La pulce ukulele in italia
piccolo notiziario
sul mondo dell'ukulele visto con gli occhi di due appassionate blogger
novitĂ , gruppi, scuole e risorse on line
I protagonisti: Aldrine Guerrero, Yan Yalego, Danilo Vignola, Maru Barucco e gli Shine di Barcellona
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Ukulele che passione!
Gli articoli che trovate in questa piccola pubblicazione sono tratti dai nostri post
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indice l'agenda di claudia
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pag 30
La leggenda sul nome del nostro piccolo cordofono narra che derivi da Uku-pulce e Lele-saltellante, in lingua hawaiana. La pulce salta di nota in nota, di corda in corda, ma soprattutto da persona a persona grazie alla generosità del piccolo strumento, arrivato fino ai giorni nostri. Noi vogliamo saltare come una pulce, di argomento in argomento, di genere in genere, di storia in storia per scoprire insieme il mondo dell’Ukulele. (Progetto nato da un’idea di Claudia Camanzi, realizzazione grafica di Viviana Monti)
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chi siamo
Sono Claudia Camanzi, di “Ukulele: che passione!”. Sono una classe ‘76, disabile motoria e vivo in un piccolo paese di provincia in Emilia. Collaboro a questo progetto per lo stesso motivo per cui ho aperto il mio blog: la passione sempre crescente per questo piccolo ma fantastico strumento. Grazie a Viviana che mi ha aiutato a concretizzare un’idea che mi frullava per la testa già da qualche anno.
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Sono Viviana Monti, cantante jazz, swing e gospel. Mi piace fare musica più di ogni altra cosa, con i miei vari gruppi ma anche con i miei due bimbi e con i miei allievi di canto. Ho scoperto l’ukulele quasi per caso e adesso non posso più farne a meno. Adoro la sua generosità e versatilità. Sono diventata blogger, da poco, proprio per dare voce a questo amore a quattro corde. Grazie Claudia per avermi invitato in questa bella avventura!
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l'agenda di claudia Apriamo questo numero con un’intervista speciale. Sia nel mio blog che ne La Pulce lo spazio delle interviste è molto importante, serve per costruire insieme e condividere le nostre conoscenze sull’ukulele: parlare con le persone, ascoltarle, apprendere da loro è fondamentale. Le stesse domande che ho fatto a tanti altri le ho poste a lui, il personaggio in questione stavolta merita la vostra attenzione nelle prime pagine perché è diventanto un punto di riferimento in tutto il mondo. La sua forza è nella tecnica ma soprattutto nell’insegnamento. Ho avuto la fortuna di partecipare a un suo workshop e di sentirlo esibirsi dal vivo. Sono rimasta incantata nell’ascoltarlo, a bocca aperta nel vedere con i miei occhi la tecnica che padroneggia…. Un mito Aldrine Guerrero! Come descriveresti il tuo background musicale? Ho studiato musica al liceo e al college. Ero molto lanciato con l’ukulele fin dal liceo. Aprimmo un locale di musica hawaiana cercando di diffonderne anche la cultura attraverso la musica. Ho anche gareggiato in svariate competizioni con l’ukulele e il clarinetto. So suonare bene l’ukulele, la chitarra, il basso, il clarinetto e il sassofono. Ho iniziato a suonare professionalmente quando avevo 14 anni e ho iniziato nelle chiese e nei bar. Qual è il tuo approccio globale alla musica in generale? Ascolto tutti i tipi di musica, in base all’umore del momento. Normalmente ascolto rock, reggae, acustica e brani classici. Da quanti anni suoni l’ukulele? Suono l’ukulele da circa 16 anni ormai. Come hai conosciuto l’ukulele? Chi o cosa ti ha spinto ad iniziare a suonarlo? Ho iniziato a suonare l’ukulele quando avevo 14 anni perché molta musica hawaiana alla radio proponeva pezzi con questo strumento. Quindi per divertirmi e fare prove con i miei amici durante il periodo di scuola, ho preso in mano l’ukulele.
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Quando hai acquistato il tuo primo ukulele, come hai iniziato a capire come si suona? Dove ti sei orientato per imparare a suonarlo? Internet, libri, dvd… o altro? Ho comprato il mio primo ukulele quando avevo 14 anni. Si chiamava “Prelude”, poi un anno più tardi comprai un ukulele concert Kamaka. Ho imparato dai miei amici che già lo suonavano: condividevamo le tecniche e gli stili a scuola. Che genere di musica preferisci suonare con l’ukuele? Qual è la tua taglia preferita di ukulele (sopranino, soprano, concert, tenore, baritono, banjolele…)? Mi piace suonare tutti i diversi generi di musica con il mio ukulele. Preferisco suonare i tenori perché sono più versatili quando si tratta di suonare generi diversi. Tu che hai sicuramente provato diversi modelli di ukulele, potresti descrivermi la differenza secondo te? Per me ogni ukulele è diverso nella forma e nel suono. Più grande è lo strumento, più profondo è il suono. Di conseguenza mi adatto a quello che sto suonando. I soprano sono più adatti alla musica tradizionale hawaiana e i tenori per gli altri generi. Gli ukulele concert ricadono pressapoco in entrambe le categorie. Quale taglia di ukulele consigli a chi deve iniziare? Suggerirei una taglia concert per un principiante. Non è né tanto grande né tanto piccolo e va bene per chiunque. Oltre alla taglia dell’ukulele, quale marca raccomanderesti a chi è alle prime armi e quale a coloro che vogliono uno strumento valido per suonare seriamente, facendo serate dal vivo? La mia marca preferita è la Kanile’a. Suggerisco di provare più marche possibile per trovare quello che al proprio orecchio suona meglio. Quali sono i parametri (tipo di legno, corde, tastiera, ponte, ecc…) che l’ukulele deve avere per essere considerato buono? A quali caratteristiche guardi tu maggiormente? Tutti quei componenti influenzano l’ukulele. Per me è il legno e le tecniche di costruzione. Il tipo di legno che si usa determina il tipo di suono, mentre la costruzione determina se questo suono sarà buono o no. Si può avere un buon legno, ma se si lesina sulla costruzione il suono non sarà buono, e viceversa.
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Abbiamo assistito, in questi ultimi anni, ad una diffusione crescente dell’ukulele in Italia e nel mondo: secondo te, a che cosa si deve questo boom? Penso perché l’ukulele trasmette una certa familiarità a chi lo suona. Può unire le persone e siccome il suono è principalmente felice e positivo, queste tendono a gravitare intorno allo strumento. Si creano gruppi che suonano insieme così è possibile divertirsi di più e diffonderne la conoscenza. Che consiglio ti senti di dare a chi vuole incominciare a suonare l’ukulele, o comunque è alle prime armi? Suggerisco di iniziare con canzoni che ci piacciono. Divertirsi con lo strumento e assicurarsi di condividerne l’esperienza con altri. Più si è a suonare, meglio è. Siamo arrivati alla fine dell’intervista, ti ringrazio per la pazienza, la gentilezza e la disponibilità. Vuoi chiudere dicendo qualcosa agli appassionati che leggeranno questa intervista? Voglio solo ringraziare tutti i suonatori di ukulele italiani. Mi sono divertito tantissimo in Italia e spero di tornarci: sarà sempre un posto speciale per me e la mia futura moglie. Belle persone, bei paesaggi e ottimo cibo! AMIAMO l’Italia! A presto.
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UKULELE UNDERGROUND Ukulele Underground è il sito creato da Aldrine Guerrero, scritto interamente in inglese ma molto intuitivo anche per chi non ha molta dimestichezza con la lingua. Principalmente si divide in una raccolta di due tipi di video, fatti da Aldrine. In un tipo sono delle vere e proprie lezioni per imparare a suonare l’ukulele, nell’altro sono video tutorial in cui insegna a suonare canzoni. In entrambi i casi con livelli di difficoltà diversi. Personalmente lo trovo molto utile ed interessante, perchè spiega in maniera molto chiara nei suoi video e vi consiglio di farci un giro .
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Robert Leroy Johnson ukulele blues
« Devo correre, il blues viene giù come grandine. La luce del giorno continua a tormentarmi... c’è un segugio infernale sulle mie tracce. » (Robert Johnson, “Hellhound on my Trail”) Robert Leroy Johnson è nato l’8 maggio 1911 ad Hazlehurst (capoluogo della contea di Copiah, nello stato del Mississippi) ed è morto il 16 agosto 1938 a Greenwood (capoluogo della contea di Leflore, anch’esso nello stato del Mississippi). E’ stato un chitarrista blues statunitense, ma di cui voglio raccontare la storia perchè ha scritto anche un libro in cui ha inserito 18 sue canzoni blues riarrangiate per ukulele il cui titolo è: “Robert Johnson for Ukulele” e per chi fosse interessato lo può trovare a questo link:http://www.amazon.com/RobertJohnson-Ukulele/dp/1458459659 Di lui si sa che era un bluesman della zona del delta del Mississippi (zona chiamata Delta Blues e nata tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento). Le biografie su Robert Johnson sono scarse perchè si sa poco, e la sua morte ancora non molto chiara, avvenuta all’età di 27 anni, ha contribuito ad alimentare leggende dalle tinte horror su di lui. Leggende che già circolavano quando era ancora in vita. Ha fatto 29 storiche registrazioni tra il 23 novembre 1936 e il 20 giugno 1937 caratterizzate da una combinazione di tecnica chitarristica, canto ed improvvisazione uniche che hanno costituito una base imprescindibile per le generazioni future di musicisti, tra cui: Bob Dylan, i Rolling Stones, i Cream, Eric Clapton, Jimi Hendrix, Jeff Beck e i Led Zeppelin. Johnson fa parte del così detto “Club 27”, cioè il gruppo dei grandi artisti morti a 27 anni e il 23 gennaio 1986 è stato tra i primi musicisti a essere introdotti nella Rock and Roll Hall of Fame, segnatamente nella categoria Early
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Influences ed infine la rivista Rolling Stone l’ha collocato in quinta posizione nella Lista dei 100 migliori chitarristi della storia. Robert Leroy Johnson nasce da una relazione extraconiugale della madre Julia Dodds con Noah Johnson, dopo che il marito di Julia, Charles Dodds Jr., l’aveva abbandonata per un’altra donna. Sin da bambino il giovane Johnson si appassiona alla musica e suo fratello gli insegna a suonare l’armonica, per poi passare alla chitarra. Dopo un periodo trascorso a Memphis si sposa nel 1929 con Virginia Travis e si trasferisce a Robinsonville. L’anno successivo la moglie sedicenne muore nel dare alla luce il figlio; sconvolto dal fatto, Johnson comincia a vagare fra le città del Mississippi, divenendo un donnaiolo ed un forte bevitore. Nel 1931 incontra e sposa Calletta Craft e decide di trasferirsi nel villaggio di Copiah County, ma la crescente passione per la musica porta Robert sempre più distante dalla moglie e anche questa unione coniugale finisce. Eric Clapton dice di lui: “ Per me Robert Johnson è il più importante musicista blues mai vissuto. Non ho mai trovato nulla di più profondamente intenso. La sua musica rimane il pianto più straziante che penso si possa riscontrare nella voce umana.” Narra la leggenda, alimentata anche dallo stesso Johnson, che il giovane bluesman abbia stretto un patto col Diavolo, vendendogli la sua anima in cambio della capacità di poter suonare la chitarra come nessun altro al mondo. Tale fosca mitologia è sorta e si è consolidata negli anni a seguito di diversi fatti: la sua stupefacente tecnica chitarristica, basata sul fingerpicking e tuttora additata come una delle massime espressioni del delta blues; le evocazioni generate dalla
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sua voce e dalle sue complesse strutture chitarristiche; il sinistro contenuto dei suoi testi, pur largamente improvvisati (come era ovvio per il genere, all’epoca), spesso narranti di spettri e demoni quando non esplicitamente riferiti al suo patto col Diavolo in persona. Vi contribuirono inoltre i racconti dei vari musicisti che lo conobbero e che riferiscono della sua iniziale goffaggine nel suonare la chitarra: in base a questi racconti, peraltro tutti concordanti, Johnson scomparve dopo la morte della moglie per poi riapparire, l’anno successivo, dotato di una bravura e di un’espressività tali da lasciare tutti allibiti. Voci dell’epoca tramandano di un incontro, avvenuto allo scoccare della mezzanotte a un crocevia desolato, tra Johnson e un misterioso uomo in nero il quale gli avrebbe concesso un ineguagliabile talento chitarristico in cambio della sua anima. In realtà la (senz’altro più realistica) versione “ufficiale” è che Johnson, nel corso del suo vagare, abbia incontrato un misterioso bluesman di nome Ike Zinneman, il quale ebbe a fargli da maestro. La sinistra figura di Zinneman risulta comunque celata da un fitto velo di mistero; l’unico dato, nel completo oblìo sui suoi dati biografici, riguarda la sua abitudine di suonare nei cimiteri, tra le tombe, nota al punto da venire additato quale emissario del demonio. Altri aneddoti tramandano di come Johnson fosse capace di riprodurre nota per nota qualsiasi melodia ascoltasse, fosse per radio come in un locale affollato e senza porvi la benché minima attenzione. Il 16 agosto 1938, a soli 27 anni, Robert Johnson muore a Greenwood, nel suo Mississippi. Non è possibile definire con certezza quali furono le ragioni del decesso: il certificato di morte, registrato all’Ufficio di Stato Civile di Jackson, Mississippi, il 18 agosto, non attribuisce il decesso ad alcuna causa specifica e segnala oltretutto che ragione della sua dipartita sia da ricercarsi anche nel fatto che nessun medico abbia avuto modo (non si sa per quale motivo) di prestargli cure nella fase dell’agonia. Le testimonianze di Sonny Boy Williamson II e David Honeyboy Edwards attestano che la notte del 13 agosto 1938 Robert Johnson si trovava a suonare con loro al Three Forks, un locale a 15 miglia da Greenwood nel quale i tre suonavano ogni sabato sera a seguito di un ingaggio che durava da alcune settimane. Era apparso subito evidente come Johnson avesse una storia con la
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moglie del gestore del locale, il quale era consapevole del fatto pur continuando a contattarlo lo stesso. Racconta Sonny Boy che durante la serata, complici l’alcol e l’atmosfera di grande eccitazione, gli atteggiamenti dei due furono talmente spudorati da risultare persino imbarazzanti. Altrettanto chiara era la rabbia dipinta sul volto del barman. Quando durante una pausa venne passata a Robert una bottiglia da mezza pinta di whisky senza tappo, Sonny Boy gliela fece cadere di mano, avvertendolo che non era prudente bere da una bottiglia aperta; nondimeno questi si infuriò e bevve con stizza la successiva bottiglia, ugualmente passatagli già stappata. Poco dopo risultò evidente che Johnson non era più in condizione di suonare, al punto che lasciò la chitarra e si alzò per andare via, in stato confusionale. Fu accompagnato a casa di un amico, dove dopo poche ore iniziò a delirare - si trattava dei primi segni di avvelenamento. Qui morì il martedì successivo, dopo due giorni di intensa agonia. La vera tomba di Robert Johnson non è ancora ufficialmente definita. Nei dintorni di Greenwood ci sono ben tre pietre tombali con il nome di Robert Johnson inciso sopra. • nel cimitero della Chiesa Missionaria Battista di Mount Zion a Morgan City, Mississippi, poco distante da Greenwood, c’è un grande obelisco, posto nel 1990 su una lapide preesistente, con incisi tutti i titoli dei blues di Robert Johnson. L’opera è stata pagata dalla Columbia Records e da privati del Mont Zion Memorial Fund. Secondo gli ultimi studi, è da considerarsi il sito più attendibile per la sua tomba. • “Resting in the Blues” è la frase scritta su una piccola lapide intestata a Robert Johnson nel cimitero di Payne Chapel vicino a Quito, Mississippi • La Sony Music ha restaurato la lapide sul terzo sito, sotto un enorme albero nel cimitero della Little Zion Church a nord di Greenwood lungo la Money Road. Queste ambiguità non hanno fatto altro che alimentare ulteriormente la leggenda sulla sua vita e la sua morte.
Le mie fonti: Wikipedia voce ukulele, www.robertjohnsonbluesfoundation.org, www.storiadellamusica.it
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ukulele in italia INTERVISTA A DANILO VIGNOLA Come descriveresti il tuo background musicale? Ho iniziato a suonare la chitarra elettrica in adolescenza, folgorato dai riff “Trash Metal” e dalla moda Grunge, poi mi sono interessato di più alla musica ed ho frequentato per anni lezioni private da un grande maestro (direttore d’orchestra) sulla teoria musicale e soprattutto la composizione. Durante gli studi universitari (dopo vari esami di antropologia ed etnomusicologia) mi sono appassionato alla musica etnica , in particolare legata all’area mediterranea. Così ho preso lezioni di chitarra flamenco da un altro eccezionale artista che ha proiettato la mia creatività verso mondi totalmente inesplorati. Nel 2008, anno in cui ho vissuto in Spagna, scopro, ironia della sorte, l’ukulele. Da allora non me ne sono più separato, perché ho ritrovato in questo strumento il perfetto collegamento fra le mie passioni adolescenziali e la mia… ehm… maturità musicale. Qual è il tuo approccio globale alla musica in generale? La musica amplifica la tua capacità di stare bene attraverso la condivisione di onde salvifiche! Da quanti anni suoni l’ukulele? Dal 2008. Come hai conosciuto l’ukulele? Chi o cosa ti ha spinto ad iniziare a suonarlo? In un negozio storico di strumenti musicali sulle Ramblas di Barcellona: avevo un centinaio di euro con me e volevo comprare una chitarra. La più economica ne costava 80, (e me ne restavano 20 per il divertimento notturno), così ho visto un simpatico chitarrino appeso alla parete ed ho chiesto : “cos’è quello?” “un ukulele” mi risponde, “ quanto costa?” gli chiedo, e il negoziante risponde “ 30 euro con custodia ed una pila per orologi per alimentarlo se vuoi amplificarlo”. “Ok lo prendo” dissi al volo, così mi sono ritrovato con uno strumento a corde comodo da portare e con 70 euro per il divertimento notturno in tasca! Quando hai acquistato il tuo primo ukulele, come hai iniziato a capire come si suona? Dove ti sei orientato per imparare a suonarlo? Internet, libri, dvd… o altro? All’inizio ho adottato l’accordatura tradizionale della mia terra della chitarra battente, così da poter far ascoltare agli amici spagnoli (seppur
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con un suono insolito) i pezzi tradizionali della taranta, la tarantella e la pizzica ed alcune canzoni della mia terra. Invece, quando accompagnavo i poeti nei caffè letterari durante i reading letterari o quando improvvisavo qualche divertente bulerias con chitarristi flamenco del posto, spesso adottavo la classica accordatura (Sol Do Mi La). Non ci ho messo molto a capire come prendere gli accordi fondamentali e le scale dopo aver consultato un pratico prontuario per ukulele! Per quanto riguarda la tecnica adotto quella mia personale (mediterranea) che ho affinato negli anni, la trovo molto più efficace per le mie esigenze (e mi permette un approccio più originale a questo strumento versatilissimo). Anche se le tecniche tipiche per ukulele mi affascinano tantissimo. Che genere di musica preferisci suonare con l’ukuele? Qual è la tua taglia preferita di ukulele (sopranino, soprano, concert, tenore, baritono, banjolele…)? Taranta, Tarantella, Heavy Metal, Punk, Grunge e Rumba e soprattutto l’ETHN’N’ROLL . Utilizzo un Soprano (concert) elettrico per i pezzi etnici ed un Tenore elettrico per i brani più Heavy. Tu che hai sicuramente provato diversi modelli di ukulele, potresti descrivermi la differenza secondo te? Mi piacciono tutti, il sopranino è divertentissimo! Il tenore ha il suono più bello, le esibizioni migliori (secondo me) ed i più bravi suonatori che ho ascoltato e visto hanno in comune un ukulele tenore. Il soprano mi piace particolarmente con il cantato. Quale taglia di ukulele consigli a chi deve iniziare? Il soprano, credo sia meglio. Il classico! Oltre alla taglia dell’ukulele, quale marca raccomanderesti a chi è alle prime armi e quale a coloro che vogliono uno strumento valido per suonare seriamente, facendo serate dal vivo? Per quanto mi riguarda, mi trovo molto bene con gli ukulele Eleuke. Mi permettono di coniugare alla perfezione un suono classico pulito ed allo stesso tempo uno più hard attraverso pedali credits: foto by Angela potenza
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di distorsione e mega amplificatori (nonostante le corde in nylon). Una potenza sonora che risponde benissimo anche sui palchi molto grandi. Hanno progettato anche modelli acustici adesso. E’ molto economico, per cui è consigliabile sia per chi è alle prime armi che per chi ha una più che considerevole attività live e in studio come me! Quali sono i parametri (tipo di legno, corde, tastiera, ponte, ecc…) che l’ukulele deve avere per essere considerato buono? A quali caratteristiche guardi tu maggiormente? Non esiste nessun parametro ancora, capace di poter spiegare con esattezza quella alchimia emotiva che si prova quando, a contatto con le dita, hai quello giusto e, con un sussulto leggero ma insostenibile, pensi : “questo è il mio strumento!” Abbiamo assistito, in questi ultimi anni, ad una diffusione crescente dell’ukulele in Italia e nel mondo: secondo te, a che cosa si deve questo boom? Beh … Marilyn Monroe … Eddie Vedder … In Italia è merito soprattutto di Jontom, secondo me: sia per la parte didattica che per quella organizzativa di grandi festivals. Poi anche grazie alle interpretazioni di grandi artisti come Adriano Bono , Enrico Farnedi, Ukulollo,… In Europa mi piacciono molto i francesi Lionel Hubert (U.K.E.) o Adrien Janiak (UkuCool Men) che offrono una versione molto più sperimentale dell’ukulele, così come piace a me. In Inghilterra sta dando un grandissimo contributo la Ukulele Orchestra, la cui risposta italiana, in una versione anche migliore a mio giudizio, è la Sinfonico Honolulu. Infine, penso che la diffusione dell’ukulele, negli ultimi anni, sia dovuta anche alla tecnologia; che sta permettendo a nuove generazioni di ukulelisti di potersi esprimere come più preferiscono attraverso gli amplificatori ed i multieffetti più disparati, passando dai Deep Purple ai Nirvana attraverso Beatles o Led Zeppelin o proprie creazioni; allontanando un po’ la concezione tipicamente hawaiana di questo strumento. Una tradizione, quella hawaiana, già consacrata dai mostri sacri che la rappresentano. Che consiglio ti senti di dare a chi vuole incominciare a suonare l’ukulele, o comunque è alle prime armi? Il divertimento è la linfa vitale che nutre la creatività. Siamo arrivati alla fine dell’intervista, ti ringrazio per la pazienza, la gentilezza e la disponibilità. Vuoi chiudere dicendo qualcosa agli appassionati che leggeranno questa intervista? Meravigliati per meravigliare!
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MIO UKULELE
UN UKULELE IN VIAGGIO: MARU BARUCCO FRA CANZONI, TRENI E VITA Come hai conosciuto l’ukulele? Perché lo hai scelto come strumento per comporre e arrangiare le tue canzoni? Molti ricordano probabilmente come sono fatti i Lego. Le “manine” dei personaggi sono a forma di “C” ed è possibile agganciare qualsiasi pezzo dei Lego che abbia la forma adatta. Quando ho imbracciato un ukulele per la prima volta, mi sono sentita esattamente così. Sono alta un metro e cinquantotto e ho sempre suonato chitarre o, addirittura peggio, bassi elettrici più alti di me. Mi sono sempre dovuta adattare a strumenti che sembravano essere su una scala diversa dalla mia, un po’ come un bambino di cinque anni che indossa una 44 di jeans. Il primo impatto è stato proprio quello di essere sulla stessa scala, nel mondo dei piccoli e in questo credo di aver sentito anche la leggerezza e la spensieratezza di cui avevo bisogno. Dopo questo primo e forse superficiale impatto e considerando l’ukulele quasi come un giocattolo, ho cominciato a scrivere testi semplici e leggeri. Testi giocattolo. In italiano. I testi in italiano erano per me una grande novità. Dall’età di 12 anni ho cominciato a scrivere testi esclusivamente in inglese. L’inglese era una lingua facile tramite la quale mi sono potuta permettere di scrivere banalità senza provarne vergogna. Ma l’italiano era una grossa responsabilità. Penso che, di questi tempi, scrivere in italiano sia come proporsi al panorama della musica italiana, proporsi al di fuori dei Talent Show, al di fuori delle Major. Scrivere testi veri è come mettere in atto una missione di salvataggio. Eppure con l’ukulele portavo tutto in musica: una richiesta di restituzione di pantaloni del pigiama, la storia di un dinosauro giallo di gomma, qualsiasi cosa. E poi, si sa, l’ukulele è lo strumento dei viaggiatori: treno, bici, aereo, sono tutti confini superati.
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Raccontami la tua storia, il tuo viaggio. Da dove vieni, dove vai. Prima e dopo l’ukulele: chi c’è con te in questa avventura? Ho avuto la fortuna di crescere a Siracusa, una città in cui l’arte, la musica, la cultura rimbombano e straripano dalle strade stesse. Ho avuto la fortuna di imparare a camminare in una casa piena di vinili e di strumenti musicali. E, in particolar modo, ho avuto la fortuna di avere due genitori piccoli quanto me ma con due spalle giganti che sono sempre stati disposti a supportarmi in ogni mia scelta. Non so esattamente quando, ma ho cominciato a suonare la chitarra. Mio padre suonava una Gibson SG nera ed io avevo quattro anni. Potevo strimpellarla soltanto se seduta sul divano del salotto: guai a sbatterla in giro. Ma a 9-10 anni ho cominciato ad ascoltare molto punk-rock, in particolare i Blink 182 – roba assolutamente non da divano – così i miei hanno pensato bene di regalarmi una chitarra elettrica tutta per me da poter sbattere in giro. Da quel momento ho cominciato a suonare vari strumenti e la musica è diventata una grandissima parte del mio percorso di vita, talmente grande che ho deciso di diventare una liutaia. Ho lasciato Siracusa per trasferirmi a Cremona, città del violino. L’aria di Cremona mi rendeva insofferente, così spesso preferivo viaggiare. Con i treni potevo infatti raggiungere qualsiasi destinazione. Gran parte dei libri e delle persone che mi hanno ispirato in questo percorso, dei testi che ho scritto vengono tutti dai treni. Ben presto ho imparato a memoria gli orari di tutti i treni per le mie destinazioni preferite: Torino, Milano, Bologna. A Milano ho conosciuto Saverio e Francesco Porcari, ai quali devo gran parte di ciò che sono diventata. Oltre ad essere dei musicisti spettacolari, sono anche e soprattutto dei grandi appassionati di ukulele e mi hanno iniziato a questo strumento, prestandomi un loro Makala - un concerto totalmente in mogano con cui ho cominciato a registrare i primi pezzi. Insieme ai Porcari Bros, Andrea Rossi (detto Rino) e Paolo Trigilio eravamo i Marù & The Barbemagre e così, ogni sabato alle 13.30, il treno mi portava a Milano ed io ero felice. Nel frattempo frequentavo la scuola di liuteria a Cremona ed ero riuscita a realizzare il mio primo violino. Il mio mestiere pren-
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deva forma e il mio umore migliorava. Trascorrevo i pomeriggi chiusa in casa. Per scrivere. Registravo tutto sul mio terribile smartphone e inviavo random su Whatsapp. Presto mi sono accorta del fatto che molti amici ascoltavano quei pezzi con piacere, così ho aperto un canale su SoundCloud. Gli ascolti aumentavano e aumentava anche la quantità di testi. Un giorno ho deciso di mandare i pezzi a Davide Di Rosolini, cantautore siciliano e ideatore dell’associazione/etichetta MU – Musicisti Uniti, che proprio in quel momento si trovava in tour nel Norditalia. Davide mi ha invitata ad aprire diversi suoi concerti a Bologna, Pavia, Torino e Milano. Da qui sono iniziate diverse collaborazioni e, soprattutto, una bella amicizia. Quando sono sono cominciati i concerti da sola è nata la necessità di “condire” le note dell’ukulele. E oggi il mio ukulele è condito con l’accompagnamento di Salvo Cantarella e le illustrazioni di Lavinia Cultrera. Con me ci sono i miei genitori, sempre in prima fila ai concerti in Sicilia; mia sorella che mi chiede continuamente di dedicarle una canzone,e che forse non sa quanto è presente un po’ in tutti i testi che ho scritto. Ho imparato a non dedicare canzoni perchè la bellezza delle dediche sta nel cercarle in ogni parola. Ma è ovvio che in ogni testo ci sono io. Come non potrebbero esserci le mie persone? E così ci sono anche gli amori passati, quelli mai stati e quelli attuali. Sono innamorata dell’amore e della quantità di parole che possono essere usate per descriverlo, e ho sempre la premura di cercare persone innamorate delle parole quanto me. E’ la fortuna che ho attualmente ed è per questo che molti testi sono scritti a “quattro mani” e l’ispirazione non manca mai.E neanche gli amici mancano. Ci sono persone che conosco da una vita e persone che ho conosciuto da pochi mesi che supportano me ed il mio progetto. Credo che ormai siano parte integrante di esso e non potrei esserne più felice. Come definiresti il tuo genere musicale? Sono arrivata a pensare che il genere musicale è una limitazione per la creatività di un artista. E’ naturale che per fini commerciali sia un argomento da affrontare, ma mi è sempre piaciuto lo spazio che viene dato alla sperimentazione. C’è qualche pezzo Pop, uno che pare Dance e addirittura un paio di pezzi che potrebbero essere definiti Punk. Sì, con l’ukulele. Ma non so davvero dare una definizione di un genere. Credo che attenderò che qualcun altro lo faccia per me.
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Che ukulele hai? e come lo amplifichi? Ho usato per diversi mesi uno strumento che reputo parecchio valido per i beginners, un Makala Concerto in Mogano. Con il tempo ho avuto la necessità di uno strumento migliore, dal suono più squillante e, soprattutto, amplificato. Ho acquistato un Concerto Ortega, uno strumento tedesco in mogano marezzato che ha un suono acustico strepitoso. L’ukulele era già provvisto di sistema di amplificazione passiva, il cosiddetto piezo elettrico. Essendo passivo purtroppo bisogna tenere conto dell’acquisto di un equalizzatore per i suoni. A parte dei problemi di “massa” tranquillamente risolvibili con un equalizzatore, lo strumento è eccezionale e al momento non ho intenzione di cambiarlo. Che progetti hai per il futuro immediato e non solo? Da qualche mese il progetto è diventato una fusione di musica e illustrazione grazie all’intervento di Lavinia Cultrera. siciliana, molto intraprendente e con un forte senso artistico. Insieme abbiamo costruito un progetto che va di pari passo con l’attuale progetto musicale e che si chiama Con Le Stesse Scarpe. Comprende tutte le illustrazioni che Lavinia ha realizzato durante la sua permanenza di diversi mesi a Barcellona. La mia formazione è ancora lunga e in questi giorni sono impegnata con le registrazioni del primo album e gli esami, francamente spero in una parità. L’album è registrato a Torino con Davide Di Rosolini e calcoliamo esca per l’estate insieme ad un ricco tour e ad un videoclip. Il mio futuro continua ad essere una nebulosa: sono spinta dalla voglia di fare musica, ma anche di specializzarmi nella mia professione. Mi azzardo sempre a pronosticare il mio futuro in base a ciò che vorrei accadesse, ma se c’è una cosa di cui ho paura è la delusione che un’illusione può dare. Ciò non significa però che non voglia mettermi in gioco. Le registrazioni dell’album sono in corso e di certo non sarà l’ultimo: non saprei come archiviare questa parte della mia vita. Lascerò Cremona subito dopo i miei esami. Credo mi mancherà. Non tornerò a Siracusa, anche se è continuamente nei miei sogni. Ma qualsiasi cosa accada, io e l’ukulele avremo sempre qualcosa in comune: potrei suonarlo, potrei costruirlo. Potrei insegnare a suonarlo. O continuare ad imparare a suonarlo. Secondo me finisce che me ne scappo ad Honolulu.
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l'intervista INTERVISTA A YAN YALEGO Come descriveresti il tuo background musicale? Ho iniziato a suonare il clarinetto classico da bambino, poi sono passato al sassofono tenore. Lo suonavo in varie rock band alla fine degli anni ’80, poi ho smesso. Inoltre ho iniziato a suonare la chitarra elettrica più o meno all’età di 15 anni, e siccome ero tecnicamente incapace di suonare qualsiasi altro strumento, ho preso parte allo scenario punk rock e ho suonato in numerose rock band underground per una decina d’anni. Ho iniziato a interessarmi di musica acustica nei primi anni ’90, spaziando dal blues-rock al rural old blues dopo aver scoperto tutto il folk-blues registrato dagli anni ’60 in avanti. Qual è il tuo approccio globale alla musica in generale? Mi scuso se dovessi omettere qualcosa, principalmente ascolto: musica folk in generale: asiatica (soprattutto giapponese e mongola), africana, indiana, irlandese e anche del Nord America ovvio, black folk e white folk; Jazz di New Orleans e a proposito di jazz, forme libere e/o sperimentali (tipo John Zorn, Fred Frith…); talvolta musica rinascimentale e medievale; di solito non ascolto musica con ukulele eccetto Cliff Edwards. Non ascolto mai la radio e non seguo le pop o le rock band, neanche quelle vecchie. Questo non significa che non mi piacciano, semplicemente non mi interessano… Penso di essere abbastanza sensibile a tutti i generi di musica se suonata da una o poche persone, non mi piacciono gli “effetti band”: detesto le grandi band jazz, odio le orchestre classiche, preferisco poter sentire il respiro delle persone mentre stanno suonando. É questo il motivo per cui mi piace l’ukulele probabilmente… Da quanti anni suoni l’ukulele? Posseggo un ukulele dalla fine degli anni ’90, tuttavia ho iniziato a suonarlo seriamente 6 anni fa.
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Come hai conosciuto l’ukulele? Chi o cosa ti ha spinto ad iniziare a suonarlo? Stavo cercando una chitarra più piccola per poter suonare in macchina o portarla con me quando faccio escursionismo, tuttavia non ne trovai alcuna a prezzi ragionevoli. Poi ricordai di quando ero bambino, che mia zia mi portò un ukulele in cocco (avevo 6 anni, e quello probabilmente è stato il mio primo ukulele) da Tahiti quindi decisi di comprarne uno decente. Quest’ukulele in cocco è rimasto nel dimenticatoio per tutti gli anni ’90, Quando hai acquistato il tuo primo ukulele, come hai iniziato a capire come si suona? Dove ti sei orientato per imparare a suonarlo? Internet, libri, dvd… o altro? Nel 1992, e restò appeso al chiodo per un po’. All’inizio mi sembrò che avesse un suono molto povero, divertente da una parte ma non molto interessante, quindi lo misi in cucina per suonarlo soltanto mentre stavo cucinando (forse è questo che mi diede più tardi l’idea per i Kitchen Parties). Ero un chitarrista a quel tempo, quindi imparare non fu troppo difficile ad eccezione della mano destra, che mi tenne impegnato per più di 10 anni prima di padroneggiarla (ancora oggi con scarsi risultati). Comprai un libro francese di Paul Beuscher degli anni ’60 probabilmente, era l’unico disponibile a quei tempi. Che genere di musica preferisci suonare con l’ukuele? Qual è la tua taglia preferita di ukulele (sopranino, soprano, concert, tenore, baritono, banjolele…)? Non so esattamente che cosa sto suonando, spesso “ricompongo” una canzone che sto analizzando al punto tale da renderla irriconoscibile, passando dalle scale maggiori alle minori, cambiando il ritmo (l’ukulele si presta molto a questo), ma la maggior parte delle canzoni che rifaccio provengono dalla tradizione blues, da quella del white folk, dal cajun, dal francese creolo e dai motivi jazz anni ’30. Mi piace la scala dei soprano e dei concert, trovo interessante quella dei tenore ma non apprezzo il suono della maggior parte di essi. Prima di ricominciare a suonare la chitarra (l’anno scorso) ho suonato molti baritono e banjolele tenore, accordati come il baritono; mi sono piaciuti ma adesso ho perso l’interesse per i baritono, visto che posso impugnare una chitarra all’occorrenza. Attualmente quando salgo sul palcoscenico di solito mi porto una chitarra e qualche soprano: uno normale, uno accordato come l’ukulele tahitiano e un banjolele. Tu che hai sicuramente provato diversi modelli di ukulele, potresti descrivermi la differenza secondo te? Per me ci sono due categorie: gli ukulele che suoni su un divano e quelli che suoni su un palcoscenico. Sono diversi perché non ti aspetti le stesse prestazioni nelle
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due differenti situazioni. Sul palco preferisco suonare ukulele “potenti” e banjolele, perché puoi sentire distintamente il loro suono anche in presenza di un’amplificazione non ottima. A casa desideri uno strumento dal suono dolce, praticamente l’opposto di quello da palco. Quando devo suonare amplificato (nei bar, in posti rumorosi, all’aperto…) uso un banjolele con un semplice microfono a contatto, che dà un suono abbastanza buono anche attraverso un cattivo preamplificatore. Non mi piacciono gli ukulele amplificati, preferisco il banjolele. In situazioni migliori uso un ukulele potente dotato di pickup AKG lavalier (non un piezo, un pickup vero e proprio), che ti permette di suonare amplificato mantenendo però un suono naturale, ed è più facile che usare un’asta con microfono davanti a te. A casa suono principalmente il mio paddlelele fatto da Joel Eckhaus, che ha un suono molto dolce e gradevole. Ogni volta che ho provato ad usarlo sul palco è stato un fallimento, bellissimo… ;-) Ad ogni modo ci sono molte forme di ukulele, legni, suoni, tuttavia un ukulele è pur sempre un ukulele quindi credo che noi (io e voi) dovremmo imparare ad usare quello che abbiamo, senza spendere tempo e denaro alla ricerca dell’ukulele per eccellenza, che non esiste. Quale taglia di ukulele consigli a chi deve iniziare? Suggerirei un soprano o un concert perché sono gli archetipi, risultano semplici da maneggiare e mantengono il suono caratteristico. Oltre alla taglia dell’ukulele, quale marca raccomanderesti a chi è alle prime armi e quale a coloro che vogliono uno strumento valido per suonare seriamente, facendo serate dal vivo? Probabilmente direi i Bruko per molte ragioni, di cui la maggior parte di queste non relazionata alla musica… Ho iniziato con un Bruko e ancora oggi li uso, i soprano sono ben fatti, suonabili, non molto potenti ma migliorabili con buone corde e rappresentano per me i “Genuini Ukulele Europei”. Di solito sono abbastanza economici, tuttavia da un po’ di anni a questa parte i prezzi sono aumentati un po’ troppo per i miei gusti, ma sono ancora abbordabili. Nel 1992 spesi circa 45€ per il mio Bruko4, adesso il più economico costa sui 130euro! Ovviamente se sei un principiante e non vuoi spendere molti soldi su un ukulele ci sono quelli fatti in Asia che sono lo stesso validi, ma non così economici specialmente se confrontati con altri strumenti fatti nella stessa zona. Ohana è una delle marche migliori, i suoi soprano tra i 100 e i 150euro sono molto validi specialmente l’SK38, una copia dei Martin uscita ultimamente. Quali sono i parametri ( legno, corde, tastiera, ponte, ecc…) che l’ukulele deve avere per essere considerato buono? A quali caratteristiche guardi tu maggiormente?
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La parte più importante è il manico (ovvero colui che lo suona)! Penso che la cosa fondamentale da considerare sia l’intonazione: se uno strumento non è correttamente costruito, soprattutto per quanto riguarda le meccaniche e il ponte, avrà un pessimo suono e sarà difficile suonarlo. Buone corde e corretta intonazione sono le qualità primarie da considerare, un’altra è il suono del corpo dell’ukulele, della cassa, ci dovrai convivere…;-) Anche una schifezza da 40 euro può suonare bene se sarà intonato correttamente e verranno sostituite le pessime corde in dotazione. Ovviamente non sarà mai un Martin 3K, ma potrai sempre suonarlo e amarlo. Abbiamo assistito, in questi ultimi anni, ad una diffusione crescente dell’ukulele in Italia e nel mondo: secondo te, a che cosa si deve questo boom? Sembra che stia nascendo una nuova tipologia di comportamento sociale, che coinvolge persone interessate a incontrarsi, divertirsi, fare qualcosa di creativo insieme che non è solamente suonare, nel nostro caso musica e ukulele sono i veicoli per avvicinarci, ed è fantastico. Chiaramente l’ukulele è lo strumento ideale che sposa questa nuova tendenza: è piccolo, economico, abbastanza semplice da suonare, ci puoi cantare, sufficientemente potente ma non rumoroso… E’una nuova cultura molto democratica, ben lontana (per il momento) dallo show business e dalla sua struttura piramidale, formata un numero ristretto di grandi artisti regna distante dall’innumerevole massa di fan ignoranti… In un festival di ukulele non ci sono barriere, le “star” sono raggiungibili e i “fan” sanno suonare a volte meglio di coloro che calcano i grandi palchi. In pratica non esistono star e fan, solo persone che vogliono divertirsi. Questo deve continuare! Che consiglio ti senti di dare a chi vuole incominciare a suonare l’ukulele, o comunque è alle prime armi? Esercitarsi, cantare, esercitarsi, incontrare gente, esercitarsi. Ed esercitarsi. E non impegnare tutto il tempo libero a cercare un nuovo miracolo: tu sei il miracolo! Siamo arrivati alla fine dell’intervista, ti ringrazio per la pazienza, la gentilezza e la disponibilità. Vuoi chiudere dicendo qualcosa agli appassionati che leggeranno questa intervista? Ho avuto più volte l’occasione di incontrare gli ukulelisti italiani e ne conservo un buon ricordo, specialmente dell’ultimo festival di Caldogno, organizzato magistralmente e pieno di energia e idee; persone fantastiche da tutta Italia, suonatori interessanti, mi sono divertito molto. Sono sicuro che anche l’edizione 2012 sarà di altissimo livello, purtroppo non potrò parteciparvi perché suonerò in un festival francese lo stesso week end. Ci vediamo alla prossima!
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la recensione In The Pines - cd di Yan Yalego Il cd di Yan Yalego “In The Pines” è il suo primo cd. Io personalmente non ce l’ho, provvederò al più presto ad acquistarlo, ma ho sentito qualche canzone e mi piace molto. Ma per cercare di fare una recensione giusta del cd ho pensato di basarmi su quel che c’è scritto nel sito del Mercatino dell’Ukulele. Yan Yalego per questo suo primo cd ha cercato di tenere il prezzo più basso possibile, e per riuscirci ha scelto un packing minimo ed economico. Yan suona un blues pulito, è un artista raffinato, intimista ma energico. Il suono è molto bello (probabilmente anche grazie agli strumenti che usa, quasi tutti Ohana), l’atmosfera che ci si immagina ascoltando questo cd è quella di un night francese d’altri tempi, con luce soffusa... Lo consiglio a tutti, ma a maggior ragione lo consiglio agli amanti del blues. É un cd che non deve mancare nella propria collezione, io stessa come ho già detto me lo procurerò al più presto.
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l'intervista
M
KUL E L IOU E
MIO UKULELE
Shine sono un trio di jazz Manouche e Swing conosciuto per le performance chitarristiche e i virtuosismi. Rod Deville al contrabbasso, Albert Bello alla chitarra Manouche e Chino Swingslide chitarra resofonica e voce. Il loro cd “just a Little Swing” è una vera chicca per gli amanti dell’ukulele e del jazz. Mi sono fatta raccontare da loro come è nato questo progetto. Come è nata l’idea dell’album “Just a Little Swing”? Come avete pensato all’ukulele, al Charango, al banjo? Chino: Il mio primo ukulele mi è stato regalato dalla mia ex ragazza … e l’avevo utilizzato per registrare alcune tracce per un cd Blues. Poi Albert ne ha comprato uno e io gli ho chiesto di suonare in spettacoli e incisioni insieme a diversi gruppi con cui collaboro. Sul palco è stato divertente e appassionante, abbiamo ottenuto un buon suono con due ukulele insieme … poi Albert ha avuto l’idea di registrare un cd con gli Shine utilizzando gli ukulele e ispirandoci a Swing e jazz manouche.
GIPSY JAZZ Si definisce jazz manouche quello stile musicale melodico cadenzato in cui trovano la massima espressione gli strumenti a corda (chitarre, violini...), tipico delle band tzigane. Questo genere musicale trae la sua origine dall’irripetibile esperienza artistica del chitarrista Django Reinhardt, che ne è considerato l’ideatore e il suo massimo esponente: egli ha reso possibile l’unione tra l’antica tradizione musicale zingara del ceppo dei Manouches e il jazz americano. Il frutto di questa unione è un genere che coniuga la sonorità e la creatività espressiva dello swing degli anni trenta con il filone musicale del valse musette francese ed il virtuosismo eclettico tzigano.
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Il vostro trio è eccezionale quando suonate chitarra Manuche, chitarra resofonica e con il meraviglioso walking di Rod Deville, cosa cambia quando entrano in gioco gli ukulele? Albert: quando ti sposti dalla chitarra all’ukulele devi pensare in modo diverso, il suono, l’intervallo, il sostegno … non puoi suonare allo stesso modo. Non è semplice quello che avete fatto nel vostro cd “Just a Little Swing” e quello che abbiamo visto nei video on line. Come avete ricostruito le dinamiche del Gipsy jazz e dello Swing sulla tastiera ridotta di questi piccoli strumenti? Che scelte avete dovuto fare? tonalità, ritmo, suono? Albert: abbiamo cambiato le tonalità in alcuni brani adattandole allo strumento. Nel mio caso non è stata la taglia dello strumento il problema principale ma la tensione delle corde, veramente un grande cambiamento. Ho dovuto usare un tocco più delicato nel picking e anche con le dita rispetto alla chitarra manouche. Come avete scelto gli strumenti adatti? e i metodi di amplificazione? Chino: il nostro “fornitore” è Choan di Ukecosas… Lui ci ha portato molti ukulele per le registrazioni. Albert era impazzito nel maneggiare tanti ukulele insieme. Ne prendeva uno e ne metteva giù un altro. Io ho semplicemente usato quello che avevo … un modello economico ma con un suono accettabile. Adesso ho due ukulele resofonici… Albert: come ha raccontato Chino, per incidere le tracce ho avuto la fortuna di avere a disposizione differenti tipi di ukulele. Soprano, resofonico, concert, tenore, baritono e anche il Charango! Basandomi sulla tonalità e il tipo di suono che avevamo in mente per quel-
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la canzone ho utilizzato un tipo diverso di ukulele durante le varie incisioni. Per amplificarci di solito usiamo un microfono a condensazione o addirittura niente, se siamo in un locale piccolo, cercando di mantenere il suono piÚ naturale possibile. Cosa avete in serbo per noi ukulelisti nei prossimi mesi? Chino: la ruota gira continuamente. Noi non ci fermiamo mai. Albert ha molti progetti ‌ il mese scorso ha fatto alcune masterclass a Berklee e sta suonando insieme al violinista Oriol Saùa in un duo o in quintetto. Io ho un sacco di show in Spagna e in Europa con The Big Bet il mio trio blues. Insieme come Shine, Albert, Rod e io suoniamo la domenica al Pipa Club, un posto molto carino nel centro di Barcellona. In giugno saremo in Finlandia ed Estonia. Quando verrete in Italia? Albert: Io spero presto. Ma non dipende solo da noi!
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a,b,c
dell'ukulele
Cosa sono e come si leggono le tabs in uno spartito per ukulele Cosa sono le tabs? Le tabs sono spartiti che possono fondamentalmente essere di due tipi: o su due righe in cui nella prima c’è lo spartito così detto “normale” cioè quello che si adatta ad ogni tipo di strumento, nella seconda uno spartito formato da quattro righe, ogni riga è una corda dell’ukulele, e da numeri inseriti proprio su tali righe; oppure solo il secondo caso appena descritto, senza lo spartito che si adatta ad ogni tipo di strumento. I numeri su quelle quattro righe rappresentano ognuno una nota, se c’è un 1 significa che di quella corda con la mano sinistra si deve mettere il dito nel primo tasto più vicino al capotasto. Come facciamo a capire a quale corda corrisponde ognuna di queste righe? Ricordiamo sempre che l’accordatura del nostro ukulele è in GCEA, quindi si possono anche dire così: la corda del G è la corda numero uno, quella del C la numero due, quella del E la numero tre e quella del A la numero quattro. Sulle tabs tali corde si devono leggere così: partendo dalla riga più bassa ecco che abbiamo la corda numero uno, e da lì in fila tutte le altre.
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la note sul neck
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K UL E L IOU E
MIO UKULELE
Suonare un ukulele è molto semplice e immediato. Anche chi non ha alcuna nozione relativamente ad annotazioni musicali o armonia può divertirsi e rilassarsi con questo strumento. Una volta che vi sarete innamorati del piccolo quattro corde potrete cogliere l’occasione per imparare tanto altro e per avvicinarvi alla musica in modo più completo e ricco. Ecco come si può imparare a leggere il pentagramma utilizzando un ukulele accordato in GCEA (SOL-DO-MI-LA) con Sol alto. Nella parte superiore dell’immagine trovate rappresentata la tastiera completa, partendo dalla prima corda (quella più in basso) fino all’ultima (quella più in alto). Ogni nota ha un proprio colore: come potete vedere sulla tastiera le note si ripetono sulle diverse corde, si susseguono con toni e semitoni.
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Orientarsi sul pentagramma a questo punto non è difficile e può esserci utile per riprodurre una sequenza di note o per capire un accordo. Prendete come riferimento la seconda corda dall’alto e cioè il DO. (che nella rappresentazione è sempre la terza perché si legge al contrario) Sulla corda di DO trovate tutte le note, toni e semitoni dalla corda libera che equivale al Do centrale fino al Do successivo sul 12° tasto. Inoltre queste note si possono trovare lungo tutte le corde seguendo lo stesso principio e l’alternanza di toni e semitoni: ricordando che fra MI-FA e SI-DO esiste un intervallo di un semitono soltanto a differenza di tutte le altre note (come potete vedere all’inizio della corda di MI, la terza, oppure sulla corda di LA, l’ultima). Questa immagine ci aiuta a capire che la tastiera dell’ukulele è ricca di possibilità per creare accordi e scale, esattamente come quella della chitarra e del pianoforte.
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yoga per ukuelisti
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K UL E L IOU E
MIO UKULELE
Corriamo un po’ tutti in questo mondo alla ricerca della performance, della prestazione, della perfezione. Un obbligo per ognuno di noi, oggi anche per i bambini. Come ho detto molte volte nei miei post, nell’ukulele è contenuta una formula magica che lo rende uno strumento assolutamente olistico: chiunque può suonarlo, chiunque può prenderlo in mano e strimpellarlo mettendoci dentro la propria personalità e la propria storia di vita. Per questo mi è sembrato naturale, come faccio anche nel canto quando insegno, abbinare alcuni concetti dello yoga alla pratica dell’ukulele. Yoga significa “unione”, coerenza, consapevolezza. Possiamo suonare cercando tutto questo? Assolutamente si.
Cominciamo dalla Postura
Tenere fra le braccia un ukulele è questione di equilibrio. Io utilizzo in genere una tracolla piuttosto ampia che mi passa a metà della spalla sinistra. Ognuno cerca la propria posizione secondo la conformazione fisica, la taglia dello strumento e il genere che suona. Esiste in questo una certa libertà. Quali sono i punti di contatto del corpo con lo strumento? Chiudendo gli occhi passateli in rassegna tutti: la mano sinistra, il petto, l’avambraccio destro. Dove sono i gomiti? Provate ad abbassarli e ad alzarli poi riportateli vicino al tronco. Ci solo tensioni nella posizione dei gomiti e delle spalle? La colonna vertebrale è allineata oppure siete piegati leggermente verso un lato? Provate a cercare una postura allineata e armoniosa. Il collo è rilassato o teso in avanti? Non serve agire per cambiare la posizione soprattutto se quando suoniamo la riteniamo efficace, tuttavia è importante prendere consapevolezza di quello che stiamo facendo con il nostro strumento. Durante la pratica potremmo trovarci in difficoltà proprio a causa di irrigidimenti e tensioni che sono alla base della nostra postura.
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Se in genere suoniamo seduti: posizione più comoda perché si possono in parte utilizzare le ginocchia per l’appoggio, proviamo a suonare in piedi e vediamo cosa cambia.
Flessibilità e respirazione
Mano, dita e polso della mano sinistra hanno bisogno di una grande stabilità e forza per far suonare gli accordi ma anche flessibilità per passare da uno all’altro velocemente. Questa combinazione non è facile da ottenere. Mentre proviamo passaggi veloci che richiedono concentrazione facilmente tratteniamo il fiato. Proviamo invece a fare l’opposto coordiniamo il nostro respiro con il ritmo evitando di irrigidirci. Questo accorgimento ci aiuterà ad essere calmi e pazienti aspettando che la mano e le dita siano pronti per il passaggio successivo. Ogni tanto recuperiamo la posizione corretta della schiena e del collo. Non stiamo preparando un concerto di virtuosismi per violino, stiamo suonando un ukulele e la cosa fondamentale è il nostro benessere mentre lo suoniamo.
Strumming e meditazione
La ripetitività dello strumming è molto importante nell’accompagnamento con l’ukulele. Anche quando l’arrangiamento è ricco occorre sempre avere in mente il ritmo e il pattern di base per ritornarvi all’occorrenza. Per questo non bisogna mai stancarsi di ripetere in modo circolare e continuo gli strumming pattern che apprendiamo giorno per giorno. Una sorta di meditazione che con l’ukulele viene benissimo. Ripeti e ripeti con calma, respirando e cercando di liberare la mente, rendere tutto fluido, ogni movimento senza mai dimenticare il respiro. Non ha niente a che vedere con la tecnica dello strumento ma ha molto a che vedere con la vita e con il significato che ha per me la musica. Lo stesso blues è una ripetizione che viene variata ad arte ma che diventa quasi ipnotica.Lo strumming sarà la tua meditazione quotidiana.
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La pulce ukulele in italia piccolo notiziario sul mondo dell'ukulele visto con gli occhi di due appassionate blogger
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numero 3 - marzo 2015