Anno XXXVII N. 1 Febbraio-Marzo 2016 Euro 2,00
Rassegna LIBRI
A Ischia c'era un pittore-barbiere
Ex Libris
Ricordi del pittore russo
Ischia 1887
Fonti archivistiche Parrocchie e cappelle sul Castello (II)
Gregorio Sciltian
Forio - Galleria Eloart Mostra fotografica di Chiara Arturo
Castello Aragonese - Cappella dei Calosirto
Affreschi ritrovati e restaurati Scene dei "presepi viventi" di Campagnano e Casamicciola Periodico di ricerche e di temi turistici, culturali, politici e sportivi Dir. responsabile Raffaele Castagna
Calendario dell'Osservatorio Vesuviano dedicato ai vulcani della Città Metropolitana Quest’anno, il Calendario dell’Osservatorio Vesuviano è dedicato ai vulcani della Città di Napoli, intesa come ‘Area Napoletana’ o, se si preferisce, come ‘Città Metropolitana’: che spazia dal Vesuvio, ad Ischia, ai Campi Flegrei. I grandi tesori di questa città, tra le più antiche d’Europa e da sempre, in ogni epoca, al centro della Storia e della Cultura del Mondo, sono qui esem- lo splendore del territorio, della plificati attraverso i suoi vulcani. cultura e dalla passione del suo ‘L’Oro di Napoli’, il soggetto del popolo, ed è legato indissolubilcalendario, è rappresentato dal- mente ai vulcani che lo circon-
Tipiche case d'Ischia sui depositi piroclastici
dano. I vulcani gli hanno infatti donato la fertilità, lo splendore del paesaggio e del clima, il calore ed il sapore delle sue acque, la dolcezza delle colline ed il riparo delle sue insenature naturali; ed hanno sempre costituito, per l’umanità che abita ed ama questo territorio da almeno 4000 anni, un’attrattiva irresistibile. Il significato che si è voluto dare al titolo, e quindi al Calendario di quest’anno, è quello di guardare ai vulcani non solo come rischio incombente, ma anche e soprattutto come grandi risorse del territorio, così come sono stati considerati da sempre. Nelle immagini del Calendario è stata sintetizzata l’impronta di bellezza e di forza data alla nostra terra dai suoi vulcani, ed insieme la loro forte interazione con la Storia e la Cultura di queste aree. Una presenza immanente che deve certamente, oggi più che mai, ammonirci al rispetto della natura vulcanica, ricchissima ma anche pericolosa, utilizzando la conoscenza per difenderci dalle manifestazioni più devastanti, per fortuna rare, dei vulcani stessi. Un omaggio a Napoli insomma; alla sua bellezza ed alla sua passione, che sottintende anche un forte auspicio per il futuro: che il rischio vulcanico sia visto oggi come un’occasione per ridisegnare e rendere più sicura e fruibile una delle aree più belle del Mondo, valorizzando nel contempo al massimo le grandi risorse che i vulcani offrono. Si può scaricare la versione completa del calencario in formato .pdf dal sto www.ov.ingv.it/ov
Falesie di rocce vulcaniche dell'isola d'Ischia
Due immagini (mesi di maggio e di luglio) sono dedicate all'isola d'Ischia
La Rassegna d’Ischia Periodico bimestrale di ricerche e di temi turistici, culturali, politici e sportivi
Anno XXXVII - n. 1 Febbraio/Marzo 2016 Euro 2,00 Editore e Direttore responsabile Raffaele Castagna La Rassegna d’Ischia Via IV novembre 19 80076 Lacco Ameno (NA) Registrazione Tribunale di Napoli n. 2907 del 16.02.1980 Registro degli Operatori di Comunicazione n. 8661. Stampa : Press Up - Ladispoli (Roma)
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In questo numero
2 Calendario dell'Osservatorio Vesuviano 4 Intitolato a V. Mazzella il Piazzale Citara
5 Protocollo d'intesa tra il Comune di Lacco Ameno e la Fondazione William Walton
6 40° anniversario della morte di Cristofaro Mennella
8 Forio - Galleria Eloart Mostra fotografica di Chiara Arturo
9 Ex libris Nouvelles Études Napolitaines, 1887
16 Rassegna Libri - Il Vesuvio e le sue eruzioni - Lampi di guerra e di solidarietà - Archeologia e antropologia della morte - Ischia nell'800 - Calendario 2016 - La Cappella Calosirto del Castello 20 Ricordi del pittore russo Gregorio Sciltian Ad Ischia c'era un barbiere-pittore
26 Campagnano Foto del presepe vivente 2016
28 Castello Aragonese - La cappella Calosirto Gli affreschi ritrovati e restaurati
31 Ein Arimois Ritorno ad Ischia
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Fonti archivistiche Parrocchie e cappelle sul Castello d'Ischia (II)
43 Le alghe sono il giardino del mare
45 Casamicciola Terme Omaggio a Gioacchino Murat
46 Castello - La Cappella dei Calosirto L'Uomo dei dolori
49 Arcipelago Italia Ventotene e S. Stefano
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Casamicciola Terme Presepe vivente La Rassegna d’Ischia n. 1/2016
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Forio
Intitolato a Vincenzo Mazzella il Piazzale Citara
Il Consiglio comunale di Forio con delibera n. 44 del 19 dicembre 2015 ha approvato la proposta di intitolare il Piazzale Citara all’ex sindaco avvocato Vincenzo Mazzella (morto il 31 dicembre 1965 a aoli 59 anni).
Nella delibera si legge: I suoi tredici anni di sindacato furono molto intensi e pieni di entusiasmo, in cui si realizzarono tante cose importanti, che ai giorni nostri, manco ce le immaginiamo. Fare un elenco delle sue realizzazioni sarebbe lungo e stucchevole, ma a partire dal 1954 ve ne voglio citare solo alcune. Alla fine del 1954 il piccolo presidio ospedaliero di Santa Maria di Loreto, con i sussidi che il comune elargiva ogni anno, fu rinnovato totalmente, nel mentre si finanziava il nascente ospedale di Lacco Ameno. Nello stesso periodo fu acquistato il terreno dove poi Angelo Rizzoli avrebbe realizzato il campo sportivo in località Scentone. Nel 1955 furono stipulate le convenzioni con l'Ina per la costruzione delle case popolari a Via Castellaccio e a Panza. Nello stesso anno fu iniziato il cantiere per la via Forio-Panza (Via Nuova) e fu approvato il progetto per la costruzione dell’Istituto scolastico di Panza. Nel 1957 fu approvato ii progetto definitivo per il campo sportivo di Forio e nell’anno successivo Punta Caruso diventava riserva di caccia. Nello stesso anno l’Ospedale S. Maria di Loreto diventa Pronto Soccorso. Nel 1958 fu acquistato l’immobile per la nuova caserma della Guardia di Finanza a Via Torrione e nello stesso anno divenne esecutivo il progetto della scuola Luca Balsofiore. Nello stesso periodo, fu incrementata la scuola marittima ENEM, posta al piano terreno della 4
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Casa Comunale. Sempre nel 1958, furono iniziati i lavori dell’acquedotto EVI su tutto il territorio. In questo periodo furono fatte le Case dei pescatori, dieci appartamenti all’inizio delia Via G. Mazzella, proprio sul mare, di fronte alla Chiesa del Soccorso. All’inizio del 1959 fu inaugurata la fontana in Piazza Matteotti, e si iniziarono i lavori per una moderna illuminazione del centro dì Forio e Panza. Ovviamente, non vanno dimenticati i giganteschi lavori eseguiti tramite i cosiddetti cantieri-scuola, attraverso il cui finanziamento fu fatto il grande muraglione del comprensorio della Chiesa e del Piazzale del Soccorso, nonché la strada che da Cavallaro conduce a Zaro ed alla spiaggia di San Francesco di Paola, attuale via Francesco Calise, operaio che perse tragicamente la vita durante la costruzione della strada stessa. Negli anni successivi al 1960, ci fu la realizzazione dell’istituto elementare/ media Luca Balsofiore e di quattro isolati di case popolari nella contrada Monterone. Nel 1962 furono piantati al corso principale del paese i nuovi ficus beniamini, che lo
abbelliscono tuttora, sostituendo le fatiscenti e vecchissime acacie. Ma il fiore all’occhiello degli anni di Mazzella, sindaco di Forio, è stato soprattutto la realizzazione della strada che dal centro di Forio conduce a Citara, un vero colpo di genio che dette alla sua cittadina natale e all’Isola intera una nuova prospettiva di sviluppo. Difatti di li a poco tempo, dietro anche la concessione della spiaggia alla SAFEN, poi diventata Poseidon, si sarebbe aperta la più grande industria turistica dell’isola d’Ischia: il Parco Termale Giardini Poseidon, il primo parco termale al mondo in riva al mare. La grande invenzione fu di un avvocato austriaco innamorato delle nostre bellezze, il Dr Gemhold Walde, un grande personaggio totalmente dimenticato. Nello stesso periodo fu iniziata la strada di Montecorvo fino al soffione, e ci fu il progetto di una strada che doveva collegare Via Cesa a Via s. Domenico. Sì iniziò a parlare del progetto di un nuovo porto di III classe a Forio.
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Protocollo d’intesa tra il Comune di Lacco Ameno e la Fondazione William Walton e La Mortella di Forio (Delibera della Giunta comunale n. 45 del 6 novembre 2015) Tra il Comune di Lacco Ameno e la Fondazione William Walton e la Mortella, considerato: • che le diverse attività, tra le qua-
li la distribuzione di materiale illustrativo del Museo Archeologico di Pithecusae presso la biglietteria dei Giardini La Mortella, l’affissione di locandine nonché la segnaletica presso gli stessi, determinerebbe un indubbio vantaggio, in termini di pubblicità per il Museo; • che tale iniziativa rientra tra gli obiettivi di questa Amministrazione Comunale, secondo cui oggi appare necessario procedere ad una promozione congiunta di tutti i siti culturali presenti sul territorio isolano al fine di incentivare la crescita di un turismo di qualità che determinerebbe un inevitabile prolungamento della stagione turistica; • che tale Protocollo di intesa non comporta alcun onere economico per il Comune;
è stato firmato un protocollo d’intesa, composto da n. 14 articoli che, allegato alla deliberazione n. 45 del 6 novembre 2015, ne costituisce parte integrante e sostanziale, al fine di una collaborazione rivolta alla valorizzazione e allo sviluppo del patrimonio culturale del Museo Archeologico di Pithecusae. Nella delibera si parla di 14 articoli ma in realtà nel testo cartaceo riportato nell’archivio online del Comune di Lacco Ameno non si leggono tutti, in quanto si ha uno sbalzo dal n. 6 al n. 13, che non siamo riusciti a spiegarci. Art. 1- Richiamo delle Premesse Le premesse costituiscono parte integrante del Protocollo d’intesa.
Art. 2 – Finalità 1 – Il Comune di Lacco Ameno riconosce il ruolo della Fondazione William Walton e La Mortella al fine di una collaborazione tesa alla valorizzazione ed allo sviluppo del patrimonio culturale, rappresentato dal Museo Archeologico di Pithecusae. 2. La Fondazione William Walton e La Mortella si impegna a collaborare per la promozione e valorizzazione del patrimonio culturale, rappresentato dal Museo Archeologico di Pithecusae, attraverso l’offerta presso i Giardini La Mortella di materiale informativo e pubblicitario del sito culturale. 3. Il Comune di Lacco Ameno si impegna a riservare agli ospiti dei Giardini La Mortella uno sconto del 10% sul prezzo del biglietto intero previsto per l’ingresso al Museo. Sarà onere dei detti ospiti esibire il biglietto dei Giardini La Mortella al momento della bigliettazione, presso il Museo, al fine di ottenere lo sconto. 2. Le iniziative di cui sopra sono riconosciute tra i compiti istituzionali del Comune di Lacco Ameno e nella loro realizzazione il supporto ed il valore aggiunto de La Fondazione William Walton e La Mortella è considerato di particolare importanza. ART. 3 - Benefici indiretti 1. L’Amministrazione Comunale per le iniziative di cui all’art 2, di particolare rilievo per la valorizzazione del patrimonio culturale, rappresentato dal Museo Archeologico di Pithecusae, prevede in favore della Fondazione
William Walton e La Mortella l’esposizione di materiale informativo della stessa, all’interno dell’area destinata alla biglietteria ed al bookshop del Museo. ART. 4 - Rapporti economici 1. La reciproca attività di promozione dei siti di cui sopra non prevede alcun costo e/o spesa a carico delle parti per i motivi di cui in premessa né l’utilizzo di personale apposito. 2. Sarà onere delle parti mettere a disposizione dell’altra tutto il materiale necessario ai fini della promozione nel reciproco interesse. 3. L’esposizione di una targa e/o locandina presso la biglietteria de Giardini La Mortella con l’indicazione dello sconto previsto per l’ingresso al Museo degli ospiti della prima non prevede alcun costo per il Comune di Lacco Ameno. ART. 5 - Durata e recesso del Protocollo 1. Il presente Protocollo d’intesa decorre dalla data di sottoscrizione delle parti e al fine di assicurare una pianificazione adeguata sulle finalità della presente scrittura privata, avrà durata fino alla scadenza del mandato sindacale. Le parti si riservano fin d’ora, dopo una valutazione dei risultati raggiunti con la presente collaborazione, di prorogare o rinnovare la durata di detto accordo mediante comunicazione scritta da far pervenire prima della scadenza del Protocollo stesso. 2. Sia l’Amministrazione comunale sia la Fondazione William Walton e La Mortella, in persona La Rassegna d’Ischia n. 1/2016
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dei rispettivi legali rappresentanti, potranno recedere unilateralmente dall’accordo per inadempienza agli obblighi in essa previsti o per motivi di interesse pubblico. Art. 6- Trattamento dei dati personali Ai sensi D. Lgs. N. 196 del 30/03/3003 e ss. mm. ii., le parti prendono atto che i dati personali forniti e raccolti in occasione del presente procedimento verranno: - trattati esclusivamente per lo svolgimento delle attività e l’assolvimento degli obblighi previsti dalla legge e dai regolamenti in materia; - conservati sino alla conclusio-
ne del procedimento presso l’Ufficio competente e successivamente presso l’archivio generale del Comune.
sie per l’applicazione del presente Protocollo dovranno essere composte, con spirito di amichevole accordo.
…………………………………………
3. In caso di controversia, le parti riconoscono convenzionalmente la competenza di un arbitro terzo da individuare.
7 – 8 (?) ART. 13 - Norme finali 1. Per tutto quanto non previsto nella presente scrittura privata valgono le disposizioni di legge in vigore, se ed in quanto compatibili. Qualora nel corso di sua validità fossero emanate nuove norme di legge e/o di regolamento, aventi incidenza sul rapporto di collaborazione così instaurato, si procederà alla loro applicazione dalla data di vigenza delle stesse. 2. Tutte le eventuali controver-
4. Eventuali modifiche al presente Protocollo d’intesa concordate fra le parti dovranno essere fatte esclusivamente in forma scritta. ART. 14 - Registrazione Il presente Protocollo d’intesa, redatto in duplice originale, è soggetto a registrazione solo in caso d’uso ai sensi dell’art. 5 secondo comma, del D.P.R. 26/4/1986, n° 131.
25 gennaio 2016
Quarantesimo anniversario della morte di Cristofaro Mennella Il 25 gennaio 1976 moriva lo scienziato isolano Cristofaro Mennella, il quale, con una preparazione in gran parte da autodidatta, dopo qualche anno di lavoro come insegnante nelle scuole elementari, si laureò in Matematica, ma i suoi interessi spaziarono in molti settori della ricerca scientifica. Direttore dell’Osservatorio Geofisico di Casamicciola, di cui aveva ottenuto il ripristino, pubblicò i tre volumi de “Il Clima d’Italia” (1967) che rappresentano ancora oggi un’opera fondamentale nel campo della climatologia. Il suo “Ischia, gemma climatica d’Italia” (prima edizione 1958) è invece un valido strumento di valoriz6
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zazione dell’Isola d’Ischia, poiché dimostra la migliore salubrità del suo clima rispetto a quello delle altre stazioni termali italiane. Mennella si impegnò anche in altri settori, collaborando con le associazioni scientifiche nazionali e pubblicando saggi in materia di meteorologia, idrologia e geofisica. Svolse inoltre un’attività divulgativa con opere di grande valore didattico e di piacevole lettura quali: “L’energia atomica al servizio dell’Umanità” (1964), “Missili e satelliti, prime tappe dell’Astronautica”, “La vita nell’Universo” (1958), “Missili ed ombre tra i mondi siderei” (1958) e “Dalla Terra alle stelle”.
Non fece mancare infine il suo apporto alla vita culturale, politica e sociale ischitana, avanzando numerose e concrete proposte per lo sviluppo economico dell’isola. Si impegnò soprattutto per il ripristino dell'Osservatorio geofisico di Casamicciola, ma sspesso non trovò adeguata rispondenza nel locale clima politico, come pure costante fu la sua attività sul piano del termalismo, che avrebbe potuto favorire un turismo invernale nell'isola d'Ischia. Casamicciola ha intitolato a Cristofaro Mennella l'Istituto di Istruzione Superiore.
In occasione del quarantesimo anniversario dalla sua morte (1976-2016), il Circolo Georges Sadoul d’Ischia ha organizzato il convegno Omaggio a Cristofaro Mennella nel quarantesimo anniversario dalla sua scomparsa, con la partecipazione di: Museo civico di Casamicciola – Associazione Pro Casamicciola – Centro Studi Isola d’Ischia – Istituto Comprensivo Statale “Enrico Ibsen” e Istituto d’Istruzione Superiore “Cristofaro Mennella” di Casamicciola.
Cristofaro Mennella nasce a Casamicciola Terme il 17 febbraio del 1907; muore il 25 gennaio 1976. Apparteneva ad una famiglia di navigatori (il padre era capitano) e fu naturale per lui iscriversi all’Istituto Tecnico Nautico di Procida ma le sue condizioni fisiche, era un tipico albino con difficoltà visive di giorno, non gli consentirono di seguire le orme degli avi sulle navi. Incominciò a manifestarsi nel Mennella la volontà di autodidatta cioè di formarsi da solo, capacità che poi lo ha accompagnato in tutto il corso della sua vita: studiando da solo, infatti, consegue a solo 17 anni l’abilitazione magistrale e subito insegna nelle Scuole elementari di Casalvelino nel basso Cilento; nel 1938 da privatista consegue la maturità classica e s'iscrive dopo alla facoltà di matematica; nel 1942, 4 anni dopo, consegue la laurea in matematica. La combinazione di preparazione classico-scientifica gli con-
sente di spaziare dal campo umanistico e classico a quello tecnico scientifico della matematica. Nel 1942-43, subito dopo la laurea, con il contributo di insigni scienziati e tecnici, quali il prof. Carnera, direttore dell’Osservatorio Astronomico di Capodimonte, il prof. Eredia segretario della Società Meteorologica Italiana, il prof . Imbò, direttore dell’Istituto di Fisica Terrestre dell’Università di Napoli e direttore dell’Osservatorio Vesuviano, propone il ripristino dell’Osservatorio Geofisico di Casamicciola fondato nel 1885 all’indomani del disastroso terremoto di Casamicciola del 28 luglio 1883. L’Osservatorio di Casamicciola è riaperto nel 1951 con il Mennella nominato ufficialmente Direttore dell’Osservatorio Geofisico dall’Ufficio Centrale di Meteorologia. Il 20 luglio 1944 , durante la seconda guerra mondiale, il Mennella propone anche la nascita di
un Centro Studi sull’Isola d’Ischia articolato in 4 sezioni: storico-letteraria, artistica, geofisica e idrologico-medica. Il Mennella è chiamato alla vicepresidenza di questo centro nel 1958 e poi alla presidenza nel 1968, carica che occupa fino alla morte. Mennella è molto attivo anche nel settore della climatologia nazionale. Per una sua iniziativa dal luglio 1957, viene istituita la trasmissione televisiva della carta quotidiana delle previsioni del tempo preparata dall’Aeronautica militare con i dati delle varie stazioni distribuite sull’intero territorio nazionale. Il Mennella fu socio della Società Astronomica Italiana, di quella Geofisica e Meteorologia, di quella Geografica Italiana, dell’Associazione Medici Italiana di Idroclimatologia, della Società Italiana per il progresso delle Scienze e della Società di Astronautica Italiana.
www.meteo.unina.it/illustri-climatologi/cristofaro-mennella La Rassegna d’Ischia n. 1/2016
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Forio – Galleria Eloart (dicembre 2015)
Mostra fotografica di
Chiara Arturo
La Galleria Eloart di Forio
d’Ischia ha presentato, dal 18 dicembre 2015 al 10 gennaio 2016, la prima mostra personale della fotografa Chiara Arturo (Ischia, 1984) dal titolo 18 miglia.
La mostra ha raccontato attraverso 25 fotografie un viaggio liquido, fatto di sensazioni più che di distanze, tra l’isola e la terraferma. Visioni raccolte negli anni di andate e ritorni che diventano il punto di partenza della ricerca personale dell’artista. «Una foto per miglio - spiega l’artista - per raccontare una distanza che è anche un ricordo, una sensazione più che un percorso: il mio viaggio tra l’isola e la terraferma. Paesaggi ripescati in un immaginario consolidato da anni di andate e ritorni, che io sento come atmosfere interiori. Le visioni sono alterate dalla matericità del filtro/finestrino, aggredito dalla salsedine e dall’elemento acqua in tutte le sue forme, ma anche dalla luce, che spesso irrompe con violenza. Onde, promontori, fari, scorci, grandi navi: diventa8
La Rassegna d’Ischia n. 1/2016
no i personaggi di una sorta di romanzo di formazione fatto al novanta per cento d’acqua. In questo lavoro mi sono ripercorsa. Da sempre per me lo stare in mezzo al mare rappresenta una geografia del pensiero. Inseguivo un’idea di paesaggio, in movimento, mai uguale. Alla fine mi sono ritrovata con un mondo intimo, fatto di sospensioni che duravano cinquantacinque minuti per volta. La mappatura del mio stare precario ed ondeggiante». Il progetto 18 miglia è nato durante la prima edizione di LAB, il laboratorio irregolare di fotografia di Antonio Biasiucci. LAB risponde all’esigenza di creare un percorso per giovani artisti e di trasmettere un metodo per una costante azione critica sul proprio lavoro. «Il senso del “laboratorio” – spiega Biasiucci – è quello di scoprire un’urgenza, una autenticità attraverso il continuo confronto col soggetto scelto». «Gli scatti di Chiara Arturo rappresentano una sequenza di singolarità d’orizzonti, frammenti di un viaggio liquido, mentale e tangibile, che prende avvio dall’esi-
genza stessa di giustificare l’attraversamento sistematico. La fotografia per l’autrice è un’indagine cartografica, miglia per miglia, di un paesaggio che diventa un pensiero, un ricordo in viaggio e di viaggio, dove la scansione temporale e spaziale delle 18 miglia determina le scelte precise della composizione. Chiara Arturo cerca e fotografa le grandi navi, i promontori rocciosi, i fari che orientano il tragitto, come fosse alla ricerca di un approdo sicuro alla fine di ciascun viaggio. Le andate e i ritorni sono racconti filtrati dai finestrini della dimora che quotidianamente accoglie Chiara per alcune ore, che si costituiscono in un immaginario stemperato dalla salsedine e dall’acqua che sedimenta lungo il vetro. Il risultato è una documentazione precisa di un viaggio senza tempo, in cui, se la destinazione materiale è consapevole, il punto d’arrivo ideale resta incerto, come se le stesse gocce di mare e di pioggia, tratto dopo tratto, lo rendessero ancora sospeso» (Chiara Pirozzi). Chiara Arturo nasce a Ischia (NA) nel 1984. Durante gli anni dell’università, in parallelo con gli studi in Architettura alla “Federico II” di Napoli, si concentra sulla fotografia come mezzo espressivo, con un particolare interesse per il paesaggio. Intanto integra la sua formazione nel campo delle arti visive con corsi e workshop, partecipa ad alcune esposizioni collettive e inizia a lavorare come freelance. Si laurea con lode con una tesi sperimentale in Landscape Urbanism dal titolo “FAR WASTE: lettura della contaminazione ambientale in Campania per un recupero urbano produttivo”. Nel 2012 entra in LAB, il Laboratorio Irregolare di Antonio Biasiucci a Napoli. Tra il 2014 e il 2015 espone con LAB al Festival Internazionale di Fotografia di Roma e al SI Fest di Savignano sul Rubicone (FC), con la mostra-installazione “Epifanie”. Attualmente vive e lavora tra Napoli e Vicenza. *
Ex LIBRIS Nouvelles Études Napolitaines, 1887 par John Peter (1833-1901)
ISCHIA Lungo la costa, da Napoli a Gaeta, dopo aver doppiato Capo Miseno, abbiamo davanti a noi un arcipelago di tre isole: Ischia, Procida e Vivara. Ischia si trova a sinistra come una piramide gigante dominata dall’Epomeo. Di formazione vulcanica, l’isola racchiude un intero sistema di crateri spenti e di correnti di lava raffreddate di cui l’Epomeo è il centro. Una dozzina di altri crateri, addossati ai suoi fianchi, conservano il loro aspetto caratteristico, pur se solo la parte di nord-ovest ha mantenuto la sua forma primitiva. Ad est e a sud le coste sono ripide e formano un alto baluardo. Il suolo è di tufo, marna e trachite. L’Epomeo ha cessato le sue eruzioni da secoli; erano abbastanza frequenti nell’antichità. La più antica di cui si fa menzione, 300 anni prima di Cristo, spaventò tanto i coloni d’Eubea, da poco stabilitisi nell’isola,
che l’abbandonarono. Un terremoto sconvolse tutto, un torrente di lava scese verso la riva; colonne d’acqua bollente sgorgarono dal suolo, il livello del mare s’alzò e coprì la parte inferiore dell’isola. Una seconda eruzione fece fuggire i nuovi coloni; quelli venuti da Cuma. In una terza, il mare si ritirò di tre stadi, poi tornò superando il suo letto originale; lo spettacolo fu terribile. Gli abitanti si ritirarono in Campania. Plinio riporta una tradizione, secondo la quale il fuoco sotterraneo sarebbe stato di tale violenza in una eruzione di cui specifica il tempo, che l’isola fu sconvolta, come non era mai stata fino ad allora. L’Epomeo scomparve momentaneamente, le principali città crollarono, si formò un lago, una montagna si staccò dalla massa e, cadendo in mare, formò Procida e Vivara. L’ultima eruzione avvenne nel
(gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k107442g) - En longeant la côte, de Naples à Gaëte, après avoir doublé le cap de Misène, on a devant soi un archipel composé de trois îles : Ischia, Procida et Vivara. Ischia se dresse à gauche comme une pyramide géante dominée par l’Epomeo. De formation volcanique, l’île embrasse tout un système de cratères éteints et de fleuves de lave refroidis dont l’Epomeo est le centre. Une douzaine d’autres cratères, adossés à ses flancs, conservent leur apparence caractéristique, tandis qu’il a seulement gardé de sa forme primitive la partie nord-ouest. A l’orient et au sud, les côtes sont escarpées et forment un haut rempart. Le sol est de tuf, de marne et de trachyte. L’Epomeo a cessé ses éruptions depuis des siècles ; elles étaient assez fréquentes dans l’antiquité. La plus ancienne dont il soit fait mention, 300 ans avant Jésus-Christ, effraya si fort les colons d’Eubée, récemment établis dans l’île, qu’ils l’abandonnèrent. Un tremblement de terre renversa tout, un torrent de lave descendit au rivage; des colonnes d’eau bouillante jaillirent du sol, la mer s’éleva et couvrit la partie basse de l’île. Une seconde éruption mit en fuite de nouveaux colons ; ceux-ci venaient de Cumes.
1301 durante il regno di Carlo II d’Angiò. La lava, uscita da una fessura alla base del vulcano scese fino al mare, e coprì il territorio del Borgo d’Ischia, su un tratto di due miglia e mezzo. Stranamente, gli elementi di questa lava non si sono alterati. L’Arso presenta oggi l’aspetto sterile e desolato dei campi di lava di recente formazione. Le ginestre, i fichi d’India, l’aloe, a stento crescono in queste scorie scure e ruvide. Come è noto, un recente disastro
Dans une troisième, la mer recula de trois stades, puis revint en dépassant son lit primitif; le spectacle était terrible. Les habitants se retirèrent en Campanie. Pline rapporte une tradition, d’après laquelle le feu souterrain aurait été d’une telle violence dans une éruption, dont il ne précise pas l’époque, que l’île en fut bouleversée, comme elle ne l’avait jamais été jusqu’alors. L’Epomeo disparut momentanément, les principales villes s’écroulèrent, un lac se forma, une montagne se détacha de la masse et, tombant dans la mer, forma Procida et Vivara. La dernière éruption se produisit en 1301, sous le règne de Charles II d’Anjou. La lave, sortie d’une crevasse à la base du volcan, descendit à la mer, et couvrit le territoire du bourg d’Ischia, sur une étendue de deux milles et demi. Chose étrange, les éléments de cette lave ne se sont pas décomposés. Arso présente aujourd’hui l’aspect stérile et désolé des champs de lave de formation récente. Les genêts, les figuiers de l’Inde, les aloès, croissent à grand-peine dans ces scories noires et rugueuses. Comme on le sait, une catastrophe récente a mis fin à la sécurité dont l’île jouissait depuis près de six La Rassegna d’Ischia n. 1/2016
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ha messo fine alla sicurezza che l’isola ha goduto per quasi sei secoli. Migliaia di persone sono state sepolte sotto le macerie delle loro case. La sabbia vulcanica copre il terreno, assorbe rapidamente l’aria e il sole; la vegetazione è molto bella, tranne in due o tre zone. Presso Campagnano, per esempio, la configurazione del sito ha permesso l’agglomerato di humus, così la coltura è simile a quella del continente. Ischia, circondata dal mare, aperta al soffio dei venti, ha un'aria pura e vivificante. Anche d’estate, c’è una piacevole freschezza. È in questa isola, soggiorno delle capre selvatiche in cui l’agricoltore non aveva mai messo la vanga, che fu ancorata la flotta di Ulisse? Si colloca là la storia del Ciclope? Non sappiamo e molti altri con noi. È certo che Ischia fu abitata dai Greci successivamente venuti dall’Eubea, da Cuma e da Siracusa. Dopo ogni eruzione, Napoli accoglieva i fuggitivi e li aiutava a ritornare sull’isola. A lungo indipendente, Ischia fu, nel IV secolo a. C., sotto la dominazione napoletana. La
cosa è comprovata da una scritta in un greco non perfetto, conservata a Lacco, che cita l’istituzione di un presidio da due leader napoletani, di origine campana. Più tardi divenne romana, ma Augusto la restituì ai napoletani in cambio di Capri. Il suo nome antico, Pithecuse, le venne dalle anfore di argilla rossa, ove i Greci mettevano il vino che facevano sull’isola. A volte se ne trovano nella sabbia in riva al mare. Gli Euboici chiamarono l’isola Oenaria, abbondante di vino; ancora oggi essa merita tale nome. È l’Arime di Omero, l’Inarime di Virgilio. Il suo nome attuale deriva evidentemente dal Greco. Deriva da un sostantivo che significa forza o da un verbo che significa andare verso? Altri decidano. L’isola fu chiamato prima Ischla, da dove si formò Ischia nell’813, in una lettera di Leone III a Carlo Magno. Vi dominò primamente il culto di Ercole, che gli Euboici onoravano; poi ci fu quello di Apollo e delle Ninfe. Numerose testimonianze votive trovate negli ultimi anni attestano la devozione del popolo. Dal bat-
siècles. Des milliers d’habitants ont été ensevelis sous les ruines de leurs maisons. Le sable volcanique couvre le sol, il absorbe avec rapidité l’air et le soleil ; la végétation est donc fort belle, sauf dans deux ou trois localités. Près de Campagnano, par exemple, la configuration du site a permis l’agglomération de l’humus, aussi la culture y est-elle semblable à celle de la terre ferme. Ischia, entourée de la mer, ouverte au souffle des vents, jouit d’un air pur et fortifiant. En été même, on y trouve une fraîcheur agréable. Est-ce auprès de cette île, séjour des chèvres sauvages où le laboureur n’avait jamais mis la bêche, que fut ancrée la flotte d’Ulysse ? Faut-il placer là l’histoire du Cyclope ? Nous l’ignorons et beaucoup d’autres avec nous. Il est certain qu’Ischia fut peuplée de Grecs venus successivement d’Eubée, de Cumes et de Syracuse. Après chaque éruption, Naples recevait les fuyards et les aidait à se rétablir dans l’île. Longtemps indépendante, Ischia fut, au IVe siècle avant Jésus-Christ, sous la domination napolitaine. La chose est constatée par une inscription en mauvais grec, conservée à Lacco, mentionnant l’établissement d’une garnison par deux chefs napolitains, d’origine campanienne. Les Romains s’en emparèrent plus tard, Auguste la rendit aux Napolitains en échange de Capri. Son nom antique, Pithécuse, lui venait des amphores de terre rouge, où les Grecs mettaient le vin qu’on fabriquait sur son rivage. On en retrouve parfois dans le sable au bord de la mer. Les Eubéens appelèrent l’île 10
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tello, avvicinandosi alla costa, si ha un idea generale dell’isola. Colline coltivate con alberi da frutto, fichi, limoni, aranceti sono disposti in terrazze l’una sotto l’altra. Più in alto vediamo boschi di castagni e piccoli pascoli, infine la roccia giallastra della vetta. Questi alberi producono frutti deliziosi; grandi melagrane sono particolarmente eccellenti. Pochi olivi; l’olio cola dalla roccia e l’ulivo prospera nelle rocce calcaree riparate dal vento. Qui il terreno è di origine vulcanica: le montagne non sono abbastanza alte per proteggere dai venti del nord. L’isola ha un circuito di circa diciotto miglia, calcolando anche le sinuosità della costa; quindici miglia, se non se ne tiene conto. Ho fatto spesso questo percorso, sempre con la stessa ammirazione; nulla di cambiato, di radioso come il paesaggio che si apre davanti agli occhi. In generale, io abito nel borgo d’Ischia. S tratta del primo porto dove fermano i battelli. Al momento dello sbarco si è già sotto l’incanto di questa natura sor-
Oenaria, abondante en vins : encore aujourd’hui elle mérite ce nom. C’est bien l’Arime d’Homère, l’Inarime de Virgile. Son nom actuel vient évidemment du grec. Dérive-t-il d’un substantif qui signifie force, ou d’un verbe qui veut dire aller vers? Que d’autres en décident. L’île est appelée pour la première fois Ischla, d’où l’on a fait Ischia en 813, dans une lettre de Léon III à Charlemagne. Le culte d’Hercule, que les Eubéens honoraient, y domina d’abord; plus tard ce fut celui d’Apollon et des Nymphes. De nombreux autels votifs, retrouvés dans ces dernières années, attestent la dévotion des habitants. Du bateau, en approchant de la côte, on se fait une idée générale de l’île. Des collines plantées d’arbres fruitiers, figuiers, citronniers, orangets sont en gradins, les unes au-dessous des autres. On voit plus haut des forêts de châtaigniers, puis de petits pâturages, enfin le roc jaunâtre de la cime. Ces arbres donnent des fruits exquis ; des grenades énormes sont surtout excellentes. Peu d’oliviers; l’huile découle du roc, et l’olivier se plaît dans les roches calcaires à l’abri du vent. Ici, le sol est volcanique : les montagnes ne sont pas assez hautes pour garantir des vents du nord. L’île a environ dix-huit milles de tour si l’on veut suivre les sinuosités du rivage ; on compte quinze milles si l’on évite les détours. J’ai fait souvent cette course, toujours avec la même admiration ; rien de varié, de radieux comme le paysage qui se déroule sous le regard. En général j’habite le bourg d’Ischia. C’est le premier port où débarque le bateau.
ridente e graziosa. Alla Marina, su un blocco di lava, alto seicento piedi, sorge il castello, coronato di bastioni e di antiche torri merlate. Nelle vicinanze si vedono le rovine dell’antica cattedrale, del vescovato e alcune case abitabili, con freschi giardini. I Borbone rinchiudevano in questa cinta i prigionieri politici; oggi è il domicilio coatto dei camorristi. Liberi nella giornata, devono tornare al castello al tramonto. Un molo, così basso che le onde vi passano sopra quando il mare è alto, collega il castello all’isola. Si mangia bene nell’albergo d’Ischia. Si trovano in abbondanza: tonno, triglie, anguille, pesce spada, ricci di mare e cozze. La vegetazione precoce permette di avere, qui più presto che sulla terraferma, piselli, fagioli, carciofi, finocchi, uva e fichi. In inverno le chioppe sono un ottimo dessert. La chioppa è formata da due fichi posti l’uno sull’altro e così aderenti da formarne un solo frutto piatto e allungato, ingrossato con spicchi di finocchio. Il vino rosso ha un molta forza e colore, il vino bian-
co, secco e gradevole, non si conserva. Alla fine della cena portano la Malvasia o il Lambiccato. Quest’ultimo è ottenuto filtrando il succo di uve bianche attraverso dieci sacchi di feltro, sospesi l’uno sull’altro. Il vino, perfettamente chiaro quando esce dall’ultimo, si conserva senza essere fermentato. Niente di più piacevole come i pasti sulla terrazza dell’albergo, sotto la quale il vento fa frusciare un campo di canne; a qualche distanza alcuni pescatori prendono i ricci di mare di fronte all’isola di Procida e alla terraferma. Il borgo è molto animato; i pescatori, i contadini affollano la lunga strada dietro la riva. Alcune fontane, la cui acqua proviene dall’Epomeo, animano il quadro. Con gusti semplici si può vivere qui molto piacevolmente. Il paese è una grande attrazione. Vi si godono meravigliose mattinate. Non dimenticherò, particolarmente, un certo giorno del Corpus Domini. Ero in piedi all’alba, un vapore rosa sembrava estendersi in tutta la natura. Il sole innalzandosi presto sulle monta-
Au moment d’aborder, on est déjà sous le charme de cette nature riante et gracieuse. A la Marina, sur un bloc de lave, haut de six cents pieds, s’élève le château, couronné de bastions et d’anciennes tours crénelées Tout près se voient les ruines de l’ancienne cathédrale, de l’évêché et quelques maisons habitables, entourées de frais jardins. Les Bourbons enfermaient dans cette enceinte les condamnés politiques ; c’est aujourd’hui le domicilio coatto des camoristes. Libres le jour, ils doivent rentrer au château au coucher du soleil. Un môle, si bas que les vagues passent par-dessus lorsque la mer est haute, relie le château à l’île. On mange bien à l’auberge d’Ischia. Vous y trouvez en abondance : thons, rougets, murènes, espadons, oursins et moules. La végétation hâtive permet de servir ici plus tôt que sur le continent, les pois, les fèves, les artichauts, le fenouil, les raisins et les figues. En hiver les chioppe fourniront un dessert excellent. La chioppa est formée de deux figues appliquées l’une sur l’autre et si adhérentes qu’elles ne font plus qu’un seul fruit plat et allongé, rehaussé de fenouil en grains. Le vin rouge a beaucoup de force et de couleur, le vin blanc, sec et agréable, ne se conserve pas. A la fin du dîner on apporte le Malvoisie ou le Lambiccato. Ce dernier s’obtient en faisant filtrer le suc du raisin blanc à travers une dizaine de poches de feutre, suspendues les unes sur les autres. Le vin, parfaitement clair en sortant de la dernière, se conserve sans avoir fermenté. Rien d’agréable comme les repas pris sur la terrasse de
gne di Castellamare, mise in rilievo quello che fino ad allora era rimasto nella nebbia. Vagai a lungo per la riva solitaria e per le strade dove si facevano gli ultimi preparativi per la festa. Le donne dell’isola arrivavano a poco a poco cavalcando begli asini. La processione non tardò a mettersi in marcia; il vescovo e il capitolo in brillante cappa marciavano solennemente. Attraverso le finestre, fiori di ginestra cadevano su di loro come una pioggia d’oro. L’incenso esalava il suo profumo penetrante; i sacerdoti salmodiavano lentamente delle parole latine. I costumi pittoreschi, le cappelle ornate, le strade coperte di fiori offrivano un colpo d’occhio strano e affascinante. Mi sembrava di partecipare a una festa pagana. Niente d’incantevole come i dintorni del paese. Si tratta di una piana semplice, che proteggono dai forti venti alcune colline e la lava dell’Arso. Dopo aver attraversato il torrente, si arriva ai bagni di Ischia. Le sue acque termali si riversano nel lago, separato dal mare da un banco di sabbia, largo cinquanta piedi, e
l’auberge, sous laquelle le vent fait bruire un champ de roseaux ; à quelque distance des pêcheurs prennent les oursins en face de l’île de Procida et du continent. Le bourg est très animé; les pêcheurs, les paysans affluent dans la longue rue derrière le rivage. Quelques fontaines, dont l’eau vient de l’Epomeo, animent le tableau. Avec des goûts simples on peut vivre ici très agréablement. Le pays est d’un grand attrait. On y jouit d’incomparables matinées. Je n’oublierai pas, en particulier, certain jour de Fête-Dieu. J’étais debout à l’aube, une vapeur rose semblait s’étendre sur toute la nature. Le soleil s’élevant bientôt au-dessus des montagnes de Castellamare, mit en relief ce qui était resté jusqu’alors dans la brume. J’errai longtemps le long du rivage solitaire et dans les rues où s’achevaient les derniers préparatifs de la fête. Les femmes de l’île arrivaient peu à peu, montées sur de beaux ânes. La procession ne tarda pas à se mettre en marche ; l'évêque et son chapitre en chapes brillantes, défilèrent solennellement. Par les fenêtres, des fleurs de genêts tombaient sur eux, comme une pluie d’or. L’encens exhalait son parfum pénétrant ; les prêtres psalmodiaient lentement des paroles latines. Les costumes pittoresques, les chapelles parées, les rues couvertes de fleurs offraient un coup d’oeil à la fois étrange et charmant. Il me semblait assister à quelque fête païenne. Rien de joli comme les environs du bourg. C’est une petite plaine, garantie de la violence des vents par des collines et par la lave de l’Arso. Après avoir traversé le torrent, on arrive aux La Rassegna d’Ischia n. 1/2016
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comunicante con esso attraverso un canale artificiale che rinnova le sue acque. L’ombra dei limoneti, degli uliveti, la vicinanza del mare danno alle colline circostanti una benefica freschezza. Io a volte ho fatto visita, in questo borgo, all’ultimo capo dei briganti, Don Giosafatte Talarico; lui e la sua banda, quarant’anni fa, trattarono con il precedente governo. Ebbero una rendita vitalizia, e furono relegati a Lipari e poi a Ischia, dove molti vivono ancora, sposati e padri di famiglia. Don Giosafatte fu per molto tempo guardiano del faro. Questo calabrese vivace, vigoroso, benevolo, accentuando con forza la c, riceve con una disinvoltura che non è senza dignità. Il vecchio rimpiange il suo villaggio, la sua Calabria montagnosa e parla, con tono poetico toccante e selvaggio, delle acque mormoranti e dei boschi di castagno, dove trascorse la sua giovinezza. Sua moglie, una Lipariota, dovette essere molto bella. Quest’uomo ha due figlie, l’u-
na sposata con un ufficiale giudiziario di Resina, un galantuomo, mi disse con enfasi; l’altra è casalinga. Il brigante conduce la sua vita come patriarca, amato dai suoi, stimato dai vicini. Ha dei rimorsi? Non ci sembra. Del resto, lui uccise solo per la sua difesa e non commise mai orribili eccessi. Dai bagni d’Ischia si va a Casamicciola, per una strada che corre tra la montagna e il mare, tra vigneti e castagneti. Ahimè! la graziosa cittadina di quattromila abitanti, finora prospera e vivace, frequentata dal mondo elegante, non è altro che un cumulo di macerie, nei pressi del quale si trova un villaggio di baracche di legno. Il Monte della Misericordia, ammirevole istituzione benefica che dava ai poveri i benefici delle acque termali, è stato distrutto e potrebbe anche essere sostituito da un'istituzone provvisoria. Dopo Casamicciola, lungo la spiaggia, si arriva a Lacco. Le case erano allineate lungo la riva: oggi in
bains d’Ischia. Ses eaux thermales vont se jeter dans le lac, séparé de la mer par un banc de sable, large de cinquante pieds, et mis en communication avec elle par un canal artificiel qui renouvelle ses eaux. L’ombrage des citronniers, des oliviers, le voisinage de la mer, donnent aux collines des environs une fraîcheur bienfaisante. J’ai quelquefois visité, dans ce hameau, le dernier chef de brigand, Don Giosafat Talarico, qui traita, lui et sa bande, il y a quarante ans, avec l’ancien gouvernement. Ils reçurent une rente viagère et furent relégués à Lipari, puis à Ischia, où plusieurs vivent encore, mariés et pères de famille. Don Giosafat a passé quatre-vingts ans, il fut longtemps gardien du phare. Ce Calabrais vif, vigoureux, bienveillant, accentuant fortement les c, reçoit avec une aisance qui n’est pas sans dignité. Le vieillard regrette son village, sa Calabre montagneuse, et parle, avec une poésie touchante et sauvage, des eaux murmurantes et des bois de châtaigniers, près desquels il passa sa jeunesse. Sa femme, une Lipariote, dut être fort belle. Cet homme a deux filles, l’une mariée avec un huissier de Resina, un galantuomo, m’a-t-il dit avec emphace ; l’autre est à la maison. Le brigand achève sa vie en patriarche, adoré des siens, estimé du voisinage. A-t-il des remords? il n’y paraît pas. Du reste, il tua seulement pour sa défense et ne commit jamais d’horribles excès. On va, des bains d’Ischia à Casamicciola, par une route qui passe entre la montagne et la mer, à travers des vignes et des châtaigniers. Hélas ! la jolie ville de quatre mille habitants, jusqu’ici prospère et animée, 12
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rovina, sono state sostituite da baracche. La signora Oscar Meuricoffre, dopo la catastrofe, ha sviluppato in questo borgo l’industria della paglia. Le si deve una scuola dove si applica a questo lavoro decorazione artistica. Si realizzano bei cappelli, fiori per guarniture, comode poltrone, paraventi, ventagli elegantemente ricamati in paglia colorata. Il famoso pittore Palizzi ha donato l’acquerello di un paravento la cui decorazione è ingegnosa e di gusto perfetto nella sua semplicità. La scuola forma degli artisti, sotto le cui dita abbronzate la materia prima assume le forme più aggraziate. Recentemente hanno inviato alla regina d’Italia un pavillon guarnito di margherite, al centro del quale era posto un tavolo circondato da sedie. Tutto in paglia. La regina ordinò immediatamente un grande tappeto per Monza, e concesse alla scuola il diritto di prendere le armi dei Savoia. La paziente carità ha creato un settore che è stato una manna per coloro che hanno sofferto.
fréquentée par le monde élégant, n’est plus qu’un amas de décombres, près desquels s’élève une affreuse bourgade en bois. Le Monte della Misericordia, admirable institution de charité qui donnait aux pauvres le bénéfice des eaux thermales, a été détruit et n’a pu être remplacé même par un établissement provisoire. Après Casamicciola, en suivant la plage, on arrive à Lacco. Les maisons étaient alignées au bord du rivage : renversées aujourd’hui, elles sont remplacées par des baraques. Mme Oscar Meuricoffre a, depuis la catastrophe, développé dans ce hameau l’industrie de la paille. On lui doit une école où la décoration artistique est appliquée à ce travail. Il se fait là de jolis chapeaux, des fleurs pour garnitures, de confortables fauteuils, des paravents de salon, des buvards, des éventails élégamment brodés en paille de couleur. Le célèbre peintre Palizzi a donné l’aquarelle d’un paravent dont l’ornementation est ingénieuse et d’un goût parfait dans sa simplicité. L’école forme des artistes, sous les doigts brunis desquels la matière première prend les formes les plus gracieuses. Ils ont récemment envoyé à la reine d’Italie un pavillon tout garni de marguerites, au centre duquel était placée une table entourée de fauteuils. Tout était en paille. La reine commanda immédiatement un grand tapis pour Monza, et donna à l’école le droit de prendre les armes de Savoie. La charité patiente a créé une industrie qui a été un bienfait pour ceux qui ont souffert. Un rocher appelé à cause de sa forme il Fungo (le champignon), s’élève au centre de la baie de Lacco ; on y amarre les barques. Les sources minérales se
Una roccia chiamata per la sua forma il Fungo, sorge al centro della baia di Lacco; vi si ormeggiano le barche. Le sorgenti minerali si trovano ovunque. Quando scaviamo la sabbia, la buca si riempie con acqua calda. I lavoratori usano questo espediente per bagnarsi i piedi stanchi. Dopo Lacco incontriamo il Monte Vico, cratere sprofondato, in terrazza alla sommità. I suoi ripidi fianchi sono ricoperti da una lava rossastra che si direbbe oggi raffreddata. Il luogo è circondato da fortificazioni; si trovano tracce sulla strada per Santa Restituta, in mezzo ad aloe e cactus. Secondo le genti di Lacco, un tempo esistevano sulla terrazza tre palazzi. Il suolo è coperto di detriti di mattoni romani e ci sono monete antiche. È qui che dovette essere il capoluogo dell’isola al tempo dei Greci e dei Romani. Si vedono ancora due necropoli ai piedi del Monte, a San Montano e a Santa Restituta. San Montano è una valletta che termina a nord in una piccola insena-
tura, sabbiosa, poco profonda. Nulla d’incantevole come questa spiaggia con ciuffi di canne che ondeggiano con la brezza e con il lento flusso e riflusso dell’onda. Si coltiva con cura il fondo della valle circondata da colline vitate. Più sopra, il carrubo cresce nella vecchia lava e l’Epomeo innalza la sua bella cresta. Nessun rumore, tranne il tubare delle colombe o il canto dei pescatori la cui barca passa ad una certa distanza. Si può vedere in questa valle un dattero da frutto perché cresce in prossimità di una sorgente calda. Gli isolani prendono questo fenomeno della natura per un miracolo di Santa Restituta. Il corpo di questa principessa africana, martire sotto Galerio, fu messo in una barchetta piena di materiali combustibili e lasciata in balia delle onde, fu portato in questi luoghi, secondo la leggenda. Santa Restituta divenne la patrona dell’isola; la sua chiesa è cattedrale; la sua festa si celebra nel mese di marzo (!maggio). Cresce nel punto in cui fu tro-
trouvent partout. Quand on creuse le sable, le trou se remplit d’eau chaude. Les travailleurs usent de ce moyen pour baigner leurs pieds fatigués. Après Lacco nous rencontrons le Monte de Vico, cratère écroulé, au sommet en terrasse. Ses flancs escarpés sont couverts d’une lave roussâtre qu’on dirait récemment refroidie. L’endroit a été entouré de fortifications ; on en retrouve les traces sur le chemin de Santa Restituta, au milieu des aloès et des cactus. Au dire des gens de Lacco, trois palais existaient autrefois sur la terrasse. Le sol est couvert de débris de briques romaines et l’on y trouve des monnaies antiques. C’est ici que devait être la capitale de l’île au temps des Grecs et des Romains. On voit encore deux nécropoles au pied du mont, à San Montano et à Santa Restituta. San Montano est un vallon terminé au nord par une petite crique, sablonneuse, peu profonde. Rien de charmant comme cette plage avec ses touffes de roseaux ondulant au souffle de la brise et la vague qui s’avance et se retire lentement. On cultive avec soin le fond du vallon ceint de coteaux plantés de vignes. Plus haut, le caroubier croît dans les vieilles laves et l’Epomeo élève sa crête superbe. Point de bruit, sauf le roucoulement de la tourterelle ou le chant du pêcheur, dont la barque passe à quelque distance. On peut voir dans ce vallon un dattier portant du fruit parce qu’il croît dans le voisinage d’une source d’eau chaude. Les insulaires tiennent ce phénomène de la nature pour un miracle de Santa Restituta. Le corps de cette princesse africaine, martyre sous
vato il suo corpo un giglio che porta il nome della santa; esso ha foglie molto dentellate, un bel fiore, corolla bianca a strisce verdi e lunghi stami. Lamartine cantava: Dei pescatori videro, un’alba, un corpo di donna che l’onda notturna alla riva aveva spinto; sua beltà, pur nella morte, rapiva l’anima. Nascono d’allora, presso le rive del mare che l’accolsero, questi fiori. Da Lacco, procedendo a sinistra, si entra nel territorio di Foria. Nel medioevo questo borgo situato su una lingua di terra fu cinto da mura e torri. I vecchi autori dicevano i suoi abitanti gente di valore. Essi sono davvero buoni marinai, il che non impedisce loro di essere eccellenti produttori di vino. Si vive negli agi a Foria; cisterne tenute con cura danno l’acqua migliore dell’isola. Dopo questa città, lasciando a destra il capo Imperatore, si segue una strada a metà costa all’ombra di fruttiferi alberi. A volte essa do-
Galérius, abandonéé dans une nacelle pleine de matières combustibles à la merci des flots, fut porté dans ces lieux, au dire de la légende. Santa Restituta est devenue la patronne de l’île ; son église est cathédrale ; sa fête se célèbre en mars ( !). On cueille dans les environs un lis qui porte le nom de la sainte, car il apparut, à ce qu’on prétend, à l’endroit où son corps fut trouvé. Il a des feuilles très découpées, une jolie fleur, la corolle blanche rayée de vert et de longues étamines. Lamartine l’a chanté : Des pêcheurs un matin virent un corps de femme Que la vague nocturne, au bord avait roulé. Même a travers la mort, sa beauté touchait l’âme. Ces fleurs, depuis ce jour, naissent près de la lame Du sable qu’elle avait foulé. De Lacco, en prenant à gauche, on entre dans le territoire de Foria. Le moyen âge entoura de murailles et de tours ce bourg situé sur une langue de terre. Les vieux auteurs disaient ses habitants gente di valore. Ils sont, en effet bons marins, cela ne les empêche pas d’être d’excellents vignerons. On est dans l’aisance à Foria; les citernes entretenues avec soin donnent la meilleure eau de l’île. Après cette ville, laissant à droite le cap Imperatore, on suit une route à mi-côte ombragée d’arbres fruitiers. Elle domine parfois des précipices au fond desquels on découvre des vergers. Voilà Panza, la villégiaLa Rassegna d’Ischia n. 1/2016
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mina dirupi al cui fondo si scopro dei frutteti. Ecco Panza, la villegiatura dei re aragonesi, nel mezzo dei vigneti; poi altri villaggi, borghi in ridenti posizioni. Qua e là dei burroni partono dall’Epomeo, stretti alla loro origine, che si allargano verso il mare, dove vanno a finire in precipizi. Si attraversano boschi di castagni e terreni rocciosi coperti di cespugli. Qua e là cresce il corbezzolo, spiegando sul suo fogliame d’alloro i suoi grappoli di frutti a forma di fragola, verdi, gialli, arancio, rossi, arancioni, secondo il grado di maturazione. In questo luogo di terreno argilloso prosperano i salici. Più in alto la montagna diventa ripida, il timo, il mirto, la ginestra si diffondono sulle scarpate della strada. Appare finalmente la nuda roccia, eccoci all’apice della vasta piramide: la cima dell’Epomeo è raggiunta. Lassù ci sono una cappella e la dimora di un eremita; il luogo è deserto, tranne d’estate al tempo della festa di San Nicola, patrono del santuario. Frequenti tempeste e il
velo di nubi che l’avvolgono, quando prevalgono i venti del sud e dell’est, fanno questo luogo umido. Cappella e abitazioni furono scavate nella roccia. L’eremita vi conduce attraverso un lungo corridoio scuro nella roccia su una piccola terrazza affacciata su un precipizio. Siamo a diciottomila piedi sopra il mare. Lo sguardo cade su Ischia, Casamicciola, Lacco, Foria. È possibile rilevare dettagli molto piccoli; vedo bene Casamicciola, il giardino di Donna Maria Grazia, mia vecchia conoscenza, la panchina dove mi piace stare dopo il tramonto. Le colline, i promontori percorsi sembra essersi appiattiti e disposti ai piedi del colosso. La vista si estende dal Golfo di Napoli all’isola di Vandotena. In lontananza si perdono più o meno nella mezzatinta, a seconda della distanza, le montagne di Terracina, le paludi del Garigliano, l’ampia spiaggia di Cuma, l’Olibano, Posillipo e le ramificazioni degli Appennini di fronte a Capri. La neve cade d’inverno sulla cima dell’Epomeo; essa viene conservata
ture des rois aragonais, au milieu des vignobles ; puis d’autres villages, des hameaux dans de riantes positions. Çà et là des ravins partent de l’Epomeo, étroits à leur origine, ils s’élargissent en descendant vers la mer, où ils se terminent par des précipices. On traverse des bosquets de châtaigniers, puis des terrains rocailleux couverts de broussailles. L’arbousier croît ça et là, étalant sur son feuillage de laurier ses grappes de fruits en forme de fraise, verts, jaunes, oranges, rouges. suivant le degré de maturité. Les saules prospèrent en cet endroit dans un sol argileux. Plus haut, la montagne devient abrupte, le thym, le myrte, le genêt s’étalent sur les escarpements de la route. Le roc nu apparaît enfin, nous voici au faite de la vaste pyramide : la cime de l’Epomeo est atteinte. On trouve là-haut une chapelle et la demeure d’un ermite ; l’endroit est désert, sauf l’été lors de la fête de saint Nicolas, patron du sanctuaire. De fréquents orages et le voile de nuages qui l’enveloppe, quand règnent les vents du sud et de l’est, rendent ce site humide. Chapelle et habitation ont été creusées dans le roc. L’ermite vous conduit par un corridor long et obscur dans le rocher, sur une petite terrasse qui domine un précipice. Vous êtes à dix-huit cents pieds au-dessus de la mer. Le regard plonge sur Ischia, Casamicciola, Lacco, Foria. Il est possible de discerner de très petits détails ; je vois bien Casamicciola, le jardin de Dona Maria Grazia, ma vieille connaissance, le banc où j’aime à m’asseoir après le coucher du soleil. Les collines, les promontoires parcourus semblent s’être 14
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in fosse tutt’intorno all’eremo, appena sufficiente per il consumo degli abitanti, perché in estate nell’isola come in tutto il sud d’Italia, si beve molta acqua ghiacciata. Il tramonto, visto da questa altezza, è uno spettacolo magnifico. Questo immenso orizzonte, rosso, all’estremità del quale appaiono le forme lontane e indistinte dei promontori e delle isole, questo mare blu scuro-nero, questi ultimi raggi di sole che fanno molto risaltare il colore e la forma degli oggetti vicini, rimangono nella memoria. L’occhio li vede ancora lontano dopo aver lasciato questi luoghi. Si scende poi a Fontana e Moropano; molti oggetti antichi si raccolsero in questo ultimo paese e nella valle di Campano, nelle vicinanze, tra cui numerose testimonianze votive ad Apollo e alle Ninfe. Si scavarono, non lontano, a Cumano, statue, bassorilievi. Questa parte dell’isola, oggi poco affollata, era amata dagli anziani. La strada conduce da Moropano a
aplanis et rangés au pied du colosse. La vue s’étend du golfe de Naples à l’île de Vandotena. Au loin, se perdent plus ou moins dans la demi-teinte, selon l’éloignement, les montagnes de Terracine, les marais du Garigliano, la large plage de Cumes, l’Olibano, Pausilippe et les ramifications des Apennins en face de Capri. La neige tombe en hiver sur le sommet de l’Epomeo; on la conserve dans des fosses tout autour de l’ermitage. Elle suffit à la consommation des habitants; car en été, dans l’île comme dans toute l’Italie méridionale, on boit énormément d’eau glacée. Le coucher du soleil, vu de cette hauteur, est un magnifique spectacle. Cet horizon immense, rouge, à l’extrémité duquel apparaissent les formes lointaines et indécises des promontoires et des îles, cette mer sombre d’un bleu noir, ces derniers rayons de soleil qui font ressortir vigoureusement la couleur et la forme des objets rapprochés, restent dans la mémoire. L’oeil les voit encore longtemps après avoir quitté ces lieux. On descend ensuite sur Fontana et Moropano ; beaucoup d’antiquités furent recueillies dans ce dernier village et dans la vallée de Campano, qui l’avoisine, entre autres de nombreux autels votifs à Apollon et aux Nymphes. On déterra, pas loin, à Cumano, des statues, des bas-reliefs. Cette partie de l’île, peu fréquentée aujourd’hui, était aimée des anciens. La route conduit de Moropano à Barano dont, en 1883, le tremblement de terre a fait un lieu de désolation. Le passant, après avoir traversé ces décombres, le coeur serré, entre dans un cirque naturel d’une lieue de
Barano, che, nel 1883, il terremoto ne ha fatto un luogo di desolazione. Il passante, dopo aver attraversato queste rovine con il cuore affranto, entra in un anfiteatro naturale di circa una lega: rifugio tranquillo dove, ai piedi del monte Epomeo, si trova la frazione di Pieo. L’aria pura è meno frizzante rispetto al resto dell’isola. Basta salire su una piccola collina per vedere il castello e il borgo di Ischia, Pozzuoli e Posillipo. Che riposo, dopo aver sopportato il calore e la luce del sole, sedersi sotto i grandi alberi che cingono la vigna: castagni, noccioli dal denso fogliame. Di là bisogna arrampicarsi su un una ripido pendio, da dove si scende nella valle di Campagnano, antico cratere quasi riempito dal crollo parziale del suo picco. La montagna che lo domina è coltivata fino alla vetta. Una sorgente pura, fresca e, cosa rara qui, priva di qualsiasi sapore minerale, sgorga dalla terra. La strada conduce attraverso un dolce pendio da questa valle al borgo d’Ischia, dove siamo
arrivati ben compensati della fatica dalla bellezza del paesaggio. La semplicità delle persone, che s’incontrano, fa pensare ai tempi antichi. Esse danno del tu a tutti, sono ospitali, altruiste, benevole, di maniere educate e dignitose, piacevole contrasto con il servilismo venale delle località alla moda. L’isola di Procida, l’isolotto di Vivara si trovano nelle vicinanze d’Ischia. La tradizione, che attribuisce la formazione di Procida a una montagna distaccatasi dall’Epomeo, ha poco fondamento. Le colate di tufo e d’altri materiali vulcanici sui punti della costa più vicini, non coincidono. Procida, pianeggiante, famosa per le sue verdure, s’eleva ad ovest con una rupe su cui sorge un castello: controlla il Golfo di Napoli e le isole vicine. È a causa di questa rupe che Virgilio chiamò l’isola l’Alta Procida. Il suo nome deriva da Prochyta, la nutrice di Enea? È possibile! Come Ischia, l’isola fu abitata dai Greci: al dire di Giovenale, era coperto di ma-
tour: retraite paisible où se trouve, au pied de l’Epomeo, le hameau de Pieo. L’air pur, est moins vif que dans le reste de l’île. Il suffit de gravir une petite colline pour voir le château et le bourg d’Ischia, Pouzzoles et Pausilippe. Quel repos, après avoir enduré la chaleur et la lumière du soleil, de s’asseoir sous ces gros arbres qu’enlace la vigne: châtaigniers, noyers au feuillage touffu. Il faut de là grimper un coteau assez raide, d’où l’on descend dans le vallon de Campagnano, ancien cratère à moitié comblé par l’éboulement partiel de sa crête. La montagne qui le domine est cultivée jusqu’au sommet. Une source pure, fraîche et, chose rare ici, dépourvue de toute saveur minérale, sort de terre. La route conduit par une pente douce de ce vallon au bourg d’Ischia, où l’on arrive bien dédommagé de la fatigue par la beauté du paysage. La simplicité des gens qu’on rencontre, fait penser aux temps antiques. Ils tutoient tout le monde, sont hospitaliers, désintéressés, bienveillants, de manières à la fois polies et dignes, agréable contraste avec la servilité vénale des villégiatures à la mode. L’île de Procida, l’îlot de Vivara sont tout près d’Ischia. La tradition, attribuant à une montagne détachée de l’Epomeo la formation de Procida, a peu de fondement. Les coulées de tuf et d’autres matières volcaniques sur les points des côtes les plus rapprochés, ne coïncident pas. Procida, terre basse, célèbre par
gnifiche ville. Nel Medioevo, ebbe come signore Giovanni da Procida, che i Vespri Siciliani hanno reso famoso. Gli abitanti, marinai, pescatori, giardinieri, sono vispi e gai. Le loro donne non indossano più, se non in rare occasioni, il soprabito di lana o di seta, aperto davanti, gallonato d’argento o d’oro. Peccato, era adatto al loro bellissimo aspetto greco. Vivara è separata da Procida con un braccio di mare, molto stretto, in cui una piatta barriera corallina lascia passare solo imbarcazioni molto piccole. I vicini bordi delle due isole hanno la stessa colata di tufo, è probabile che in passato ne formassero una sola. Questo isolotto è un labirinto dove d’inverno i galantuomini Procida vanno a caccia di conigli, e i poveri a fornirsi di legna nella sua spessa sterpaglia.
ses primeurs, est relevée à l’ouest par une falaise sur laquelle s’élève un château : il commande le golfe de Naples et les îles voisines. C’est à cause de cette falaise que Virgile a nommé l’île Alta Procida. Son nom lui vient-il de Prochyta, la nourrice d’Enée? C’est possible! Comme Ischia, l’île fut d’abord habitée par des Grecs : au dire de Juvénal, elle était couverte de magnifiques villas. Au moyen âge, elle eut pour seigneur Jean de Procida, que les Vêpres siciliennes ont rendu célèbre. Les habitants, marins, pêcheurs, jardiniers, sont vifs et gais. Leurs femmes ne portent plus, sauf dans de rares occasions, leur superbe surtout de laine ou de soie, ouvert par devant, galonné d’argent ou d’or. C’est dommage, il sied bien à leur beau type grec. Vivara est séparée de Procida par un bras de mer, très étroit, dans lequel un récif plat laisse seulement passage aux très petites barques. Les bords voisins des deux îles ont les mêmes coulées de tuf, il est probable qu’autrefois elles n’en formaient qu’une. Cet îlot est une garenne, où en hiver les galantuomini de Procida vont tirer des lapins, et les pauvres se pourvoir de bois dans ses épaisses brousailles.
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RASSEGNA LIBRI Il Vesuvio e le sue eruzioni
di Giovan Battista Alfano e Antonio Parascandola
Dagli Appunti lasciati dagli autori A cura di Corrado Buondonno e con il commento di Giuseppe Luongo Edizioni Doppiavoce, pagine 464 Alquanto singolari le vicende che hanno accompagnato, dal 1900 al
2011, la impostazione, la prima stesura e raccolta di appunti, lo sviluppo, e infine la redazione e la presentazione per la stampa di questo trattato “inedito” di Giovanni Battista Alfano e Antonio Parascandola su Il Vesuvio e le sue eruzioni. Un trattato “completo” nel desiderio dei due Autori che hanno attraversato il ’900 dedicando al Vesuvio grandissima parte della loro attività scientifica, e nel quale la visione innata del naturalista si completa con il rigore del ricercatore che padroneggia anche un ampio arco disciplinare, come si desume dalla lettura del testo, scorrendo i rispettivi curricula dei due Autori, e come ben sa chi ha avuto modo di conoscerli. La stampa di questo volume, scritto a quattro mani da Alfano e Parascandola negli anni ’50, ha l’obiettivo di registrare il clima culturale nel quale si sviluppava la ricerca vulcanologica all’ombra del Vesuvio, attraverso il lavoro appassionato dei due studiosi che hanno partecipato attivamente allo sviluppo della scuola napoletana. A Napoli la vulcanologia, grazie alla presenza dell’Osservatorio Vesuviano, si svilupperà secondo due filoni, l’uno privilegiando le discipline dolci delle scienze della natura e l’altro delle scienze dure come fisica e chimica. Il confronto permanente all’Osservatorio Vesuviano e all’Università di Napoli tra i due settori di ricerca e le loro intersezioni produrranno un ambiente di ricerca in vulcanologia unico in Italia (dalla presentazione di Corrado Buondonno).
Recensione di Ferdinando Rontanella Il Gazzettino Vesuviano (17 dicembre 2015) Dalla presentazione scritta dal prof. Buondonno si apprende la sin-
golarità delle “vicende che hanno accompagnato per più di novanta anni, dagli anni 20 del 1900 al 2011, la impostazione, la prima stesura e raccolta di appunti, lo sviluppo, e infine la redazione e la presentazione per la stampa di questo trattato “inedito” di Giovanni Battista Alfano e Antonio Parascandola su Il Vesuvio e le sue eruzioni. Un trattato “completo” nel desiderio dei due Autori che hanno attraversato il ’900 dedicando al Vesuvio grandissima parte della loro attività scientifica, e nel quale la visione innata del naturalista si completa con il rigore del ricercatore che anche padroneggia un ampio arco disciplinare, come si desume dalla lettura del testo, scorrendo i rispettivi curricula dei due Autori, e come ben sa chi ha avuto modo di conoscerli”. Si tratta dunque di un libro di grande valore storico, una vera e pro-
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pria finestra sul passato del Vesuvio e sull’evoluzione del pensiero scientifico in ambito vulcanologico. “La stampa di questo volume – ha commentato Giuseppe Luongo geologo e prof. emerito dell’Università Federico II – scritto a quattro mani da Alfano e Parascandola negli anni ’50, ha l’obiettivo di registrare il clima culturale nel quale si sviluppava la ricerca vulcanologica all’ombra del Vesuvio, attraverso il lavoro appassionato dei due studiosi che hanno partecipato attivamente allo sviluppo della scuola napoletana. A Napoli la vulcanologia, grazie alla presenza dell’Osservatorio Vesuviano, si svilupperà secondo due filoni, l’uno privilegiando le discipline dolci delle scienze della natura e l’altro delle scienze dure come fisica e chimica. Il confronto permanente all’Osservatorio Vesuviano e all’Università di Napoli tra i due settori di ricerca e le loro intersezioni produrranno un ambiente di ricerca in vulcanologia unico in Italia". Ma il libro non è solo una voluminosa pubblicazione di storia
del vulcano e della scienza, come hanno ricordato i numerosi e illustri personaggi intervenuti alla manifestazione, tra cui ricordiamo il direttore dell’Osservatorio Vesuviano Giuseppe De Natale e il commissario straordinario del Parco Nazionale del Vesuvio Ugo Leone, ma è anche un riaffiorare dal passato di un vasto patrimonio di saperi, una opportunità dunque per ampliare la conoscenza
di un territorio vasto e complesso come quello vesuviano. Una conoscenza indispensabile – come ha ricor-
dato la prof. Emma Buondonno – per rimediare ai guasti fatti in passato, da una politica troppo spesso ignorante, e programmare razionalmente un futuro in cui rischio e pericolo non siano affrontati unicamente con la superstizione e il fatalismo.
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Lampi di guerra e di solidarietà
L’operato della Chiesa d’Ischia durante la Prima Guerra Mondiale di Ernesta Mazzella Edizioni Gutenberg, Fisciano (Sa). Prefazione di Agostino Di Lustro. In copertina: Sac. Don Vito Domenico Maresca. Pagine 96. Il presente lavoro, attraverso la pubblicazione dei documenti, si propone di documentare l’attività della Chiesa isclana in un arco di tempo che va dal 1915 al 1918. Si tratta di circolari, schede, atti ufficiali redatti dalla Curia, Lettere scritte da Mons. Pasquale Ragosta, vescovo d’Ischia dal 1914 al 1925, tutte indirizzate al Clero e al popolo di Ischia. Con l’esame di questi manoscritti, lo studioso potrà scorgere e conoscere aspetti nuovi della personalità di Mons. Ragosta, impegnato nelle opere di carità e nella preghiera, animato dall’intento di salvare i propri “figli” dal dolore e dalla fame causati dal grande flagello della guerra, e nel diffondere il messaggio di pace del sommo pontefice Benedetto XV. La sua infaticabile capacità lavorativa e gli aspetti caratteriali dell’uomo traspaiono in maniera evidente dai suoi scritti; l’infaticabile Ragosta non si ferma mai, crea nel Seminario la “Casa del soldato”, come ritrovo delle truppe del corpo territoriale presenti sull’isola, concede il Pio Monte della Misericordia in Casamicciola con trecento letti per i soldati bisognosi di cure termali e per i feriti e gli invalidi provenienti dal fronte; si adopera per l’assistenza alle famiglie dei soldati isolani al servizio della Patria, ai profughi, agli orfani di guerra, promuove le iniziative della “Pasqua del soldato” e del “Suffragio ai Caduti”, la raccolta della lana per confezionare gli abiti per i soldati in trincea. Nella chiesa di San Domenico in Ischia si era costituito un Segretariato in collegamento con un organismo diplomatico della Santa Sede che faceva ricerche e poi comunicava alle varie curie diocesane notizie di militari dispersi o caduti in guerra. Il Vescovo era preoccupato per i suoi preti partiti per la guerra. Se ne contarono ben trentanove: alcuni come sergenti o caporali, molti come soldati semplici, solo due come cappellani militari. Anche otto seminaristi dovettero lasciare gli studi perché chiamati alle armi. Il Seminario fu chiuso e concesso ai soldati. Uomo di fede, pronto ad attenersi alle disposizioni pontificie, indisse pubbliche preghiere, novene, ore di adorazione, processioni di penitenza, digiuni e molte al-
tre opere pie per ottenere la tanto sospirata pace. I documenti si rivelano una fonte preziosa di informazioni relative alle drammatiche vicende che interessarono l’Isola durante la Grande Guerra. Questi sono inediti, il criterio adottato nella pubblicazione è quello cronologico, con l’apposizione in parentesi quadre del numero dei fogli, indicato con l’abbreviazione f. I documenti sono tutti custoditi nell’Archivio Storico Diocesano d’Ischia, nel Fondo: Vescovi e Clero. Nelle trascrizioni si è rispettato scrupolosamente il testo originale lasciandovi eventuali imperfezioni lessicali e sintattiche.
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Archeologia e antropologia della morte - Storia di un'idea di Valentino Nizzo
Edipuglia Editore, Bari, 2015. Presentazione di Michel Gras
(Dalla presentazione di Michel Gras) - Valentino Nizzo ci propone, attraverso il filtro dell’archeologia e dell’antropologia della morte, niente altro che una storia della ricerca teorica sulle necropoli in generale e su quelle protostoriche dell’Italia continentale in particolare. Riuscendo nella sfida di collegare le due facce di una medaglia che s’incontrano con fatica: quella soprattutto teorica della riflessione anglosassone e quella del pensiero italiano fra teoria e dati di scavo. Il lettore che vorrà impegnarsi scoprirà la ricchezza di un lavoro che non è per niente un accumulo di schede come l’indice, molto analitico, potrebbe far pensare ma una lunga, precisa e articolata lettura storiografica aggiornatissima sul cammino intellettuale nel corso dell’ultimo mezzo secolo. Partendo dal monito lanciato da d’Agostino e da Schnapp durante il convegno di Ischia del 1977 con l’invito a “convoquer pour comprendre la mort”, Nizzo risponde puntualmente quasi 40 anni dopo. Infatti, tutti i saperi sono qui presenti, ed elencarli sarebbe pesante e rischioso. Ma non tutti i giorni si legge un libro, scritto da un ancor giovane funzionario di Soprintendenza (e attento scavatore), in cui s’incontrano Heidegger, Mauss, Foucault, di Nola (per l’antropologia), Giddens, Bruno Latour (per la sociologia) ma anche Orsi, Gordon Childe, Peroni, d’Agostino, Bietti Sestieri e tanti altri. Ovviamente sono presenti i riti di passaggio di Van Gennep ma anche Frazer, Freud e de Martino. Chi scrive non si vergogna per niente nel dire che ha imparato molto, per esempio sul pensiero di Kroeber e non solo. Le note sono ricchissime ma non schiacciano il discorso. Attingere pienamente a questo affresco imponente è un piacere raro. Tuttavia non si tratta per niente di un saggio à la mode ma di un lavoro accademico (nel senso migliore della parola), nutrito da un’infinità di letture meditate, digerite e ripensate che consentono a Nizzo di far emergere con chiarezza, in una scrittura limpida, il suo pensiero personale. Non c’è dubbio che tale pubblicazione sarà a lungo un punto di riferimento, aprendo tante discussioni e rilanciando così un dibattito che, da più di vent’anni, aveva difficoltà a mantenersi vivo. Va ricordato che Nizzo, già dotato di una cospi18
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cua bibliografia, si è messo in evidenza fra l’altro con il suo “Ritorno ad Ischia”, impressionante prolungamento dell’indimenticabile impresa di Giorgio Buchner e di David Ridgway, lavoro scritto negli anni 2003-2004 e pubblicato a Napoli nel 2007, e con un Incontro internazionale romano del 2010 intitolato significativamente “Dalla nascita alla morte: antropologia e archeologia a confronto” (con atti di p. 823 tempestivamente pubblicati a sua cura nel 2011), momento che certamente è stato il punto di partenza della sua ultima fatica. Il testo qui pubblicato dovrebbe, dicevo, suscitare discussioni ma non polemiche in quanto si tratta di un lavoro molto misurato, con analisi accurate e mai sbrigative, con una grande serenità nella formulazione dei giudizi, senza per questo cadere in un piatto consenso. Nizzo dice quello che pensa ma sempre con grande rispetto per tutti. La morte non ha confini né nel tempo né nello spazio. La ricerca è incentrata sull’Italia ma sono ricordate esperienze sui cinque continenti quando sono state alla base di un pensiero o di una teoria (così i rituali funerari del Ghana discussi da Goody, tanto per fare un esempio). Tale enciclopedismo non è oggi frequente e Nizzo ci ricorda il Settecento nella sua volontà “bulimica” e aggregativa a tutto campo. Niente provincialismo, niente autoreferenzialismo.
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Ischia nell'800 Calendario 2016
La Cappella dei Calosirto
Il ritrovamento di un oratorio gentilizio nascosto nella cripta della Cattedrale dell'Assunta al Castello Aragonese d'Ischia di Serenaorsola Pilato Sono esposti in questo libro, recentemente presentato al pubblico isolano, direttamente al Castello Aragonese, gli ultimi ritrovamenti e interventi di approfondito restauro realizzato dall'Istituto Europeo del Restauro. Serenaorsola Pilato, storico dell'arte, espone qui gli esiti e gli studi riguardanti quella che è stata definita "La cappella dei Calosirto", famiglia a cui ha ricondotto il ritrovamento dello stemma nobiliare appartenente ai titolari della cappella. Ci troviamo di fronte ad uno scrigno svelato nel Castello d'Ischia, come recita il titolo di un capitolo del libro; di particolare importanza è risultata la presenza nella cappella ritrovata "di un affresco di alto valore artistico, l'Uomo dei dolori, riferibile alla metà del Trecento e che con precisi riscontri con la migliore produzione coeva napoletana contribuisce a chiarire il ruolo dell'insediamento isolano nel panorama artistico campano", come scrive Gina Carla Ascione. Vedansi in merito anche p. 28 e p. 46
Franco di Muro Ediore Le illustrazioni sono tratte da I Luoghi incantati della Sirena di Isabella Valente, 2009 e da La Pittura Napoletana del '900 di Mariantonietta Picone Petrusa, 2005.
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Arte - Luigi de Angelis
A Ischia c'era un barbiere-pittore Ricordi del pittore russo Gregorio Sciltian Introduzione e commenti
di Michail Talalay
Gregorio Sciltian autoritratto giovanile, 1955
L’autore del testo, Gregorio Sciltian (1900-1985), è un pittore russo di origine armena. Nato nella città russa meridionale di Rostov, si formò nell’Accademia delle Belle Arti di San Pietroburgo. Con la Rivoluzione bolscevica del 1917 scappò – attraverso Istanbul – in Europa, prima in Germania, e poi – dal 1923 fino alla morte (con brevi parentesi parigine) – in Italia. Ha avuto una carriera artistica lunga e fortunata con una vasta clientela e tante mostre personali a Milano, Roma, Firenze ecc. Nel 1983 espose le sue opere in patria (a Mosca). Morì a Roma il 1° aprile 1985 e fu sepolto presso il Cimitero acattolico di Roma 'Testaccio’, dove fu poi sepolta anche la moglie Elena, nata Boberman (1902-1991), pure lei di origine russo-armena. Sulla lapide è riportato il suo aforisma: «L’unico vero e supremo scopo dell’arte della pittura è stato e sarà sempre quello di ottenere l’illusione della realtà». Recentemente la città di Firenze gli ha dedicato una grande mostra monografica «L’illusione di Sciltian. Inganni pittorici alla prova della modernità» (Villa Bardini, 3 aprile – 6 settembre 2015). Il frammento che proponiamo ora ai lettori fa parte del volume dei ricordi del pittore Mia avventura, pubblicato dalla Rizzoli nel 1963 (Sciltian scriveva in russo ma l’originale del testo è sparito). Abbiamo cambiato la traslitterazione italiana dei nomi russi seguendo le norme scientifiche e abbiamo scritto i commenti. (...) Non mi sentii più a mio agio e, avendo la sensazione di essere un intruso, non desiderai più di rimanere a Sorrento1 e decisi perciò di partire per Ischia insieme con Muratov che si recava a trovare la sua famiglia in villeggiatura2.
Gregorio Sciltian, Mia avventura, Rizzoli Editore 1963
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1 A Sorrento Gregorio Sciltian fu ospite di Maksim Gor’kij ma durante una serrata ‘letteraria’ ha avuto un fiasco come narratore delle sue ‘avventure’. Cfr. anche Uno scrittore ‘amaro’ nel paese ‘dolce’. Maksim Gor’kij fra Capri, Sorrento e Mosca, a cura di M. Talalay. Capri, Oebalus 2006. 2 Pavel Muratov (1861-1950) – un storico d’arte, autore dei tre fortunatissimi volumi Imagini d’Italia.
Ischia, a quell’epoca, era veramente un luogo incantevole, un vero paradiso ancora sconosciuto ai villeggianti dove non c’era nemmeno una locanda o un alberghetto per soggiornare. Si affittavano le stanze dai pescatori e i bagni si facevano su una spiaggia naturale dietro le rocce di Porto d’Ischia. Dato che la luce elettrica non esisteva, la sera e di notte si passeggiava con le torce per recarsi su una collina da un vecchio che sembrava un sileno e che offriva un certo vinello fresco nelle anfore di terracotta nella sua capanna, da cui si godeva una vista splendida del Mediterraneo e dove si respirava la quintessenza dello spirito pagano e latino. Alloggiammo nella stessa casa dove abitava Muratov, in una casa di pescatori, dalle camere dipinte di fresco a calce e nelle quali non si poteva dormire per le miriadi di zanzare. La nostra comitiva aumentò, perché, poco dopo, vennero a trovarci lo scrittore Spaini, l’architetto russo Beloborodov ed un altro pittore russo, oggi assai noto, e Berman, che proveniva da Parigi3-4-5. C’era inoltre un pittore tedesco, Purmann6, che allora godeva di una grande fama in Germania, dov’era considerato il Matisse tedesco. Questo Purmann era un uomo piccolo, quadrato, tarchiato e grasso, con la barbetta bianca che gli conferiva un’aria da professore di chirurgia o di matematica. L’avevo già conosciuto a Roma perché mi era stato presentato, nel mio studio, da Muratov, ma i miei quadri non gli piacquero. Osservando i miei lavori, con il dito cortissimo indicava molto deciso una zona scura del mio lavoro, soprattutto ombre, e con voce metallica da comandante di squadrone diceva in tedesco: “Das ist ein Loch” (Questo è un buco). Con ciò voleva dire che le ombre non avevano colore. Ma nemmeno a me piaceva la sua pittura. Detestavo, come ora, i quadri di Matisse fin dalla mia giovinezza, quando li vedevo al Museo Ščjukin7a Mosca e tanto meno mi potevano piacere, logicamente, quelli del suo imitatore tedesco. Se non altro, il primo aveva un certo sfacciato coraggio buttando giù sulle tele enormi, come grossolani arabeschi, i colori smaglianti del suo Girotondo. 3 Alberto Spaini (Trieste 1892 – Roma 1975) – scrittore e giornalista. 4 Andrej Beloborodov (Tula 1886 – Roma 1965) – architetto, pittore e decoratore; cfr. In fuga dalla storia. Esuli dai totalitarismi del Novecento sulla Costa d’Amalfi, a cura di D. Richter, M. Romito, M. Talalay. Amalfi, Centro di Сultura e Storia Amalfitana 2005, p. 46-47. 5 Eugène Berman (San Pietroburgo 1899 – Roma 1972) – scenografo e pittore russo. 6 Hans Purmann (1880-1966) – maestro del postimpressionismo tedesco. 7 Museo Ščjukin – un museo privato del mecenate moscovita; dopo la Rivoluzione la sua collezione è entrata nell’odierno Museo Puškin.
Il ‘Matisse’ tedesco, invece, faceva delle piccole tele sulle quali con mano tremante era stesa una macchia di blu oltremare scuro, molto diluita con acquaragia, sopra un’altra macchia di blu oltremare un po’ più chiara, mentre a sinistra c’era un’altra macchia color marrone e tutto questo rappresentava un paesaggio di Ischia, frutto – secondo l’autore – di un assiduo e penetrante lavoro, dello studio spaziale e cromatico, dell’analisi e, nello stesso tempo, della sintesi dello spirito del paesaggio ischitano. Come sentii dire, Purmann era molto apprezzato in Germania. Era direttore di non so quale accademia, maestro indiscusso, ed è certo che gli giovavano molto l’aria austera da professore, i movimenti pacati e la voce metallica di quando parlava l’italiano con forte accento tedesco. La nostra giornata trascorreva sulla spiaggia, tra le rocce, con la vista lontana di Pozzuoli, in un piccolo porto naturale dove marinai seminudi sbarcavano da un veliero delle grosse pietre, muovendosi agilmente. Al tramonto, quando il cielo era già d’un color rosso oro ed il mare diventava di un verde smeraldo, le rocce si incupivano, ricordandomi i quadri di Claude Lorrain e di Salvator Rosa. A Ischia c’era un barbiere dal quale mi recai per farmi tagliare i capelli che mi crescevano come ora, in maniera vertiginosa. Si chiamava De Angelis e assomigliava moltissimo a Charlie Chaplin. La sua bottega era piena di quadri dipinti da lui stesso negli intervalli tra una barba e l’altra. Erano case d’Ischia,
Luigi De Angelis - Autoritratto, 1945
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Luigi de Angelis - Via Porto, 1935
vedute del mare e sacre processioni con i gonfaloni e i chierichetti, fatti con macchie rosse e bianche. Era la pittura di un primitivo, sicuramente aveva un certo fascino per la freschezza che emanava, come si dice oggi, e rivelava forse anche l’inizio molto nebuloso di un talento pittorico. Conoscendo bene i gusti pittorici dei miei contemporanei, imbevuti delle idee postimpressioniste, non dubitai che la pittura di questo De Angelis avrebbe potuto colpirli favorevolmente. La sera stessa a tavola raccontai della mia scoperta a Muratov, a Berman e Purmann. L’indomani accompagnai tutta la comitiva. Come avevo previsto, Purmann e Berman rimasero stupefatti, esaltati ed entusiasti e da quel momento incominciarono a montare la testa al povero De Angelis, con le conseguenze che ne derivarono, ben note in tutta Italia. Vedendo due personaggi gravi, seri e per di più stranieri, con accenti e voci squillanti ed autoritarie come quelle di Purmann e Berman, De Angelis si impressionò moltissimo. È certo che quello fu per lui il giorno più radioso della sua vita. Da buon napoletano, aveva una famiglia numerosissima, mi pare sei figli, e conduceva un tenore di vita triste e faticoso. L’apparizione di questi due misteriosi stranieri lo scombussolò completamente. Purmann e Berman divennero assidui frequentatori della sua bottega, guardavano con attenzione ogni pennellata dei suoi quadretti ed enunciavano incomprensibili apprezzamenti. Fatto si è che, incoraggiato da queste lodi, decise di dedicarsi completamente alla pittura, la22
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sciando la cura di radere le barbe al figlio quattordicenne e girando per l’isola a fare paesaggi. Per di più arrivò Spaini che, da vero giornalista, fiutò un soggetto interessante per un articolo. Eravamo nel periodo euforico della ricerca dei primitivi, iniziata con la scoperta del doganiere Rousseau, e quell’articolo apparso qualche settimana dopo su un giornale di Roma diede al povero De Angelis il colpo di grazia. Voglio rifare qui, brevemente, la storia di De Angelis, che è caratteristica per i costumi dell’arte moderna. De Angelis si esaltò enormemente. Malgrado le proteste e i pianti della moglie, teneva la sua numerosa famiglia alla fame e dipingeva quadri dalla mattina alla sera. Certamente sognava gloria mondiale, ricchezza, castelli e chissà che altro ancora. Al nostro ritorno a Roma, in seguito agli articoli di Spaini e dopo i racconti di Purmann, Berman e Muratov, Bragaglia8 decise di allestire una mostra e De Angelis capitò a Roma con quaranta quadri, impegnando le ultime lenzuola al Monte di Pietà per pagarsi le spese di viaggio. Venne direttamente a casa mia e, insieme con Bragaglia, dovemmo aiutarlo a fronteggiare le spese e alloggiarlo in un alberghetto. De Angelis era superesaltato e pensava, dopo la mostra di Roma, di comperarsi una casa a Ischia. La mostra ebbe un certo successo di critica, ma nessun quadro venne venduto, cosicché, povero e deluso, ritornò a casa grazie alle poche lire che racimolammo con i nostri sforzi comuni. Tuttavia, in seguito ebbe un altro colpo di fortuna. Berman, rientrando a Parigi, mostrò i lavori del nostro barbiere a varie gallerie parigine, e, siccome il momento era molto opportuno per il fatto che la fantasia e le ricerche dei critici erano orientate verso i cosiddetti primitivi – ingenui dilettanti alla doganiere Rousseau – una galleria assai importante stipulò con De Angelis un contratto di un anno e mezzo, che assorbiva tutta la sua produzione dietro un compenso di mille franchi mensili. Certamente, se a questa galleria si fosse presentato un giovane di talento e desideroso di perfezionarsi nell’arte della pittura, i mercanti di Parigi non solo non avrebbero sborsato nemmeno un franco, ma con molto disprezzo lo avrebbero messo alla porta. Ma il caso del barbiere che viveva nell’isola misteriosa e dipingeva le processioni religiose, doveva sembrare una cosa altamente interessante e attraente, una rivelazione artistica di portata mondiale. Per De Angelis fu certamente una bella soddisfazione. Allora mille franchi a Ischia rappresentavano per lui una certa tranquillità, con la speranza radiosa di ricchezza e di celebrità mondiale. Perduta com8 I fratelli Anton Giulio e Carlo Lodovico Bragaglia, fondatori della Casa d’Arte Bragaglia, una galleria d’arte indipendente a Roma.
pletamente la testa, dipingeva dalla mattina alla sera quadri che spediva a Parigi. L’anno seguente, quando la Galleria decise di fare la mostra di De Angelis, a Parigi il vento era completamente cambiato, era venuta la moda degli isterici espressionisti alla Soutine. Il contratto venne disdetto e da quel momento De Angelis rientrò di nuovo nell’ombra, vivendo con il cuore spezzato dalle illusioni non realizzate, e dal miraggio tramontato della gloria. Sembra che, ancora ora, mandi continuamente i quadri alle mostre e che le barbe ed i capelli vengano sempre tagliati dal figlio. Al ritorno da Ischia avevamo appuntamento a Napoli con Valentina e tutta la famiglia di Gor’kij9. Era il 7 settembre, giorno di Piedigrotta. Dovevamo incontrarci nella hall dell’albergo Vesuvio, ma quando ci accostammo a Napoli, nel pomeriggio, ci parve di entrare in un inferno. Era un vero baccanale dei tempi pagani, tutti gli scugnizzi, e i popolani erano per le vie, urlando e fischiando in preda a un’esaltazione indescrivibile. Allora si andava ancora in carrozzella, ma molti cocchieri erano fermi perché i ragazzini avevano tolto i finimenti ai cavalli e si aggrappavano ai quadrupedi tirandoli per la coda. La folla urlante aumentava di continuo, mai in vita mia vidi una tale caotica confusione. Con molta difficoltà scendemmo dal battello ed arrivammo nella hall dell’albergo dove incontrammo Gor’kij, suo figlio, la baronessa Budberg e Valentina con qualche altra persona10. Cominciava l’ora del meraviglioso crepuscolo settembrino napoletano. Miriadi di stelle si accendevano in cielo mentre la via Caracciolo e tutte le strade che scendevano dalla via Chiaia ed altri vicoli che oggi non esistono più, rigurgitavano di altre miriadi di teste dagli occhi brillanti. E mani che gesticolavano da tutte le parti, fischi e urli, fanalini, maschere, turbanti, ventagli. Commettemmo la leggerezza che era davvero pura follia di fare una passeggiata in mezzo a questa folla. Ma Gor’kij ne era entusiasta, e curioso di queste nuove emozioni. A spintoni volevamo farci strada, ma in quel momento Gor’kij venne riconosciuto, e assalito e preso da decine di braccia e portato via di forza malgrado i pugni dell’atletico Massimo che cercava di salvarlo trattenendolo per le gambe. Dopo un attimo, vedemmo Gor’kij senza cappello, lontano, che sembrava nuotasse in mezzo alla folla immensa, portato a braccia, accompagnato da mille voci che gridavano “Viva 9 Valentina Chodasevič (Mosca 1894 – Mosca 1970), pittrice, scenografa russa. 10 Maria Budberg, nata Zakrevskaja (Poltava 1893 – Firenze 1974), all’epoca il segretario di M. Gor’kij; cfr. Nina Berberova, Storia della baronessa Budberg / trad. dal russo di Patrizia Deotto, Julija Dobrovol’skaja, Adelphi, 1993.
Luigi De Angelis - Veliero nel porto d'Ischia, 1933
Luigi De Angelis - Vecchie case in Ischia Ponte, 1933
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Gor’kij”. Rimanemmo stupefatti e preoccupati, sapendo che Aleksej Maksimovič [Gor’kij] non parlava quasi l’italiano e potevamo quindi pensare a qualche incidente veramente spiacevole. Massimo voleva correre alla polizia ma anche questa era un’impresa pazzesca. Poiché avevamo già prenotato un tavolo alla trattoria di Zi’ Teresa dove attendevamo anche qualche autorità, ci facemmo accompagnare dal portiere dell’albergo e da due carabinieri. Ma Gor’kij era scomparso. A tutti passò la voglia di mangiare e lo attendemmo mortificati e muti. A un tratto, verso le ventitré, le grida cominciarono ad aumentare e vedemmo un corteo avanzare attraverso la folla e, in mezzo, una carrozza trainata da scugnizzi al posto dei cavalli, nella quale era seduto Gor’kij, sconvolto e pallido, ma raggiante. Sulle spalle aveva delle ghirlande di fiori di carta e foglie d’alloro. Attorno a lui, la folla, che con interminabili evviva lo aveva portato in giro per tutta Napoli in un’apoteosi di trionfo. Un po’ d’emozione, termina-
Riassunto in russo
На Искьи жил цирюльник-художник Воспоминания русского художника Григория Шилтяна Григорий Иванович Шилтян (Шильтян) родился в 1900 г. в Ростове-на-Дону, в 1919 г., бежал из России и к 1924 г. добрался до Рима, через Стамбул и Берлин. В 1926 г. он было переехал в Париж, однако в 1934 г. вернулся в Италию, где прожил насыщенную и успешную жизнь художника, преимущественно в Милане. Шилтян скончался в 1985 г. (в Риме), успев перед смертью, в 1983 г., провести свою персональную выставку в Москве. В 2015 г. во Флоренции на Villa Bardini состоялась обширная монографическая экспозиция его творчества под названием «L’illusione di Sciltian. Inganni pittorici alla prova della modernità» («Иллюзия Шилтяна. Художественные обманы в проверке современностью»). В середине 1950-х гг. художник начал работать над своими воспоминаниями, которые писал на русском языке, а опубликовал на итальянском в 1963 г. под названием «Mia avventura» («Мои приключения»). Для искитанского альманаха мы выбрали из них фрагмент, посвященный преимущественно 24
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Luigi De Angelis - Natura morta con pesci, 1952
ta con un’allegra e meravigliosa serata sotto la luna splendente, con serenate napoletane e spaghetti alle vongole. Ma, purtroppo, Gor’kij si accorse che gli era stato rubato l’orologio d’oro. (...) Gregorio Sciltian
открытию местного художника-самоучки по имени Луиджи Де Анджелис (1883-1966). На Искью автор приехал после Сорренто, где гостил у Максима Горького и где весьма неудачно и сбивчиво выступил – по настоянию писателя – с рассказом о своей жизни и творчестве: «Мне было слишком не по себе и, ощущая свое присутствие нежелательным, я не захотел больше оставаться в Сорренто и решил уехать вместе с Муратовым, отправлявшимся на о. Искья, где была на отдыхе его семья.» На острове Шилтян с женой Еленой Абрамовной, урожд. Боберман (Ереван 1902 – Рим 1991), снимали комнату в том же жилище рыбака, где жил с семьей и знаменитый искусстововед П.П. Муратов. Муратов тогда обратил внимание на картины в стиле «примитив», которыми была увешана цирюльня, которую посещали все приезжие: сам Муратов, Шилтян, архитектор А.Я. Белобородов, немецкий художник Ханс Пурманн (основатель немецкого течения подражателей Матисса) и русский эмигрантхудожник Леонид Берман, а также римский журналист Альберто Спаини. Автором картин оказался сам цирюльник, бедный и обремененный заботами о многочисленной родне. Вся группа единодушно решила, что
картины искитанского цирюльника ничуть не хуже, чем картины французского таможенника Руссо. Спаини написал и отправил в Рим статью о нем. История «цирюльника Де Анджелиса» – очень показательна, по мнению Шилтяна, для «нравов нашей современности». Вернувшись в Рим, Муратов и Шилтян уговорили владельца одной галереи устроить персональную выставку Де Анджелиса. Тот, распродав что было возможно из своего имущества, явился в Рим с несколькими десятками своих картин (большую часть которых написал за пару недель, специально для выставки). Выставка, однако, успеха не имела: «таможенник» Руссо, только входивший в моду, был французом, и в Италии еще не известным, как и всё поветрие «примитивизма». Бедный цирюльник вернулся на Искью – еще беднее, чем был, и на деньги, собранные для него теми же Муратовым и Шилтяном. Однако сам Берман, в Париже, попал с картинами «цирюльника Де Анджелиса» в правильную струю: «фантазия и изыскания французских критиков были в тот момент сосредоточены на примитивистах – дилетантахсамородках, не испорченных учением», как пишет Шилтян. В итоге в Париже Де Анджелис получил признание и был взят под опеку
одним маршаном, к которому стала поступать вся последующая продукция «цирюльника с Искьи» в обмен на солидный месячный оклад. «Конечно, – заключает этот эпизод Шилтян, – если бы к этому маршану пришел молодой и талантливый профессионал, никто и не взглянул бы ни на него, ни на его картины. А вот фигура “цирюльника с далекого острова” выглядела необыкновенно привлекательно – и вот готово художественное открытие мирового значения». Луиджи Де Анджелис с момента его «открытия» русскими художниками год за годом становился все более знаменитым, особенно на его малой родине – Искьи. Его картины сейчас находятся в самых престижных европейских галереях; ему посвящены статьи и монографии. Что касается самого Шилтяна и его интересных воспоминаний, то в настоящий момент земляк художника, ростовчанин Андрей Летовальцев готовит для публикации перевод на русский первой части книги его книги, посвященной родному городу. Михаил Талалай при участии Вардуи Халпахчьян
Luigi De Angelis - Processione, 1934
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Annuncio divulgativo della manifestazione
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Le foto delle pagine 26 e 27 sono di Giorgio Di Iorio Photo Ischia - http://giorgiodiioriophoto.blogspot.it/
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Castello Aragonese – Cappella Calosirto Affreschi ritrovati e restaurati Il ritrovamento di un oratorio gentilizio nascosto nel Castello Aragonese d’Ischia richiama ancora una volta l’attenzione sul patrimonio storico-artistico dell’isola, di cui si può leggere la consistenza specifica nella pubblicazione1 di Serenaorsola Pilato, storico dell’arte, che «con grande professionalità e generosità, come scrive Nicola Mattera, ha segnato una ulteriore importante tappa nell’affascinante viaggio di ricostruzione della storia del Castello». Ci si trova di fronte ad una nuova fonte d’informazioni per la storia isolana e ad un nuovo passo nella ricostruzione degli avvenimenti che si svolsero tra la fine del Duecento e l’inizio del Trecento. E, aggiunge ancora Gina Carla Ascione, «conviene partire da un dato certo: la storia di Napoli e dell’intero meridione d'Italia, prima di raggiungere la capitale del Regno, è passata attraverso l’isola d’Ischia ed in particolare ha lambito il suo castello, arroccato sull’isolotto trachitico proteso nel mare». Nella cripta della Cattedrale dell’Assunta è stata ritrovata una cappella con dipinti, che sono stati studiati e recuperati dall’Istituto Europeo del Restauro con la direzione di Alberto Felici e della restauratrice Eleonora Cerra, e sotto la sorveglianza della Soprintendenza di Belle Arti e Paesaggio per il Comune e la Provincia di Napoli.
a volte a crociera, che originariamente affrescata, si mostra oggi priva di decorazione. Nella parete sud è ancora visibile il corpo di fabbrica che costituiva l’antico altare, coevo all’edificazione della cappella stessa, nella quale si distinguono due differenti momenti pittorici: sulla parete frontale e su quella nord sono raffigurate scene dell’Infanzia del Cristo, mentre la parete sud, evidentemente incompleta, presenta un interessante riquadro centrale raffigurante l’Uomo dei dolori tra la Vergine, San Giovanni Evangelista e Santi. La diversità temporale dei cicli pittorici s’inserisce nella più complessa questione della datazione della cappella stessa, la cui antichità rispetto alle nicchie superiori è comprovata proprio dalle Storie dell’Infanzia, le quali articolate su due registri e ripartite in riquadri bordati di rosso, sono identificabili come la testimonianza più arcaica presente all’interno del complesso.
Gli episodi sono illustrati secondo l’ordine convenzionale: nella parete frontale l’Arrivo dei Magi a Betlemme e l’Adorazione della Vergine e del Bambino, nella parete est la Strage degli innocenti, la Fuga in Egitto, la Circoncisione di Gesù al tempio. Purtroppo dell’Arrivo dei Magi è visibile soltanto la parte inferiore dei cavalli, ben conservata è invece l’affollata scena dell’Adorazione. I tre protagonisti sono vestiti all’antica con abiti lunghi, mantelli e copricapo alla frigia, sono accompagnati dall’immancabile servo, cavalli e un dromedario, in evidente riferimento al testo dell’antico testamento: uno stuolo di cammelli ti invaderà, dromedari di Madian e di Efa (Is 60,6). Dettagli iconografici interessanti questi ultimi, ai fini della comprensione della formazione culturale dell'anonimo pittore, il quale appare saldamente ancorato alla tradizione orientale di Bisanzio.
«La cappella presenta un impianto rettangolare con copertura 1 Serenaorsola Pilato, La Cappella dei Calosirto, il ritrovamento di un oratorio gentilizio nascosto, 2015.
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Visione interna della cripta
Non trascurabile è poi il modus ingenuo e poco naturalistico con cui gli animali sono stati dipinti2. In parte incompleta si presenta la scena della Strage degli Innocenti, nella quale soldati in abiti moderni occupano la convulsa parte centrale della raffigurazione. Lo sfondo è occupato da traballanti strutture architettoniche simulanti il castello di Erode, raffigurato al balcone, i bambini frettolosamente dipinti molto spesso appaiono incompleti di piedi e mani soltanto accennati da una linea di contorno3. La Vergine della Fuga in Egitto è la stessa dell’Adorazione dei Magi, realizzata presumibilmente con lo stesso cartone preparatorio. In groppa a un asino, che occupa buona parte del riquadro, Maria regge il bambino mentre il paziente Giuseppe guida l’animale. Nell’ultimo pannello è invece rappresentata la Circoncisione di Gesù al Tempio, in cui il centro della scena è impegnato da un baldacchino privo di prospettiva, sotto il quale sono il Bambino e il Sacerdote, mentre la Vergine e Giuseppe, i cui tratti somatici palesano l’ancor vivo rapporto con il mondo orientale, sono disposti lateralmente. La peculiarità di questo ciclo pittorico è insita, come già affermato, nella sua primitività non solo rispetto agli affreschi delle cappelle superiori della cripta, ma anche a 2 Ingenuità ancora più accentuata se posta a confronto con la straordinaria resa naturalistica della coeva produzione tardo-federiciana, contemporanea delle pitture, riscontrabile in capolavori come il Messale del Salterio nel Museo della Cattedrale di Salerno o il codice delle Decadi di Tito Livio custodito presso Biblioteca Nazionale di Parigi. 3 È necessario sottolineare che lo stesso dictus è utilizzato anche per tracciare le dita delle mani della scultura della parete ovest. Sono adoperati lo stesso colore e la medesima tecnica. Questo indurrebbe a supporre che sia stato lo stesso autore degli affreschi a occuparsi della decorazione pittorica della scultura, la cui vicinanza temporale agli affreschi con scene dell'Infanzia è già stata messa in risalto.
paragone con la decorazione muraria della parete sud dello stesso ambiente. Il rapporto con la cultura bizantina traspare innanzitutto da scelte di carattere iconografico. I Magi abbigliati all’antica rimandano ancora alle note raffigurazioni dei mosaici di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna, risalenti al VI sec d. C. e di Santa Maria Maggiore a Roma. Tipologia fortemente diffusa ancora nel dodicesimo secolo, ma soggetta a trasformazioni nel corso del tredicesimo, quando si assiste all’eliminazione del copricapo e all’utilizzo della corona regale, come nel caso di Sant’Angelo in Formis, fino al Nimbo d’oro introdotto nel XIV secolo da Giotto nell’Adorazione della Cappella Scrovegni di Padova. Totalmente arcaiche appaiono le soluzioni stilistiche nelle figure completamente bidimensionali dai tratti fisiognomici ancora orientaleggianti, disposti su sfondi paesaggistici e architettonici estremamente ingenui. Gli affreschi dell’Infanzia sono interpretabili come il prodotto di un artista operante in un clima ancora sostanzialmente legato alla cultura orientale, ignaro dei mutamenti che di lì a qualche anno avrebbero rivoluzionato la rappresentazione dello spazio e della natura. Essi sono collocabili cronologicamente entro l’ultimo decennio del XIII secolo, tarda interpretazione dei valori di Bisanzio che, perso il forte carico simbolico iniziale, si limitano a dare vita ad una stanca ripetizione di soggetti e paesaggi privi di profondità. Realizzate anteriormente all’eruzione del Cremato, le pitture vanno intese come il prodotto di una cultura distinta rispetto a quella ormai più matura e moderna qualificante gli affreschi delle cappelle superiori della cripta, i più antichi dei quali sono riconducibili agli anni trenta del Trecento e palesemente connessi all'esperienza di Pietro Cavallini a Napoli. La pit-
tura dell’artista romano si diffuse non solo in città, dove era documentato dal 13084, nei cantieri legati a Carlo II e Maria di Ungheria, ma anche al di fuori della capitale, un fenomeno davvero rilevante come ha bene evidenziato Leone De Castris5. L’area culturale di provenienza dell’anonimo pittore delle Storie dell’Infanzia, va individuata nel territorio salernitano. Un riferimento stimolante è riscontrabile nell’affresco della cripta della Cattedrale di Salerno, raffigurante la Crocefissione, opera datata fine del XIII secolo, nella quale la cultura profondamente bizantina dell’autore si arricchisce di elementi francesi e giotteschi6. Gli affreschi della Cripta del Castello, anche se privi delle originali soluzioni del maestro di Salerno, presentano al contempo delle interessanti vicinanze con l’affresco salernitano. Sono immediatamente percepibili le comunanze tra il volto del Bambino di Ischia e il Longino di Salerno dagli stessi occhi e dalle accentuate e spesse sopracciglia, le tipologie delle figure 4 I documenti sono integralmente riportati in P. Luigi De Castris, Pietro Cavallini Napoli prima di Giotto, Napoli 2014. 5 P. Leone De Castris, Giotto a Napoli, 2006, p. 168. Lo studioso scrive che la sua entità e specie la lunga durata, sino a tutti gli anni Venti e in qualche caso sino agli anni Trenta Quaranta del Trecento, anche al di là del crinale giottesco e in particolar modo nel settore della decorazione a fresco degli edifici sacri, consentono in realtà di trovarne gli esiti e di delinearne una mappa che si estende a molte altre chiese cittadine d'età medioevale ed imo al di fuori della capitale, nella provincia in specie campana. 6 F. Bologna, I pittori alla corte angioina di Napoli 1266-1414, Napoli 1969,p. 62. Lo studioso sottolineava la presenza nell'affresco salernitano non solo di elementi giotteschi, ma anche di riferimenti pittorici riconducibili all'esperienza del Roussilon, come la forte caratterizzazione espressiva dei personaggi e le particolari striature creanti effetti di chiaro scuro dei sassi su cui la croce è posta.
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femminili, il san Giuseppe dalla folta barba, più volte riproposto nelle pitture di Ischia, ricalcante l’archetipo degli Apostoli salernitani. Il legame con il territorio salernitano d’altronde esisteva da tempo dal momento che Yscla era politicamente vincolata alla giurisdizione del Ducato di Salerno. Le Storie dell’Infanzia, risultato dell’opera di un artista ingenuo e non particolarmente talentuoso, costituiscono un'interessante traccia dell’antica civiltà del castrum Gironis7, della quale ci sono giunte notizie dai documenti angioini ritrovati, ma che, di fatto, a oggi non era stato mai possibile verificare. In tal senso va anche interpretato il ritrovamento dello stemma e la sua restituzione alla famiglia Calosirto (dal libro di S. Pilato). 7 Ovviamente i riferimenti sono riconducibili alla civiltà altomedioevale, non considerando tutto il complesso aspetto archeologico e paleocristiano non oggetto di studio in questa sede.
Cappella Calosirto Madonna con bambino
Cappella Calosirto - Anonimo : strage degli innocenti
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Ein Arimois Ritorno ad Ischia di Valentino Nizzo
Il mito e la storia - In una delle frequenti metafore che scandiscono la narrazione dell’epico scontro fra Greci e Troiani nella piana di Ilio (Iliade, II, 780-783), Omero paragona il frastuono dei passi delle schiere di armati con quello della terra gemente in preda al fuoco scossa dai fulmini di Zeus che, dopo aver rischiato di essere spodestato dal mostruoso gigante Tifeo (foto in alto), riuscì definitivamente a imprigionarlo sotto un letto di rocce, fra gli Arimi. Quando i versi citati furono composti, l’immaginario greco poneva il paese degli Arimi - e, quindi, l’ultima dimora del gigante - nel Vicino Oriente, in Cilicia o in Siria (Strabone, XIII, 4.6-7), Figura in alto: Veduta aerea del sito di Pithekoussai, presso Lacco Ameno a Ischia (Foto J.-P. Brun. Nel riquadro incisione settecentesca raffigurante il gigante Tifeo imprigionato sotto l'isola d'Ischia (da C. E. de Quintiis, Inarime seu de balneis Pithecusarum, Napoli 1726).
una localizzazione questa che, secondo una prassi comune anche ad altri miti, in seguito alla progressiva espansione dei Greci in Occidente, finì con il tempo per essere spostata presso Ischia o in Sicilia, dove la poderosa mole del Monte Epomeo, in un caso, e quella dell’Etna, nell’altro, parvero ai primi coloni una perfetta sede nella quale collocare il luogo di prigionia di Tifeo che, nel tentativo di liberarsi, avrebbe dato origine ai fenomeni tellurici e vulcanici che tanto contraddistinguono quelle località. Accadde così che, nel recupero dell’epica omerica operato da Virgilio nell’Eneide (Aen., IX, 715-713: Tum sonitu Prochyta alta tremit durumque cubile // Inarime Jovis imperii imposita Typhaeo), la greca Pithekoussai venne ad acquisire, insieme al mito del recalcitrante Tifeo, anche il nome poetico di Inarime che, oltre a evocare direttamente il passo iliadico menzionato, attraverso un procedimento La Rassegna d’Ischia n. 1/2016
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etimologico più o meno lecito poteva essere connesso al termine utilizzato dagli Etruschi per designare le scimmie, arimoi, in perfetta analogia con una delle parole greche che si supponeva fossero all’origine del toponimo Pithekoussai, il sostantivo pithekos, grazie al quale Ischia poteva essere calata in una dimensione esotica e selvaggia, come dovette forse apparire ai primi coloni, di isola delle scimmie (Strabone, l. c.). Quale che fosse la realtà che si cela dietro il significato e/o l’origine dei nomi antichi d’Ischia (ai quali, è bene ricordare, si aggiungeva anche quello di Aenaria) sta di fatto che un’attenta lettura di un altro passo straboniano (V, 5.9) e di un brano di Tito Livio (VIII, 22.5-6) ha permesso, ancor prima che se ne avesse una diretta conferma archeologica, di guardare a Pithekoussai come il più antico stanziamento greco d’Occidente, nato grazie all’intraprendenza di coloni originari dell’Eubea (Calcidesi ed Eretriesi, secondo Strabone), genti alle quali è oggi universalmente riconosciuto un ruolo propulsivo nel processo di colonizzazione dell’Italia meridionale in virtù del quale, almeno fino al terzo quarto dell’VIII sec. a. C, gli Euboici furono fra i principali competitors dei Fenici nello sfruttamento commerciale delle rotte del Mediterraneo orientale e occidentale
La scoperta e gli scavi - Perché questo dato
tramandato fuggevolmente dalle fonti antiche acquisisse la consistenza materica della testimonianza archeologica, si dovette tuttavia attendere la seconda metà del secolo scorso e l’iniziativa di un archeologo bavarese, Giorgio Buchner (1914-2005), il quale, trapiantato a Ischia al seguito della famiglia, fin da ragazzino era rimasto affascinato da quanto J. Beloch aveva scritto in relazione a Pithekoussai nella sua monografia Campanien del 1890 e aveva potuto trovarne personale conferma nelle escursioni che ebbe modo di fare agli inizi degli anni ‘30 sull’altura del Monte di Vico, presso Lacco Ameno, e negli immediati dintorni. La curiosità e la profetica immaginazione del giovane Buchner vennero soddisfatte solo a partire dal ‘52 quando nella sottostante valle di San Montano egli, in qualità di ispettore della locale Soprintendenza, ebbe modo di dare finalmente inizio all’esplorazione del sepolcreto relativo al primo stanziamento di coloni greci sull’isola, scavo protrattosi con brevi soste fino al ‘61 e poi ripreso con fasi alterne dal ‘65 fino all’ ‘82, anno in cui, per iniziativa del Soprintendente di allora, F. Zevi, Buchner “trasmise” a una nuova generazione di studiosi il suo metodo di scavo. Nel corso di un trentennio vennero portate alla luce circa 1300 sepolture di cronologia compresa fra l’VIII sec. a.C. e il III d.C, tra cui solo le 723 scavate fra il ‘52 e il ‘61 sono state fino ad oggi edite,
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una cifra che, pur rilevante, può corrispondere a ca. il 5-10% di quella che dovette essere l’originaria consistenza della necropoli (fig. in questa pagina) Com’è facile immaginare i risultati di queste esplorazioni ebbero immediata e universale risonanza, varcando senza difficoltà le soglie anguste del mondo scientifico, dando al contempo nuova linfa alla ripresa delle indagini storico-archeologiche sulle problematiche connesse ai primordi del fenomeno coloniale (Bérard, Vallet, Villard) e alle dinamiche di contatto fra Greci e indigeni (D’Agostino, Johannowsky, Gras, Bartoloni) e offrendo ulteriori spunti per una migliore puntualizzazione della sequenza cronologica greca fra l’VIII e il VII secolo (Coldstream, Boardman, Neeft). L’eccezionalità delle scoperte di Buchner, al quale a partire dagli anni ‘60 si andò affiancando l’archeologo britannico David Ridgway, non scaturiva soltanto dalla natura dei rinvenimenti ma era la diretta conseguenza della condizione archetipica dello stanziamento che permetteva di osservare il processo della penetrazione greca in Occidente nella sua fase embrionale, anteriore alla codificazione che ci è stata trasmessa attraverso fonti quali la digressione sulla colonizzazione della Sicilia delle Storie di Tucidide (VI, 2-5); a questo si aggiunga il dato non meno straordinario dell’integrità dei corredi, alterati unicamente da fattori naturali o dagli scarsi disturbi che essi subirono in età antica, e l’elevata qualità scientifica e tecnica degli scavi che permise di re-
Pianta di Pithecussai con il posizionamento delle principali aree di scavo (da I Greci in Occidente, Milano 1996)
gistrare informazioni preziose e assai poco comuni per quella che era la prassi allora diffusa in ricerche di questo stesso tipo. La notevole attenzione al dato stratigrafico (foto a fianco in alto), in particolare, è quella che ha permesso allo scrivente, a quasi 50 anni di distanza dalla conclusione del primo lotto di indagini, di tentare una ricostruzione della sequenza crono-tipologica del sepolcreto che, oltre a dare ulteriore conferma a gran parte delle intuizioni degli Editori, ha fornito alcuni spunti di riflessione dei quali si vuol dare in questa sede una brevissima sintesi. Stratigrafia, tipologia e cronologia - Il dato che senza dubbio rappresenta una caratteristica peculiare della necropoli pithecusana è quello relativo alle dinamiche attraverso le quali essa venne formandosi, dinamiche la cui lettura, a differenza di quanto accade in altri sepolcreti, è resa possibile dalla concomitanza di fattori che ne hanno mirabilmente preservato l’integrità; la distribuzione delle sepolture e la loro sovrapposizione, infatti, come ha sin da subito intuito Buchner, erano quasi sempre il frutto di scelte coscienti, conseguenti a una preventiva suddivisione in “lotti” degli spazi funerari che permise a gruppi familiari più o meno allargati di perpetuare sul terreno, nell’arco di più generazioni, i vincoli genetici che li congiungevano (foto a fianco in basso); ne è conseguito che, in molti casi, la ricostruzione delle molteplici interrelazioni fra le sepolture riversata, com’è consuetudine, in un diagramma stratigrafico, ha potuto acquisire i tratti semantici di una sorta di albero genealogico, con tutte le conseguenze interpretative che possono derivarne. Sul piano crono-tipologico la classificazione sistematica di tutti i manufatti restituiti dal sepolcreto (2657 in totale) e la valutazione del loro quadro associativo, guidata dallo schema “oggettivo” delle relazioni stratigrafiche, ha costituito l’ossatura diacronica entro la quale posizionare, con un grado di approssimazione variabile, la totalità dei 618 “contesti” di cronologia compresa fra la seconda metà dell’VIII e l’inizio del VI sec. a.C. editi nel 1993, anche nel caso in cui essi fossero sprovvisti di corredo. L’intreccio dei dati derivanti dalla seriazione tipologica con quelli stratigrafici ha permesso la creazione di una griglia cronologica di riferimento strutturata in 31 «livelli» entro i quali sono stati variamente suddivisi i primi 150 anni ca. di vita del sepolcreto, in misura proporzionata al grado di informazioni disponibili per ciascuna delle fasi in cui esso è articolato. La presenza in una delle sepolture prese in esame, la tomba 325 (TG 2, liv. 24), di uno scarabeo con il cartiglio del faraone Bknrnf (Bokchoris: 718-712 ca. a.C.) ha fornito infine il perno, in termini cronologici assoluti, al quale ancorare lo schema diacronico suddetto.
Veduta della necropoli di Pithekoussai in corso di scavo (da Buchner-Ridgway 1993). In alto a sinistra l'area ella tomba 168.
Necropoli di Pithekoussai. Sezione schematica dello sviluppo di un appezzamento familiare (da Ridgway 1984, modificato). Le lettere maiuscole indicano le cremazioni con tumulo, quelle minuscole le inumazioni (a: di neonato a enchytrismos; b: di adulto senza corredo; c-d : di bambini con corredo)..
Ne è conseguito un quadro, per certi versi, inedito la cui lettura, visto anche il grado di dettaglio che è possibile raggiungere per le fasi più antiche, può essere intrecciata almeno in parte con eventi della storia mediterranea coeva quali, ovviamente, l’espansione greca e fenicia in Occidente o, anche, l’avanzata assira nel Vicino Oriente e, forse, l’oscura Guerra Lelantina che in Eubea, in un momento imprecisato della seconda metà dell’VIII secolo, vide contrapporsi in uno scontro fratricida le città di CalLa Rassegna d’Ischia n. 1/2016
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cide ed Eretria per il controllo di una esigua lingua di terra pianeggiante. L’esame dello sviluppo della cultura materiale di Pithekoussai, infatti, se inserito in un contesto diacronico, può rivelare interessanti parallelismi con gli avvenimenti citati quali, ad esempio, l’esaurirsi improvviso di manufatti di presumibile importazione siriana in concomitanza con i successi di Sargon II o l’impennata delle importazioni corinzie in coincidenza con l’impianto delle prime colonie doriche in Sicilia. Gli stessi fenomeni dovettero avere un immediato impatto anche nella composizione e nell’evoluzione della comunità pithecusana, com’è forse dato constatare nel tentativo di interpretare le dinamiche demografiche riflesse dal sepolcreto, cosa auspicata da Ettore Lepore sin dal 1973. Ciò sembra possibile grazie a diversi fattori che contribuiscono ulteriormente ad accrescere l’eccezionalità del sito in esame: in primo luogo, la composizione multietnica della comunità che, proprio in virtù del suo carattere di avamposto aperto alla sperimentazione, poté accogliere elementi greci, levantini e indigeni dando luogo a una commistione culturale che, a buon diritto, dovette avere un ruolo determinante nell’esplosione del fenomeno Orientalizzante; in secondo luogo, la non meno importante disponibilità ad accogliere nello spazio cimiteriale collettivo tutti i membri della comunità a prescindere dalla loro origine, dal sesso, dall’età e dallo status, senza in tal modo dar corso a quelle pratiche di discriminazione funeraria tanto diffuse in altri sepolcreti in seguito alle quali potrebbe conseguire inevitabilmente una percezione alterata e, spesso, fuorviante della “società dei vivi”, com’è stato in più occasioni ribadito da B. D’Agostino. In mancanza di filtri di questo tipo e tenendo conto anche del caratteristico sviluppo del sepolcreto in virtù del quale ogni appezzamento può riflettere la storia di un singolo gruppo familiare, sembra lecito procedere all’interpretazione dell’evoluzione diacronica dei rapporti proporzionali fra le varie componenti della comunità, come donne/uomini o bambini/adulti, e intrecciarle con quella che è un’altra delle caratteristiche peculiari del rituale funerario adottato a Pithekoussai per cui la pratica dell’incinerazione sembra essere prerogativa esclusiva degli individui adulti di origine greca, laddove l’inumazione, invece, è riservata generalmente ai soggetti più giovani e/o agli immigrati di origine levantina o indigena. I piani di lettura a questo punto sono molteplici tanto che sembra possibile correlare alcune significative alterazioni dell’andamento demografico con eventi quali l’impianto sulla terraferma della subcolonia Cuma e/o i perturbamenti conseguenti allo scontro per il possesso della piana Lelantina, o la diaspora di componenti greche e levantine insedia34
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te nel Vicino Oriente in seguito alle imprese assire. Naturalmente le problematiche appena evidenziate e le molte altre che potrebbero ancora scaturirne necessitano di un ulteriore approfondimento che, si auspica, possa essere integrato dall’edizione della parte restante del sepolcreto e, si spera, anche da un supplemento di indagini che possa metterne in luce le porzioni che, in base all’evidenza offerta dalla necropoli di Cuma, si suppone abbiano caratterizzato quella di Pithekoussai nella quale mancano quasi del tutto sepolture riferibili ai ceti sociali dominanti, come quelle documentate più o meno contemporaneamente nel fondo Artiaco di Cuma e nell’Heroon presso la porta Ovest di Eretria, ceti cui va senza dubbio attribuito l’impulso all’impresa transmarina.
Il caso della tomba 168 - Per concludere sembra opportuno fornire un breve cenno su quella che può essere considerata la principale novità rispetto al quadro magistralmente ricostruito dagli Editori del sepolcreto, che consiste in un tentativo di revisione del corredo della celebre tomba 168. Ai profani quello che può apparire un numero fra i tanti contraddistingue uno dei più celebri contesti archeologici venuti alla luce in uno stanziamento coloniale greco. La 168, infatti, è nota per antonomasia come la “tomba della Coppa di Nestore” perché nel suo corredo figura la celebre tazza con iscrizione metrica che non solo costituisce uno dei primi esempi di scrittura alfabetica greca ma contiene anche la più antica allusione all’Iliade (Iliade, XI, 632-7), tanto da costituire un punto di riferimento cronologico fondamentale per l’intero poema (fig. in basso). La sepoltura, una cremazione a tumulo riferita a un soggetto di sesso maschile ed età compresa fra i 12 e i 14 anni, è la più ricca fra quelle ad oggi edite e costituisce quasi l’epicentro di uno dei lotti familiari (gruppo A01) più cospicui della necropoli, sia per numero di individui (82), che per ricchezza e durata, visto che esso perdura, senza soluzioni di continuità, dalla fase più antica fino ad oggi nota (TG 1: liv. 10)
Tomba 168. La "Coppa di Nestore"
sino alla fine del TG 2 (liv. 28), contando ben 12 sovrapposizioni consecutive. La posizione cronologica della tomba in esame è assicurata sul piano stratigrafico da 10 relazioni dirette e 25 indirette che permettono di ancorarla inestricabilmente alla sequenza ricostruita ponendola al principio del TG 2 (liv. 17, coincidente con l’inizio del PCA e, quindi, dell’Orientalizzante) e, in termini assoluti, intorno al 720 a.C. Tale valutazione è confermata anche dall’esame di una parte del corredo sebbene, ad una analisi più attenta, comincino a trasparire alcune aporie, come rilevò C. W. Neeft sin dall’ ‘87 nel suo fondamentale studio sugli aryballoi protocorinzi. Com’è ben noto agli addetti ai lavori, gran parte della sequenza cronologica della ceramica subgeometrica protocorinzia - e, con essa, quella delle più antiche colonie d’Occidente e non solo - è stata fissata grazie all’esame dello sviluppo morfologico di quello che ne costituisce il vaso più rappresentativo, l’aryballos, contenitore di profumi e unguenti che si evolve da una forma globulare a una progressivamente ovoide e piriforme, scandendo gli intervalli fra i diversi periodi. Nella tomba 168 figurano alcuni aryballoi manifestamente più evoluti rispetto alla cronologia che la stratigrafia impone di attribuire al contesto; inoltre, in uno strato di materiali conseguente alla ripulitura delle pire e sottoposto alla lente di terra dell’incinerazione 168, figurano alcuni frammenti ceramici di vasi che, nel resto della necropoli, compaiono solo in un momento centrale del TG 2. Alle anomalie considerate da Neeft se ne aggiungono diverse altre facilmente intuibili osservando la posizione della tomba 168 nella tabella di seriazione elaborata dallo scrivente, nella quale una serie di reperti figura significativa-
mente al dì là della diagonale che contraddistingue la sequenza crono-tipologica ideale. Il riesame dei dati stratigrafici e delle loro dinamiche, congiunto con quello derivante dalla classificazione dei reperti, ha permesso di ipotizzare sulla base anche di altri indizi che la tomba in esame non costituisca un insieme unitario ma vada considerata piuttosto come la commistione di due contesti distinti la cui percezione sarebbe stata alterata dalla sovrapposizione delle sepolture recenziori. Alla sepoltura più antica (168A) continuerebbe a spettare la “Coppa di Nestore”, il cui significato cronologico rimarrebbe inalterato, mentre a quella recenziore (168B), la cui cronologia potrebbe ricadere fra il 710 e il 700, spetterebbe il nucleo di oggetti più evoluto, mischiatosi, probabilmente, con gruppi di reperti sporadici provenienti da un vicino ustrino smantellato.
Il risveglio di Tifeo - A partire dal MPC, os-
sia dal 680 a.C. ca., la comunità pithecusana così come appare riflessa dal nucleo di tombe edito, subisce una brusca e repentina flessione determinata, plausibilmente, dalla progressiva crescita di Cuma sulla prospiciente costa campana. La comunità greca d’Ischia, tuttavia, non si estinse ma, come prova anche l’insediamento di Punta Chiarito scavato da C. Gialanella, continuò a sfruttare al meglio le cospicue risorse dell’isola fino a che, intorno alla fine del VII secolo (liv. 36), Tifeo non tornò a risvegliarsi determinando con tutta la sua violenza tellurica l’abbandono dell’insediamento di Monte di Vico e della necropoli sottostante, fino alla loro nuova rioccupazione in età tardo-arcaica.
La colonizzazione greca
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Le ragioni che si celano dietro l’esplosione del fenomeno coloniale nell’VIII sec. a.C. sono strettamente connesse a quelle che nella madrepatria portarono alla prima strutturazione delle pòleis. Lo sviluppo economico che aveva favorito e accelerato le dinamiche della stratificazione sociale contribuendo a una più complessa definizione dell’organizzazione politica delle comunità cittadine sul fronte opposto dovette scontrarsi con una realtà territoriale angusta, inadatta a rispondere alla esuberante espansione demografica della popolazione e incapace di soddisfare le sempre maggiori richieste di una aristocrazia più potente e competitiva quale quella riflessa dalle sepolture principesche rinvenute in Eubea. La lotta per il controllo delle esigue risorse disponibili e ì crescenti squilibri sociali che poterono conseguirne (cfr. la Guerra Lelantina) accelerarono la diaspora dalla madrepatria dando luogo a emigrazioni di massa che si incanalarono verso quelle stesse direttrici commerciali che una lunga frequentazione del Mediterraneo orientale e occidentale aveva reso familiari sin dagli inizi dell’VIII sec. (la cosiddetta fase precoloniale). Naturalmente questo fenomeno ebbe una sua evoluzione piuttosto complessa che la tradizione storica e la documentazione archeologica permettono di cogliere solo nelle grandi linee e in modo piuttosto confuso, specie per le fasi più antiche nelle quali la colonizzazione ebbe origine dalla risposta più o meno spontanea a esigenze di diverso tipo e non fu, come avvenne a partire dell’ultimo terzo dell’VIII secolo, il frutto della scelta preordinata di una parte della popolazione, sancita da un atto religioso e coordinata da una autorità politica definita che si riconosceva nella figura di uno o più «ecisti» («fondatori»). La scelta dei luoghi rivela piuttosto chiaramente come all’origine il principale movente fosse quello commerciale e risiedesse in modo particolare nelle risorse dei distretti minerari dell’Italia centrale (l’Elba, i territori La Rassegna d’Ischia n. 1/2016
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delle etrusche Vetulonia e Populonia o l’area dei Monti della Tolfa) e della Sardegna, note da tempo ai Fenici e ai Greci e tali da giustificare lo stanziamento di Pithekoussai che, non a caso, come la tradizione e i dati archeologici confermano, non solo è la colonia più antica ma è anche la più lontana dalla madrepatria fra quelle impiantate nell’VIII secolo. In seguito, già a partire dallo stanziamento di Cuma sulla penisola, al movente commerciale si accompagnerà anche quello agricolo favorito dalla disponibilità di ampie terre coltivabili. Bibliografia essenziale - Ridgway D., L’alba della Magna Grecia, Milano, 1984. - Buchner G., Ridgway D., Pithekoussai I, in Monumenti Antichi dei Lincei, LV, (serie monografica, IV), Roma, 1993. - Bartolonì G., Nizzo V., “Lazio protostorico e mondo greco. Considerazioni sulla cronologia relativa e assoluta della terza fase laziale”, in Mediterranea 1, 2004, pp. 409-436. - Nizzo V., Ritorno ad Ischia. Dalla stratigrafia della necropoli di Pithekoussai alla tipologia dei materiali, (Collection du Centre Jean Bérard, 26), Naples 2007. * Valentino Nizzo (Todi PG, 1975), si è laureato con lode presso l’Università di Roma “La Sapienza” nel 2000, dove nel 2007 ha conseguito la specializzazione e il PhD in Archeologia. Ha conseguito il post-dottorato in “Archeologia globale e memoria del passato” presso l’Istituto Italiano di Scienze Umane di Firenze pubblicandone i risultati nel volume: Archeologia e antropologia della Morte: storia di un’idea (vedasi in questa rivista, sezione “Rassegna li-
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bri”), appena edito nella collana Bibliotheca Archaeologica di Edipuglia (Bari 2015). Dal 2010 è funzionario archeologo del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, prestando servizio prima (2010-2015) presso la Soprintendenza Archeologia dell’Emilia Romagna con sede a Ferrara e, attualmente, presso la Direzione Generale Musei a Roma. Dal 2013 è membro del comitato scientifico del mensile archeologico Forma Urbis e della Fondazione Dià Cultura cui si deve l’evento editoriale annuale Romarché per cui ha ideato e diretto la collana di Antropologia e Archeologia a confronto, nella quale sono confluiti, nel 2011 e 2012, gli atti degli omonimi incontri internazionali, di cui è in preparazione per il 2015 la terza edizione. Ha all’attivo un centinaio di pubblicazioni, tra cui tre monografie. I suoi interessi si incentrano sulle problematiche storiche, artistiche e della cultura materiale delle civiltà etrusco-italiche, sulla prima colonizzazione greca, sul confronto tra archeologia e antropologia, oltre che, in generale, sui più vasti temi dell’ideologia funeraria, della storia dell’archeologia e sui meccanismi e i valori sociologici della comunicazione archeologica.
Colligite fragmenta, ne pereant
Fonti archivistiche per la storia dell’isola d’Ischia A cura di Agostino Di Lustro
Parrocchie e cappelle sul Castello d'Ischia - II Trattando delle antiche parrocchie esistenti nell’antica città d’Ischia, ci siamo imbattuti in due chiesette molto interessanti dal punto di vista storico e artistico: quella della Madonna della Libera, certamente risalente al secolo XIV, e quella di Santa Maria dell’Ortodonico. Bisogna sottolineare subito che di entrambe la «Platea» del vescovo d’Avalos non parla. Eppure la prima, a giudicare dalla struttura architettonica, si capisce subito che trattasi di una costruzione di impianto medioevale del secolo XIV. Infatti l’unica navata della chiesa presenta una struttura a volta, costituita da tre perfette campate a crociera che creano, soprattutto all’esterno, un movimento architettonico di notevole interesse. La facciata, di una elegante semplicità, si presenta quasi a capanna con al centro un occhio rastremato verso l’interno che crea un movimento tipico dei rosoni romanici. Un’altra caratteristica di questa chiesa è la presenza di affreschi lungo le pareti laterali che risalgono sicuramente, nella stesura più antica, al secolo XIV. Infatti a sinistra, per chi entra, vi è ancora circa un metro di parete affrescato con motivi architettonici. Sul lato destro, invece, un primo saggio ha portato alla luce una «Madonna con Bambino e Santi» che sono da attribuire ad un pittore, probabilmente, del secolo XV. Sotto questo primo strato di affresco è venuto alla luce un secondo strato sicuramente del secolo XIV. Questi affreschi, forse perché piuttosto limitati nello spazio, non ancora hanno suscitato l’interesse degli studiosi per cui non ancora possiamo formulare un giudizio approfondito sul loro valore artistico. Non sappiamo se vanno attribuiti a maestranze locali o provenienti da fuori. Certamente gettano nuova luce su quel poco che sappiamo sulla pittura a Ischia tra XIV e XVI secolo. Della tavola della Madonna della Libera, che oggi si venera nella chiesa cattedrale dove giunse dopo il dissesto del castello avvenuto nel 1809-10, sappiamo solo che proviene dalla omonima chiesa dell’antica città d’Ischia. Il dipinto, che oggi ammiriamo, è frutto di un approssimativo intervento di «restauro» effettuato proprio quando arrivò dal castello e fu collocato su di un altare in fondo alla navata di 1) Sul culto della Madonna della Libera, cfr. Il santuario della Madonna della Libera, in Ecclesia Maior Insulana - La cattedrale di Ischia dalle origini ad oggi, Forio, 2010, pp. 253-258.
destra1. Ma oltre al silenzio sulle due chiese della Madonna della Libera e di Santa Maria dell’Ortodonico che registriamo nella «Platea» del vescovo d’Avalos del 1598, dobbiamo sottolineare che sia dell’una che dell’altra non riscontriamo nei nostri archivi alcun documento che le riguardi anteriormente all’anno 1600. La prima testimonianza sulla loro esistenza ci viene da Giulio Cesare Capaccio che nel 1607 nella sua Historia Neapolitana2 dedica alcune pagine ad Ischia. Egli, mentre rimanda direttamente al Pontano per l’immagine civile di “Iscla oppidum edito” vi aggiunge una preziosa indicazione delle emergenze funzionali a carattere religioso come la “basilica major”, i templi «Trinitati Divo Nicolai3, Divae Annuntiatae, Divae Mariae Turrium a Turra familia jam extincta, et Divo Stefano dicata: Aedes Divae Mariae Hortodonici a loco in quo sita est, quam Constantia Carretta illa inter primarias faeminas instauravit, via amplificata»4. Questa situazione ci appare ancora più strana perchè il titolo di «Madonna della Libera» non compare neppure in questa occasione. La prima volta che i documenti ci parlano di «Madonna della Libera» si riscontrano in questo documento ricordato dal «Notamento degli atti beneficiali» dell’Archivio Diocesano per la fondazione di un beneficio con questo titolo a Casamicciola: «Casamicciole 1659 = Acta fundationis perpetue coppellanie sub titulo Sancte Marie de Libera, et Sancti Vincentij de jure patronatus Vincentij Piro, ac instrumentis dotationis ejusdem cum relationibus reddituum infine a qui in anno 1695 et altera in anno 1700 factis»5. Questa «cappellania», o beneficio, si trovava nelle chiesa di San Rocco ubicata nella zona costiera di Casamicciola, costruita nel 1656 come viene documentato da alcuni atti del notar Giovan Domenico Perciati di Casamicciola6. Nella chiesa di San Rocco si è officia2) G. C. Capaccio, Historiae Neapolitanae libri duo, in quibus eius urbis et locorum antiquitas et descriptio continetur, Napoli 1607. 3) Non conosciamo l’ubicazione esatta di questa chiesa; anzi, esisteva davvero? 4) I. Delizia, Ischia l’identità negata, Napoli ESI 1987, p. 26. 5) ADI, Notamento degli atti beneficiali della città e diocesi d’Ischia, f. 78. 6) Notai sec. XVII scheda n. 122, prot. n. 11 ff. 198 r-199 v.
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to fino alla prima metà del secolo XIX quando, a causa forse del terremoto del 2 febbraio 1828 la chiesa fu dissestata dal movimento tellurico e non più ristrutturata per cui scomparve a Casamicciola il culto alla Madonna della Libera. In questa chiesa era conservata una tela raffigurante la Madonna con il Bambino che il d’Ascia7 dice che era opera di Luca Giordano. Oggi questa tela è dispersa. Per completare il quadro delle chiese che sono state sede delle parrocchie della città d’Ischia, dobbiamo tornare per un momento a quella di Santa Maria dell’Ortodonico che sorge nella zona Nord- Est. Ma come per la chiesa della Madonna della Libera non abbiamo dovizia di documenti, la stessa cosa avviene anche per quella dell’Ortodonico. Il nome della chiesa oscilla nel corso degli anni tra «Santa Maria dell’Ortodonico» e «Santa Maria Immacolata». G. C. Capaccio, nell’elenco dei luoghi sacri della città d’Ischia cita per ultima «Aedes Divae Mariae Ortodonicj a loco, in quo sita est, quam Constantia Carretta illa inter primarias foeminas instauravit, via amplificata8». Questa è una delle più antiche notizie in nostro possesso su questa chiesa. Infatti non è citata nella «Platea» del Vescovo Innico d’Avalos del 15989, ma ne troviamo qualche cenno nei decreti del sinodo celebrato l’anno seguente. Infatti nel capitolo X «de processionibus», trattando della precedenza che le confraternite debbono osservare, dopo aver stabilito che in simili occasioni la precedenza assoluta spetta alla confraternita del Santissimo Sacramento che ha sede nella cattedrale, dice che il secondo invece spetta alla «Confraternitati Beatae Mariae de Ortodonico10». Poiché questa è l’unica volta che si parla di una confraternita di Santa Maria dell’Ortodonico, è da supporre che presto scompare senza lasciare alcuna traccia11. Già sappiamo che in un anno non precisato nella chiesa dell’Ortodonico viene traslata anche la sede della parrocchia di Santa Barbara12 che successivamente verrà nuovamente spostata nella chiesa della Madonna della Libera dove verranno a convivere le tre antiche parrocchie della città fino alla profanazione della chiesa nel 1809. L’Onorato ci ricorda che «al lato Nord-Est esisteva una cappella con più altari e portava il nome di 7) G. d’Ascia, Storia dell’isola d’Ischia, Napoli, Stabilimento tipografico di G. Argenio, 1867 p. 435. 8) G. C. Capaccio, op. cit. pp. 183-187. 9) Cfr. P. Lopez, Ischia e Pozzuoli due diocesi nell’età della controriforma, Napoli A. Gallina Editore, 1991, pp. 209 e ss. 10) Decreta et Constitutiones Synodales Diocesanae Isclanae per admodum illustrem et Reverendissimum D. Innicum de Avalos Episcopum Isclanum, Romae apud Impressores Camerales MDXCIX, pp. 13-14. 11) A. Di Lustro, Confraternita di Santa Maria dell’Ortodonico, in La Rassegna d’Ischia, n. 3, maggio- giugno 2008. 12) Cfr. in ADI, Notamento… f. 10.
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Santa Maria Immacolata13, ci era una bella pittura della Vergine a chiaro oscuro, ma la stessa è passata in alieno dominio e si diceva Madonna dell’Orto Donico. Le parrocchie di Santa Barbara, di San Nicola e la cappella di Santa Maria erano dotate di tre benefici, che furono incorporati nel Seminario14». Della parrocchia di Santa Barbara , e di riflesso della chiesa di Santa Maria dell’Ortodonico, dimostra ancora un certo interesse il vescovo Nicola Antonio Schiaffinati nella relazione ad limina del 1741 dove scrive: «Altera vero parecia sub titulo Sonde Barbare, et Conceptionis Beate Marie Virginis cui preest unus ex canonicis cathedrolis ecclesie, mediocriter instructe reperitur Sacra suppellectile, et conciniorem habet formam, sed neque sacra Eucaristia, neque sacra olea, sive fons baptismalis in ea adsunt; Necessitate tamen urgent, Parochus ae desumit a catedrali. Parochianos habet quadringenta tres cum onere dispensandi pauperibus carolenos viginti quinque panis quotannis15». Notiamo che al nome di Santa Maria dell’Ortodonico viene sempre aggiunto quello della Concezione della Beata Vergine Maria. Da dove sia scaturito questo secondo nome non è del tutto chiaro. L’immagine della Madonna che si venerava in questa chiesa, dal punto di vista iconografico, non fa pensare all’Immacolata bensì alla Madonna delle Grazie. Osservando bene tale tela, notiamo che la Madonna spreme il latte da una mammella per farlo arrivare, forse, sulle anime del Purgatorio che dovevano essere dipinte ai suoi piedi ma che oggi non ci sono più perché la tela di sicuro è stata tagliata e così è stata eliminata una parte del dipinto. Osservandolo bene, ci si rende conto che non si tratta di un quadro completo ma tagliato a metà. Infatti lo sguardo della Madonna sembra rivolto tutto a sinistra e così pure il Bambino abbastanza grande che le sta sulle ginocchia. Inoltre bisogna notare che il quadro, oggi conservato nel Museo Diocesano, proveniente dalla sacrestia dell’attuale cattedrale, oggi è costituito da una tela sistemata sopra una tavola. Solo un accurato restauro potrà riportare in luce, forse, quello che 13) Quando e perché l’antico titolo di «Santa Maria dell’Ortodonico» sia stato cambiato in «Santa Maria Immacolata» non sono in grado di dirlo perché non ho trovato documento di riscontro. Ho l’impressione che tale scambio di nomi si sia verificato in seguito alla fondazione della «cappella palatina» dove si svolgevano le celebrazioni liturgiche e si amministravano anche i sacramenti da parte di un prete che svolgeva le funzioni proprie del parroco. 14) V. Onorato, Ragguaglio istorico topografico dell’Isola d’Ischia, Biblioteca Nazionale di Napoli fondo San Martino ms. n. 439; cfr. E. Mazzella, L’Anonimo Vincenzo Onorato e il Ragguaglio dell’isola d’Ischia, Fisciano, Gutemberg Edizioni 2014, p. 243. 15) Relazione ad limina del 1741. 16) P. Lopez, op. cit. p. 21.
noi oggi non riusciamo ad evidenziare. Sul numero dei luoghi sacri non parrocchiali esistenti nell’antica città d’Ischia non tutte le fonti documentarie sono concordi e non tutti sono noti agli studiosi antichi. Il primo di essi è quello della SSma Trinità. Dove esattamente sorgesse, non sono in grado di dirlo perché fino ad oggi non ho riscontrato alcun documento che ne parli. Solo la «Platea» del vescovo d’Avalos la cita con queste parole: «nella città vi è la cappella della Trinità, si possede per D. Giovanni Thomaso Melluso, ha di peso una messa alla settimana, et al suo vespro, et messa cantata, il suo dì, rende ducati 28». Oltre questo documento non abbiamo altro che ci attesti l’esistenza di questa cappella o chiesa. Altra cappella della città indicata dal Capaccio, ma non citata dalla Platea d’Avalos, è la chiesa della Annunziata. L’Onorato la colloca nei pressi del maschio e scrive: «Più sopra e quasi vicina al maschio ci era la chiesa dell’Annunziata, che in se stessa conteneva un ospedale militare17». Una cappella dedicata all’Annunziata, o almeno un quadro, si trovava anche nella chiesa cattedrale. In essa l’Onorato ricorda l’esistenza di un monumento funebre sul quale si leggeva: «Haec capella edificata, et dotata fuit per nobilem virum quondam Bernese Talaricum ubi jacet. Hic jacet corpus nobilis viri Antonii Tolaricii, dicti Imbriaci, et filiorum obiit anno MCCCC in Cathedrali in cappella Annuntiatae». Ed aggiunge: «nella cattedrale, e nella navata a mano dritta esisteva tale cappella, e propriamente nel fondo, e con pittura contenente l’Annunziata, e Santa Caterina.... Nel fondo della navata a mano destra stava una mediocre, e vistosa cappella dedicata a Santa Caterina, nel di cui quadro ci era ancora la figura di San Lorenzo. Lo stesso spettava alla nobile famiglia Taliaricio poi Talercio, a di cui spese fu edificata nel decorso del secolo 14°, e forsi quello si edificò fu l’altare che venne scortato dal muro maestro della cattedrale, e più appresso si osserveranno. In esso e nell’altare la famiglia Cossa vantava ancora dritto, ed a tale riguardo l’Arcivescovo di Brindisi, forsi l’ultimo della stessa famiglia, con carta legale verso la metta del 17° secolo fece ampia cessione a beneficio della famiglia Manso de l’accennato jusso, e di altri che la famiglia Cossa godeva nella cattedrale»18. Di questa Annunziata il Notamento cita solo un documento non datato circa il beneficio semplice di questo titolo: «dicti delli Bulgari que est familia extincta ante episcopum Fabium Pulverinum19 cum instrumento20». Tornando alla chiesa dell’Annunziata, dobbiamo 17) V. Onorato, op. cit. f. 155 r. 18) Ibidem, f. 149 r. 19) Fabio Polverino è stato vescovo d’Ischia dal 1565 al 1590. Quindi questa famiglia era estinta già a metà secolo XVI. 20) ADI, Notamento degli atti beneficiali .... cit. f. 14.
sottolineare che su di essa non abbiamo altri documenti se non quello già citato del Notamento circa l’omonimo beneficio. L’Onorato ricorda che accanto a questa cappella sorgeva anche quella di Santa Maria della Carità della famiglia Torres. Dell’Annunziata non sappiamo se appartenesse a qualche famiglia nobile, né in quale anno fosse stata fondata21. Dell’ospedale militare di cui parla Onorato, non sappiamo altro. Egli però aggiunge: «vicino a tale opera c’era un’antico bel tempiucio, che correva sotto la nomenclatura della Madonna de’ Turris, il quale era gentilizio della famiglia nobile Assanea. Dopo più volte visitato, fu venduto a lavoratori di marmo, e quella tavola marmorea contenente una Madonna, che sta sotto l’altare della congrega dell’Incoronata, era uno dei pezzi appartenenti al cennato tumulo»22. Secondo l’espressione dell’Onorato, vicino alla cappella dell’Annunziata sorgeva anche «un antico tempiuccio, che correva sotto la nomenclatura della Madonna de Turris»23. Dalle scarne notizie che si possono leggere nel Processus’ del 1709, veniamo a conoscere che la rettoria di «Santa Maria della Carità de domo Turris», era stata «costrutta ed edificata nell’isola d’Ischia da Don Ferdinando Torres24». Sul lato sinistro della cappella si poteva ammirare «il monumento del fondatore Torres la cui effigie era ripresa nella lapide di marmo bianco scritta in lettere longobarde (scrittura gotica); la cappella era preceduta da un atrio con due sepolture e due campane.... Nello interno a sinistra dell’altare c’era, come detto, la lapide mentre di fronte la finestra dava sul tetto delle case della Rettoria, attualmente abitato da Tommaso lacco che teneva censuato anche il giardino25» . Il «Processus» informa che accanto alla cappella già menzionata, c’erano anche altri benefici o rettorie, che potrebbero anche essere solamente privi di chiesa propria: «Sant’Agata edificatavi dai Signori Bozzuti di questa città, di San Christoforo, Sant’Agnese, vi edificò Christoforo di Burga che poi donò a Notar Giovan Battista Funerio d’Ischia dalla di cui famiglia passò 21) Cfr. V. Onorato, op. cit. f. 156 v.; G. G. Cervera, op. cit. f. 84. 22) V. Onorato, op. cit. f. 155 v. Su questo medaglione raffigurante la «Madonna del granato», cfr. G. Alparone, Sculture del Medio Evo ad Ischia, in Ricerche contributi e memorie, Napoli 1971 vol. I pp. 391-397.; E. Mazzella, Tipi e forme della scultura funeraria a Ischia in età angioina, ibidem vol. IV. Questa lastra oggi è smembrata perché due dei suoi ovali, S. Stefano e S. Giovanni Battista, fanno parte del trono del veneratissimo Crocifisso del Santuario del Soccorso a Forio. 23) ADI, Processus pro Rev.do D. Francisco F. Monticelli Beneficiato contro nonnullos eius censuarios et debitores Dominus Regius Consiliarius d. Joseph Positanus, f 1 r. 24) Ibidem. 25) G. G. Cervera, Cronache del 700 ischitano, Melito 1980, p. 84.
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a quella Mellusi, e da questa alla famiglia de Malfitani, come costa da copia de processo della corte di questo Arcivescovale….. Tene peso la Rettoria di Santa Maria dieci docati annui per mantenimento d’una lampada accesa notte e giorno avanti il Santissimo nella chiesa del Vescovato di detta città, venti ducati annui per Messe da celebrarsi due per settimana, docati 7 annui per spogli cammerali, et jusso di cera al Vescovo. La chiesa di detta Rettoria trovasi affatto diruta dentro il castello di detta isola propinqua al palazzo Regio. Per il che furono nella vescovile trasferiti detti obblighi26». Nella raccolta di documenti per il processo intentato dal beneficiato Ferrigni nel 1710, troviamo copia di questo breve passo della visita pastorale del vescovo Giovanni Antonio de’ Vecchi: «(Episcopus) contulit se inde ad cappellam quondam in qua est altare sub titulo Sancte Agnese ac cum presepio retinet nomem Sancti Andree, et erat de jure patronatus de domo magnificorum Cossorum alios nominatorum possidet per clericum Joannem Vincentium Cossam cum onere misse in qualibet hebdomada»27. Su questi benefici, o cappelle, possediamo qualche altro documento: «Ischie, Ada institutionis Beneficij S. Marie de Charitate quod olim erat ospitale justa castrum de domo et familia de Torres -, ad presens de libera collatione. Nec non relatio reddituum tam prò dicto beneficio quam prò alio sub titulo Sancti Christofori et 5. Agate, que possidentur per Reverendum D. Franciscum Ferrigno=folia scripta n. 27». Spigolando nei diversi documenti dei quattro faldoni di queste cappelle e chiese, e in modo particolare in quello di Santa Maria della Carità nella quale vanno a confluire altri benefici e cappelle, ricaviamo qualche altra notizia sulla ubicazione della chiesa. Essa si trovava «tra la pedemontana della Piazza d’armi di detto castello e proprio alla chiesa di detta rettoria di Santa Maria della Carità de domo Turris»29. Inoltre, in un istrumento del 1521 del quale non è detto il nome del notaio che lo ha rogato, a proposito di alcune case appartenenti alla detta chiesa dei de Turris, si dice: «detto giardino al di sotto alle medesime mura di detta chiesa onde si volse provare detto beneficio come in detto castello e città non era altra chiesa sotto detto titolo che la predetta chiesa con attaccato a dette case, e poi in detta chiesa intitolata de Turris le due in cornu epistole sopra l’astrico di dette case di lacchi al di sotto in 45 palmi appoggiata allo medesimo muro di det26) Processus...., cit. f. 1. 27) Atti della visita pastorale del vescovo Giovanni Antonio de Vecchi del 1669 in copia nel faldone; Processus del 1603 cit. In questo volume sono trascritti atti di anni diversi. 28) ADI, Notamento....c\t. f. 1 v. 29) Ibidem , faldone S. Maria della Carità, ff. nn.
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ta chiesa, ed al finestrini ad occhi sopra il predetto giardino con altare rilevato intatto con muri gradini et a cornu Evangelii rilevato da terra, il monumento del Magnifico Torres fondatore di detta cappella con la lapide di marmo bianco fino con la sua effigie, ed intorno con lettere longobarde30 di sua descrizione provando l’identità della casa, e che da 50 anni in circa esservi in piedi, e celebratavisi la messa questo sia di avviso che fu cioè detta cappella per conseguenza rendersi novo giudizio». Varie testimonianze ci parlano di una «cappella» di Sant’Agata che da altri documenti sappiamo essere solo un beneficio annesso ad una cappella della cripta31. Dai faldoni di Santa Maria della Carità veniamo ancora a sapere, grazie a una citazione degli atti della presa di possesso del beneficio, che la cappella di Sant’Agata è «costrutta in janua custodie militaris dicte civitatis». Dovremmo pensare, quindi, che si trovasse proprio all’ingresso della città presso le mura e nella zona oggi denominata «S. Cristoforo». Più esplicita in questo senso è la testimonianza di D. Sebastiano Lubrano di Procida del 24 febbraio 1546 nella quale si afferma che la chiesa di Sant’Agata è «costrutta in janua Civitatis Ischie32». Anche San Cristoforo in origine doveva essere, e forse è sempre stato, solo un beneficio; ma anche per questo gli stessi documenti sopra citati, dicono che la chiesa fosse ubicata «in janua civitatis» così come sarebbe dovuto esistere altra cappella, sullo stesso posto, dedicata a Sant’Agata. In seguito questi benefici «sine cura» sarebbero stati uniti a quello di S. Cristoforo e sarebbe stata assegnata loro altra sede, come abbiamo già detto in altre cappelle o altari esistenti nella cripta della cattedrale, o in altri altari della chiesa superiore33. Dobbiamo notare però che tra i documenti e le annotazioni marginali inserite in questi volumi, si riscontrano affermazioni spesso contraddittorie tra loro. Infatti nella prima pagina del volume secondo di atti che riguardano Santa Maria della Carità che risale all’anno 1712 e seguenti, in un documento del notar Salvatore Milone del 16 settembre 1717, leggiamo che i benefici di Santa Maria della Carità, Sant’Agata, Sant’Agnese e San Cristoforo sono «costruiti dentro la cattedrale chiesa di detta città d’Ischia». Ai margini del foglio però leggiamo: «Li beneficii de Turris e Santa Agata sono costrutti nel castello d’Ischia e non dentro lo vescovato li altri benefici} dentro detta cattedrale34». Ma già da un documento del 1° novembre 1700 30) Queste «lettere longobarde» sono forse caratteri in scrittura gotica. Dagli atti perduti della visita pastorale citati dal vescovo de Vecchi nel 1669. 31) Ibidem, f. 25. 32) Cfr. A. Di Lustro, Ecclesia Maior Insulana, cit. p. 75 e ss. 33) ADI, faldoni dei benefici, cit. f. 63; cfr. anche A. Di Lustro, op. cit. p. 59 e ss.
dello stesso notaio Salvatore Milone circa alcuni beni di Santa Maria della Carità, è detto che i benefici di «Santa Maria de Carità de domo Turris, Santa Agata, Santa Agnese e San Cristoforo tutti dentro la cattedrale della città d’Ischia»35, ma, sempre con nota a margine, sostiene che «I predetti beneficij de Turris e Sant’Agata non sono fondati dentro lo vescovato d’Ischia, ma tengono cappella apposta fuor de detto vescovato nella città e castello d’Ischia». Per Sant’Agata in un atto del notar Giuseppe Milone del 22 settembre 1701, Carlo d’Ambra ribadisce che il beneficio di «Sant’Agata costrutto dentro lo castello o città d’Ischia e proprio detta cappella nella porta del corpo di guardia36». Per San Cristoforo risulta ancora che nel 1538 fu visitata la chiesa dal vescovo e si dice che «quod est prout aiunt de jure patronatus de domo Funerio» e che il beneficio è posto «sub corpore Maioris Ecclesie Isclane, et annexi Beneficij de lo Lavinaro de jure patronatus laicorum de domo Funeria»37. Alla stessa cappella di San Cristoforo troviamo già uniti il 15 marzo 1605 i benefici rurali di «Lo Lavinaro e Sant’Andrea a Noia»38. In una relazione sullo stato dei benefici, non datata, ma risalente sicuramente ai primi anni del secolo XVIII sullo stato dei benefici e delle rispettive cappelle, leggiamo tra l’altro che: «intorno all’i pesi del predetto beneficiato si trovò docati dieci per messe due la settimana nel vescovato d’Ischia per la quasi diruzione della cappella di detto beneficio de Turris (S. Maria della Carità)39». Da tutte queste testimonianze si deduce che i vari spostamenti di questi benefici, forniti o non di cappella propria, all’inizio del secolo XVIII si trovano tutti nella cattedrale dove hanno continuato a soddisfare i vari obblighi di messe fino a quando i vari coloni hanno pagato i canoni dei vari possedimenti sparsi in varie parti dell’Isola. Alcuni di questi benefici sono ricordati dal vescovo Nicola Antonio Schiaffinati nella relazione ad limina del 1° dicembre 1741 nella quale scrive: «Beneficia Simplicio libere collationis, quorum tituli adsunt in Ecclesia Cathedroli sunt que sequuntur, Benefi34) ADI, vol. Il degli atti di S. Maria della Carità. 35) Ibidem, f. 4 r. 36) Ibidem, f. 18. Spigolando nelle varie note di questo faldone, troviamo che il notar Salvatore Milone, in un atto del 10 gennaio 1701, dice di San Cristoforo: «sistente in cattedrale», mentre in un altro del 28 dicembre dello stesso anno afferma che Sant’Agata è «costrutta dentro la città e proprio nella porta di guardia del castello di detta città» ( Ibidem, f. 21 e 22 v.). 37) Ibidem f. 47. Sappiamo che già dal 1530 il beneficio rurale detto «lavinaro» è unito a quello di San Cristoforo. Inoltre il beneficio possiede altri beni nella zona della «lemita» a Forio e già il 28 novembre 1542 appartiene alla famiglia Funeria (faldoni di Santa Maria della carità). 38) Cfr. Faldone del 1603. 39) Ibidem, f. 82.
cium S. Marie Choritatis de Torres, Beneficium Sancte Agathe, Beneficium S. Christophori, que tria beneficia in unum possidentur per Socerdotem D. Franciscum Ferrigno Neapolitanum, quorum fructus, detractis oneribus missarum, spoliis, et lampadis ascendunt ad summam ducatorum sexaginta octo»40. Questa è l’ultima volta che si parla di questi benefici perché, sebbene la visita pastorale del vescovo Giuseppe d’Amante del 1820 decretasse il trasferimento all’altare maggiore della nuova cattedrale la soddisfazione degli obblighi degli antichi benefici esistenti nell’antica cattedrale del castello, tuttavia, pur facendo l’elenco di questi benefici, quelli di cui ci occupiamo, non vengono citati41. Tra i luoghi di culto elencati da G. Capaccio nella sua opera come esistenti nell’antica città d’Ischia42, viene ricordata anche la cappella di Santo Stefano. La «Platea» del vescovo d’Avalos scrive: «Nella città vi è la cappella di Santo Stefano, Santo Urbano, Santa Maria Maddalena , è jus patronato delli Corbera, si possedè per Don Marcello Tortello, vi è di peso quattro messe lette la settimana ed il dì di Santo Stefano et Santa Maria Maddalena et vespero, et messa cantata rende l’anno docati 60» . Ubicazione, e fondazione della cappella sono di difficile individuazione perché non abbiamo altri documenti. Il Notamento degli atti beneficiali ne ricorda solo qualcuno dell’inizio XVIII secolo in riferimento all’assegnazione del beneficio. Così siamo informati che, comunque, una cappella di S. Stefano non si trova più in un edificio proprio, bensì è stata trasferita nella chiesa cattedrale. Infatti vi leggiamo: «Ischie 1704= Acta institutionis semplicis beneficij sub titulo Sanctorum Stephani, Juliani, Urbani, et Sancte Marie Magdalene intus Ecclesiam Cathedralem de jure patronatus familie Corbera, cum litteris Apostolicis derogantibus medietati vocum= folio scripta n. 1244». Non sappiamo quando dalla propria chiesa, se mai per qualche tempo hanno avuto una chiesa propria, sono stati trasferiti nel succorpo della cattedrale. Tuttavia da un frammento degli atti della visita pastorale del vescovo Michelangelo Cotignola del 1696 giunto fino a noi in copia, ci viene detto che questo beneficio già in quell’anno si trovava nella cripta della cattedrale45. Di Santo Stefano non si fa parola neppure nella relazione ad limina del vescovo Schiaffinati e neppure in quella del successore Felice Amato del 174746. L’ultima 40) Archivio Congregazione del Concilio - Roma (d’ora in poi: ACC), relazione del vescovo Schiaffinati del 1741. 41) ADI, Atti della visita pastorale del vescovo Giuseppe d’Amante del 1920. 42) G. C. Capaccio, op. cit. p. 186-87. 43) P. Lopez, op. cit. pp. 216-217. 44) ADI, Notamento....c\t. f. 6 r. 45) A. Di Lustro, Ecclesia Maior Insulana… cit. p. 43.
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cappella ricordata da G. C. Capaccio come esistente nell’antica città d’Ischia, era dedicata all’Annunziata. Di essa il vescovo d’Avalos non ci dà notizia nella «Platea», mentre ricorda la cappella omonima esistente nella cattedrale. Della chiesa dell’Annunziata sappiamo molto poco né riusciamo a individuare la collocazione e l’anno di fondazione. Notiamo solamente che essa non può essere identificata con il beneficio omonimo che si trovava nella cattedrale. La menzione che ne fa il Capaccio ci dimostra che già esisteva alla fine del secolo XVI. È probabile che sia stata fondata prima del 1569, anno di un documento citato dagli Atti Beneficiali dove leggiamo: «Ischie 1569 = Acta institutionis simplicium beneficiorum S. Augustini, S. Jacobi Sirij Carnalis, et Sancti Leonardi intus Cathedralem Ecclesiam Isclanam, et S. Marci intus cappellam seu ecclesiam SS.me Annuntiate prope castrum hujus civitatis ac etiam S. Antonii Abatis extra menia civitatis de jure patronatus nobiliarum familiarum Garriga, Amalfitano, et de Manzo, favore D. Nicolai Antonij Garriga per obitum D. Petri Garriga= folia scripta n. 23»47. L’Onorato scrive: «Più sopra e quasi vicino al maschio c’era la chiesa dell’Annunziata, che in se stessa conteneva un ospedale militare48». Nella relazione ad limina del vescovo Schiaffinati leggiamo: «Complures quoque in civitate adsunt Ecclesie, prima sub titulo Santissime Annunciationis in qua sacrum fit quolibet festivo die, et unici in anno solemniter fit sacrum in die Ecclesie titulari, idque per cappellanum tenetur insuper Capitulum Cathedralis ad celebrationem Missarum decem in die festivo S. Anne. Asseritur dicta Ecclesia esse de jure patronatus laicorum familie Menga49». Dopo questa data si interessa ancora di questa chiesa il vescovo Amato che così scrive nella sua relazione ad limina: «Sunt etiam in civitate due cappelle una sub titulo Annunciationis que asseritur de jure patronatus familie Menga nullos habens redditus50». Dopo questa data si perdono le tracce di questa chiesa perché nessun altro documento la ricorda. Altra chiesa esistente nell’antica città d’Ischia che però la «Platea» d’Avalos non cita, è quella dell’Immacolata che si trovava nel maschio e che veniva considerata «chiesa palatina». Essa era ubicata «sopra il maschio di questo Real Castello, per commodo della truppa e di Real Patronato; il cappellano curato oggi si è il Signor arciprete D. Gaetano Menga51». L’Onorato, che per anni ne era stato il 46) ACC, relazione ad limina dei due vescovi: Schìaffinati del 1741 e Amato del 1747. 47) ADI, Notamento.... cit. f. 4 r. Le stesse annotazioni troviamo ripetute negli anni 1696 e 1729. 48) E. Mazzella, op. cit. p. 249. 49) Relazione ad limina del vescovo Schìaffinati del 1741. 50) Relazione ad limina del vescovo Felice Amato del 1747.
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rettore-curato così la ricorda: «Nel maschio esisteva una cappella sotto il titolo dell’Immacolata Concezione, soggetta al Cappellano Maggiore, e nella stessa il cappellano curato come parroco esercitava tutte le funzioni parrocchiali; esso cappellano avea le facoltà di pigliarsi da dentro la cattedrale li Sacramenti e sacramentali in ogni ricorrenza e tutto ciò li poteva occorrere. Venne nel 1809 saccheggiata e profanata52». A completare il quadro dei luoghi sacri dell’antica città d’Ischia mancano la chiesa del monastero di Santa Maria della Consolazione delle monache Cappuccinelle, la chiesa di San Pietro «a Pantaniello» e un accenno alla cappellina di San Giovan Giuseppe della Croce che si trova lungo la salita alla città a metà strada. La cappellina oggi è dedicata a San Giovan Giuseppe della Croce perché, secondo il racconto di alcuni biografi del Santo, qui la madre, mentre lo portava nella chiesa della Madonna della Libera per invocare su di lui la guarigione dalla peste del 1656, a questo punto si sarebbe accorta che era perfettamente guarito53. Il d’Avalos nella sua «Platea» così si esprime: «Nelle porte della città vi è la cappella di Santo Leonardo, ejus patronato di Casa Pastinea, si possede per Giovan Thomase di Manso, ha di peso ogni quindici dì una messa cantata, rende l’anno ducati 11»54. L’anno della fondazione non è noto, ma, essendo stata fondata dal vescovo Agostino Pastineo, dell’Ordine dei Servi di Maria ( Serviti) originario di Giffoni nel salernitano e vescovo di Ischia tra il 1534 e il 24 aprile 154855, possiamo concludere che la sua fondazione sia da collocarsi in quegli anni. Questo vescovo fu testimone dell’invasione dell’isola d’Ischia da parte del corsaro Barbarossa e si dedicò alla ristrutturazione di alcune parrocchie56. È autore di diversi libri di poesie in lode della Vergine Maria, come ci fa sapere l’Ughelli57. Nel corso del tempo, in un anno imprecisato, la cappella con il relativo beneficio cambiò patrono. Infatti il Notamento degli atti beneficiali cita il seguente documento che 51) Cfr. in ADI, Nota di tutti i luoghi misti laicali ed ecclesiastici colle congregazioni e cappelle oratori e monti della città e diocesi d’Ischia 1777; ff. nn. 52) E. Mazzella, op. cit. p. 245. 53) Si tratta della peste del 1656. Il Santo era nato il 15 agosto 1654 in una casa ubicata nell’attuale Via Luigi Mazzella a Ischia Ponte (borgo di Celsa), a pochi metri dalla chiesa di Santa Maria della Scala degli Agostiniani. Fu battezzato lo stesso giorno nella chiesa cattedrale. (Cfr. in ADI, Libro dei battezzati della cattedrale per. 1633-1690). 54) P. Lopez, op. cit. 217. 55) Hierachia Catholica Medii et Recentioris Aevi, vol. IV, Patavii MCMLX, p. 214. 56) Cfr. A. Di Lustro- E. Mazzella, op. cit. p. 25 e ss. 57) F. Ughelll Italia Sacra, vol. VI, col. 284.
non esiste più: «Ischie 1712= Notitie prò beneficio S. Leonardi in medio cripte hujus civitatis de jure patronatus de domo Pastineo de Terra Jefuni, ad presens quarumdam monialium de domo Vitale58 sistentium intus Venerabile monasterium hujus civitatis folia scripta n. 259». Dopo questa data non abbiamo più notizie su questa cappella che, nel corso del tempo, cambia anche il suo Santo titolare. Oggi, nelle ore pomeridiane del 5 marzo, solennità liturgica di San Giovan Giuseppe della Croce, i devoti del Santo concittadino si recano in pellegrinaggio a questa cappella dove viene celebrata la Messa. I
fedeli si sistemano lungo la strada di accesso al castello. Agostino Di Lustro 58) Conosciamo un notaio di nome Giovanni Domenico Vitale che ha rogato almeno dal 1552 al 1579. Di lui nel fondo Notai sec. XVI, esiste un solo protocollo, il n. 408 chevcostituisce la scheda notarile n. 83 nella quale sono le minute degli atti rogati negli anni 1552-1553. L’ultimo atto da lui rogato di cui si ha notizia è datato 25 agosto 1579 (Fondo: Corporazioni Religiose Soppresse dell’Archivio di Stato di Napoli, fascio 87 f. 4). 59) ADI, Notamento…… f. 2 r
Le alghe sono il giardino del mare di Giuseppe Silvestri Le alghe sono il giardino del mare. Sono come gli alberi. Come questi perdono in autunno le foglie, così le alghe muoiono per rinascere in primavera. D’ inverno sotto costa ci sono pochi pesci, perché non hanno dove nascondersi sul fondo spoglio e dove nutrirsi per mancanza di pascolo. Quando le alghe riprendono a fiorire, ricomincia intensa la vita.
Una delle tante pagine scritte con il mio amico, indimenticabile Anellino Patalano, pescatore e poeta.... La pesca dei crastaurielle (costardelli) e Scella Mozza. I pescatori, quando era il tempo della pesca dei crastaurielli (soprattutto in agosto e settembre), navigavano coi gozzi nel mare intorno all’isola. Riferimento importante diventavano i delfini, le fere, anch’essi alla loro ricerca per fare il menale1. Abilissimi, partendo dal profondo, giravano continuamente intorno ai pesci, stringendoli sempre di più fino a ridurli ad un mucchio ormai privo di possibilità di fuga e sottoposto alla loro voracità. Durante l’inseguimento ai delfini, i pescatori già da qualche anno avevano conosciuto Scella Mozza, un delfino così chiamato perché la sua pinna dorsale, forse colpita da un’elica o a causa di un morso, era a metà e mobile come una bandiera. Quando i pescatori l’avvistavano, gridavano: “Scella Mozza” e lo rincorrevano, perché gli si riconosceva una particolare abilità nel fare i menali. Sempre Anellino mi racconta che una volta col gozzo a remi, con altri pescatori girò intorno all’isola, in una giornata, ben due volte. Per nutrirsi, mentre remavano ogni tanto mettevano in bocca un pezzetto di pane. 1 Menale, cioè incursione dei delfini nel branco di costardelli e alici.
Quando poi passarono ai motori a benzina, spesso si sfamavano arrostendo qualche pesce sul tubo di scarico. L’acqua da bere era quella del Pisciariello di Lacco e la custodivano nelle cosiddette Mummole, panciuti recipienti di terracotta, con in alto, tra i due manici, una piccola apertura rotonda. Anellino ricorda che, insieme a Lorenzo Ferrara e ad altri due pescatori, era una volta con la sua barca fuori Punta Imperatore per pescare i crastaurielle. Sul posto c’erano anche due barche di Forio.Anellino lasciò che i Foriani facessero le loro calate, non si avvicinò; a un centinaio di metri di distanza era in attesa del menale di Scella Mozza, che infatti dopo qualche minuto arrivò. Immediatamente fu calata la rete, cingendo il punto in cui erano stati ammucchiati i crastaurielli. Purtroppo prima che le due stazze della rete fossero a bordo, dopo aver pescato e recuperato oltre un quintale di pesci ciascuno, i due gozzi foriani si avvicinarono acquisendo così il diritto alla “spartizione”. Confessa l’anziano pescatore: “avevo voluto fare il furbo, ma fui punito perché dovetti cedere un quintale di pesci ad ogni barca ed uno solo rimase per me. Così i foriani rientrarono con due quintali ed io che ne avevo pescato tre con uno soltanto. Vigeva infatti la regola, tramandatasi nel tempo che, se una barca calava la rete per cingere i crastaurielli, avvicinandosi altri gozzi (fossero anche dieci) prima che chiudesse a bordo le due stazze si doveva dividere in parti uguali tutto il pescato. Scella Mozza fu ancora visto per qualche tempo protagonista di eccezionali menali nei crastaurielli e nelle alici nel mare di Ischia. Quando uscivano per la pesca c’era sempre qualcuno che diceva: “speriamo di vedere Scella Mozza”. Sono passati tanti anni - dice Anellino - chissà se è diventato anziano come me, se continua a partecipare ai menali. Sarebbe bello rivederlo ancora La Rassegna d’Ischia n. 1/2016
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una volta! Potrebbe anche venire qui, nelle vicinanze del Fungo a salutare i vecchi pescatori: «Io ogni tanto ci guardo” Sera del 24 dicembre 2015, alle ore 17.00 circa, la luna in fase di plenilunio era già un poco alta sull’orizzonte. Tracciava una scia luminosa, bella a vedersi dal Pontile di Lacco Ameno con la mediazione del Fungo. Mi sono ricordato di una pagina scritta anni fa insieme al pescatore Giacinto Calise… I Pesci e la Luna. Appena un quarto di luna appare a ponente iniziando la fase che porta al plenilunio, sul mare, di notte, si intravede già un piccolo movimento, un’avvisaglia di pesci. Tutte le specie si avvicinano tra loro, forse perché hanno maggiore visibilità e si raggruppano al massimo quando la luna è piena. È come se a mare ci fosse una festa, mi dice Giacinto Calise. Allora capita che alcuni pescatori realizzano una grande pesca e altri rientrano delusi. Come quando si pescava a sgombri con la “palammetara”: si procedeva a remi e si calavano le reti a qualche miglio dalla costa tra Punta Caruso e Lacco. Questo perché c’era una certa protezione in caso di buriana. Venivano barche da tutta l’isola: da Forio, dalla Mandra, da Ischia Ponte. Alcune catturavano centinaia di sgombri o di palamiti, altre neppure uno. Spesso con la quinta (fase di luna piena) ci si recava a pescare con la Sciabica tra punta Caruso e San Francesco e si prendevano quintali di fragagli, retunne, occhiate. Erano i pescatori della Tartanella che avvertivano la presenza di tanta abbondanza, a cui però essi erano poco interessati, in quanto pescavano soprattutto triglie, calamari, pescatrici, scorfani. La presenza della luna fa avvicinare sotto costa i pesci, che si muovono come se fosse giorno. Nel mese di settembre il mare è ricco di novellame. Diventando adulti, i pesci si dividono, ma si ritrovano ancora insieme quando c’è la luna, per motivi che forse non possiamo comprendere. Finita la luna piena, si verifica il processo inverso ed i pesci incominciano a scemare. La luna inoltre è
un segnale astronomico, consente al pescatore quando è lontano dalla costa e la visibilità è scarsa, di orientarsi e di ritrovare la via del ritorno. Si ricorda il detto: “ non c’è luna senza scirocco, o tre giorni prima, o tre giorni dopo, sia in salita che in discesa”. Che cosa sia poi il Golfo di Napoli, e l’isola d’Ischia in modo particolare, quando la luna piena sorge rossa dal Vesuvio e si proietta alta nel cielo, diffondendo il suo chiarore tenue e delicato, combinando spettacoli infiniti di incanto, bisogna vederlo di persona! Ho ritrovato una nota del 10 aprile 2014 in occasione di un incontro dei diplomati del liceo classico “G. Scotti” dell’anno 1963, dopo ben 51 anni... In un intervento immediato Francesco Esposito, declamando una sua ode ha ricordato caratteristiche dei suoi compagni di classe ed ha ricondotto a quel tempo e a quell’età anche sulle note della chitarra del bravissimo Nicola Pantalone. Ed è sorprendente che il fabbricato sia rimasto intatto dopo tanti anni, solo le aule a pianterreno sono diventate un ristorante, il resto è come allora. A pensarci! Il nostro liceo giù alla Mandra, sulla Spiaggia dei Pescatori: a destra il Castello Aragonese e tutto il Borgo di Celsa, in fondo sull’orizzonte Capri ed il Golfo di Napoli e Vivara con Procida così vicine. Le aule sulla spiaggia lambite dall’onda di Ponente e dalla risacca dello Scirocco. La spiaggia era la nostra palestra, la rete di pallavolo era distesa tra i pali delle spasare dei pescatori e giocavamo a calcio sulla sabbia tra i gozzi e le case di via Pontano. Non mancava una salumeria all’angolo ed una tabaccheria nelle vicinanze. Le ragazze raggruppate sull’unica panchina del giardinetto a ripetere le lezioni o a tessere sogni. Spesso vedevamo dalla finestra della nostra aula i pescatori che dalla spiaggia calavano la Sciabica e le loro donne che, interrompendo i lavori domestici, collaboravano per il recupero tirando in sintonia su due filari paralleli lunghi cavi di canapa e la rete, finché il sacco era sulla battigia....
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Giornata nazionale del dialetto e delle lingue locali Il 17 gennaio di ogni anno l’UNPLI (Unione Nazionale Pro Loco d’Italia) invita tutte le Pro Loco, nonché Biblioteche, Centri di Cultura, Enti, Scuole e Università, ad inserire nelle loro manifestazioni uno spazio, anche piccolo, che ricordi l’importanza delle lingue e dei dialetti locali. Durante il mese di gennaio, ma ormai anche durante tutto l’anno, si susseguono eventi in centinaia di località italiane che aderiscono all’iniziativa. La prima edizione si è svolta a gennaio 2013. L’istituzione della Giornata Nazionale del Dialetto e delle Lingue locali ha anche promosso la nascita del Premio Nazionale Salva la tua lingua locale, con l’obiettivo di salvaguardare e valorizzare i patrimoni culturali locali e le espressioni linguistiche di tutto il territorio italiano. Si può aderire all’iniziativa organizzando un evento dedicato oppure inserendo nelle manifestazioni già in programma un momento di riflessione sui dialetti e le lingue locali. Si potrebbero prevedere ad esempio alcune delle seguenti attività: raccolta di libri in e sui dialetti, di testimonianze video ed audio, convegni, rappresentazioni teatrali, letture pubbliche di poesia o proverbi, giochi di strada, presentazione di manifestazioni in italiano e in dialetto, ecc.
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Premio Letterario
"Maria Francesca Iacono" Il giorno 29 dicembre 2015, nei locali della redazione di “Rivista Letteraria”, quadrimestrale di Critica Letteraria e Cultura varia, siti in Casamicciola Terme (Na), si è riunita la commissione giudicatrice del Premio Letterario “Maria Francesca Iacono” (24a Edizione 2015; Sezione unica: Poesia singola), organizzato da “Rivista Letteraria”, presieduta dal prof. Pasquale Balestriere. Al termine dei lavori è risultata vincitrice la
Casamicciola Terme Omaggio a Gioacchino Murat Martedì 29 dicembre, presso l’Osservatorio Geofisico 1885 sulla collina della Gran Sentinella di Casamicciola Terme, si è tenuto un “Omaggio a Gioacchino Murat nel bicentenario della Campagna d’Italia (1815-2015)”, incontro inserito nel calendario degli eventi natalizi 2015/2016 con il patrocinio del Comune di Casamicciola Terme. Infatti la sera del 19 maggio 1815, dopo aver stretto a sé (per l’ultima volta) la sua Carolina, in abiti borghesi e a cavallo, avvolto in un mantello turchino, Gioacchino Murat si rifugiò nell’isola d’Ischia, all’albergo Grande Sentinella in Casamicciola Terme, dove vi rimase un giorno e due notti, due penosissimi giorni secondo Antonio Spinosa. L’iniziativa è stata promossa dall’Associazione Pro Casamicciola Terme, aderente alla Federazione Italiana Cineforum, e ha visto la proiezione del film “Come mirano giusto costoro” di Ferdinando De Laurentis,
lirica “Sedici Ottobre” di Pietro Catalano di Roma. Segnalate, in ordine di valutazione, le liriche: Prima segnalata “Quando il silenzio verrà a vestirmi di bianco” di Vittorio Di Ruocco di Pontecagnano Faiano (Sa); Seconda Segnalata “Natale altro” di Mario Aldo Bitozzi di Udine; Terza segnalata “Eva ha due papà” di Davide Rocco Colacrai di Terranova Bracciolini (Ar). Lirica segnalata dal Presidente: “Era uno sterminio Milano …” di Gennaro De Falco di Milano. con Pippo Santonastaso e gli attori del Tpo di Occhiobello, molti dei quali provenienti dalla provincia di Ferrara. Il lungometraggio fu realizzato in occasione del Bicentenario della Battaglia di Occhiobello. «Infatti, il film inquadra la battaglia combattuta il 7–8 aprile 1815 tra l’esercito di Gioacchino Murat, re di Napoli, e quello austriaco. “Come mirano giusto costoro” è una produzione Tpo di Occhiobello, ha una durata di circa mezz’ora. Coordinatrice del progetto è Carlotta Breda. Il cast attoriale vide l'alternarsi, insieme a Pippo Santonastaso, Valentina Caveduri, Samuele Spada, Arianna Bassani, Mariagrazia Berto, Luca Bassani, Paolo Garbini, Martina Pozzati, Roberto Chianura, Tiziano Buzzoni, Alberto Astolfi, Chiara Scaglianti, Alessandra Consonni, Mario Montano, Wanda Danuta Murach, Cecilia Cenacchi, Leonarda Ielasi, Luca Zanettin, Maurizio Zannato, Marco Pozzati e Mattia Mazzini.
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Comune d’Ischia Sono tante le opportunità che l’Unione Europea dà a coloro che vogliono investire in progetti imprenditoriali e in innovazione, ma troppo spesso queste occasioni non vengono colte sia per la mancanza di informazione che di sinergia tra le diverse realtà territoriali. Living Lab Ischia si pone proprio l’obiettivo di aiutare gli imprenditori e i più giovani a cogliere tali opportunità, informando e aiutando gli interessati a tradurre in realtà le proprie idee. Sarà operativo fino a marzo 2016, (apertura martedì dalle 16,00-20,00, mercoledì e venerdì dalle 10,30 alle 14,00) uno sportello informativo al piano terra del Palazzo Municipale, appositamente allestito, per informare quanti interessati a proporre iniziative imprenditoriali che dovessero rientrare in tale ottica. Personale qualificato darà opportuni consigli su come intercettare i fondi adatti alle diverse tipologie di progetti sia a costruire le sinergie necessarie per realizzarli. Un progetto decisamente importante che si propone di dare opportunità ai giovani che spesso hanno delle buone idee, ma non sanno come metterle in pratica (pagina Home del dito del Comune). La Rassegna d’Ischia n. 1/2016
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La Cappella dei Calosirto *
L’Uomo dei dolori
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Il riquadro pittorico della Cappella Calosirto raffigura l'Uomo dei dolori tra i Santi. Sul corpo del Cristo sono infatti evidenti le piaghe delle mani e del costato, segni dell’avvenuta crocifissione. I santi raffigurati sono Caterina d’Alessandria riconoscibile dalla ruota, il libro, la corona regale e Maria Maddalena distinguibile dai lunghi capelli biondi sciolti sulle spalle. Care alla tradizione agiografica locale, le due sante sono state ritratte più volte all’interno della cripta. Alla Maddalena è stata dedicata la cappella centrale, più tarda rispetto a quella Calosirto, nella quale ritorna però lo stesso scenario decorativo fatto di stucchi e pitture murarie. II Cristo morto è in primo piano, sorretto dalla Vergine e San Giovanni Evangelista arretrati rispetto alla figura principale, in una concezione spaziale solida e nuova, tale da consentire al pittore di anteporre il braccio e la mano della Vergine alla spalla destra del “Divin * È stato possibile identificare nei Calosirto (famiglia nota particolarmente per aver dato i natali a San Giovan Giuseppe della Croce) la nobile stirpe a cui ricondurre i due emblemi araldici dipinti.
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Figlio” creando profondità nella scena e rilevando il movimento dell’avanti e dell’indietro tra le figure. L’alta qualità dell’affresco traspare non solo dal nuovo assetto spaziale, che è alla base dell’impianto costruttivo del dipinto, ma in egual misura da un’inedita concezione naturalistica dalla quale si originano i dettagli anatomici e fisiognomici dei soggetti ritratti. Forte è il contrasto chiaroscurale con cui è costruito non solo il volto, ma anche il corpo del Cristo, con le ombreggiature dei pettorali, del costato e il segno dell’arcata epigastrica. La Vergine, una figura notevolmente solida e compatta dal profilo schiacciato, e raffigurata con il capo cinto dal nimbo d’oro, mentre San Giovanni Evangelista fortemente caricato da un punto di vista espressivo con sopracciglia aggrottate e labbra contratte, è totalmente immerso nel ruolo di dolente. Appare quasi spontaneo il rimando alla drammaticità e all’espressività della scultura di Giovanni Pisano, che qualifica i molti gruppi di scultura lignea fiorentina della seconda metà del Trecento, tra cui le due figure della Vergine e San Giovanni provenienti da una collezione privata parigina e pubblicati dal Carli1. Tale vicinanza trova ovviamente spiegazione nella cultura fiorentina giottesca e di Maso di Banco alla quale attinge l’anonimo pittore. L’ovale del Cristo, incorniciato dai folti capelli ricadenti in ciocche sulle spalle, con sopracciglia sottili, occhi allungati, fronte larga e bocca dischiusa, testimonia nella delicatezza dei lineamenti e nel gusto cromatico l’influsso della pittura senese, ormai non più restituibile esclusivamente all’influsso di Simone Martini, ma spiegabile anche attraverso la conoscenza diretta della pittura di Lippo Vanni. Il soggiorno napoletano del Vanni non è documentato, ma testimoniato dal ritrovamento del Trittico raffigurante la Madonna in Trono tra i Santi Antonio Abate ed Elisabetta di Ungheria con Elzbieta Lokietkowna e Andrea di Ungheria realizzato dal pittore tra il 1343 e 1344, custodito al Coral Gables in collezione Kress. Opera significativa, quest’ultima, voluta da Elisabetta d’Ungheria, commissionata durante il soggiorno a Napoli della sovrana, discesa nel tentativo di risolvere l’annosa questione dell’incoronazione del figlio Andrea, marito di Giovanna I, che sarà assassinato a Salerno l’anno successivo. La fisicità delle figure dell’affresco isclano, espressive e padroni di uno spazio solido, rappresenta l’elemento qualificante del dipinto che appare assolutamente incomprensibile senza l’avvicinamento ai nuovi feno1 Carli E., La scultura lignea italiana dal XII al XVI secolo, Milano, Electa 1960, p. 58.
meni culturali determinati dall’importante cantiere di Castelnuovo. L’autore dell’affresco aveva certamente osservato le pitture perdute del Castello angioino realizzate a Napoli da Giotto2 e Maso, avendo modo di acquisire le grandi innovazioni fiorentine dell’arte. Proprio il rapporto con il profilo schiacciato di Maso che è principio basilare del (suo) linguaggio... e la costatazione di una nuova carnalità3 definisce la matrice culturale dell’autore, attivo a Ischia tra il 1335 e il 1347, creando punti di contatto con quel filone giottesco-masiano di Castelnuovo in cui il Bologna inserisce la figura del Maestro della Cappella Barrile in San Lorenzo, identificabile in Antonio Cavarretto e Roberto D’Oderisio. Certamente interessanti e stringenti si presentano i confronti con alcune opere dell’Oderisio, artista stimato fortemente a corte al punto che Carlo III di Durazzo, nel 1382 all’inizio del suo brevissimo regno, lo nominò pittore regio, ospitandolo e omaggiandolo dello stesso privilegio precedentemente concesso a Giotto4. Il volto dell’Uomo dei dolori ben si accosta all’ovale dalle sottili e allungate arcate sopracciliari del Cristo della Dormitio Virginis e Incoronazione della Madonna tra i Santi Nicola di Bari, Giacomo, Giuliano e Antonio Abate eseguito per Antonio Coppola di Scala, attualmente in collezione privata, databile secondo il Bologna tra il 1332-355. Il profilo della Dormitio è avvicinabile a quello della Madonna dolente d’Ischia ma ancora più convincente è la corrispondenza tra il San Giovanni Evangelista della citata opera e quello isclano, i quali presentano impressionanti somiglianze nell’accentuata espressività e vicinanza nella tecnica di esecuzione dei capelli terminanti in ciocche arricciate. Forti riscontri si notano anche con il San Giovanni della più tarda Crocifissione proveniente da San Francesco a Eboli, attualmente custodita nel Museo del Duomo di Salerno, unica opera firmata di Roberto D’Oderisio (1335-40), nella quale il rapporto con Maso si evidenzia ancor più fortemente nell’uso ripetuto dei soggetti di profilo e in una concezione spaziale ordinata e simmetrica, dove appropriato risulta l’accostamento tra le due Marie di profilo e la Madonna dolente di Ischia. Ragguardevoli i punti di contatto con il ciclo delle Storie bibliche nella chiesa della Incornata di Napoli, 2 La documentazione riguardante Giotto è consultabile presso l'Archivio di Stato di Napoli in Registro della Cancelleria Angioina 285, c. 213 e rportata integralmente in P. Leone de Castris, Giotto a Napoli, Napoli 2006, pp. 19, 22, 42, 198, 210, nota 1. 234, 237: P. Leone de Castris, op. cit. 2013, p. 29, nota 8, 9. 3 F. Bologna, I pittori alla corte angioina di Napoli 12661414, Napoli 1969, p. 295. 4 F. Bologna, op. cit., Napoli 1969, p. 266. 5 Secondo lo studioso a questa data l'artista era un pittore ormai maturo, la cui formazione è certamente da riportare agli anni trenta del Trecento nel Cantiere di Castelnuovo. Tale nomina era da considerarsi come una riconferma di una precedente onorificenza.
realizzato dall’Oderisio tra il 1340 e il 1343, indipendente dai più tardi affreschi raffiguranti i Sacramenti, dipinti a partire dal 1354, in seguito all’incoronazione di Giovanna e Ludovico di Taranto. Confrontabili sono la figura di Giuseppe nella Spiegazione dei sogni ai compagni in carcere e il San Giovanni di Ischia, paragonabile ancora a diversi personaggi maschili dei Figli di Giacobbe che riportano la tunica al padre. Appurata la vicinanza alla produzione di Roberto d’Oderisio, ancor più stringente si rivela la comparazione alle opere restituite al Maestro di Giovanni Barrile. L’accordo tra la Vergine di Ischia e le figure femminili dai carnosi profili e dal mento pronunciato degli affreschi della Cappella Barrile in San Lorenzo (133435) è indiscutibile. I confronti più serrati riguardano le scene dell’Incontro alla Porta Aurea e lo Sposalizio della Vergine, in cui sono manifestate la stessa forza espressiva e l’innovativa concezione spaziale. Elementi basilari questi ultimi, che hanno qualificato la scuola napoletana sviluppatasi in seguito alla lezione di Giotto e di Maso Banco, che non hanno impedito però al Maestro Barrile di spingersi verso sperimentazioni cromatiche più accentuate rispetto a Oderisio, concentrato invece sull’elaborazione di quinte architettoniche sempre più complesse in cui trovano posto figure voluminose e solide, come nelle lunette dei Sacramenti dell’Incoronata. L’attenzione al dato cromatico appare invece sostanziale nel Maestro Barrile, conducendolo a risultati straordinari come il San Ludovico del Museo Granet di Aix en Provence, accostabile al piccolo affresco isclano per il medesimo impianto con le due figurette oranti e la stessa delicatezza dei volti, intrisi di un particolare gusto cromatico che le invade completamente. Relazione ancora più evidente dopo l’accostamento del Cristo dell’Uomo dei dolori al Redentore della Mensa del Signore, sito nella sala capitolare dei frati minori in Santa Chiara, in cui sono individuabili elementi stilistici comuni quali la tipologia del volto, la delicatezza dei lineamenti e il particolare gusto cromatico che le qualifica. Di notevole interesse è la condivisione della stessa ideologia, che traspare da dettagli di straordinario valore simbolico, il cui scopo è quello di rendere palese l’adesione alla teoria dell’Ecclesia pauperum voluta dai francescani riformati. Il movimento era sostenuto da re Roberto, dalla regina Sancha e da suo fratello Filippo di Majorca, guida riconosciuta della corrente fondamentalista e avversato invece da Giovanni XXII. Ferdinando Bologna poneva l’accento sul valore simbolico del soggetto raffigurato nella Mensa del Signore, in cui Pietro distribuisce ai poveri il cibo provvidenziale moltiplicato dal Redentore. Tra i partecipanti all’evento è presente San Francesco che porta sulle spalle la bisaccia da mendicante, oggetto indispensabile ai frati, che vivevano esclusivamente di elemosina, rispettando la Regola introdotta da San Francesco. Una scelta chiara nella direzione delle teorie dell’Ecclesia pauperum sostenute dal sovrano, il cui stemma fa da cornice alla raffigurazione della Mensa. Le stesse scelte simboliche La Rassegna d’Ischia n. 1/2016
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sono riconoscibili anche nel piccolo affresco di Ischia, in cui la Vergine indossa un manto di colore marrone, scelta avvicinabile a quella del Maestro delle tempere francescane forse Pietro Orimina, artista formatosi proprio nel cantiere giottesco di Castelnuovo, la cui esperienza è stata messa più volte in relazione con il Maestro Barrile6. L’utilizzo del suddetto colore per la veste della Madonna nella Vergine in trono tra Santa Maria Maddalena e Chiara del Maestro delle Tempere francescane (1336), non è da intendersi come semplice caso, ma come volontà di riprendere il colore marrone della veste dei monaci. L’elemento cromatico aveva una motivazione simbolica chiara che la ricongiungeva al movimento dei francescani fondamentalisti. Alla luce di quanto esposto è palese che il frescante di Ischia aveva conoscenza diretta non solo delle scelte di carattere prettamente stilistico e formale di Castelnuovo e del maestro Barrile, ma viveva pienamente anche la complicata temperie religiosa della corte napoletana, schierandosi apertamente a favore del sovrano e della corrente pauperistica. Accertata la vicinanza formale e simbolica del frescante di Ischia all’innovativo contesto culturale di Castelnuovo, diventa lecito pensare, che l’autore del piccolo affresco di Ischia possa essere proprio il Maestro Barrile o un suo strettissimo collaboratore. Tale tesi è confortata proprio dai rapporti familiari di Giovanni Barrile, committente dell’omonima cappella in San Lorenzo, uno tra gli uomini più importanti della corte di Roberto. Era al seguito di Carlo di Calabria e alla sua morte avvenuta nel 1328, diventò capitano di Calabria. Nel 1334 fu richiamato a Napoli per occuparsi dell’educazione del giovane Andrea di Ungheria. Fu stimato da Petrarca e dal Boccaccio, fu un uomo squisitamente colto che seppe vivere fino in fondo la straordinaria temperie culturale del regno di Roberto. La sua figura cadde in rovina durante il governo di Giovanna I fino a quando non gli fu tolto il prestigioso incarico di Siniscalco della Provenza. Governatore della Provenza negli stessi anni era Marino Cossa7 vice ammiraglio di Ischia e Signore di Procida dal 1339, che diede in sposa al figlio Giovanni Conte di Troia Cicciola o Zizzola Barrile, sorella minore di Giovanni, una tra le donne più belle della corte del Re. Esiste quindi un rapporto parentale documentato tra i Cossa e i Barrile, famiglie di prim’ordine presso la corte di Roberto, che consolidarono il legame politico attraverso il matrimonio. I Cossa erano titolari di una cappella all’interno della cripta, attualmente identificata con quella Bulgaro-Cossa e riconducibile, attraverso lo studio degli affreschi, agli anni trenta del Trecento. La famiglia aveva un ruolo importante 6 F. Bologna op. cit. p. 235 e seguenti. 7 Marino Cossa, consigliere di re Roberto, si recò con Sergio Bulgaro di Ischia in Schiavonia nel 1332 per trasportare in Puglia il re d’Ungheria Caroberto e il figlio Andrea. Vedi O. Buonocore, Storia di uno scoglio, Napoli 1904, p. 25.
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nel contesto sociale e politico dell’isola dalla fine del Duecento, basti citare Pietro Salvacossa e l’operato da lui svolto durante i Vespri Siciliani del 1296, quando valorosamente difese la sua patria parteggiando per gli Aragonesi, per renderla poi tre anni dopo agli angioini, in cambio della grazia8. Sulla parete esterna della cappella Calosirto, a sinistra dell’ingresso, è visibile un antico graffito raffigurante proprio lo stemma dei Cossa, la cui presenza induce a ipotizzare una vicinanza con la famiglia dei Calosirto. Che le famiglie Cossa-Barrile fossero vicine ai Calosirto, nobilissima stirpe, e che avessero mediato l’arrivo del Maestro della Cappella Barrile appare ormai un dato sicuro. È chiaro che tale intervento pittorico veniva commissionato in un momento storico e politico sostanzialmente altro rispetto a quello delle Storie dell’Infanzia. Il grande sviluppo dell’insula minor a seguito dell’eruzione, aveva comportato non solo l’ampliamento urbano dello scoglio trachitico, divenuto ormai una cittadella fortificata, ma la valorizzazione dello stesso agli occhi dei sovrani angioini per essere una fortezza grande, che è tenuta la seconda chiave del Regno9. Le famiglie che disponevano di residenze sul Castello dovevano naturalmente lasciar trapelare il proprio status anche attraverso la ricchezza delle decorazioni. La cappella privata era un mezzo privilegiato per esprimere il prestigio politico e sociale. Appare più che mai comprensibile la volontà di affidare il completamento della decorazione a un’artista valutato di gran pregio, che aveva lavorato per i Barrile, e quindi facilmente rintracciabile attraverso i rapporti precedentemente messi in evidenza. In questo modo diventa chiara la trama dei legami familiari, sociali e politici che mediarono l’arrivo del noto frescante nella piccola cappella isolana, collocata in un sito considerato di valore sostanziale nelle strategie politiche e militari degli angioini. Le nobili famiglie che vi risiedevano avevano esponenti impegnati in incarichi di prestigio presso la corte napoletana, tali da rendere comprensibile la presenza nella cripta di un pittore stimato e impegnato in cantieri di grande rilevanza come la Cappella Barrile in San Lorenzo. (dal libro di Serenaorsola Pilato La Cappella dei Calosirto, 2025)
8 P. Giannone, Storia civile del Regno di Napoli, libro XI, cap. 6; M. Amari, La guerra del Vespro siciliano, IX ediz. Vol. II p. 366, Hoepli 1886. 9 S. Mazzella, Descrizione del Regno di Napoli, Napoli 1597, p. 19.
Arcipelago Itlia
Ventotene e S. Stefano “Intanto giunse, correndo, la ben fatta nave all’isola delle Sirene, spinta da buon vento. E subito il vento cessò e una bonaccia placida scese: un dio le onde assopiva”. Così Omero descrive l’approccio di Ulisse nel punto che Circe gli aveva indicato come uno dei più rischiosi del suo interminabile viaggio. Alcuni vecchi abitanti di Ventotene dicono che l’isola delle Sirene è la loro; e indicano in uno scoglio, detto “la nave di fuori”, il punto esatto in cui Ulisse, bordeggiando, ordinò ai suoi che lo legassero all’albero e tappò le loro orecchie con la cera. In questo punto dell’isola il vento si ingolfa sbriciolando il tufo nel mare e ritraendosene poi con lunghi suoni d’arpa. È un’ipotesi labile: i versi di Omero non aiutano del resto né a confermarla né a smentirla. L’appropriazione del mito da parte degli abitanti di Ventotene ripete un antico costume di quelli delle coste laziali, lungo tutto l’arco delle esplosioni vulcaniche che illuminarono le notti del Tirreno milioni di anni fa, sconvolgendone l’aspetto: uno straordinario accumulo, una incessante sovrapposizione di memorie e leggende che fanno premio sul rigore storico e, tutte insieme, compongono il fascino di questi luoghi cari ai poeti e ai viaggiatori solitari. Così, la stessa Ponza, a dispetto dei toponimi, si ritaglia il suo pezzo di leggenda sostenendo che Circe la maga abitò nell’isola e non in terraferma e disegnando l’itinerario di Ulisse tra uno scoglio e l’altro dell’arcipelago pontino. Non disporremo mai di elementi per invalidare queste libere interpretazioni dei miti, ma una cosa appare certa: se veramente Ulisse navigò in queste acque, non vide le isole come oggi le vediamo, spoglie d’alberi e solo ricoperte da un fragile tappeto verde interrotto da arbusti. Un tempo, Ventotene e Santo Stefano, così come Ponza e Palmarola, erano ricche di boschi. “Questa ricchezza” scrive Pier Giacomo Sottoriva in un suo pregevole studio “durò pochi anni dopo le immigrazioni del 700: per lucrare la vendita del legname o per dare spazio all’agricoltura, i boschi furono sradicati; le selve, che ospitavano numerosi animali, estirpate. Dall’operazione sarebbero derivati i profili nudi che ancora oggi persistono e che espongono le Pontine, indifese, all’urto del vento e del dilavamento”. Ma persino la forma delle isole Pontine è mutata, nei secoli e, più percettibilmente, negli ultimi trecento anni: vento grecale
e scirocco, tempeste e il terribile Garigliano che d’inverno soffia venendo giù dai monti Aurunci innevati limano i tufi di Ventotene, ne corrodono i fragili orli; i pochi pescatori rimasti nell’arcipelago, abituati a misurare distanze e a tracciare itinerari avendo l’occhio fisso al particolare di una roccia, annotano i mutamenti e correggono la rotta sulle invenzioni della natura, disegnatrice imprevedibile di sempre nuovi profili: scogli un tempo defilati compaiono all’improvviso, in uno stretto giro di boa; altri si ritraggono dall’abituale orizzonte celandosi alla vista. Un gioco a rimpiattino, diluito nei tempi lunghi, che resta affidato soltanto alla memoria delle generazioni. La varietà delle rocce, di quarzo eruttivo a Ponza, di basalto ferrigno e rosso cupo a Ventotene, metamorfiche e sedimentarie a Zannone, contribuisce a rendere indecifrabile il paesaggio, specchiando in modo sempre nuovo e diverso la luce e i colori. C’è soltanto un elemento che omologa questo variegato paesaggio per molti versi unico nel Mediterraneo e che il visitatore moderno, solo che vi si inoltri senza l’ausilio di motori, è in grado di cogliere: è una nota musicale, di basso continuo, di misteriosa provenienza; una volta usciti dal golfo di Gaeta e messa la prua in mare aperto, verso occidente, essa vi accompagna senza sosta come la dominante sostenuta da un gigantesco contrabbasso sommerso, È, se ci si perdona la contraddizione in termini, la particolare “voce” del silenzio in questo tratto di mare,’ simile a quella che si ode sulle pendici dell’Etna, o alle Tremiti. Di queste oasi di silenzio, l’arcipelago pontino è la più vasta e omogenea; il pensiero del navigatore va a scogli inabissati, residui del grandioso sconvolgimento che lo fece emergere davanti alle coste laziali e la cui eco si immagina perduri, nelle viscere della terra determinando il “timor panico”, l’irrazionale paura dell’incontro con l’ignoto. Ogni altro rumore, da quello del vento nelle vele fino all’urlo lontano di una nave che si appresta a entrare in porto, è assorbito da quella nota. A. differenza delle isole turisticamente più accreditate (Capri, Ischia, Procida) le Pontine e specie Ventotene non sembrano adattarsi a un turismo mondano, ciarliero, invadente; le salva dall’invasione estiva una serie di condizioni eluse, per fatti storici, di costume o di pigra amministrazione. Tagliate fuori dai grandi itinerari, etichettate nei secoli come luoghi di segregazione La Rassegna d’Ischia n. 1/2016
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coatta. Esse conservano, nella geografìa turistica del nostro Paese, una loro tenace marginalità, una vocazione ambigua, tra il desiderio di apparire e una tendenza ad appartarsi. Il carattere stesso di chi vi abita si è modellato su questa trama di contraddizioni e di conflitti interiori, anche se una civiltà di antichissime origini media nei rapporti con gli “esterni” facilitandone la convivenza. Forse soltanto tra le pieghe della storia è possibile trovare le radici di questo atteggiamento, schivo, di questa “alterità”. Fenici, Ausonii, Greci, Volsci, apparirono qui per brevissimi tempi sotto veste di frettolosi conquistatori; o soltanto per ragioni commerciali. Bastarono, quelle imprese, a radicare, nell’animo degli abitanti, una tenace avversione per il mare, foriero soltanto di eventi drammatici, e una vocazione contadina, che si espresse nella coltura della vite, oggi scomparsa e sostituita dalle coltivazioni ortive, dalle leguminose. Il periodo della dominazione romana resta ormai affidato solo al ricordo della segregazione di Giulia, figlia di Augusto, della cui villa emergono poche tracce a Ventotene, nel tratto di costa che prende il nome di Punta Eolo. Quando Roma decadde, l'imperatore d’Oriente tenne Ventotene per un breve periodo come base d’altura e rifugio per la propria flotta. Poi, diluite in molti secoli, si alternarono vicende imperniate su una totale subalternità delle isole rispetto al filone centrale della storia: esse furono, volta a volta, terre di rifugio, punti di appoggio per le flotte saracene, giri di boa rapidi e distruttivi per pirati e predoni d’ogni risma. Il quindicesimo secolo segnò l’inizio di un esodo inarrestabile; Ventotene restò disabitata per duecento anni, fin che i Borboni di Napoli non favorirono una nuova immigrazione da Ischia, da Torre del Greco, mutando in tal modo, alla radice, la composizione etnica e di quell’isola e dell’intero arcipelago. Ne fanno testimonianza i cognomi, tutti d’origine partenopea. Ma né gli ischitani né gli immigrati di Torre del Greco, fatta salva una piccola parte di tenaci corallari, conservarono la loro vocazione di marinai e pescatori, per la difficoltà degli approdi e l’assenza di porti attrezzati. Divennero così contadini anch’essi, spartendosi fazzoletti di terra. Un rudimentale terziario si impose, a Santo Stefano, quando, nel 1795 Ferdinando IV fece progettare e costruire dall’architetto Carpi l’ergastolo di Stato, famoso per avere ospitato, dal Settembrini a Pertini, uomini illustri, carbonari, mazziniani. Segregati dalla cosiddetta “società civile”, essi furono accolti con amicizia e calore dalla popolazione la cui tradizione di ospitalità, costruita sulla istintiva consapevolezza di una sorte comune, si è mantenuta nel tempo trasformandosi in un apporto prezioso al turismo quieto, non invadente, misurato sui rit50
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mi locali. La coniazione di un termine come “L’ora di Ventotene” è tipica del rapporto che gli abitanti hanno instaurato col tempo quotidiano: essa è “l’ora che vuoi” o “l’ora che puoi”, non quella segnata dalle meridiane e dagli orologi. Santo Stefano, separata da Ventotene da un braccio di mare di un chilometro e mezzo, è disabitata dal 1965, quando fu decisa l’abolizione dell’ergastolo di Stato; di 170 anni di storia carceraria rimangono i segni: il carcere, gli alloggi di custodia e un cimitero dove riposano le spoglie dell’anarchico Bresci, uccisore del re Umberto I. A Ventotene vivono, dopo le ultime emigrazioni, poco meno di mille abitanti, in piccola parte occupati nell’agricoltura e nella pesca, il resto nel terziario che il turismo alimenta con parsimonia. Si tratta, in gran parte, di un turismo familiare, favorito da una serie di piccoli alberghi e pensioni che garantiscono quiete, ottime zuppe di lenticchie e fave e una gran quantità di pesce “vivo”. Ma i pochi pescatori rimasti disdegnano il pesce minuto e nelle loro reti a tramaglio incappano saraghi, totani, merluzzi. Spesso appare in tavola l’aragosta. C’è passaggio e sosta di quaglie: sono tornate a svernare beccacce ed allodole; lo stridio dei falchi pescatori che nidificano vicino al mare riga la quiete dei tramonti. Di primavera Ventotene esplode nella fioritura delle ginestre; fichidindia si inerpicano sui fianchi scoscesi dell’isola; fa capolino nei campi qualche vite bassa, resti di vigne più estese. Le case dipinte di rosso seguono la linea curva e in salita della via del pozzo di Santa Candida; muri scrostati che il sole incendia orlano piccole cale con innumeri barche ad asciugare. In Porto Novo gettano l’ancora lussuosi panfili, accanto a scafi anonimi e al traghetto che collega l’isola con Formia. Un tempo, essendo inutilizzabile l’antico porto romano, le imbarcazioni gettavano l'ancora al largo e i barcaioli manovravano con perizia i loro gozzi alle fiancate per il trasbordo dei passeggeri; oggi favoriscono il periplo dell’isola alla ricerca delle piccole spiagge irraggiungibili da terra. A Cala Battaglia il tufo è tagliato di netto, in verticale sul mare e l’agave fa vibrare le sue spade nel silenzio. Nel porto romano, le nasse rovesciate accanto alle reti attendono di essere immerse per imprigionare aragoste. A fine settembre, per la festa di Santa Candida patrona, c’è gran festa a Ventotene: tornano gli emigrati, ci sono gare di gozzi, i bambini liberano mongolfiere, si mangia zuppa di lenticchie. Ugo Martegani (In Qui Touring, n. 26-27, 1-8 settembre 1983)
Foto di Amedeo Piro
Casamicciola Terme 3 gennaio 2016
Presepe vivente
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Cappella Calosirto - parete sud. Uomo dei dolori con Maria Maddalena e Santa Caterina d'Alessandria