La Madia Travelfood n. 334 - Gennaio/Febbraio 2019

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Mensile Sped. In Abb. Post. - Gruppo III° - 45% - Art.2 Comma 20/B Legge 662/96 - Fil. Forlì - Tassa Pagata - Taxe Perçue - Reg. Trib. Di Forlì N.653 - Del 14/6/84 - Dir. Resp. Elsa Mazzolini - La Madia Srl - Via Pacchioni, 365 - Cesena - Euro 4,00 - In caso di mancato recapito restituire al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa

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ANNO XXXV Gennaio/Febbraio 2019 - N. 334 - €E 4,00 Direttore ELSA MAZZOLINI

PUGLIA invernale TRANI | PUTIGNANO | LECCE | BARI | CONVERSANO | UGENTO | NOCI | APRICENA | ALTA MURGIA | ANDRIA

Il fascino di una regione antica proiettata sul futuro

LA MADIA EDITORE




SOMMARIO - LA MADIA TRAVELFOOD n. 334 GOURMETFOOD

GOLAVAGANDO

pag. 41

di

Antonietta Mazzeo

pag. 16

PUGLIA INVERNALE

AL PIFFERAIO MAGICO

Il fascino di una regione antica proiettata sul futuro.

La tradizione trova una nuova e fresca eleganza.

La scelta vegana

Puglia invernale

I piatti vegani della Malesia

Felice Lo Basso a Trani

di Silvia Bianco................................................................. pag. 6

di Alessandra Meldolesi................................................... pag. 42

Il menu engineering

Angelo Sabatelli a Putignano

Il menu da esterno

di Alessandra Meldolesi................................................... pag. 48

di Lorenzo Ferrari............................................................ pag. 12

Bros’ Bang a Lecce

Chissenefood

di Alessandra Meldolesi................................................... pag. 56

Benvenuti nel futuro o nel ristorante che non c’è

Le Giare a Bari

di Cristiano Giliberti.......................................................... pag. 13

di Giovanni Mastropasqua e Sandro Romano.................. pag. 62

Golavagando

Antonio Zaccardi a Conversano

Adler Lounge Kals

di Alessandra Meldolesi................................................... pag. 68

di Maria Chiara Zucchi...................................................... pag. 20

Castello di Ugento........................................................... pag. 76

Ristorante Libra................................................................ pag. 22

Podere Papilio a Noci....................................................... pag. 80

Golavagando Montresor

Da Nonna Peppina ad Apricena

Osteria Al Borgo

di Alessia Pellegrini.......................................................... pag. 81

di Daniele Briani............................................................... pag. 24

Chef di Spirito

La Gabella

Stefano Di Gennaro a Trani

di Antonietta Mazzeo....................................................... pag. 26

di Sonia Leo..................................................................... pag. 82

Zafferano

Nero di Troia di Castel del Monte

di Claudio Mollo............................................................. pag. 28

di Antonietta Mazzeo....................................................... pag. 88

Prodotti Eccellenti

EVO - L’olio extravergine di oliva

Pentole Agnelli

L’oro della Puglia

di Jerry Bortolan.............................................................. pag. 32

di Antonietta Mazzeo....................................................... pag. 94

I lievitati di Giovanni Cova e Borsari di Francesca Antonucci.................................................... pag. 36


EDITORIALE di

Elsa Mazzolini

POSTE SENZA RISPOSTE Lo confermano gli studi statistici: negli italiani sono aumentati di recente la litigiosità, l’anarchico individualismo, la sfiducia nel prossimo, nello Stato, nel futuro. Io aggiungerei, anche, l’assenza di senso del dovere, di onestà, di propensione al lavoro. Ho ragioni, nel mio caso specifico, di ritenere inefficiente il servizio di recapito da parte delle nostre Poste: da anni lamentiamo presso gli uffici “competenti” la mancata consegna de “La Madia” a una serie di indirizzi. Sui giornali resi compaiono motivazioni paradossali tipo “sconosciuto” scritto sull’indirizzo del ristorante Cracco a Milano, tanto per fare la cronaca dell’impossibile. Nell’ottobre scorso lo scandaloso disservizio delle Poste Italiane ha raggiunto il suo apice quando a Bologna La Madia non è stata recapitata affatto. Alle nostre richieste di spiegazioni, una funzionaria ha risposto “beh, sapete come sono i nostri postini” e, addirittura, una capo servizio ci ha invitati a spedire i giornali mediante raccomandata con ricevuta di ritorno (enne volte il costo della nostra abituale spedizione in posta target). Specifico che paghiamo ogni mese in anticipo il servizio richiesto e proposto dalle Poste stesse e che poi siamo ostaggio di una struttura che prende soldi buoni e ricambia con servizi pessimi, che danneggia vistosamente il nostro lavoro e che non risponde poi dei danni causati, come troppo spesso fanno certi farraginosi apparati pubblico/privati. Non avrei scritto questo editoriale per parlare dei “fatti miei” se non fosse che questi sono fatti comuni a tanti italiani spesso arrabbiati come noi, più spesso ancora ormai rassegnati all’andazzo generale.

ME


LA SCELTA VEGANA

a cura di

Silvia Bianco testimonial di cucina vegana

IL CALEIDOSCOPIO DI COLORI E SAPORI NEI

PIATTI VEGANI DELLA MALESIA La Malesia è stata classificata come la terza nazione più vegan-friendly al mondo, sebbene la maggior parte dei suoi piatti della tradizione siano a base di carne. Fino a qualche tempo fa, in Malesia, l’alimentazione plant based veniva associata a induisti e buddisti, ma grazie anche al movimento virale dei social media, sempre più persone malesi, anche chi è di religione musulmana, si stanno orientando verso lo stile di vita vegan. In effetti, nel corso degli ultimi 3 anni c’è stato un forte cambiamento tra la popolazione malese ed in particolare a Kuala Lumpur. Molti hanno iniziato essere più coscienti del loro impatto ambientale, così come in molti stanno approcciando sempre più un’alimentazione 100% vegetale. Sicuramente la presenza di più gruppi etnici vegetariani per tradizione sta facilitando il cammino verso questa direzione. Se da sempre a Kuala Lumpur sono presenti ristoranti cinesi vegetariani, oggi è ancor più facile trovare locali che offrono una cucina unicamente vegana. Nel mio ultimo recente viaggio ho potuto far visita ad alcuni di essi e le mie aspettative non sono state affatto deluse.

SIMPLE LIFE Simple Life è una piccola catena di ristoranti vegetariani che ha come valore fondamentale la sana alimentazione. Quello che era iniziato come un piccolo chiosco a Malacca (Melaka) nella costa sud occidentale della Malesia, già nel nel 1992, si è pian piano evoluto in 9 punti vendita, tutti a Kuala Lumpur e per la maggior parte situati nei più grossi centri commerciali. I locali sono ampi, luminosi, l’arredamento in toni chiari viene rallegrato dalla presenza di alberi e piante stilizzati e declinato in varie tonalità di verde. l cibo di Simple Life viene preparato con estrema cura senza usare glutammato monosodico, senza grassi trans, senza coloranti e senza conservanti, oltre ad essere a basso contenuto di zucchero, ricco di fibre, povero di sale e povero di olio. Tutto è vegetariano e i piatti contenenti uova sono chiaramente identificati come tali nel menu, mentre i piatti contenenti prodotti lattiero-caseari non lo sono, ma lo staff è molto disponibile ad aiutare nella selezione delle opzioni vegane ed eventualmente a proporre delle sostituzioni di ingredienti nei piatti vegetariani. Il cibo è tutto estremamente fresco e genuino, con grandi porzioni che rappresentano un ottimo rapporto qualità-prezzo, anche per-

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LASCELTAVEGANA

ché alcuni portate sono abbastanza generose da poter essere condivise. Da Simple Life trovate una gamma interessante di cibo vegetariano e vegano panasiatico: piatti della cucina malese, cinese, occidentale e giapponese. Per accompagnare i piatti si possono scegliere succhi freschi, acque detox aromatizzate con frutta, oppure optare per dei deliziosi tè alla frutta tiepidi, serviti in infusore di vetro con pressa alla francese, ottimo il tè alla pesca e frutto della passione con fettine di arancia, frutto della passione, ananas, anguria e mela. Come antipasto in stile Giapponese, ci sono degli squisitissimi involtini di alghe, che in apparenza potrebbero ricordare i california rolls in pieno stile sushi, ma il ripieno altro non è costituito da striscioline di carote, cetrioli, germogli e sfilaccetti di soia croccanti accompagnati da una maionese di soia al wasabi. Come piatto principale consiglio il “Lei Cha” è una specialità tradizionale della tradizione Hakka, Simple Life lo propone presentando al tavolo un vassoio, con una larga ciotola di riso multicereali, attorniata da piccole ramequins, ciascuna contenente un ingrediente: noccioline, verdure sottaceto e fresche, tofu e una brocca in ghisa piena di brodo a base di erbe e menta. La tradizione vuole che ogni ingrediente delle ciotoline venga versato nella ciotola più grande contenente il riso ed infine si procede ad irrorare tutto con il brodo alle erbe. Una volta mescolato, la presentazione perde un po’ del suo fascino, ma ha un sapore gustoso al contempo salutare e nutriente, rallegrato dalla croccantezza delle noccioline. Altro primo piatto da non perdere sono gli Udon noodles fritti al pepe nero, (e di pepe ce n’è davvero tanto! )sono davvero appaganti, vengono serviti al dente, saltati con diverse tipologie di funghi asiatici, peperoni gialli, cavolo e bittergourd (ovvero “Momordica charantia”, in italiano nota come zucca amara, il cui aspetto ricorda quello di una zucchina o un cetriolo con delle piccole protuberanze lungo tutta la sua buccia, fa parte della famiglia delle Cucurbitacee, ha un sapore amaro, molto utilizzata anche in Ayurveda perché pare essere fortemente disintossicante e favorisce il controllo degli zuccheri nel sangue). Tra i secondi non dovete perdere il tofu fritto in salsa Thai, servito su un vassoio rettangolare, questi triangoli di tofu sono una delizia: soffici e morbidi come un cuscino, dalla consistenza simile a quella di un marshmellow, ma croccanti all’esterno. Questo piatto convertirebbe qualsiasi detrattore del tofu. Infine il Fruit Rojak è un’insalata tradizionale di frutta e verdura della tradizione Malese, Singaporeana e Indonesiana. Normalmente viene servita come antipasto, ma nulla vi vieta di ordinarla alla fine del pasto, soprattutto se ordinate la versione senza verdure. È un’esplosione di sapori e consistenze: un po‘ dolce, un po’ piccante, un po‘ aspra, gli ingredienti principali sono cetrioli, jicama, ananas, mango e papaya acerbi, mela tipo Granny Smith, pelati e tagliati a tocchetti e/o a fettine sottili, a cui vengono aggiunti una manciata di spinacino e germogli e cubetti

di tofu fritto. Il tutto condito da una salsa a base di succo di lime, zucchero di cocco, peperoncino in polvere, semi di sesamo e arachidi ridotte a farina grossolana e tostate (attenzione che tra gli ingredienti della tradizione alcuni utilizzano la salsa hoisin!!!).

WATERLILY E’ modesto ristorante vegetariano adatto per un pranzo veloce ed economico; propone delle ottime versioni vegetali della cucina tipica malese e cinese. Il personale è molto cordiale e disponibile. Di base serve un paio di menu fissi per il pranzo composti da riso, verdure e tofu/tempeh/seitan e una bevanda. Tra i piatti da non perdere: gli spiedini di soia con salsa satay, le “costine” di seitan accompagnati con marmellate ed il laksa una zuppa di verdure e noodles in latte di cocco piccante.

DE HEALTH PARADISE ORGANIC E’ un ristorantino con annesso un piccolo negozio di alimenti naturali. Gli ingredienti sono tutti biologici, genuini e di provenienza locale come i germogli e le verdure crude presenti in abbondanza nei loro piatti. Il menu è quasi completamente vegano, ci sono un paio di piatti a base di pesce e pollo, ma vengono chiaramente indicati; non utilizzano cipolla e aglio. Tra i piatti vegani degni di nota: il tofu alla zucca con mango verde e carotine sottaceto condito con una salsa di sesamo e funghi, il rojak di frutta fresco e croccante ed un ottimo curry laksa (con latte di soia anziché cocco) servito con bevande disintossicanti artigianali a base di aceto di mele e tè.

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LA SCELTA VEGANA

DHARMA REALM GUAN YIN SAGELY MONASTERY Una gemma che infonde calma e benessere nelle vicinanze della caotica area delle imponenti Petronas Towers. Questo locale è una mensa a buffet in stile caffetteria, sito all’interno dell’edificio di un tempio buddista. Il ricavato va infatti in offerta ai monaci per il sostentamento delle loro attività in monastero. Esiste un’infinità di opzioni, distribuite sui vari banconi che offrono più di 50 varietà di piatti vegani, tra cui primi piatti, alternative alla carne, zuppe, curry, noodles. buns (fagottini cotti al vapore sia in versione salata che dolce), involtini, gnocchetti, etc.. Talvolta ci si trova anche un po’ spiazzati nel non sapere davvero cosa scegliere di fronte a tanta varietà. C’è un po’ di tutto e per tutti ed è impossibile uscire affamati. Un piatto colmo costa meno di RM 20 (poco più di € 4).

NATURE’S VEGETARIAN RESTAURANT Ristorante cinese vegetariano specializzato in dim-sum vegani e vegetariani e pasta fatta in casa. Non hanno un menu separato per i vegani, ma lo staff è disponibile ad identificare quali sono i piatti che contengono latticini e/o uova. Da non perdere sono le infinite varietà di ravioli al vapore e grigliati con varianti di verdure e tofu; le radici di loto fritte; il rotolo di funghi Enoki croccanti con salsa chilli artigianale (mix piccante e dolce) ed infine le melanzane piccanti al basilico thai.

WTF Acronimo di What Tasty Food (foto qui sotto), il ristorante WTF è uno dei migliori ristoranti vegetariani indiani situato nella rinomata area di Bangsar, nel cuore di Kuala Lumpur. E’ nato dall’idea di tre amici vegetariani di origini indiane che, avendo vissuto in Malesia la maggior parte della loro vita, spesso ebbero difficoltà nello spiegare agli chef dei ristoranti che frequentavano, quali ingredienti potevano inserire nei loro piatti. Il ristorante What Tasty Food ha aperto i battenti alla fine del 2012 e propone un’ampia varietà di piatti autentici dall’India del nord all’Indian Street Food, dalle specialità malesi ai piatti indo-cinesi. Non utilizzano glutammato monosodico o altri additivi, il pane come

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i buns al vapore e tutti i tipi di naan è fresco, artigianale e senza conservanti. Da non perdere il tandoori di broccoli; le polpette vegetali indocinesi (manchurian) croccanti e fragranti in salsa chilli con zenzero ed aglio; i Momos fritti, “gnocchi” nepalesi di pasta tirata a mano, con ripieno di carote, spinaci, broccoli, fagiolini e cavolo, accompagnati da una salsa a base di soia, chilli , aceto ed aglio; i Pani puri, ovvero sfere croccanti a base di semolina, accompagnate da un trito di patate, ceci marroni, peperoncino e fagiolini e conditi con salsa di tamarindo e dattero ed una salsina di menta, coriandolo e limone.

LN FORTUNATE COFFEE LN sta per Loving Nature proprio perché lo spirito di questo locale è la passione per tutto ciò che è naturale e niente è più naturale della vita stessa. La vita è un dono prezioso e per vivere pienamente bisogna gioire delle semplici cose che Madre Terra offre, come il cibo che mangiamo e le bevande che beviamo. “Fortunate” è riferito al sentirsi fortunati per tutto ciò che Madre Terra ha donato sin dalle origini. LN Fortunate Coffee, apre nel 2015 ed è tra i primi locali 100% vegan in Malesia, oggi ha una sede a Kuala Lumpur ed una a Selangor. L’atmosfera del locale è rilas-


LASCELTAVEGANA

sata, accompagnata da musica leggera ed altrettanto rasserenante. E’una caffetteria totalmente vegetale con diverse specialità di caffè tostate in loco ed al contempo offre cibo e bevande salutari con ingredienti naturali, sani. Tutto ciò che è nel menu è artigianale, in particolare il pane e la pizza sono a lievitazione naturale, con fermentazione della pasta di almeno 18 ore; non utilizzano additivi e conservanti, gli ingredienti sono freschi e nel limite del possibile biologici e a Km zero. LN Fortunate Coffee serve un buon numero di piatti sia della tradizione asiatica che occidentale. Assolutamente da provare sono la zuppa di miso con soba noodles arricchita con mais, funghi, verdure ed alghe; la “Classic Soup Delight” è una tradizionale zuppa di erbe in stile cinese con un tris di funghi: eryngii, enoki e shitake, verdure ed erbe digestive e cubetti di tofu. La zuppa è accompagnata da una ciotola di riso integrale e pane a lievitazione naturale. Il Nasi Lemak, piatto tradizionale a base di riso, in questo caso integrale, cotto nel latte di cocco ed arricchito da un sambal dolce e piccante, tempeh saltato ed arachidi; il sandwich multicereale a lievitazione naturale con tempeh grigliato e salsa di tahin e senape, leggero ma al contempo gustoso. LN offre una varietà di ciambelle e torte vegane, tutte molto buone così come ottimi sono i waffle ai fagioli neri con gelato al cioccolato fondente, oppure il classico waffle con gelato al matcha, mirtilli freschi e panna montata.

SALA Aperto da quasi 2 anni, Sala nasce per merito del suo giovane fondatore nonché Chef, Fauzi Hussein. Fauzi ha scelto di diventare vegano più di 6 anni fa, una scelta di consapevolezza ed un modo per dare voce agli animali, affinché possano coesistere nel mondo in libertà e senza sofferenza. Sala è infatti acronimo di “SAlvar a Los Animales”. L’ambiente del locale è accomodante ed accogliente e l’atmosfera rilassata ed allegra. Il ristorante con cucina ibrida, serve specialità messicane e malesi e soddisfa la richiesta gastronomica locale per il cibo Tex-Mex vegano, attirando un flusso costante di clienti ogni giorno. I loro bestseller sono i Burrito ai funghi, composti da una tortilla artigianale, con funghi marinati in spezie messicane, chilli di fagioli neri, tempeh grigliato, coriandolo, lime, riso integrale, insalata ed una salsa di habanero con chipotle (peperoncino affumicato messicano) e pomodoro arrostito. Innovativo il Taco di jackfruit grigliato con jalapeno speziato, panna acida veg e salsa pico de gallo, una salsa piccante e pungente della tradizione messicana che contrasta il dolce del jackfuit, conferendo carattere al piatto. Tra le proposte fusion, troviamo il Nasi Lemak Burrito con rendang di funghi Hericium (il Rendang è un metodo di cottura molto lenta e lunga sino a quasi completo assorbimento ed evaporazione dei liquidi – una sorta di nostro ragù “ristretto”, ma con spezie tipiche malesi); oppure la tortilla

artigianale farcita con falafel di ceci (su richiesta vengono cotti in friggitrice ad aria), hummus, insalata di cavolo con maionese veg, tahini, salsa Harissa, e lattuga. Dal menu asiatico troviamo un otttimo curry laksa con mee hoon (vermicelli di riso) ed il nasi lemak con riso cotto nel latte di cocco, accompagnato da due varietà di salsa sambal piccante, fette di temeph marinate e grigliate, funghi Hericium fritti ed arachidi, decisamente un piatto appagante e gustoso. Tra i dolci ottime le loro torte, come quella al limone, oppure i brownie al burro di arachidi e cioccolato serviti con gelato vegan di una gelateria locale interamente vegetale (Kelava) e la baklava in versione 100% vegetale.

LA ZAT Di recentissima apertura (Ottobre 2018), è il primo ristorante di Kuala Lumpur che serve unicamente cucina autentica malese 100% vegetale. Da La Zat si trovano piatti vegani tradizionali come il Rendang, l’Asam Pedas, etc che sono solitamente a base di carne e pesce, ma che La Zat intrepreta in chiave vegana e lo fa in maniera eccezionale! La Zat sostiene una politica orientata alla salvaguardia dell’ambiente e per questo utilizza imballaggi biodegradabili, anziché in plastica, per il loro take away. Inoltre promuove la cultura “BYOBAC2 (Bring Your Own Bag And Container): tutti i clienti che portano con sé la loro borsa e contenitore per portare via il cibo otterranno uno sconto. Un’idea intelligente che contribuisce alla riduzione dell’utilizzo della plastica, nonché alla sua dispersione nell’ambiente. Tra i must try troviamo il “Chicken” satay, spiedini di soia, morbidi all’interno e croccanti all’esterno; il Jackfruit satay ovvero spiedini di jackfruit in marinatura satay e poi grigliati accompagnata

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LA SCELTA VEGANA

da una gustosissima salsa di arachidi piccante, un’ottima e squisita alternativa a chi non vuole mangiare soia. Tra i piatti speciali della tradizione abbiamo: Otak-otak è un tortino, originariamente a base di pesce cotto e servito in foglie di banano, qui viene reinterpretato con le patate dolci, una salsa pungente al lemongrass ed accompagnato da riso al cocco. Il Rendang di funghi, piatto ideale per gli amanti dello speziato e piccante, è uno dei piatti principali della tradizione malese e questa versione vegetale è da non perdere! Lemak lodeh, altro piatto della tradizione malese, più adatto a chi non ama i gusti piccanti. A base di latte di cocco, tofu, carote, fagiolini e mais, alcune ricette tradizionali prevedono l’utilizzo della pasta di gamberi e/o del brodo di pollo, per il resto il piatto è completamente vegetale e l’omissione di questi due ingredienti non priva questa specialità della sua bontà. Tra i musttry c’è infine il Sambal goreng a base di tofu e tempeh fritti, con fagiolini, tamarindo, galangal in salsa piccantissima. Come per il Lemak Lodeh, la tradizione del Sambal goreng richiede l’aggiunta di mezzo cucchiaino di pasta di gamberi, ma l’assenza di quest’ultimo ingrediente, non si fa affatto sentire.

Silvia e gli esperti rispondono... I miei figli mangiano tanti formaggi e vorrei che iniziassero a consumarne di meno ma in realtà non conosco sostituti che possano fare al caso mio. Berenice - Lodi In commercio ci sono diversi sostituti vegetali del formaggio. Alcuni di essi sono a base di frutta secca, in particolar modo di anacardi, mandorle e noci di macadamia che vengono uniti ad acqua e probiotici, oppure vengono fatti fermentare con rejuvelac. Altre categorie di formaggi vegetali sono a base di amidi e olio di cocco. I primi a base di frutta secca sono sicuramente i più completi dal punto di vista nutrizionale perché apportano proteine, acidi grassi buoni e minerali, mentre i secondi sono per lo più costituiti da grassi. Se si vuole optare per una scelta più salutare, i formaggi vegetali a base di frutta secca sono da preferire, soprattutto se si decide di consumarli con una certa frequenza, ma nulla vieta di consumare i formaggi vegetali a base di amidi e olio di cocco se si fa un consumo moderato ed in quantità ridotte rispetto ai primi (ad esempio vanno bene per condirci la pizza, o grattuggiarli sulla pasta visto che le quantità necessarie sono minime). Di entrambi si trovano dei buoni prodotti non solo nei negozi specializzati, ma anche nella grande distribuzione e soprattutto online, si trovano molti produttori artigianali italiani. Inviate le vostre domande a: lamadia@lamadia.com

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Chef Claudio Di Dio - Ristorante Bistrò Bio - Milano

TAGLIATELLE AL NERO su crema di topinambur, caviale di kiwi e scaglie di tartufo

INGREDIENTI Per le tagliatelle: g. 60 di pasta di seitan (200 di farina di manitoba, g. 70 di acqua fredda), g. 160 di farina di frumento tipo 1 semi integrale, g. 40 di semola di grano duro, g. 15 di sale fino, g. 10 di carbone vegetale. Per il caviale di kiwi: 2 kiwi morbidi, g. 4 di agar agar, g. 300 di olio di girasole per formare il caviale. Per la crema di topinambur e tartufo: g. 500 di topinambur, g. 30 di tartufo nero, cl. 2 di olio evo, g. 6 di sale. Strumenti: 1 siringa senza ago da ml. 5, 1 setaccio a maglie piccole. PROCEDIMENTO Per le tagliatelle: impastare la farina di manitoba con l’acqua fino ad ottenere una palla liscia. Immergerla in acqua tiepida e lasciare riposare per 1 ora. Lavare l’impasto sotto un getto di acqua fredda eliminando tutto l’amido e lasciando solo la proteina di glutine. L’acqua, dapprima bianca, deve essere sempre più trasparente. Mettere in un frullatore la pasta di seitan e tutti gli altri ingredienti. Frullare fino a quando l’impasto non si amalgama e diventa lavorabile a mano. Stendere la pasta con un mattarello o con la macchinetta fino ad ottenere uno spessore di 4/5 millimetri, dopodiché tagliarlo a strisce, creando dei nidi. Infarinare leggermente i nidi per poi poterli cuocere. Mondare le radici di topinambur togliendo la buccia e tagliarle a pezzetti piccoli ed uguali. Porle in un pentolino con acqua e limone e lasciare cuocere per 20 minuti fino a quando saranno morbidi. Frullare le radici cotte aggiungendo il sale, l’olio e le scaglie di tartufo (tenere da parte un po’ di tartufo per decorare). La crema va servita tiepida. Mettere subito in freezer l’olio di girasole in un contenitore stretto e alto. Pulire i kiwi e tagliarli a pezzettini piccoli, dopo mettere i pezzettini in un pentolino con un po’ di acqua e cuocere a fuoco basso fino a che il kiwi non si sarà ammorbidito, poi con un minipimer frullare e setacciare il composto per togliere i semini. Rimettere il liquido con il kiwi sul fuoco e aggiungere l’agar agar aiutandosi con una frusta. Portare a bollore e poi togliere dal fuoco. Ora togliere l’olio dal freezer, riempire la siringa con il liquido e farci cadere dentro delle gocce che formeranno delle sfere e si depositeranno sul fondo. Una volta finito il liquido, prendere una ciotola e un colino e scolare il caviale di kiwi. Lasciare le sfere nel colino per 30 minuti prima di utilizzarle così da eliminare tutto l’olio. Cuocere le tagliatelle in acqua salata per qualche minuto, saltarle in padella con la crema di topinambur e poi impiattare. Aggiungere il caviale di kiwi e le scaglie di tartufo.



IL MENU ENGINEERING

a cura di Lorenzo Ferrari Direttore Marketing di RistoratoreTop

IL MENU DA ESTERNO COME STRUMENTO DI MARKETING

Se dall’altra parte del testo c’è un ristoratore o un imprenditore nel campo della ristorazione, sicuramente avrà vissuto una scena simile a questa: un potenziale cliente, arrivato di fronte all’ingresso del locale decide, prima di valicare l’entrata, di leggere il menu posto all’esterno del locale stesso. Dopo qualche – interminabile – secondo di attenta lettura, qualche tentennamento, qualche segnale di interesse e qualche occhiata fugace all’interno, sbirciando la sala e incrociando il nostro sguardo, decide di girare i tacchi e volgere la sua attenzione, il suo palato e – ahinoi – il suo portafogli altrove. Questo fenomeno, nell’esperienza di chi scrive, può essere addebitabile a due problemi: 1) Un problema di “contenuto”. Il cliente, leggendo l’offerta enogastronomica riportata sul menu, non ha trovato ciò che stava cercando (un esperto di marketing lo definirebbe come “un cliente non in target”) e quindi decide di passare oltre. 2) Un problema di “forma”. Il menu, seppur contenesse ciò che il cliente cercava, per via della “forma” con la quale è stato presentato non è stato in grado di far combaciare all’esigenza del cliente la soluzione, e pertanto ne ha decretato la non acquisizione. Sebbene il concetto sia contro-intuitivo, il menu da esterno e quello da interno dovrebbero essere progettati e realizzati in due modi differenti tra loro, per assurgere a funzioni altrettanto differenti. L’errore che spesso si compie è quello di pensarli come intercambiabili, come strumenti fotocopia. Invece, contrariamente a quanto si pensi, il menu da esterno svolge una funzione differente rispetto al menu interno, e pertanto vanno ideati in modo differente. Il menu da esterno non è infatti un semplice listino prezzi (come non lo è quello da interno, come molti dei lettori che seguono questa rubrica sapranno già) ma deve essere pensato per realizzare due obiettivi: a) Acquisire clienti in target. Questo lo si fa presentando la propria attività e rassicurando il cliente in target sul fatto che siamo la scelta preferenziale per lui. b) Disincentivare l’acquisizione di clienti non in target, cioè presentando anche tutte quelle informazioni “scomode” che, se scoperte solo all’interno del locale, rappresenterebbero una fonte di imbarazzo e incom-

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prensione. Uno dei temi più importanti riguarda sicuramente i prezzi: se non sono proprio popolari, è bene che si sappia prima dell’ingresso, pena ritrovarsi, un cliente imbarazzato per non potersi permettere l’esperienza proposta prima, e un cliente arrabbiato e facilmente vendicativo su internet dopo. Si noti come l’acquisizione dei clienti in target e la non acquisizione di quelli non in target siano due funzioni ugualmente importanti. In questo senso definiamo il menu da esterno come uno “strumento di marketing”, cioè uno strumento il cui scopo è quello di presentare la propria attività come differente e rilevante rispetto alla concorrenza, rassicurare il cliente in target sul fatto che la propria attività rappresenti per lui la scelta preferenziale e infine presentare l’offerta enogastronomica (si badi che quest’ultima funzione è subordinata alle prima due, almeno nel menu da esterno). A differenza del menu da interno, che definiamo uno “strumento di vendita”, il cui scopo è in primo luogo presentare nei dettagli i piatti proposti e orientare la scelta dei clienti su quelli più profittevoli, più popolari e più semplici da preparare e servire. Per quanto riguarda il menu da esterno, il consiglio è di strutturarlo in due grandi metà: 1) La prima, visuale, quindi illustrativa o fotografica, per donare immediatezza e per fornire a chi consulta il menu un’idea chiara e immediata di ciò che si dovrà aspettare una volta varcata la soglia d’ingresso. Chi scrive sente già i primi lamenti del lettore. Sì, le fotografie o le illustrazioni si portano appresso una percezione di “basso livello” e di estrema accessibilità. Questo è vero solo quando le illustrazioni o le fotografie non sono realizzate in modo impeccabile e coerente con la propria identità. Se lo sono, invece, esse valgono realmente più di mille parole: il loro contributo diventa fondamentale. Il consiglio è quello di presentare i migliori piatti del menu, quelli più rappresentativi, popolari e iconici. Questi aiuteranno gli indecisi a scegliere, i non convinti a convincersi, i dubbiosi a darvi una possibilità. 2) La seconda, informativa, quindi testuale e numerica, che avrà la funzione di mostrare tutti i prezzi del menu, gli ingredienti dei piatti e le loro descrizioni, in modo da evitare brutte sorprese una volta al suo interno e da tenere fuori i clienti non in target. Buon Menu Engineering. Anche all’esterno!


a cura di

Furio Lottatori The Foodie Fighter thefoodiefighter.wordpress.com

BENVENUTI NEL FUTURO O NEL RISTORANTE CHE NON C’È

Non vi tragga in inganno il titolo. Non si tratta dell’ennesimo caso di locale fantasma meravigliosamente recensito su Tripadvisor, premiato dalle Guide ancorché in procinto di aprire, oppure morto e defunto a dispetto dei tentativi di prenotare da parte di clienti fin troppo informati. Il mondo della ristorazione che abbiamo quotidianamente sotto gli occhi, è in continua evoluzione su molteplici fronti, nell’intento di andare incontro a una clientela sempre più variegata ed esigente. L’evolversi dei tempi modifica anche il modo di mangiare delle persone: cambiano le abitudini e i modi in cui lavoriamo, ci divertiamo, persino abitiamo in funzione dei ritmi di vita. Il modo in cui ci nutriamo non fa eccezione: in un mondo in cui il tempo è sempre più denaro, quello speso per la preparazione del cibo assume per taluni un valore differente rispetto a prima, al punto da preferire il cibo proveniente da fuori a quello casalingo, fosse anche il drammatico pronto in 5’ al microonde. Già nel 2017 era stato il Wall Street Journal a prevedere un’impennata nel settore dei ristoranti virtuali, un fenomeno esploso negli ultimi anni, supportato dallo sviluppo di specifiche app dedicate al food delivery, che se da un lato sfrutta la comodità di fruizione da parte dell’utente, dall’altro beneficia dell’abbattimento dei costi in quanto tali imprese non necessitano più né di spazi né di persone dedicate alla somministrazione in loco, le cui voci di spesa vengono rimpiazzate dalle tariffe per le consegne a domicilio. Non più “ristorante”, quindi, ma solo una cucina del tutto tra-

sparente all’utente finale, gestita nella modalità più conveniente, al limite anche una sotto-cucina, una linea apposita dedicata alla cucina etnica allestita all’interno di un ristorante di cucina tradizionale che, mentre distribuisce in sala tagliatelle, tortellini e brasati, manda via fajtas e tacos in bicicletta a dorso di runner dalla porta di servizio. Ulteriore vantaggio del sistema, manco a dirlo, la maledttissima profilazione e conseguente targetizzazione della clientela: i dati raccolti dalle diverse aziende che smistano gli ordini possono essere catalogati, classificati e naturalmente venduti ai committenti, che possono così modificare la propria offerta in funzione dei gusti del pubblico: una sorta di Grande Fratello Gourmet in grado di accondiscendere a qualsiasi languore, financo proporvi all’ora esatta, sul vostro canale social preferito, di ordinare quella ciotola di ramen di cui avevate proprio bisogno. Fantascienza? Forse. Nessuno ha intenzione di decretare la morte dei ristoranti, ma è indubbio che a fronte di un pubblico generalista la cui passione per la cucina applicata è sempre più catodica e sempre meno reale, di modelli di vita privata sempre più ristretti dentro le proprie quattro mura e le proprie quattro ore di tempo libero giornaliere disponibili, quella della Ristorazione Virtuale sarà probabilmente una delle sfide con cui dovranno confrontarsi gli attuali imprenditori del settore. E se ci siamo preoccupati fino a questo momento dei riconoscimenti a Street Food e Pizzerie, possiamo cominciare già a porci la prossime domanda: “A quando il primo ristorante Bici-Stellato ?”

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GOLAVAGANDO

LA TRADIZIONE EMILIANA

AL PIFFERAIO MAGICO TROVA UNA NUOVA E FRESCA ELEGANZA di

Antonietta Mazzeo foto di Niko Boi

C’era una volta... in via Montanara a Sassuolo (MO) un imponente complesso che qualche anno fa avrebbe potuto essere o abbattuto oppure riqualificato, con un progetto architettonico che ne esaltasse ancora una volta il valore. Che qui ci dovesse essere, come c’è sempre stato, un ristorante punto di riferimento per la zona e per Sassuolo, era ben chiaro alla famiglia Pifferi. Dopo una lunga attività di recupero urbano e rivalutazione dell’area, è stata realizzata una piacevolissima struttura, in equilibrio tra comfort, accoglienza e tradizione, ambientata su più piani, con ampie sale, ideali per pranzi e cene, incontri aziendali e convention, ma dove non mancano i privè per incontri più riservati o “romantici”. Da sempre punto di riferimento gastronomico di Sassuolo, al Ristorante Al Pifferaio Magico i sapori tradizionali, nel rispetto della cultura gastronomica emiliana, si coniugano con l’attenzione per qualità delle materie, selezionate per la loro genuinità e provenienti da aziende che fanno parte della struttura, come il Caseificio Matricola 300, e di artigiani del territorio, rigorosamente selezionati fra

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GOLAVAGANDO

RISO

mandorle e coriandoli di guanciale Per la zucca: tagliare a cubetti la zucca

di olio e 50 grammi di parmigiano. Passa-

forno con burro e sale fino a quando non

Cuocerla in padella con 200 grammi di

Per i coriandoli: tagliare il guanciale a

Per il riso: tostare il riso Carnaroli, sfu-

dopo averla pelata.

burro, 50 grammi di salvia, 30 grammi di

timo, 20 grammi di alloro, 20 grammi di

rosmarino e mezza testa di aglio. Una volta cotta, frullare e aggiungere 100 grammi

re allo chinois.

cubetti molto fini, cuocere in abbondante olio d’oliva fino a quando la perla di grasso non brillerà. Scolare ed asciugare.

Per le mandorle: tostare le mandorle al

saranno brune.

mare con vino bianco e iniziare la cottura

con brodo. Aggiungere la crema di zucca a metà cottura. A un minuto dalla fine togliere dal fuoco e mantecare.

GAMBERO E CAPASANTA SCOTTATA

crema di pomodorino giallo, patè di olive di Taggia, kiwi e cipolla croccante Per il pomodorino giallo: rosolare dolce-

Per la cipolla croccante di Tropea: affet-

mi di burro, aggiungere i pomodorini gialli

zione di 1 litro di acqua, 50 grammi

mente 6 scalogni a julienne con 100 gram-

lavati e cuocere lentamente fino a quando

non si saranno sfaldati. Frullare e passare allo chinois. Aggiustare di sale e acidità.

Per il patè: frullare 100 grammi di olive

di Taggia a lungo fino a quando non avrà una consistenza cremosa e passare al setaccio.

tare la cipolla, immergere in una soludi sale e 50 grammi di zucchero. Portare a bollore.

Stendere su carta da forno e mettere in forno a seccare per

6 ore a 55°C. Per finire, scot-

tare il gambero e la capasanta su una padella rovente e impiattare.

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GOLAVAGANDO

u n a ristretta cerchia di “produttori amici”. Gabriele Coppi, classe ’95, è il giovane e dinamico chef del Pifferaio Magico; le sue preparazioni strettamente legate al territorio seguono la stagionalità dei prodotti e dialogano tra antico e moderno. Accostamento creativi, ma mai azzardati, si fondono armoniosamente e convivono con un’eleganza: un piccolo viaggio sensoriale tra i piatti di matrice tradizionale, noti e meno noti, rielaborati con un gusto. Le preparazioni di Gabriele si traducono vita in sala con le parole di Isabella Melis e di Emma Pellegrino, per cercare di trasmettere emozioni agli ospiti, gratificati da servizio attento e professionale e da un sempre adeguato abbinamento dei vini. La carta, pensata e ricercata, offre un’ampia scelta tra etichette regionali e piccole scoperte locali, abbinate a proposte enologiche nazionali di riferimento. Nato dalla passione di una famiglia per il “mangiare e bere bene” il Pifferaio Magico, delizioso ed elegante, offre una piacevole esperienza enogastronomica, per scoprire come un modello antico sia più che mai attuale, non solo per le ricette proposte ma anche per il contesto... magico! AL PIFFERAIO MAGICO

Via Montanara, 154 - 41049 Sassuolo (MO) - Tel. 0536 582232 www.alpifferaiomagico.it - info@alpifferaiomagico.it

POLPO Per la crema di patate: g. 200 di patate

Per il pomodorino confit: sbollentare i

Una volta ottenuti tutti gli elementi che

pepe. Lavare, pelare e tagliare le patate a

no per 4 ore conditi con sale, zucchero a

papasta tondo, mettere due cucchiai di

di Montese, 6 scalogni, g. 50 di olio, sale,

julienne. Rosolare gli scalogni con olio e aggiungere le patate. Rosolare. Aggiungere acqua a copertura.

Lasciar cuocere a fuoco molto lento. Ag-

giustare di sapore. Frullare e passare allo chinois.

Per il polpo: mettere il polpo sottovuoto

con una carota, mezzo gambo di sedano,

1 falda di cipolla, sale, 3 grani di pepe. Cuocere sottovuoto per 8 ore a 82.5°C; per ultimo scottare.

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pomodorini lavati e pelarli. Metterli in for-

velo, olio, timo, salvia, maggiorana, aglio, scorza di limone, scorza di arancia.

Per le olive marinate: marinare le olive in olio di oliva con un bouquet garni.

Per il sedano croccante: tagliare molto sottile un gambo di sedano per la sua lunghezza. Immergere in acqua e ghiaccio e acido citrico.

comporranno il piatto, disporvi un copcrema di patate.

Appoggiare sopra il polpo cotto a bassa

temperatura e successivamente scottato, due olive marinate, un pomodorino Confit e i riccioli di sedano croccante.

Togliere il coppapasta e servire.


ASSAGGIO DI

LIBRI a cura di Giorgia Zucchi

HAMBURGER DEGLI CHEF

IN CUCINA IL GRANDE LIBRO DELLA CUCINA ITALIANA

Tutto quello che hai sempre voluto sapere sugli hamburger. Quale taglio di carne produce i risultati migliori? Quale misura dovrebbe avere la trafila per il macinato? Perché tostare il panino? Come abbinare le salse? Si può cuocere in sottovuoto? Un contorno per chi non vuole le patatine? In questo volumetto abbiamo tutte le risposte e altre ancora, perché l’universo dei burger è in continua espansione. Dal cinghiale all’ostrica, dalla lenticchia alla faraona.

di Stefano Masanti e Stefano Ciabarri Editore Bibliotheca Culinaria - 136 pagine - Euro 24,00

Scritto da un’italiana che solo dopo il proprio trasferimento a Parigi ha scoperto l’amore profondo per Napoli e per la cucina italiana. E sono proprio gli occhi di una “espatriata” a coglierne con maggiore pregnanza i valori, i riti, le straordinarie prerogative. “Più cucinavo, più avevo voglia di cucinare e di conoscere, più conoscevo, più avevo voglia di far conoscere”, asserisce l’autrice. Prende vita così questo sostanzioso tomo ricco di belle foto, centinaia di ricette, di consigli, di varianti. Un appassionato e gustoso inno alle nostre migliori tradizioni.

di Alba Pezone - Giunti Editore - 420 pagine - Euro 35,00

LA CUCINA DEI FIORI RICETTE DOLCI E SALATE

BARTENDER A CASA TUA

Sono tanti i modi di utilizzare i fiori in cucina per trasformare anche le più semplici preparazioni in piatti d’effetto. 30 le varietà che Christine Legeret consiglia di trasformare in ingredienti chiave. 45 le ricette dolci e salate. Dall’antipasto al dolce e con suggerimenti anche per cocktail, smoothie, sorbetti e ghiaccioli, questo libro è un delicato viaggio nella cucina floreale ricco di avvolgenti profumi e colori sgargianti.

I trucchi e i segreti per preparare buoni cocktail a casa. Il volume è dedicato agli appassionati del bere miscelato, a chi da tempo ne coltiva personalmente l’arte, ma anche a chi non ha mai preso uno shaker in mano. “1/4 di manuale, 1/4 di educazione al bere, 1/4 di ricettario, 1/4 di racconti legati allo spiritoso (in tutti i sensi) mondo dei cocktail. Shakerate il tutto, aggiungete ghiaccio cristallino, e avrete un volume indispensabile per coltivare il piacere di prepararsi un drink da sé”.

di Christine Legeret - Editore Bibliotheca Culinaria 88 pagine - Euro 20,00

di Alessandro Ricci - I Libri de Il Golosario Edizioni Cairo / Comunica - 328 pagine - Euro 14,90

ENCOMIO DEL VINO Una piccola perla - a distanza di un millennio da quando l’autore, un intellettuale di Costantinopoli, lo scrisse - che ci riporta intatto il gusto e il piacere legato al vino, alla sua storia atavica e persino alle sue proprietà terapeutiche. Un piacevole concentrato di lodi riservate al primo dono che Dio fece agli uomini dopo il diluvio. di Michele Psello - Olschki Editore 2018 - cm. 12x17 - 24 pagine


GOLAVAGANDO

NEL TIROLO ORIENTALE

ADLER LOUNGE KALS SULLE ALTE VETTE, DOVE OSANO SOLO LE AQUILE fotoservizio di

Maria Chiara Zucchi

Il Grossglockner Resort è il più grande comprensorio sciistico del Tirolo Orientale, nel cuore del Parco Nazionale degli Alti Tauri, in una delle regioni d’alta montagna più integre e affascinanti dell’intera catena alpina. Lontano anni luce dalle classiche mete sciistiche, è l’ingresso bijoux a un’area incontaminata con oltre 110 km di piste e 16 impianti di risalita aperti fino al prossimo maggio, facil-

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ADLERLOUNGE

mente raggiungibile dall’Italia passando per la Val Pusteria. Punto di partenza per raggiungere il comprensorio è Kals am Grossglockner, un paesino letteralmente circondato dalle magnifiche montagne dell’estremità nord-orientale del Tirolo Orientale. Si dorme al Gradonna Mountain Resort Châlets & Hotel, una struttura dalle linee pulite ed essenziali,e nel pieno rispetto della natura tanto da essere stato premiato come “Europe’s Leading Green Resort 2015” dal Wall Street Journal e col Green Luxury Award nel 2013. In vetta al Cimaross, il punto più alto del carosello sciistico del comprensorio Grossglockner Resort Kals-Matrei, a ben a 2.621 metri s.l.m., si trova la spettacolare “Adler Lounge”. Spinoff del pluripremiato Gradonna, l’Adler Lounge è una costruzione futurista, dall’architettura innovativa, collegata direttamente alla stazione a monte della

funivia. Le immense vetrate della costruzione - 7 metri a tutta altezza - permettono una vista mozzafiato su oltre 60 cime e ghiacciai a 3000 m, tra cui i maestosi massicci del Großglockner e del Großvenediger. All’interno dell’Adler Lounge trovano spazio un ristorante gourmet e tre suite dotate di ogni comfort, compresa una piccola Spa privata (Euro 140 per persona a notte compresa la prima colazione). La cucina dello chef Walter Hartweger spazia da piatti della tradizione regionale a raffinate creazioni ricche di stile e fantasia. Qui l’esterno permea l’interno e si fonde in un abbraccio naturale creando uno spazio dove la montagna e l’architettura confluiscono in maniera armoniosa. A tutto ciò si aggiunge un pizzico di life style unito a solidi principi di ospitalità fondati sulla tradizione. Un luogo pensato per chiunque senta il desiderio di staccarsi dalla folla.

Adler significa aquila ed è proprio un’aquila stilizzata che domina il centro del rifugio.

ADLER LOUNGE Hausnummer 81

9981 Kals am Großglockner T. +43(0) 4876 / 8233-250

oppure +43(0) 650 / 5225180 www.adlerlounge.at info@adlerlounge.at

Lo chef Walter Hartweger

con la responsabile di sala Katharina Fiechtl

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GOLAVAGANDO

RISTORANTE LIBRA

A BOLOGNA IL RISTORANTE CHE UNISCE GUSTO E BENESSERE Il Ristorante LIBRA propone un’offerta culinaria che associa il piacere del palato al benessere dell’organismo, rispettando la tradizione italiana e facendola evolvere con il supporto della scienza nutrizionale. Ha inaugurato alla fine del 2017, nel cuore di Bologna, il Ristorante LIBRA, luogo dove vivere un’esperienza unica che coniuga il gusto e la varietà dei piatti della tradizionale italiana al benessere offerto dal bilanciamento nutrizionale delle ricette. Libra è una vera e propria novità nel panorama gastronomico bolognese e vede protagonista della sua offerta un menu realizzato secondo i più moderni principi della scienza della nutrizione: ogni piatto è stato studiato per esprimere al meglio le qualità benefiche degli alimenti con il giusto equilibrio fra le dosi degli ingredienti, con meno calorie, sale, zucchero e grassi. Tutte le ricette del menu sono certificate da Cucina Evolution e dalla Dott.ssa Chiara Manzi, nutrizionista, Presidente di ASSIC (Associazione per la Sicurezza Nutrizionale in Cucina) e fondatrice di Art Joins Nutrition Academy, la prima scuola in Europa di Culinary Nutrition che unisce il mondo della nutrizione e quello della ristorazione per dare vita ad una nuova cultura alimentare. Anche lo spazio di LIBRA rispecchia perfettamente lo stile e i valori di equilibrio e innovazione culinaria proposti: il locale, infatti, occupa gli spazi dell’ex tipografia Elios, per anni vero e proprio laboratorio creativo nel cuore di Bologna. Con una superficie di circa 500 mq e 90 posti, Libra è un ambiente piacevole e rilassante che vuole diventare meta di un pubblico attento alle novità e curioso di sperimentare una cucina di tradizione in evoluzione. Il ristorante LIBRA è di proprietà di CDN Food & Restaurant, società del fondo 100% italiano Paladin Capital Partners Group S.p.A, già presente da tempo nel mondo dell’alimentare sia con aziende di produzione che con altri format di ristorazione. LIBRA

Via Alfredo Testoni, 10 - Bologna - Tel. 051 237688 - www.ristorantelibra.it

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I locali

on

Trésor

Scopriamo insieme quali sono i locali che racchiudono piccoli grandi tesori...

Ogni ristorante, locanda o trattoria, famosa o meno, può vantare il proprio “Mon Trésor”, un personalissimo tesoro fatto di attenzione per i dettagli, cura dei propri ospiti, professionalità in cucina e in sala. Noi abbiamo individuato alcuni di questi “Mon Trésor” e li segnaliamo nelle prossime pagine...

golavagando montresor di

Daniele Briani

OSTERIA AL BORGO

LA PASSIONE ALLA BASE DI QUESTA REALTÀ VERONESE È proprio l’occasione giusta per affermare che “nulla succede per caso”, nemmeno quando l’incontro tra due amici di vecchia data, stanchi della loro routine quotidiana e pervasi dalla noia, colgono in questo evento sincronico l’occasione per dar vita ad una loro realtà imprenditoriale, dedicata alla cucina, al buon bere e all’accoglienza. Siamo nell’Aprile del 2008 e da queste premesse nasce l’Osteria al Borgo, così come Riccardo Troiani e Riccardo Cozza concepiscono un’osteria d’una volta proiettata nel terzo millennio. Sicuramente consci della materia che vanno ad af-

frontare (perché giovani rampolli di famiglie storiche della ristorazione veronese), coinvolgono nell’avventura anche lo chef Christian Maffei, che con Riccardo aveva lavorato parecchi anni prima nella ristorazione scaligera di spicco degli anni dell’abbondanza. Cozza infatti è pure lui chef, con formative esperienze veronesi successive alla scuola alberghiera, integrate da sperimentazioni londinesi di altissimo livello. “Qui si mangia come si dovrebbe mangiare” è il motto dell’osteria, che propone una cucina di stampo italiana più che veronese, anche se i piatti della tradizione non mancano, ma stanno fuori dal menu quasi a chiede-


on

Trésor

Il Mon Tresor è... LA LEGGEREZZA DELLA CUCINA

Piatti che all’apparenza e nei ricordi della tradizionale cucina italiana posso essere considerati particolarmente “pesanti”, qui sono di un’estrema leggerezza e digeribilità. La ricerca dell’alta qualità della materia prima, unitamente all’esperienza e alla sperimentazione nelle tecniche di cottura, esprimono pietanze che alleggeriscono lo stomaco regalando grandi emozioni al palato.

re al commensale di osare al di fuori del quotidiano. Abbozzando un percorso degustativo dall’antipasto al dolce potremmo proporre una melanzana alla parmigiana con baccalà mantecato; uno spaghettoro di Verrigni con baccalà, cappero pestato e pomodorino dry; la guancia di manzo brasata e, per finire, una mousse di cioccolato allo Chartreuse verde con marmellata di prugne e frolla neutra. Questo è solo un esempio di quanto la cucina espressa dell’osteria nella realtà offre, perché la scelta si può effettuare tra almeno sei tipologie di piatti per ogni portata. Naturalmente trattandosi di Osteria con la O maiuscola, il vino non può mancare, e lo si vede, tanto è diffuso nel ristorante. Trecentocinquanta etichette occupano non solo la carta dei vini ma addobbano le pareti e gli spazi del locale. Molte sono Italiane di cui una cospicua parte veronesi, all’insegna di una ricerca anche verso piccoli produttori locali; tante sono francesi e, a completare, troviamo anche Libano, Oregon e Nuovo Mondo. Ventisei tipologie di vini serviti al calice permettono al cliente di iniziare con un aperitivo nell’attesa di sedersi, per poi procedere alla degustazione abbinando un diverso calice per ogni portata. L’osteria può essere anche il posto per un dopocena tranquillo, dove sorseggiare un cocktail classico o un distillato di prestigio. Con trentacinque posti a sedere, la qualità del servizio è di

OSTERIA AL BORGO

Via Longhena, 29/D - 37138 Verona Tel. 045 8105145

www.osteriaalborgo.it

livello, senza lunghe attese che non siano quelle necessarie a una cucina dai gusti raffinati come le preparazioni espresse richiedono. Una volta al mese il locale offre delle serate a tema dedicate ad un prodotto, che può essere stagionale come il tartufo o la lumaca, oppure ad un argomento culinario come quello dei tuberi o del cinghiale. Dopo dieci anni lo sguardo verso il futuro è rappresentato dalla voglia di esportare questo format di successo nel centro di Verona, in un locale più piccolo, quasi una bomboniera dell’eccellenza dove proporre anche i prodotti a marchio OAB – Osteria al Borgo. Dato che non esiste un ricordo che non ha un sapore, l’invito è di provare quanto l’Osteria possa essere più di un’osteria.

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golavagando montresor di

Antonietta Mazzeo

LA GABELLA

PER LA DIFESA DELLA CULTURA TERRITORIALE UMBRA A Valtopina in provincia di Perugia, alle Pendici del Monte Subasio e adiacente alla strada che San Francesco era solito percorrere quando si recava in pellegrinaggio a Nocera Umbra, il ristorante enoteca “La Gabella” offre ai suoi clienti una cucina tipica umbra con specialità al tartufo e piatti tipici del territorio. In un’atmosfera da osteria d’altri tempi Domenico, in continua comunicazione con il territorio, presenta le sue creazioni con una sensibilità che dialoga con il nostro tempo con compendio d’intelligenza e gusto, nobile interpretazione dei sapori della tradizione, un’esperienza di gusto che non tradisce.

L’INTERVISTA Chi è Domenico Vincenti, come e dove nasce la passione e il tuo percorso in cucina? Domenico Vincenti è un “appassionato di cucina”, caparbio, determinato e professionale. Sono nato e cresciuto nella cucina di famiglia: aiutando mia nonna tra i fornelli e osservando ciò che faceva, ho imparato e ho coltivato questa grande passione.

Come hai deciso di diventare uno chef? Tutto è avvenuto molto naturalmente. Sono sempre stato in cucina, quindi il mio destino non poteva essere altro che questo. Qual è per te il piatto del cuore, quello che più ti rappresenta? Credo nel valore della tradizione, per questo penso che la Crescia (focaccia tipica umbra preparata con ingredienti molto semplici: farina, acqua e sale) identifichi perfettamente la mia cucina. Sapori di una volta, farina ottenuta da grani locali e macinata a pietra dal 1400 dal Molino Buccilli, lievito madre, … croccante fuori, morbida dentro, accompagnata alle erbe di campo (cotecaccia, caccialepre pimpinella, sellerina) ripassate con aglio e olio. Qual è l’ingrediente di cui non puoi fare a meno Potrei dire l’olio extravergine d’oliva, un elemento base della cucina italiana, quello che utilizzo nelle mie preparazioni; lo fa mio padre a Collepino, è un blend di cultivar Leccino e Moraiolo; ma la materia prima che cerco sempre di inserire in menu sono i funghi e i tartufi. Cerco di riproporli in varie forme e sono sempre a disposizione in cucina, se sono di stagione, ovviamente.

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on

Trésor Come abbini i vini alla tua cucina? Mi occupo personalmente della cantina e della selezione dei vini. Il vino è un elemento molto importante; un vino di qualità, così come la cucina di qualità, devono appagare tutti i sensi, devono avere persistenza, equilibrio tra gusto, vista e olfatto: la consistenza di un vino è un piacere. Qui alla Gabella non abbiamo una carta dei vini, la nostra è una clientela locale e abituale, qui non c’è turismo, il più delle volte i clienti lasciano che sia io a suggerire il vino in abbinamento alla preparazione. Qual è il tuo rapporto con la cucina? La cucina è il mio mondo, mi ha dato tantissimo, questo è un lavoro che ti devi sentire dentro, una vocazione. In cucina si respira l’amore per il bello, per la tradizione e l’innovazione, la cucina è cultura. Faccio una cucina del territorio, semplicità unita all’altissima qualità delle materie prime ed amo molto la parte conservatrice delle ricette: sono sempre alla ricerca della loro storia.

LA GABELLA

Via Gorizia, 9 - 06030 Valtopina (PG) Tel. 0742 74659

Il Mon Tresor è... LA DIFESA DELLE TRADIZIONI Dagli arredi fino ai sapori dei piatti: qui si respira l’orgoglio di rappresentare un territorio che, anche per collocazione geografica, ha mantenuto vive le proprie caratteristiche identitarie.

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golavagando montresor

di

Claudio Mollo Lido Vannnucchi

foto di

AD AREZZO

LO ZAFFERANO DI JOHNNY

È CUCINA ARMONIOSA, ELEGANTE, CONFORTEVOLE Johnny, all’anagrafe Fatjon Gaga, nonostante la giovane età è già un protagonista del panorama culinario toscano, titolare com’è di due ristoranti, con importanti contatti e collaborazioni sul territorio: un giovane aretino che ha fatto della passione per la cucina il proprio mestiere. I locali sono Lo Zafferano Tuscany, situato all’interno della fascinosa Locanda dell’Amorosa a Sinalunga in provincia di Siena e “Lo Zafferano”, ristorante gourmet dell’AC Hotel-Marriot di Arezzo, oggetto di questo articolo. Johnny è giovane, ma ha le idee ben chiare, sa quello che vuole e soprattutto crede in se stesso, possedendo un particolare fiuto per la “ strada giusta da seguire”. Oltre a vantare una spiccata propensione al creare, sperimentare e innovare continuamente, dimostra di essere anche un ottimo imprenditore, visto il grande lavoro che fa quotidianamente per portare

avanti i due ristoranti, sempre proiettato verso nuovi progetti. Lo Zafferano si presenta avvolto in una soffusa luce calda, è accogliente e rassicurante nell’elegante e ricercato minimalismo geometrico dell’arredo. In un angolo fa la sua bella figura un pianoforte, che intrattiene piacevolmente gli ospiti durante le serate gourmet. “Per me è importantissimo curare l’immagine e coccolare i miei clienti, trattarli nel miglior modo possibile perché si sentano bene. L’accoglienza è una cosa fondamentale, non molti danno l’importanza dovuta a questo aspetto, ma credo che sia anche per questo che il mio lavoro è molto apprezzato e i clienti tornano. La cucina è una grande passione e la metto al primo posto, anche nel rapporto con gli altri”.

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Il Mon Tresor è... LA PERSONALITÀ DELLA CUCINA Senza dubbio la giovane età fa un certo effetto, affiancata alla gestione di due locali nei quali è riuscito e riesce a portare avanti con successo due linee di cucina distinte e molto apprezzate dal pubblico, che riconosce in lui il merito di proporre - sotto le insegne dei due locali - una cucina di carattere e un servizio curato, professionale e dinamico. Ma, soprattutto, una carica emotiva destinata a farlo crescere professionalmente verso traguardi più importanti.


Un punto di forza di Johnny è quello di circondarsi di giovani, con tanta voglia di fare. Ragazzi che come lui si vogliono mettere sempre in gioco. Non ha un piatto preferito e non avrebbe senso per lui, averlo. Ama e si diverte a creare tanti piatti, ma nessuno è il suo preferito. Quando prepara un piatto, sperimenta, mescolando ingredienti e provando sapori, cercando di creare sempre bellissime fusioni tra la

cucina francese e quella italiana, creando armonia tra queste due diverse filosofie, esaltando sempre il sapore e dedicando molta cura ai dettagli di un piatto. Una cucina internazionale, gourmet, semplice, realizzata senza lasciare niente al caso, sempre attenta a cosa piace al cliente, a quali sono i suoi gusti e quali sono i piatti che preferisce, cosa cerca e cosa si aspetta di trovare. Il menu cambia completamente ogni 3 o 4 mesi. “La cucina è come l’amore: lo trovi per caso, nasce e poi cresce col tempo, è incontrollabile. Io ho cominciato qualche anno fa come lavapiatti, sono partito dal basso e ho avuto la fortuna di lavorare con persone che amavano quello che facevano e che mi hanno trasmesso questo messaggio. Se posso dare un consiglio a chi vuole avvicinarsi a questo mestiere, è quello di partire dal basso, di non credersi mai arrivati, di restare umili, perché se oggi può essere abbastanza facile avere successo, la cosa veramente difficile è riuscire a mantenerlo nel tempo, questo successo”.

LO ZAFFERANO | Arezzo

Via Einstein, 4 - Arezzo - Tel. 0575 382287 LO ZAFFERANO TUSCANY Locanda dell’Amorosa

Località L’Amorosa - Sinalunga (SI) Tel. 0577 677211

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di Jerry

Bortolan

PRODOTTI ECCELLENTI

L’ALLUMINIO È SALUTE E ANCHE CONVENIENZA, SICUREZZA, PRATICITÀ

“Il talento in cucina è nulla senza strumenti adatti e in grado di assicurare le massime prestazioni”: è questo il parere di Baldassare Agnelli, “signore delle pentole” e patron dell’azienda bergamasca che da oltre un secolo produce strumenti e pentole professionali, usate dagli chef di tutto il mondo; un parere condiviso anche da grandi e qualificati ricercatori che operano nel settore dell’alluminio. È con questa premessa che si è aperto a Roma l’incontro dei massimi esperti italiani del settore dell’industria e della logistica per la ristorazione su: “Alluminio e salute: messaggi scientifici corretti”, lanciato e organizzato da Centro Al, l’Associazione che rappresenta l’industria italiana dell’alluminio. Organizzato nell’ambito del programma “Alluminio per le Generazioni Future”, l’evento vuole far conoscere alle istituzioni e ai consumatori - oggi sempre più attenti a tutto quello che riguarda la ristorazione - le potenzialità e la sicurezza dell’industria italiana dell’alluminio. Contestualmente vuole approfondire tra gli stakeholder gli argomenti di maggior rilievo connessi a

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PENTOLEAGNELLI

questo materiale: “È necessario - si legge in un comunicato dell’associazione - fare chiarezza, grazie anche al supporto di dati scientifici, sul fatto che utilizzare l’alluminio a contatto con gli alimenti sia un’attività sicura”. Qualche numero per capire meglio quanto sia importante il settore dell’industria italiana dell’alluminio: l’Italia è al 1° posto in Europa con 500 imprese e 15.600 addetti al comparto per quantità di prodotto riciclato ed è il primo al mondo per la più alta qualità pro capite, fatturando 12,5 miliardi nel 2018. Riccardo Guidetti, professore di Progettazione per gli impianti nell’impresa alimentare e per l’ottimizzazione delle produzioni agroalimentari presso l’Università degli studi di Milano, ha descritto l’utilizzazione, in sede industriale e commerciale, dei materiali e degli oggetti disciplinati dal regolamento, subordinati all’accertamento della loro conformità alle norme vigenti, nonché della idoneità tecnologica allo scopo cui sono destinati. Mentre Ciro Sinagra, Direttore Ricerca e Sviluppo per Laminazione Sottile S.p.a., parla dei materiali di alluminio e in sue leghe destinati al contatto con gli alimenti e per la conservazione dei cibi cotti e lavorati, rileva che i materiali e gli oggetti disciplinati dal regolamento possono essere impiegati senza alcuna problematica di sicurezza per la salute.

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PRODOTTI ECCELLENTI

L’alluminio a contato con gli alimenti deve avere un tenore di purezza superiore al 99% , o essere tra l’ elenco delle leghe di alluminio presenti all’ interno del D.M 76 del 18/04/2007 che disciplina le condizioni di uso dell’ alluminio a contatto con gli alimenti. Si è voluta fare chiarezza anche sulla comune patina scura che si forma all’interno delle pentole di alluminio che è dovuta all’ossidazione del metallo: una vera propria barriera protettiva inerte che non va tolta. L’alluminio assicura convenienza nel rapporto qualità/prezzo, sicurezza dal punto di vista igienico, conformità alle vigenti norme Haccp ed è un materiale riciclabile infinite volte. I cibi preparati possono restare a contatto con l’ alluminio per 24 ore a temperatura ambiente, e oltre le 24 ore purchè a temperatura refrigerata. Questo può dar luogo all’ utilizzo dell’ alluminio nel ciclo di cook and chill, molto pratico soprattutto per le attvità di catering. Vi è poi un elenco di prodotti alimentari che possono essere

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impiegati a contatto con materiali ed oggetti di alluminio e leghe di alluminio per tempi superiori alle 24 ore a temperatura ambiente, sono: prodotti di cacao e cioccolato, caffè, spezie ed erbe infusionali, zucchero, cereali e prodotti derivati, paste alimentari non fresche, prodotti della panetteria, legumi secchi e prodotti derivati, frutta secca, funghi secchi, ortaggi essiccati, prodotti della confetteria. Danilo Amigoni, Chief Operating Officer della Baldassare Agnelli e consigliere di Assomet e Cento Al, ha parlato delle norme di legge che regolamentano le buone pratiche di fabbricazione per i MOCA (Materiali e Oggetti a Contatto con gli Alimenti), il tutto è racchiuso nel Reg. 2023/2006 CE sulle GMP, che è l’ acronimo di Good Manifacturing practices e ha fatto cenni sul Reg. 1935/2004 CE. L’ approfondimento che ha affrontato ha visto la richiesta da parte del legislatore di creare o implementare (laddove già presente), dei sistemi di assicurazione e di controllo di qualità stabilendo delle procedure a tutela della salubrità degli spazi ove vengono prodotti gli articoli che saranno poi interessati al contatto alimentare, fino ad assicurare la tracciabilità dei prodotti mediante i lotti di produzione. Sì, ma non è tutto. La pentola giusta dà valore alle proprietà organolettiche di un determinato cibo: non sono solo gusto e sapore a guadagnarci, trattare il cibo in maniera adeguata anche dal punto di vista dello strumento fa sì che quello che mettiamo nel piatto sia sano. Non dimentichiamo che ciò che mangiamo è frutto della conoscenza dello strumento di cottura e del procedimento di preparazione, oltre ovviamente alla qualità delle materie prime. E naturalmente tutti i piatti serviti al pranzo dopo la chiusura del convegno, sono stati cucinati in pentole rigorosamente in alluminio. PENTOLE AGNELLI

Via Madonna, 20 - 24040 Lallio (BG) - Tel. +39 035 204 711 www.pentoleagnelli.it



PRODOTTI ECCELLENTI

Andrea Muzzi e il racconto della passione per la farina, la pasticceria e la sua famiglia. Il piacere di far bene, saperlo trasmettere ai figli e ai collaboratori è quanto lo accomuna con il padre Tommaso Muzzi al cui ricordo ha dedicato una linea di lievitati di eccellenza.

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CON I LIEVITATI DI GIOVANNI COVA E BORSARI di

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Francesca Antonucci

IDB group unisce 8 marchi di pasticceria tradizionale. Ognuno di essi rappresenta l’eccellenza di diverse tradizioni regionali. Come e quando è iniziato il percorso? Il primo passo è stato l’acquisizione dello stabilimento delle Industrie Dolciarie Borsari a Badia Polesine, lo stesso che oggi è sede del gruppo. Così l’Antica Pasticceria Muzzi è passata da una dimensione poco più che regionale ad una nazionale. L’ampliamento ci ha messo di fronte a opportunità e dinamiche diverse e ha creato le condizioni per concepire lo sviluppo coerente realizzato. Ogni nostro marchio ha una riconosciuta e unica expertise sul prodotto tradizionale della regione in cui è nato e si è sviluppato. Produciamo una delle migliori espressioni del Pandoro Veneto: il marchio Borsari è nato a Verona nel 1902 e ancora oggi, fedele alla tradizione, propone la più ampia profondità di gamma di questo dolce, senza esimersi dall’avere a catalogo anche panettoni e prodotti di servizio per i suoi clienti. Il medesimo concetto vale per il marchio Giovanni Cova & C con cui esprimiamo la perizia e la storia del panettone di Milano offrendolo ai suoi estimatori in una varietà di gusti unica. Per il torronificio Bedetti è lo stesso. Siamo l’unica azienda che può vantare una multi-regionalità reale. Per presidiare il seg-


ANDREAMUZZI

mento premium di questa categoria merceologica cerchiamo le eccellenze di ogni regione, non da commercianti, ma da pasticceri artigiani che includono nel loro laboratorio nuove esperienze e capacità. Nei vostri progetti ci sono già nuove acquisizioni? In questo momento siamo concentrati nello sviluppo del progetto già intrapreso. Tuttavia controlliamo con regolarità le opportunità di un mercato in grande fermento. Alla base di tutto questo ci deve essere una grande passione. Io e la mia famiglia siamo cresciuti in mezzo alle farine, abbiamo giocato e dormito in mezzo alle farine: non abbiamo mai pensato di fare un lavoro diverso. Con grande soddisfazione e emozione posso dire che anche i miei figli stanno respirando la stessa aria e già ora vedono il loro futuro qui nell’azienda. È una gioia aver trasferito la nostra passione. Con questo tipo di prodotti e nel segmento premium si può lavorare solo con amore. Ogni anno si ricomincia da zero, non ci sono commesse che rimangano valide da una stagione all’altra. Per poter offrire ai clienti quello che cercano serve essere innovativi, veloci, dinamici e propositivi. Avere la capacità di proporre nuove ricette, capire quali sono le tendenze del mercato e valutare se sono o meno in linea con i nostri valori. E se lo sono, cavalcarle e farlo al meglio! Tradizione e artigianalità del processo produttivo sono tra gli elementi che vi contraddistinguono. Tuttavia un’azienda moderna si avvale anche di progressi tecnologici. Come mantenete questo delicato equilibrio? In pasticceria esistono diverse fasi di una lavorazione, in alcune l’apporto della sapienza e dell’esperienza di un pasticcere sono fondamentali: un impasto deve essere guardato, annusato e anche assaggiato per decidere se è o meno pronto per passare alla fase successiva. Le impastatrici sono un supporto alla lavorazione, forniscono l’energia meccanica. Svolgono i processi in cui non vi è valore aggiunto, ma non sostituiscono mai il tecnico esperto nella selezione degli ingredienti, nel controllo della lievitazione e in tante altre fasi che sono cruciali per la riuscita di un eccellente dolce lievitato. Qualche volta ci siamo

chiesti se potesse valere la pena di fare un grande investimento e fare una sala impasti industriale, ma non ce la siamo sentita: siamo artigiani e vogliamo mantenere questa caratteristica, che è anche la promessa che facciamo ai nostri clienti. Abbiamo preferito investire sui laboratori di pasticceria fresca quotidiana così da poterci davvero definire una “grandissima pasticceria” con tutti i vantaggi in termini di sicurezza alimentare e garanzie delle grandi aziende dolciarie. Qual è l’organizzazione commerciale di IDB Group? Si occupano del territorio italiano 150 agenti multimandatari organizzati e coordinati direttamente dai nostri capo area. All’estero ci appoggiamo a dei distributori, tuttavia ci stiamo impegnando a costruire una rete vendita diretta: rappresenta il modo più sicuro per garantire la continuità con i clienti finali. I marchi di IDB Group hanno prodotti e caratteristiche peculiari: come bilanciate le comunicazioni? Ogni prodotto e brand hanno anima e identità precise. Caliamo su ogni comunicazione queste caratteristiche cercando di mantenere grande coerenza. Il cliente è al centro della comunicazione: i clienti finali e quelli intermediari devono trovare nei dolci di ogni marchio tutte le caratteristiche necessarie affinché l’acquisto sia un successo dal prezzo fino al piacere del palato. La gestione dei diversi cataloghi è una tematica complessa, tutt’oggi in divenire e talvolta assoggettata ad alcune dinamiche mediatiche.

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PRODOTTI ECCELLENTI

I marchi di IDB Group sono “dei veri e propri gioielli”. Tra i tanti momenti vissuti e le iniziative promosse ne ricorda una con particolare affetto? Il percorso di crescita e acquisizione è una scelta attenta e ponderata, nata dal desiderio di avvicinarci ad un territorio e alla sua tradizione dolciaria. Personalmente nutro affetto vero per il nostro marchio di famiglia, Muzzi: qualsiasi passo in avanti possa fare questo brand mi coinvolge direttamente. Ho un particolare legame affettivo, anche, con il brand Muzzi Tommaso, dedicato a mio padre scomparso prematuramente nel 1975. La linea di prodotti che porta il suo nome racchiude in sé tutti i principi della qualità per rendere orgoglioso colui che è stato il reale fondatore dell’azienda Muzzi. Tra i diversi riconoscimenti ricevuti con quali ha anche un legame affettivo? Tutti i premi sono di grande valore perché rappresentano il riconoscimento dell’impegno che ogni giorno dedichiamo ai nostri prodotti e alla loro qualità. Particolarmente piacevoli sono i premi per i meriti non strettamente legati al nostro business, come ad esempio le iniziative a sostegno della Fondazione Rava, della Fondazione San Raffaele e Theodora. Anche di recente ho ricordato in un’intervista che un imprenditore e un‘impresa sana hanno il dovere di fare qualcosa per il sociale. Oggi gli chef interpretano in maniera creativa i dolci della tradizione: per la ricerca sviluppo vi avvalete della collaborazione con chef e/o scuole di formazione? I nostri chef e pasticceri sono collaboratori diretti provenienti da scuole e esperienze significative. Il consumatore è attento e protagonista, chiede informazioni e sostenibilità. Come rispondete a queste esigenze? Partecipiamo attivamente alle campagne per la mobilità sostenibile e il rimboschimen-

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to. Quando e dove è possibile impieghiamo materiali di origine naturale e provenienti da fonti rinnovabili. Nei nostri dolci mettiamo il cioccolato certificato Fairtrade. I clienti partecipano con interesse alle Travel Food Experience per conoscere da vicino e “toccare con mano”. Come raccogliete questa opportunità? Non abbiamo ancora lavorato in maniera sistematica nello sviluppo di un progetto di Travel Experience che coinvolga i nostri marchi. Tuttavia, di recente abbiamo organizzato una giornata a “fabbrica aperta” per consentire ai giornalisti e anche ai nuovi divulgatori, i blogger, di entrare in azienda. Si tratta di un’attività impegnativa perché siamo artigiani e piccoli segreti di tecnica di pasticceria possono fare la differenza! Facciamo un panettone molto buono, dobbiamo trasferire la conoscenza di come interpretiamo l’artigianalità e gli ingredienti per garantire un prodotto eccellente e sicuro. Il panettone è apprezzato anche all’estero, dove il Made in Italy condivide il suo “posto al sole” con l’Italian Sounding. Nel mondo il panettone sta vivendo un momento di grande successo anche grazie agli

investimenti di cultura di prodotto, alla comunicazione e ai numerosi eventi dedicati. Questo ha senz’altro portato beneficio a tutti noi produttori. IDB Group esporta in 62 Paesi e l’italian sounding è senz’altro un aspetto da tenere sotto controllo. Spesso le nostre istituzioni non rappresentano bene l’Italia all’Estero: le fiere in cui le aziende italiane vengono coinvolte dagli Enti preposti hanno risultati scadenti e sono poco organizzate. È purtroppo vero che produciamo di miglior cibo del Mondo, ma non lo sappiamo promuovere. Per alcuni settori anche le Istituzioni si sono spese molto: è capitato per l’aceto balsamico il prosciutto di Parma e San Daniele. Per il mondo di lievitati mancano ancora sufficienti risorse. Quali mercati esteri apprezzano di più la nostra pasticceria legata alla ricorrenza? Il panettone tradizionalmente è molto amato nei Paesi in cui vivono grandi comunità di italiani. In Europa IDB Group è ben distribuita anche se nell’estremo Nord e nei Paesi dell’Est ci sono ancora diverse opportunità e si possono ancora sviluppare iniziative per migliorare la cultura di prodotto a supporto del posizionamento e delle vendite.




GOURMETFOOD

PUGLIA invernale TRANI | PUTIGNANO | LECCE | BARI | CONVERSANO | UGENTO | NOCI | APRICENA | ALTA MURGIA | ANDRIA

Il fascino di una regione antica proiettata sul futuro

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GOURMETFOOD

IL RADDOPPIO DI

FELICE LO BASSO A TRANI di

Alessandra Meldolesi

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È nato nel paese degli chef, Felice Lo Basso: Molfetta, alla cui anagrafe sono registrati anche Fabio Pisani, Fabio Abbattista, Antonio Bufi, Mario Porcelli. Forse perché una volta o facevi il marinaio, oppure facevi il cuoco: non erano molte le opportunità di riscatto in quello che oggi è il paradiso del turismo. E di fatto lui è un self-made chef in piena regola: uno che si è fatto da solo, senza capitali familiari alle spalle, facoltosi mecenati o nomi ingombranti fra le righe del cv. Mamma sarta e casalinga, papà operaio, l’alta ristorazione era un mondo sconosciuto per quel bambino, pur tuttavia attratto dai giochi culinari. A quei tempi l’alberghiero in paese non c’era e bisognava andare fino a Bari: oltre un’ora di treno e tanta pratica, la cartella sulle spalle fino al pomeriggio inoltrato. Poi arrivarono le prime stagioni in Romagna e l’incontro con il maestro di tanti. “In uno di questi alberghi bazzicava Vincenzo Cammerucci, parente dei titolari; chiesi di lavorare con lui e così ho capito cosa fosse la cucina di qualità”. Capostipite di una generazione di cuochi adriatici, chef’s chef quant’altri mai, tanto pragmatico quanto schivo, Cammerucci se lo è portato dietro dal Claridge Bistrot a Lido Lido, ma gli ha chiesto una mano anche al momento di aprire CaMì. “La sua forza? Sa essere un padre carismatico, fare gruppo, motivare i collaboratori. E ha una grandissima conoscenza della materia prima, sia ittica che vegetale. Da figlio di contadini, ricordo che prendeva la macchina e si procacciava roba mai vista, irreperibile; non era uno che si fermasse alle capesante o ai branzini e del pesce usava tutto, dal fegato di rana pescatrice alle uova di seppia”. Sono seguiti due anni al Byblos di Riccione, locale notturno con ristorazione di qualità. “Poi sono partito per fare un’esperienza diversa in un cinque

stelle. E lì si è aperta la mia vita”. Non più spiagge di velluto, ma il bianco disegnato dagli sciatori. All’Alpenroyal inizialmente non c’era neppure un gourmet: aperto nel 2010, dopo pochi mesi già vantava la stella. “Ci ho passato 4 anni indimenticabili: all’Alto Adige devo il rigore e il senso di rispetto, per i collaboratori e per la materia prima. Ma io volevo ancora di più. Così ho ceduto al richiamo di Expo, mi hanno proposto l’Unico e ho traslocato”. Dal 2013 al 2015 è stato il classico rimbalzo prima del lancio dal trampolino: nel giugno 2016 Lo Basso si è spostato in uno dei ristoranti più belli di Milano, Felix al Duomo, con vista sui pinnacoli attorno alla Madonnina. Ma sul curriculum figura un unico stage da Joël Robuchon. “Perché ho sempre dovuto lavorare, anche se vado spesso in Oriente: mi piace il loro stile di vita, oltre alla loro cucina. Taipei, Singapore, ogni scambio rappresenta l’occasione per uscire dal mio mondo. Soffocherei se dovessi restar chiuso nel mio ristorante”. Di recente però è arrivato il raddoppio, con l’apertura a Trani di Memorie insieme al fratello Antonio, socio e anima del locale. “Lavorava nel calzaturiero, ma ha fatto anche lui qualche stagione in Romagna. Questo mondo gli piaceva, così ha deciso di seguirmi e si è appassionato sempre più al vino. Dopo 3 anni all’Alpenroyal, ne ha trascorsi altri 5 alla Siriola, dividendosi fra l’enoteca, il ristorante stellato e l’albergo. Però voleva tornare a casa e in prima battuta ha aperto un locale di tisane. Nel frattempo anche io ho sentito l’esigenza di dimostrare che a sud si può fare qualcosa di buono, perché non bastano i prodotti, manca ancora il mercato per la ristorazione gourmet. Abbiamo scelto Trani, per il bacino turistico e perché è una località che gira tutto l’anno”. Una sistematina agli ambienti e il primo marzo è arrivato lo showdown: sono una

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GOURMETFOOD

DOPPIO RAVIOLO

in farcia di agnello e pecorino, jus di arancio e chips di topinambur INGREDIENTI per 4 persone

PROCEDIMENTO

semola, g. 150 di tuorlo, sale q.b.

una pasta omogenea. Far riposare 12 ore.

Per la pasta: g. 200 di farina 00, g. 100 di

Per la farcia: g. 300 di agnello, 1 sedano,

1 carota, 1 cipolla, ml. 60 di vino rosso,

g. 300 di pecorino, ml. 500 di latte, g. 200 di farina, g. 200 di burro.

Per il fondo: kg. 1 di ossa di agnello, g. 100

di sedano, g. 100 di carota, g. 100 di cipol-

la, 1 foglia di alloro, 2 chiodi di garofano, 2 bacche di ginepro, ml. 200 di succo di arancia, l. 2 di acqua.

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Per la pasta: mettere in planetaria farina e semola, aggiungendo le uova fino ad ottenere Per la farcia di agnello: soffriggere olio d’oliva, sedano, carota, cipolla e peperoncino. Aggiungere la carne di agnello tagliata a cubetti e bagnare con vino rosso.

Aggiungere concentrato e salsa di pomodoro e lasciare cuocere fino a quando la carne risulta tenera. Una volta cotta, frullare fino ad ottonere una crema omogenea. Per la farcia di pecorino: fare ridurre del 50% la panna con il latte.

Quando sarà pronta, frullare al Bimby a 60°C unendo il pecorino. Aggiungere del sale e trasferire il tutto in un sac a poche, quindi far riposare in frigo per qualche ora.

Per il jus di arancio: soffriggere sedano, carota e cipolla con olio d’oliva, aggiungere il concentrato e pelati di pomodoro. Cuocere le ossa nel forno a 250°C per 30 minuti. Una

volta pronte aggiungere alle verdure, coprire con il ghiaccio e acqua, lasciare a fuoco lento fino ridurre del 50%. Una volta pronto, filtrare e aggiungere il succo d’arancia.


quarantina di coperti ariosi con la cucina parzialmente a vista e una brigata in gran parte passata per Milano. Il secondo Giuseppe Bocassini, che ha sempre lavorato in zona, soprattutto nella banchettistica, si è spostato per qualche mese al Felix, in modo da assorbire spirito e fumi della cucina; e da lì si sono distaccati altri due cuochi. Mentre la sala è tutta nuova: Antonio funge da maître, restaurant manager e sommelier. Amministra una carta da 350 referenze, in via di rinnovamento verso curiosi sentieri alpini. L’impegno di Felice è quello di scendere ogni 20 giorni, per organizzare eventi, serate a 4 mani, fornire assistenza sulla cucina, monitorare i prezzi e scovare prodotti. Ben oltre il cambio di menu. “Le materie prime che utilizziamo sono al 95% pugliesi, anche se procacciarsele è più duro che a nord. Perché il meglio è più facile trovarlo a Milano, considerato il potere di acquisto. Il pesce è quello dei nostri pescherecci e, per quanto riguarda i vegetali, non ne esistono di migliori in Italia.

TORTELLINI DI POLPO nel suo brodo e limone INGREDIENTI per 4 persone

Per la pasta: g. 200 di farina 00, g. 100 di semola, 10 tuorli, sale q.b. Per la farcia: g. 300 di moscardino, 1 sedano, 1 carota, 1 cipolla, 1 cucchiaio di

concentrato di pomodoro, mezzo barattolo di pomodoro pelato, 1 bicchiere di vino bianco.

Per il brodo: 1 polpo di g. 400, acqua di polpo, limone candito q.b., sale q.b. PROCEDIMENTO

Per la pasta: mettere in planetaria farina e semola, aggiungendo le uova fino ad ottenere una pasta omogenea. Far riposare 12 ore.

Per la farcia: soffriggere i moscardini con le verdure e bagnare con vino rosso; ag-

giungere concentrato e salsa di pomodoro. Lasciare a fuoco lento per almeno 3 ore. Una volta pronto, passare il tutto al tritacarne e, con l’aiuto di un leccapentole, lavorare il composto fino ad ottenere una crema omogenea.

Per il brodo: in acqua fredda aggiungere alle verdure il polpo spadelalto in prece-

denza. Lasciare cuocere per almeno 3 ore. Una volta cotto il polpo, passare l’acqua

al setaccio e far riposare in frigo. Tagliare il polpo a rondelle e adagiare sui tortelli insieme al brodo.

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GOURMETFOOD

L’olio a volta risulta un po’ invasivo su una cucina delicata come la mia, ma si sta affinando sempre più. Ho scelto il denocciolato Muraglia, una garanzia”. I menu sono due: Nostalgia e ricordi a 55 euro e Passione e intuizione a 70, composti rispettivamente di 5 e 6 portate. Si pongono in continuità con Milano, dove la cucina ha un carattere più aperto e cosmopolita, isolandone la componente mediterranea. Ecco quindi alcuni signature, come la parmigiana in un risotto, il canederlo di gamberi o il chicco cremoso, proposti in porzioni generose. Eleganza, equilibrio, attenzione al dettaglio con qualche sprazzo di genio: la cucina di Lo Basso non cerca mai di stupire, nel suo mix ragionato di freschezza mediterranea e acribia teutonica, che tiene al largo l’errore. Si comincia con il burro salato della Normandia, autentica provocazione in

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questa patria dell’olio, utile anche per differenziarsi. “Eppure la gente a tavola lo finisce e lo richiede. A inizio pasto funziona meglio dell’extravergine”. In accompagnamento pane di semola, focaccine pugliesi e grissini integrali. Poi la cucina inizia a viaggiare per la biografia dello chef, dietro la locomotiva del ricordo, andata e ritorno per l’Alto Adige e Milano. Fra gli appetizer (ma può essere anche un antipasto) risalta riso, patate e cozze, dove i chicchi sono quelli soffiati di un selvaggio canadese e le patate figurano in forma di spuma, più cozze aperte classicamente, pomodorini confit e salicornia. Una destrutturazione gentile incentrata su consistenze contemporanee. Ma ci sono anche la panna cotta al peperone, la cialda di rapa, il marshmallow al parmigiano e olive, l’alice fritta con ricotta forte. È ottimo l’esordio: un’“insalatina” di gamberi rossi di Gallipoli al naturale con crema di mandorle tostate al latte di mandorla, finocchio crudo e olio franto al finocchio, gelato al riccio, mela verde e caviale. Un caleidoscopio di dolcezze, sapidità, acidità e aromaticità che deposita disegni estemporanei sul palato. Con dedica a Savino Muraglia, da cui arrivano tanto i supporti (l’orcio tagliato a metà) che l’olio al finocchio, ispiratore del piatto. Mentre omaggia Vincenzo Cammerucci, cultore del binomio, il piatto di canocchie in tartare al naturale, servite con carciofo crudo, maionese di olio di vinaccioli infusionato alla menta e consommé dei carapaci, preparato alla moda di Romagna, poi addizionato di soia e zenzero al momento di filtrare. In equilibrio dolce/amaro, col tannino vegetale sulla polpa ricca. Ancora Emilia Romagna, quale forma per sapori pugliesi, nei tortelli di ragù di moscardini in brodo di polpo.


Dove il cefalopode, icona pugliese, è portato in trionfo. Il ripieno è più o meno una luciana dalla consistenza liscia, il brodo un’estrazione in purezza, con il limone candito a sgrassare, unica punta (smussata) di un piatto rotondo. Ma c’è anche il doppio raviolo, che corre su farce parallele: da una parte l’agnello di Michele Varvara, in forma di ragù classico; dall’altra il pecorino pugliese; per condimento un fondo di agnello, arancia e chips di topinambur. Irresistibilmente comfort. E poi Milano, citata dalla panatura di un’animella impeccabile, anch’essa targata Varvara, lessata ma ancora succosa, poi fritta e dorata. Tutt’intorno una miscellanea di verdure pugliesi, dalla cima di rapa al cavolfiore, dai chiodini ai cardoncelli. Il meglio che la campagna circostante possa offrire, in equilibrio dolce/amaro. Viene cotto con una parte di acqua di mare, secondo la tecnica dello chef, in modo da esaltare la mineralità naturale. Ma c’è posto anche per la tradizione pura (o quasi): vedi la pignata, che ripesca la cottura nel coccio dei fagioli, alla maniera delle nonne di Puglia, senza abiurare l’eleganza della casa. Il brodo infatti non è solo di legumi, ma anche di gallinella e ad arricchire il piatto è un filetto arrostito dello stesso pesce, per il classico binomio italiano di mare e legumi. Chiude l’After eight, dessert che contempera l’abbraccio calorico e la freschezza a fine pasto, con l’aromaticità di un commiato balsamico. Si compone di ganache di cioccolato al 75%, gelato alla menta e perle di meringa che variano le consistenze.

AFTER EIGHT INGREDIENTI per 4 persone

PROCEDIMENTO

di panna, g. 44 di tuorlo, g. 22 di

con latte, panna, zucchero e tuorlo.

Per il cremoso: g. 110 di latte, g. 110 zucchero, g. 105 di cioccolato, g. 4 di colla di pesce.

Per il gelato alla menta: g. 120 di

latte, g. 24 di panna, g. 24 di zucchero, g. 7 di glucosio, g. 10 di zucchero

invertito, g. 9 di latte in polvere, g. 2 MEMORIE

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di stabilizzante, g. 12 di menta.

Per i mikado: g. 30 di tpt, g. 15 di

zucchero, g. 18 di acqua, g. 15 di cacao, g. 5 di glucosio.

Per il cremoso: fare una crema inglese Una volta portato tutto a 83°C, incorpo-

rare la colla di pesce precedentemente

ammorbidita in acqua e versare tutto sul cioccolato. Inserire tutto in un sac a poche e lasciare riposare 4 ore in frigorifero.

Per il gelato alla menta: unire tutti gli

ingredienti, mescolare e versare il tutto in

un bicchiere da Pacojet. Congelare per 24 ore a -18°C. Pacossare prima di servire.

Per i mikado: unire tutti gli ingredienti e

mescolare fino ad ottenere un composto omogeneo. Stendere a piacere su silpat. Cuocere a 175°C per 6 minuti.

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GOURMETFOOD

A PUTIGNANO

ANGELO SABATELLI ESPRIME LA SOLITUDINE DEI NUMERI PRIMI di

Alessandra Meldolesi

Dietro le mura cinquecentesche della residenza del marchese Giulio Romanazzi Carducci, nel centro storico di Putignano, somiglia a un viceré della nuova cucina pugliese Angelo Sabatelli, autorevole, aristocratico, bianco come le pietre dei palazzi e delle chiese. È davvero un ristorante bellissimo, quello su cui nel maggio 2017 ha issato l’insegna dorata delle Soste: ospitato sotto i soffitti a volte di quelle che furono le scuderie, con il camino sul fondo, brilla di chianca e pietre vive, che fanno risaltare la modernità delle luminarie, geometriche e affatto casuali. Più raccolto della pur bella masseria di Monopoli, pare ritagliato su misura per un grande talento, di cui rispecchia inside out l’identità territoriale e l’eleganza innata nel gioco di sfumature avorio, linee e volumi. Finalmente casa. Angelo Sabatelli infatti non è un cuoco qualunque: è un solista, prima che il numero uno indiscusso della cucina pugliese, un numero primo, irriducibile ad altre unità di misura. Come un Ulisse del Tavoliere, è partito proprio da Monopoli, dove è nato, e dopo l’alberghiero si è fatto letteralmente da sé, senza sottostare ad alcun magistero forte. Sei anni li ha trascorsi a Roma, in locali non particolarmente glamour, come Il Piacere e Giacomo, prima di conquistare la stella Michelin al Convivio. Sfornava piatti come le polpette alla trippa con astice, fave e pecorino o le orecchie di maiale ripiene di animelle. Qualcuno mugugnava: “troppo avanti”, “una cucina che non si può fare qua”. Eppure fioccavano le imi-

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tazioni. E ci scapparono pure i primi fegati di rana pescatrice della ristorazione italiana, sul modello del foie gras, inizialmente un dono del pescivendolo, che non sapeva che farne. Ma Ulisse deve viaggiare. Ed è stato il desiderio di autonomia a spingere Sabatelli sul vascello per l’Asia, dove professionalmente parlando ha trovato se stesso, mentre inseguiva le sirene di sapori ignoti. Sono stati 12 anni di 5 stelle lusso, a Jakarta e Hong Kong, Shangai e infine a Mauritius. “E nel frattempo ho visitato altri Paesi. Facevo cucina italiana, ma uscivo spesso per assaggiare i loro piatti e mi sono abituato a quei gusti. Lì per lì non avevo necessità di cucinarli o di utilizzare ingredienti esotici, ma al rientro non ho trovato nessun ristorante asiatico valido, così ho cominciato a cimentarmi per la mia famiglia e ho constatato che usavo quei prodotti con naturalezza, come se fossero miei da sempre, anche per valorizzare altre preparazioni. Se ad esempio avevo bisogno di una sapidità complessa c’era il miso, per un’acidità particolare la salsa ponzu. Ma li ho sempre impiegati con cognizione di causa, mai a caso. Senza mescolare, perché non faccio cucina fusion. Il mio ramen di piccione non ha nulla di asiatico, è tutto locale. I tocchi esotici mi servono per precisare il gusto e rielaborare la tradizione in modo originale”. L’impronta è di stampo cinese, ma il risultato ricorda maggiormente il Giappone per freschezza e leggerezza, purismo e brevità, grazie all’instancabile lavoro in sottrazione.


© Valerio Napoletano

Si direbbe che Angelo Sabatelli dipinga le sue porcellane con il pennello frugale dell’estetica zen, combinando il minor numero possibile di elementi come il pittore ispirato nelle composizioni su seta. Sono i piccoli miracoli di un cuoco la cui maturità è sicurezza, devoto alla teologia dell’eleganza e alla liturgia di sfumature talvolta subliminali, nonché al culto di un dettaglio che risulta sempre cruciale. La sua è una semplicità a tratti disarmante, che quadretta l’Asia entro le coordinate atemporali del classico, dove tutto è liscio, disadorno, essenziale. “Subtle”, come ama dire lo chef. “Credo fermamente che fra la cucina italiana e quella giapponese sussista un’affinità profonda, nell’egemonia del prodotto e nella pulizia gustativa. Ma voglio che la mia resti una proposta contemporanea e contestualizzata”, rivendica. Lo garantisce anche la spesa, compiuta di persona ogni giorno, talvolta anche due volte in quantitativi quasi casalinghi, all’interno di un trian-

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GOURMETFOOD

golo che ha per vertici Monopoli, Polignano e Putignano. “Preferisco servire una materia fresca, per massimizzare il gusto e per abbattere gli sprechi, usando sottovuoto e abbattitore solo se indispensabili. Ma non mi faccio mancare niente: fra i bovini prediligo la pezzata rossa friulana, quando non trovo il capretto pugliese uso l’agnello irlandese o scozzese, mentre il piccione è francese, perché più delicato, tenero, saporito e delle giuste dimensioni”. Anche l’ispirazione arriva spesso dal territorio, nel rispetto del gusto originario, vedi le celebrate orecchiette al ragù + 30 (cioè cotto oltre 30 ore) e fonduta di canestrato, piatto comfort ma impeccabile, o l’acquasale, sorta di panzanella pugliese. Né manca qualche signature, come l’imitatissima lasagnetta di seppia con allievo, mandorla e limone, sublime asintoto della pasticceria dalla leggiadria elusiva; le ostriche con fave e cicoria; il pancotto in forma di zolla di pane imbevuto e infornato, guarnito con le polveri degli ortaggi disidratati. Il 70% della carta però si compone di new entries. “Altrimenti mi sembrerebbe di avere le manette”. Nel trasloco da Monopoli a Putignano la domanda è cambiata: più carne e meno pesce, ma non solo. Al posto del degustazione di mare riscuote un successo crescente quello vegetariano. “Ed è un lavoro che mi ha stupito e stimolato, © Marco Varoli

SEPPIA, ALLIEVO, MANDORLA E LIMONE

© Donato Gasparro

INGREDIENTI per 4 persone

(non idratate), g. 120 di acqua minerale.

chero, g. 200 di succo di limone, g. 100 di acqua.

Congelare, pacossare per tre volte e conservare in un sacchetto

Per il limone candito: g. 100 di buccia di limone, g. 100 di zucPrendere la buccia di limone e, partendo da acqua fredda, sbollentarla per tre volte. In un altro pentolino mettere lo zucchero, il succo di limone, l’acqua e portare a bollore. Quando bolle aggiungere le bucce e cuocere dolcemente fino a quando la buccia diventa translucida, far raffreddare e taglia-

re dalla parte corta

in fine julienne. Il

quantitativo è eccessivo

per la ricetta, se avanza può essere

conservata in frigo fino a 4 settimane dalla preparazione.

Per la crema di mandorle bianche: g. 200 di mandorle intere

50

In un bicchiere da Pacojet mettere le mandorle intere e l’acqua. da pasticceria.

Per l’allievo: g. 120 di allievi (2 pezzi di circa g. 60 cadauno).

Tagliare in quattro identiche metà il corpo e la testa degli allievi, eliminare la bocca e il fegatino e conservare in acqua di mare molto fredda.

Per il velo di seppia: g. 200 di seppia (pe-

so netto della sola parte bianca), g. 10 di

albume. Frullare la seppia con l’albume, passarla al setaccio per eliminare tutte le parti dure, recuperare la parte bianca e, se occorre, aggiustare di sale. Dividerla in parti uguali in due sacchetti da sot-

tovuoto, sigillare e con un mattarello

dare la forma di un sottile rettangolo.

Cuocere a vapore a 65°C per circa 6 minuti,

raffreddare in acqua ghiacciata e tagliarla in due

formando così 4 rettangoli.


© Danilo Giaffreda

ORECCHIETTE AL RAGU + 30, fonduta di canestrato INGREDIENTI per 6 persone g. 400 di orecchiette baresi (molto piccole) Per il ragù: g. 100 di vitello (muscolo), g. 100 di maiale (capocol-

lo), g. 100 di manzo (polpa di costato), g. 10 di carota in brunoise, g. 10 di sedano in brunoise, g. 20 di cipolla in brunoise, 1 spicchio

di aglio in camicia, 2 foglie di alloro, g. 200 di salsa di pomodoro, g. 100 di acqua minerale (se occorre), g. 150 di olio extravergine

entusiasmante sui carciofi. Era già implicito nella melanzana, ma si è sviluppato ulteriormente attraverso l’impiego di salamoie calibrate che consentono di servire un prodotto in purezza, che si cucina praticamente da solo, senza alcuna aggiunta se non la glassa finale. Prendiamo una rapa: magari un giorno la cucino in un modo, il giorno dopo in un altro, perché il prodotto può cambiare, può aver preso freddo o altro. Ed è una lezione che ho appreso in Asia, dove spesso mancavano ingredienti idonei, quindi mi dovevo ingegnare. A Jakarta facevo prove su prove, finché il risultato non era giusto”. Costa 70 euro, mentre I classici con le loro 8 corse ne vengono 100 e le 10 Emozioni extraterritoriali, a mano libera “tra tradizione e innovazione”, 120. La carta dei vini è ulteriormente cresciuta sullo zoccolo di Monopoli, superando le 1000 referenze, con un 30% di Puglia e cospicue iniezioni francesi, senza esclusivismi per assecondare il gusto ecumenico. È ospitata nel suggestivo ventre del palazzo, presto attrezzato per le degustazioni. A guidare la sala, come sempre, la professionalità di Laura Giannuzzi, compagna nella vita e sul lavoro, talvolta coadiuvata dalla figlia Simona.

d’oliva, sale e pepe.

Rosolare i pezzi di carne in metà olio extra vergine di oliva fino a quando hanno acquistato un bella colorazione; salare e pepare.

In una pentola far rosolare dolcemente in olio extravergine la

brunoise di verdure, aggiungere l’aglio, l’alloro, la carne rosolata,

la salsa di pomodoro e, se risulta troppo denso, aggiungere un pò

di acqua; far sobbollire 1 minuto e aggiustare di sale, se occorre.

Raffreddare velocemente; mettere in buste, sigillare sottovuoto e cuocere per 30 ore a 83°C. Trascorso questo tempo, estrarre le buste e raffreddarle gradualmente. Quanto sono ben fredde,

estrarre il contenuto delle buste (eliminare l’aglio e l’alloro) e tagliare la carne in cubetti. Mischiare al sugo e mettere in padella.

Per la fonduta di canestrato: g. 50 di canestrato, g. 150 di crema di latte.

Portare a bollore la crema di latte, aggiungere il formaggio, sciogliere bene e mantenere in caldo.

PROCEDIMENTO E ASSEMBLAGGIO

Cuocere le orecchiette in abbondante acqua salata, scolarle, mantecarle con il ragu e porzionarle come da foto. Irrorare la superficie con la fonduta e completare con una grattata di noce moscata.

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GOURMETFOOD

PICCIONE in crosta di cioccolato su cipolle sponsali brasate INGREDIENTI per 4 persone

in una padella con olio extravergine di oli-

g. 22,5 di burro, g. 12,5 di cacao, g. 22,5 di grue di cacao.

cuocerli per 1 minuto circa per lato, mette-

Per la base di cioccolato: g. 60 di zucchero semolato, g. 40 di succo di arancia, g. 25 di farina 00, Mettere zucchero, succo d’arancia, burro, cacao, e farina in un frullatore e amalgamare, inserire in un contenitore, aggiungere il grue’ e conservare.

Per le cialde di zucca: g. 100 di zucca, g. 20 di zucchero semolato, g. 320 di burro, g. 60 di farina 00, g. 200 di acqua minerale.

Tagliare la zucca in pezzi non troppo grandi e cuocerli a vapore; quando si raffredda, mettere in un

frullatore e aggiungere tutti gli altri ingredienti: frullare fino a quando il composto risulta ben amal-

gamato. Con un cucchiaio versare delle noci di impasto in una padella antiaderente calda, ridurre il

fuoco e cuocere da ambedue le parti, scolare bene il grasso in eccesso e conservare in un contenitore ermetico.

Puré di zucca: g. 300 di zucca, g. 30 di zucchero Muscovado, g. 10 di buccia di limone (grattugiata), ml. 10 di amaretto, sale e pepe q.b.

Tagliare la zucca in pezzi e cuocerla al vapore; ancora calda metterne 150

va per circa 4 minuti; aggiungere i petti e re cosce e petti in una teglia, napparli con

la base di cioccolato e infornarli a 180°C per 1 minuto. Ripetere l’operazione ancora

una volta. Togliere dal forno, spolverarli con il pistacchio tritato e far riposare a 48°C per circa 3 minuti. ASSEMBLAGGIO

Distribuire la salsa nei piatti, suddividere la cipolla al centro, le due puree di zucca e le patate come da

foto. Comple-

grammi nel frullatore e aggiungere lo zucchero e la buccia di limone;

tare pog-

frullare bene, aggiustare di sale e conservare al caldo. Prendere gli altri 150 grammi di zucca e frullarli con l’amaretto, aggiustare di sale e conservare al caldo.

Per gli sponsali brasati: g. 400 di cipolle sponsali (affettate), g. 50 di olio extravergine, sale e pepe q.b.

Rosolare le cipolle con olio di oliva a fuoco alto fino a caramellare gli zuccheri, aggiustare di sale e pepe, coprire con un coperchio, abbassare la fiamma e cuocere lentamente fino a quando sono morbidi. Aggiustare di sale, se occorre, e conservare al caldo.

Per la salsa: g. 250 di fondo bruno di piccione, g. 100 di burro, g. 5 di pepe nero in grani (schiacciato).

Tostare il pepe nel burro fino a quando risulta leggermente dorato, aggiungere il fondo di piccione e portare a densità. Aggiustare di sale, se occorre.

Altri Ingredienti

g. 100 di patate banana.

Per il piccione: g. 2 piccioni di g. 600 ciascuno, g. 80 di polpa dei

filetti e ali (tritati), g. 30 di foie gras di oca (tagliato in piccoli cubetti), g. 2 di grue di cacao, g. 3 di rosmarino (tritato), g. 3 di cioccolato 70% (tritato), g. 2 di prezzemolo tritato, ml. 40 di olio extravergine d’oliva, g. 20 di pistacchio (appena tritato), sale e pepe q.b.

giando il petto sugli spon-

In una bacinella mettere il macinato di piccione, il grue, ciocco-

sali, la coscia di fianco e

lato, rosmarino, prezzemolo e amalgamare bene; aggiustare di

la cialda.

sale e pepe e, delicatamente, incorporare il foie gras. Mettere

NOTA

in un sacchetto da pasticceria con la bocchetta liscia da 8 mil-

limetri. Con un coltello affilato rimuovere i petti e le coscie del

Le patate banana so-

piccione. Prendere i petti e praticarvi un incisione alla parte alta e

no semplici patate tor-

con la punta del coltello ricavare una tasca; farcirli con il composto

nite più lunghe, bollite e

precedentemente preparato.

Condire i petti e le cosce con sale e pepe, rosolare le cosce

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saltate al burro con aggiun-

© Dragan Filipovic

ta di prezzemolo alla fine.


Dopo il fuoco di fila degli appetizer (l’ormai classico datterino di pappa al pomodoro glassato alla gelatina colorata di basilico; la sfera di melanzana glassata al formaggio con polvere di pesto, modello parmigiana; il lampascione fritto come un carciofo alla giudia in miniatura, appena ingentilito dal vincotto; l’ariosa meringa di farinella di ceci, tipicità di Putignano; l’intensa tartelletta di grano arso con ricotta forte e pomodoro arrosto fra gli altri), di ispirazione perlopiù territoriale, sono implacabili gli antipasti, forse la portata più congeniale allo chef. È tanto disarmante quanto centrata, per cominciare, la semplicità degli scampi sul ghiaccio, sulla falsariga dei celebri crostacei “al ghiaccio”, dove la coda in tartare è adagiata su un uovo gelato, che ritma i tempi della degustazione, appena spolverizzata di kefir lime e yuzu per un’acidità sottile. Mentre la testa si staglia dietro, bollita, a ricalcare la ricetta originale. “Lo definirei un piatto provocazione, dove ho invertito i ruoli codificati, cercando di restare fedele al modello”. Significa chaud-froid e un purismo/ crudismo tutto pugliese, senza ombra di grassi, scassinato per così dire dall’interno. L’acquasale, presentata in forma di sfera a partire dagli ingredienti di sempre, con gamberi crudi, gel di pomodoro e cetriolo, olio nero e in polvere, viene talvolta affiancata allo scampo in tempura al furikake, mix di scarti vegetali, avanzi di pesce e semi, utilizzato come condimento secco in Giappone. Sabatelli lo rielabora spezzettando cialde di riso al pomodoro, agli spinaci e alla barbabietola, più sesamo, fiocchi di katsuobushi e qualche punta lubrificante di maionese agli agrumi. Ne risulta un gioco di specchi fra caldo e freddo, presente e passato, qui e altrove.

MELANZANA ARROSTO pomodorini, basilico e burrata INGREDIENTI per 4 persone

2 melanzane di g. 300 ciascuna, g. 50 di salsa di soia, g. 100 di olio extravergine d’oliva, 4 pomodorini confit, g. 50 di olio di basilico, g. 40 di stracciatella di burrata. PROCEDIMENTO

Sbollentare 100 grammi di foglie di basilico, ghiacciarle e strizzarle. Metterle nel

termomix con 50 grammi di olio extravergine e frullarle alla massima velocità per 2 minuti, dopodiché settare la temperatura a 60°C e far andare per altri 10 minuti a velocità 4. Filtrare con un panno e conservare.

Pelare le melanzane e friggerle intere in olio di arachidi. Quando sono dorate, scolar-

le su carta assorbente, metterle in teglia e con uno spiedino bucarle per tutta la superficie. Irrorarle con 1/3 di emulsione fatta con l’olio extravergine e la salsa di soia e infornare a 180°C per circa 12 minuti. A questo punto girare le melanzane e irrorarle nuovamente con l’emulsione, infornando per altri 12 minuti. Ripetere una terza volta.

Sfornare e posizionarvi sopra una teglia con un peso che le pressi dolcemente fino ad uno spessore di 3 centimetri; far settare e raffreddare in frigo per una note intera.

In un pentolino recuperare il succo delle melanzane e l’olio di cottura che sarà rima-

sto nella teglia; passarlo in abbattirore. Quando l’olio si sarà solidificato, eliminarlo e recuperate il succo; portarlo a bollore e legarlo con poca Maizena (questa salsa servirà per glassare la melanzana).

Tagliare le melanzana in 4 parallelepipedi, spennellarli con la salsa e infornare a 180°C per 4 minuti; glassare e infornare nuovamente, dopodiché tirar fuori e glassare un’ultima volta. Al centro di ogni piatto mettere un pezzo di melanzana; irrorare con l’olio di basilico; completare con il pomodorino confit e la stracciatella di burrata.

© Donato Gasparro

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GOURMETFOOD

Non è da meno la capasanta, ingrediente extra territoriale per antonomasia, quasi una provocazione volta a sconfessare i dogmi paralizzanti del chilometro zero. La noce scottata viene servita nella sua conchiglia, guarnita di perle di tapioca cotte in brodo di alghe, prima della tartare condita con battuto di ananas al sale, marinato come un citron confit nordafricano, limone nero e foglie di capperi per il classico binomio della cucina di mare. Infine il brodo, da sorbire nella conchiglia, preparato come un jus con lische di pesce tostate, sakè e zenzero, che ripulisce il palato. I primi sono più comfort e italiani, vedi le orecchiette già citate o il risotto con purè di zucca, tartufo nero ed erborinato di Altamura, dalla geometria classicista. Ma i secondi ripartono in viaggio. Ci sono le costolette di agnello con crosta di ‘nduia (sul modello del burro e pane francese) e cime di rapa; ma c’è anche il sontuoso ramen, con il petto rosato e scaloppato, le vongole per l’elemento marino di una ricetta totale, i troccoli pugliesi e un brodo di estrazione di piccione con cannella, anice stellato e zenzero, passato per © Marco Varoli © Danilo Giaffreda

20 minuti di pentola a pressione. A fianco, per la sostanza, la coscetta panata e fritta, glassata con miele e soia. Forse l’unica nota straniera di un esotismo ricontestualizzato. Dopo l’intramontabile bonbon di cioccolato amaro, liquore al carciofo e lampascioni, che resetta amaramente il palato, scivola come una carezza, morbida e rassicurate, la tatin di sfoglie di mela arrotolate a forma di cilindro e cotte al caramello, senza burro; i dischi che se ne ricavano sono serviti con crumble, gelato alla vaniglia e salsa al cioccolato bianco.

ANGELO SABATELLI

Via S. Chiara, 1 - 70017 Putignano (BA) - Tel. 080 405 2733 www.angelosabatelliristorante.com

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di

Alessandra Meldolesi

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A LECCE

BROS’ BANG

L’ESPLOSIONE DELLA NUOVA CUCINA PUGLIESE Va di moda il Salento, non è una novità. Ed è bellissima Lecce, quando fuori dalla stagione frenetica riprende per abitudine i suoi vecchi ritmi, con il tempo che si ferma ai crocevia. Uno di questi conduce per blocchi di pietra in via Acaja, davanti a vetrate polverose di metropoli. Quelle di Bros’, prima che un ristorante, un laboratorio dell’identità salentina, capace di coniugare passato remoto e trapassato futuro in un’ardita archeologia del divenire. L’atmosfera è quella minimal e spigolosa di un bistronomico di qualche capitale, con i tavoli nudi e i fili a vista delle luminarie, fra cui si aggira un personale quasi imberbe, tanto è giovane, non meno elegante che affabile. L’anagrafe del resto parla chiaro: siamo a casa di Floriano Pellegrino, 28 anni, e della sua promessa sposa Isabella Potì, appena 23. Due ragazzini che si sono messi in testa di portare nel mondo il Salento vero. E per questo hanno viaggiato, studiato, sgobbato, tesi verso un

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risultato che appare finalmente a portata di mano. Nel loro cuore l’orgoglio di un’identità a parte: “L’unica carta vincente nella competizione mondiale. Perché nessuno può diventare ciò che non è stato”, si infiamma Floriano. Tutto è stato possibile grazie a mamma Caterina e zio Antonio, e prima ancora a quella nonna mancata tre giorni prima del coup de feu del 26 dicembre 2015, data di inaugurazione del ristorante. La famiglia di Floriano affonda infatti le radici nell’agro di Scorrano, dove questi tuttora si reca con la brigata a raccogliere le erbe e gli ortaggi per il ristorante, in modo da fiutare la stagione e il bosco. Contadini, ma non solo. Visto che c’era pure un agriturismo con il fuoco grande sempre acceso per gli arrosti e le pignate. Cosicché l’ultimo menu autunnale di Bros’ ha svolto il tema del tabacco, che i Pellegrino coltivavano nei loro campi e una volta essiccato portavano in mani-

fattura. Si chiama “Fimmine fimmine ca sciati allu tabaccu”, da un detto salentino che riecheggia la canzoncina intonata dalle raccoglitrici. L’ombra di Carmen in un omaggio alla tradizione femminile, che sfodera unghie graffianti. “Ho sempre saputo che volevo fare lo chef”, racconta Floriano, i jeans strappati sotto la giacca da chef, in bocca un pidgin mezzo inglese, mezzo dialettale. “Ma nell’estrema provincia del Salento meridionale ho dovuto viaggiare per capire quale fosse la mia missione: riprendere ciò che facevano i nonni, in chiave contemporanea. Dopo le prime esperienze negli alberghi e un anno a Galliate con Ilario Vinciguerra, mi sono imbattuto in Martin Berasategui e l’ho seguito a Lasarte. Lavoravo nel suo laboratorio di investigazione, ma per me era una seconda casa, da cui andare e venire. Ed è stato così che ho fiancheggiato

René Redzepi, Alexandre Gauthier, Eneko Atxa, Andoni Luis Aduriz e Claude Bosi. Tutti maestri che mi hanno cambiato, nel senso dell’organizzazione propria delle grandi maison come della comprensione del processo creativo. Oggi Bros’ funziona come un ristorante pluristellato, anche se siamo ancora agli inizi. Portiamo avanti un metaprogetto di investigazione e sviluppo, articolato in aree tematiche come la comunicazione, il gusto del Salento, la masseria moderna, che significa principalmente autarchia”. “A un certo punto infatti ho realizzato che avevo percorso il mondo, senza mai studiare casa mia. E mi sono sentito pronto: dobbiamo essere veloci, perché il mondo può correre più in fretta di noi. I miei fratelli Giovanni e Francesco, che hanno aperto il ristorante con me, hanno continuato a formarsi qua e là, usufruendo dei soldi comuni distribuiti secondo le esigenze

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GOURMETFOOD

di tutti; come Isa, che ha lavorato da Berasategui, Torreblanca e Bosi, più recentemente anche da Mauro Colagreco e Rasmus Kofoed. Questo per me è il momento dello sviluppo: mi basta circondarmi di cuochi e stagisti stranieri, che portino acqua fresca laddove potrebbe stagnare. Ed è già in agenda un nuovo ristorante, gastronomico puro, che dovrebbe aprire alla fine dell’anno”. L’impressione è quella di assistere a un big bang, che preluderà a chissà cosa. L’atto di nascita di una giovane cucina meridionale diversa da tutte le altre, capace di ricreare le sue stesse origini con fedeltà di sangue, nella consapevolezza che “la tradizione non è un patrimonio che si possa tranquillamente ereditare; chi vuole impossessarsene deve conquistarla con grande fatica”, secondo il dettato di T. S. Eliot. Non c’è strimpellare di mandolino o di pizzica che tenga: la piacioneria arrotondata di tanti giovani vecchi è lontana. Non si tratta solo di materie prime, che anzi rischierebbero di portare il cuoco nel vicolo cieco dei matrimoni combinati, ma di uno studio del gusto locale, che ne estrapola il potenziale ribelle e avanguardista, per custodi mamma Caterina, che assaggia in anteprima ogni menu, con potere di veto, e zio Antonio, alla guida di una mandria di 35 cavalli. Poi c’è un gastronomo, Massimo Voglio, che a ogni cambio di menu, con qualche mese di anticipo, viene consultato sugli usi e costumi. “Quando gli ho chiesto quale fosse il gusto dell’autunno salentino, ha tirato fuori una mostarda di olive di Bitetto, salvia e arancia. Una bomba. Perché noi non abbiamo niente a che fare

LINQUINE, PISTACCHIO, LIQUAMEN INGREDIENTI

g. 100 di linguine

kg. 2 di pistacchi (già ammollati) liquamen

sansyo pepper Per il latte di pistacchio

Frullare il pistacchio già ammollato con abbondante acqua; strizzare con canovaccio; texturizzare con Xantana. PROCEDIMENTO

Cuocere 70 grammi di linguine in acqua salata; amalga-

mare con 40 grammi di latte di pistacchio e 10 grammi di liquamen; finire con sansyo pepper macinato.

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SOUFFLÈ AL CIOCCOLATO INGREDIENTI

Per la base: ml. 250 di latte, g. 25 di zucchero, 3 tuorli d’uovo, g. 15 di Maizena, g. 150 di cioccolato 60%, 1 baccello di vaniglia.

Far bollire il latte con la vaniglia, a parte unire i tuorli con lo zucchero, aggiungere poi la Maizena, versare parte del latte nel composto di tuorli; mescolare bene e riversare il tutto nel latte. Far bollire per pochi minuti mescolando continuamente fino ad ottenere una consistenza liscia. Una volta raggiunti i 60°C aggiungere il cioccolato in fave e sciogliere amalgamando.

Per il soufflé: g. 50 di base, g. 50

di albume, g. 15 di zucchero, burro, zucchero.

Montare gli albumi con 1/3 di zucche-

ro alla volta fino ad ottenere delle pun-

te morbide; amalgamare sempre 1/3 alla

volta, l’albume alla base con molta delica-

tezza; versare in uno stampino per soufflé precedentemente imburrato e zuccherato.

Cuocere a 200°C per circa 8 minuti. Servire immediatamente.

con il resto della Puglia: discendiamo dai messapi, siamo greci e bizantini. Ma vogliamo essere internazionali a casa nostra”. Il risultato assomiglia a una metempsicosi dell’avanguardia italiana di conio Lopriore, attenta a liberare nelle tradizioni regionali, narcotizzate dall’abitudine, gli acidi con cui corrodere lacci e cinghie dell’accademismo, rovesciando l’affondo etnico in provocazione avanguardista. Ma questo accade una generazione più tardi e con diversi magisteri; uno sguardo sul Giappone, naturalmente affine per la brevitas, il crudismo, la naturalezza, e un altro

verso la Scandinavia reinterpretata da un macedone, anch’egli dunque mediterraneo. Ricorrono le fermentazioni, per quanto ricondotte al retroterra salentino (leggi ricotta forte), quale viatico per una temporalità diversa e nostalgica del piatto, quasi un’altra dimensione. La sua massima espressione è il rancido, gusto della massima complessità e persistenza, attualmente allo studio. Scorrano è il paese delle luminarie e gli è stato dedicato il menu “Shine on you”, incentrato proprio sull’intensità e la concentrazione di queste famiglie gustative (lo evidenziano pezzi di ar-

redo anch’essi stagionali e la presentazione della piccola pasticceria). Può essere gustato alla carta, in formule da 5 o 15 piatti rispettivamente a 70 e 135 euro, con abbinamento di vini pugliesi, italiani o del mondo, birre, cocktail o succhi di stagione. Ma l’ideale è mixare, con i centrifugati che smussano restando nel registro raw e gli alcolici che vanno a ripulire, scongiurando l’effetto mangia e bevi. I primi piatti sono interlocutori: composti di pochi elementi, a volte appena due, col coraggio di chi ha cuore, avanzano un registro acido misurato ma diretto, per sollecitare appetito e

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GOURMETFOOD

digestione. Lasciano sempre al centro la materia, che da queste parti ha spigoli e spigolature tutte sue, con l’amaro degli oli e degli ortaggi in evidenza. Ecco allora la sferificazione di burrata, che sembra manierista, ma vuole ricostruire il latticino perfetto, dalla pelle sottile e uniforme, con concentrazione di succo di pomodoro de ’mpisa, il piennolo locale, congelato e separato dalla sua acqua, e olio agli agrumi (gli aromatizzati in stile Passard sono una quindicina). Oppure la cipolla, un intarsio barocco leccese di petali in pickle o con diversi aceti, lampascioni, olio di sponsali, ribes fermentato al rum per la pulizia alcolica, tapioca in brodo di cipolle, amarene sciroppate, concentrato di cipolla di Montoro alla brace e abbondante olio infusionato al geranio, che insieme ai fiori di carosello, il finocchio selvatico, riporta la liliacea nel bouquet che gli è proprio.

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Segue quella che Floriano chiama “fase umamica”, articolata per complessità crescente verso registri più provocatori, con note rancide dominanti prima della pasticceria, di stampo classico e comfort, firmata da Isabella. Vedi la barbabietola maturata per due settimane in una pasta amidacea ai pomodori secchi e peperoni alla conza e servita cruda a mo’ di insalata, con mandorle a smussare, capperi e gel di vino spunto, un aceto bambino. Ma il signature di Bros’ è la ricotta forte, un ingrediente feticcio che rappresenta l’orgoglio salentino, idiosincratico quanto altri mai. “È l’attaccante del menu, ma volevamo ingentilirla per renderla comunicabile e abbiamo pensato a una panna cotta al latte vaccino”. Il connubio con il coulis lucido di ricci di mare ne isola e rilancia la sensazione fenica, appena addomesticata dalla grassezza pastosa, senza tentare di snaturarla o di sterilizzarla, ma anzi sottolineandola. Una lettura geniale. Nelle linguine Floriano dimostra di saperci fare anche con i primi, cosa non scontata per chi si è formato all’estero. Sono condite con liquamen, una colatura grezza, senza passaggio nelle botti, pistacchi e una spolverata di pepe sancho, che elettrizza ogni morso scongiurando la confortevolezza del carboidrato, da sempre invisa agli avanguardisti. Ma spingono anche i fagioli dall’occhio, cotti classicamente nella pignata, Roner ante litteram, per un’esplosione carnea di umami e serviti con un brodo infusionato alla salvia, concentrazione di amaro, terrosità e balsamico che estremizza l’equilibrio gustativo della memoria. I secondi hanno una composizione iperclassica (pièce, sauce, garniture) e una semplicità tutta orientale. “Perché noi siamo un kaiseki Salento.


Lo era già mia nonna, con la cicoriella amara e i gamberi crudi”. Quindi il pesce del mercato del giorno spennellato di grasso rancido (come la faraona e la quaglia) e cotto al barbecue (“perché la padella la odio, cuocio tutto alla griglia o alla plancha. Aspettare, riposare, toccare”), con patata dolce, friggitelli, oliva cellina; il maiale nero frollato con arachidi e lattuga; l’animella in pastella ai ceci con liquirizia Amarelli, sponsali e physalis per lo stacco acido. La pasticceria è introdotta da un altro signature: Bros’ Vitaminico, con gelatine di frutta di stagione a forma di lettere e un brodo freddo infusionato di zenzero e cannella. Poi i dessert di alta scuola di Isabella (ma qui tutti fanno tutto, anche la plonge). “Un paio di mesi prima del lancio del nuovo menu, io e Floriano ci sediamo a tavolino e riflettiamo sulle tradizioni e i sapori, poi ci confrontiamo con il resto della brigata e iniziamo le prove”, racconta. “Abbiamo scelto di dare al fine pasto una connotazione ‘neoclassica’, rivitalizzata da tecniche e gusti nuovi, in continuità con il salato, ma più soft, direi pop”. Quindi il gelato al latte di pecora con l’ananas tranciato al guéridon, cotto al barbecue per mezza giornata e glassato alla melassa di melagrana, in seguito a uno studio sulle melasse del Mediterraneo. “Perché il nostro sforzo è quello di spostare il baricentro verso sud”. Oppure i soufflé, cavallo di battaglia di Isabella, al limone e miele o alla castagna con gelato di alloro. “Il mio maestro in materia è stato Claude Bosi, poi ho studiato e praticato. Ho una passione per questo dessert da quando ho iniziato a destreggiarmi in pasticceria e credo che il forte legame con la cucina mi aiuti a combinare i gusti”.

Ma non manca mai un dessert tutti frutti, per la massima leggerezza, in questo momento il millefoglie di sola pera con gelato di caramello e gel di bergamotto. Mentre è ormai un signature (Bros’ ante litteram, visto che risale al 2013) l’Uovo fucking gold a strati dentro il guscio di acciaio, con salsa mou, pasta di limone amara, biscotto, tuorlo marinato ma fluido per la leggera sapidità, spuma di latte e vaniglia a blandire. La piccola pasticceria è al carrello, per evitare sprechi e assecondare il gusto personale.

BROS’

Via Acaja, 2 - Lecce Tel. 0832 092601

www.brosrestaurant.it

info@pellegrinobrothers.it

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GOURMETFOOD

ANTONIO BUFI A

LE GIARE

A BARI UNA CUCINA PSICHEDELICA foto di

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di Giovanni Mastropasqua e Sandro Romano Giovanni Mastropasqua - Ezio D’Onghia - Fabio Ingegno


Antonio Bufi raccoglie radici, tuberi e altri vegetali. Fa fermentare il cavolo cappuccio, fa germinare il riso rosso e il grano saraceno, fa marinare il barattiere, raccoglie i germogli di borragine e mette in salamoia il cetriolo; cita Marchesi, ma nella pratica trova il modo per allontanarsi da tutto ciò che è conformato. Lui, a differenza del compianto Maestro, non solo non sottrae elementi, ma al contrario si diverte ad aggiungerne di nuovi fino a quando vede completato quel “Cosmo” che aveva in mente di realizzare. Kosmos, un ordine nel disordine o forse un disordine nell’ordine. Lucia Della Guardia, compagna di vita, lo affianca nelle decisioni, immagazzina e traduce in accoglienza e in cultura tutto ciò che arriva dalla cucina. Le Giare di Bari non è un ristorante “normale”: quando accarezzerete le tovaglie appositamente stropicciate di questo ristorante, inizierete a capire il perché.

UN RISTORANTE DALLO STILE COMUNICATIVO PSICHEDELICO Quando Lucia racconta il menu, viene spontaneo chiedersi cosa realmente succede nelle cucine durante la preparazione dei piatti. La risposta, anzi, le risposte, non sono un tabù: Lucia non si sottrae a particolareggiare i retroscena del retrocucina, ma la vera e pura anima del ristorante l’abbiamo trovata all’interno del loro “SERIAL KITCHEN - what really happens inside the kitchen and nobody knows!”, social group di Facebook nel quale Antonio e Lucia si aprono ad uno stile comunicativo irriverente e psichedelico fortemente controcorrente rispetto alla comunicazione patinata degli chef-che-camminano-sulle-acque; Qui c’è acqua micellare per fondotinta delle star televisive; un dito indice sul naso al cicaleccio della gente frivola e allo schiamazzo dei tuttologi del food... questo è Serial Kitchen. Serial Kitchen... bel nome per un ristorante, assai più azzeccato del rassicurante Le Giare.

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GOURMETFOOD

LA STORIA Le Giare è uno tra i ristoranti più promettenti della città di Bari, un luogo in cui gustare una cucina ricercata, abbinata ad un servizio di ottimo livello, non ingessato ma moderno e informale. In cucina Antonio Bufi, chef molfettese di solida esperienza e spiccata creatività. Antonio è definito da molti “talento ribelle”, e lui è esattamente questo: talento, perché ha tecnica, estro, inventiva e una bella dose di follia, che rende unica e riconoscibile la sua cucina; ribelle perché non si piega alle regole, cerca di stravolgerle o di inventarne di nuove. Un po’ genio e sregolatezza, quindi, ma, proprio per questo, un suo piatto è individuabile in mezzo ad altri mille. Antonio è cuoco maturo, con un bagaglio di esperienze acquisite alla prestigiosa corte di Moreno Cedroni, per il quale curava le aperture dei ristoranti all’estero. Ancor prima era stato in ristoranti stellati di Francia, Svizzera e Toscana, dove si era fatto le ossa come commis e lavapiatti, mentre nella sua città, Molfetta, era stato l’aiuto di Sergio Cantatore presso il ristorante Al Borgo Antico e di Salvatore Bufi dell’omonimo ristorante. Prima de Le Giare, invece, era il responsabile della cucina di Eataly Bari, e, anche lì, la sua idea di cucina riusciva a staccarsi con grande personalità dagli standard del colosso piemontese. Eppure, quell’equilibrio capace di governare il talento del cuoco molfettese ha un nome: Lucia Della Guardia. Lucia “cuoca di sala” (come l’abbiamo definita noi) nel poco tempo che le rimane fa la ballerina. Forse proprio dalla disciplina del ballo ha trovato il rigore, la fantasia e quell’equilibrio che permette ad Antonio di governare il talento. Un riuscito connubio, quindi, nel quale i due cuochi si completano a vicenda e marciano all’unisono in una direzione spesso nuova, a volte rischiosa, certamente mai banale. La passione per la gastronomia è il cemento del loro legame che li ha spinti a studiarne la storia e le tecniche e a sondare il campo della sperimentazione, rendendo ogni loro piatto un’esperienza nuova e decisamente divertente.

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COSA MANGIARE Al ristorante Le Giare di Bari, già dal menu ti accorgi che qualcosa di diverso c’è, perché non si utilizza la consueta suddivisione delle portate tra antipasti, primi, secondi e dessert; i piatti sono elencati senza un preciso ordine e tutti offerti allo stesso prezzo di 15 euro, ma la cucina è tra le più interessanti della città. L’idea è quella di non costringere il cliente in uno schema prefissato, lasciandolo libero di spaziare come desidera, in un percorso orizzontale da scegliere in grande libertà. Scorrendo il menu si capisce subito che ci si trova in un luogo dove nulla è scontato e piatti come il burger di ceci neri di Acquaviva germinati, cavolo viola fermentato e bagnetto verde di spinaci e chia o il fegato di vitello, battuto di scampi, crema di cicoria e puntarelle all’acciuga non sono esattamente quello che si potrebbe trovare ovunque. La nostra degustazione è partita con il benvenuto di Lucia, un Kombucha in seconda fermentazione con estratto di fragola, buccia di mandarino essiccato e ghiaccio di sedano, bevanda appena frizzante dotata di una gradevole e fresca acidità, che ha predisposto al meglio il palato ai piatti successivi, insieme ad una serie di piccoli assaggi formate da diverse verdure fermenta-


INSALATINA DI RISO ROSSO GERMINATO

crema di topinambur, uva apirene, mostarda di senape e fragole al forno INGREDIENTI per 4 persone

Per l’uva apirene: porre in un contenitore di vetro i chicchi di uva apirene (usando possi-

g. 200 di riso rosso integrale

temperatura che si aggiri intorno ai 20/24° coperto con una garza dalla maglia sottilissi-

Per il riso

l. 2 di acqua

Per le fragole

g. 250 di fragole

g. 20 di olio d’oliva

g. 10 di zucchero di canna Mascobado g. 5 di sale fino integrale

g. 10 di foglie di rosmarino Per l’uva apirene

g. 500 di uva apirene l. 1 di aceto di mele

Per la crema di topinambur 10 topinambur

Per la citronette g. 500 di olio

bilmente quelli un po’ più acerbi) e coprire con l’aceto. Riporre in un luogo fresco con una

ma. Dopo 4 giorni, chiudere con il coperchio e lasciare per almeno 3 settimane prima di cominciare ad usare. Conservare in frigo a 4°C.

Per la crema di topinambur: lavare bene il topinambur e lasciarlo con la buccia. Passarlo su una griglia a carboni e bruciare leggermente la pelle. Chiuderlo in un cartoccio di sta-

gnola e cuocerlo sotto la cenere dei carboni. In mancanza, utilizzare un forno a convezione ad una temperatura di 180°C per almeno 1 ora o fino a quando non abbiano raggiunto una consistenza morbida.

Lasciar raffreddare e frullare al thermomix fino a quando non abbia raggiunto una consistenza liscia.

Per la citronette: emulsionare tutti gli ingredienti in un blender o con un frullatore a immersione. Mescolare poi con le fragole al forno frullate.

Sulla base di un piatto fondo mettere un cucchiaio di crema di topinambur e qualche goccia di mosto cotto di fichi. Aggiungere il riso aiutandosi con uno stampino e, sulla sommità, aggiungere un cucchiaio di mostarda di fragole e un chicco di uva tagliato in 4. Deco-

rare con un germoglio di pisello selvatico, qualche goccia di olio di oliva extravergine, dei petali di tagete, e delle gocce di liquido di macerazione dell’uva con Xantana.

g. 250 di succo di arancia g. 7 di sale

g. 2 di pepe

g. 175 di senape g. 50 di miele

PROCEDIMENTO

Per il riso: mettere in ammollo il riso

nell’acqua per 6/8 ore. Scolare e stendere in una placca forata, coprendo con della

carta stagnola forata. Riporre in un am-

biente fresco e ventilato con una temperatura che non superi i 24°C, avendo l’accortezza di sciacquare per almeno 2 volte

al giorno, il tutto per 4/5 giorni fino a che il germoglio non abbia raggiunto la lunghezza di almeno 2 centimetri.

Riporre in frigo in un contenitore con coperchio.

Per le fragole: eliminare il picciolo, lavarle

e tagliarle a metà verticalmente. Metterle in una placchetta con gli altri ingredienti e infornare per 15 minuti a 200°C. Riporre in frigo.

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GOURMETFOOD

te che Antonio e Lucia chiamano “Tu chiamale se vuoi cruditè”. Antonio Bufi, a sua volta, ha fatto il suo ingresso in campo con uno stuzzicante gambero rosso di Mazara, gel al limone, polvere di olive e chips di riso e barbabietola. E’ ancora Lucia a proseguire le danze (chi se non lei?) con il suo finto cous cous di mandorle di Toritto e cavolfiore, gazpacho di opuntia dilleni e fragole candite, piatto leggero, ancora una volta di dosata spinta acida. Impegnativa e allo stesso tempo divertente la masticazione di questo piatto, dovuta alla consistenza della mandorla che, abbinata agli altri inusuali ingredienti, si propone come esperienza totalmente nuova e difficilmente ripetibile fuori da questo ristorante. Il capolavoro assoluto è la punta di petto di vitello, “salsa mac” al pomodoro Regina di Torre Canne, porro alla soia, polvere di bottarga arance e capperi. Antonio Bufi, in questo piatto, ha espresso tutta la sua maturità di cuoco, riuscendo ad ottenere, con la giusta cottura dei vari elementi, un mix di consistenze e sapori riconoscibili tutti in quell’unico pezzo di carne, nel quale il grasso diventa l’esaltatore perfetto

del gusto racchiuso nella parte magra. Apprezzatissima l’idea di trasformare un taglio solitamente usato per farne brodo, in un piatto elegante che diventa una sorta di millefoglie contenuta in un sol pezzo, grazie alle stratificazioni naturali della carne, che si alternano tra grasso e magro, sfruttate alla perfezione e esaltate dalla perfetta cottura a bassa temperatura. Il successivo spaghettini Del Duca all’aglio, olio, prezzemolo e anemoni di mare è piatto che conferma la mano felice di Bufi, preciso nell’esecuzione, originale nell’ideazione e nella sfumatura finale data dall’azzeccato inserimento del sakè “Junmai Daiginjo”. Si prosegue con petto d’anatra, sporchia, mayo al wasabi e purea di ogliarola De Carlo, giusto mix di tecnica e esaltazione dei sapori, in cui risulta particolarmente gradevole il contrasto tra la dolcezza della carne e lo spiccato amaro della sporchia. L’originale utilizzo di questo parassita delle fave, riporta ancora una volta all’idea dell’ingrediente povero esaltato in un piatto di alto livello, caratteristica del Bufi pensiero. Originale il dessert, che, in piena coerenza, stravolge ogni regola grazie all’inserimento di elementi quanto meno inusuali come la bavarese all’olio d’oliva coratina con gel di rucola, Sablè bretone, polvere di cicoria e oliva di Gaeta candita (creazione di Livio Improta sous chef) è l’espressione di una sana, divertente follia che rende la cucina di Bufi e Della Guardia, senza ombra di dubbio, una tra le più interessanti espressioni ristorative della città di Bari e non solo.

L’AMBIENTE La sala del ristorante Le Giare è molto semplice e funzionale, con pochi tavoli ben distanziati che restituiscono una piacevole sensazione di privacy. Colori chiari e ampie vetrate donano freschezza, giustamente riscaldata dal bel pavimento in legno d’ulivo. Di fianco al ristorante, una saletta di accoglienza utilizzabile per una piccola tavolata e nella quale poter sfogliare alcuni interessanti testi di gastronomia. Il ristorante Le Giare si trova in una zona a ridosso di quella centrale del capoluogo pugliese, dove è facile trovare parcheggio e spostarsi con facilità, sia per uscire da Bari che per addentrarcisi. Spostandosi con i mezzi pubblici o utilizzando il vicino Park & Ride, è molto agevole arrivare nella zona commerciale oppure concedersi una piacevole passeggiata nel Parco 2 giugno, polmone verde della città.

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ABALONE

cetriolo alla griglia, dashi, melanzane in agrodolce INGREDIENTI per 4 persone

medio e spegnere poco prima che raggiunga il bollore. Togliere le alghe e lasciar raffred-

l. 1 di acqua

Per le melanzane: tagliare a fette dello spessore di mezzo cm le melanzane e cuocerle su

Per il dashi

g. 20 di alga kombu secca g. 20 di katsuobushi

g. 10 di foglie fresche di eucalipto Per le melanzane

2 melanzane tonde viola g. 50 di mirin

g. 50 di salsa di soya g. 25 di sake

g. 25 di zucchero Per le mammole 2 mammole

4 rametti di timo

dare il brodo con gli altri ingredienti. Filtrare e tenere da parte.

una griglia a carboni. Lasciar raffreddare e nel frattempo preparare l’agrodolce mescolan-

do a freddo tutti gli ingredienti fino a quando non si è sciolto lo zucchero. Una volta fredde, tagliare le melanzane a listarelle e metterle a marinare sottovuoto.

Per le mammole: pulire bene le mammole privandole delle foglie esterne e della peluria

centrale, recuperando così solo il cuore. Mettere sottovuoto con il timo e cuocere ad una temperatura di 90°C per 40 minuti a vapore o immersi in acqua (aiutandosi con un termometro per alimenti).

Pulire l’abalone staccandolo dal guscio con l’aiuto di una spatolina o un coltello. Eliminare il fegato e la parte callosa, sciacquare in acqua fredda salata e riporre su carta assorbente. Tamponare e condire con olio d’oliva e poco pepe bianco macinato.

Tagliare un cetriolo in 4 losanghe, privarlo dei semi e grigliare. Tagliare poi in pezzi della grandezza di mezzo centimetro.

Tagliare la mammola in pezzettini e scottarli velocemente in una padella antiaderente molto calda con un goccio di olio extravergine di oliva.

PROCEDIMENTO

In un piatto fondo, disporre un mucchietto di melanzane, un po’ di brodo dashi a tempe-

nell’ acqua per 20 minuti. Aggiungere il

Scottare in una padella molto bollente l’abalone (avendo accortezza di lasciarlo crudo al

Per il dashi: mettere in ammollo le alghe katsuobushi e le foglie leggermente ammaccate dell’eucalipto. Porre su un fuoco

ratura ambiente e 6 pezzettini sia di mammola che di cetriolo. suo interno), tagliare a fettine e metterlo sulle melanzane.

Finire con qualche goccia di olio extravergine d’oliva e una foglia di nasturzio.

LE GIARE

Corso Alcide de Gasperi, 308 f - Bari Tel. 080 5011383

www.legiareristorante.it info@legiareristorante.it

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GOURMETFOOD

AL PASHÀ DI CONVERSANO

ANTONIO ZACCARDI CONFERISCE UNA NUOVA ELEGANZA AL TERRITORIO di

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Alessandra Meldolesi


Sembrava un sodalizio indissolubile, quello fra Enrico Crippa e Antonio Zaccardi, chef e sous-chef del premiatissimo Piazza Duomo, coinvolti in una valorizzazione reciproca delle differenze, come forse era accaduto solo a Carlo Cracco e Matteo Baronetto, le lancette indietro di una generazione scarsa. Quasi fossero i due poli di una batteria, positivo e negativo, rosso oppure blu, il formidabile pedigree classicista del primo, unito a una mano e un palato fra i più eccelsi del mondo, liberava energia dal contatto con la creatività e l’istinto del secondo. Ed è stata una stagione destinata a seminare rimpianti, quella che si è appena conclusa; ma anche speranze qualche centinaio di chilometri più a sud. È infatti a Conversano, nella cintura di Bari, che Zaccardi ha scelto di ambientare il suo atteso ricominciamento;

dentro gli spazi del Pashà, traslocato nel 2016 da Antonello Magistà e Maria Cicorella nella solennità del seminario vescovile. Un locale stellato dal 2014, già ai vertici della ristorazione regionale. Forte della presenza di un giovane maÎtre che trasuda sala da tutti i pori, come raramente accade, fine conoscitore del vino pugliese e regista di un’operazione en souplesse. Per Zaccardi è quasi un ritorno a casa, visti i natali a Castiglion Messer Marino, paesino di 2000 anime in mezzo ai monti del Teatino, dove si è avvicinato man mano alla cucina, osservando le Virtù di mamma Erminia. “Mi piaceva osservarla ai fornelli, ma come tutti i ragazzini sognavo di fare il pilota o il meccanico, cavalcando la velocità. Poi è successo che mentre andavo a scuola, ho fatto la mia prima stagione e mi sono appassionato, al punto da

iscrivermi all’alberghiero, che non ho terminato. A quei tempi la vita di paese era un mortorio, ancora non c’era la rete e io scalpitavo per scoprire il mondo. Così sono finito a Torino, dove alcuni conoscenti portavano avanti un ristorante di cucina italiana, al pari di tanti emigrati abruzzesi. Così ha avuto inizio un’esperienza bellissima, in una città che era 20 volte il mio paese. Dopo il militare ho proseguito al Miramonti di Cortina, dove ho conosciuto l’hôtellerie di una volta, che poi è stata soppiantata dalla ristorazione gourmet, e soprattutto al Parkhotel Laurin di Bolzano, dove era chef Luca Verdolini, un allievo di Uliassi che mi ha aperto gli occhi sulla gastronomia. Ed è stato lì che ho conosciuto mia moglie Angelica, pasticciera, da cui non mi sono più separato”. “Da lì ho iniziato a leggere e documen-

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GOURMETFOOD

RISOTTO ALLA MARINARA INGREDIENTI per 4 persone

g. 200 di riso Carnaroli, g. 80 di burro, g. 50 di parmigiano reggiano, g. 80 di salsa di

pomodoro, g. 15 di pane tostato, origano q.b., aceto di vino bianco, sale, zucchero, 1 testa d’aglio, pasta di acciughe, vino bianco. PROCEDIMENTO

Mettere un filo d’olio in una pentola, aggiungere il riso, tostarlo e sfumare con il vino bianco. Bagnare con circa 600 grammi di acqua bollente, cuocere per 7 minuti poi aggiungere il pomodoro e continuare la cottura per altri 3 minuti. A fine cottura spostare il risotto dal fuoco e mantecare con burro, parmigiano, origano, sale, aceto e zucchero.

Per le croste di pane tostato: tostare le croste di pane in forno a 160°C per 40 minuti e frullare tutto con il Bimby. IMPIATTAMENTO

Strofinare un piatto piano con uno spicchio d’aglio e pasta di acciughe; stendervi sopra due mestolini di risotto. Con l’aiuto di un setaccio, spolverare con il pane tostato.

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tarmi, scoprendo il mondo delle stelle. Prima c’è stato Pierino Penati a Viganò, paese natale di Enrico Crippa, dove mi sono fermato per un anno. Poi ho spedito il curriculum a Cracco e lui alle 11 e mezza mi ha chiamato: ‘Pronto, sono Carlo Cracco. Hai già finito di lavorare?’. Da Cracco-Peck ho visto le cose più fighe di sempre, incontrato persone che mi hanno fatto amare questo lavoro e capire la creatività, anche se ero solo un ragazzino. Non riuscivo a capacitarmi di quanto fosse bello lavorare in un posto del genere con una giacca del genere, all’interno di una brigata così pulita. Resta il posto migliore che ho fatto prima di Piazza Duomo. Ma io volevo esplorare anche la gastronomia estera, così ho chiesto aiuto allo chef e lui mi ha mandato all’Hotel Mosconi, due stelle lussemburghese, che serviva una cucina tipica italiana dal gusto centrato. L’Italia tuttavia mi mancava. Avevo già conosciuto Crippa attraverso i racconti di Cracco e di tutti i marchesiani, che lo avevano sempre elogiato; sapevo che stava aprendo ad Alba e ho inviato il curriculum anche a lui, per quanto inizialmente mi sembrasse un ristorante sfigato. Non volevo nemmeno andarci, perché ero abituato a numeri importanti e sapevo che quasi non si lavorava. Sono arrivato nell’ottobre del 2006, un anno e mezzo dopo l’apertura, come capo partita ai secondi, che governava Crippa in persona, quindi ero anche un po’ impaurito. E sono rimasto quasi 12 anni, assistendo a un’esplosione che non avrei mai immaginato. Ai tempi c’era già un secondo, che però ha lasciato, quindi ho preso il suo posto, perché c’era intesa con lo chef, e subito ho iniziato ad assumere mansioni creative, come avevo visto fare a Milano. I piatti accadevano con naturalezza, non nascevano a tavolino, piuttosto lavorando alla preparazione di un pezzo di


LATTUGA E CAPRINO INGREDIENTI per 4 persone

2 caspi di lattuga (solo parte centrale) Per il carpione: g. 200 di acqua, g. 50 di aceto di vino bianco, g. 50 di zucchero, g. 10 di sale.

Per il tuorlo d’uovo: 8 uova, g. 80 di sale grosso, g. 20 di acqua, g. 20 di fagioli puré, g. 15 di zucchero. PROCEDIMENTO

Per l’uovo marinato: mischiare il puré di fagioli con sale grosso, zucchero e acqua. Rompere le 8 uova in una bacinella e recupara-

re solo i tuorli: versare l’impasto negli stampi di alluminio, versare

il tuorlo e ricoprire. Lasciare marinare per 3 ore, poi sciacquare con acqua fredda e fare asciugare in frigo per 2 giorni.

Per la lattuga: mettere in un sacchetto sottovuoto i 2 caspi di lattuga (solo la parte centrale) con ml. 100 di carpione; lasciare nel

sacchetto per 5 minuti. Tagliare la lattuga in due, condire con sale e olio e coprire con il tuorlo d’uovo marinato.

Scaldare una padella antiaderente, versarvi due cucchiai di impasto fino a farlo diventare croccante.

Per il caprino: impastare in una bacinella il caprino con latte, zucchero e sale, rendendolo cremoso.

Per le riduzioni: centrifugare 4 peperoni rossi, recuperare il liqui-

do e farlo ridurre a fuoco basso fino ad ottenere una consistenza da salsa.

Per la salsa di olive nere: cuocere in una pentola 300 grammi di

olive nere per 20 minuti. Frullare in un Bimby e passare in un colino; recuperare la salsa.

Per l’olio verde: cuocere 200 grammi di prezzemolo pulito in ac-

qua bollente, raffreddare in acqua e ghiaccio, scolarlo e frullarlo nel Bimby con 50 grammi di olio d’oliva. Filtrare con un colino.

Per la salsa di agrumi: spremere un’arancia e mezzo limone recu-

perando il succo, legarlo con il cristal mais addensante a freddo e a caldo. Aggiustare con sale, zucchero e olio.

Per la cialda di pollo: tostare 2 chilogrammi di ossa di pollo in forno a 180°C per 20 minuti. Mettere le ossa in una pentola con 1 litro di acqua fredda e lasciare andare a fuoco lento per 3 ore.

Filtrare il brodo e unire olio, farina e acqua.

carne o alla sfilettatura di un pesce”. “Ma non si può essere secondi a vita. Angelica è pugliese, quindi a un certo punto abbiamo deciso di avvicinarci a casa e nell’aprile 2018 abbiamo accettato l’offerta di Antonello”. Un cambiamento di paradigma per certi versi scioccante, da una brigata di 20 elementi ad appena 4 toques ipercinetiche, con le attrezzature e gli spazi da riadattare. “Al mio arrivo ho lasciato praticamente tutti i piatti in carta, perché ci eravamo già sintonizzati. Ma ho portato con me altri due ragazzi, che volevano affiancarmi, e pian piano siamo riusciti a realizzare piatti più rifiniti,

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GOURMETFOOD

MELA INGREDIENTI

Per la spuma alla mela: g. 215 di mela 34%, g. 140 di mela in purea, g. 50 di tuorlo, g. 50 di zucchero, Calvados q.b. Cottura 85°C a bagnomaria.

Per la crema pasticcera: g. 133 di latte, g. 33 di panna, g. 50 di

tuorlo, g. 50 di zucchero, g. 9 di amido di mais, g. 7,5 di amido di riso, vaniglia q.b.

Portare a bollore e cuocere per 2 minuti. Per il gelato al fior di latte: g. 280 di latte, g. 15 di latte in polvere, g. 95 di panna 34%, g. 65 di zucchero, g. 30 di glucosio in polvere, g. 2 di farina di carrube, vaniglia q.b. Cottura a 85°C a bagnomaria.

Per la sfoglia croccante: g. 200 di purea di mela, g. 20 di glucosio in polvere.

Essiccare e cuocere subito dopo a 175°C per 8 minuti, dando la forma a fine cottura.

Elementi per la composizione del piatto: crema pasticcera, me-

la a pezzi, pinoli tostati, noci, gelato fior di latte, spuma alla mela, sfoglia croccante.

PROCEDIMENTO

Per la sfoglia croccante: mettere in un sacchetto sottovuoto 6 mele pulite e tagliate a pezzi; cuocere a 95°C a vapore per 20 mi-

nuti. Successivamente frullare nel Bimby, aggiungere il glucosio in polvere, stendere la purea di mela sopra a un Silpat, asciugare in forno a 50°C per 3 ore. Creando delle sfoglie di mela, tagliare dei quadrati di cm. 10x10. Ripassarli in forno a 180°C per 2 minuti dandogli una forma irregolare. Spolverare con lo zucchero Carafin e dei pezzetti di foglie d’argento alimentare.

Per il gelato: mettere in pentola latte, latte in polvere, panna,

zucchero, glucosio liquido, farina di carrube, vaniglia q.b. e portare a 85°C: versare in un contenitore (Pacojet) e mettere in abbattitore a -18°C. Pacossare al momento del bisogno.

Per la spuma di mele: mettere nel Bimby panna, zucchero, tuorlo, purè di mela cotta sottovuoto, Calvados q.b.; portare a 85°C.

Raffreddare in abbattitore e versare in un sifone con 2 cartucce. Lasciare riposare in frigo per 2 ore.

Per la crema pasticcera: far bollire in una pentola d’acciaio latte

e panna, poi aggiungere il tuorlo, zucchero, amido di mais, ami-

do di riso, vaniglia q.b. Fare cuocere per 2 minuti. Versare in un

contenitore e metterlo in abbattitore, appena fredda frustarla e riempire un sac a poche, pronta per il servizio.

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con l’aiuto determinante di Angelica, che lavora anche al salato; senza fare piazza pulita del passato, perché restano alcuni signature di Maria, come i taralli e le orecchiette. Li realizza personalmente e passa tutti i giorni in cucina per assaggiare le novità; per me rappresenta il palato del posto, su cui parametrare i miei piatti. In questo momento mi interessa interpretare il territorio con una diversa eleganza, perché un cuoco in Puglia deve partire dal prodotto, nel rispetto dei luoghi in cui opera. E sono gusti che mi sono sempre piaciuti, mediterranei e più leggeri di quelli abruzzesi. Mi piacerebbe avere la forza di ripartire da zero, ma forse il passato è stato troppo importante. Così mi sono portato dietro anche qualche ricetta da Alba, come mandorle e ricci di mare, che facevo già a Piazza Duomo”. I prodotti, allora. A fare da guida sono stati Maria, Antonello e la stessa Angelica, che viene da una famiglia di contadini. “Ma curo io tutti gli approvvigionamenti. In particolare dedico i giorni liberi a visitare i mercati contadini. Uso materia quasi esclusivamente pugliese, con poche eccezioni come la ventresca spagnola. Le carni sono quelle di Michele Varvara, che erano già a Piazza Duomo, i gamberi arrivano da Gallipoli o Porto Santo Spirito”. La continuità con il recente passato si evidenzia nella centralità del vegetale e nelle spiccate acidità di matrice piemontese; ma il sol levante è tramontato in favore di un’alba mediterranea, con l’extravergine che la fa da padrone e una nuova semplicità nei piatti. Ed è forse benvenuta la scarsità di mezzi e di mani, che costringe Zaccardi a un’ineludibile emancipazione stilistica. La retromarcia è ingranata in direzione Cracco-Lopriore, con un lavoro in sottrazione su ingredienti e manipolazioni, che propizia svolgimenti ulteriori. I menu sono due: i Piatti di Maria (da

Fave e foglie ai torcinelli, dalle orecchiette alla torta di ricotta) a 90 euro e Colori e sapori di stagione, con piatti più creativi e qualche escursione extraterritoriale a 120 euro; in stagione anche il tartufo di Alba. Né mancano i fuori programma, per mantenere alta l’adrenalina in cucina. Gli appetizer conservano l’abbondanza di Piazza Duomo, con un twist più ironico e pop, sulla falsariga di un aperitivo al bar: quindi il peperone “abbottonato”, con il ripieno di maionese ai capperi e tonno gelatinato; il lampascione fritto con gel di carpione; l’oliva ripiena di carne cruda con crema di oliva e olio all’alloro, fra un’ascolana crudista e il souvenir delle drupe curate che troneggiano nei centrotavola pugliesi; la melanzana in carpione, per i sottoli e sottaceti tipici del sud, con una fettina di lardo per il grasso e la consistenza; la burrata con rucola selvatica

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GOURMETFOOD

nelle coppette, come al bar, e il barattiero in osmosi di olio e aceto. Con i taralli classici di Maria arrivano poi le chips di patate viola bollite, congelate, grattugiate, spolverizzate di curcuma o nero di seppia e finite n forno, per un crunch singolare. Seppia e mandorle è un piatto in variazione e in chaud/froid, che ricompone un’insalata di mare sul filo della frutta secca, complemento del mollusco per dolcezza e grassezza. Da una parte il gelato di mandorle con ricci di mare e caffè; dall’altra la crema di mandorle leggermente amare, gli allievi passati in forno per un paio di minuti a 120 °C, la lattuga per l’acidità e l’alga nori a strutturare. “È un piatto nato dall’usanza pugliese di consumare le piccole seppie crude. Un giorno arrivarono clienti che le volevano tal quali e io me le sono fatte consegnare”. Non può che ricordare Piazza Duomo la lattuga dei contadini di Conversano, servita in osmosi di carpione con tuorlo marinato, erbe aromatiche, caprino, salse di peperoni, olive, prezzemolo, agrumi e una cialda di brodo di pollo, farina e olio che ricompone sul piatto una caesar salad sui generis. Mentre il calamaro svolge sul piatto la sua similitudine con la catalogna:

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RISTORANTE PASHA

Via Morgantini 2 - Conversano (BA) Tel. +39 080 495 1079

www.ristorantepasha.com - info@ristorantepasha.com

tagliato a stella e scottato in courtbouillon, sboccia come la varietà cimata nell’acqua fredda, quasi fossero palmizi in un paesaggio tropicale. Completano il piatto, in delizioso equilibro fra sapidità e amaro, la maionese di calamaro al latte di soia ed erbette aromatiche varie. “Da bravo abruzzese adoro gli gnocchi, anche quelli un po’ callosi, con un po’ di farina in più”. Zaccardi li serve farciti a mezzaluna di ‘nduja allungata con pane e latte e saltati al burro, con un condimento di alghe e ricci, che ripulisce il palato attraverso la sensazione iodata. Ma c’è anche un risotto al pomodoro che gioca sull’omonimia con la pizza: verticalizzato su una base di aglio e acciughe, viene aromatizzato all’origano e spolverizzato di croste di pane di Altamura, essiccate in forno per mezz’ora a 160 °C e frullate nel Bimby. “Tutti ingredienti che in una cucina pugliese non mancano mai”. Poi i secondi, fra cui spicca il carré di

agnello di Michele Varvara classicamente spadellato al burro, che chiama la dolcezza della crema di mais centrifugato al naturale, più fondo classico, cipolla alla brace e rucola selvatica a strutturare. “Perché cerco di non riunire mai più di tre ingredienti sul piatto”. La pasticceria non sfigura: i dessert coniugano il tocco gentile e la sensibilità gustativa di Angelica con l’estetica di Antonio. Vedi il cannolo di sfoglia di mela, dalla forma aleatoria e un po’ giap, che custodisce una spuma di olio D’Orazio, cultivar cellina per l’erbaceo leggero, così da evocare un cannolo fritto che fritto non è. Nasconde condimenti di carattere: il caramello salato, il cioccolato, la crema di olive nere. Più una ciotolina di sorbetto di limone bruciato, sul modello degli sgroppini ai matrimoni, ma virato sull’amaro. Olio e limone, come in una citronette; soprattutto contrasti sapidi e amari sul dolce misurato e un insostenibile leggerezza al palato.



GOURMETFOOD

NEL LECCESE

CASTELLO DI UGENTO IL SAVOIR VIVRE ALL’ITALIANA

Nel nome, la missione: si deve infatti alla famiglia d’Amore, proprietaria dal 1643 del Castello di Ugento, nel leccese, la sua nuova vita e il rinnovato splendore. Massimo d’Amore e la sua compagna Diana Bianchi hanno voluto conferire vita e contemporaneità a queste mura antiche ospitando una scuola di cucina internazionale aperta 12 mesi l’anno: il Puglia Culinary Center (PCC). È Odette Fada, chef di fama internazionale, a insegnare ai cuochi professionisti e agli amatori i valori della cucina regionale, soprattutto pugliese. Da settembre ad aprile la scuola ospita i futuri Chef provenienti dal Culinary Institute of America (CIA), la più antica scuola di cucina americana che ha scelto il PCC come primo e unico “campus” in Europa. Ma il castello ha anche recentemente inaugurato il ristorante “Il Tempo Nuovo” e sono di prossima apertura 9 lussuosissime suite realizzate nei vecchi saloni affrescati. Nelle vicinanze, sempre di proprietà della famiglia d’Amore, c’è la masseria secolare “Le Mandorle”, recentemente ristrutturata in stile chic-contemporaneo.

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UNA SFIDA INEDITA E ARDUA: ALLESTIRE UNA SCUOLA CUCINA IN UN CASTELLO Un progetto molto difficile per la natura stessa della location: il Castello di Ugento, perla del 1300, presentava non pochi vincoli soprattutto architettonici e artistici. Non una sola vite poteva rovinare le magnifiche volte e le secolari pareti, eppure era necessario installare apparecchiature di cottura, preparazione e conservazione, impianti di aerazione personalizzati, piani di lavoro su misura e tutto quello di cui si ha bisogno in una scuola di cucina di alto livello. Il sistema di ventilazione, ad esempio, non poteva essere agganciato alle volte, per questo si è deciso di sorreggerlo tramite una bellissima strutturata metallica che, a sua volta, sostiene i canali. Nella cucina centrale i tre monoblocchi Thermaline M2M, del peso di 2 tonnellate ciascuno, sono stati calati con una gru e poi introdotti “a mano” nella sala, per non rovinare i pavimenti. Nel laboratorio di pasticceria, stessa sorte è toccata al bellissimo

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GOURMETFOOD

tavolo per la lavorazione del cioccolato, lungo 10 metri, con top refrigerato in granito nero assoluto spesso 7 cm: tanto pesante quanto perfetto! Sempre in quest’area per l’estrazione e l’immissione dell’aria trattata, è stato installato un innovativo sistema di areazione “all in one”. Riunione dopo riunione, difficoltà dopo difficoltà, grazie ad un lavoro di squadra senza eguali, le sale trecentesche del Castello nel Puglia Culinary Centre sono diventate centro di eccellenza gastronomica destinato a prolungare la propria storia.

IL TEMPO NUOVO DEL CASTELLO DI UGENTO: CREATIVITÀ E RAFFINATEZZA Del maniero originale è stata conservata la struttura monumentale, mentre internamente sono stati restaurati i muri in pietra e le volte, gli affreschi e gli stucchi, i corrimano e gli scaloni che portano ai diversi corpi. I servizi e le tecnologie sono però quelli di oggi, così se da un lato si respirano la storia e l’autenticità locale, dall’altro non si rimpiangono le comodità dell’ospitalità contemporanea e di una cucina allo stato dell’arte. Qui il ristorante Il Tempo Nuovo rappresenta un raffinato rifugio per gourmet, l’ambiente ideale per degustare piatti della tradizione regionale rielaborati in versione contemporanea dal giovane executive chef Tommaso Sanguedolce e dal suo team. A scandire la settimana un menu del giorno basato sulle visite al mercato, sulla stagionalità dei prodotti locali e sull’utilizzo di frutta, verdura e spezie provenienti direttamente dal secolare giardino interno con più di 100 piante aromatiche, verdure e alberi da frutto: un viaggio culinario di raffinata e delicata cucina pugliese.

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La location, come il resto del Castello, è a dir poco straordinaria: si può scegliere se mangiare nell’antico cortile pavimentato o in quelle che una volta erano le stalle del castello oppure nella sala a volta conosciuta come “La Torre Scoperta”, il cui pavimento in vetro rivela una torre normanna che è stata portata alla luce nel 2015 durante la ristrutturazione. C’è poi l’opportunità speciale di gustare una cena esclusiva direttamente al “tavolo dello chef”, in cucina: un tempo magazzino, nel 17° secolo panetteria, è ora sintonizzata in una sofisticata ambientazione dove convivono innovazione, design e storia. Al centro un blocco di cottura Thermaline M2M (Made to Measure), fil rouge dell’intera struttura. Ovviamente la maestria dello chef, in abbinamento al corretto utilizzo delle giuste soluzioni di cottura, completano questo quadro lasciando nell’ospite un ricordo indelebile.

IL TEMPO NUOVO CASTELLO DI UGENTO

Via Castello 13 - Ugento (LE) Tel. +39333-914-2242

www.castellodiugento.com

reservations@castellodiugento.com

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GOLAVAGANDO

A NOCI DI BARI

PODERE PAPILIO OFFRE RELAX, NATURA E... FOTOGRAFIE Podere Papilio è un B&B ricavato da un’antica abitazione rurale a trulli sapientemente restaurata con materiali del luogo, immerso in una natura incontaminata a 4 km da Alberobello – la celeberrima capitale dei trulli, patrimonio Unesco – e a 20 km dal mare Adriatico. Ubicato in un territorio sotto tutela integrale per l’alto pregio ambientale, Podere Papilio offre ai suoi ospiti l’incanto di un paesaggio bucolico, con prati lussureggianti e querce secolari, un’aria purissima e un clima sempre gradevole in ogni periodo dell’anno grazie alle brezze marine e a un’altitudine di circa 450 metri (siamo sull’altopiano della Murgia). Nei dintorni non mancano le attrazioni turistiche, il mare è a circa mezzora d’auto: Torre Canne, Monopoli, Polignano a Mare,

mentre sullo Ionio troviamo Taranto e numerose bellissime insenature. L’entroterra offre città pregevoli con centri storici antichi di grande fascino: Martina Franca, Matera, Locorotondo, Cisternino, Ostuni, Grottaglie, Altamura, Conversano per citarne alcune. Nei dintorni si trovano anche fantastiche riserve naturali, come Torre Guaceto, il Bosco delle Pianelle e il Parco Naturale Dune Costiere Da Torre Canne a Torre San Leonardo. Non c’è che l’imbarazzo della scelta. E fin qui relax e natura. Per quanto riguarda la fotografia, gli appassionati e coloro che vorrebbero diventarlo, possono contare su Daniele Della Mattia – proprietario del B&B nonché esperto fotografo con centinaia di immagini pubblicate all’attivo – il quale è a disposizione per consigli tecnici e luoghi da visitare ricchi di spunti per fotografia di paesaggio e naturalistica in generale. Autore di un’apprezzata guida pratica sull’argomento, Daniele esegue anche ritratti artistici in bianco e nero in sala di posa stampati su tela da appendere alle pareti di casa. L’effetto è fantastico e la soluzione comoda: il quadro viene recapitato a casa in ogni parte del mondo, così non è d’impiccio durante la vacanza. Come ha argutamente sintetizzato un cliente in una recensione su Booking: Podere Papilio, ovvero l’efficienza del Nord con il calore del Sud. Last but not least, il punteggio su Booking è 9,8…

PODERE PAPILIO

Strada Monte Carello - 70015 Noci (BA) Tel. 080 4978642 - 333 7907579

www.poderepapilio.it - info@poderepapilio.it

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DA NONNA PEPPINA LA TRATTORIA GOURMET DI APRICENA di

Alessia Pellegrini – foto di Giovanni Mastropasqua

Ci sono due cose che una buona madre non manca di trasmettere a suo figlio: la prima è l’appartenenza, alla famiglia, alla terra di nascita, perché sappia sempre chi è e da dove viene; la seconda è la libertà. Che vale la proprietà transitiva, non c’è una senza l’altra e viceversa. La libertà di fare esperienza, di provare, sbagliare, tornare indietro, fermarsi e cambiare strada. A questo fa pensare la storia di Mariagrazia Ferrandino e Michele Falcone, madre e figlio, chef e sommelier. La loro Trattoria Da Nonna Peppina di Apricena è nata nel 2013 e, come tutte le cose belle, è più il frutto della passione, dell’istinto e dell’incoscienza, come racconta Mariagrazia, che della pianificazione programmata a tavolino. Mariagrazia ha lavorato a lungo in una salumeria, conosce bene la tradizione gastronomica locale, cucina per la sua famiglia ed i suoi amici e cucinare, per lei, è rivivere la magia dei pranzi e delle cene a casa sua, da bambina, quando sua madre Peppina riusciva a preparare pietanze squisite con quello che trovava in dispensa. Il coraggio di questa avventura lo trova in suo figlio Michele, gli studi universitari che ha intrapreso non lo fanno sentire nel posto giusto. Il posto giusto è Apricena, la terra che entrambi amano e alla quale appartengono, il posto giusto è la cucina, dove c’è la magia. Questa trattoria è un luogo in cui due diverse generazioni, quella di Mariagrazia e quella di Michele, s’incontrano e si azzuffano, più uniti di prima. La tradizione locale non sta chiusa in un ricettario polveroso ma va incontro a nuove combinazioni di gusto che vengono ideate, as-

saggiate, discusse e rettificate insieme. Insieme studiano e selezionano la materia prima, insieme la scelgono. Piccole produzioni locali vengono messe in risalto come fossero firme di caratura mondiale; la volontà di questa cucina è valorizzare al massimo la grande varietà di prodotti del territorio, esaltarne il sapore ma che il sapore resti pulito, autentico. Da Nonna Peppina è possibile mangiare i veri piatti storici della tradizione garganica ma anche rivisitazioni interessanti che parlano sempre e comunque la lingua dialettale di questi luoghi: zuppa di fagioli e finocchi e le bietole con crema di patate, pomodori secchi e olive di Peranzana, bagnate in acqua di mare. Un piatto di chiara provenienza tradizionale rivisitato. I primi piatti di pasta fresca proposti sono cavatielli all’essenza del Gargano, con pomodori datterini confit, scorza di limone femminiello, mandorle e tarallo sbriciolato; o le orecchiette con polpo, pesto di pistacchio e pomodoro secco. Tra i secondi, il filetto di vacca podolica e cicoria selvatica, ripassata in padella con cipolle rosse caramellate al miele e cognac, la musciska, un piatto anch’esso di chiara provenienza contadina, con carne di maiale, friggitelli, olive di Peranzana e stracciatella di formaggio. Ottimi i formaggi serviti con marmellata di fichi fatta in casa: caciocavallo podolico, primo sale, caprino e il canestrato fresco. I dolci, a conclusione, sono la crostata con la crema di ricotta e pistacchio di Bronte e tiramisu con crema al cioccolato fondente e bagno al rum.

DA NONNA PEPPINA

Corso Generale Torelli, 90 - 71011 Apricena (FG) Tel. 348 409 5984

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VINARIA

NERO DI TROIA DI CASTEL DEL MONTE PATRIMONIO VITICOLO DELLA “PUGLIA IMPERIALE” TRA STORIA E LEGGENDA di

Antonietta Mazzeo

Il mare all’orizzonte, verso il Golfo di Manfredonia: rocce calcaree si affacciano sulle limpide acque dell’Adriatico. Le campagne del Tavoliere pugliese strette tra la coda d’Appennino e il promontorio del Gargano fanno corona a capolavori medievali e barocchi con influenze greche e saracene che raccontano la storia, le tradizioni e le contraddizioni di questa terra dove il tempo sembra essersi fermato. Tanto cara a Federico II - motivo per cui si è soliti indicare questa parte d’Italia come la “Puglia Imperiale” - questa è la Daunia, in piena Capitanata, il regno dell’uva di Troia. Diverse sono le ipotesi e le leggende sulla sua origine, ma quella più plausibile la vorrebbe figlia del mitico eroe greco della guerra di Troia, Diomede che, conclusa la guerra, navigò per il mare Adriatico fino a risalire il fiume Ofanto; trova-

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to il luogo ideale, piantò quei tralci di vite che aveva portato con sé, che diedero origine all’Uva di Troia. Altre ipotesi, riferite a tempi più recenti, fanno derivare il nome dell’Uva di Troia dalla cittadina pugliese di Troia in provincia di Foggia o, ancora, dalla città albanese di Kruja o Cruja (il cui nome sarebbe poi stato vernacolizzato in Troia) o, infine, dalla regione galizio-catalana della Rioja. Dopo le distruzioni provocate nell’Ottocento dalla fillossera, la ricostruzione del “vigneto Puglia” fu essenzialmente monovarietale e basata, a seconda delle zone, sui vitigni Negroamaro, Primitivo e Nero di Troia, con l’obiettivo di ottenere vini robusti e alcolici, ottimali per rinvigorire e rafforzare con corpo e colore, esili vitigni del nord. Il Nero di Troia, vitigno aristocratico e ricco di storia, costitu-


isce la terza varietà autoctona regionale, con 2.500 ettari vitati in un territorio d’elezione compreso tra la provincia di Foggia e il nord della provincia di Bari. A seconda degli areali di coltivazione, regala caratteristiche diverse, ma è indiscutibile che, nella Daunia, il vitigno acquisisca particolari elementi distintivi. Ci troviamo infatti in un’area che è delimitata ad est dal promontorio del Gargano che fa da barriera ai venti che soffiano dai Balcani. Qui il clima è continentale, caratterizzato da inverni freddi ed estati torride. E qui, dunque, il vitigno dona un vino con un’altra identità; perde in potenza e acquisisce eleganza (ciò è dovuto ai suoli profondi, con una buona capacità drenante e bassa dispersione di acqua). Sebbene oggi esistano diversi cloni disponibili di Uva di Troia, si è soliti distinguere due biotipi, molto diversi tra loro: la varietà di Barletta o di Ruvo e la varietà di Canosa. La prima presenta grappoli e acini di grandi dimensioni, leggermente spargoli, la seconda manifesta acini e grappoli più piccoli e di forma cilindrica. Il biotipo Canosa è molto difficile da trovare, sebbene siano in corso nuove sperimentazioni in quanto si ritiene possa dare ottimi risultati. Dal punto di vista della viticoltura, non è di certo una cultivar facile in quanto è una delle ultime a raggiungere la maturazione ottimale (fine ottobre, mediamente) con tutto ciò che ne consegue dal punto di vista dell’esposizione a rischi climatici.

Il Nero di Troia si caratterizza per l’elevata tannicità: rispetto ai cugini Primitivo e Negroamaro, riesce a donare vini con propensione all’invecchiamento, data la naturale cospicua dotazione di polifenoli. In purezza, il Nero di Troia potrebbe risultare un vino forte, imponente, poco raffinato, in realtà i Nero di Troia nelle loro variabili di qualità ed affinamento raggiungono la delicatezza e la grazia di alcuni “blasonati vini settentrionali”.

La denominazione di riferimento per il Nero di Troia nelle sue massime espressioni è sicuramente la Castel del Monte Nero di Troia Riserva DOCG, ma anche le DOC Barletta, San Severo e Castel del Monte. La denominazione Castel del Monte Nero di Troia DOCG è riservata ai vini ottenuti da uve del vitigno Uva di Troia (min.90%). L’area della denominazione di origine Castel del Monte Nero di Troia Riserva DOCG trae l’appellativo dal famoso castello federiciano oggi patrimonio dell’UNESCO ed è parzialmente inclusa nel Parco Naturale dell’Alta Murgia. La zona di produzione si trova a cavallo tra la provincia di Bari e quella di Barletta-Andria-Trani e comprende il territorio comunale di Minervino Murge e in parte le aree comunali di Andria, Corato, Trani, Ruvo, Terlizzi, Bitonto, Palo del Colle e Toritto e completamente l’isola amministrativa D’Ameli del comune di Binetto.

LA SCHEDA DEL NERO “ … colore rosso rubino intenso e profondo con riflessi violacei che tendono a scomparire con l’affinamento. Al naso esprime profumi decisamente intensi e fruttati, tra cui domina la prugna matura, more, piccoli frutti rossi note balsamiche, speziate e di liquirizia. Corposo al palato e con una trama tannica importante accompagnata da leggere note amarognole. Buona freschezza e un finale è lungo e persistente. La presenza di tannini e acidità predispone il vino a lunghi invecchiamenti, che mettono in luce belle note d’evoluzione verso complessi aromi terziari. Si abbina bene con molti piatti a base di carne, preparazioni saporite o speziate e di selvaggina. Ottimo con le pietanze tipiche del territorio di provenienza… (Antonietta Mazzeo)

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VINARIA

CHI FA “NERO” Tra i grandi interpreti di questo splendido vitigno, attraverso la sua filosofia di produzione, espressione del territorio e tecnica: Ognissole, Azienda Vinicola Rivera, Torrevento, Conte Spagnoletti Zeuli, Mirvita Opificium ArteVino Tor de’ Falchi, Grifo La Cantina di Ruvo di Puglia, Vignuolo La Cantina di Andria, Azienda Agricola Mazzone, Masseria Faraona, Azienda Agricola Santa Lucia, Le Grotte, D’Alfonoso del Sordo, Botromagno, Giancarlo Ceci, Cantina Sociale di Barletta, Antica Enotria e la Marchesa. Gli aspetti più significativi della produzione da cui nasce il Nero di Troia sono il tema principale del “Puglia Press Tour® Nero di Troia”. Organizzato in occasione di “Cantine Aperte in Vendemmia” - che da 20 anni si tiene in tutta Italia esclusivamente nelle cantine socie del Movimento Turismo del Vino - l’evento ospite dell’Assessorato all’Industria Turistica e Culturale della Regione Puglia, valorizza i molteplici aspetti legati non solo all’evoluzione enologica ma anche gastronomica, culturale e paesaggistica del territorio dell’Alta Murgia.

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DOVE SI FA IL NERO Meta privilegiata per gli appassionati di turismo enogastronomico, presenta un paesaggio selvaggio, particolarmente aspro e solitario, tipicamente carsico, in cui formazioni rocciose erose si alternano a lande desolate, doline e conche: le caratteristiche lame. Il suolo carsico lascia spazio a quello di natura tufacea nella pre-Murgia, corrispondente al territorio di Castel del Monte, caratterizzata da leggeri declivi che digradano fino a lambire il mare, nella fascia costiera delle città di Barletta e Trani. La pietra qui si è sempre fatta casa e chiesa: la bonifica dei campi dal “mare di pietra”, il mantello di calcarenite che protegge da sempre gli olivi hanno delineato la struttura di uno dei luoghi più singolari dell’area mediterranea. Muretti a secco per i confini, “casedde” e “trulli” per ripararsi dalle intemperie, ‘jazzi” per il ricovero degli ovini lungo gli antichi tratturi della transumanza e le “masserie” - costruzioni rurali per l’alloggio dei contadini e la lavorazione e conservazione dei raccolti ne caratterizzano

l’identità. Straordinario habitat naturalistico, è uno dei luoghi in Italia meno antropizzato, anche dal punto di vista delle colture, e con la maggiore estensione di vegetazione spontanea: arbusti da bacca, cardi, asfodeli, muschi, licheni, piante aromatiche, orchidee selvatiche. Il paesaggio è caratterizzato ancora dalle colture legnose dell’olivo, del mandorlo e della vite, mentre i seminativi occupano solo gli spazi più marginali. A proteggere l’unicità di questo territorio, il Parco Nazionale dell’Alta Murgia, che rappresenta oggi il più esteso Parco Rurale d’Italia, uno dei più grandi del continente europeo ed il primo in chiave rurale, con un ente che ne tutela costumi e tradizioni. Di rilievo le testimonianze storico-architettoniche della dominazione normanno-sveva, le cui tracce trovano il loro apice nell’imponente e solitario Castel del Monte, fatto costruire proprio nel cuore dell’Alta Murgia da Federico II di Svevia. Universalmente noto per la sua inconfondibile pianta ottagonale, perfetta e al tempo stesso misteriosa, affascina per i riferimenti simbolici ed esoterici.


rapa, funghi cardoncelli e il lampascione, che danno vita ai “classici” della cucina pugliese. Una cucina povera ma senza dubbio ricca di gusto. Elemento fondante e costante, la pasta fresca: orecchìette e cavatelii, in abbinamento a verdure o ragù di carne, spesso equina. Dal “patrimonio” della transumanza la cucina murgiana eredita principalmente l’utilizzo della carne ovina (agnello e pecora), mentre è in fase di recupero l’allevamento dell’antica razza bovina podolica.

PANE, AMORE E... POVERI MA BELLI Protagonisti della gastronomia locale, numerosi prodotti agricoli. Le olive non vengono impiegate solo alla produzione dell’olio extravergine di oliva, ma numerose sono le varietà da mensa curate in salamoia, con la cenere o al sale, oltre alle deliziose olive dolci da cuocere in padella o al forno. Alle molteplici varietà di ortaggi coltivate, si aggiungono verdure spontanee, legumi, cereali, cardi, cime di

Dalla grande tradizione cerealicola nasce la solida arte della panificazione, elemento base del regime alimentare delle popolazioni dell’Alta Murgia, prodotto tradizionalmente in grandi pezzature, nella sua forma caratteristica, denominata “u sckuanète”: il Pane di Altamura DOP è l’alimento simbolo della cultura agropastorale dell’Alta Murgia. Le sue origini, infatti, sono strettamente legate alle tradizioni contadini dell’area di produzione: era impastato prevalentemente dalle donne tra le mura domestiche e portato a cuocere in forni pubblici. La produzione del pane era dunque un atto corale,

sul piano sociale e culturale, nel quale la sfera familiare e privata si incrociava con quella pubblica. Dolci o salati, fragranti e ricchi di gusto, i taralli pugliesi (uno dei principali prodotti da forno regionali) sono figli di un’arte raffinata custodita da generazioni. I segreti dei loro impasti un tempo si svelavano attorno ai bracieri, dove la famiglia si riuniva per raccontare storie e tramandare tradizioni. I dolci sono un’esplosione di golosità in cui primeggia la pasta di mandorla. Rinomata anche la produzione di formaggi e latticini: Il caciocavallo, il pregiato Canestrato Dop di Corato, le mozzarelle e la spettacolare burrata di Andria, di cui Michele e la moglie Carmela, del Caseificio Olanda sono dal 1988 magnifici rappresentanti.

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VINARIA

L’OSPITALITÀ

TRANI, MERAVIGLIA ITALIANA

La “Puglia Imperiale” è molto di più della sua descrizione geografica: il valore artistico, la memoria storica, la qualità del prodotto, esaltano il contesto ambientale. Eppure la percezione della bellezza diffusa varia a seconda delle emozioni che le varie forme di ospitalità sono in grado di suscitare nel viaggiatore. Adagiato in una delle zone più eleganti del lungomare di Bari, unico hotel a 5 stelle della capitale pugliese, è il Grande Albergo Delle Nazioni. Ispirata al futurismo di Marinetti, questa struttura di notevole pregio architettonico fonde tradizione e modernità, imponendosi come eccellenza ricettiva della città levantina. Nel centro di Bari, “all’ombra” del Petruzzelli, il Ristorante Perbacco Bari - deliziosa osteria moderna nel pensiero, ma tradizionale negli ambienti e nei piatti - propone una cucina con una solida base territoriale, reinterpretata ma non stereotipata. L’itinerario “Bari Sotterranea - Un viaggio nella città sotto la città” attraverso le complesse stratificazioni nascoste nel sottosuolo della città consente ai visitatori di andare indietro sino all’età romana, per poi rivelare la Bari bizantina in cui rivive la brulicante cittadina di mille anni fa. I percorsi prendono avvio dal Castello Normanno Svevo per proseguire nella Cattedrale romanica e si concludono nell’area archeologica di Palazzo Simi, Centro Operativo per l’Archeologia di Bari. Campi ondulati che si alternano ai muretti a secco nel cuore del Parco Nazionale dell’Alta Murgia, a San Magno, alla Masseria Cimadomo (antica dimora agricola del 1792), dispensano prodotti che appartengono alla storia, alla tradizione e alla cultura, partendo dalla materia prima sino alla realizzazione del prodotto finito, passando attraverso i sensi, l’arte e la natura.

Inserita nella lista delle “meraviglie italiane”, Trani (foto in alto), conosciuta anche come “la Perla dell’Adriatico”, è ricca di bellezze artistiche e architettoniche, chiese di ogni epoca e palazzi signorili. Famosa la cattedrale romanica che si affaccia direttamente sul mare, intitolata a San Nicola Pellegrino, dal ricco interno decorato, con le due cripte di San Nicola e di Santa Maria e l’ipogeo di San Leucio. Presso la Cattedrale spicca il Castello Svevo, imponente fortino voluto da Federico II, mentre alle spalle del porto si snodano i vicoletti del quartiere ebraico della Giudecca, tra antiche sinagoghe e botteghe artigianali. A pochi passi dal Porto Turistico di Trani, il cinquecentesco Palazzo Laghezza - edificio del XIV di rilevante importanza storica costru-

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IL MUSEO D’ANDRIA La “città Vecchia” di Andria è un grazioso dedalo di vicoletti e piazze ariose dove, tra edicole votive, stemmi gentilizi, mascheroni, si trova la strada più stretta d’Europa. Tra i luoghi di culto più antichi, c’è la Chiesa di Sant’Agostino, culla dei Templari, e la Cattedrale di Santa Maria Assunta, di epoca normanna. Situato nel centro di Andria, il Museo del Confetto annesso alla sede storica e punto vendita dal 1894 della premiata fabbrica di confetti e dragées Mucci Giovanni testimonia tutta la passione, l’attenzione, la cura, la competenza, l’amore per il proprio lavoro e per le proprie origini dei maestri dolciari di casa Mucci Giovanni.

ito sulle antiche mura della città - ospita la residenza di charme le Stanze di Corteinfiore, che accoglie gli ospiti in piccole “luxury suite”, con arredi a tema floreale di grande fascino. L’affascinante cornice del Porto di Trani fa da sfondo al Ristorante La Banchina: la magnifica veranda che guarda direttamente lo specchio d’acqua del porto, regala una vista suggestiva. La cucina di ispirazione mediterranea offre un menu marinaro, che si adatta al pescato del giorno e alla stagionalità degli ingredienti. Una enoteca ben fornita con degustazioni è diventata ormai ristorante tipico: nel centro storico di Corato, La Bottega dell’Allegria, senza nascondere il suo passato da enoteca testimoniato dalla proposta di numerose etichette di provenienza regionale e nazionale, propone piatti della buona cucina murgiana con sapori autentici, derivati da prodotti d’eccellenza del territorio.

Negli ambienti del Museo, unico nel meridione d’Italia, sono descritte le produzioni del confetto, del cioccolato e della caramella, attraverso utensili e stampi di ogni tipo, preziosi documenti e, soprattutto, antichi macchinari di un’ archeologia industriale praticamente scomparsa.

Il Nero di Troia della “Puglia Imperiale” diventa dunque lo specchio fedele di un territorio straordinario, illustre esempio di un cammino sempre più volto alla scoperta delle proprie potenzialità. Profumi, suoni, natura e bellezza diffusa raccontano una storia fatta di passione per la terra. Ad ogni assaggio si condivide qualcosa che in Puglia non manca mai: il calore tipico della sua gente e il sapore di antiche tradizioni.

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a cura di Antonietta Mazzeo Tecnico ed Esperto degli Oli d’Oliva Vergini ed Extravergini

L’ORO DELLA PUGLIA Distese di olivi scorrono lungo la pianura fino a toccare le sponde del mar Adriatico, chiome argentee accompagnano lo sguardo in ogni angolo: questa è la Puglia, museo sotto il cielo, testimonianza e patrimonio di una cultura che da millenni scandisce la vita produttiva della regione. L’ulivo è la pianta simbolo della Puglia, i rami che si distendono nei cieli non rappresentano solo bellezza: la distesa di olivi millenari rappresenta un sistema complesso le cui radici affondano in una terra unica per tradizione e cultura, dove storia, natura e agricoltura si sono, nel tempo, intrecciate armoniosamente. L’olivo (Olea Europea) è una delle specie arboree più antiche e diffuse del bacino Mediterraneo: l’origine della sua coltivazione si fa risalire a circa 5.000 anni fa. Arriva con i primi navigatori fenici e greci nell’ VIII secolo a.C. nell’Italia meridionale (Sicilia e Magna Grecia), ma è ad opera dei Romani che la coltura si diffonde nelle zone settentrionali del nostro Paese e in tutte le aree vocate dell’Impero.

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Le testimonianze delle prime coltivazioni di olivo in Puglia sono state rinvenute tra Torre a Mare, in provincia di Bari, e Fasano, località posta a sud di Brindisi; i ritrovamenti risalgono addirittura al Neolitico. Oliveti sconfinati, muretti a secco (quest’anno inseriti dall’UNESCO nella lista degli elementi immateriali dichiarati Patrimonio dell’umanità) che corrono lungo le vie d’accesso di antiche masserie, frantoi ipogei, macchia mediterranea, distese infinite di oliveti secolari: è qui che trova la sua sintesi la civiltà dell’olio del Mediterraneo. Gli olivi secolari della Puglia costituiscono il paesaggio agrario arboreo più antico. Tra le terre di Bari e le antiche terre d’Otranto è custodito un tesoro chiamato dai greci elaion e dai latini oleum, un tempo servito a massaggiare atleti olimpici, ungere re, profumare faraoni e riempire antichi forzieri, e oggi come allora impreziosisce ogni cibo. L’olio d’oliva - da molti definito come “l’oro della Puglia” - è un alimento antico e prezioso come la terra dalla quale è generato; il frutto di un clima generoso, ma anche il risultato di grande lavoro e dedizione da parte di chi coltiva e cura questi autentici monumenti della natura. L’olivicoltura rappresenta per la Puglia un comparto strategico nel panorama economico e agricolo regionale: negli ultimi anni la produzione si è ridotta a causa delle diverse problematiche che si stanno sempre più diffondendo sul territorio olivicolo pugliese; tra la cause principali, la Xylella, i funghi, gli insetti e il Complesso del Disseccamento Rapido dell’Olivo (CoDiRO). In ogni caso, nell’annata 2017/2018, nonostante il calo produttivo del 58%, la Puglia resta la principale regione di produzione, con 87 milioni di chili; gli ettari totali si attestano intorno ai 378.000 di superficie coltivata, con circa 240.000 aziende e 1200 frantoi attivi, per 250.000 tonnellate di olio prodotto: numeri importanti che danno senza dubbio una panoramica dell’ampiezza del patrimonio olivicolo regionale. Le varietà di olive pugliesi sono molteplici e le cultivar autoctone o comunque storicamente più diffuse nel territorio regionale sono distribuite con una specifica caratterizzazione zonale. L’utilizzo che prevale è quello destinato alla produzione di olio ma non è irrilevante, soprattutto in alcune aree, il consumo di olive da tavola.

LE DOP RICONOSCIUTE IN PUGLIA 1) Dop Collina di Brindisi 2) Dop Dauno con le seguenti sottosezioni: Alto tavoliere, Basso Tavoliere, Gargano, Sub Appennino 3) Dop Terra di Bari con le seguenti sottosezioni: Bitonto, Castel del Monte, Murgia dei Trulli e delle Grotte 4) Dop Terra d’Otranto 5) Dop Terre Tarentine

ZONE DI PRODUZIONE E CARATTERISTICHE 01) Dauno Gargano Varietà di oliva più diffusa: Ogliarola del Gargano. Olio dal sentore fruttato tenue di oliva con profumi di pomodoro e dal gusto dolce con buona persistenza aromatica. Uso consigliato: su verdure, legumi, zuppe e antipasti. 02) Dauno sub Appennino e basso Tavoliere Varietà di oliva più diffusa: Coratina. Olio dal fruttato netto di oliva con profumi di carciofo e buona fragranza aromatica, dal gusto dolce con lieve fondo amarognolo. Uso consigliato: per bruschette, pinzimonio, insalate, carni e verdure bollite. 03) Dauno alto Tavoliere Varietà di oliva più diffusa: Peranzana. Olio dal fruttato netto di oliva con gusto dolce, armonico e con buon profumo floreale. Uso consigliato: sul pesce e con gli antipasti di mare, nelle salse delicate e in quella al pomodoro. 04) Castel del Monte (zona nord barese) Varietà di oliva più diffusa: Coratina. Olio dal fruttato deciso e intenso di oliva con profumi netti di carciofo e mandorla, con gusto lievemente piccante e un poco amarognolo con ottimo floreale. Lieve il pizzicore nel retrogusto per la sua bassa acidità; è molto apprezzato dagli intenditori. Uso consigliato: su bruschette, per pinzimonio e insalate, carni e verdure bollite. 05) Bitonto Varietà di oliva più diffusa: Cima di Bitonto o Ogliarola di Bitonto. Olio d’oliva pugliese dal fruttato netto di oliva con profumo di mandorla, dal gusto dolce, molto armonico e equilibrato. Uso consigliato: ideale per cotture alla griglia e arrosti. 06) Murgia dei trulli e delle Grotte (zona sud barese) Varietà di oliva più diffusa: Cima di Mola. Olio dal fruttato netto di oliva con profumi di erba e legumi; gusto molto dolce con buona fluidità. Uso consigliato: crudo sul pesce; risotti, paste, arrosti e fritture. 07) Colline di Brindisi (zona a nord di Brindisi) Varietà di oliva più diffusa: Leccino, Coratina e Frantoio 30%, Ogliarola barese 70%. Olio dal fruttato di oliva con profumi di erba e legumi; gusto molto dolce con buona fluidità. Uso consigliato: crudo sul pesce e i carpacci; risotti, arrosti, fritture. 08) Terra d’Otranto (zona sud di Brindisi) Varietà di oliva più diffusa: Cellina di Nardò o Saracena e Ogliarola leccese o salentina. Olio dal fruttato verde di oliva con gusto dolce, con profumi di legumi e ottima fluidità; buona fragranza aromatica di erba. Uso consigliato: crudo su antipasti e verdure; legumi e zuppe. 09) Terra d’Otranto (zona di Lecce e basso Salento) Varietà di oliva più diffusa: Cellina di Nardò o Saracena e Ogliaro-

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la leccese o salentina. Olio dal fruttato verde di oliva con gusto dolce, con profumi di legumi e ottima fluidità; buona fragranza aromatica di erba. Uso consigliato: crudo su antipasti e verdure; legumi e zuppe. 10) Terra d’Otranto (zona di Taranto Orientale) Varietà di oliva più diffusa: Leccino e Ogliarola salentina. Olio dal fruttato verde di oliva con gusto dolce, con profumi di legumi e ottima fluidità; buona fragranza aromatica di erba. Uso consigliato: crudo su antipasti e verdure; legumi e zuppe. 11) Tarantine (zona di Taranto occidentale) Varietà di oliva più diffusa: Leccino, Frantoio e Coratina. Olio dal fruttato netto di oliva con profumo di mandorla, dal gusto dolce armonico ed equilibrato. Uso consigliato: crudo sul pesce, sugli antipasti di mare, sul carpaccio; nelle salse e nella salsa di pomodoro. Alcune delle principali cultivar per la produzione di olio: Ogliarola (o Cima) di Bitonto, Ogliarola Garganica, Ogliarola Leccese, Cellina di Nardò, Cima di Mola, Olivastra, Leccina, Coratina, Peranzana. Nel territorio pugliese, crescono anche delle varietà di olive da mensa (da tavola) che, a differenza di quelle che si usano per la produzione di olio, presentano frutti più grossi e polposi, adatti per ogni pietanza. Le cultivar più apprezzate come olive da tavola in Puglia sono: Leccina, Cellina Barese, Bella di Cerignola.

CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO IGP L’”Olio di Puglia” a Indicazione Geografica Protetta si contraddistingue per la grande varietà di caratteristiche sensoriali che traggono origine dal genotipo delle sue numerose cultivar autoctone, dalle particolarità dell’ambiente geografico e pedo-climatico e dalle tecniche colturali ed estrattive tipiche del territorio di origine. All’olfatto si caratterizza per un netto fruttato di oliva di intensità variabile con evidenti note vegetali di erba appena sfalciata e/o foglia, mandorla fresca e/o carciofo. Al gusto si esprime con sentori vegetali, note di amaro e piccante di intensità variabile a cui possono associarsi note di mandorla verde e/o cardo, con un retrogusto di erba, carciofo, altri ortaggi e leggeri sentori di mandorla fresca. All’atto della certificazione l’olio extravergine d’oliva ad Indicazione Geografica Protetta “Olio di Puglia” deve rispondere ai parametri specifici. Nella solare e fruttuosa terra pugliese, quelli degli olivi sono i colori di immenso patrimonio identitario, straordinari strumenti di tutela del paesaggio, innegabile valore ambientale e risorsa turistica. La ricchissima piattaforma varietale autoctona costituisce una sorgente di variabilità genetica inesplorata, utile sia nei programmi di valorizzazione della olivicoltura locale che in quelli di miglioramento genetico e sanitario.

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