La Madia Travelfood n.336 - Aprile 2019

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Mensile Sped. In Abb. Post. - Gruppo III° - 45% - Art.2 Comma 20/B Legge 662/96 - Fil. Forlì - Tassa Pagata - Taxe Perçue - Reg. Trib. Di Forlì N.653 - Del 14/6/84 - Dir. Resp. Elsa Mazzolini - La Madia Srl - Via Pacchioni, 365 - Cesena - Euro 4,00 - In caso di mancato recapito restituire al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa

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35 ANNI www.lamadia.com ANNO XXXV Aprile 2019 - N. 336 - €E 4,00 Direttore ELSA MAZZOLINI

Osterie e Trattorie a loro il compito di salvare le tradizioni italiane

PIETRO ZITO | IRINA | GALLO ROSSO | LA BRINCA | LA CHIOCCIOLA | FRA.SE | BERTOZZI TRATTORIA MODERNA | LA BOTTEGA DI ANNA E LEO | MEZZA PAGNOTTA | LOCANDA DEL NOCE

LA MADIA EDITORE




SOMMARIO - LA MADIA TRAVELFOOD n. 336 GOURMETFOOD

VINARIA

pag. 41

di

Alessandro Rossi

pag. 90

SPECIALE OSTERIE E TRATTORIE

AMERICAN FINE WINE COMPETITION

A loro il compito di salvare le tradizioni italiane.

La degustazione che stabilisce quali sono i migliori vini americani.

La cultura del benessere

Trattoria Gallo Rosso nelle Marche

Parliamo ancora di bufale!

di Alessandra Meldolesi........................................ pag. 52

di Primo Vercilli...................................................... pag. 8

La Brinca nel Genovese

La scelta vegana

di Alessandra Meldolesi......................................... pag. 55

Trattorie Veg

La Chiocciola a Quartiere di Portomaggiore

di Silvia Bianco...................................................... pag. 10

di Elisabetta Degli Esposti Merli............................ pag. 58

Il menu engineering

Osteria Fra.Se a Piove di Sacco

Musica a misura di ristorante

di Daniele Briani..................................................... pag. 64

di Lorenzo Ferrari................................................... pag. 14

Trattoria Bertozzi a Bologna

EVO - L’olio extravergine di oliva

di Elisabetta Degli Esposti Merli............................ pag. 66

L’olio extravergine di oliva,

Trattoria Moderna a Firenze

fonte di salute e benessere

di Alessandra Meldolesi......................................... pag. 69

di Antonietta Mazzeo............................................. pag. 16

Bottega di Anna e Leo a Lucca

Prodotti Eccellenti

di Claudio Mollo..................................................... pag. 72

Frescopiada a Riccione

Mezza Pagnotta a Ruvo di Puglia

di Maria Chiara Zucchi........................................... pag. 18

di Teresa Cremona................................................ pag. 74

Chef di Spirito

Locanda del Noce a Capannori

Vito Pastore

di Domenico Acconci............................................. pag. 76

di Sonia Leo........................................................... pag. 20

Osteria del Posto a Ellera di Corciano

GourmetFood

di Anna Rita Pelaracci............................................ pag. 77

Andrea Costantini

Giovani Talenti

di Gianni Di Lorenzo e Elsa Mazzolini.................... pag. 24

Davide De Pra e Alessandro Buffa

FashionFood

di Antonietta Mazzeo............................................. pag. 78

Villa Gallici

Vinaria

di Luigino Filippi..................................................... pag. 32

Il focus di Alessandro Rossi

Assaggio di libri...................................................... pag. 40

Il vino buono sta nelle botti piccole?

Speciale Osterie e Trattorie

di Alessandro Rossi............................................... pag. 88

Pietro Zito ad Andria

Montresor Heritage

di Giorgia Giuliano.................................................. pag. 42

di Daniele Briani..................................................... pag. 96

Irina a Savigno, nel bolognese di Alessandro Rossi............................................... pag. 48




EDITORIALE di

Elsa Mazzolini

CHI È PADRONE DEL CIBO E DELL’ACQUA È PADRONE DEL MONDO Sono 88 milioni gli ettari di terra fertile compra-

cause della desertificazione delle foreste,

ti o affittati da Stati, colossi economici o mul-

soppresse a favore delle coltivazioni intensive

tinazionali. I due terzi dei terreni sono situati

(di biocarburi, di alberi di gomma, di palme

in Africa, ma 17 milioni di ettari si trovano, per

per olio…) e quindi dell’abnorme ed evidente

esempio, in Ucraina e tanti di più nel Sud-est

aumento delle temperature del pianeta, ma è

asiatico e in America Latina.

causa anche dell’esodo di milioni di migranti

Il fenomeno si chiama Land Grabbing, qualco-

espulsi dalle terre che hanno sempre abitato

sa come “grattamento della terra” ossia acca-

o impoveriti da potenze che sfruttano le ric-

parramento di enormi estensioni di territori in

chezze dei loro Paesi sottraendo risorse senza

Paesi poveri o sottosviluppati.

redistribuire nulla.

Fanno allegramente la spesa mediante con-

Chi pensa che le vittime siano solo loro, gli ulti-

trattazioni opache e farraginose – il più delle

mi, quelli che non hanno diritti e accesso a nul-

volte non trascritte nemmeno sui registri delle

la, si sbaglia: quello della sostenibilità ambien-

nazioni occupate e comunque con indicazioni

tale, economica, sociale è un problema che sta

numeriche molto lontane dall’enormità degli

colpendo anche noi, sempre più tangibilmente.

spazi effettivamente sottratti alle popolazioni

I ragazzi che sono scesi in piazza in 1.700 città

locali – in primis Usa, Cina, Regno Unito ed

del mondo con cortei, anche nelle città di na-

Emirati Arabi, ma anche Brasile ed Egitto che

zioni tra le più inquinate al mondo come l’India,

si allargano acquistando vasti terreni dagli Stati

la Cina, la Russia e l’America Latina, hanno

confinanti più poveri.

dimostrato una consapevolezza superiore a

Ce ne vogliamo fregare? Difficile, visto che la

quella di tutti gli Stati “evoluti”che per oppor-

cosa ci riguarda ormai da vicino.

tunismo e interessi immediati non hanno mai

Quella della Land Grabbing è una delle prime

voluto affrontare la situazione reale.

ME

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LACULTURADELBENESSERE

a cura di

Primo Vercilli Medico Dietologo

PARLIAMO ANCORA DI BUFALE!

Eh sì, purtroppo adesso suonano con una dicitura un po’ più internazionale (fake news), ma si tratta sempre delle stesse cose: grossissime bugie o mistificazioni al fine di rendere più facilmente vendibile un prodotto, operazione a cui, molto spesso, si prestano anche nomi importanti, testimonial, opinionisti, che danno al tutto una parvenza di maggior verità e affidabilità. In un precedente articolo avevo già accennato alla curcuma: ottima spezia, realmente dotata di un certo potere antinfiammatorio, che è stata spesso accostata ad una spiccata azione terapeutica antitumorale. Basta sempre molto poco per creare dei miti e delle leggende: si prende un articolo in cui si ipotizza una certa azione benefica, si fanno alcuni test che danno risultati tali per cui si stabilisce che si deve ancora indagare a fondo, ma da lì parte già la campagna mediatica. La verità invece è che non ci sono studi clinici seri e corposi che possano giustificare l’uso della curcuma come antitumorale; un conto è che le persone prendano questa spezia pensando “tanto, alla meno peggio, non mi farà male” (e questo è vero), un altro conto è invece quello di lucrare sulle aspettative di tante persone che consumano quantità enormi di integratori certe che questi abbiano effettive azioni positive di terapia e prevenzione. Attenzione anche al fatto che è possibile che la curcuma interferisca anche con alcune terapia chemioterapiche e quindi va comunque consumata con cautela e sempre sotto il consiglio medico.

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C’è invece chi si spaccia per medico e imposta un vero e proprio business sulla mistificazione e sulla pubblicità occulta. È notizia di poche settimane fa che un famoso sito di un personal trainer (quindi NON un medico) è stato oscurato dalla Polizia Postale in quanto, oltre a denigrare la professione medica e la dieta mediterranea, proponeva un sistema alimentare (cito le testuali parole) “che, con l’integrazione di vitamina D e K2, sarebbe in grado di migliorare/guarire molte malattie autoimmunitarie e altre patologie senza far ricorso a farmaci”. Qui ovviamente fa sempre gioco l’opinione comune che i farmaci (e le Industrie Farmaceutiche) sono i cattivi e quindi tutto quello che può far guarire senza farmaco è il bene assoluto! Totali mistificazioni che non si fermano neanche di fronte a casi di salute drammatici quale la cura contro il cancro. Sono il primo a sostenere che prevenire il tumore si possa fare anche (ripeto anche) a tavola: basti pensare che il 30% dei tumori derivano dal fatto che ci nutriamo male; e sono anche il primo ad affermare che, anche in casi di tumore conclamato, è fondamentale un’alimentazione con determinate caratteristiche, a bassissimo impatto infiammatorio, cosiddetta “di segnale”, al fine di sostenere l’organismo in una così difficile battaglia. Ma da qui a sostenere che tante malattie (le più gravi) si possano curare solo con il cibo, questa è pura mistificazione. E anche qui non bisogna farsi prendere in giro da un equivoco colossale: il fatto che il 30% dei tumori


LACULTURADELBENESSERE

riconoscano cause di cattiva alimentazione NON significa, per contro, che, una volta che il tumore è conclamato, una sana alimentazione sia la cura adatta. Occorrono decine di anni di cattiva alimentazione per provocare un tumore (attenzione, però, che è molto più facile di quello che si possa pensare!): come si può pensare quindi che una sana alimentazione possa, nel giro di sei mesi, un anno, due anni far guarire da un tumore? E che dire di un amabile giornalista, con la folta chioma riccia che arriva alle spalle, un nome altisonante e che vi dice che si può vivere 120 anni seguendo le sue indicazioni alimentari e consumando i suoi integratori? Ci sarebbe veramente tanto da dire! Intanto che il personaggio in questione fattura oltre 5 milioni di euro sulla salute delle persone (e voi magari ce l’avete con le Industrie Farmaceutiche perché, loro sì, guadagnano sulla salute delle persone!!). Come? Proponendo un regime iperproteico (senza aver inventato nulla di particolare) e vendendo i suoi integratori alimentari che sono dei comunissimi integratori senza alcuna caratteristica particolare. Ma, allora, come fa? È bastato creare un filmato e mandarlo in onda su 24 tele emittenti locali sparse in Italia; filmato senza alcun contradditorio, in cui si dà la possibilità (solo all’amabile personaggio) di decantare le virtù terapeutiche del suo tipo di dieta. E in più, è bastato mandare in onda (sempre durante questo filmato di spudorata pubblicità occulta, fatto passare come un servizio di informazione scientifica) degli spot sui suoi fantastici integratori. Ebbene, sapete cosa vi racconta l’amabile personaggio per farvi acquistare i suoi integratori? Cito il testo integrale del Melatonin Complex: tale integratore si vanta di diminuire “le possibilità d’infarto e di morte improvvisa, rafforzando anche il nostro sistema immunitario (inibendo il cortisolo), nonché di inibire la crescita delle cellule tumorali del cancro alla prostata, ai polmoni, all’utero ed alle mammelle”. E che dire del Radical Killer? L’amabile personaggio annuncia che tale integratore ha la proprietà di “proteggere le cellule cerebrali da Parkinson e l’Alzheimer”, dimostrando” una grande efficacia nei confronti di molti tipi di tumori”. Se non fosse che un leggero senso di nausea mi sopraggiunge tutte le volte che penso a questo amabile personaggio, potrei continuare per molto, ma termino qui, dicendovi solo che (magra consolazione) le società a lui legate sono state multate di 476mila euro dall’Antitrust per pubblicità occulta e pubblicità ingannevole. Veramente magra consolazione. Ma a questo punto vi chiedo: siete ancora sicuri di voler dar credito al primo pirla che vi dice che potete vivere 120 anni con i suoi integratori? Perché fra 4-5 anni ne verrà fuori un altro (che ovviamente lucrerà pesantemente alle vostre spalle) e poi un altro ancora… e poi ancora. E la storia non si fermerà mai fino a quando VOI non comincerete a smetterla di credere che esiste una via così facile per vivere a lungo e in salute!

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LA SCELTA VEGANA

a cura di

Silvia Bianco testimonial di cucina vegana

TRATTORIE VEG Le trattorie, nel senso più stretto del termine, sono nate come esercizi mediamente economci che coniugano abbondanza delle porzioni e qualità dei piatti legati alla tradizione locale. Ciò che contraddistingue una trattoria da un ristorante, o altro locale, è proprio questa tipicità, che affascina ed attrae la clientela. Viaggiando molto, sono la prima che sia in Italia che all’estero ricerca posti che offrono la cucina tipica locale. Se mi trovo ad Hong Kong, il primo posto che cercherò non sarà mai un rinomato ristorante italiano, ma quello più tipico che rispetta usi e costumi del luogo (in chiave vegetale), senza per forza essere un ristorante d’elite. L’arte della cucina e del vino le ritengo i pilastri fondamentali come esperienza di conoscenza della cultura di un luogo. Le trattorie nascono come posti semplici, con un menu di pochi piatti della tradizione, ma decisamente buoni e goderecci. La semplicità di questi locali non è certamente una caratteristica negativa, anzi spesso proprio perché l’offerta è concentrata su un numero ridotto di pietanze, c’è una maggiore ricercatezza nell’ottenere un piatto buono sia al palato che agli occhi, con ingredienti e prodotti locali tipici e genuini. L’arredamento è anch’esso semplice, rispecchia l’atmosfera famigliare, tipicamente rustico e poco formale. Negli anni le trattorie hanno perso di appeal, perché la semplicità talvolta viene vissuta come trascuratezza. Sì, perchè oggi siamo bombardati dalle immagini, siamo in un mondo dove tutti devono osare l’idea più sensazionale per cercare di ottenere un ritorno sia in termini di clientela sia di notorietà. Spesso la notorietà viene posta dinanzi alla bontà di un buon piatto accompagnato da un buon vino. Non sei “cool” se non arredi o frequenti il locale in stile industrial-contemporaneo, come quelli più in voga di New York e così ci si perde nella ricerca degli arredamenti e nella costruzione di piatti che stravolgono la tradizione osando abbinamenti non sempre azzeccati.

LA RIVOLUZIONE STA NELL’ESSENZIALITÀ PIÙ CHE NELLA STRAVAGANZA Fin qui parrebbe tutto male, ma qualcosa di positivo c’è. Molti imprenditori hanno capito ( ed altri ancora stanno per farlo) che la novità non sta nel presentare a tutti i costi un’ampia scelta di piatti, con menu estrosi, perché fra un’ampia scelta e la freschezza, questa, insieme alle idee, è molto più importante: ingredienti cucinati e serviti il giorno stesso, idee in cucina che si rinnovano ogni giorno in base alle disponibilità dell’orto, sono la formula più pura della Trattoria che conduce a quel senso di casa, quello delle nostre nonne, che troppo spesso viene dimenticato nella frenesia di frequentare i locali più modaioli del momento. Fortunatamente c’è un lento ritorno alle origini, con menu che seguono il corso naturale delle materie prime di stagione, con pochi piatti ma buoni, accompagnati da vini “veri” prodotti da piccole realtà che dedicano anima e corpo alla loro attività. Con la diffusione dell’alimentazione vegetale, oltre alla possibilità di trovare opzioni vegan nei locali tradizionali, sono nati diversi luoghi che offrono menu unicamente plantbased. Per effetto dei tempi, è difficile trovare un locale che si identifica come “trattoria vegan”, oggi siamo di fronte alla nascita di locali chiamati bistrot, “orterie”, gastronomie, etc, che nella formula rispecchiano la semplicità genuina delle trattorie classiche, ma con menu che interpretano la tradizione gastronomica locale con un tocco di modernità, nel rispetto della materia prima e con poche contaminazioni tra diversi sapori. Facciamo un mini viaggio per l’Italia e scopriamo alcuni di questi locali che più rappresentano l’essenza della trattoria.

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LASCELTAVEGANA

CUCINA ROCK VIBRAZIONI VEGETALI Via Mazzini 53 - Abbiategrasso (MI)

E’ la prima trattoria vegana della zona inaugurata a fine 2015 nata da un’idea dello chef e titolare Marco Rossi, con l’intento di far conoscere a più persone possibili la cucina 100% vegetale, offrendo varietà e gusto. Il termine “vibrazioni” rimanda al rock, altra passione dello chef “..perche rock è spontaneita’ e naturalezza. Rock e’ liberta”... Sì, perché la sua cucina è totalmente libera da derivati animali, ma piena di gusto. Il menu cambia ogni giorno e prevede quotidianamente un antipasto misto, tre primi, tre secondi, tre contorni, tre dolci e tre estratti diversi ed il pane fatto in casa. Le porzioni sono abbondanti a prezzi onestissimi e ci si alza da tavola soddisfatti, ma non appesantiti. L’idea dello chef è quella di variare il più possibile, assecondando il ritmo della natura, portando in tavola ricette con ingredienti di stagione, da agricoltura biologica e a KmZero. La clientela di Cucina Rock è varia, non solo vegani, ma anche vegetariani ed onnivori, l’ambiente è informale, con una grande lavagna che si rinnova quotidianamente con i piatti e vini del giorno, mentre alle pareti colorate troviamo quadri con foto di band e cantanti rock della storia come The Beatles, Freddie Mercury, David Bowie, solo per citarne alcuni.

GIUGGIOLE - BIOVEGANERIA Via S. Ottavio 56f - Torino

Nel cuore del borgo storico di Vanchiglia a Torino, a pochi metri dalla Mole Antonelliana, si trova la prima trattoria vegana biologica della città inaugurata nel Gennaio 2016. Tutti gli ingredienti sono naturali da agricoltura biologica per un menu mai banale che varia giornalmente. Ottime le proposte per la pausa pranzo, per chi desidera piatti gustosi, vegani ma sfiziosi e saporiti. Il servizio è veloce, il personale molto gentile, attento ed accomodante. Il locale è adorabile: spazioso e luminoso, curato nei dettagli, l’atmosfera calda ed accogliente. Arredato con mobili rustici in legno, molti dei quali recuperati e ristrutturati ad arte. Al centro del locale una bella lavagna per il menu del giorno e la cucina a vista. La cucina è 100% vegetale, particolarmente attenta all’utilizzo di materie prime biologiche, da filiera corta e a Km zero. Il pane è a lievitazione naturale da pasta madre, le farine bio e macinate a pietra, frutta e verdura giungono da campi certificati, così come i vini del Monferrato e le birre artigianali locali. La cucina esclude le fritture e l’utilizzo di olio di palma, privilegia Olio extra vergine d’oliva, simbolo per eccellenza della cucina mediterranea. Il menu varia ogni mese, con un’offerta di

quattro piatti ciascuno per antipasto, primo, secondo, contorno e dolce. Le proposte sono ben impiattate, saporite e i dolci molto golosi, prezzi nella media.

IN ‘UNZAJA VEGAN RESTAURANT Via Untoria 36/r - Savona

Il locale è una trattoria-bistrot 100% vegetale con cucina casalinga sito nel cuore della città vecchia di Savona. Il nome del locale deriva dal nome della via in cui è situato “Via Untoria”, ovvero l’antica via dei conciatori di pelli del Medio Evo, i quali erano nominati “untori” proprio perché ungevano e tingevano le pelli. In dialetto ligure “ungere” si traduce con “unze” e da qui ha origine la traduzione savonese di “Unzaja” che sta per “via untoria”. La cucina di questa trattoria è di base macrobiotica ed energetica, per questo sono tassativamente esclusi prodotti preconfezionati, surgelati, insaporitori, dadi, farine e zuccheri raffinati. Si predilige produrre completamente a mano il pane, la pasta e le alternative vegetali proteiche come il seitan; le materie prime provengono da agricoltura biologica, da produttori locali, prediligendo frutta e verdura di stagione e olii spremuti a freddo. La cucina che rispecchia la tradizione italiana mediterranea con contaminazioni ispaniche, è gustosa e stuzzicante, i piatti cambiano ogni giorno e le porzioni sono generose a prezzi modesti. Il locale è piccolo, ma accogliente e luminoso.

CUCINOT

Via Orsini 9/a - Imola (BO) Locale inaugurato nel 2014, la chef Federica Malavolti, nonché titolare del locale, propone una cucina stagionale a km zero con piatti dalla cucina italiana regionale come caponata, ragù, panzanella, carbonara, reinterpretandoli in modo delizioso. Il menu varia quotidianamente, seguendo la stagionalità dei prodotti locali e comprende sempre un primo piatto, un secondo con 2 contorni, un piatto unico con entrambe le proposte, un’insalatona e una buddha bowl. Federica si rifornisce dai contadini delle colline imolesi per frutta e verdura fresca a km 0 e dal fruttivendolo accanto per i prodotti non reperibili localmente. Legumi, cereali e proteine vegetali provengono dal fornitore biologico di fiducia e propone una piccola selezione di vini, birre artigianali del territorio, ed estratti fatti al momento. Ogni mattina Federica sforna il pane con pasta madre e focaccia integrale e confeziona dolci, torte e biscotti. L’ambiente è molto famigliare, avvolgente e coinvolgente con luci soffuse e musica in sottofondo. E’ arredato con complementi vintage come una graziosis-

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LA SCELTA VEGANA

sima TV anni 50; una riproduzione di un salottino da lettura posto su un palchetto proprio sopra l’ingresso; specchi anticati, una valigetta vecchia e altri mobili recuperati e restaurati a regola d’arte. Il locale non è molto grande, arredato con tavoli di gruppo che offrono eventualmete la possibilità di socializzare sedendo accanto ad altri commensali.

FRAM CAFÈ

Via Rialto 22/c - Bologna Situato in una via caratteristica del centro cittadino di Bologna, questo locale è nato nell’estate del 2003 come un caffè dove poter leggere un libro, lavorare al tablet e scambiare quattro chiacchere tra amici. Dal 2014, il locale si è completamente rinnovato, diventando un bistrot bio veg con il proposito di avvicinare le persone ad un tipo di alimentazione sana e consapevole a base unicamente vegetale e biologica, perché il motto di Elena Montanari, la proprietaria e di sua figlia è “mangiare bene per voler bene”. Il Fram apre le porte del suo caratteristico locale già dal mattino per offrire colazioni a base di cappuccini di latte di riso, soia, avena e mandorla con cornetti di grani antichi ed integrali, senza derivati animali, in versione dolce, farciti con creme o marmellate e salata, torte dolci artigianali del giorno, come quella di mele, strudel di mele e cannella, girelle all’uvetta e panini al cioccolato, centrifugati di frutta e verdura bio. A pranzo si trovano proposte di cucina stagionale con prodotti del territorio sempre biologici: piatto unico composto da cereali, verdura cotta e cruda e proteina, zuppe del giorno, insalate freschissime, quiche e crostate salate e medaglioni di legumi e cereali. Tutto il giorno si trovano torte e biscotti bio di farine antiche, muffin, te e infusi. Verso sera, oltre ad una cenetta informale si può gustare un aperitivo accompagnato da vini del territorio biologici e biodinamici,

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birre artigianali locali e cocktail naturali. L’atmosfera del locale è informale, accogliente ed intima, in stile nord europeo/hipster con arredi esclusivamente di recupero.

L’OV OSTERIA VEGETARIANA Piazza Del Carmine - Firenze

Ristorante aperto a fine maggio 2017, negli spazi anticamente occupati da un mercato della carne e del pesce. Gli interni del locale ricordano un giardino-serra invernale, luminoso e colorato, il bancone è ricoperto di muschio verde, ci sono piante strategicamente posizionate agli angoli e piante a cascata in stile string-garden sul soffitto. Gli arredi sono contemporanei e colorati e vanno a fondersi con elementi più antichi, come il pavimento in pietra originale del 1400, le vecchie mura in lastre di marmo bianco che altro non sono che le antiche pareti del vecchio mercato. Ai fornelli c’è Simone Bernacchioni, da anni vegetariano, la cui filosofia è “… basta una buona ribollita o pappa al pomodoro per mangiare vegan con gusto! “ E infatti alcuni dei piatti che è possibile trovare sono i classici della cucina regionale toscana (e non), come la panzanella croccante con pomodorini, cuore di sedano, cetrioli, uvette e pinoli con pane cotto a legna, la gran frittura dell’orto con salsa tartara o maionese vegetale. La sua cucina propone la rivisitazione di piatti tradizionali italiani ed anche internazionali in modo creativo per presentare un menu intrigante, privilegiando materie prime freschissime e di stagione: dal cavolo nero toscano al cavolo romanesco, dalla zucca mantovana al radicchio trevigiano. Il menu del pranzo cambia ogni giorno, con piatti nuovi che seguono il ritmo naturale delle stagioni, perfetti per una pausa pranzo sprint, leggera, ma gustosa. Il menu della cena cambia stagionalmente ed è un menu dove non esistono antipasti, primi e secondi, ma viene interpretato come un viaggio temporale del gusto che inizia con ‘prima’, continua con ‘dopo’ e finisce con ‘e poi’. Tutti i piatti da OV sono pensati per vegetariani, vegani, celiaci, chiunque può trovare piatti che fanno stare bene, perché, come afferma lo chef “Mangiare vegetariano, vegano e senza glutine è un’esperienza culinaria che merita la scarpetta”.

RIFUGIO ROMANO Via Volturno 39/41 Roma

Situato nelle vicinanze della stazione Termini ed è un ottimo punto di appoggio per i viaggiatori (e non). E’ una trattoria a conduzione familiare con un’esperienza alle spalle di oltre 30 anni. Propone una cucina tradizionale e tipica romana, non è quindi interamente vegano, ma la caratteristica principale di questo locale è l’aver realizzato tutte le portate presenti nel menu tradizionale in versione vegana. Niente budda bowl, niente filosofie orientali: dal Rifugio Romano si gode della tradizione, con gusto e sapore! Tra i piatti più apprezzati, troviamo gli gnocchi alla sorrentina, la carbonara e la amatriciana, la lasagna, le pennette alla vodka, la tagliata di seitan ai porcini, le polpette al sugo, le gustosissime scaloppine di seitan al limone, il filetto di seitan al pepe verde, supplì, arancine, le pizze e i calzoni e tra i dessert tiramisù, panna cotta e torta sbriciolata. Tutto rigorosamente vegan. C’è anche un’ampia scelta di vini, biologici e vegani, la maggior parte provenienti da cantine trentine, marchigiane e laziali. L’ambiente è accogliente, caldo e familiare, tutto in legno, proprio come le trattorie “di una volta”. L’atmosfera è serena ed in cucina sono pronti a rispondere a richieste ed esigenze particolari.


LASCELTAVEGANA Chef Nicola Manganiello - La Casina di Alice - Livorno

LA CASINA DI ALICE

Via Leonardo Cambini 14 - Livorno Questo locale nasce nel 2013 si trova in pieno centro di Livorno in una stradina chiusa al traffico, al primo piano di una palazzina del primo ‘900. I tavoli sono disposti nelle varie stanze della casa, il tutto arredato in stile shabby chic, minimalista, sui toni del bianco, beige e rosa antico. L’atmosfera è informale e piacevole ed il personale è gentile ed accogliente. Si caratterizza per uno stile di cucina gioioso e creativo con l’uso esclusivo di prodotti vegani e biologici e i piatti sono presentati in maniera elegante ed accattivante. Uno dei punti di forza è la continua ricerca sulle materie prime rigorosamente di stagione e sul menu che si abbina egregiamente alla carta dei vini e delle birre artigianali. E’ aperto a pranzo e cena con due format di menu, veloce e à La carte. Nicola Manganiello è lo chef, nonché socio, de La Casina di Alice, ha un percorso formativo interessante il cui punto di svolta è stato l’incontro con lo chef Simone Salvini che gli ha trasmesso l’amore per la cucina vegetale. In attesa di tornare in questo bistrot elegante, lo chef Nicola Manganiello ci delizia con la ricetta qui a lato.

RICEVIAMO DALL’AZIENDA AMADORI: Con la presente vogliamo precisare quanto riportato nell’articolo “2019 - L’anno della svolta” a firma Silvia Bianco, uscito su La Madia Travelfood di marzo 2019. In particolare al capitolo dal titolo “Il Benessere Animale passa dalle Autorità e anche da ognuno di noi”. L’informazione relativa a una presunta pubblicità ingannevole da parte di Amadori sul proprio sito internet è non solo parziale, in quanto usa come unica fonte la comunicazione dell’associazione che ha fatto la segnalazione all’Antitrust, ma è soprattutto non veritiera. Infatti, nessuna infrazione è stata accertata da parte di alcuna Authority e, conseguentemente, nessuna sanzione è stata irrogata. La stessa istruttoria condotta dall’AGCM ha confermato che i livelli di qualità che caratterizzano le linee d’eccellenze degli allevamenti Amadori (Pollo Qualità 10+ e Pollo Il Campese) sono conformi ai parametri fissati dalla nostra associazione di categoria UnaItalia. Vi segnaliamo la nota che specifica quanto sopra riportato, apparsa sul nostro sito in data 14 gennaio nella sezione “Area Stampa”. Sarebbe opportuna, come prassi e deontologia giornalistica impone a chi svolge tale attività, ascoltare sempre entrambe le parti in causa, per dare un completo quadro ai propri lettori, pur in un contesto già ben definito, quale la rubrica in cui è apparso l’articolo. Grazie e resto a disposizione. Andrea Biondi - Ufficio Stampa e Comunicazione Istituzionale

CILINDRETTO DI POLENTINA TARAGNA con piselli, frutti di bosco, porcini e la sua mayo

INGREDIENTI per 4 persone Per la polenta: ml. 500 di acqua, 1/2 cucchiaio di miso, g. 125 di polenta taragna, sale q.b., pepe q.b., g. 10 di olio extravergine d’oliva. Per i funghi & mayo: 5 funghi porcini freschi, 1 cipolla, 1 spicchio d’aglio, 1 pezzo di alga kombu, 1 foglia di alloro, alcune foglie di nepitella, sale, pepe, olio extravergine d’oliva, g. 50 di latte di soia, g. 150 di olio di semi, g. 10 di senape. Per i pisellini: g. 200 di pisellini finissimi, 1 scalogno, brodo vegetale q.b., sale, pepe. Per finire il piatto: 2/3 fiori eduli, alcune foglie di prezzemolo, 3 mirtilli, 3 ribes. PROCEDIMENTO In un pentolino far bollire l’acqua con il miso, l’olio, il sale, il pepe e aggiungere a pioggia la farina di mais mescolando accuratamente. Cotta la polenta, rovesciarla in una teglia a bordi alti e farla freddare. Una volta indurita, ricavarne dei cilindretti con l’aiuto di un coppa pasta. Tagliare a julienne la cipolla e farla rosolare in padella con lo spicchio d’aglio in camicia, l’alga kombu le erbe aromatiche e un giro di olio extravergine. Aggiungere i funghi tagliati a cubi e farli cuocere a fuoco vivace fino a cottura ultimata. Salare e pepare. In un bricco aggiungere al latte un quarto dei fughi cotti, la senape, il sale e il pepe. Incominciare ad emulsionare con un mixer ad immersione aggiungendo l’olio di semi a filo. Tritare finemente lo scalogno e farlo rosolare in un pentolino. Aggiungere i pisellini e farli cuocere a fiamma bassa allungando con del brodo per 10/15 minuti. Salare e pepare. Piastrare la polenta in padella con poco olio per 2 minuti per lato. Finire il piatto adagiando su delle macchie di aceto balsamico la polenta piastrata, la quenelle di mayo ai funghi porcini, i funghi e i pisellini. Guarnire con i frutti di bosco, i fiori eduli e le foglie verdi.

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IL MENU ENGINEERING

a cura di Lorenzo Ferrari Direttore Marketing di RistoratoreTop

MUSICA A MISURA DI RISTORANTE PER AUMENTARE LA MARGINALITÀ

Aumentare fatturati e marginalità con… una playlist musicale personalizzata. Chi scrive amministra e gestisce il gruppo più grande esistente su Facebook dedicato ai ristoratori e alla ristorazione in genere (RistoratoreTop – Il gruppo) e al suo interno, recentemente, si dibatteva tra colleghi sulla tipologia di musica adatta a seconda della tipologia di ristorante o locale. A quella domanda la risposta è una e una soltanto: dipende dall’Identità Differenziante. Ossia, dipende dalla filosofia del ristorante stesso: non ci aspetteremo di ascoltare “La nona” di Beethoven all’interno di un Hard Rock cafè oppure della musica “trap” dentro il ristorante di un hotel a cinque stelle. Quella discussione mi ispirò una riflessione particolare, riguardante la possibilità di avere una playlist – o addirittura una web radio intera! – personalizzata all’interno dei ristoranti, coerente con la propria identità, con l’aggiunta di alcuni jingle (motivi musicali che accompagnano degli spot pubblicitari) personalizzati anch’essi. Lo scopo? Sempre lui: aumentare fatturati e marginalità. Quest’argomento è approcciabile anche da chi, come chi scrive, non è un appassionato o un conoscitore di musica: infatti vi sono sul mercato diversi fornitori che si occupano di scegliere al posto dell’imprenditore la musica più adatta alla propria identità e alla propria clientela, allo scopo di migliorare la loro esperienza, nonché di tutta la parte tecnica e tecnologica. Ma perché avere una playlist, una webradio e addirittura dei jingle personalizzati rispetto al trasmettere una qualsiasi stazione radio, più o meno famosa? Chi scrive si è fornito quattro risposte: 1) La musica - e in generale l’audio - può e dovrebbe essere considerata uno strumento di marketing. E come tutto il marketing degno di nota, dovrebbe appartenere in modo intrinseco al ristorante a cui fa capo, in modo da risultare impossibile da emulare da chiunque.

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E se la soglia d’accesso alla musica che si trasmette all’interno delle proprie sale è quella di collegare l’impianto audio ad una determinata frequenza, è chiaro che rappresenti la soluzione adatta... 2) Perché è possibile utilizzare i jingle per creare una comunicazione coerente. È possibile far produrre da professionisti dei motivetti sonori, fino a diventare dei veri e propri spot pubblicitari, da trasmettere quando e come lo si desidera, per promuovere un particolare piatto, una particolare serata o un evento. Qualora lo si ritenesse opportuno si potrebbero anche creare dei piccoli “stacchi” tra una canzone e l’altra per ribadire la propria Identità Differenziante, trasformandola anche in forma audio. 3) Perché una webradio permette di creare, a seconda della giornata e del target, atmosfere differenti. Così come a colazione potrebbe essere una cattiva idea trasmettere musica metal, allo stesso modo, durante un aperitivo potrebbe essere controproducente trasmettere lo Zecchino d’Oro. È scientificamente provato da decine e decine di studi, tra i più famosi cito “The Influence of Background Music on the Behavior of Restaurant Patrons”, pubblicato sul Wall Street Journal da Ronald E. Miliman, che la musica adatta aumenta i tempi di permanenza nel locale, o li abbassa, e può risultare determinante nell’aumentare fatturati e marginalità. 4) Perché garantisce il controllo di ciò che i propri clienti si troveranno ad ascoltare. L’udito, a differenza della vista, del tatto o del gusto, è un senso che non si può “spegnere”. È sempre acceso. E volenti o nolenti i vostri clienti, consciamente o meno, ascolteranno ciò che proporrete loro. E ne subiranno gli effetti, positivi o negativi. Va da sé che vale la pena di avere controllo anche su quel canale, per impedire che, malauguratamente, i vostri clienti si trovino ad ascoltare, nelle sale del vostro locale, la pubblicità di un concorrente trasmessa dalla radio locale. Buon lavoro.



a cura di Antonietta Mazzeo Tecnico ed Esperto degli Oli d’Oliva Vergini ed Extravergini

L’OLIO EXTRAVERGINE DI OLIVA, FONTE DI SALUTE E BENESSERE L’olio extravergine di oliva è il portavoce di un patrimonio non solo gastronomico, ma anche identitario, sinonimo di tradizione, civiltà e sacralità; un patrimonio e una ricchezza che si riflettono anche sulla nostra tavola. Il sapore che un buon olio extra vergine d’oliva conferisce al piatto è qualcosa di irripetibile. Una bontà che allo stesso tempo è sinonimo di salute. L’olio è infatti uno dei pilastri della dieta mediterranea, fonte di numerosi benefici e segreto per una vita longeva. Tanto antico quanto l’esistenza umana, l’ulivo fa la sua apparizione fin dalla preistoria, emerso nello spazio del Mediterraneo come permanente e predominante elemento del suo paesaggio, compagno ed elemento alimentare dei suoi abitanti. Sacro come un incomprensibile mistero, tanto unico come solo un dono divino agli uomini potrebbe caratterizzarsi, è stato spesso collegato con la vita e la morte. Considerato un albero santuario, ha abbinato armonicamente relazioni tra cultura, arte, poesia, abitudini, tradizione e religione. I grandi dottori nell’antichità, senza conoscere la composizione chimica dell’olio d’olivo, credettero nell’effetto benefico per la salute dell’uomo. Galeno - medico greco vissuto nel II secolo dopo Cristo, considerato il “padre” della medicina - assegnava all’olio d’oliva delle virtù terapeutiche nel combattere i “mali del ventre”, mentre Dioscoride lo considerava particolarmente

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adatto nella composizione degli unguenti, indicato anche per lo stomaco “essendo un correttivo”. Usato nelle cure di bellezza perché preveniva l’avvizzimento, nutriva il cuoio capelluto e lo proteggeva dalla forfora e anche dalla caduta. Negli ultimi anni l’attenzione verso la qualità di questo ricco succo, che da secoli nutre, guarisce, abbellisce generazioni di uomini, è notevolmente aumentata, grazie anche a molte evidenze scientifiche riguardanti le sue proprietà nutraceutiche e salutistiche, legate principalmente alla particolare composizione in acidi grassi e alla presenza di sostanze antiossidanti, in grado di influenzare positivamente vari processi metabolici dell’organismo. Gli alimenti “nutraceutici ” sono sostanze alimentari dalle dimostrate caratteristiche benefiche e protettive per la salute sia fisica che psicologica dell’individuo. La nutracetica è lo studio degli alimenti che hanno degli effetti sulla salute ed associano le componenti nutrizionali alle proprietà curative. L’olio extra vergine è stato definito il primo nutraceutico naturale nella storia dell’uomo. Gli sono riconosciute questa proprietà in relazione alla sua composizione in termini di micro e macrocomponenti; oltre a svolgere la funzione primaria di apporto di nutrienti, stimola anche l’aspetto emozionale del cibo, rendendolo più appetibile, soddisfacendo il senso di sazietà, rendendolo più facilmente digeribile. È un alimento gustoso, sano e naturale: consumarlo


OLIOEXTRAVERGINED’OLIVA

con regolarità (dai 30 ai 60 grammi al giorno) aiuta a vivere bene, e a prevenire e curare diverse patologie. La scienza moderna riconosce all’olio d’oliva pregi e virtù indiscussi: crudo o riscaldato, è il grasso più indicato per l’alimentazione, non soltanto per il suo aroma e il suo sapore, ma anche per l’insieme delle sue proprietà. I polifenoli sono tra i componenti più preziosi dell’olio extravergine di oliva, unico fra i grassi vegetali a esserne ricco. Tali sostanze, che ne determinano il caratteristico aroma fruttato e il gusto piccante e amaro, sono dotate di un elevato potere antiossidante che, oltre ad esercitare un’azione protettiva sull’ossidazione dell’olio da parte dell’ossigeno, svolgono una potente azione antiossidante anche sul nostro organismo. Rispetto agli altri oli, l’olio extravergine è il più “benefico” per almeno sette motivi: 1) È l’unico che si ottiene mediante semplice spremuta meccanica del frutto, senza uso di solventi chimici. 2) È il condimento più digeribile. 3) È quello con il miglior equilibrio fra grassi monoinsaturi, saturi e polinsaturi. 4) È il più ricco in sostanze antiossidanti come vitamina E e polifenoli. 5) È meno calorico rispetto alle altre fonti di grasso (e quindi, fa ingrassare meno). 6) È uno fra gli oli con punto di fumo più alto (e quindi, più indicato anche in frittura).

7) È quello che più esalta gusto e sapore degli alimenti. L’olio extravergine d’oliva contiene sostanze antiossidanti, è povero di grassi saturi e ricco, invece, di grassi monoinsaturi. Il perfetto equilibrio di componenti e nutrienti, e le proprietà nutrizionali, sono un potente alleato per curare e mantenere in forma e buona salute il nostro corpo. • Stimola l’assorbimento intestinale del calcio, favorendo l’accrescimento delle ossa lunghe. • Abbassa il livello del colesterolo “cattivo” (LDL) mentre aiuta a mantenere inalterato quello “buono” (HDL). • Previene numerose malattie cardiovascolari e riduce (di oltre il 60%) il rischio di infarto. • Rallenta la crescita tumorale. • Ritarda l’invecchiamento cellulare (grazie alla sua azione di contrasto sui radicali liberi). • Potenzia le risposte immunitarie organiche. • Svolge un’azione antinfiammatoria e antibatterica. • Abbassa i livelli di glicemia. • Riduce la formazione di calcoli biliari. • Lenisce gli arrossamenti della pelle e le irritazioni, e i fenomeni di debolezza e impoverimento della cute. Le proprietà nutraceutiche e salutistiche dell’olio extravergine di oliva lo promuovono quale vero e proprio elisir di lunga vita, indispensabile per soddisfare in modo adeguato i bisogni nutrizionali dei nostri tempi.


PRODOTTI ECCELLENTI

A RICCIONE

FRESCOPIADA

PERPETUA LA FILOSOFIA DEL CHIOSCO DI UNA VOLTA di

Maria Chiara Zucchi

La piada è un simbolo che da pane povero delle genti di Romagna, si è trasformato in un elemento che rimanda in maniera inequivocabile ad un territorio ed uno stile di vita. La piada ispira simpatia. È una semplice miscela di farina, acqua, strutto oppure olio, sale ed un pizzico di agente lievitante che quasi magicamente diventa un disco di pane. Fresco Piada, dal 1996, custodisce e tramanda la vecchia ricetta di un chiosco riccionese che negli anni sessanta - quelli del boom turistico in Romagna - era la Mecca della piada. Le donne e gli uomini di Fresco Piada quotidianamente sfornano circa 20.000 piade, tutte rigorosamente cotte a mano su piastra, raffreddate a temperatura ambiente e senza compromessi sulla qualità: solo materie prime eccellenti, i giusti tempi di riposo dell’impasto (almeno 24 ore, che forniscono un’eccellente digeribilità) e l’assenza di conservanti per ottenere una piada fuori dal comune. La gamma assortimentale

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copre tutte le varianti della piada, da quella spessa, morbida e gustosa tipica del Ravennate, alla sottilissima ma fragrante riccionese, con alcune specialità dallo spessore intermedio per soddisfare tutte le esigenze dei romagnoli e non solo. Sono presenti anche alcuni prodotti dedicati alla ristorazione, con imballi specificamente studiati per un utilizzo professionale. La storia di Fresco Piada è raccontata in un bel libro, scritto da Michele Marziani, dal titolo «La Piadina Filosofale». Emblematico questo passaggio: «La strada di Fresco Piada non solo è una strada giusta, anzi, la più giusta, ma segna un percorso che proietta la tradizione nel futuro e lo fa beffandosene sia delle radici che costringono all’immobilità, sia delle sirene che invitano alla globalizzazione e alla liberalizzazione selvaggia». Una produzione fortemente ancorata alla tradizione, ma con un occhio attento e vigile alle innovazioni tecnologiche e alle esigenze del consuma-


FRESCOPIADA

tore moderno. Esempi concreti di questo artigianato avanzato sono, ad esempio, la piada con il lievito madre, così descritta nel libro: «Una delle piadine proposte da Fresco Piada utilizza il lievito madre naturale. E si sente. Svetta su tutte le altre mai assaggiate. Ha una fragranza di altri tempi, un sapore di buono e di appena fatto, di uscito quasi per magia dalla madia della memoria, che la rende vaporosa e antica, indimenticabile, davvero unica nel mondo delle piadine precotte. E non solo di quelle perché questa può dare dei punti, e tanti, anche a numerose concorrenti cotte al momento. È la quintessenza della piada. La piadina filosofale, la pietra miliare, la bontà di imitare». L’ultima nata di Fresco Piada: «La piada ai grani antichi», continua il percorso della tradizione e dell’innovazione, quella qualità estrema che si coniuga con i gusti dei consumatori, un progetto portato avanti con il Molino Pransani che ha riscoperto una serie di grani antichi romagnoli, da agricoltura biologica, macinati a pietra per una farina tipo 2 dal profumo meraviglioso. Un aroma che è poi percepibile, a tutto tondo, nella piada. Come tante PMI italiane, Fresco Piada è particolarmente attenta a mantenere viva l’italianità declinata in maniera assoluta nell’utilizzo di materie prime che vengono selezionate per la realizzazione degli impasti da fornitori che garantiscono al 100% l’origine italiana, in alcuni casi addirittura romagnola. La disponibilità di materie di prime di qualità altissima deve però essere unita in maniera inscindibile ad un amore incondizionato per il processo produttivo tradizionale: quello del chiosco. Essere un grande chiosco significa replicare fedelmente le azioni, lente e ponderate, che ormai da decenni i piadinari ripetono nelle tipiche casette sparse lungo tutta la costa adriatica. Lo spessore della piada, che può variare da qualche millimetro fino ad 1 cm, così come il diametro che può partire da una decina di centimetri sino ai 30/32 delle piade cosiddette sottilissime conferisce al prodotto caratteristiche anche molto differenti, ma la piacevolezza di gustare una piada, ben farcita, rimane sempre quella. Ricette semplici (il tricolore prosciutto crudo, squacquerone e rucola), ricette amate dai pescatori dell’Adriatico (sardoncini arrostiti, cipolla stufata e radicchio verde), ricette da gourmet (lardo valdostano, granella di nocciole I.G.P. del Piemonte e miele di acacia), ricette per i più piccoli o i golosi di dolci (con crema di cioccolato e nocciole): con una buona piada sei in grado di stupire, così come di preparare un pranzo o una cena last minute. Ritorna poi sempre in mente un vecchio adagio romagnolo: «La pis un po’ ma tot», che, per chi non mastica il dialetto romagnolo, si traduce con: la piada piace un po’ a tutti. FRESCO PIADA

Viale dell’Industria, 8 - Riccione (RN) - Tel. 0541 691477 www.frescopiada.com


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GOURMETFOOD

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ANDREACOSTANTINI

ANDREA COSTANTINI IL RE DEL REGIO PATIO A GARDA di

Gianni Di Lorenzo e Elsa Mazzolini

Era il 2004 e La Madia pubblicava un’inchiesta sui “secondi”, ossia sui sous chef nelle brigate più note. Lì, tra un Berton all’ombra di Marchesi e un Pascucci alla corte di Beck, un motivato Andrea Costantini descriveva il rapporto con il suo executive Bruno Barbieri a Villa del Quar. Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti e proprio sull’acqua, quella del Garda, lo ritroviamo, ormai affrancato da ogni sudditanza, padrone assoluto della propria professione e di una cucina votata passionalmente al territorio. Territorio che, se per molti è una bandiera ormai sventolata troppo spesso in modo arbitrario tanto per fregiarsi di un merito che oggi va per la maggiore, in Costantini è invece una scelta libera e ponderata in quanto lui, friulano in terra veneta, potrebbe anche porsi fuori dai parametri localistici. Se non lo ha fatto, se, anzi, ogni suo piatto grida “Garda” con straordinaria coerenza, è perché lo chef ha creduto fermamente nella possibilità di offrire al contesto ambientale nel quale da anni è immerso, un contributo autonomo, scevro da condizionamenti folcloristici. Ciò che realizza è vivo, contemporaneo, autografo

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GOURMETFOOD

OSTRICA DI LAGO INGREDIENTI per 4 persone

g. 100 di salmerino marinato, g. 100 di crema d’olio, g. 20 di uova di salmerino, 10

capperi dissalati, succo di limone, zeste di limone, alga nori secca sbriciolata, briciole

d’argento, filetto di coregone fresco, g. 200 di acqua naturale, g. 3 di fiocchi di bonito, sale, succo di limone PROCEDIMENTO

Battere a coltello i filetti di salmerino precedentemente marinati con sale e zucchero per 24 ore. Mescolare la crema d’olio con il battuto di salmerino, i capperi dissalati

tritati grossolanamente, le uova di salmerino, qualche goccia di succo e la zeste di limone. A parte, spinare i filetti di coregone, ricavarne delle fette sottili ed appiattirle leggermente, disporvi al centro la farcia e richiudere dando forma di un’ostrica.

Per l’acqua dell’ostrica: mettere in infusione a freddo i fiocchi di bonito nell’acqua per 24 ore, quindi filtrare e condire con qualche goccia di succo di limone e una generosa presa di sale. PRESENTAZIONE

Completare con una spolverata di alga nori e alcune briciole d’argento. Adagiarle

nel guscio d’ostrica, versavi l’acqua e servire su uno stampo di ghiaccio guarnito con foglie di limone del Garda.

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nella sua originalità, eppure complementare ai canoni classici locali che egli contribuisce a valorizzare. Ne è una prova la divertente ostrica di lago con cui ormai abitualmente dà il via al suo menu degustazione nella luminosa sala del Ristorante Regio Patio: si tratta di un geniale riassunto del lago, composto da un involucro di filetto di coregone, uova di salmerino, sashimi di salmerino marinato in crema del suo fegato, limone, cappero tritato, alga nori e acqua salata da sorbire in un sol boccone: una contraffazione all’Adrià, un’imitazione del vero riuscita sia per sapidità “marina” che per consistenza. Altro piatto portavoce della più convincente identità gardesana, la sarda di lago con cipollotto alla brace, menta e mosto cotto, una fulminazione assoluta per chi, come tanti, sottovaluta le potenzialità del pesce lacustre, qui invece protagonista avvincente, ricco di una personalità spiccata e di un sapore delicato e intenso, conferito dalla cottura alla griglia. “Questo piatto nasce dopo un interessantissimo viaggio in Giappone - racconta lo chef -. Ero rimasto affascinato dal loro particolare sistema di cottura alla brace: il robatayaki, che ho cercato di adottare nella mia cucina”. Omaggio ulteriore al lago verso il quale guardano le ampie vetrate del ristorante, è il coregone gratinato, sedano di Verona, limone e levistico, dove la naturale asciuttezza delle carni del pesce viene ammorbidita dalla nota grassa delle cervella di vitello integrate al momento della cottura: una commistione da maestro. Parla con accento veneto anche il ramen di lago inserito nel menu “Garda 100%”: malgrado l’ispirazione esotica, la fedeltà al territorio è totale in quanto nel brodo tipico di questa preparazione nuotano in saporito sincrono il coregone, l’anatra, l’uovo, la bietola, il cipollotto.


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SARDA DI LAGO

alla brace, cipollotto e mosto cotto INGREDIENTI per 4 persone

12 cipollotti, 4 sarde di lago grosse, foglie di menta, 4 fili di

porro, 4 fette di bacon affumicato, 8 fette di lardo, misticanza, mosto cotto, aceto di lampone. PROCEDIMENTO

Pulire i cipollotti privandoli della radice; adagiarli sulla brace

ed arrostirli leggermente. Avvolgerli uno ad uno con una fetta di bacon e terminare la cottura sulla brace.

Pulire le sarde, precedentemente squamate ed eviscerate.

Privarle delle lische aprendole a libro e condirle con pepe e

qualche goccia di aceto di lampone. Chiudere le sarde avvolgendole con una fetta di lardo e grigliarle sulla brace. PRESENTAZIONE

Comporre un mazzetto di 3 cipollotti con al centro un ciuffo di

misticanza e un rametto di menta. Legare il tutto con un filo di porro sbollentato e adagiarlo sul piatto.

Affiancarvi la sarda grigliata e completare il tutto con alcune gocce di mosto cotto.

Piatti come questi dimostrano che la valorizzazione dei prodotti territoriali da parte degli chef è spesso determinante non solo per la creazione di una microeconomia al servizio della migliore ristorazione, ma anche come volano per la tutela di prodotti o razze animali in via di estinzione. Costantini infatti - oltre ad aver creato un orto del tutto funzionale alle esigenze della cucina nel quale ha introdotto verdure, ortaggi ed erbe anche di non facile reperibilità - ha indotto alcuni allevatori a riportare nel suo habitat la Grisa della Lessinia, una gallina da arrosto di razza autoctona scomparsa negli anni quaranta ad opera, secondo la leggenda, di militari tedeschi che portarono in Germania tutti i polli riproduttori per garantirsi la fruizione

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GOURMETFOOD

perpetua di queste carni delicate. Oggi Enrico Cassiani dell’Azienda agricola Le Bellette di Mezzane alleva la Grisa allo stato libero nel rispetto dell’animale e dell’ecosistema naturale, così che Costantini e altri chef possano offrire ai clienti quella biodiversità e quei sapori antichi che l’industria ha fatto ormai dimenticare. Al Regio Patio la brigata di cucina agghinda questa gallina sia per renderla protagonista di un intero menu, dall’antipasto al dolce, sia per inserirla nella bucolica ambientazione della Grisa al fieno, adagiata sulla paglia, in un coccio di antica memoria. Analogo meritorio recupero di razze semiscomparse è quello della Garronese veneta, pregiato bovino con carni in ideale equilibrio tra massa magra e grassa, e della pecora Brogna, oggi tutelata proprio da un’associazione di allevatori, ristoratori e trasformatori allo scopo di tornare ad una zootecnia di montagna custode dell’ambiente. Entrambe le carni entrano in molteplici preparazioni come biglietto da visita di un territorio virtuoso; addirittura Costantini azzarda per la Brogna una ricetta a crudo, in tartare cremosa con erbe di prati montani e frutti rossi: la sua apoteosi. Uomo e professionista di carattere, dunque, Andrea Costantini. Lo conferma il suo mentore di un tempo, Bruno Barbieri parlando di lui in un interessante passaggio del suo libro “Via Emilia, via da casa” (Rizzoli): “… Un talento formidabile, molto preparato, di grande intelligenza, una persona umanamente parlando, meravigliosa. (…) Intuii subito che il ragazzo aveva una marcia in più, un qualcosa nella manualità, in come trattava gli ingredienti, come pure nella gestione del gruppo: era uno di quei ragazzi in cui qualunque chef vorrebbe imbattersi”. E nel quale, diremmo noi, vorrebbe imbattersi qualsiasi gourmet in cerca

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Lo chef Andrea Costantini (a sinistra) con il pastry chef Giancarlo Moranduzzo

di emozioni un po’ inconsuete. Le occasioni per approcciarlo possono realizzarsi attraverso il suo Autoscatto, un menu degustazione a sorpresa di 4 o 7 corse che, come un selfie, identifica con istantanea precisione la sua cucina, oppure con il Pranzo all’italiana, rassegna filologica di un pranzo tipico della domenica in famiglia, con tanto di pasta ripiena fatta in casa, carrello dei bolliti, dolci tradizionali. Gli amanti di un’esperienza sostanzialmente verde potrebbero passare per il suo Orto, dove innamorarsi del non lardo, aglio nero, burro e gamberi rossi: sembrerebbe un piatto alla Parini (chi non ricorda quel carpaccio di Narce, l’animale che non c’è, realizzato interamente con pomodori, peperoni, fette di cocomero e susine, presentati in guisa di sottili fettine di carni rosse?) e invece è il frutto di un intelligente gioco di squadra grazie al quale i cuochi del Regio si sono divertiti a costruire un’altra imitazione del vero: melanzane a fette talmente simili al lardo nella loro bianca e compatta consistenza, da trarre in inganno visivo chiunque. Orto a mille anche nei dessert quasi dolci (finalmente!) come il radicchio, nocciola, cioccolato e aceto di lampone e ancor più nel lattuga, miele, ganache di cioc-


ANDREACOSTANTINI

LATTUGA

miele, cioccolato bianco, extravergine del Garda (“quasi dolce”) INGREDIENTI

Cuori di lattuga romana, miele d’acacia, polline, cioccolato

bianco “Ivoire” di Valhrona, olio extravergine del Garda Ca’ Rainene Classico.

Per il gelato al miele

g. 350 di latte, g. 100 di panna, g. 40 di tuorli d’uovo, g. 50 di zucchero, g. 40 di miele d’acacia. PROCEDIMENTO

Per il gelato al miele: portare a bollore la panna ed il latte,

versarli sui tuorli precedentemente mescolati con lo zucchero,

far cuocere il composto a 85°C, raffreddare velocemente ed aggiungere il miele. Mantecare e conservare in congelatore.

A parte, colare il cioccolato bianco temperato in modo da formare una sorta d’alveare. PRESENTAZIONE

Disporre sul piatto i cuori di lattuga romana, irrorare il tutto con il miele, cospargere con dei granelli di polline, guarnire con degli alveari di cioccolato bianco e terminare con una quenelle di gelato al miele ed un filo d’olio extravergine del Garda.

LA GRISA DELLA LESSINIA al fieno, brodo di montagna INGREDIENTI per 4 persone

1 gallina Grisa della Lessinia, rosmarino, aglio, sale, fieno di montagna, lattughe miste.

Per il brodo di montagna: brodo di Grisa, finferli disidratati, noci

acerbe pelate, castagne lamellate arrostite, tartufo nero, mirtilli disidratati.

PROCEDIMENTO

Pulire e legare la gallina Grisa. Insaporirla con rosmarino, aglio e

sale al suo interno. Rosolarla in padella da ambo i petti, sistemarla in una pentola di ghisa con il fieno all’interno; coprire con il suo

coperchio e far cuocere e in forno a 180°C per 60 minuti. Toglie-

re quindi dal forno e far riposare per almeno 30 minuti. A parte,

arrostire le lattughe velocemente in padella facendo attenzione a

mantenerle croccanti. Disossare la Grisa separando petti e sovracosce; con le carcasse ricavare il fondo d’arrosto. PRESENTAZIONE

In un tegame in terracotta caldo disporre parte del fieno con cui e  stata cotta la gallina. Adagiarvi i petti e le sovracosce, coprire in modo da conservare tutti i profumi.

Servire sui piatti già guarniti con le lattughe e completare con il

fondo di cottura. A parte, con il fieno e del brodo di Grisa bollente, preparare un infuso e versarlo in una ciotola contenente tutti gli ingredienti per il brodo di montagna.

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GOURMETFOOD

UN VINO, UN TERRITORIO: IL BARDOLINO

colato bianco, extravergine del lago: “Questo piatto - racconta lo chef ammettendo di non amare il dolce “troppo dolce” - trae la sua origine da un racconto di mia moglie che, da bambina, amava raccogliere la lattuga dall’orto del padre, per poi intingerla nel miele”. Lo chef è questo: un professionista preparato e sensibile che, come afferma lui stesso, cucina quello che gli piace, senza però quell’anarchia priva di argini che è il presupposto dell’arroganza. Lo sorregge e lo guida infatti la sua formazione rigorosa, frutto degli insegnamenti dello chef Othmar Schlegel, che fu suo maestro quando era l’executive al Castello del Sole di Ascona: “Mi ha insegnato a far squadra - rivela Costantini - ma soprattutto a organizzarmi sempre con scrupolo, secondo i dettami della scuola di Escoffier; nei dieci anni trascorsi accanto a Bruno Barbieri ho invece assorbito la sua creatività, osmotica, generosa tanto da permettermi di esprimermi con liber-

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tà”. Il resto, nel tempo, lo hanno fatto la sua curiosità, i viaggi, il confronto continuo con la brigata, la sintesi tra le sue radici friulane e l’influenza sarda contratta col matrimonio, nonché l’amore per la terra che lo ha accolto.

Rappresentativa del territorio gardesano, la Cantina Albino Piona fa parte di quel piccolo gruppo di aziende che dal 2015 ha deciso di imporsi canoni più restrIttivi rispetto a quelli della denominazione del Bardolino, allo scopo di qualificare maggiormente il proprio prodotto, quindi rese basse, scelta di vigneti di almeno 7 anni, uso soprattutto di Corvina, misurato utilizzo del legno e vendita non prima di un anno. I 56 ettari vitati per l’80% a Custoza e per 8 ettari a Bardolino, danno vita a un Bardolino di pregio, agile e nervoso, di un rosso delicato e brillante, con una speziatura non aggressiva. Giudicato migliore vino rosso del Veneto dall’AIS, il Bardolino 2013 ha ottenuto i 3 bicchieri del Gambero Rosso. La sorpresa di questa cantina guidata oggi da Silvio Piona è un elegante Metodo Classico di Corvina 80%, 20% di Garganega e Trebbiano, che però al momento non è in distribuzione. Aspettiamo che lo sia.

PASTICCERIA DELLA REGINA Se nel ristorante Regio Patio la pasticceria, affidata al pastry chef Giancarlo Moranduzzo è una equilibrata commistione tra elementi dolci, salati, acidi, aromatici, per l’Hotel Regina Adelaide in cui il ristorante è inserito si tratta di una radicata vocazione, nata quando anni fa la proprietaria Annalisa Tedeschi, per pura passione, cominciò a realizzare dolci talmente intriganti da diventare il simbolo distintivo della casa. Oggi una pasticceria sempre più raffinata e contemporanea, affidata alle mani della chef pâtissier Giovanna Tommasi, si può degustare durante la splendida colazione del mattino in hotel (un privilegio non da poco nello stagnante panorama della colazione d’albergo), ma soprattutto nella piccola attigua botique “I dolci della Regina” tra arredi dal sapore elegantemente retrò. A Natale vanno a ruba il pan’Ottone – dedicato a Ottone il grande di Sassonia, che la regina Adelaide di Borgogna sposò nel 952 – e il Pandoro della Regina, che una lunga lievitazione e ingredienti di primissima scelta hanno ormai trasformato in prodotti cult per gli intenditori.


ANDREACOSTANTINI

UN SERVIZIO DA RE Un servizio presente, premuroso, a tratti simpaticamente colloquiale eppure discreto: non è facile bilanciare questi elementi se non si è dotati di una professionale sensibilità. Queste sono le caratteristiche riscontrate nel personale di sala del Regio Patio, pronto a dare informazioni precise sul menu, a presentare i piatti in modo adeguato, a esserci o scomparire al momento giusto. A coordinarli non solo un maitre efficiente, Andrea Ansidei, ma anche un direttore che è un vero e proprio padrone di casa, tanta è la sua contiguità con la struttura in cui si muove con appropriato garbo. A Stefano Barbieri si deve riconoscere il merito di svolgere il proprio lavoro con una dedizione che i lunghi anni di servizio non hanno intaccato. Opera sua, sostanzialmente, la ricca cantina dell’Hotel che vanta oltre 350 referenze importanti, ma anche alcune poco note ma pregevoli etichette che ha scoperto per evidente competenza e per la passione che nutre per la cultura del vino. Dunque spesso organizza serate in collaborazione con aziende vinicole specialmente del territorio, degustazioni guidate o lezioni vere e proprie nella cantina dell’hotel ma, soprattutto, riesce a suggerire ai propri ospiti abbinamenti a volte sorprendenti ma adeguatissimi ai piatti dello chef.

GLI AMBIENTI DELLA REGINA Cinquantanove ampie stanze, tutte diverse tra loro, ma egualmente arredate con elementi classici, mobili d’epoca e tessuti raffinati, perfettamente inserite nell’elegante Villa Liberty a pochi passi dal lago e circondata da un ampio giardino ben curato, con piscina. Gli spazi comuni consentono di rilassarsi nei salotti o nella SPA dotata di piscina riscaldata e di un nuovo centro Beauty & Wellness con trattamenti detossinanti ed energetici ispirati alla medicina cinese. HOTEL REGINA ADELAIDE

Via S. Francesco d’Assisi, 23 - 37016 Garda (VR) - Tel. 045 725 5977 www.regina-adelaide.it - hotel@regina-adelaide.it

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di

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AD AIX EN PROVENCE

VILLA GALLICI

OFFRE CALMA, CORTESIA, CARATTERE, CHARME E CUCINA Questa struttura, che è un Top Romantic del mondo e che sorge in Avenue de la Violette (ovviamente!), si fregia del prestigioso e raro riconoscimento “Welcome Trophy” della Relais & Chateau. Appartiene a Roberto Polito Gruppo Baglioni Hotels e, pur essendo situata nel cuore di Aix en Provence, ha cuore italianissimo. Già antico palazzotto fiorentino, la struttura di soli 1000 mq., è costruita in pietra provenzale rosa pallido/maturo, in un giardino lussureggiante che fa impallidire la fama della cittadina circostante ed anzi invita a non uscire dal cancello neppure in inverno, quando il sole scende diritto verso l’invitante piscina riscaldata, rasentando gli alberi maestosi. Le sue camere onuste e molto romantiche, ciascuna con terrazza o giardino, sono tappezzate con tessuti firmatissimi (Vichy, Canovas, Braquenier, Frey, Nobilis-Fontan, Souleiado). Le tinte sono luminose: predomina il giallo, colore del sole per eccellenza che riflette all’interno la vita degli esterni, addolcendone la luce franca e riscaldando l’atmosfera delle stanze. All’ora del the fluttuano ovunque atmosfere di calma e voluttà. Bocuse diceva che, pur essendo il Buon Dio ben conosciuto, deve anch’Egli suonare le campane ogni domenica… Ma qui

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VILLAGALLICI

dall’apertura della Villa non c’è stata necessità di pubblicità, in quanto il passaparola dei VIP l’ha resa subito celebre. Cibi e vini buoni hanno da sempre coinvolto scrittori, registi e nomi illustri del mondo culturale, portando gente di cervello, in un universo dove il “Re” è, banalmente, il palato. È passato di qui il Gotha del mondo intero, star del cinema o della politica, ad iniziare da Gérard Lanvin, Eddy Mitchell, Hugh Grant, Sharon Stone. Durante il celebre Festival della Lirica di Aix, si incontrano qui grandi direttori d’orchestra e i migliori artisti che gradiscono queste lenzuola di lino e le complici atmosfere un po’ fané di questa bomboniera condotta con la passione, il talento e il desiderio di perpetuare un luogo del dolce far niente, una vera Maison dove si celebra

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FASHIONFOOD

ARAGOSTA

fresca e carne di cannelloni di granchio e di ravanello daikon INGREDIENTI per 4 persone

4 aragoste di g. 300 ciascuna, g. 200 di carne di granchio, succo di un limone, coriandolo, sale, pepe, 1 radice di daikon, succo d’arancia ridotto, succo di prezzemolo.

PROCEDIMENTO

Per le aragoste: cuocere le aragoste in un faitout leggermente salato per 4 minuti e raffreddarle subito. Sbucciare le code e conservarle al freddo.

Per i cannelloni: tagliare delle fini lamelle di radice di daikon, abbastanza lunghe,

mescolare la carne di granchio con il succo di limone, il coriandolo, sale e pepe. Arrotolare il granchio in una lamella di radice e livellare i bordi. IMPIATTAMENTO

Tagliare la coda dell’aragosta in medaglioni, lucidare con olio d’oliva, disporre ac-

canto due cannelloni di granchio; decorare il piatto col succo di arancia ridotto, delle gocce di olio d’oliva e del succo di prezzemolo.

TERRINA DI FOIE GRAS CONFIT insalata di finocchi, granita al finocchio con caviale INGREDIENTI per 8 persone

g. 400 di foie gras, sale, pepe, 1 cucchiaio grande di Armagnac e di Porto

bianco, 1 finocchio, 1 limone, olio d’oliva, sale di Camargue, 1 cucchiaio grande di zucchero, g. 20 di caviale. PROCEDIMENTO

Per il foie gras: mettere il foie gras

a marinare 24 ore in frigo con il sale,

l’arte di ricevere con discrezione, con prestigiosa convivialità, classe e trattamento VIP 24 ore su 24. Le parole d’ordine iniziano con cinque “C”: Cortesia, Carattere, Calma, Charme e Cucina”. Nel cuore della Provence questa sosta romantica pare costruita su misura per italiani raffinati che possono tuffarsi nei sapori inattesi della cucina italofrancese creata dallo chef Christophe Gavot e proposta dal, Maitre Restaurateur National e dall’eccellente Maitre d’Hotel Julien Gros: si utilizzano i migliori prodotti della Provence e dell’Italia, senza pretese di ghirigori esibizionistici, ma con l’orgoglio di presentare una gastronomia di tricolori diversi ma in perfetta osmosi. Qualche esempio: tra le Entrées, le noisettes du Piemont en Stracciatella de foie gras de la Ferme du Puntoun aux «Brutti e Buoni», pate de noisette du Piemont, briochette grillée. Oppure la Tartare de gamberoni du Golfe de

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VILLAGALLICI

il pepe, il Porto bianco e l’Armagnac. Il

giorno dopo far cuocere il foie gras in piatto a bagnomaria, nel forno a 100°C

per circa 35 minuti e poi far raffreddare in frigorifero.

Per l’insalata di finocchio: tagliare a pez-

zi 1/3 del finocchio molto finemente e tenerlo in acqua nel frigorifero.

Per la granita di finocchio: il finocchio

non ancora usato deve essere passato

all’estrattore. Aggiungere mezzo limone, lo zucchero e mettere in un piatto piano in congelatore.

Per la finitura: tagliare il foie gras e posizionarlo sul piatto con sale di Camargue e pepe al mulinello.

Asciugare il finocchio e aromatizzarlo con olio d’oliva e sale, quindi metterlo accanto al foie gras. Grattugiare la granita di finoc-

chio con una forchetta e metterla in una scatola di caviale vuota, con una piccola quenelle di caviale sopra.

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FASHIONFOOD

Sanremo, gelée d’orange sanguines, pistou d’épinards, huile d’olive citrino, zeste de citron confits, consommé au poivre tchulic. A seguire Gravlax de saumon royal au thym frais, cremeux de mozzarella fumée à la paille, Sablé romarin. Per finire l’elenco, il Caviar Osciètre Prestige de la Maison Kaviari,

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crème mascarpone à la ciboulette. Nei PRIMI (Vegétal et Pates), ecco un vero Minestroné végetal, velouté tiède d’artichauts, pistou, courge Butternut, artichauts barigoules, poivron grilles, ail noir du Japon. Oppure i Ravioles maison comme un «Vitello Tonato», crème de vetrèche de thon aux capres, olives séchées, vieux Pecorino Sarde. Segue il capitolo MER, con il Filet de daurade royale, purée de panais, fenouil et beurre blanc au Prosecco, déclinaison càpres de Pantelleria au sel, séchées cucunci, feuilles - Oppure il Saint-Pierre roti, lentilles de Castellucciò, oignons au balsamique, bœuf séché des Alpes Italiennes, huile d’olive du Moulin de Castelas légèrement parfumé à l’ail. Segue il titolo TERRE che, ad esempio, offre il Filet di selle d’agneau du Sisteron en croute d’origan cuite au sautoir, cèpes à l’huile, polenta fine bio ròtie “Mulino Marino Piemont”, jus d’agneau en vinaigrette. Oppure il Filet mignon de veau rotì au poivre de Kampot en cocotte, rouleau de pommes de terre et betterave jaune, morilles crémées. Il capitolo DESSERT si apre con il ben fornito Plateau de fromages affinés par Josiane Déal «M.O.F. Fromager» à Vaison la Romaine. Passando al dolce: poteva mancare un Babà romarin, des d’ananas, chantilly, vanille-romarin et coulis d’ananas? Sempre che non preferiate il Tiramisù léger, bisquit Savoiardi, gelée de Marsalà, diplomate café, tuile gruée de cacao. E ancora la Mousse légère au chocolat noir intense, poélée de poires au Marc de Provence oppure il Chpux croustillant, crème lègère noix de Pécan, sorbet abricot, ovviamente con una crème de mascarpone vanillée, che si fa ricordare come gradevolissimo.


VILLAGALLICI

VILLA GALLICI

18 Avenue de la Violette, 13100 Aix-en-Provence - Francia

Tel. +33 4 42 23 29 23 www.villagallici.com

La carta dei circa 200 vini svolge degnamente il suo compito ed è ben governata dal sommelier che chiacchera un po’ con voi per capire le vostre preferenze e poi offre buoni consigli. Un esempio “vissuto” è il mio rosso Chorey-les-Beaune TueBoeuf 2017 della Domaine Francoise André che andava benissimo per l’intero pasto. È disponibile anche una ricca selezione di vini al bicchiere che consente agli animi liberi di bere vini diversi per ogni portata, per abbinamenti anche coraggiosi, da TOP gourmet. In una sala ristorante che è un salottino intimo, dove il caminetto è sempre acceso, con pochi tavoli a lume di candela, sontuose poltrone e dove ogni particolare è curatissimo e di buon gusto, il tempo passa leggero, forse anche grazie al servizio degno dell’alta Hotellerie Francese: quasi devoto, ma nel quale l’accoglienza affettata “a capo chino” lascia spazio a rispettosa convivialità, in un eremo “giusto e perfetto” per un sosta romantica.

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ASSAGGIO DI

LIBRI

a cura di Giorgia Zucchi

DALL’OSTERIA AL RISTORANTE

4 COLORI PER VENDERE IL VINO

La sintesi della storia della ristorazione negli ultimi 300 anni: in uno stile fresco e avvincente i tratti salienti degli eventi e dei cambiamenti che hanno caratterizzato il settore. Una lettura piacevole e veloce per tutti coloro che amano questo settore, ma non ne conoscono le basi storico/culturali. Il volumetto è corredato con le ricette che hanno reso famoso il ristorante “La Frasca” di Castrocaro, oggi purtroppo chiuso dopo 26 anni consecutivi dalla doppia stella Michelin.

di Gianfranco Bolognesi - La Madia Editore 80 pagine - Euro 15,00

TORTE MACARON Piccolo ricettario caratterizzato da foto di ricette gustose e nuovi modi per abbinare i componenti base delle creazioni di Sue Su. Se certe combinazioni di profumi e sapori sono intramontabili, il modo di declinarli in creme, impasti e glasse lascia molto più spazio all’estro. I macaron (che vanno acquistati perché non viene fornita la ricetta) abbelliscono in modo innovativo torte dai nomi familiari, ma dall’aspetto completamente nuovo. Mont-Blanc, Foresta Nera e Paris-Brest sono solo alcuni esempi delle variazioni su temi classici. Più avventurosi sono creazioni con erbe, frutti e spezie come fragole e basilico, lamponi e tonka o cioccolato e pepe lungo. di Sue Su - Bibliotheca Culinaria Editore 72 pagine - Euro 11,90

Il volumetto nasce con un approccio filosofico alla vendita e rappresenta un racconto pratico nel quale identificarsi e riconoscere i propri comportamenti e limiti, al fine di migliorarli e rendere le trattative commerciali sempre più fluide e personalizzate. Perché 4 colori? Giallo, Rosso, Verde e Blu rappresentano ognuno una personalità che va riconosciuta e gestita, per poter fare business e portare a casa veri risultati.

di Andrea Pozzan e Lavinia Furlani WinePeople Editore - 120 pagine - Euro 15,00

ESSERE IMPRENDITORI DEL VINO OGGI Il volumetto di Fabio Piccoli, direttore di Wine Meridian, e del giornalista Fabio Tavazzani, si rivolge ai produttori del vino desiderosi di evolvere la propria figura seguendo i progressi della modernità e la frenesia del comparto vitienologico, oggi molto diverso dalle famose “Era dell’obbligo” ed “Era delle prime consapevolezze” - come vengono definite all’interno del volume - che caratterizzavano il settore prima degli anni ‘80 e ‘90.

di Fabio Piccoli e Fabio Tavazzani WinePeople Editore - 120 pagine - Euro 15,00

A SCUOLA DI FOOD DESIGN La disposizione del cibo nel piatto è un’arte che è andata sempre più affinandosi nel tempo e che in Italia si è affermata soprattutto grazie ai dettami della nouvelle cuisine. Questo volume, a cura di un architetto con la passione per il cibo, fornisce una serie di informazioni sia tecniche che pratiche: attraverso foto e testi,l’autrice insegna come lasciarsi ispirare dalla natura, dai colori, dagli esempi dei grandi chef, per offrire piatti appetibili fin dalla loro presentazione. di Angela Simonelli - Giunti Editore - 192 pagine - Euro 19,50

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GOURMETFOOD

Osterie e Trattorie

a loro il compito di salvare le tradizioni italiane PIETRO ZITO | IRINA | GALLO ROSSO | LA BRINCA | LA CHIOCCIOLA | FRA.SE | BERTOZZI TRATTORIA MODERNA | LA BOTTEGA DI ANNA E LEO | MEZZA PAGNOTTA | LOCANDA DEL NOCE

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GOURMETFOOD

LA CUCINA CON L’ANIMA DI

PIETRO ZITO AD ANDRIA di

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Giorgia Giuliano


SPECIALE Osterie e Trattorie

DA PERITO AGRARIO A CUOCO, PIETRO ZITO CUCINA STORIE. CHI VA A TROVARLO DA ANTICHI SAPORI A MONTEGROSSO DI ANDRIA VUOL FARSELE RACCONTARE.

Un pioniere. Un punto di riferimento inderogabile. Pietro Zito è una sorta di pietra miliare per la sua regione, la Puglia, che ha saputo valorizzare prima di ogni altro nei suoi aspetti più identitari. In tempi non sospetti infatti, quando quasi nessuno attorno a lui si preoccupava di salvaguardare tradizioni e ambiente, lui cercava i sapori della memoria attraverso l’esperienza di quegli anziani che conoscevano ogni erba o pianta spontanea di un territorio tanto affascinante quanto trascurato fino a poco tempo fa. Uno straordinario lavoro di recupero filologico che ha aperto la strada via via ad un fiorire di iniziative imprenditoriali importanti: ristoranti che hanno dato lustro ai prodotti della terra, piccole e medie aziende di trasformazione che hanno allargato il loro commercio anche fuori dalla regione, alberghi finalmente adeguati ad accogliere un turismo consapevole. Ma lui, Pietro, questo movimento aveva cominciato a generarlo già anni fa, divenendo in breve una meta sempre più nota per chiunque andasse cercando quei sapori in via di estinzione, spesso scomparsi sotto il velo soffocante dell’omologazione. Lo ha fatto senza i riflettori di oggi, convinto che la gestualità della cucina rientri nelle normali azioni che ogni cuoco mette in atto quotidianamente per sé e per i propri ospiti e non una esibizione plateale: per gli spettacoli esistono altri posti; un pasto non deve far battere le mani, dev’essere piuttosto come una stretta di mano tra cuoco e cliente. Cucinare appartiene alle cose necessarie e le cose necessarie alla fine sono le più semplici di tutte. Fare il cuoco alla Pietro Zito significa adeguarsi alla natura, aspettarla e rispettarla e poi, attraverso una ricetta, amalgamarla insieme al proprio pensiero. La Puglia di Pietro è fatta di storie e di ricordi e il retrogusto della sua cucina è proprio questo.

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GOURMETFOOD

L’INTERVISTA Ci troviamo in un periodo in cui ogni cosa in cucina viene spettacolarizzata. Quanto è importante oggi la semplicità? La semplicità per me è uno stile di vita, è il mio pane quotidiano. Dieci anni fa sono stato in un ristorante a San Vito dei Normanni dove mi hanno servito uno piatto semplice: spaghetti con fagiolini e pomodoro fresco. A distanza di dieci anni io quel piatto lo ricordo ancora. Ero imbarazzato dalla semplicità di un piatto che ho trovato davvero eccezionale. Un’altra volta ero a Roma con mia figlia e lei aveva ordinato della pasta al pomodoro: era così buona che speravo ne avanzasse un po’ per me. Da quel giorno nel mio ristorante

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SPECIALE Osterie e Trattorie ho introdotto “pasta al pomodoro”, un piatto semplice ma difficile che è sempre in menu, con 3 tipi di pomodori ben maturi e con 3 tipi di lavorazioni diverse: un omaggio al pomodoro allo stato puro. Qual è la tua visione della cucina italiana oggi? Secondo te, dove stiamo andando? Negli ultimi anni abbiamo trasformato in cuochi futuri commercialisti, ingegneri e avvocati, senza metterli al corrente di tutte le difficoltà che questo mestiere comporta: sacrificio, privazione, ecc. Dunque abbiamo corso il rischio di perdere una parte di professionisti italiani, ma sono tanti in realtà coloro che non hanno seguito più la propria passione di cucinare. Al di là delle mode e dei modelli televisivi che creano aspettative irreali e una creatività esasperata, adesso stiamo andando verso la semplicità. La gente vuole inoltre una cucina che non sia solo luogo del cibo ma un armonioso contesto familiare, dove il cibo è un complemento di quello che è la tavola: convivialità.

ORECCHIETTE

di grano arso con cime di zucchine INGREDIENTI per 4 persone

g. 200 di orecchiette fresche di farina di grano arso, g. 500 di foglie tenere e germo-

gli della pianta di zucchine, 2 spicchi d’aglio, olio extravergine d’oliva, ricotta stagionata di pecora.

PROCEDIMENTO

Pulire le piante delle zucchine prendendo le parti tenere e le foglie piccole, mentre

i gambi delle foglie più grandi andranno puliti dai loro filamenti. Cucinare in abbondante acqua salata la verdura pulita e lavata in precedenza e, quando risulterà cotta,

immergere nella stessa pentola le orecchiette. A parte preparare un fondo di olio ex-

travergine d’oliva e aglio italiano, dorare l’aglio in modo quasi da bruciarlo. Quando

le orecchiette saranno quasi cotte (circa 5 minuti), scolare il tutto e saltarlo in padella con aglio e olio (è importante amalgamare molto, in modo da creare una crema ver-

Chi viene a mangiare da Antichi Sapori? Sono sempre di meno (per fortuna) le persone che vengono da me munite di telefonino. Da me viene chi poi fa una passeggiata nel mio orto e capisce che dietro c’è del sacrificio, c’è una passione importante. Venire da me solo per mangiare non ha senso. Penso che chi siede alla mia tavola ha la sensibilità di capire che dietro i miei piatti c’è del lavoro e dell’impegno. La gente deve mangiare da me con una certa partecipazione, deve comprendere l’aspetto umano che sta dietro ad un piatto, non solo l’aspetto estetico. Mi piace che la gente sia curiosa al punto da chiedere da dove arrivano i prodotti che offriamo.

de). Servire con una grattugiata di ricotta stagionata di pecora.

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GOURMETFOOD

È la natura che governa l’uomo o è l’uomo che la governa? Ormai tutto sembra essere sempre a portata di mano e, anche se un prodotto non è stagionale, è quasi sicuro che possiamo ritrovarlo in un piatto. Alcuni ingredienti quindi sembrano una forzatura dell’uomo. Qual è il tuo pensiero al riguardo? Prima il contadino era la persona più povera e umile del mondo. Ora invece è un imprenditore. È l’economia che ci cambia la vita, influenzando anche la cucina. Bisogna capire però che la cucina ha regole ben precise, ad esempio la stagionalità. A ottobre io avevo ancora le melanzane sul menu del mio ristorante perché faceva ancora caldo. Ora abbiamo una marea di erbe spontanee. È inutile ricorrere a prodotti che non appartengono al loro periodo vitale. Noi cuochi dobbiamo adattarci a quello che abbiamo. La bravura, la vera originalità sta nel reinventare quello stesso prodotto, presente in abbondanza, in più modi differenti. C’è un’attenzione costante al tema della sostenibilità ambientale che chiaramente si riflette in cucina (vedi il km 0, il biologico). Tu sei stato un po’ il precursore di tutto questo… Io penso solo che non bisogna farsi ingannare dalle mode del momento e

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ORECCHIETTE

con favetta, olive dolci nere e burratina di Andria INGREDIENTI per 4 persone

g. 300 di orecchiette, g. 500 di fave secche, g. 300 di olive nere dolci, g. 100 di burra-

tina di Andria, g. 40 di pomodorini, olio, sale, pepe e aglio q.b., alloro in foglie, g. 50 di sedano, g. 50 di carota, g. 50 di cipolla. PROCEDIMENTO

Cuocere in un tegame le fave secche sgusciate (lasciate a mollo il giorno prima) con gli aromi sopra elencati. Quando le fave si saranno cotte, eliminare tutti gli aromi e frullarle al mixer con olio extravergine d’oliva formando una crema, detta appunto favetta, che terremo in caldo. A parte, in una pentola con abbondante acqua salata,

cuocere le orecchiette per circa 5 minuti, scolarle e saltarle in padella con la favetta aggiustando di sale e pepe. Servire le orecchiette aggiungendo le olive nere dolci de-

nocciolate e saltate anch’esse precedentemente in padella e burrata di Andria tagliata a pezzi. Servire con abbondante olio extravergine novello e amalgamare il tutto.


SPECIALE Osterie e Trattorie

ANTICHI SAPORI

Piazza Sant’Isidoro, 10

Montegrosso fraz di Andria (BT) Tel. +39 0883 569529

www.pietrozito.it - info@pietrozito.it info@antichisapori.biz

SFORMATO

di orzo grezzo con patate, carciofi e sponsali INGREDIENTI per 4 persone

g. 50 di orzo grezzo, 4 patate di Margherita di Savoia, 5 carciofi pugliesi, 3 sponsali (cipolle giovani), olio extravergine d’oliva q.b.

Per il pane profumato: g. 100 di mollica di pane, 1 spicchio d’aglio tritato, g. 20 di prezzemolo tritato, g. 50 di pecorino grattugiato, acqua, sale e pepe q.b.

PROCEDIMENTO

Pulire i carciofi e tagliarli a fette, mentre le patate e gli sponsali andranno tagliati a bastoncini. Cospargere una teglia da forno con olio extravergine d’oliva, adagiarvi in sequenza le patate, gli sponsali, i carciofi e l’orzo.

Aggiungere sale e pepe. Coprire di acqua tutti gli ingredienti, unire il pane profumato con il prezzemolo e il pecorino, annaffiare il tutto con olio extravergine d’oliva e infornare a 200°C per circa un’ ora.

da come vengono comunicate. La realtà di una cucina è differente: c’è tutta una filosofia educativa che parte dalla persona e che arriva fino al rispetto dell’ambiente. Se non in Puglia, dove altro ti vedresti in cucina? C’è una regione che ti piacerebbe raccontare nei tuoi piatti? Mi vedrei in tutti quei posti dove c’è tranquillità, magari in un paesino di montagna dove la gente che viene nel mio ristorante, viene a trovare Pietro e il suo mondo di scelte sincere.

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GOURMETFOOD

IRINA

RIPARTE DA SE STESSA E DA SAVIGNO, NEL BOLOGNESE. IN UNA TRATTORIA VERA. di

Alessandro Rossi Andrea Moretti

foto di

La trattoria è un tipico esercizio pubblico italiano atto alla vendita e alla consumazione dei pasti in loco. Il nome deriva da trattore e declinato dal francese “traiteur” che, a sua volta, prende origine da “traiter”, ovvero “trattare” le materie prime. Ma perché parliamo di trattorie? Perché Irina Steccanella – che nasce a Sassuolo nel 1979 ma da sempre si considera bolognese di adozione – dopo aver zingareggiato per varie attività ristorative in attesa di consacrazione e accumulato importantissime esperienze nelle cucine di Massimo Bottura prima e Niko Romito dopo, ha deciso che la “Trattoria”, quella vera e con la “T” maiuscola, è il suo habitat ideale, quello dove si trova meglio e più a suo agio. E dove aprire una trattoria se non a Savigno? Il paese, che conta duemila anime, è confluito da poco nel nuovo comune di Valsamoggia; immerso nelle storiche valli conosciute principalmente per il tartufo, conserva la cucina d’un tempo ed i prodotti alimentari locali – la maggior parte ancora artigianali – sono quelli che Irina considera fondamentali per l’alchimia della sua trattoria. Lei dunque ha deciso di ripartire da qui, proprio da questo paesino. La sua trattoria è stata battezzata con il suo nome “Irina”, né più né meno.

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SPECIALE Osterie e Trattorie

VERZA E PATATE INGREDIENTI

1 verza, 4 patate medie, g. 100 di parmigiano, 1 tuorlo d’uovo, g. 40 di olio extravergine d’oliva, g. 50 di latte intero, sale e pepe q.b.

PROCEDIMENTO

Sbollentare 4 foglie esterne della verza per un minuto e mezzo in acqua salata, scolarle e farle raffreddare. Tagliare a

julienne il cuore della verza e saltarlo in padella per 5 minuti. A parte lessare le patate; una volta cotte, scolarle e pelarle.

Il locale è quello che tutti gli amanti della tradizione possono o vorrebbero immaginare: una vera trattoria, semplicissima; un locale anni ’60 che può ospitare in un’unica sala non più di cinquanta coperti. Ma chi è Irina Steccanella? Irina è una cuoca senza spigoli, senza fronzoli, concreta; un’istintiva talentuosa che il mondo ha conosciuto in origine per le sue tagliatelle quando, ancora acerba, studiava il ragù perfetto all’Osteria vini d’Italia di Bologna. Poi, un bel giorno, decide di spiccare il volo e da qui inizia

Per il ripieno amalgamare due patate schiacciate, la verza saltata, il parmigiano, il tuorlo d’uovo e aggiustare di sale e pepe. Con le foglie esterne ed il ripieno formare degli involtini e passarli in forno per 10 minuti a 170°C.

Frullare il resto delle patate ancora calde, l’olio extravergine d’oliva e il latte. Ottenuta la crema desiderata, aggiustare di sale e versarla come base al centro del piatto.

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GOURMETFOOD

un susseguirsi di esperienze importanti che, come prima raccontavo, l’hanno portata a essere più consapevole delle sue capacità e ad affinare ulteriormente le tecniche moderne. Irina piace a tutti, grandi e piccini, esperti o mangioni, anche a chi non ha interesse a sapere il suo nome, ma solo affondare la forchetta nei piatti da lei preparati. La sua caratteristica? Sorriso sulle labbra e testa bassa sui fornelli. Ma torniamo alla nostra trattoria. Cosa mangiamo da Irina? Tutto quello che l’immaginario collettivo popolare può proporvi se chiudeste gli occhi e assaporaste questi lembi di terra: le tagliatelle (ovviamente al ragù), le lasagne, i tortellini in brodo, la zuppa di fagioli, il coniglio, il friggione, la tipica cotoletta alla bolognese e tutto quello che la cucina del luogo ha a memoria.

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SPECIALE Osterie e Trattorie

TRIPPA INGREDIENTI

kg. 1 di trippa, g. 300 di pomodori pelati, l. 1 di brodo, 1 costa di sedano, 1 carota, 1 cipolla, prezzemolo, par-

migiano reggiano q.b., cl. 200 di vino bianco, olio evo q.b., sale.

PROCEDIMENTO

Tritare il sedano, la carota e la cipolla e soffriggerli in una casseruola con un filo d’olio. A parte tagliare la trippa a listarelle e quando gli odori saranno rosolati,

aggiungerla al soffritto. Fare insaporire per 5 minuti e poi sfumare con il vino bianco.

Unirvi i pomodori pelati tritati grossolanamente, il brodo e cuocere per circa 1 ora. Regolare di sale e pepe e, a fine cottura, aggiungere del prezzemolo tritato.

Servire la trippa cospargendola a piacere di parmigiano grattugiato.

Non si pensi però che le esperienze fatte nelle grandi cucine non siano servite, anzi. Come sono state applicate? Con nuove tecniche, punti di cottura moderni e il rispetto della materia prima. Ma finalmente con questo locale Irina potrà veramente, una volta per tutte, dimostrare che la grande storia italiana passa prima di tutto dalla tradizione, dalla cucina di casa e che, attraverso tecniche e percorsi moderni, può essere tranquillamente riadattata al tempo – presente e futuro – senza snaturare il passato, in modo tale da sfidare finalmente le curve del tempo.

IRINA

Via Marconi, 39 - Savigno (BO) Tel. 345 160 8382

www.irinatrattoria.it - info@irinatrattoria.it

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GOURMETFOOD

IL CANTO ORIGINALE E INTONATO DEL

GALLO ROSSO NELLE MARCHE di

Alessandra Meldolesi

È vero: la ristorazione gourmet si assiepa da sempre nelle province settentrionali delle Marche, con esiti notoriamente clamorosi. Ma si può ben dire (e forse non è un caso) che l’istituzione trattoria fa eccezione e spesso e volentieri si è rintanata lontano dai bagliori della riviera, in borghi aspri dove il tempo sembra essersi fermato. È il caso del Gallo Rosso, esercizio raccolto, dal rigore ineccepibile, condotto da Andrea Tantucci e Gessica Mastri in un palazzo settecentesco a Filottrano, fra mura spesse che proteggono il calore e il silenzio di una piccola, indomita missione. Andrea e Gessica sono due cuochi a chilometro zero, nati rispettivamente a Cingoli e nella stessa Filottrano. Dopo il locale percorso alberghiero, il primo ha messo su un curriculum di tutto rispetto: prima 4 anni alle Busche di Andrea Angeletti,

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SPECIALE Osterie e Trattorie ristorante stellato di cui è stato sous-chef; poi un’esperienza al fianco di Roberto Cantolacqua, forse il miglior pasticciere delle Marche, presso la Mimosa di Tolentino, fondata da Danilo Garbini; infine il passaggio decisivo presso l’agriturismo dell’Oasi degli Angeli insieme a Eleonora Rossi. “Ed è stato lì che ho contratto la passione viscerale per il prodotto e per la cucina rurale. La nostra era una carta semplice, fatta di secondi cotti nel forno a legna, zuppe e paste tirate al matterello, con il focus sulle carni di maiale e gli animali di bassa corte, l’olio e gli ortaggi della casa. Perché non c’erano solo Kurni e Kupra. L’emozione di una carota appena estratta dalla terra o di un coniglio macellato il giorno prima mi ha cambiato la vita: da allora non ho cucinato un solo ingrediente da coltivazione o allevamenti intensivi”. Ha rappresentato l’indispensabile antefatto per l’apertura del Maiale Volante, agriturismo di Cingoli costruito secondo i dettami della bioedilizia, con la paglia nei muri, ispirato all’Oasi per autoproduzione e stile di cucina. Andrea vi ha conosciuto Gessica Mastri, impiegata nella vita precedente, rinata cuoca appassionata, con la quale ha deciso di prendere il largo. Il primo canto del loro Gallo Rosso è risuonato nell’ottobre del 2014, sugli accordi di The red rooster, brano di Willie Dixon che ha ispirato l’insegna. “Perché gli animali di bassa corte sono la tipicità della zona”. La cucina è un po’ come loro due: localista (“perché il chilometro zero qui si può fare”), ma a tratti folle e imprevedibile. Se è vero che Andrea ha chiuso nell’armadietto la creatività marinara di Angeletti (a Cingoli fanno capolino solo aringa affumicata e acciughe sotto sale, di tanto in tanto), la tavolozza neorurale si arricchisce qua e là di un tocco di noblesse, attinto dai pentoloni di fondi e jus che sobbollono ogni giorno sul fuoco. “Ma la trattoria è per sempre: un discorso di gusti e di gesti, perché amo le padelle di ferro, il fuoco e le lunghe cotture; non ho mai pensato, neppure lontanamente, al sottovuoto. Preferisco concentrarmi sul sapore, elidendo il superfluo”. Il motore primo sono i produttori vicini, per chilometraggio e affinità spirituale. Innanzitutto Doriano Scibè, da cui arrivano, recapitati a mezzanotte, maiale, salumi, ovini e bovini di razza marchigiana. “Ci sentiamo ogni settimana, ma sa già ciò che mi piace: quando ha trippa, lingua o fegato, me li lascia. Gli agnelli invece li lavoriamo interi”. Poi ci sono due allevatori di animali da cortile: Lorenzo Olmetti per le anatre e le oche; Francesca Pregnolato per conigli, faraone e polli allevati in libertà, come una volta. E ancora un paio di caseifici e

RAVIOLI DI AGNELLO e aringa affumicata INGREDIENTI

Per la pasta: g. 300 di farina tipo 2, 3 uova.

Per il ripieno: g. 300 di agnello, g. 40 di sedano, g. 40 di carota,

g. 40 di cipolla, 1 spicchi d’aglio, erbe aromatiche (rosmarino,

salvia, maggiorana), 1 pezzetto di cotenna di prosciutto, 1 uovo, g. 30 di parmigiano reggiano grattugiato, sale, pepe, olio evo.

Per il condimento: g. 50 di burro dolce, g. 50 di aringa affumicata.

PROCEDIMENTO

Lavorare farina e uova fino ad ottenere un impasto omogeneo. Far riposare un’ora.

Per il ripieno: creare un fondo di olio, sedano, carota, cipolla, aglio, erbe aromatiche e la cotenna; unire l’agnello a pezzi, salare, pepare, versare acqua (meglio ancora brodo) fin quasi a co-

prire. A cottura ultimata, togliere la cotenna e macinare la carne, unire uovo e parmigiano e amalgamare bene. Stendere la pasta all’uovo e confezionare i ravioli.

Tagliare il burro a dadini e metterlo in congelatore. Quando sarà ghiacciato, inserirlo in un cutter insieme alle aringhe fino a

ridurre il composto in pomata, poi passarlo al setaccio. Cuocere i ravioli e condirli con il burro d’aringa.

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GOURMETFOOD

ANATRA ALL’ANCONETANA INGREDIENTI

1 anatra, g. 100 di sedano, g. 100 di cipolla, g. 100 di carota, 2 spicchi d’aglio, 2 acciughe salate, g. 40 di prosciutto, g. 40

di olive, 6 patate, 2 rametti di rosmarino, g. 300 di pomodori

pelati, g. 500 di vino bianco, g. 250 di latte, sale, pepe, olio evo. PROCEDIMENTO

Tagliare l’anatra in 10 pezzi e metterla su una lastra da forno, salare

e pepare. Fare un battuto di sedano, carota, cipolla, aglio, rosmarino,

acciughe salate e prosciutto, e versarlo sull’anatra. Unire le olive e le patate

tagliate a dadi. Aggiungere l’olio e mescolare avendo cura di massaggiare bene i

pezzi di carne, sfregandoli con il battuto. Disporli sulla lastra con la pelle rivolta verso

l’alto. Coprire il tutto con i pomodori pelati schiacciati a mano, il vino e il latte. Se manca

ancora del liquido, finire con acqua. Chiudere con una lastra sopra, a mo’ di coperchio. Infornare a 180°C per 3 ore circa.

un ragazzo di Filottrano che segue l’orto. Ne risulta una carta snella, composta di 4 antipasti, altrettanti primi e secondi e di un menu degustazione da 6 corse a 45 euro. Né mancano gli affondi storici: lo studio delle ricette tradizionali e classiche si compie con l’aiuto di Tommaso Lucchetti, storico della cultura gastronomico di natali anconetani, complice di felici ripescaggi nei ricettari in pergamena. Vedi il Sempiterno, brasato al vino bianco che sobbolliva dal ‘700 in un ricettario

fanese, in compagnia di cedro candito, prosciutto e acciughe, rimasto lungamente in carta. Le preparazioni sono un lavoro di squadra, poi Gessica - che ha fatto uno stage da Andreina e si è specializzata in pasticceria e panificazione - passa in sala. A completare la squadra è mamma Gina, che dopo aver plasmato il palato di Andrea, si dedica a formare con un’altra sfoglina ravioli e tagliatelle. La carta dei vini è coerente con la cucina: conta una sessantina di referenze in gran parte marchigiane, quasi solo artigianali, sempre ricaricate giudiziosamente, con il Verdicchio in evidenza, visto che siamo in mezzo ai cru, non lontano da Staffolo, Montecarotto e Cupramontana. I must eat? Sicuramente il paté di fegato di marchigiana, cotto in padella con la cipolla e passato al setaccio con abbondante burro, servito con riduzione dolce di Rosso piceno e nocciole tostate. Ma anche, altrettanto nobiliari, le tagliatelle condite con jus di carni miste, anatra e oca comprese, montato al burro dolce di Normandia e spruzzato di Parmigiano, che hanno entusiasmato perfino Matteo Lorenzini. “Perché mi piace tornare alla grande cucina.”. È ormai un signature l’oca al Verdicchio, cotta in umido nel forno, immersa nel vino che via via si restringe, bilanciando la dolcezza con l’acidità. Chiudono i dessert al piatto o le torte al trancio, come la crostata di ricotta di bufala di Trionfi Honorati con salsa al vincotto. TRATTORIA GALLO ROSSO

Piazza XI Febbraio 4Bis - Filottrano (AN) - Tel. 071.7223406 www.trattoriagallorosso.it

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SPECIALE Osterie e Trattorie

NEL GENOVESE

LA BRINCA

È LA VOCE NARRANTE DELLA STORIA TERRITORIALE LIGURE di

Alessandra Meldolesi - foto di Paolo Picciotto

Che in Liguria si mangi male, resta uno dei cliché più battuti della gastronomia italiana. Nonostante la magnificenza dei prodotti ittici e vegetali, a dispetto dei numerosi talenti che prendono inesorabilmente il largo. Anche in questo caso, tuttavia, la trattoria si dimostra “anticiclica”: nei dintorni di Genova, fra i capoluoghi meno stellati del nord Italia, brilla la Brinca di Ne, uno dei locali più premiati della sua categoria. Porto sicuro, per chi non si rassegna alla ristorazione letteralmente “mordi e fuggi” della riviera. E come altrove c’è una strada da percorrere verso l’entroterra, dove batte il cuore del ligure vero. Da sempre montanaro prima che marinaio, costretto a prendere la barca da un’orografia avara, ma gelosissimo del suo orticello. E Brinca (dal tedesco Brink, etimologia pure del piemontese “bricco”, per via dei longobardi) sta proprio per luogo scosceso: quello dove si ergeva la casa colonica quattrocentesca abitata dalla famiglia che portava lo stesso soprannome. Per la gente del posto era “ca’ de quei di Brinche”. “Noi l’abbiamo presa, ristrutturata e abbiamo aperto nel 1987. In piena campagna, con il deserto attorno. Per tanti eravamo temerari”, racconta oggi Sergio Circella, più che un ristoratore, la voce narrante (ed enciclopedica) di una storia collettiva. Dove noi sta per mamma Franca (all’anagrafe Giovanna, perché fino al dopoguerra i nomi erano doppi, al fine di stornare il malocchio), lui in sala, il fratello Roberto in cucina e l’unica formazione, paraprofessionale, era quella di una cuoca chiamata come le sue progenitrici a cucinare nelle feste di paese, ai battesimi e ai matrimoni. Sarebbe poi sopraggiunta la moglie di Sergio, Pierangela, subito collocata in pasticceria; e più recentemente i suoi due gemelli, laureati in ingegneria chimica ed economia e commercio: Matteo in cantina e Simone, passato da Alma e al Vescovado, in cucina.

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GOURMETFOOD

Ne, troncamento di “nae”, nave in genovese, per la congenita economia di lettere, è un territorio di confine, intermedio fra il mare, la provincia di La Spezia e il Parmense. A dominare è la sagoma, a forma di nave per l’appunto, del monte Zatta, che si erge su 4 valli. Sono il bacino del ristorante: la Val Graveglia, la Valle Sturla, la Val d’Aveto e la Val Fontanabuona. “È una terra che amo visceralmente e che voglio far conoscere con precisione. Perché bisogna sapere cosa ha fatto la generazione che ci ha preceduto, e quella ancora prima, per tenere in piedi un territorio così fragile e duro; perché ha costruito i muretti a secco in un certo modo o ha selezionato una determinata varietà di ortaggi. In questo senso è fondamentale lo studio storico, sia sui pochi libri che ci sono pervenuti, alcuni dei quali ho salvato in prima persona, sia a colloquio con gli an-

ziani. E conoscere la propria storia vuol dire tramandarla. Per questo ci siamo subito posti in continuità con la tradizione femminile e la sua perizia, ad esempio nei ripieni, che sono tutti diversi, ma delicati ed equilibrati nel mix di carne, formaggio ed erbe aromatiche. Una cucina di recupero che non si può più definire povera, perché richiede in abbondanza le risorse più preziose, il tempo e la manualità. Al ristoratore costerebbe di meno un filetto”. Le materie, allora: territoriali senza dogmi. Iniziando dalle verdure, protagoniste della tavola ligure. “Abbiamo un orto di quasi 600 metri quadrati sopra il ristorante, dove un tempo era la vigna, curato da Simone; e un uliveto sottostante. Ma non siamo assolutamente autosufficienti, non voglio raccontare favole. Produciamo soprattutto erbe aromatiche e ortaggi di stagione; ci sono la melanzanina genovese piccola e le rose rugose per lo sciroppo da dolci. In generale siamo sempre stati attivi nella salvaguardia delle cultivar in pericolo: è nato da noi, per esempio, il progetto di recupero della patata quarantina bianca genovese. Poi ci sono la cipolla rossa di Zerli, le nocciole ‘misto Chiavari’, bruttine ma buonissime, e tutto un puzzle di piccole produzioni minuscole ma di altissimo livello, che sarebbero desti-

nate all’estinzione o all’autoproduzione nel fine settimana. Anche se ultimamente, forse per via della crisi, vedo un certo ritorno dei giovani alla campagna e in generale tanti produttori di olio e vino si sono strutturati meglio, in modo più moderno”. Anche le farine per le paste, tutte fatte a mano, senza impastatrice o sfogliatrice, sono locali; poi c’è il prebuggiun raccolto da Roberto con mamma Franca nei campi, dall’inverno alla fioritura, quando diventa duro. Gli unici pesci ammessi sono le acciughe e il baccalà, mentre le carni arrivano quasi tutte dal Piemonte, con l’eccezione della mucca cabannina, coriacea ma saporita. Un altro vanto è la cantina, museo del vino ligure assolutamente oversize per una trattoria: le referenze sono più di 1000, selezionate prima da Sergio, oggi da Matteo, premiato miglior sommelier della Liguria. Non manca qualche celebrità, ma il tastevin batte per i vini rari, curiosi e di nicchia. “Ho avuto ottimi maestri, fra i quali Veronelli, che ci dedicò una


SPECIALE Osterie e Trattorie copertina, perché capì subito cosa stavamo cercando di fare. E non ho mai venduto etichette. Credo di essere stato fra i primi a dare spazio ai vini naturali, che mi ricordavano quelli fatti un tempo alla Brinca, con una lunga macerazione sulle bucce, all’antica. Oggi poi la Liguria è rinata: non c’è solo il Rossese, con la sua eleganza; abbiamo scoperto che la bianchetta genovese può essere una fantastica base spumante e mi aspetto grandi sorprese dallo cimixa, un grande vitigno”. I risultati non si sono fatti attendere: dal 1990 la Brinca è bib gourmand, dal 1998 chiocciola Slow Food, dal 2004 ha 3 gamberi. Nella transizione generazionale, a vincere sono la continuità e la devozione al territorio. Senza che a scapitarci sia l’imperativo di tenersi al passo: ogni anno in carta entra un piatto nuovo, per quanto sia arduo eliminare classici, che continuano a essere richiesti. Ed è così che i menu sono due: il degustazione tradizionale, composto di antipasto, primo,

CÙNIGGIU MAGRO

Coniglio in porchetta alle erbe aromatiche, salsa verde, patate Quarantina bianca Genovese

INGREDIENTI per 4 persone

Per il pane di base: farina 00, sale, olio extravergine di oliva, lievito, acqua.

Per la salsa verde: prezzemolo, uova, pinoli, olio extravergine di oliva, aceto.

Verdure da lessare: carote, sedano, patate Quarantina bianca Genovese, zucchina, cavolfiore.

Erbe aromatiche (timo, prezzemolo, rosmarino), 1 bicchiere di vino Bianco Golfo del Tigullio.

1 coniglio intero di medie dimensioni. PROCEDIMENTO

Disossare il coniglio, stenderlo e rifasciare il suo interno con le erbe aromatiche tritate finemente. Si arrotola la carne del coniglio e lo si lega con

lo spago. Si mette in un tegame con olio, irrorando con vino bianco. Si cuoce a fuoco lento in forno per circa un’ora e mezza. A cottura ultima-

ta, tagliare delicatamente a fettine rotonde. Lessare le verdure, che poi verranno tagliate a liste o cubetti. Preparare la salsa verde frullando prez-

zemolo, uova, pinoli, olio e aceto. Si prepara la focaccia Genovese impastando la farina con l’acqua e il lievito, aggiungendo un filo d’olio. Fatto l’impasto, lo si inforna per un’ora. Ottenuta la focaccia, la si lascia raffreddare, si taglia a fettine sottili che poi si fanno tostare ancora in forno.

Composizione del piatto: alla base la fetta di focaccia tostata, poi a

strati salsa verde, fettine di coniglio e le verdure lessate. Composta la piccola torre, la si rifinisce con un rametto di timo od un fiore di borragine. Si abbina bene ad un Cinqueterre bianco macerato.

secondo e dolce, secondo il modello delle Premiate Trattorie Italiane, a 35 euro, 50 con abbinamenti, e il Trent’anni dopo, che comprende 7 corse, alcune più recenti, a 50 euro, 70 con abbinamenti. Sono imperdibili, in ogni caso, le sublimi lattughine ripiene di sapienza femminile, con la foglia cotta al secondo attorno alla cremosità della cervella; come la cima alla maniera levantina, ossia cotta nel forno a legna anziché lessata. Ma scalpita la creatività rispettosa di Simone. Ed ecco il Cuniggiu magru, cappon magro ma di terra, in alternativa al classico ripieno alle erbe; la Torta lavagnexe, piatto dell’anno 2018 ispirato al trecentesco Libro per Cuoco di Anonimo Veneziano, forse la prima torta salata ligure, creata quando la corte dei Fieschi era all’apice del potere; quest’anno la Torta di Chiavari, variante della sacripantina risalente agli anni ’20, ingentilita dai Circella.

LA BRINCA

Via Campo di Ne, 58 16040 - Ne (GE)

Tel. +39 0185 337480 www.labrinca.it

labrinca@labrinca.it

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Elisabetta Degli Esposti Merli foto di Niko Boi

GOURMETFOOD

di

LOCANDA E TRATTORIA

LA CHIOCCIOLA IERI, OGGI E DOMANI

Andare a cena a “La Chiocciola” dopo un temporale è qualcosa di impagabile. Seppur affiancato da moderni edifici, il ristorante, o meglio la locanda, - termine che più si addice a un luogo pensato come ritrovo per forestieri in cerca di ristoro - si trova in un piccolo ecosistema naturale e culturale, una terra strappata alle paludi, solcata da canali e costeggiata da canneti, dove si incontrano acque dolci e salate. Un luogo in cui, dopo la pioggia, spuntano poco alla volta frotte di chiocciole. Siamo sulla strada che da Ferrara porta a Ravenna, poco prima delle Valli di Comacchio e del delta del Po, esattamente a Quartiere di Portomaggiore, dove, nelle cucine della Chiocciola, lo chef Athos Adalberto Migliari prepara sublimi e raffinate lumache, prelibate rane e intriganti anguille, portando avanti una tradizione lunga tre generazioni. Dopo aver lavorato con Vissani, al fianco di Riccardo Agostini de “Il Piastrino” (Pennabilli), ha ereditato la passione, oltre che per la cucina, per Tonino Guerra e per Fellini. Ma prima di entrare nel merito di scelte e passioni, occorre introdurre Ido, padre di Athos. Definirlo uomo di sala e sommelier sarebbe riduttivo: con i suoi settantotto

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anni di vita, Ido va incontro agli ospiti con l’attenzione e la cura che solo un oste di altri tempi può avere. Appena Ido rivolge la parola al cliente si percepiscono il piacere sincero dell’accoglienza e il desiderio di servire aneddoti, accompagnati da pietanze e vini deliziosi. Mentre Ido introduce ogni piatto, racconta non solo come il figlio lo ha realizzato, ma anche da dove viene l’idea o l’origine dello stesso. Il menu degustazione o meglio, come dice la carta, “quello che mangerei io (Athos)” è come una traversata su una zattera lungo il delta del Po, con una piccola digressione su un bateau mouche parigino. Dopo aver preso posto in uno dei tavoli di una sala che è accogliente come potrebbe esserlo il salotto di una bella dimora di una famiglia abituata


SPECIALE Osterie e Trattorie

TAGLIATELLE

al ragù bianco di lumache, guanciale stagionato e parmigiano reggiano INGREDIENTI per 8 persone

g. 500 di farina 0, g. 300 di uovo intero, semola rimacinata.

Per il ragù: g. 400 di polpa di chiocciole bollite, g. 80 di scalogno, g. 80 di sedano, g. 80 di carota, g. 80 di guanciale stagionato (peso netto), g. 250 di brodo vegetale, 1 foglia di alloro, sale, pepe bianco, olio evo. g. 120 di parmigiano reggiano PROCEDIMENTO

Per la pasta: impastare la farina con le uova. Lasciare riposare per circa un’ora e

con il mattarello stendere una pasta sottile. Lasciare asciugare, spolverare con pochissima semola rimacinata e tagliare a strisce; arrotolarle e tagliare “delle girelle” ottendo, una volta srotolate, le tagliatelle.

Per il ragù: in una casseruola scaldare il guanciale tagliato a julienne senza aggiunta di altri grassi.

Successivamente sgocciolare il guanciale, tenendolo da parte, e dorare, sempre

a fiamma bassa, le verdure tagliate a brunoise grossa. Quando saranno dorate, sgocciolarle. In una nuova casseruola, con un filo d’olio evo scaldare la polpa delle chiocciole tritata grossolanamente. Unire le verdure, il brodo vegetale, l’alloro e

crogiolare per 5/6 minuti. Aggiungere il guanciale, portare di nuovo a bollore e regolare di sapidità.

ad avere ospiti per casa, la cena inizia con una terrina di anguilla accompagnata da un pesto di olive taggiasche e capperi. In questo piatto la tipica grassezza dell’anguilla scompare, mentre il pesto conferisce un tocco di vivacità alla composizione. Segue la seppia “sporca” grigliata servita con una spuma di patate affumicate: la “sporcizia” non è dovuta, ovviamente, alla noncuranza dello chef, ma ad una scelta ben precisa grazie alla quale la sapidità dell’inchiostro si sposa con la nota di affumicato del tubero, mentre la croccantezza finisce dove inizia la morbidezza del bianco mollusco. Sostenendo che “non si smette mai di imparare”, Ido porta in tavola le lumache alla Borgogna: ci racconta che all’epoca della prima trattoria che ge-

A parte, in acqua in bollore e salata, lessare le tagliatelle.

Scolarle al dente e terminare la cottura saltandole con il ragù di chiocciole, asciugando il liquido di cottura.

Servire spolverando con Parmigiano Reggiano grattugiato.

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GOURMETFOOD

RISOTTO CON LE RANE INGREDIENTI per 8 persone

al brodo e continuare l’ebollizione a fuoco lento per un’ora e

di polpa di pomodoro, g. 150 di vino bianco secco, g. 500 di riso

finemente tritato con un filo d’olio e una noce di burro; unire il

kg. 1,5 di rane (spellate e private delle interiora), 4 scalogni, g. 80 superfino Carnaroli, g. 20 di prezzemolo, pepe bianco, 3 coste di sedano verde, 2 cipolle dorate, gambi di prezzemolo, burro. PROCEDIMENTO

In una pentola preparare il brodo di rane portando ad ebollizione 4 litri di acqua leggermente salata con il sedano e le cipolle dorate.

Raggiunta l’ebollizione, scottare le rane intere per un paio di minuti; scolarle, raffreddarle e “sfilare” la polpa dalle cosce e dal polpac-

cio e tenere da parte. Il resto delle ossa (costato e pancia) unirlo

stiva con la fedele compagna di avventura, nonché moglie, Franca (importante e instancabile attrice in cucina, al fianco del figlio) non era consuetudine mangiare le lumache, pur essendo queste molto presenti nel territorio. Nel loro viaggio di nozze a Parigi, Ido e Franca scoprirono quanto invece fossero apprezzate dai cugini francesi e decisero di provare a portarle nei piatti dei loro compaesani. Ci vollero tanta tenacia e diversi anni perché iniziassero ad essere realmente apprezzate. Anche uno dei piatti clou del ristorante, il risotto con le rane, custodisce un ricordo che unisce il presente al passato: la ricetta affonda le radici nella tradizione dei Migliari, come rivela quella punta di pas-

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mezza circa. A parte, in una casseruola, imbiondire lo scalogno pomodoro e il vino bianco, sfumare e lasciate crogiolare 10 mi-

nuti. Aggiungere, infine, la polpa delle rane al fondo, regolare di sapidità con sale e pepe bianco macinato e cuocere un paio

di minuti sempre a fuoco medio. Unire il riso al fondo di rana e

tostarlo. Bagnare con il brodo di rane filtrato e, sempre mescolando, portare a cottura “tirando” con il restante brodo.

A cottura ultimata unire il prezzemolo tritato e mantecare con

una noce di burro mantenedolo all’onda e a finire, nel piatto, aggiungere sopra un filo d’extravergine d’oliva a crudo.


SPECIALE Osterie e Trattorie sata di pomodoro che regala un colorito roseo a questo equilibratissimo e delicato piatto. Poiché siamo a pochi chilometri da Ferrara non potevano non fare la loro comparsa i tortelli di zucca, al centro di una annosa diatriba tra la città estense e Mantova: qui vengono serviti semplicemente con ragù e parmigiano ed è nella loro semplicità che emerge la maestria di Athos. Sua maestà l’anguilla torna in tavola a rimettere in discussione la sua nomea di cibo “pesante”: cotta sottovuoto a bassa temperatura, resta traccia della sua complicata digeribilità; accompagnata da un’insalata di radicchi al limone e da polenta bianca, assume una delicatezza e una freschezza sorprendenti. Il percorso non è ancora finito, perché ecco comparire un maialino da latte cotto al BBQ che, assieme alla cipolla rossa agrodolce che lo affianca, si scioglie in bocca in un rotondo abbraccio. Per concludere Athos propone un cremoso di fragola, con salsa di albicocca, composta di limoni e deliziose piccole meringhe. E a questo punto, colpo di scena. Il temporale da poco finito ha causato danni ai fili della luce e perché possano essere riparati dobbiamo passare una mezz’ora al buio. Cogliamo l’occasione per metterci fuori: l’assenza di luci ci riporta al passato e ritroviamo un tempo dilatato, lontano dalla velocità del mondo ipertecnologico di oggi. Solo quando ritorna la luce ci rendiamo conto di essere completamente circondati dal lento avanzare di tantissime chiocciole, testimoni di come il ristorante porti quel nome con grande coerenza: come l’omonimo mollusco ha il dono della lentezza che non significa far aspettare il cliente, ma piuttosto ricordargli il valore del tempo, l’importanza di assaporare ogni istante, senza fretta. In comune hanno anche una spiccata sensualità: le chiocciole sono esseri er-

LUMACHE

crema di zucchine, pomodoro e parmigiano INGREDIENTI per 8 persone

Frullare la cipolla, cotta e privata dalla pel-

di cotenna di lardo stagionato, g. 60 di vino

do la salsa.

72 lumache bollite, 1 spicchio d’aglio, g. 60 bianco secco, alloro, olio evo.

Per la salsa di zucchine: 8 zucchine verdi,

2 cipolle piatte bianche, timo, sale, pepe bianco, olio evo, brodo vegetale.

Per il pomodoro: g. 500 di pomodorini datterini, 6 foglie di basilico, g. 20 di parmigiano grattugiato, zucchero.

Per il flan di parmigiano: g. 400 di par-

migiano grattugiato, g. 200 di latte intero, 8 tuorli, g. 1 di noce moscata. pane nero di seppia germogli di piselli

PROCEDIMENTO

Per la salsa di zucchine: lavarle e utilizzare

solo la parte esterna verde. Avvolgere le cipolle, già lavate, in un foglio di stagnola e cuocerle in forno a 160°C per 40 minuti cir-

ca. Tagliare la parte verde delle zucchine e cuocerle con un filo d’olio, sale e timo in microonde, alla massima potenza per circa 8/10 minuti.

le, con il verde delle zucchine cotte, otten-

Per il pomodoro: lavare i datterini, condirli con sale e poco zucchero e appassirli in forno a 90°C per 2 ore circa.

Passarli ancora caldi al setaccio, condire la

polpa ottenuta con il parmigiano e le foglie di basilico intere, che poi toglieremo.

Per i flan: amalgamare assieme il parmigiano, il latte, i tuorli e la noce moscata.

Colare in 8 stampini precedentemente imburrati e cuocere a bagnomaria a 120°C per 45 minuti.

Per le lumache: in casseruola con un filo

d’olio evo, fare intiepidire la cotenna, la foglia di alloro e lo spicchio d’aglio intero

e schiacciato. Appena è caldo, sfumare con il vino bianco, aggiungere le lumache e fare stufare. FINITURA

Adagiare il flan di parmigiano a fianco la

salsa di zucchina, le lumache sopra e, a finire, alcuni punti di concentrato di datteri-

ni, alcune briciole di pane nero e germogli di piselli.

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GOURMETFOOD

mafroditi, possiedono sia gli organi riproduttivi maschili che femminili, senza però essere nè maschi nè femmine. Si accoppiano svariate volte al giorno con partner differenti e dopo ore di corteggiamenti sinuosi. Allo stesso modo i piatti dello chef corteggiano i sensi dei commensali con la loro seducente semplicità. Infine, come le chiocciole, Athos nel suo viaggio di crescita e sperimentazione, si porta sempre con sé la sua “casa”, la sua famiglia, dalla moglie Arianna all’instancabile mamma Franca, la prima ad entrare e l’ultima a uscire dalla cucina, e infine dalla new entry Angelica Lodi (foto a lato), una giovane, esplosiva e dinamica promessa della ristorazione.

LA CHIOCCIOLA LOCANDA & TRATTORIA

Via Quartiere - Runco, 94/F

44019 Quartiere di Portomaggiore (FE) Tel. 0532 329151

www.locandalachiocciola.it

adalberto@locandalachiocciola.it

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GOURMETFOOD

OSTERIA

Fra.Se

LA PASSIONE PER LA CUCINA DI CASA, NEL PADOVANO di

Daniele Briani

“Ho avuto una giornata pesante e ho pensato di venire qui”. Credo non ci possa essere un complimento più bello e motivante per un ristoratore, soprattutto per chi ha deciso di iniziare quest’attività con l’intenzione di trasferire l’atmosfera di casa al locale. Serena e Francesco hanno sempre amato circondarsi di amici. Avere ospiti a cena e vivere momenti conviviali tra cibo, vino e quattro chiacchiere, per loro è sempre stato un piacere, al quale un anno fa hanno deciso di dedicare la maggior parte delle giornate. Non è un caso che nel locale abbiano trasferito anche parte dei mobili di casa e che l’atmosfera che vi si respira sia pregna di quell’informale piacevolezza dello “star bene” che chiunque sia lontano da casa può trovare. Ci sono voluti alcuni anni di preparazione ed esperienze formative, soprattutto per lo chef Serena Franzolin, prima di affrontare l’impegno di dirigere e far crescere una brigata, che tutte le sere si esibisce in una cucina a vista. Gli esami non sono mai stati un problema per chi ama ciò che fa, e nel caso di Serena cucinare non è mai stata una fatica, ma piuttosto un modo per comunicare, principalmente per relazionarsi con i propri familiari e in particolare con sua

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madre. Lo stesso modo che oggi le permette di interagire con i figli, ancora piccoli, ma che apprendono assieme a lei la meravigliosa sensazione creativa di impastare farina e uova. Serena ama preparare la pasta fresca tutti i giorni, quasi fosse un rito, così come ama sperimentare tutti i giorni perché a suo dire: “…stare in cucina non deve mai essere noioso…”; ecco perché tutte le sere cambia il piatto di benvenuto e il menù ruota almeno sei volte in otto mesi, così che anche i clienti più affezionati non trovano il modo di annoiarsi. E ancora aggiunge: “Sono una cuoca e non uno chef, per questo vado in cucina alle 8,30 del mattino e spengo i fornelli alle 22,30 di sera: la materia prima ha bisogno dei suoi tempi e le cotture non vanno mai forzate”. Arrivare tardi da FraSe non è quindi un problema: ci sarà sempre modo di mangiare qualcosa di espresso, ma se si arriva presto? Ancora meglio! Come ogni osteria degna di questo nome si troveranno una serie di finger food espressi da accompagnare ad un buon calice di vino. Già, il vino. Il regno di Francesco Luise è sempre stato l’enoteca, dove si è formato da parecchi anni e che gli ha permesso di accumulare un’enorme conoscenza di vini


SPECIALE Osterie e Trattorie da tutto il mondo. L’unico inghippo è che in enoteca non si poteva mescere il vino, ma solo raccontarlo ai clienti e pazientemente aspettare la loro opinione, che puntualmente arrivava qualche giorno dopo. Adesso la soddisfazione di raccontare in diretta ciò che si mesce e accompagnarli nella degustazione, regala a Francesco il piacere di chiacchierare con i suoi clienti, mentre assaggiano ciò che si sono lasciati consigliare. L’osteria conta più di seicento etichette tra Italia ed estero di cui una cinquantina dedicate allo Champagne, ed essendo Francesco un democratico, tutto è fruibile al calice. Non si pensi per questo che i vini possano essere poco costosi, anzi, al contrario, Francesco su richiesta di un solo calice apre anche etichette di pregio e di annate storiche, perché a suo dire: “È giusto che un cliente possa avere la possibilità di degustare qualcosa di veramente particolare ed unico, senza doversi sobbarcare il costo dell’intera bottiglia”. A parte la carta dei vini, tutte le etichette sono esposte come nelle vecchie osterie da asporto e per chi decide di acquistare una bottiglia e consumarla nel locale, il servizio di mescita gli costa solo 5 euro; un notevole incentivo per rimanere e approfittare anche della

cucina. Il menu è quanto di più semplice si possa trovare, perché il tema del piatto si svolge su un massimo tre ingredienti principali, numero perfetto per avere una cucina raffinata, digeribile e che rispetti i sapori fondamentali della materia prima. Si può assaggiare una tagliatella al cacao o dei tagliolini tirati al mattarello per poi passare a un sontuoso tonno 35 piuttosto che una battuta di Fassona o meglio ancora un petto d’anatra. Per chi è allergico alla carne un hamburgher vegano può rappresentare la corretta alternativa, mentre sui dolci si suggerisce un tiramisù espresso o i più tradizionali zaeti. Dopo un solo anno di vita FraSe è in contino divenire ma sicuramente a oggi rappresenta la sublimazione delle esperienze di Serena e Francesco, fatte di viaggi eno-gastronomici e costante ricerca della qualità, ora messa a disposizione di quanti vogliano assaporarne un pezzo.

OSTERIA FraSe

Via Crociata, 9 - 35028 Piove di Sacco (PD) Tel. 049 2325134 - 366 445 9162 www.osteriafrase.it

osteria@osteriafrase.it

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GOURMETFOOD

A BOLOGNA

TRATTORIA BERTOZZI LA TRADIZIONE HA SEMPRE RAGIONE di

Elisabetta Degli Esposti Merli Foto di Niko Boi

Da qualche anno il dibattito sulle trasformazioni eno-gastronomico-turistiche che stanno investendo la città di Bologna - aka city of food - si è fatto sempre più acceso. Tra gli argomenti in cima alla lista c’è il progetto “Fico” con i suoi difensori che ne rivendicano la portata innovativa e il potenziale economico, e i suoi oppositori che ne declamano l’inutilità ai fini di un cambiamento e un miglioramento nei consumi. Un altro argomento molto hot è riassumibile nel binomio Bologna-Tagliere: “città dei taglieri”, così la descrisse un po’ di tempo fa l’assessora alla cultura dell’epoca e che, come tanti altri, leggeva nell’aumento nel turismo di massa il rischio che l’offerta ristorativa, soprattutto nel centro storico, potesse perdere la sua identità, a vantaggio di una forte omologazione dei menu. Infine c’è il tema delle trattorie, della tradizione e della bolognesità. E qui veniamo ai nostri Fabio Berti e Alessandro Gozzi del ristorante Bertozzi a Bologna. Partiamo dal concetto di trattoria: in teoria da definizione dovrebbe essere un ristorante che si contraddistingue per la semplicità nel servizio e negli arredi, popolare, fortemente caratterizzato nella sua proposta culinaria (di solito fondata su piatti locali-regionali). Crediamo che molti siano d’accordo sul fatto che rispetto a città come Roma, il numero di trattorie così come sopra descritte si sia drasticamente ridotto a Bologna, specialmente in centro. Ecco, “Bertozzi” si può collocare tra queste superstiti, come una trattoria di fascia medioalta: il locale ha poche sedute, l’ambiente che si respira è informale, ma accogliente, il servizio è attento, ma spontaneo, verace, non certo ingessato. Stessa cosa per gli arredi, non conformi alle ultime tendenze del design moderno che hanno purtroppo spersonalizzato molti dei ristoranti del centro, trasformandoli in un unicum indistinguibile. Da “Bertozzi” ci sono sedie normali, tavoli normali, tovaglie

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SPECIALE Osterie e Trattorie e tovaglioli normali, più qualche tocco kitch che è molto rappresentativo dei due soci. E come da definizione di cui sopra, “Bertozzi” è vera trattoria anche nella proposta culinaria: piatti bolognesi, senza fronzoli, ma elaborati così come il cuoco ritiene doveroso fare. Ma è veramente tradizionale, come molti pretendono da una cucina di questo tipo? Prima di rispondere partiremmo da questo: cosa significa realmente tradizione? E soprattutto, ce n’è una sola? E se sì, qual è? Prendiamo ad esempio le tagliatelle di “Bertozzi”: sono condite con un ragù di sola carne di manzo e concentrato di pomodoro. Per una persona cresciuta tra le colline bolognesi, abituata a fare merenda con tagliatelle al ragù di maiale, manzo e tanta salsa di pomodoro (a volte anche un po’ di latte o panna) questa non è tradizione. Per Fabio sì. Quindi più che di tradizione al singolare, si può parlare di tradizioni al plurale e di tipicità: in questo caso la tradizione può assumere nuances differenti, che rendono quel singolo piatto unico e irripetibile. E la stessa cosa vale anche per i tortellini che, per esempio, da “Bertozzi” sono molto piccoli ma che, a di-

spetto delle dimensioni, sono un’esplosione di sapori in perfetto connubio con un brodo leggero e delicato. La gramigna da “Bertozzi”, (foto pagina accanto) invece, è forse la più alternativa del

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GOURMETFOOD

menu: zucchine, zafferano e guanciale si amalgamano in una cremosità che avvolge la pasta in un interessante equilibrio. Sempre in linea con la modalità conviviale da trattoria è l’oste a presentarci i vini e a raccontarceli, pur essendoci una carta dei vini. E così, mentre degustiamo questo trittico, Alessandro stappa un’elegante bottiglia di Corrado, un merlot emiliano riserva targato Lodi Corazza, che prende il nome da chi piantò il vigneto alla fine degli anni’ 60. Passiamo quindi ai secondi e qui entra in scena sua maestà la cotoletta alla Petroniana o alla Bolognese: che la si voglia etichettare come tradizionale o meno, di certo aveva tutte le caratteristiche per stimolare ogni singola papilla della bocca. La carne succosa e ben fritta, il parmigiano perfettamente sciolto con il brodo in una succulenta crema e infine a completare il tutto, oltre al prosciutto croccante sui bordi, sottili scaglie di tartufo. Non da meno lo stracotto di manzo, morbido e profumato, accompagnato da un semplice ma vellutato e soffice purè di patate. A sublimare il tutto l’oste ci propone un Sermedo della Tenuta Santa Croce: un ottimo cabernet sauvignon riserva del 2014. In sala si aggira anche Jacopo, figlio di Fabio che, insieme ad Alessandro, offre un servizio pulito, puntuale e impeccabile, pur non risparmiando gag e battute. In perfetto stile bolognese...

TRATTORIA BERTOZZI

Via Andrea Costa, 84/2/D Bologna

Tel. 051 614 1425

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COTOLETTA ALLA BOLOGNESE INGREDIENTI per 4 persone

4 fettine di lombo di maiale di g. 150 cadauno, g. 100 di prosciutto crudo di Parma tagliato sottile, g. 100 di parmigiano reggiano 30 mesi grattugiato, g. 80 di burro, 2 bicchieri di brodo, g. 200 di pane grattugiato, 4 uova. PROCEDIMENTO

Battere leggermente le fettine di lombo, immergerle nell’uovo sbattuto e lasciarle in frigo per un paio di ore. Impanarle una sola volta (senza salare) e friggerle in olio di semi di arachide asciugandole dall’olio in eccesso una volta fritte.

Posizionare le cotolette in una padella coprendole con il prosciutto crudo e successivamente con il parmigiano reggiano.

Aggiungere il burro e il brodo e cuocere con padella coperta.

Una volta che il parmigiano si è sciolto, proseguire la cottura senza coperchio facendo rapprendere leggermente.

Posizionare la cotoletta nel piatto e aggiungere sopra la salsa glassata rimasta nella padella.


SPECIALE Osterie e Trattorie

IL PASSATO ATTUALE DI

TRATTORIA MODERNA A FIRENZE

di

Alessandra Meldolesi Lido Vannucchi

foto di

Suona come un ossimoro, Trattoria Moderna, per chi coniuga la tradizione popolare solo al tempo passato. Ma più che un nome sull’insegna, identifica la sfida stessa di Riccardo Serni, cuoco partito autodidatta e finito nerd, toscano fin nel midollo delle sue carni DOP. Da trattore moderno ha iniziato a formarsi a casa, in una famiglia di contadini dove ha fatto amicizia col prodotto, senza mai varcare la soglia dell’alberghiero. Ma gli zii mandavano avanti ristoranti estivi a conduzione familiare ed è stato lì che ha mosso i primi mestoli in qualche stagione. “Finché a 28 anni non ho deciso di farne un lavoro e ho intrapreso un percorso fra diversi locali”, racconta. “Il mio maestro si chiama Luca Landi: l’ho affiancato per tre stagioni, al Green Park, dove ho dimenticato cosa fosse la cucina tradizionale toscana, che conoscevo a menadito, per approcciarla diversamente e per riuscire a sgrossarla. Luca era appena rientrato da elBulli ed era in pieno fermento avanguardista, ma sempre reverente verso istituzioni gastronomiche quali l’Enoteca Pinchiorri e Angelo Paracucchi, punto di riferimento per

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GOURMETFOOD

la pasta. Ed è quello che cerco di fare anch’io: rispettare la tradizione con uno spirito innovativo”. Dopo qualche anno trascorso in un ristorante proprio, poi chiuso, quale chef privato e in pausa sabbatica, è nato il progetto di una “trattoria moderna” con bancone, raccolto da Luca Leonardi. L’apertura è caduta il 10 maggio 2017, in un locale recente sul Lungarno di Firenze, con bar e bancone per le finiture a vista. L’obiettivo è riscoprire i sapori di sempre, valorizzati da un servizio diverso e da metodiche up-to-date. “Mi piace lavorare con pochi ingredienti di qualità, per sottrazione, usando tecniche non inva-

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sive, capaci di esaltare la materia. Può trattarsi di padella o sottovuoto, ma c’è anche il forno a legna per le pizze, che ho riconvertito alla cucina. Me ne servo per il cacciucco, gli ortaggi cotti sotto la cenere e alcune carni alla brace; uso legna non trattata, faggio o altro secondo il periodo, più aromi come salvia, rosmarino, scorza d’arancia. L’alimento vi compie un passaggio breve, cosicché resta quasi crudo, ma acquista una nitida nota fumé”. Può trattarsi delle verdure del Mugello, delle carni di Simone Fracassi o Sergio Falaschi, del pesce di Livorno e San Vincenzo. Mentre le uova sono quelle di Paolo Parisi e i piccioni viaggiano ben poco, spiumati e tosto recapitati. La cantina segue con 400 etichette aggiornate mensilmente, in gran parte artigianali e toscane, più una spruzzata di Francia. Se ne occupa Tommaso Gabbrielli, che confeziona percorsi di abbinamento su richiesta, ma ha sempre in serbo una decina di calici. La carta conta 5 antipasti, altrettanti primi, 6 secondi e 7 dessert, sul crinale fra mari e monti; più 8 piatti del giorno a 15 euro ciascuno, 25 in coppia, a pranzo e un percorso da 4 portate a 36 euro di sera. L’icona sono le penne al pomodoro, sul filo della provocazione in una città gastronomicamente devastata dai menu turistici. “Sempre quel sugo acido, sempre quella consistenza scotta. Quando la pasta al pomodoro siamo noi, che ci siamo cresciuti ogni

giorno. Ricordo il rito agostano, quando in casa mia i pomodori venivano bolliti e messi nella arbanelle. La loro pasta erano le penne, mentre gli spaghetti andavano d’estate sciuè sciuè, col pomodoro fresco”. La nobilitazione passa da una cuvée non di pomodori, ma di San Marzano, due di Napoli e uno di Donoratico, per il giusto mix di dolcezza, acidità, mineralità, e da un servizio guantato, con mantecatura e impiattamento al guéridon, coronato dalla nevicata di Parmigiano. Toscana è innanzitut to cacciucco, interpretato da Serni in chiave destrutturata e servito come antipasto espresso. Ci sono 5 pesci di fondale e da lisca cotti separatamente per il fondo tradizionale al vino rosso e po-


SPECIALE Osterie e Trattorie modoro, gelatinoso senza addensanti e liscissimo; il pane a lievitazione naturale della casa passato sulla brace; una rosa di pesci variabile, per esempio triglie di scoglio appena infornate, mazzancolle o gamberoni alla griglia, baccalà mantecato fritto in crocchetta, seppie in oliocottura e polpo in tempura per variare le consistenze. Con la salsa nel bicchierino, versata al tavolo. Fra i secondi risalta il piccione con le castagne e le cipolle cotte sotto la cenere e caramellate, il radicchio del Mugello e la salsa al Vinsanto; soprattutto il bollito alla griglia, reale lesso rifinito in forma cubica, iniettato sulle braci del fondo delle sue ossa e servito con sedano rapa e maionese all’acciuga. Ancora il gusto dell’ossimoro, da un’idea sviluppata con Simone Fracassi, fornitore di vitellone bianco dell’Appennino centrale. Il dessert torna all’understatement:

TRATTORIA MODERNA

Lungarno del Tempio, 52 50121 Firenze

Tel. 055 234 3693

www.trattoria-moderna.it

si tratta di pane con mousse di cioccolato Valrhona densa come una spalmabile, olio toscano e sale di Cervia, per l’amarcord della schiacciata alla Nutella dell’infanzia. Ma c’è altro pane per chi ha il dente dolce. Per esempio la mousse di pistacchi con biscotto all’alchermes, fave di cacao e ananas caramellato, sulla falsariga di un signature di Luciano Zazzeri. “Ho lavorato da lui e tuttora ne vado ghiottissimo. Mi disse una volta che l’abbinamento del pistacchio con l’alchermes gli era stato suggerito da un carcerato di Volterra, una storia che mi ha colpito, al punto che ho voluto omaggiarlo. Come ho fatto anche con Pierangelini e la sua passatina di ceci con i gamberi”.

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GOURMETFOOD

A LUCCA

BOTTEGA DI ANNA E LEO È IL RIFERIMENTO PER LA CUCINA DI TRADIZIONE fotoservizio di

Claudio Mollo

Nel cuore della Lucca antica, di fianco alla Basilica di San Frediano, Claudio Togni - personaggio noto in città per le sue precedenti, ma non ancora abbandonate, vicissitudini con l’arte di produrre una pasta fresca di notevole pregio - lasciato l’abito di fine pastaio, decide di dar vita alla sua Osteria, che chiama con il nome dei figli. Prende così vita un vero e proprio covo di profumi e sapori, nel quale si rifugiano sempre più persone alla ricerca di un piatto di cucina lucchese o garfagnina, ricco di sapore e di storia. L’ambiente è accogliente e tipico di quei posti, la sostanza prevale sull’apparenza e dopo un pranzo o una cena da Anna e Leo, si rimane soddisfatti, per il cibo proposto e per l’accoglienza, cordiale e familiare che viene rivolta a tutti i clienti. Si inizia con I pregiati salumi e formaggi che in lucchesia sono protagonist da secoli, poi, immancabile, il farro, nelle sue diverse declinazioni, i tordelli (e non tortelli) lucchesi, la Garmugia e altre gustose zuppe di verdura, l’infarinata e tante altre pietanze che raccontano un po’ di Lucca e un po’ della Garfagnana. Interessante anche la selezione di vini, della provincia e del resto

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SPECIALE Osterie e Trattorie

della Toscana, che i clienti si scelgono personalmente dalla piccola enoteca a vista, rinnovata con una certa frequenza per offrire agli amanti del vino sempre nuovi spunti e scelta. Dalla pasta fresca artigianale alla ristorazione e in soli 4 anni Claudio Togni diventa un punto di riferimento per la cucina della tradizione lucchese, che tutti vogliono conoscere. A riprova di questo, il “tutto esaurito” che, a parte brevissimi periodi dell’anno, accompagna le giornate dell’osteria. LA BOTTEGA DI ANNA E LEO

Via San Frediano, 18 - Lucca - Tel. 0583 490689

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Teresa Cremona foto di Sonia Gioia

GOURMETFOOD

di

NELLA

MEZZA PAGNOTTA LA CUCINA POVERA PUGLIESE

Il giovane chef Vincenzo Montaruli - anno di nascita 1989 - ha fatto le sue prime esperienze affiancando il padre nel lavoro dei campi della piccola azienda di famiglia; quando poi ha cominciato ad interessarsi alla ristorazione, è andato in giro per l’Italia attratto dalle realtà locali: la tradizione di montagna a Corvara nel Trentino Alto-Adige, la cucina della laguna di Bibione, la cucina della Barbagia sarda nel nuorese, e quella del mare adriatico nella città di Trani. Nel 2013 con suo fratello Francesco avvia l’attività di “Mezza pagnotta”, un piccolo ristorante nel centro di Ruvo di Puglia, vicino ai bastioni aragonesi dell’antica cinta muraria. Vincenzo in cucina, Francesco in sala, entrambi hanno personalità e carattere, sono motivati, hanno passione e vogliono valorizzare il prodotto agricolo murgiano-pugliese-lucano, rifacendosi alla cucina povera ma sana, vera, gustosa del dopoguerra, facendo tesoro dei racconti dei ‘vecchi’, ritrovando ricette antiche e metodi di cottura poveri (quando non c’era energia elettrica in casa), facendo sperimentazione e ricerca. Nel loro ristorante si porta in tavola quello che ogni giorno viene dal campo… e non è un modo di dire. Al mattino i due fratelli raccolgono radici, erbe, bacche, funghi, frutti, poi alla raccolta segue una manipolazione degli

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SPECIALE Osterie e Trattorie

ingredienti quanto più lieve possibile. Ne risulta una cucina ‘etnobotanica’ elegante, diversa, leggera, saporita, ricca di profumi, mai banale. In sala il racconto del piatto è affidato a Francesco, che ha un’ottima dialettica, è molto preparato e sa raccontare con sentimento le pietanze della tradizione e la narrazione del piatto diventa una componente sensoriale che i titolari propongono all’avventore. Un’ultima nota per spiegare il nome: Mezza Pagnotta è quanto resta a chi lavora, dopo che tasse, imposte, tributi, burocrazia hanno prelevato il loro dovuto. Un sentire largamente diffuso, ben oltre i confini pugliesi. MEZZA PAGNOTTA

Via Rosario, 11 - Ruvo di Puglia (BA)

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GOURMETFOOD

LOCANDA DEL NOCE DA VECCHIO CASOLARE A TRATTORIA DI QUALITÀ di

Domenico Acconci

Miracolo a Camigliano, grosso paese della piana di Lucca, una zona panoramica fra pianura e colline, a ridosso del massiccio montano delle Pizzorne dalle cui cime si vede il mare. Qui, appunto a Camigliano, nel bel mezzo dell’abitato, c’era una casa colonica, contrassegnata da un grosso noce, un casolare da parecchi anni abbandonato dai contadini che ne avevano usufruito, un rudere dai muri stinti e scalcinati al limite del crollo, che dopo diversi mesi di lavori, è ora un edificio ristrutturato, rinforzato, riattrezzato in tutti i locali. Al piano superiore, camere da letto per chi volesse soggiornarci, dato anche l’interesse della zona non solo paesaggistico, ma pure architettonico in quanto vi sorgono alcune delle più rinomate “ville lucchesi”, fra cui Villa Maionchi, Villa Torrigiani, Villa Mansi, Villa Mazzarosa, e la famosa Villa Reale, fatta costruire dalla principessa Elisa Baciocchi Bonaparte, sorella di Napoleone, dove fu anche alloggiato, per diverso tempo, il celeberrimo violinista Niccolò Paganini, si vociferava anche amante della principessa. Costei, nel tempo in cui reggeva il Principato di Lucca (un regalo del fratello) fece aprire nelle mura della città, una nuova porta, che si chiama ancora Porta Elisa, da cui si dipartiva una lunga strada, da essa immaginata e fatta costruire, nel primo tratto chiamata ancora Via Elisa, per raggiungere agevolmente la sua villa di campagna nel paese di Marlia. Il prato della Locanda del Noce è un tappeto verde ben curato, al cui margine sorge un vasto parcheggio automobilistico coperto. In mezzo al prato è stata realizzata una grande piscina con acqua calda, dotata anche di un trampolino per eventuali tuffatori. Tutto questo è opera

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SPECIALE Osterie e Trattorie dei fratelli Maurizio e Massimo Di Ricco, già industriali delle calzature, ma da sempre buongustai con l’idea di aprire un ristorante e pizzeria. Che si mangia? Ci propone le sue specialità lo stesso cuoco Nicolas Canini, giovane ma con già una concreta esperienza in diversi ristoranti stellati. Tutti i piatti tipici della Toscana sono presenti, ma dalla cucina possono anche arrivare esclusive “specialità della casa”. Fra i primi troviamo: ravioli fatti in casa ripieni di burrata e gamberi; paccheri ripieni ricotta e pomodori al forno; fra i secondi troviamo: trancio di salmone con verdure di stagione e maionese agli agrumi; fra i dolci troviamo: crostatina meringata al limone e cremoso al cioccolato bianco con biscotto alle noci e frutti di bosco; ma ci sono diverse altre specialità fra cui scegliere. Riguardo ai prezzi entro 40 euro si fa un ottimo pasto, escluse le bevande per cui c’è ampia scelta specialmente di vini pregiati. LOCANDA DEL NOCE

Via Stradone Camigliano, 179 Capannori (LU)

Tel. 0583 920093

IN UMBRIA

OSTERIA DEL POSTO LA TRADIZIONE È RECENTE di

Anna Rita Pelaracci

Osteria del Posto ha aperto nel 2018. Pochi posti all’interno dei locali di un antico molino dell’olio nel piccolo borgo di Chiugiana, poco fuori Perugia. Staff tutto under 35 con Valentina Urciuoli in cucina affiancata da Riccardo Murtas (primi piatti) e Daniele Guglielmi (dolci). In sala opera con particolare solerzia il titolare Alessandro Casciola (l’unico ad avere più di 35 anni) affiancato da Davide Lolli, sommelier, e Simona Rinaldi. Aperti solo per cena, propongono una cucina a base di piatti del territorio preparati perloppiù con ingredienti di provenienza locale: pesce del Trasimeno, roveja, agnello di Preci e ricotta biologica, carne di razza chianina e verdure di orticoltori della zona. OSTERIA DEL POSTO

Via Calderini, 15 - Chiugiana - Ellera di Corciano (PG) - Tel. 075 5173778 www.osteriadelposto.it - osteria@osteriadelposto.it

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Giovani talenti

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DAVIDEDEPRAEALESSANDROBUFFA

DAVIDE DE PRA e ALESSANDRO BUFFA “DAL PALATO AL CUORE” IN UN SALOTTO RAFFINATO NEL CENTRO DI TRIESTE di

Antonietta Mazzeo foto di Niko Boi

Affacciata sulla splendida piazza Unità D’Italia di Trieste, la più grande d’Europa, sorge la storica dimora del Grand Hotel Duchi d’Aosta della famiglia Benvenuti. Il “Duchi” - come affettuosamente i triestini hanno battezzato questo prestigioso albergo dal glorioso passato e dalle magiche atmosfere d’altri tempi - ha il dono di regalare emozioni. Al suo interno convivono tre luoghi dell’anima, in cui si fondono i piaceri del mangiare, del bere e dell’incontrarsi: gli Harry’s. L’Harry’s Piccolo, un tuffo nel passato, un ambientazione intima ricavata nella vecchia saletta Maximilian, in stile austroungarico: quattro tavoli per circa dodici coperti, e il menu “Dal palato al cuore”, dedicato agli amanti del gusto e della bellezza senza compromessi. Nella bella stagione, tempo

permettendo, si trasferisce direttamente nel dehors, racchiuso tra gli splendidi palazzi che dalla piazza portano al mare. L’Harry’s Bistrò, inaugurato negli anni ‘70 dallo stesso Arrigo Cipriani, dell’omonimo locale veneziano riprende lo stile dell’arredo. Più informale, accogliente ed elegante, è aperto a pranzo e a cena 365 giorni all’anno; qui si possono degustare le specialità tradizionali del Belpaese, dal vitello tonnato, allo sgombro “in saor”, agli gnocchetti con pomodoro e basilico, alla cotoletta alla milanese. Da segnalare la straordinaria miscela di caffè preparata in esclusiva da Illy per gli Harry’s. Harry’s Pasticceria, l’ultimo nato, ha sede in un ambiente separato ed è un vero e proprio punto vendita, dove godersi momenti di pura dolcezza.

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Giovani talenti

ROMBO

carciofi, vongole, cozze e guazzetto piccante alla menta INGREDIENTI per 4 persone

1 rombo, 1 foglia di alloro, 1 gambo di sedano, 1 cipolla, g. 100 di vino bianco, 6 carciofi, 1 arancia, 1 limone, l. 1 di olio evo, g. 20 di prezzemolo, 2 spicchi d’aglio,

g. 100 di polpa di pomodoro, g. 10 di menta, g. 20 di burro, 1 ramo di timo, 2 foglie di salvia, 1 peperoncino. PROCEDIMENTO

Pulire i carciofi e cuocerli confit in olio con il succo d’arancia e limone. Una volta

cotti, lasciarli raffreddare nel loro liquido di cottura poi frullarli aggiungendo il liqui-

do poco alla volta fino ad ottenere una crema omogenea. Tenerne da parte uno da tagliare a fettine.

Sfilettare il rombo e, con la carcassa, fare un classico fumetto; aprire le cozze e le vongole tenendo da parte la loro acqua.

Con una parte di fumetto, cuocere il pomodoro con il peperoncino e salarlo solo con l’acqua di cottura delle vongole.

Cuocere in padella molto calda il rombo senza pelle con un filo d’olio, girarlo ed aggiungere il burro, il timo e la salvia; procedere con la nappatura.

Riscaldare la crema di carciofi e disporla sul piatto, adagiare il rombo, sopra i frutti

di mare, le fettine di carciofo e infine aggiungere al guazzetto la menta tagliata finemente. Terminare il piatto in sala.

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Il giovane chef bistellato Matteo Metullio ha scelto Harry’s Piccolo e Harry’s Bistrò per proporre, nella sua Trieste, lo spirito creativo della sua straordinaria cucina, e ha scelto di farlo con gli chef Davide De Pra e Alessandro Buffa, inseparabili compagni di viaggio nel suo emozionante percorso gastronomico. Matteo, affiancato dal braccio destro Davide De Pra, firma dunque progetto e menu dei due spazi affidati a una squadra capitanata da Alessandro Buffa, giovane triestino con un passato in Alta Badia e poi con gli Alajmo sia a Le Calandre, sia a La Montecchia. Davide De Pra, classe 1985, ha due passioni fortissime: la cucina e lo sci. I primi passi culinari li muove dando una mano nella pizzeria di famiglia, dove grazie ai suoi genitori viene contagiato dalla passione per la ristorazione. Durante gli studi presso l’istituto alberghiero I.P.S.S.A.R. di Falcade, riesce a conseguire anche il diploma di maestro di sci, così per anni alterna le due passioni, passando dalle piste l’inverno, alla cucina l’estate. Nel suo percorso “formativo” ci sono, tra gli altri, Malga Panna a Moena, il ristorante Tyrol, sempre a Moena, l’osteria a Le due Spade a Trento, e il ristorante Alle Codole di Canale d’Agordo. La sua avventura al ristorante La Siriola inizia nel 2013 insieme a Matteo Metullio, del quale non solo è il braccio destro ma anche inseparabile amico. Ed ecco che dal 2018, insieme appunto a Matteo, coordina l’offerta ristorativa dell’Harry’s Piccolo e dell’Harry’s Bistrò. La cucina di Davide e Alessandro ha l’eleganza confortevole e raffinata di nuovi equilibrati accostamenti, di piatti originali abbinati a reinterpretazioni di specialità tradizionali: una cucina di livello adatta a Trieste con spunti e suggestioni che rimandano, spesso e volentieri, anche alla sua secolare identità di terra di confine. Innovazione


DAVIDEDEPRAEALESSANDROBUFFA

nel gusto e nei contrasti più che nelle preparazioni, che sono caratterizzate da un rigoroso tecnicismo, atto a ottenere il massimo (e con il massimo rispetto degli ingredienti) in fase di cottura. Il resto è fatto di eccellenze italiane da nord a sud, in base alla stagionalità, ma soprattutto di materie prime a “chilometro vero”. A rendere speciale l’esperienza all’Harry’s, la grande competenza e professionalità del personale di sala; la cura per ogni dettaglio e l’emapatia del maître Nicola Mascarello, capace di individuare le necessità di ogni ospite. La cantina, custodita dalla sommelier Elena Brussa, segue la linea internazionale adottata dalla cucina; una carta dei vini molto ben assortita con etichette prestigiose, ma non necessariamente note, vini che hanno un’anima, una storia da raccontare. Etichette locali ed edizioni speciali compongono l’Harry’s Selection; da segnalare l’importante collaborazione nata con Cà del Bosco, che ha creato per l’Harry’s un Franciacorta dedicato e personalizzato. A dispetto del vento di Bora e del trafficato avvicendarsi di barche che anima quotidianamente il porto di Trieste, gli Harry’s rappresentano, in un contesto affascinante, un’esperienza gastronomica rilassante unica e suggestiva, un luogo aperto dove la scoperta di nuovi sapori è piacere dei sensi ed emozione per la mente.

SCALOPPA DI FOIE GRAS LAFITE gel di mela, melone giallo al torbato, aria allo zafferano e pan brioche INGREDIENTI per 4 persone

g. 400 di foie gras Lafite, 1 mela verde, 1 melone giallo, g. 10 di torbato, 1 limone,

g. 3 di zafferano, g. 50 di brodo vegetale, g. 50 di panna, g. 50 di Porto bianco, g. 1 di sucro.

Per il pan brioche: g. 250 di farina 00, g. 50 di burro morbido, g. 15 di lievito di birra, g. 20 di zucchero, g. 75 di tuorlo pastorizzato, g. 5 di sale, g. 100 di latte tiepido. PROCEDIMENTO

Per il pan brioche: usare metà farina con il latte e il lievito, impastare e lasciar lievitare per un’ora, poi amalgamare il resto degli ingredienti e lasciar lievitare per

un’altra ora; rompere nuovamente la lievitazione e formare il filone da mettere nello

stampo precedentemente imburrato e infarinato. Lasciar lievitare per 45 minuti, poi spennellarlo con il tuorlo e cuocere a 180°C per 25 minuti.

Cuocere la mela come se si dovesse fare una classica mela cotta e frullarla.

Tagliare a cubi il melone e immergerlo nel torbato, succo limone e acqua frizzante, poi chiarificarlo nel sottovuoto per 3 volte. HARRY’S PICCOLO RESTAURANT & BISTRÒ

Piazza Unità d’Italia, 2 - 34121 Trieste Tel. 040 660606

www.harrystrieste.it

piccolo@harrystrieste.it

In una padella far sfumare il Porto bianco, aggiungere la panna e il brodo e portare ad ebollizione; aggiungere lo zafferano e il sucro, aggiustando di sale.

Scaloppare il foie gras, inciderlo lievemente per formare una griglia, cuocerlo in padella, mettendolo sul lato della griglia in primis, girarlo e salarlo.

Spatolare il gel sul piatto, adagiare i cubi di melone, il foie gras, montare l’aria con un frullatore ad immersione e tostare il pan brioche.

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Giovani talenti

DAVIDE DE PRA e ALESSANDRO BUFFA INTERPRETANO

PANCIOTTI CON MELANZANA E SCAMORZA peperone piquillo, crema di basilico, gamberi rossi, fumo di castagno

INGREDIENTI per 4 persone

4 Panciotti con Melanzana e Scamorza Divine Creazioni Surgital 2 peperoni piquillo 1 mazzo di basilico

g. 50 di brodo vegetale

6 gamberi rossi di Mazara del Vallo 1 lime

g. 10 fumo di castagno sale pepe e olio evo

g. 15 di burro Normandia PROCEDIMENTO

Bruciare i peperoni a fiamma viva, poi chiuderli ancora caldi in un contenitore e la-

sciarli raffreddare. Successivamente togliere tutta la buccia nera e la semiglia, con il brodo frullare la polpa e aggiungere 10 grammi di olio evo a filo.

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www.surgital.it

Giovani talenti per

Sbollentare il basilico sfogliato per pochi secondi in acqua salata, raffreddarlo in acqua e

ghiaccio, poi scolarlo e frullarlo al Pacojet con poco olio evo e acqua frizzante (in mancan-

za del Pacojet si può utilizzare anche un frullatore ad immersione, in questo caso mettere prima in congelatore il bicchiere). Pulire ed eviscerare i gamberi, tagliarli a pezzettoni e condirli con olio, buccia di lime e pepe.

Cuocere i Panciotti in acqua bollente salata, scolarli, saltarli in padella con brodo e burro

emulsionati; scaldare la crema di peperone e distribuirla uniformemente sul fondo del piatto, posizionare un Panciotto al centro, puntinarlo con la crema al basilico, sopra i gamberi rossi, ed infine affumicare il tutto con il legno di castagno.

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Giovani talenti

SCRIGNI CACIO E PEPE zucca, piccione, salsa al foie gras e caffè

INGREDIENTI per 4 persone

Devenare il foie gras, farlo sciogliere a

Divine Creazioni Surgital

cione a filo montando il tutto con la frusta.

16 Scrigni Cacio e Pepe g. 400 di zucca 1 piccione

g. 50 di foie gras

g. 20 di caffè in chicchi 2 foglie di salvia 2 rami di timo 1 carota

1 cipolla

1 costa sedano

g. 200 di Porto rosso

1 cucchiaio di concentrato di pomodoro g. 20 di burro

g. 200 di brodo vegetale 1 foglia di alloro ghiaccio

PROCEDIMENTO

Disossare il piccione, tenendo da parte il petto. Tostare interiora, carcassa e le

cosce in forno a 180°C per 30 minuti; rosolare la verdura a pezzettoni e aggiungere il

tostato senza il grasso; sfumare con il Porto, aggiungere 5 grani di pepe, una foglia

d’alloro e il concentrato, infine coprire con il ghiaccio. Portare ad ebollizzione e lasciar ridurre a fuoco lento per 6 ore, quindi

filtrare e ridurre ulteriormente fino ad ottenere una salsa.

Cuocere la zucca senza semi ma con buccia in cartoccio con gli aromi per 1 ora a

165°C; da calda spolparla e frullarla con poco brodo e olio a filo al Bimby.

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bagnomaria e aggiungere la salsa di picSpellare i petti, tagliarli a cubi regolari e condirli con sale, pepe e poca salsa di

piccione. Cuocere gli Scrigni in acqua bollente salata, glassarli col burro e col brodo in padella, scaldare la crema di zucca e

spatolarla sul piatto; adagiare ordinatamente gli Scrigni, il piccione a cubetti, la salsa di foie gras. Davanti agli ospiti finire

col macinapepe precedentemente riempito con il caffè.


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Giovani talenti per

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Giovani talenti

MAMMOLI

prezzemolo, spuma di cavolfiore, anice stellato, katsuobushi e caviale INGREDIENTI per 4 persone

60 Mammoli Divine Creazioni Surgital 1 mazzo di prezzemolo 1 cavolfiore

g. 500 di panna g. 500 di latte

1 anice stellato

g. 30 di katsuobushi g. 30 di caviale g. 20 di burro

olio sale pepe brodo PROCEDIMENTO

Cuocere il cavolfiore a pezzi in latte e panna per circa

un’ora, poi frullare il tutto al Bimby aggiungendo il liqui-

do poco per volta; aggiustare di sale e riempire il sifone con due cariche di gas.

Sfogliare il prezzemolo con le foglie più belle, prendere un piatto con bordo alto, tirarvi sopra la pellicola e ungerla con olio evo; adagiarvi 20 foglie e spennellarle con poco olio evo, quindi cuocerle in microonde alla massi-

ma potenza con colpi da 10 secondi fino a che diventano

cristallizzate. Sbollentare le foglie restanti per 10 secondi

in acqua bollente salata, raffreddarle in acqua e ghiaccio e, con l’aggiunta di olio evo e acqua frizzante, pacossarle.

Sbollentare i Mammoli in acqua bollente salata fino al loro affioramento; emulsionare il burro e il brodo in pa-

della e aggiungere i Mammoli, mantecarli e adagiarli al centro; puntinare il piatto fino alla sua quasi totalità con i

restanti elementi in questo ordine: crema di prezzemolo, anice stellato grattugiato, spuma di cavolfiore, caviale, prezzemolo cristallizzato ed infine il katsuobushi.

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Giovani talenti per

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ILFOCUSDIALESSANDROROSSI

a cura di

Alessandro Rossi

esperto di vino, bon vivant,

Premio “Dire Fare Sognare”

fondatore del

IL VINO BUONO STA NELLE BOTTI PICCOLE? QUANDO I DETTI POPOLARI ANDREBBERO RISCRITTI O PERLOMENO AGGIORNATI Che la demoniaca barrique non fosse più di moda non è un segreto, d’altronde anche al Diavolo capitano periodi di alti e bassi. Come sottolineava Coco Chanel “la moda passa, ma lo stile resta”, un concetto tranquillamente applicabile a questo settore perché il vino è stile e non moda. Tutto passa - più prima che poi - tutto evolve, soprattutto e con maggiore velocità se parliamo di gusto oggettivo e non. La prima a urlarlo sulle pagine del Times qualche anno fa è stata la mitica e controversa Jancis Robinson, la quale si accorse che i vini - italiani - assumevano caratteristiche differenti e affilavano la precisione gustativa quando l’evoluzione era affidata alle gigantesche botti di rovere. Che scoperta, eh? Ma torniamo a noi; se continuamente si adeguano al linguaggio moderno i dizionari e le enciclopedie, perché non possiamo rivedere i detti popolari? Scherzi a parte, non è certo la signora Robinson o chi per lei a dettare le regole del gioco. Precisiamo subito una cosa molto importante: non è che la barrique non sia più adeguata al momento storico, è che non sono più adeguati i tempi e l’uso di questo strumento. Non è corretto demonizzarla. Esistono in natura vitigni più propensi a un’evoluzione dentro i piccoli fusti (barrique) altri che esprimono al meglio le loro caratteristiche all’interno di formati più grandi, tutto qui. Ma attenzione: sia attraverso botti grandi sia attraverso le barrique si posso produrre grandi vini o vini mediocri. L’uso della barrique, soprattutto se nuova, necessita di maggiore attenzione da parte del produttore. I profumi rilasciati dal legno non devono avere il ruolo di protagonisti nel bicchiere, a discapito dei profumi primari e secondari dell’uva. Torniamo per un attimo ai legni grandi oggi tanto tornati in voga. In Italia - non è un segreto - siamo sempre stati tra i più grandi produttori di botti in rovere e non è una coincidenza o un caso.

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Sono molto pragmatico in merito alle coincidenza, ne ho sentito parlare ma non ne ho mai vista una. Anche in Francia le cose stanno cambiando seriamente; c’è un ritorno dei legni da 500 e più litri di capacità (molti pensano anche per questioni economiche ma io non credo proprio). Comunque, oggettivamente, un vino maturato in legno grande è sicuramente più “refined and precise”. Non che adesso Parker e tutti gli illustri critici che hanno sponsorizzato le barrique per anni non vanno più presi sul serio, anzi, all’epoca anche il nostro caro Luigi Veronelli è stato uno dei primi giornalisti a puntare sulla barrique. Quante cose sono cambiate da allora? Tantissime. Mettiamoci bene in testa che l’utilizzo della barrique non determina il tradizionalista o il modernista: è un grave errore credere il contrario. È dagli anni ’80 che la discussione tra tradizionalisti e modernisti va avanti, quasi ininterrottamente, senza sosta, spesso con argomentazioni sterili e noiose. Ricordate i Barolo Boys? Hanno avuto un grande merito, quello di avere rinnovato i processi produttivi del Barolo e non solo, ma soprattutto di farlo conoscere trasformandolo, in un periodo di crisi d’identità, in uno dei più grandi vini italiani a livello mondiale in diretta concorrenza con i grandi rossi di Bordeaux e di Borgogna. I vecchi produttori e i tradizionalisti più in generale sono sempre rimasti fedeli all’utilizzo della botte grande per il Barolo. Hanno però seguito i modernisti nel nuovo approccio produttivo/qualitativo. La tradizione non si esprime attraverso il legno utilizzato, ma da come si educa la vigna e il processo produttivo. Il vero stile si decide li, sul campo. Non è il legno a comandare il vino, ma è il vino insieme all’uomo a comandare il legno. Sempre se l’uomo si dimostra buon domatore. Anche quello, seppur circense, è un buon mestiere.



VINARIA

AMERICAN FINE WINE COMPETITION LA DEGUSTAZIONE CHE STABILISCE QUALI SONO I MIGLIORI VINI AMERICANI di

Alessandro Rossi

Che cos’è l’American Fine Wine Competition, ma soprattutto che ne sappiamo noi dei vini americani? I vini americani non sono particolarmente famosi e conosciuti nel nostro Paese; si ha sempre la sensazione di dover affrontare nel bicchiere vini molto alcolici, tannici, spesso marmellatosi e stancanti. In parte è vero, in parte no. Innegabile che la loro moderna avventura enologica parta scopiazzando vitigni e stili francesi, soprattutto quello di Bordeaux per i vini rossi. Considerando che i due padri dell’indipendenza americana, Franklin e Jefferson, si appassionano così tanto ai vini francesi sognando di produrre grandi vini in America, da lì il passo fu breve. Nel 1978 Robert Parker pubblica il primo numero del magazine The Wine Advocate e nel giro di qualche anno diventa l’uomo più influente in assoluto nel settore del vino. Parker è considerato da tutti il più grande palato del mondo, questo è indi-

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AMERICANFINEWINECOMPETITION

scutibile, e si è sempre battuto per i vini prodotti negli Stati Uniti, certificando le potenzialità di queste terre. I vini prodotti negli anni ’70 e all’inizio degli anni ’80 hanno sbalordito le platee di tutto il mondo, grazie anche al meticoloso lavoro tecnico e di zonazione del mitico enologo russo (poi successivamente californiano) Andre Tchelistcheff, vero padre dell’enologia californiana e americana. Ma torniamo a noi: l’American Fine Wine Competition è un’importante degustazione che ha il merito di riconoscere - attraverso una più che credibile giuria di degustatori americani provenienti da ogni parte degli Stati Uniti - i migliori vini prodotti in America negli ultimi dieci anni. Questa manifestazione accetta in degustazione fino a 850 dei migliori vini prodotti in tutto il Paese. La giuria si riunisce ogni anno alla Chaplin School of Hospitality & Tourism Management della Florida International University, negli spazi del Wine Spectator Restaurant Lab. Negli ultimi undici anni, l’American Fine Wine è diventato uno degli eventi del mondo del vino più influenti e riconosciuti degli Stati Uniti. L’AFWC ospita anche una serie di eventi durante tutto l’anno, raccogliendo contributi per una vasta serie di or-

INTERVISTA A SHARI GHERMAN Shari, quando e come nasce la tua passione per il vino? Mi sono innamorata del vino piuttosto giovane: avevo circa sedici anni. Mia madre era appassionata e lo beveva spesso a tavola. Mi ha sempre permesso di provarlo, ovviamente quando l’età mi ha permesso di consumare vino. La mia prima vera esperienza la ricordo perfettamente come se fosse adesso: avevo sedici anni ed ero uscita con un ragazzo più grande di me. Al ristorante il sommelier portò al tavolo la lista dei vini e decisi di prendermi la briga di sceglierlo personalmente. Ovviamente ordinai l’unico vino che conoscevo: si chiamava Blue Nun. Arrivata la bottiglia al tavolo, lo assaggiai ma i ricordi e soprattutto le sensazioni non erano le stesse. Mi feci portare un’altra bottiglia, ma purtroppo anche quella non era di mio gradimento. Sconsolata, chiesi al sommelier di portare al tavolo una terza bottiglia, questa volta affidandomi a lui. Stappò per me un Pouilly-Fuisse francese. M’innamorai immediatamente, fu un colpo di fulmine. Portai via con me la bottiglia per ricordo a fine cena, chiedendo a mia madre, una volta arrivata a casa, di acquistare, se possibile, solo vini di quello stile e caratura. Da lì, ci trasferimmo subito in Borgogna. Ecco com’è partita la mia avventura nel mondo del vino. Com’è nata l’idea dell’American Fine Wine Competition? L’America produce vini fantastici e penso che sia importante sostenere le nostre aziende vinicole, soprattutto quelle a conduzione familiare. Vogliamo valorizzare i vini prodotti dalle nostre terre cercando di comunicare al mondo intero le potenzialità e lo stile dei nostri produttori. Pensi che il vino Americano possa un giorno essere protagonista anche in Europa? Assolutamente sì, sperando in un confronto e uno scambio sempre più frequente.

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VINARIA

I MIGLIORI VINI DELLA DEGUSTAZIONE SPARKLING 2013 Methodo Champenoise Glenora Wine Cellars Finger Lakes, New York

WHITES 2017 Riesling Black Star Farms, “ArcTuros”, Leelanau Peninsula, Michigan ganizzazioni non profit. Fin dalla sua nascita, AFWC ha raccolto oltre 1 milione di dollari per beneficenza. Ma quali sono i reali obiettivi e gli scopi di questa importante degustazione per la comunità del vino americano? Prima di tutto attirare l’attenzione sugli straordinari vini di produzione americana, in secondo luogo creare un ambiente in cui le aziende possano trarre vantaggio promuovendo i loro prodotti. Shari Gherman è la presidente e la co-fondatrice dell’American Fine Wine Competition insieme a Monty e Sara Preiser. Shari è una sommelier professionista e ha passato più di venticinque anni all’interno del modo del vino americano conoscendone perfettamente le meccaniche. Le sue esperienze sono state molteplici, tra cui il marketing e la distribuzione del vino negli Stati Uniti. Attraverso l’American Fine Wine Competition, Shari ha il merito e il ruolo di aver creato un veicolo per raccogliere fondi per cause meritevoli, oltre a far emergere sempre più realtà vinicole americane.

2017 Sauvignon Blanc Reustle-Prayer “Rock Vineyard” Umpqua Valley, Oregon 2017 Chardonnay Husic Vineyards, “Dutton Ranch” Sonoma County, California

REDS 2017 Pinot Noir Bee Hunter “Oppenlander Vineyard”, Mendocino, California 2015 Zinfandel Michael David”Lust” Lodi, California 2016 Cabernet Sauvignon Chase Creek - Stags Leap District Napa, California 2016 Petite Sirah Ballentine Vineyards “Pocai Vineyards” Calistoga, California 2015 Syrah Klinker Brick, “Farrah” Lodi, California

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PANDORAANWYL

PANDORA ANWYL

NELLA STORIA DEL MERCATO DEL VINO IN AMERICA Pandora Anwyl è stata uno dei broker più importanti degli anni ’80 e ’90 per il mercato americano del vino. Grazie a lei molti vini italiani e tanti altri provenienti dalle principali regioni vinicole europee si sono ritagliati un ruolo importante nel mercato distributivo americano permettendo all’Italia di essere conosciuta maggiormente sotto il profilo enologico.

Pandora, dagli anni Ottanta a oggi, come è cambiato il mercato negli Stati Uniti? Ho iniziato la mia avventura negli anni ’80 e l’intermediazione era molto differente da quella di oggi; tante cose effettivamente sono cambiate. Tutto è partito da un piccolo distributore “boutique” di Washington DC. Vendevo vini che si affacciavano per la prima volta sul mercato, molti di questi provenivano dalla California: Schafer, Corson, Spottswoode e tanti altri. Altri vini invece provenivano dall’Italia e dalla Francia e per lo più erano vini inesistenti sul mercato americano. I vini californiani all’epoca attraversavano un momento di grande richiesta sul mercato, stavano nascendo tante nuove aziende e i numeri non erano così importanti come adesso. Gli standard ovviamente erano ancora i vini del vecchio mondo. Negli anni ‘70 tante multinazionali, molte non del settore, stavano investendo nel mondo del vino soprattutto in California, come ad esempio Nestlé e Coca-Cola. Anche i francesi erano molto interessati alle potenzialità di queste terre; Opus One e Dominus, infatti, erano di proprietà di famiglie produttrici di vini francesi, così come investirono anche i giapponesi in alcuni casi. I vini californiani erano facili per il mercato statunitense: nomi riconoscibili, zone e famiglie che certificavano la provenienza e le denominazioni – spesso date dalle uve utilizzate – facilmente traducibili in etichetta. Ben più complicato era tradurre la provenienza, le uve e la geografia di un vino proveniente dall’Italia. Per esempio, un Vino Nobile di Montepulciano o un Brunnello di Montalcino erano sì vini conosciuti, ma a quel tempo erano anche abbastanza misteriosi per il consumatore americano. Gli americani erano pronti a credere nei loro vini, soprattutto quelli californiani, dove i prezzi erano molto più acces-

sibili. Negli anni ’90 le quotazioni, grazie anche alla critica mondiale, sono aumentate notevolmente creando una certa barriera. Dal punto di vista del distributore, i vini californiani erano molto più semplici per il mercato americano e offrivano molti vantaggi: facili da bere, partner di marketing geograficamente più vicini e, soprattutto, stessa lingua. I vini californiani, inoltre, erano facili per il palato americano

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VINARIA

perché tendevano a essere più fruttati, con minor acidità e tannini, meno aggressivi rispetto ai loro omologhi europei. Ricordiamoci che gli americani all’epoca, ma ancora adesso, consumavano vino prima di cena e soprattutto senza abbinare cibo, differentemente dal consumatore europeo dove una cultura eno-gastronomica ben più complessa della nostra ha portato nel corso del tempo a una simbiosi cibo-vino. Questo ha ovviamente modellato lo stile di questi vini che, insieme alla nascente critica americana, ha influito su buona parte dei vini prodotti nel mondo anche grazie al potere di acquisto del mercato statunitense. Si producevano vini in base alla richiesta del consumatore finale in stretta collaborazione con la critica e i distributori che indicavano la giusta via per ottenere un successo commerciale. Era un altro mondo, non esistevano tante cantine quante ne esistono oggi e spesso erano a gestione familiare. Non erano promosse sui social media o con la pubblicità televisiva; le persone avevano un ruolo veramente significativo. I social oggi hanno sostituito una parte fondamentale del mercato di allora: ricordo perfettamente la cura con cui proprietari e i rappresentanti ringraziavano personalmente gli acquirenti e scrivevano loro per le occasioni come compleanni o anniversari. I distributori all’epoca erano disposti a dare un’opportunità a cantine anche sconosciute; la scelta distributiva viveva anche di rapporti personali con il proprietario della cantina. I consumatori erano abituati a bere più che altro vini europei, ma erano curiosi di quello che stava accadendo, per esempio, in California e dedicavano ampio spazio ai vini americani. La cosa che più mi manca è senz’altro la trattativa che finiva con una stretta

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di mano; attraverso questo modo di lavorare sono stati costruiti tanti marchi oggi molto noti e importanti. Pensi che il mestiere del broker sia ancora fondamentale per far conoscere negli Stati Uniti i tanti vini italiani a voi ancora sconosciuti? Senza la presenza sul mercato è praticamente impossibile per i nuovi vini essere debitamente introdotti e venduti. Alcuni importatori hanno persone specifiche sul campo, ma pochi possono permettersene una in ogni Stato. Le grandi aziende vinicole assorbono la maggior parte del tempo dedicato alla vendita di un distributore, sono quasi tenute in ostaggio. Offrono il massimo profitto, hanno importanti budget di marketing e di comunicazione rivolti al mercato e, ovviamente, pretendono. Esiste una regola negli Stati Uniti, quella dell’80/20 che significa che la maggior parte del profitto proviene dal solo 20% dei fornitori che ottengono l’80% dell’attenzione, lasciando solo il 20% a tutte le altre aziende vendute da un distributore. Inutile dire che è proibitivo per le aziende vinicole avere i propri rappresentanti in ogni Stato, anche se molti hanno rappresentanti regionali che coprono 5-8 Stati. Non solo è un investimento enorme, soprattutto per una piccola azienda vinicola indipendente, ma un broker con 25 marchi è più influente su un distributore rispetto a un singolo rappresentante della cantina. I distributori sono ancora più importanti quando si parla di formazione: l’introduzione di nuove uve, tipologie e regioni richiede tempo e perseveranza. Avendo introdotto i vini da tavola “Douro” nel mercato statunitense, ho una grande esperienza in tal senso. È difficile richiedere alle cantine una presenza costante per formare sempre di più i distributori, anche se sarebbe fondamentale perché il mercato va educato in tal senso, soprattutto il consumatore finale oltre ai punti vendita. L’introduzione delle nuove DO senza un supporto locale è praticamente impossibile nel mercato iper-competitivo che troviamo oggi. Quanto è ancora importante il vino italiano negli Stati Uniti? Quando negli anni ’60 New York stava diventando quella di adesso, ogni ristorante sulla costa orientale aveva un Chianti nella sua lista indipendentemente dal tipo di cibo servito. Lentamente la California e altri nuovi vini del mondo hanno spinto la maggior parte dei vini europei fuori dalle carte enologiche. Molti americani non sono mai stati realmente aggiornati e hanno ancora un’idea di un’Italia vinicola che non esiste più, quella del Chianti prodotto in fiaschetta di paglia. Gli immigrati italiani hanno aiutato a sviluppare questo Paese sotto un profilo eno-gastronomico e il vino, in quanto espressione culturale e artistica, è una parte importante del loro patrimonio e quindi di questo Paese. Vorrei che più vini italiani di diverse denominazioni fossero disponibili al di fuori dei ristoranti di cucina italiana per incoraggiare una maggiore sperimentazione da parte del consumatore. Il Pinot Grigio è ben noto in questo paese, ma Pagadebit - per esempio - attira sguardi vuoti anche da parte di molti sommelier.


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di

Daniele Briani

VINARIA

MONTRESOR HERITAGE APPUNTAMENTO A VINITALY PER IL BATTESIMO DEL NUOVO MARCHIO E DEL NUOVO GRUPPO DI LAVORO

E’ morto il Re, viva il Re! Un’altra famiglia storica del mondo del vino segna il passo alla moderna imprenditoria di settore, affinché il marchio continui al di là delle persone. E’ una storia già vista nel recente passato e non solo nel settore vinicolo; fa parte di quel naturale processo di globalizzazione iniziato qualche decennio fa e di fronte al quale resistono ancora pochi baluardi. Un polo d’investitori formato da Terre Cevico, Vitevis, e Valpantena si è costituito assieme per ridare slancio al marchio Montresor, tra quelli storici in Italia e a Verona in particolare. Molte aziende nate negli ultimi decenni hanno sempre avuto la necessità di crearsi una storia per migliorare il proprio lignaggio, perché questo aiuta sul piano del marketing a regalare quarti di nobiltà e a conferire valore persino allo stesso nettare di Bacco (!). Montresor la storia l’ha sempre avuta, poiché affonda le sue radici alla fine del secolo scorso e il suo prologo nasce addirittura nel XVI secolo, quando il Conte Claude de Montresor finì esule in Italia, e in Valpolicella, per l’appunto, dando origine al ramo d’oltralpe della nobile famiglia transalpina. La storia più recente si deve a Giacomo Montresor, che con le sue indubbie capacità imprenditoriali ha creato le Cantine Montresor nel 1892, guidate dalla famiglia per quattro generazioni fino ai giorni nostri. Il glorioso testimone è ora raccolto da una compagine d’investitori dalle notevoli risorse finanziarie e conoscenze di settore, oltre che dall’enorme capacità produttiva che conta 6330 famiglie di viticoltori, 10.500 ettari di vigneti, di cui 3.000 gravitano attorno al territorio veronese, per un totale di 270 milioni di euro di ricavi. Una notevole potenza che farà il suo esordio ufficiale al prossimo Vinitaly con un nuovo stand al padiglione 8, dove saranno già riconoscibili le linee guida tracciate nel solco della tradizione. “Montresor Heritage” è la nuova rivisitazione del marchio, e anche da questo

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MONTRESORHERITAGE

semplice particolare si evince come la prospettiva sia quella di focalizzarsi fin da subito sui prodotti del territorio con la creazione di alcuni cru di Amarone, Valpolicella, Soave e Lugana. Gli investimenti aziendali porteranno nel giro di alcuni mesi al rinnovamento del fruttaio per l’appassimento delle uve destinate alla produzione di Amarone e Recioto, a una risistemazione della bottaia e al cambiamento della linea d’imbottigliamento. Montresor non significa solo Verona. Anche nella realtà dislocata nel Collio goriziano, che conta attualmente 30 ettari vitati, verranno realizzati almeno 5 ettari di nuovi impianti a Ribolla Gialla e Sauvignon. Appuntamento dunque nel futuro, per chi come Montresor Heritage ha un grande futuro alle proprie spalle.

Da sinistra, Luciano Arimini, presidente di Vitevis,

Marco Nannetti, presidente CEVICO e Montresor, e Luigi Turco, presidente Valpantena.

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EDITORE La Madia srl Sede legale: Via E. De Amicis, 53 - 20123 Milano (MI) Sede operativa: Via Pacchioni, 365 - 47521 Cesena (FC) Tel. 0547 23821 - Fax 0547 25809 Internet: www.lamadia.com - E-mail: lamadia@lamadia.com

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DES GOURMETS La famiglia dei Gourmets europei

Direttore responsabile: Elsa Mazzolini La Madia srl è parte del Gruppo Cose Belle d’Italia www.cosebelleditalia.com

REDAZIONE Direttore: Elsa Mazzolini Caporedattore: Maria Chiara Zucchi Stampa: D’Auria Printing SPA - (AP) Web e Social: Giorgia Zucchi Impaginazione: Andrea Amadori Redazione e centro di distribuzione in Gran Bretagna: ALIVINI Company Limited - London - Tel. +44 20 8880 2525

COLLABORATORI Domenico Acconci, Giovanni Angelucci, Silvia Bianco, Daniele Briani, Teresa Cremona, Giulia Gavagnin, Giuseppe De Girolamo, Giorgia Giuliano,

si è data una nuova dimensione

Maurizio Di Dio, Gianni Di Lorenzo, Fabio Ferrantino, Lorenzo Ferrari, Luigi Filippi,

per valorizzare

Furio Lottatori, Giovanni Mastropasqua, Antonietta Mazzeo, Alessandra Meldolesi,

il piacere

della convivialità e della cultura

enogastronomica italiana

Lisa Foletti, Lucy Gordan, Verdiana Gordini, Cristiana Lauro, Giuseppe Lo Russo, Claudio Mollo, Alessia Pellegrini, Giacomo Pilati, Alessandro Ricci, Gianluca Ricci, Alessandro Rossi, Simone Rosti, Flavia Tomaello, Marco Tonelli, Primo Vercilli. Fotografi: Nikoboi, Pasquale Spinelli, Andrea Amadori, Lido Vannucchi, Claudio Mollo, Riccardo Marcialis Illustratori: Patrizia Zavatti - Valentino Menghi

PUBBLICITÀ Stefano Basso - Account Manager Tel. 348 3103399 - s.basso@lamadia.com

CONTATTI: Romano Lambri - Presidente Cell. 393.9815078 Mauro Marelli - Console della Stampa Cell. 392.3591439 www.cegourmet.eu - info@cegourmet.eu

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Spedizione Postatarget Magazine Aut. del Trib. di Milano n. 222 del 10/07/15




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