è sorpreso per la sua longevità.

vanti a me, poi lascerò la guida dell’azienda a chi lo merita, che siano i miei figli o altri entusiasti prosecutori della mia attività”. Però, fino ad allora, non smetterà di ricordare a se stesso e agli altri che “se vuoi fare un grande vino, devi sentirti una formica: se ti senti un grande tecnico oltraggi la Natura e quello è il momento in cui sbaglierai tutto”. LA DEGUSTAZIONE: Damijan consiglia di bere i suoi bianchi a una temperatura di 15 °C perché li ritiene assimilabili ai vini rossi.

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ASSAGGIO DI

LIBRI a cura di Giorgia Zucchi

VINO: FEMMINILE, PLURALE

PLENTY MORE

Dagli inizi non sempre semplici fino ai riconoscimenti mondiali, Cinzia Benzi narra con empatia, acume, delicatezza e ironia i percorsi di vita di undici donne tenaci e coraggiose: enologhe, responsabili commerciali e della comunicazione o proprietarie factotum delle loro aziende. Sono loro che portano nuovi valori e nuovi stili in uno dei settori più interessanti del life style italiano. Le idee, i progetti, gli aneddoti si susseguono dipingendo un quadro vivace: dalla Francia al Piemonte alla Sicilia scopriamo l’universo di queste donne che lavorano con passione fra vitigni, cantine prestigiose, laboratori, incarnando il nuovo linguaggio del vino.

“Plenty More” raccoglie più di 150 ricette sorprendenti organizzate per metodi di cottura: insalate vietnamite e salse libanesi, inebrianti marinature di salsa di soia e peperoncino, ceci speziati con piselli, l’incontro di quinoa, bulgur e grano saraceno sulle note di un condimento agli agrumi, gustosi pudding, gelato all’halva e tahini e molti altri piatti e ingredienti “capaci di far risplendere le verdure come stelle”. Chef britannico di origini israeliane, Yotam Ottolenghi è coproprietario di quattro boutique gastronomiche nei migliori quartieri di Londra.

di Yotam Ottolenghi - Bompiani - 352 pagine - Euro 35,00 di Cinzia Benzi - Prefazione di Massimo Bottura Giunti Editore - Collana “I contorni di Piattoforte” 128 pagine - Euro 12,00

LA CUCINA I SAPORI E I VINI DELLA REPUBBLICA DI SAN MARINO Nuova, consistente, monografia di Graziano Pozzetto, nuova approfondita indagine sulle radici storiche, antropologiche e gastronomiche dell’antico Stato di San Marino, da sempre definito “Patria della Libertà”. Cerniera geografica tra Toscana, Marche, Romagna e Montefeltro, la piccola repubblica ha assimilato nel tempo influenze diverse, cercando nei secoli di difendere un’identità che si ritrova nella panificazione con una ricca rassegna di piade, crescie e cassoni, nei vari dolci tradizionali, nei piatti soprattutto di carni locali arricchiti dai tartufi, funghi ed erbe di una natura generosa.

di Graziano Pozzetto - Edizioni Minerva - 400 pagine Euro 20,00

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LA CUCINA DELLE FESTE Appena terminate le ricorrenze natalizie, è ancora tempo di altri pranzi e cene di famiglia con parenti o amici. Ma quali prodotti scegliere, verso quali tradizioni gastronomiche orientarsi, cosa preparare per sorprendere e coccolare i notri cari? La risposta è in questo libro, in cui uno dei maggiori chef italiani ci aiuta a creare i menù ideali per ogni occasione speciale: piatti tipici di diverse regioni d’Italia per una merenda di Pasqua, un pranzo di Ferragosto, una cena importante in famiglia... Gianfranco Vissani estrae dal suo ricco scrigno culinario una preziosa selezione di ricette al tempo stesso caratteristiche - come farsi mancare i tortellini e il panettone a Natale o le uova e gli asparagi a Pasqua? - ma nella sua versione preferita, cioè quella che aggiunge sempre un pizzico di originalità nella scelta degli ingredienti o nella preparazione. Un libro ideale per affrontare le tavolate più numerose e impegnative senza rinunciare a divertirsi: cucinando e mangiando.

di Gianfranco Vissani - Rai Eri Editore 256 pagine - Euro 18,00


FRESCO

RISTORANTI DA SCOPRIRE

L’abbattitore di temperatura è un apparecchio ormai indispensabile nelle cucine per i vantaggi che offre a livello di conservazione dei cibi e di preparazione. Infatti poter preparare in anticipo la maggior parte degli alimenti sia prima della cottura che dopo, consente di organizzare il lavoro in modo ottimale. Ecco dunque che cambia il modo di cucinare, come si spiega in questo volumetto attraverso l’esempio di una serie di ricette, dall’antipasto al dolce.

Ristoranti descritti attraverso piacevoli racconti e piccoli disegni graziosi, ma soprattutto ristoranti non necessariamente famosi, anzi spesso dimenticati o non abbastanza valorizzati dalle guide classiche. I locali segnalati con grande libertà ideologica da Marco Bolasco vengono giudicati con il parametro sentimentale di chi sa apprezzare il buon cibo e la buona ospitalità, al di là degli stereotipi con cui la critica imperante giudica di solito.

In cucina con l’abbattitore rapido di temperatura - Bibliotheca Culinaria Editore - 66 pagine - Euro 13,90

di Marco Bolasco - Giunti Editore - 222 pagine - Euro 18,00

LIMA, CUCINA DAL PERÙ Bel volume ricco di colore e calore questo di Virgilio Martinez, uno dei più famosi chef peruviani, in vetta alle classifiche mondiali di settore. Dai suoi due ristoranti, Lima e Lima Flora, cento ricette che vanno dai drink ai dolci, arricchite da belle foto e spiegazioni relative agli ingredienti meno noti, nonché di consigli per ottenere il massimo attraverso qualche trucco del mestiere.

di Virgilio Martinez - Giunti Editore - 224 pagine - Euro 26,50

VINI DA SCOPRIRE

LA VERSIONE DI KNAM

Gli autori ci raccontano di bottiglie sconosciute ai più con particolare attenzione alla leggerezza: si tratta di vini spesso freschi e di pronta beva, talvolta più complessi ma sempre particolarmente agili e spontanei, che stimolano il sorso successivo. Il viaggio è affascinante e prezioso, perché attraverso i vini si scoprono vignaioli e territori che costituiscono la spina dorsale della produzione vitivinicola italiana, ricca di gemme ancora poco note. Da Nord a Sud, suddivisi in bianchi, bollicine e rossi, scorrono uno dopo l’altro vini “leggeri, succosi, coinvolgenti (...), veri e propri vini da strabere, insomma”, sempre all’insegna della leggerezza.

Il pasticciere Ernst Knam, tedesco naturalizzato milanese, ha deciso di farsi un giro d’Italia... in ottanta dolci. Una vera e propria ricognizione del territorio alla scoperta di quella pasticceria regionale che da sempre accompagna ricorrenze, feste e abitudini di tutti gli italiani e che lo chef riporta con il suo sguardo attento e rigoroso. In queste ricette, raccolte per la prima volta in un lavoro inedito e originale, si possono trovare la scoperta e il racconto di memoria e tradizioni, spesso trasmessi per via orale e così fermati nel tempo.

La riscossa dei vini leggeri - di Castagno, Gravina, Rizzari Giunti Editore - 256 pagine - Euro 20,00

Il giro d’Italia in 80 dolci - di Ernst Knam - Giunti Editore 256 pagine - Euro 19,90


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