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“Vicentini generosi, ma vanno coinvolti”
• Vicenza è migliorata, offre molte proposte: basta vederle
• Il carattere dei vicentini è chiuso, ma restare dentro casa a criticare non serve a niente
• Troppe persone sono concentrate sul proprio orticello
• L’egocentrismo porta a voler apparire ed essere protagonisti a tutti i costi
“Ivicentini sono un po’ chiusi, come negarlo, ma sanno essere anche generosi. E poi Vicenza è una città che è migliorata”. È il pensiero di Adriana Maltauro, medico nella vita professionale e presidente della fondazione di famiglia intitolata ai genitori, Adone e Rina Maltauro, presente in numerose iniziative culturali in città. Sostiene – fra l’altro – la Società del Quartetto, l’Orchestra del teatro Olimpico, diverse iniziative nel carcere di Vicenza e in quello di Padova. Fosse per lei, non lo racconterebbe. Vivere sottotraccia è la sua filosofia. È questione di stile, spiega. Questa è la sua prima intervista.
Personaggi della vita culturale ne ha conosciuti parecchi: Ettore Sottsass, per esempio.
Bizzarro, geniale e semplice come tutte le le persone intelligenti. Non se la tirava. Disegnava perfino in bagno.
E ha conosciuto anche sua moglie, Fernanda Pivano.
Persona fantastica, che ha continuato ad amarlo anche dopo la separazione. Era lei l’artefice del suo successo.
È stata amica di Alessandro Mendini, un rivoluzionario del design.
Persona timida, riservata.
Un esuberante, invece?
Vittorio Gregotti: era simpatico, aperto e vivace
E il pianista Schiff?
È una persona introversa e nervosa, da prendere per il verso giusto.
Pittori ne ha conosciuti?
Papà era amico e sostenitore di Nereo Quagliato…
…anche di Neri Pozza.
Certo, gli ha messo a disposizione gratuitamente la sede nel nostro palazzo in centro, che ora è quello della prefettura…
Diceva di Quagliato?
A Creazzo ha realizzato la sua tomba, con un bassorilievo che rappresenta l’Albero della vita. Papà scherzava affermando che s’era comprato una casa con comodo di cimitero.
Cosa le hanno dato questi incontri?
Impari e ti diverti. Ho sempre rifuggito con gran forza la valle di lacrime
Ma lei ha anche sofferto nella sua vita.
La mia parte, come tutti. Sono rimasta vedova a 42 anni, poi c’è stata la morte di mia sorella Amalia… Ho imparato a essere meno complicata nella vita, come ero da giovane.
Ovunque ci si giri a Vicenza, dal restauro della Basilica alla nuova tangenziale emerge il suo cognome, Maltauro. È difficile conviverci?
A dire la verità convivo con due cognomi importanti, c’è anche Dolcetta. Qualche volta è scomodo, altre volte onestamente no. Comunque la mia vita l’ho costruita da sola e amo l’anonimato: spesso vado all’estero proprio perché non mi conosce nessuno.
Nel suo lavoro in ospedale ha trovato difficoltà?
Più ostacoli che facilitazioni. Però ho sempre avuto meravigliosi rapporti umani con i colleghi. È la mia gioia e la mia vita. Mi piace la gente, mi piace darmi da fare per le persone.
E qui interviene la cultura e la sua fondazione.
È una soddisfazione offrire opportunità ai giovani, e quando avviene con gruppi etnici diversi significa dav-
• Fate conoscere i vostri progetti, troverete sostegni inaspettati
• Molti mondi restano sconosciuti a troppe persone e così non si creano circuiti virtuosi
• Serve maggior coordinamento nelle iniziative culturali
• Eventi come quelli di Schiff e Fischer devono diventare patrimonio della città vero integrarli. Con il Quartetto abbiamo avuto 20mila spettatori paganti e realizzato 119 spettacoli.
Non ho questo problema. Lei è ottimista?
Di più. Non penso mai al passato né al futuro. Così evito ansia e rimpianti. Cosa la sorprende dei vicentini?
Mi meraviglia sempre quanto siano curiosi e dove riescano ad arrivare. Ne ho trovati anche a Queen Charlotte Island, sopra Vancouver: avevano aperto un locale. Ne parlavo con il prof. Fontana, presidente dell’Accademia Olimpica e gli domandavo come spiegasse che nella fascia pedemontana in piccoli Comuni siano nati grandi imprenditori di livello nazionale, da Marzotto a Rossi.
La risposta qual è stata?
Siamo il frutto di una grande cultura europea, perché siamo discendenti dei cimbri, e siamo intraprendenti.
Cosa manca a Vicenza in questo settore?
Vorrei che le istituzioni si integrassero di più per sviluppare la cultura. Anche con obiettivi pratici, intendo. Penso che si potrebbe organizzare un carsharing per gli spettatori, magari anche con altre città della provincia.
Cosa c’è da fare per migliorare l’offerta culturale?
Serve che le iniziative concertistiche attorno a musicisti come Schiff e Fischer siano più apprezzate: devono diventare un avvenimento per la città. Spesso invece lo sono per gli stranieri, ma non per i vicentini. Come le sembra Vicenza?
Adoro questa città. Cammino a testa alta per godermela.
Ci sarà un difetto… Spesso si tende a essere chiusi e a coltivare il proprio orticello. Avere rapporti,invece, aiuta a sopravvivere.
Da dove nasce questa chiusura?
Dall’egocentrismo che spinge ad aver bisogno di apparire ed essere protagonisti.
Di cosa ha bisogno Vicenza?
Mi piacerebbe ci fossero più bambini. Un aspetto positivo dei tempi del covid è stato vedere i bambini che giocavano in piazza
Un carattere della città che vorrebbe diverso.
Non c’è più rispetto per la saggezza dei vecchi.
Vicenza è cambiata in meglio o in peggio?
In meglio, non ho dubbi!
C’è più cultura, c’è sempre qualcosa da fare, da vedere. Basta che esci dalla porta, non ti annoi mai. Se invece resti chiuso in casa a criticare, diventerai solo più cupo.
C’è chi si lamenta di una vita notturna inesistente.
Lei s‘impegna a promuovere la cultura. Ma, dica la verità, i vicentini potrebbero investire di più? Certo. Potrebbero dare molto di più. E se vengono sollecitati si danno da fare, lo vedo anche alla Fondazione San Bortolo di cui faccio parte.
E perché spesso non avviene?
Perché i soldi ci sono, magari ci sarebbe anche la disponibilità a donare, ma molti mondi restano sconosciuti e naturalmente si ha timore ad affrontare quello che non si conosce. Al San Bortolo non c’è un appello che resti inascoltato. Quindi, il suo consiglio è di far conoscere questi mondi, questi progetti. Assolutamente. Fate conoscere i vostri progetti, coinvolgete le persone e vedrete che troverete risposte anche inaspettate.
Antonio Di Lorenzo