Anno XXXVII N. 6 Dicembre 2016 Euro 2,00
L'Isola d'Ischia terra di storia Artisti d'Ischia
Di alcune sepolture della necropoli di Pithekoussai Casamicciola
quando era la capitale "morale" dell'isola d'Ischia
Viaggio a Sora terra di Santa Restituta qui "una nobile romana"
Ex libris - Rassegna Libri - Rassegna Stampa
Scienziati a Ischia
Grablovitz - Lavis - Mercalli - Fuchs - Curie - Rittmann Paolo e Giorgio Buchner - Dohrn - Lyell Periodico di ricerche e di temi turistici, culturali, politici e sportivi Dir. responsabile Raffaele Castagna
La Rassegna d’Ischia Periodico bimestrale di ricerche e di temi turistici, culturali, politici e sportivi
Anno XXXVII - n. 6 Dicembre 2016 Euro 2,00 Editore e Direttore responsabile Raffaele Castagna La Rassegna d’Ischia Via IV novembre 19 80076 Lacco Ameno (NA) Registrazione Tribunale di Napoli n. 2907 del 16.02.1980 Registro degli Operatori di Comunicazione n. 8661 Stampa : Press Up - Roma
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In questo numero 3 L'isola d'Ischia terra di storia 5 Scienziati a Ischia 12 De Rivaz nel 1835 pensò già alla trasformazione de lago d'Ischia in porto 13 Ex libris 17 Carta dell'isola d'Ischia di Joannes Metellus dall'Itinerarium Orbis Christiani, 1598 e i toponimi ivi segnati 19 Di alcune sepolture della necropoli di Pithekussai
21 Viaggio a Sora, terra di Santa Resttuta qui "una nobile romana" 24 Mario Cortiello attinse al paesaggio d'Ischia
25 Rassegna Libri - Le Madonne della Misericordia - Amori/intrighi a Ischia durante l'occupazione inglese - Architettura e paesaggi della villeggatura in Italia tra Otto e Novecento - Al mondo ci sono solo isole 30 Procida : al via la valorizzzione del Palazzo d'Avalos (ex carcere)
31 Stroccafilando con il nipote Daniele 32 Artisti d'Ischia 36 Rassegna Stampa - Il vulcano Ischia - L'Italie de l'île en île
40 Fonti archivistiche Il monastero di S. Maria della Consolazione
48 Viaggio a Capri e a Paestum, 1846 (Seconda parte)
59 Convegno franco-italiano L'archeologia funeraria in Italia del Sud (Fine VI - inizi III secolo a- C.) In copertina (I) - Veliero nel porto d'Ischia di Luigi De Angelis
L'Isola d'Ischia terra di storia Ischia: quest’isola, con un passato lontano e vicino e con un presente rinnovato, ha fatto e fa sempre vibrare, sotto la guida di appassionati studiosi, storici, archeologi, artisti e poeti…, che nel loro contesto ne hanno costituito una vera e propria località culturale con un patrimonio che un tempo tutti hanno cercato di arricchire. Anche da parte di rappresentanti stranieri, soprattutto attualmente. Una maggiore spinta in tal senso è venuta e viene dalle scoperte archeologiche di Giorgio Buchner e dagli studi sui suoi reperti che crescono nell’ambito scientifico di tale settore. L’isola è stata riconosciuta come la prima colonia greca del Mediterraneo occidentale, e oggi ancora questa terra è fatta oggetto continuo di ricerche, di studi e di valutazioni da parte di eminenti studiosi nazionali ed internazionali. E non è soltanto in questo settore che Ischia fa valere la sua qualificata presenza, ma, come scrive Pietro Greco, essa si pone all’attenzione generale come un “laboratorio naturale”, un “laboratorio a mare aperto”, un “laboratorio culturale”. “Ischia è un patrimonio naturale e culturale dell’umanità. Il fatto è che tutto questo Ischia non lo sa. È per molti versi un’isola senza consapevolezza e senza memoria” (Pietro Greco1). Oppure, forse lo sa, ma ritiene preponderanti altri interessi e altri impegni, per certi aspetti maggiormente appariscenti e redditizi. C’è stato un periodo in cui prevaleva la volontà di acquisire beni per utilità pubblica e 1 Ambiente, Rischio, Comunicazione, quadrimestrale di analisi e monitoraggio ambientale, n. 11, luglio 2016.
per arricchire il patrimonio degli enti comunali. I partiti politici volevano, a volte, dare significato in tal senso alle amministrazioni. Si parlò dell'esproprio del Castello Aragonese e del Palazzo Reale d’Ischia; dell’Osservatorio di Casamicciola; diventarono proprietà comunali Villa Arbusto (destinata a sede del Museo di Pithecusae); fu acquisita La Colombaia (ricordo di Luchino Visconti); le pinete d’Ischia furono rese pubbliche; nel frattempo però si abolivano le biblioteche di Lacco Ameno e di Forio, da poco realizzate; non si è mai pensato ad un museo per gli artisti isolani; ma sorgevano iniziative private, come il Museo del mare, il Museo del Contadino, la Mortella, etc…; si valorizzava privatamente il Castello Aragonese e in parte il Palazzo Reale si apriva ad iniziative pubbliche; assumeva importanza e valore il Centro di Ricerche Storiche d’Ambra di Forio; cresceva il Museo di Santa Restituta a Lacco Ameno, grazie alla passione e al lavoro di don Pietro Monti: questo poi è stato (e rimane, si spera non per sempre)) chiuso al pubblico. Prevalgono oggi altre iniziative, soprattutto con manifestazioni di breve durata e provvisorie, che non incidono affatto sul territorio. Queste hanno forse l'obiettivo di distogliere da una indifferenza generale verso realizzazioni cncrete e di maggore valore. Che cosa abbiamo oggi di particolare da osservare? Tutto ciò che è diventato pubblico non è più curato appieno o non funziona affatto. E molte volte questo non lo si dice affatto. Tanti desiderano e si recano a visitare il sito di Visconti o il Museo di S. Restituta, ma vi trovano solo
Raffaele Castagna porte chiuse e pieno abbandono. Non ci sono fondi, si dice, e il Museo di Pithecusae che dovrebbe costituire, insieme con il Castello Aragonese, il dono più prezioso del patrimonio isolano e un volano dell’economia turistica, va avanti in modo ridotto e grazie alla partecipazione dei volontari. Eppur si dice che si opera per il bene del paese!! Esisterebbero poi i sentieri interni (montagne collinari) che, eccetto utilizzazioni private, poco o niente vengono curati, protetti e valorizzati con opportuna segnaletica e indicazioni delle specie vegetali, alcune di rilevanza unica, in ricordo e testimonianza del botanico Giovanni Gussone che, nell’anno 1855, dedicò alla flora isolana un suo famoso libro, scritto in lingua latina2. Ci sono quindi tutti i presupposti per qualificare e determinare come isola culturale un territorio che precedentemente si diceva isola termale, per la presenza delle numerose sorgenti valorizzate, anche sul piano letterario e critico, da studiosi e ricercatori, come Jasolino, De Quintiis3 (autore di un poema latino che faceva dire a Mons. Onofrio Buonocore: “Molti hanno scritto di Ischia in tutte le lingue; Eucherio De Quintiis lascia dietro tutti : la sua Inarime sta ad Ischia come l’Eneide di Virgilio sta a Roma”), D’Aloisio, De Rivaz, Morgera, e più recentemente Mancioli. Ci sono tutti, volendo, 2 Giovanni Gussone, Enumeratio plantarum vascularium in insula Inarime sponte provenientium vel oeconomico usu passim cultarum, Neapoli 1855. Esiste anche versione italiana. 3 Camillo Eucherio de Quintiis, Inarime seu de Balneis Pithecusarum libri VI, 1726. Esiste anche versione italiana.
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i parametri necessari per far prevalere le nuove espressioni, presenti magnificamente nel territorio, come importanza primaria di Ischia, anche per dare il giusto valore a coloro che sono stati gli artefici esclusivi di questo nuovo corso. Ma chi dovrebbe preoccuparsi e impegnarsi in tal senso, al momento e in futuro? Il fatto è che, prima di poter arrivare a tanto, ci vorrebbero veramente la consapevolezza e la coscienza della nuova realtà dell’isola, il cui presupposto va ricercato anche nella valorizzazione della “memoria” di cui prima si parlava e da cui non si deve giustamente trascurare il presente. Studio del passato e conoscenza esatta dell’attualità non possono essere disgiunti e vanno insieme considerati. "Non c’è oggi studioso del mondo classico o del Mediterraneo antico che non conosca il nome e l’opera di Giorgio Buchner: pur nella vastissima gamma dei suoi interessi, egli soprattutto è, e resterà, sinonimo dell’euboica Pithekoussai, e dell’autentica rivoluzione che questa scoperta ha portato in tutte le nostre nozioni riguardanti la Magna Grecia, e di conseguenza anche la Grecia arcaica da un lato, e dall’altro l’Italia antica" (Pietro Greco) . Ma sull’isola conoscono tutti l’archeologo noto “in tutto il mondo”? E che cosa si fa per farlo ricordare? Esiste una testimonianza viva, un ricordo qualsiasi di questo personaggio?
Si dovrebbe creare una biblioteca (a Lacco Ameno per esempio, a Villa Arbusto specificamente) che raccogliesse tutte le pubblicazioni di Buchner e quelle che oggi parlano della colonia di Pithekoussai; invece nulla si fa in merito a questo riferimento, come nulla si obietta (a Lacco Ameno e in diocesi) sulla chiusura (ed è ormai più di un anno) degli Scavi e Museo di Santa Restituta o del Museo di Pithecusae che apre solo mezza giornata. E a chi interessano in loco queste strutture? Forse si aspetta che l’incuria del tempo le riduca in una condizione malsana tale perché tolgano il disturbo e mettano in pace l’animo di coloro che dovrebbero provvedervi e renderle del tutto attive e funzionanti.
Russia-Italia Film Festival
più esigenti. Nel programma presenti 25 pellicole, tutte partecipanti o vincitrici di festival cinematografici italiani regionali o internazionali tra cui cinque opere proposte dall’Ischia Film Festival. Tutte le opere sono state proiettate in lingua italiana con sottotitoli russi e proposti ai migliori distributori russi. Dal 15 al 27 novembre il Festival RIFF si è spostato a Novosibirsk presso il cinema Pobeda, e dal 4 dicembre raggiungerà il cinema Rodina di San Pietroburgo.
A Mosca, al cinema Oktyabr dall’1 al 13 novembre 2016, si è svolta la III edizione del RussiaItalia Film Festival (RIFF) dedicato al cinema di fiction, del documentario e del cortometraggio; vi ha partecipato anche una selezione di film provenienti dall’Ischia Film Festival. Il Programma del Festival cinematografico è stato pensato in modo da presentare al meglio il cinema contemporaneo italiano, dai film da botteghino alle rarità d’autore, apprezzati dai cinefili
Prendere in considerazione tutte queste realtà esistenti sull’isola, privilegiarle nella costante valorizzazione e riconoscere loro un valore altamente significativo (e non solo per lo sviluppo dell’isola turistica) significa anche dare maggior peso ad ogni richiesta che si fa (quando si fa) di finanziamenti e di riconoscimento sul piano nazionale ed internazionale ed anche in ambito regionale, ove si dà oggi scarso significato a ciò che rappresenta la realtà isolana . Se non si dà valore alle cose localmente, come si può sperare che altri vengano a riconoscerle nella loro importanza e a valorizzarle? E ciò non solo in questo settore. Raffaele Castagna
Lunedì 12 dicembre 2016 ci sarà a Roma, Valle Giulia, la presentazione degli Atti del Convegno Contextualizing Early Colonization – Archaeology, Sources, Chronology and Interpretative Models between Italy and the Mediterranean A cura di Lieve Donnellan, Valentino Nizzo e Gert-Jan Burgers Vol. 1 – Context of Early Colonization Vol. 2 – Coceptualising Early Colonization 4 La Rassegna d’Ischia n. 6/2016
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"Ambiente Rischio Comunicazione" 11 luglio 2016 *
Scienziati a Ischia a cura di Paolo Gasparini, Pietro Greco, Giuseppe Luongo Dobbiamo molto delle nostre conoscenze sull’isola d’Ischia a scienziati arrivati da paesi lontani i quali, attratti dalle caratteristiche dell’Isola, la visitarono per periodi molto brevi (per esempio Marie Sklodowska Curie), ci ritornarono più volte (ad esempio, Henry Johnston Levis, Giuseppe Mercalli, Alfred Rittmann) o addirittura scelsero di viverci per sempre (come Giulio Grablovitz e Paolo e Giorgio Buchner). Un gruppo cospicuo di essi arrivò nell’Isola dopo il terremoto di Casamicciola del 1883, per studiarne l’origine e gli effetti. Tra questi, Giulio Grablovitz, Henry Johnston Lavis, Giuseppe Mercalli, oltre a Francesco Genala e Michele Stefano De Rossi.
Giulio Grablovitz (Trieste, 1846 Casamicciola, 1928)
Arrivò ad Ischia in seguito al terremoto che distrusse Casamicciola il 28 luglio del 1883. Studioso di Astronomia e Fisica terrestre, aveva dimostrato grandi qualità di ricercatore nelle due discipline e quando, nel 1885, il Parlamento decise che sorgesse a Casamicciola il primo Osservatorio Geodinamico d’Italia, fu individuato come la persona più adatta per progettarlo e dirigerlo. Grablovitz prese possesso del posto di direttore il 28 gennaio 1886. Nei primi mesi di attività si dedicò all’organizzazione del Servizio Geodinamico nell’isola, ma la costruzione dell’Osservatorio di Casamicciola andò per le lunghe, ostacolata da mille avversità burocratiche e, nell’attesa, cominciò ad installare una rete di sensori a Porto d’Ischia. Nel tempo questa rimase la sua località prediletta, tanto che anche quando l’Osservatorio di Casamicciola cominciò a funzionare egli abitò sempre presso questa zona. Grablovitz fu uno studioso di eventi catastrofici,
molto attento a non spaventare, ma neanche a illudere la gente. Per non dare agli isolani, ossessionati dall’idea del terremoto, la sfavorevole impressione di una sua as* Per gentile autorizzazione della direzione della rivista
senza, non si allontanava dall’isola nemmeno per le vacanze. Assolse con abilità e tatto il difficile compito di non nascondere nulla alle popolazioni, senza tuttavia indulgere in previsioni catastrofistiche. Come molti sismologi di quel tempo, progettò e costruì gran parte degli strumenti che adoperava. I sensori sismici più adoperati erano il sismografo costruito da Luigi Palmieri, direttore dell’Osservatorio Vesuviano, e pochi altri, che fornivano grafici confusi, indecifrabili, che scientificamente rappresentavano pressoché nulla. Oltre ad indicare la giusta via per ottenere dei sismogrammi leggibili, Grablovitz fu il primo ad individuare la necessità che un Osservatorio sismico fosse dotato di due tipi di sensori: uno per registrare le onde ad alta frequenza dei terremoti vicini, e l’altra per registrare le onde a più lungo periodo dei terremoti lontani. Alle prime destinava i già esistenti pendoli verticali corti, alla registrazione delle onde lunghe destinava un apparato da lui stesso ideato e cioè la Vasca Sismica. Più tardi modificò i pendoli orizzontali del Rebeur Paschwitz, riuscendo così a realizzare un apparato capace di rilevare onde sismiche di una svariata gamma di frequenze. Dotato di profonda cultura astronomica poté tra le altre indagini studiare con competenza la frequenza dei terremoti in relazione all’angolo orario della luna, ed i rapporti che esistono tra i microsismi e l’azione luni-solare. Costruì orologi solari tali che, prima dell’introduzione della radio, gli fornivano dati orari sufficienteLa Rassegna d’Ischia n. 6/2016
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mente esatti. Si occupò del difficile problema della deformazione periodica della parte solida del globo terrestre dovuta all’attrazione luni-solare (maree solide della Terra), e dei bradisismi. Istituì nell’isola una rete di punti geodinamici-trigonometrici con l’indicazione delle rispettive quote altimetriche, e degli azimut reciproci. Utilizzò la sua esperienza sugli studi mareografici anche ad Ischia, impiantando a Porto d’Ischia un mareografo tipo Thomson, del quale per trentasette anni seguì le registrazioni. Lo spoglio dei diagrammi ed il loro confronto coi capisaldi vicini, gli accertarono un progressivo abbassamento del lato orientale dell’isola. Mentre lavorava a un progetto per il potenziamento dei mezzi e del personale degli Osservatori di Ischia, il Governo nel 1923 soppresse l’Osservatorio Geodinamico di Casamicciola, nel contesto del riassetto e dei servizi meteorologici e geodinamici nazionali. Grablovitz fu collocato a riposo nel 1926 per raggiunti limiti di età e di anni di servizio e morì il 19 settembre 1928. La sua scomparsa fu motivo di grande lutto nella comunità scientifica internazionale per la genialità del personaggio e della sua attività pioneristica nello studio dei processi geodinamici. (P. Ga. - G.L.)
Henry James Johnston-Lavis
(Londra, 1856-Bourges, 1914)
Johnston-Lavis fu una figura insolita, ma non del tutto anomala, nel campo della vulcanologia. Dopo aver studiato medicina all’Università di Marsiglia e poi all’University College of London, ottenne il Diploma di Dottore in Medicina e Chirurgia all’Università di Napoli nel 1884. Esercitò per anni la sua professione presso la comunità anglo-americana di Napoli. Durante i suoi studi all’University 6 La Rassegna d’Ischia n. 6/2016
College of London sviluppò uno spiccato interesse per la geologia e, in particolare, per la vulcanologia. Fu forse il primo dei numerosi scienziati di quella Università che nel corso del secolo scorso, e tuttora, ad eleggere i vulcani napoletani a oggetto preferito delle ricerche. Era a Napoli da poco più di un anno quando nel 1881 Casamicciola fu colpita dalla prima delle scosse distruttive che culminarono con il terremoto del 28 luglio 1883. Johnston-Lavis, che da poco aveva finito di studiare i poderosi trattati di Robert Mallet sul terremoto della Basilicata del 1857, si precipitò a Casamicciola, inizialmente per prestare la sua opera di medico, ma poi, per studiarne gli effetti del terremoto e comprenderne l’origine utilizzando i metodi di Mallet. Lo studio durò più settimane e lui tornò più volte sull’Isola, ma non era sul luogo quando avvenne il terremoto del 28 luglio 1883. Studiò in dettaglio anche gli effetti di questa scossa con i metodi di Mallet e dimostrò, in accordo con Mercalli, che tutte le scosse avvenute avevano un ipocentro molto superficiale. Il suo lavoro sul terremoto ebbe come risultato una serie di raccomandazioni da seguire nel progettare la ricostruzione. Johnston-Lavis fu un osservatore dettagliato e metodico, e coloro che lo hanno conosciuto, tra i quali lo scrittore Norman Douglas, lo
descrivano come una persona di vasti interessi culturali (dalla medicina all’antropologia, alla paleontologia), assiduo lavoratore, di carattere forte e deciso. Entrò in polemica con tutti gli altri scienziati che si occuparono dei terremoti di Casamicciola, anche se con alcuni di essi (per esempio Mercalli) esisteva una sostanziale concordanza di vedute. Nel 1893 divenne Professore di Vulcanologia all’Università di Napoli ma non vi tenne lezioni. Visse a Napoli fino al 1894 sviluppando l’attività professionale e la ricerca sui vulcani e sui terremoti. Tra gli anni 1880 e 1888 realizzò il rilievo geologico del Vesuvio alla scala 1:10.000. Una copia di tale carta è esposta all’Osservatorio Vesuviano nella sala intitolata proprio a Johnston-Lavis. Johnston-Lavis aveva sviluppato i suoi studi vulcanologici anche all’Etna, Lipari e isole Ponziane, e nell’area napoletana riconobbe una formazione complessa associata al vulcanismo flegreo che denominò “Breccia Museo” per la varietà dei prodotti in essa contenuti. Nel 1889 Lavis divenne membro della Società Geologica Italiana ed organizzò un’escursione sui vulcani dell’Italia Meridionale preparando una guida. Dopo aver lasciato Napoli nel 1894, per stabilirsi a Montecarlo, Lavis continuò ad interessarsi dei vulcani e a svolgere l’attività di Medico. Ritornò a Napoli nel 1909 per studiarvi l’eruzione del Vesuvio del 1906. Morì in un incidente d’auto nelle vicinanze di Bourges in Francia nell’agosto del 1914. (P. Ga. - G.L.)
Giuseppe Mercalli (Milano, 1850-Napoli, 1914)
Quando ebbe dal Governo Italiano l’incarico di occuparsi del terremoto di Casamicciola del 1883, Giuseppe Mercalli insegnava ancora ai seminari di Milano e Monza ed aveva appena completato un lungo viaggio nelle Regioni
Vulcaniche Italiane che avrebbe portato alla pubblicazione della sua prima grande opera Vulcani e Fenomeni Vulcanici in Italia. Il catastrofico terremoto di Casamicciola del 28 luglio 1883 fu il primo grande evento sul quale Mercalli scrisse una dettagliata memoria, analizzandone gli effetti, cercando di capirne le cause, e fornendo le linee guida per la ricostruzione. Fu questo lavoro che lo rivelò al mondo scientifico, e in cui egli mostrò le caratteristiche che avrebbero distinto tutti i suoi successivi lavori. Era un osservatore coscienzioso e descriveva sempre con precisione di linguaggio e acume scientifico i fenomeni sismici e vulcanici cui assisteva. Dotato maggiormente di capacità analitiche piuttosto che sintetiche, fu cronista accurato di eruzioni e terremoti e, grazie alla vasta conoscenza della letteratura, confrontava tali eventi con altri avvenuti nel passato nella stessa area o in altre zone del pianeta prevedendo in questo modo la loro evoluzione successiva. Del terremoto di Casamicciola mise in evidenza l’influenza della costituzione e della morfologia del terreno sull’intensità dei danni. Inoltre, utilizzando il metodo macrosismico applicato da Robert Mallet
nello studio del terremoto della Basilicata del 1857 (come aveva fatto anche Johnston-Lavis), mostrò che l’ipocentro del terremoto doveva essere estremamente superficiale. Indicò, infine, come dovevano essere progettati gli edifici nella ricostruzione per renderli meno vulnerabili. L’analisi lucida e dettagliata degli effetti e l’approccio pragmatico utilizzato, furono apprezzati anche dalle autorità governative che conferirono in seguito numerose volte a Mercalli l’incarico di redigere rapporti su terremoti ed eruzioni vulcaniche. In occasione del terremoto ligure del 23 febbraio 1887, per superare alcune difficoltà che la scala delle intensità sismiche allora adottata, la De Rossi Forel, presentava nel discriminare tra i gradi alti, cominciò ad elaborare una nuova scala di intensità sismica, che fu adottata dal Governo Italiano nel 1900 ed è universalmente nota come la Scala Mercalli. Nel 1888 Mercalli si trasferì a Reggio Calabria dove insegnò al Liceo Tommaso Campanella. La scelta era stata guidata da motivazioni sismiche: le caratteristiche sismiche della zona gli facevano ritenere che nei prossimi anni sarebbe avvenuto un forte terremoto. Attese l’evento per qualche anno, ma nel 1893 preferì trasferirsi a Napoli, dove il Vesuvio era in continua attività. L’anno dopo avvenne a Reggio Calabria il terremoto che attendeva. A Napoli insegnò al Liceo Vittorio Emanuele e si dedicò quasi esclusivamente allo studio del Vesuvio. Fu Direttore dell’Osservatorio Vesuviano dal 1911 alla sua morte. (P. Ga.)
Cari Wilhelm Casimir Fuchs
(Mannheim, 1837 Karlsruhe, 1886) Professore di Geologia all’Università di Heidelberg, lavorò essenzialmente su problemi di geologia piuttosto che nel campo della
sismologia e della vulcanologia. Va ricordato come autore di una monografia su Ischia, pubblicata nel 1870, che contiene una carta geologica dell’isola alla scala 1:25.000. Questa e la carta geologica pubblicata nel 1847 da Ferdinando Lopez Fonseca, consideravano il Monte Epomeo come la struttura vulcanica centrale dell’isola e costituirono i documenti di riferimento fino al 1930 quando fu pubblicata la carta 1:10.000 di Alfred Rittmann.
Marie Sklodowska Curie (Varsavia, 1867 - Passy, 1934)
Visitò brevemente l’isola d’Ischia per motivi di studio nel 1918, dopo che il suo prestigio scientifico era consolidato al punto di aver acquisito due premi Nobel: uno in Fisica per i suoi studi sulle radiazioni (nel 1903 insieme al marito Pierre Curie) e l’altro in Chimica nel 1911 per aver scoperto due elementi radioattivi, il Radio e il Polonio. La visita avvenne nel corso di una ricognizione, effettuata su invito del Governo Italiano, sulle La Rassegna d’Ischia n. 6/2016
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potenzialità esistenti nel nostro paese per l’utilizzazione a scopi terapeutici e militari di materiali radioattivi solidi, liquidi e gassosi. L’itinerario venne concordato con Camillo Porlezza, Professore di Chimica all’Università di Pisa, il quale fornì gli strumenti per effettuare le misure. Basandosi sui risultati ottenuti alcuni anni prima da due chimici di Karlsruhe: Cari Engler e Herman Sieveking, Porlezza incluse nell’itinerario alcuni giorni di misure all’isola d’Ischia. Gli scienziati arrivarono a Ischia con una torpediniera del Dipartimento marittimo, ed ebbero a disposizione un MAS per approdare ed effettuare le misure in diversi punti dell’isola. Venne confermato che i valori maggiori di radioattività si registravano in corrispondenza della sorgente delle Terme della Regina Isabella a Lacco Ameno, per la quale venne determinata una portata giornaliera di 250 metri cubi di acqua e una radioattività di 30 millicurie al giorno. Marie Curie ritenne che questi alti valori di radioattività dovessero essere legati alla presenza di emanazione di Radio più che al Radio disciolto nelle acque ed espresse l’idea che l’emanazione potesse essere direttamente estratta dall’acqua per essere utilizzata. In una conferenza tenuta a Parigi diciassette mesi dopo il suo viaggio in Italia e pubblicata nella Revue Scientifique, Marie Curie ritornò sui risultati ottenuti ad Ischia affermando che «le acque e i gas naturali contengono a volte molta emanazione di radio. Questa è in genere prodotta nei laboratori per mezzo del radio, ma tale preparazione potrebbe essere in parte sostituita dall’impiego dell’emanazione delle sorgenti naturali dopo una conveniente purificazione. Esiste per esempio, in Italia, una sorgente che emette 250 metri cubi di acqua e 30 millicurie di emanazione al giorno». È evidente il riferimento alle Terme della Regina Isabella. L’interesse mostrato dai governi 8 La Rassegna d’Ischia n. 6/2016
per la radioattività era a quell’epoca essenzialmente legato alle applicazioni mediche. Già nei primi decenni del XX Secolo si era constatato come le radiazioni e le particelle emesse da un isotopo ad alta radioattività, come il Radio-226, avevano dato risultati incoraggianti nella cura di diversi tipi di tumori, distruggendo le cellule malate. La raccolta del radon direttamente dalle acque radioattive avrebbe potuto facilitare questo processo. La stessa Marie Curie mise comunque in guardia contro un uso incontrollato e non giustificato scientificamente della radioattività in medicina. Tra le applicazioni più pericolose vanno annoverate le “inalazioni” di Radon. Infatti se è vero che il Radon inalato decade abbastanza velocemente, i suoi prodotti solidi rimangono nelle vie respiratorie del paziente, se non vengono prese opportune precauzioni. Tra questi il Pb-210, che ha una mezza vita di 19,7 anni, permane per una percentuale abbastanza grande della vita del paziente, con effetti certamente non benefici. Non credo che Marie Curie sia tornata in seguito ad Ischia ma, in moltissime conferenze tenute dopo la sua visita, Marie Curie citò l’isola d’Ischia come uno dei casi più interessanti per lo studio della radioattività delle acqua. (P. Ga.)
Alfred Rittmann
(Basilea, 1893-Piazza Armerina, 1980) Alfred Rittmann è stato un vulcanologo e studioso della Terra che nel suo lungo percorso di ricerca ha affrontato una varietà diproblemi vulcanologici e studiato l’attività eruttiva di numerosi vulcani, non ultimi l’Etna, lo Stromboli e il Vesuvio. È stato Presidente dell’Associazione Internazionale di Vulcanologia. A chi, per prenderlo in giro (ma non tanto) gli diceva che la vulcanologia è la
scienza dei pennacchi di fumo, rispondeva «io studio i pennacchi per capire come funziona tutta la locomotiva». I lavori su Ischia rappresentano solo una piccola parte della sua vasta produzione scientifica, ma ad essi Rittmann era particolarmente affezionato e continuò a studiare l’Isola fino ai suoi ultimi anni. I suoi contributi alla conoscenza della storia geo-dinamica dell’isola sono stati determinanti. Rittmann dimostrò che l’Epomeo non è un rudere di un vulcano centrale, come fino ad allora si era ritenuto, ma un horst vulcano-tettonico sollevato. Il tufo dell’Epomeo non è una formazione sottomarina, ma rappresenta una ignimbrite, vale a dire un deposito di nubi ardenti di formazione subarea, successivamente sprofondato e in seguito nuovamente sollevato probabilmente dall’intrusione di un dicco di magma. L’attività vulcanica si è sviluppata intorno al blocco sollevato, lungo le principali linee di frattura, alimentata dal dicco magmatico che ha sollevato l’Epomeo. Collaborando per alcune decine di anni con gli archeologi Paolo e, soprat-
tutto, Giorgio Buchner, ha identificato le relazioni cronologiche tra i diversi centri eruttivi fornendo la prima stratigrafia vulcanica dell’isola. Per me il ricordo di Rittmann è strettamente legato a Ischia. La prima cosa che ricordo di lui è la sua voce che, con uno strano accento tra napoletano e tedesco, risuonò sulla mia testa sovrastando il frastuono del traghetto che mi stava trasportando da Ischia a Napoli. «Questa è la mia carta, ma ci sono delle cose che non capisco». La voce veniva da un omone con pochi capelli, un sorriso tra il gentile e il divertito e un grosso sigaro tra i denti. Ero curvo con un mio collega a lavorare su una carta geologica dell’isola, ricopiata in gran parte da quella di Rittmann, che ci serviva come base per la tesi di laurea. Gli spiegammo che le variazioni erano il risultato delle nostre osservazioni. Su qualcuna si mostrò interessato, su altre non era d’accordo. Gli raccontammo il lavoro che stavamo svolgendo e gli dicemmo chi ci seguiva. «Imbò è un buon geofisico, ma non capisce niente di geologia. Scherillo è un ottimo mineralogista, ma vale lo stesso discorso. Voi state lavorando bene, ma praticamente da soli. Se volete sono a vostra disposizione per consigliarvi». Ci informò dei suoi ultimi aggiornamenti e ci mandò, da Catania, delle note che aveva scritto. Non lo incontrai più durante la tesi, ma avemmo modo di frequentarci a lungo in seguito, fino agli ultimi anni della sua vita quando ci incontravamo per lunghe discussioni all'Hotel Nettuno di Ischia Ponte, dove passava le vacanze. Rittmann ha avuto un ruolo di rilievo nella scienza della Terra non solo per gli studi sui vulcani, ma anche per il coraggio con il quale ha proposto e sostenuto teorie molto ardite, che spesso non sono state confermate da osservazioni successive, come il ruolo delle rocce calcaree e do-
lomitiche del basamento del Vesuvio sulla composizione del magma vesuviano, oppure quella secondo la quale il nucleo terrestre sarebbe formato da materia solare indifferenziata. Come ha scritto il premio Nobel per la Fisica Harold C. Urey nel 1952 anche in questo caso «... Rittmann e Kuhn rappresentarono un punto di partenza, costringendo molta gente a riesaminare idee che non erano state riviste da molto tempo con occhio critico». Per il progresso della ricerca, rivelare l’esistenza di un problema e muovere su di esso l’interesse del mondo scientifico può essere altrettanto importante che la formulazione di una legge fisica e di una teoria che regga per molto tempo all’evidenza sperimentale. (P. Ga.)
Paolo e Giorgio Buchner
nologia delle eruzioni vulcaniche e sul termalismo. Nel 1939 diede alle stampe Case di pietra ad Ischia, affascinato dalle antiche abitazioni scavate nei grossi blocchi di tufo staccatisi in tempi remoti dalla parte alta dell’Epomeo. Elaborò poi uno studio denominato La geologia dell’Isola d’Ischia, una Storia delle terme di Porto d’Ischia e nel 1971 realizzò uno studio monografico su Jacques E. Chevalley de Rivaz, il medico francosvizzero della corte borbonica che diede forte impulso al termalismo ischitano. Il figlio Giorgio veniva descritto da Amedeo Maiuri, in Passeggiate campane (1982): Alla scoperta di Pithecusae (settembre 1942), scriveva «[...] sono accorso a vedere la prima scoperta archeologica
(Norimberga, 1886-Ischia Porto, 1978) (Monaco di Baviera, 1914-Ischia Porto, 2005) Paolo Buchner, nel 1910, grazie a una borsa di studio, si recò a Napoli per approfondire le sue ricerche presso la stazione zoologica Anton Dohrn, frequentata al tempo da molti studiosi di biologia. Nel 1927 Buchner aveva acquistato ad Ischia, che aveva avuto modo di conoscere durante l’anno trascorso a Napoli, un terreno a vigneto, sulla collina di S. Alessandro, su cui costruì tra il 1928 e il 1930 una casa per le vacanze in puro stile mediterraneo. Sull’isola si stabilirà definitivamente dal 1944 dove continuerà i suoi studi di natura scientifica, dando alle stampe circa 112 opere tra articoli, relazioni e volumi, intervallando le opere scientifiche con vari scritti riguardanti Ischia. Di Ischia prese a studiare i vari aspetti dell’origine e della storia, fondando nel 1944 assieme a monsignor Onofrio Buonocore il Centro studi sull’Isola d’Ischia. Significativi anche i lavori sulla croLa Rassegna d’Ischia n. 6/2016
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dell’isola; un’umile e grande scoperta: il primo villaggio di capanne sorto nell’età del ferro attorno alle rocce del Castiglione. Si deve al più giovane paletnologo italiano, ancor fresco di studi dell’Università di Roma: a Giorgio Buchner che, da buon archeologo militante, ha fatto bivacco e cantiere nella vecchia stufa del Castiglione [...] Sul piancito sconnesso è steso o ammucchiato un alto lenzuolo di cocciame: è la messe più ricca dello scavo. Per un profano potrebbe essere lo scarico della fornace d’un vasaio con il pentolame rotto andato a male, il ripulimento di un campo da semina dai cocci che l’ingombravano; è invece la documentazione preziosa della vita e dell’industria del più antico villaggio che sia apparso fin oggi sul suolo dell’ isola. Giorgio si raccapezza fra quei mucchi di cocciame come il gioielliere fra le teche segrete delle sue oreficerie. Curvo a terra va a colpo sicuro, in mezzo a tutto quel tritume, a scegliere e a mostrarmi felice il grosso labbro d’un orlo, la curva d’una spalla, il fondo cavo d’un piede, completando sobriamente con il gesto della mano le parti mancanti. Erano vasi grossi e panciuti, ziri, giare e doli; erano insomma i pithoi che stando a un’ambigua etimologia discussa da antichi e da moderni, avrebbero dato grecamente nome all’isola: Pithecusai. Era l’isola dei pithéci, delle scimmie, dei Cercopi, dei maligni caudati folletti abitatori di bolge di fuoco, o non piuttosto di industriosi vasai e pentolai, facitori di pithoi?». Non c’è oggi studioso del mondo classico o del Mediterraneo antico che non conosca il nome e l’opera di Giorgio Buchner: pur nella vastissima gamma dei suoi interessi, egli soprattutto è, e resterà, sinonimo dell’euboica Pithekoussai, e dell’autentica rivoluzione che questa scoperta ha portato in tutte le nostre nozioni riguardanti la Magna Grecia, e di conseguenza anche la Grecia arcaica da un lato, 10 La Rassegna d’Ischia n. 6/2016
e dall’altro l’Italia antica. Nonostante numerose testimonianze da Strabone (58 a.C.-21 o 25 d.C), Tito Livio (59 a.C.-17 d.C), fino allo storico tedesco di fine ‘800 Julius Beloch - suggerissero quanto meno di verificare se Ischia fosse stata effettivamente una colonia greca, l’interesse archeologico era rivolto altrove. Le cose cambiarono quando, nel 1949, il poco più che trentenne archeologo tedesco Giorgio Buchner, già profondo conoscitore dell’isola (i genitori si erano stabiliti definitivamente a Ischia, in località Sant’Alessandro, nel 1943) ottenne la delega della soprintendenza per iniziare gli scavi in località San Montano, nel comune di Lacco Ameno. Furono rinvenuti corredi con monili (vasi, piccole sculture di terracotta, brocche e coppe, scarabei egizi, lingotti di piombo, attrezzature da pesca, pesi per telaio, strumenti da lavoro) e, soprattutto, la coppa di Nestore, custodita in una ricca tomba a cremazione, portata alla luce e ricomposta dallo stesso Buchner: si tratta di una kotyle alta una decina di centimetri e datata al 725 a.C. Faceva parte del ricco corredo funebre appartenuto a un fanciullo di dieci anni. La coppa reca inciso su di un lato in alfabeto-euboico in direzione retrograda, come nella consuetudine fenicia, un epigramma formato da tre versi, che allude alla famosa coppa descritta in un passo dell’undicesimo libro dell’Iliade di Omero. Nel 1947 Giorgio Buchner e il vulcanologo Alfred Rittmann crearono un museo, chiamato Museo dell’Isola d’Ischia, che più tardi sarebbe confluito, assieme ai reperti rinvenuti negli scavi successivi, nel Museo Archeologico di Pithecusae. Ischia fu infatti la prima colonia della Magna Grecia, non la più importante. Del resto, lo stesso Buchner insisteva molto sul fatto che certo Calcidesi ed Eretriesi non avevano scelto di sbarcare su un’isola dall’orografia difficile e,
per di più, interessata da ricorrenti fenomeni vulcanici, con lo scopo primario di farne una colonia agricola. La tesi più plausibile, caldeggiata dallo stesso studioso, è che Ischia era stata scelta per la sua posizione strategica al centro del Mediterraneo, ottima come base d’appoggio per i commerci con la poco distante etnisca isola d’Elba. Resta la circostanza che senza Pithecusa, la prima colonia della Magna Grecia, si sarebbero diffuse solo più tardi nel Mediterraneo occidentale le coltivazioni della vite e dell’olio, così come è un fatto che i coloni provenienti dalla lontana isola di Eubea non esitarono a insediarsi stabilmente nella più grande delle isole flegree appena si resero conto della fertilità del suo suolo vulcanico, arrivando a contare nel periodo di massimo splendore quasi 10.000 abitanti. (P. Ga.)
Anton Dohrn
(Stettino, 1840-Monaco di Baviera, 1909)
Anton Dohrn lega il suo nome a Ischia a partire dal 1906, quando inizia a costruire, proprio sul porto, la Villa dell’Acquario, per ospitare gli studiosi che frequentano quella Stazione Zoologica con cui a Napoli il naturalista tedesco, amico di penna di Charles Darwin,
ha, di fatto, inaugurato la moderna biologia marina. Tutto era inizia nel 1870, quando il tedesco, allora trentenne, giunge a Napoli con un carico di idee e la borsa vuota. Tra le molte idee la principale è quella di creare nella città partenopea qualcosa che non esiste al mondo: un centro di ricerca scientifica che trova sul mercato le risorse per sostenersi. La ricerca scientifica che Anton Dohrn intende promuovere è quanto di più lontano esista dal mercato: l’embriologia degli animali marini. Eppure il giovane è convinto che possa essere il mercato a fornirle le risorse necessarie. Napoli fu scelta per tre motivi. Perché Francesco De Sanctis ne aveva fatto uno dei poli culturali più importanti nell’Europa della seconda parte del XIX secolo; perché è una grande e popolata città, con un mercato potenziale, anche turistico, esteso; perché ha il mare. Nato a Stettino il 29 settembre 1840, Anton Dohrn è il figlio di Karl August Dohrn, il più famoso entomologo di tutta la Germania. Ed è entomologo egli stesso, esperto di emitteri (l’ordine che comprende le cimici e la filossera). Ma da quando ha letto l’Origine delle specie che Charles Darwin ha pubblicato nel 1859 è stato folgorato: il futuro non è nello studio dell’evoluzione della vita. E poiché la vita viene dal mare, è al mare che bisogna tornare. E in particolare, poiché l’ontogenesi (l’evoluzione dell’individuo) ricapitola la filogenesi (l’evoluzione delle specie) il futuro è nell’embriologia degli animali marini. Ovvero degli animali che vivono in abbondanza in quel mare Mediterraneo che bagna le spiagge napoletane. Così sulla Riviera di Chiaia, nasce la stazione zoologica: il primo centro di ricerca sulla biologia marina al mondo. La stazione presenta anche due altre novità: un Acquario, che attira il grande pubblico e contribuisce a recuperare un po’ di soldi; e dei “tavoli” che i ricercatori provenienti
da tutto il mondo possono fittare per condurre i loro studi, avendo a disposizione le attrezzature necessarie e la materia prima (gli organismi marini). L’idea si materializza e funziona. Il pubblico frequenta l’Acquario, ma soprattutto gli scienziati fittano i tavoli, producendo nuova conoscenza scientifica. Quando, nel 1897, la Stazione celebra i suoi primi 25 anni, ben 2.000 scienziati (la gran parte dell’intera comunità biologica mondiale) scrive ad Anton Dohrn: «È impossibile concepire cosa sarebbe oggi lo stato della scienza biologica senza l’influenza della Stazione». In tutti questi anni Anton Dohrn viene spesso sull’isola d’Ischia, per riposare, ma anche per studiare la biologia marina dell’isola. Finché nel 1906 decide di costruire la Villa per ospitare i suoi amici scienziati. Il ruolo dell’isola, almeno in quegli anni, potrebbe sembrare marginale rispetto alla Stazione napoletana. Ma, a parte il fatto che l’ozio isolano degli ospiti spesso prestigiosi di Anton Dohrn è del tipo creativo, non mancano le ragioni strettamente di studio. L’ecologia marina dell’isola ha aspetti unici, degni di essere studiati. E, dunque, non è un caso se, a distanza di qualche decennio, la Villa dell’Acquario si è trasformata in un centro dove si fa ricerca attiva sulle peculiari caratteristiche dell’ambiente marino che circonda Ischia proprio perché di interesse generale. Anton Dohrn morì a Monaco di Baviera il 26 settembre 1909. (P. Gr.)
della moderna geologia sia una delle principali fonti di ispirazione di Charles Darwin e della sua teoria sull’evoluzione delle specie per selezione naturale del più adatto, esposta per la prima volta nel 1859 nel The Origins of Species - Charles Lyell parla a lungo anche di Ischia, sia ricostruendo la storia dei suoi vulcani intrecciata con quella politica, sia narrando di ritrovamenti di conchiglie fossili a oltre 600 meri di altezza, verso il Monte Epomeo. Molte righe sono spese nella descrizione dei motivi geologici (leggi eruzioni) che avevano costretto i colonizzatori greci giunti sull’isola nell’VIII secolo a.C. ad andarsene. E un focus è dedicato anche all’ultima eruzione vulcanica, quella cosiddetta dell’Arso, avvenuta nel 1302. L’uomo considerato il fondatore della geologia moderna aveva visitato direttamente Ischia e anche di recente, nel 1828, dopo aver letto la descrizione delle rocce vulcaniche proposta da Gian Battista Brocchi. E nelle sue escursioni sull’Epomeo era stato accompagnato dal naturalista napoletano Oronzo Gabriele Costa, con cui condivideva l’idea che l’isola avesse subito un sollevamento in tempi relativamente
Charles Lyell
(Kinnordy, 1797-Londra, 1875) Quando, nel 1830, l’inglese Charles Lyell pubblicò i Principles of Geology or The Modem Changes of the Earth and its inhabitants, utilizzò come frontespizio l’immagine del “Tempio di Serapide” di Pozzuoli. Ma in questo libro - considerato sia l’atto inaugurale
recenti. Unica spiegazione possibile per giustificare la presenza di conchiglie fossili sull’Epomeo. Lo studio dell’isola d’Ischia dunque ha un ruolo non marginale nella teoria esposta nei Principles fonLa Rassegna d’Ischia n. 6/2016
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data, nella sua essenza, su cinque punti. 1 ) Quella della Terra è una storia evolutiva che si è svolta nel “tempo profondo”, misurabile non in poche migliaia di anni (il vescovo James Ussher aveva calcolato che il pianeta fosse stato creato da Dio il 23 ottobre del 4004 a.C. alle ore 12.00) come sostengono i creazionisti che interpretano la Bibbia in senso letterale. 2) L’evoluzione della Terra è avvenuta secondo leggi costanti nello spazio e nel tempo. 3) Il passato può essere spiegato con le medesime cause che spiega-
no la dinamica presente. I processi evolutivi del pianeta Terra sono essenzialmente gli stessi. 4) L’evoluzione non avviene mediante una successione di eventi catastrofici, ma è graduale e costante. 5) La Terra non è sostanzialmente cambiata nel corso del “tempo profondo”. I primi tre punti sono condivisi dai geofisici contemporanei e costituiscono la base della moderna “scienza della Terra”. Le nuove conoscenze prodotte dopo il 1830 dalla comunità dei geofisici impongono una ridefinizione degli
ultimi due punti. Ma un fatto è certo: è anche grazie a fenomeni come quelli osservati a Ischia - le cicliche eruzioni vulcaniche, il ciclico sollevamento e abbassamento del suolo - che Charles Lyell ha elaborato la sua “teoria gradualista” in opposizione non solo a quella “creazionista” di molti religiosi, ma anche a quella “catastrofista” di molti scienziati suoi contemporanei. Ed è grazie a Lyell che Ischia è entrata nella storia della storia del pianeta Terra. (P. Gr.)
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Il De Rivaz nel 1835 pensò alla possibile trasformazione del lago d’Ischia in porto Quali che siano il valore e l’abilità dei marinai di Ischia, c’è da notare con meraviglia che in tutta l’isola non ci sia un proprietario che possegga un solo bastimento di una certa portata, in grado di fare lunghi viaggi, mentre Procida sua vicina conta quasi trecento navi di varia grandezza, cui deve le sue ricchezze e la sua prosperità sempre crescenti. Si obietta, è vero, che Ischia non avendo un porto non potrebbe essere adatta a questo genere di attività, ma questa ragione non è certo sufficiente, atteso che Procida ugualmente non ne possiede, Se si trattasse solo di questo ostacolo, si sarebbe potuto rimediare facilmente, in quanto il lago d’Ischia poteva essere trasformato in porto e uno dei migliori di questi mari. Se quest’idea non è balzana, sarei ben contento che qualcuno più esperto di me se ne occupasse seriamente. Chi sa se un giorno la fortuna dell’isola d’Ischia non potrà dipendere da questo lago, che rimpiazzerebbe così per gli Ischioti le miniere d’oro di cui parla Strabone? L’esecuzione del mio progetto potrebbe realizzarsi con poche spese e sarebbe degna di un re così amico delle cose utili e così desideroso di migliorare le condizioni dei suoi sudditi, come colui che il reame delle Due Sicilie ha il piacere di avere al presente1. 1 J. E. Chevalley De Rivaz, Descrizione delle acque minerotermali e delle stufe dell’isola d’Ischia, traduzione di Nicola Luongo dell’edizione 1837.
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Nell’edizione del 1859 si legge : Questa porto, iniziato nel 1853 e completato nel 1856, sotto l’abile guida del cavaliere Camillo Quaranta, si trova nella parte nord-est dell’isola e ha un lungo molo che ne garantisce l’entrata. Un faro lenticolare di quinto ordine a luce fissa che varia d’eclissi ogni tre minuti e alto sul livello medio del mare di circa 49 palmi, il che lo fa scorgere alla distanza di dodici miglia geografiche, vi è stato posto dal 15 dicembre 1856. Per quanto riguarda all’imboccatura del porto, questa è indicata da due fanali: quello a destra entrando è di colore verde e quello a sinistra di colore rosso; ma siccome essi si possono vedere, data la loro altezza, anche dalla parte occidentale del faro, occorre sapere che l’entrata del porto non può che aver luogo dalla parte orientale del faro stesso, passando a poca distanza dall’estremità del molo dove si trova quest’ultimo. È bene sapere ancora che soltanto i bastimenti aventi un pescaggio non superiore a dieci palmi possono essere ricevuti nel porto. Per realizzare intanto il sistema di illuminazione lenticolare del Golfo di Napoli, un faro di primo ordine a fuoco fisso sarà posto sulla punta Caruso, estremità nord ovest d’Ischia, e un altro faro, anche di prim’ordine, ma a luce varia d’eclissi, sarà costruito sulla punta Carena nella parte sud-occidentale di Capri2. 2 J. E. Chevalley De Rivaz, Description… Ve edizione, 1859.
Ex LIBRIS L’Omnibus pittoresco – Enciclopedia artistica e letteraria diret-
ta da Vincenzo Torelli, anno quarto, 1841 Per quanto l’immaginazione de’ più forti romanzieri sudasse a creare in eloquenti pitture un’isola d’ogni bellezza doviziosissima, indarno potrebbero giungere essi a ritrarne altra che equiparasse Ischia1. Da’ tempi remoti più delle ultime ricordanze degli uomini abbiamo ogni argomento per supporla abitata da popoli che primeggiarono fra le genti per barbaro valore, o per civiltà, fin quanta potea sentirsene in que’ tempi. Storie non ve ne sono, monumenti alcuni, quindi induzione. Che l’isola per tremuoto, o per impeto vulcanico sia stata già in antico gettata a fior d’acqua, ch’ella sia antidiluviana, abbiamone le prove e nella natura del suo terreno tutto composto di lave, più o men remote, e nelle conchiglie fossilifere ed altri prodotti marini, che rinvengonsi nei profondissimi scavi, che fannosi in ogni direzione per estrarne terra da cuocersi, le quali reliquie non sono certo degli ultimi sedimenti del mare. Tuttora in seno a quest’isola fervon rimasugli di vulcano, la cui prova siane i vari fumaroli qui e qua sparsi ne’ monti, e le grandi acque di maggiore o minor caldezza, o che placide siccome da polla tengonsi ne’ concavi delle rocce, o che irrompono giù dal gran monte al piano. Tuttociò che vuoi, e più che non produce ii continente, offreti la natura. Il più forte ricolto però è il vino, di cui esuberando la dose, fassene considerevol commercio al di fuori. Davane prima un 16.000 botti, ed ora un circa 4.200. La quantità degli altri prodotti non è rispondente a’ bisogni della numerosa popolazione. Il più del grano e delle carni che vi son di mestieri, e gli ortaggi che non provano colà per la penuria di acqua, le si trasportano da Napoli. Pure vi han boschi deliziosi per augelli e frescura, vi han colline, appendici del grande Epomeo, ridentissime: in su quel monte ritrovansi animali di non comune conoscenza, e vi s’invenne ancora qualche serpe di vantaggiata grandezza. Fra i volatili vogliamo ricordarne uno che dà luogo alla conferma di una tradizione. V’erano gran fagiani, di cui i re aragonesi facevano gradita e copiosa caccia; e segnasi ancor presso Pansa un punto ombreggiato altra vol1 Diciotto miglia n’è il circuito, con un lago di circa mezzo miglio di perimetro, abbondantissimo di ottimo pesce. L'isola è divisa in dodici villaggi. La popolazione intera è di 24,000 abitanti, fra coloni e pescatori. Sul nome d’Ischia vi sono grandi quistioni. A noi pare però dover preferire quella che farebbelo derivare da Ischi Apollo, sì perché le monete dell’isola han tutti gli emblemi attribuiti a questo nume, e si perché abbiam tracce di culto a lui dato da que’ primi abitatori.
ta da una quercia detta sedia del re, ove tornati dal sollazzo amavano di riposarsi. Vi è zolfo, e allume, e Strabone pretende che a’ suoi tempi se ne ritraesse anche oro in buon dato, lo che non è raro invenire ove sieno pur vulcani; i coralli pure vi si hanno bellissimi, scarsi però. L’aria è cotanto salubre che non sapremmo a chi dare il primato nelle curagioni, se a questa o alle terme. Evvi un castello fortissimo fondato su di una roccia a pendio, nel quale gran fatti all’antica e moderna istoria pertinenti racchiude, e che noi verremo sponendo all’epoche nelle quali avvennero. Alfonso I lo edificava. Sonovi punti di vista nell’isola che ne disgradano qualunque altra pittoresca veduta. La più bella prospettiva però godesi dalla sommità dell’Epomeo, donde appare l’unico panorama dell’universo. Alta 2150 piedi sul mare domina Ischia intera, e per oltre 80 miglia in tutti i lati. Su questo culmine è l’eremo di S. Nicola, edificato a picchi e puntelli nel tufo. Fu abitato nel cadere del XV secolo da Beatrice della Quadra con alquante compagne, che scorate da quelle intemperie, si ridussero a fabbricarsi un cenobio in Ischia, in cui rimasero fino al 1809. Fu l’eremo poscia condotto al come si vede da un tedesco Giuseppe Arguth, che per Carlo III capitanava l’isola, per un caso accorsogli. Teneva dietro quell’ufiziale a due disertori che avean preso la via del monte. Giuntili in luogo solitario gli cadde sventuratamente il cavallo, per cui quei ribaldi stavano per colpirlo di moschetto. In tanto estremo invocò S. Nicola, e gli si votò, se campasse. Avvenne il suo desiderio, e si vestì il sacco nell’eremo, ove accolse un 12 altri frati. Dopo sedici anni di virtù fu ivi sepolto con lapide ancora intatta. Dei superstiti chi cessò di vivere, chi si disperse nell’isola. Vennero altri poi a farvi penitenza fra’ quali un tedesco per nome Michele, che morì di 105 anni nel 1811 in un cenobio in Foria dove tiensi in conto di santo. Questi lasciò gran rendite all’eremo che furon dissipate; ora vivono di elemosine. Molti popoli guerreschi presero, perderono e ripresero quest’ isola, attrattivi, più che da politica veduta, dalle delizie del suolo, in ogni maniera incomparabili. Pretendono alcuni, e secondo noi per mero sfoggio di erudizione, che i primi ad abitare quest’Isola, certo la più grande nel cratere napoletano, fossero gli Enotri ed i Pelasgi, subito che miser piede in Italia, ma onde le prove? Quale il fondamento? Storia o tradizione? Né l’un né l’altro. A noi sta più a La Rassegna d’Ischia n. 6/2016
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cuore trattar le cose fin dove la ragion del fatto concede lo spaziare, abbandonando le ipotesi al genio di chi nelle spiritose invenzioni ama celebrità, essendo ormai tempo diradar gl’inciampi e non aumentarli. Veniam dunque al certo. Gli storici più antichi, pe’ quali si facesse menzione d’Ischia, concorrono a sostenere che gli Euboi, l’anno del mondo 2820, innanzi a Cristo 1180, presso la caduta di Troja, quivi accorressero siccome a luogo di pace e tranquillità; e anzi Patercolo, più minuto nel suo racconto, vuol che fossero capitanati da Megastene ed Ippoclo. Stavano qui dunque insieme gli Eritresi ed i Calcidesi, i quali venuti in dissidio, fecer tra loro guerra, per cui espulsi gli uni, iti a edificar Cuma sul vicino continente, la quale, secondo Livio, fu madre a Napoli, solo gli Eritresi tenner fermo il possedimento dell’isola. Abbiamo infatti anch’ora una collina a Casamicciola2 che appellasi Eritreste, luogo di loro maggior dimora. Gerone tiranno di Siracusa aveavi mandato una colonia de’ suoi, a quel che dicene Strabone, la quale, in sul più bello del fortificarsi con ampio recinto, fu espulsa in perpetuo da terribile eruzione vulcanica scoppiata giù dal cratere delle Caccavelle, di cui fu poco men che tutta l’isola ricoperta; circa 281 anno dalla fondata Roma affievolita la memoria del disastro, e tornata una verde natura a sorridere su quelle lave, un nuovo popolo vi si gettò, i Napoletani, e tennerla pacificamente finché non venne all’autorità di Roma, vinti i Sanniti. Augusto ricambiandola con Capri la restituì a que’ di Napoli, dei quali per sempre poi tenne leggi e destini. Sventurata assai fu Ischia e per naturali disastri e per politici sconvolgimenti. Innanzi all’eruzione, di cui or ora tenemmo discorso, fuvvene tremenda nel 250 di Roma, come di poi nel 661, ed imperanti anco Tito, Antonino, Diocleziano. Nel 1301 l’Epomeo fece l’ultimo suo sforzo, sboccando dalla base orientale un torrente di fuoco per due mesi continuati sì feroce, che la più bella parte dell’isola divenne un lago divampante di lava, quinci un deserto. Nel 1228 finalmente dell’E.C., regnando Federigo II, per un terremoto rimasero estinte più di 700 persone; e l’ultimo di questi flagelli udissi il 2 febbraio 1828 con ruina e morte di edifici e d’uomini. Caduti i Cesari all’entrar del V secolo, e sommessa da Alarico a’ Visigoti la Campania, Ischia fu compresa in tanta sventura, e a tal giunse la ferita de barbari, che non sazi del pingue bottino sperpera2 Graziosa è ma tradizione popolare sull’etimologia di tal vocabolo. Vogliam riferirla a passatempo. Una vecchia chiamata Nisola, essendo ancor storpia nella fuga dei Calcidesi, per cui non poté seguirli, rimasta nell’isola, mediante alcuni bagni, che prese in quelle acque, si riebbe della sua infermità, e dal detto tempo si disse Casa di Nisola indi Casamicciola
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rono alberi e piante a segno ch’era un miracolo, al dire di alcuni, rinvenire fil d’erba. Né varia sorte la si ebbe intorno al 456 da Genserico, da’ Longobardi nel 574 , sotto Adriano I nel 788. Niente però eguaglia in orrori il saccomanno de’ saraceni dato l’813 , che per tre giorni di sua durata esaurì i trovati delle più nefanda vandalica barbarie. Non casa, non avere, non sesso, non età, non condizione poté sperare salvezza. Ogni bruttezza usavasi in trionfo, e compivasi con morte. Insultavasi a’ diritti più sacri, ai legami più inviolabili, alla prece, al pianto. Innanzi a’ manti eran premio a libidine contaminate spose: dalle braccia de’ genitori, il santissimo de’ sostegni posto da Dio all’etade imbelle, strappavansi i lacrimariti figli fatti segno a terribili nefandezze: nell’ebrietà prodotta dai liquori provavansi le perfette scimitarre sul dosso di uomini e donne, le cui vite, nel maggior numero ch’altri immagini giuocavansi alla sorte. Ciò che la voracità di que’ mostri non valeva a consumare, davasi al mare o al fuoco, per cui se alcuno poteva sottrarsi in caverne o sotterranei, moriva di spaventosa fame. A’ campi ancora fecesi guerra, e tanto fu lo sperpero di essi, che più anni indugiarono un ricolto. Che orrenda istoria è quella del cuore umano! Eran pur que’ barbari fratelli a’ poveri traditi! Vivean questi pacifici, non gravi ad alcuno, di niun sospetto, paghi del proprio sudore, abitatori ignorati ed ignoranti in uno scoglio, eppure furono assaliti, spogli, vilipesi, e ad orrendo martirio dannati! Che è l’uomo! N’ebbero però condegno premio, essendo che reduci l’847 sulle costiere napoletane per innovarvi l’atroce commedia, dispersi da furiosa fortuna di mare, approdando i superstiti all’Isola, patirono memorabile sconfitta pel valore de Sorrentini. Non valse però questo a render que’ d’Ischia assicurati nel loro asilo. I Pisani, rotti nelle acque di Napoli, correndo il 1135 , da Ruggiero fondatore della monarchia siciliana, investirono l’isola pieni di rabbia per la ricevuta sconfitta, e la ridussero all’ultimo scempio. Nel 1194 Enrico VI, presa Gaeta e Napoli, occupò del pari Ischia, che sotto Federigo II, a lui figlio, si rese memoranda per atto di straordinaria fedeltà. Il Capitano che comandava nel Castello, investito dalla forza di gran lunga maggiore del nemico, ridotto agli estremi, preferì di essere bruciato vivo co’ suoi nella torre piuttosto che arrendersi. Il voler qui enumerare per intero quante volte ella cangiasse di padrone sarebbe un fare istoria di volume, e non tessere una breve leggenda; basterà solo riferir che quantunque volte Napoli sopponevasi a nuova dominazione, altrettante Ischia cadeva con la Capitale. Per questo accenneremo ai principali. Sott’essa fu uno scontro di mare fra’ napoletani e que’ di Sicilia capitanati da Pietro Salvacosa, per-
ché Federigo figlio di Pietro, in ira a’ primi, poneva il balzello di un ducato a ciascuna botte i di vino che uscisse dell’isola per Napoli. Intrepidi i Siciliani attesero l’armata nemica di 9 legni, e sconfittala, guadagnarono cinque galee e buon numero di cattivi. Frutto memorabile della più dispotica tirannia è ciò che fece a’ miserrimi isolani Alfonso di Aragona, che Giovanna II avea adottato, e cui lasciava in dono Ischia. Nel 1423 rottosi con la benefattrice, attaccò l’isola ed ebbela in potere; ad assicurarvi il suo regime, pensò trovar vincolo di fedeltà indissolubile, col quale fossero ad esso legati gì’Ischiesi. Barbaramente strappando i figli alle madri, i mariti alle spose, li espulse di là, e costrinse quelle misere ad impalmare soldati spagnuoli che per bella posta aveavi condotti. Andò fallito il pensiero, che tenendo nel castello Lucrezia da Alagny sua favorita, cui lo aveva concesso in dono, ed ella datolo in guardia al cugino Giovanni Torella, costui, morto appena il re nel 1458, ricusò prestare omaggio all’erede Ferdinando e si tenne per Renato d’Angiò. Poteva la cosa trarre a fine doloroso, avvegnaché in tempi di mala cognizione di guerra non poteva essere investito il castello; pure finì pacificamente. Renato sgombrò dal regno il 1463, ed il Torella fatto prigioniero in un combattimento navale, cedé l’isola compensatagli con 50.000 ducati. Trentadue anni appresso per la invasione di Carlo VIII di Francia Ferrante vi riparò con la famiglia, e refugiavavisi pure dalla stessa nazione attaccato il 1500 per Federigo. Atto d’eterna istoria fu poi quello di Costanza d’Avalos, suora del Marchese del Vasto, la quale strettasi nel castello, di cui assunse il comando, ricusò ogni patto co’ Francesi, quantunque Federigo ne comandasse la resa, e campò l’Isola da nuovo reggimento. Cotal virtù ebbesi compenso. Il padronato d’Ischia fu concesso alla valorosa donna, e i discendenti di lei tennerlo col mero e misto imperio fino al 1754, prima volta in cui vi andaron due governatori, l’un militare, e l’altro civile. E qui cade, giacché ragioniam di donne, tra’ fasti del castello Ischiano rammemorar che fu stanza e ritiro a quella incomparabile Vittoria Colonna d’ogni gentil sapere più che ricca; quella cara e bellissima poetessa che, piena di virtù, fu, dice un dotto moderno, la santa musa di Michelangilo, la Beatrice del Dante delle arti.3 E ben può dirsi avventurata 3 Tanta virtù, oltre all’essere celebrata per l’Ariosto in quattro ottave, rifulge splendidissima allorché, scrivendo al marito, il De Pescara, cui, dopo la vittoria di Pavia fu offerto il trono di Napoli, cerca infiammarlo all’onore: «Sovvengavi della vostra virtù che v’innalza al di sopra della fortuna e della gloria dei re. Non altrimenti per la grandezza degli stati e de’ titoli; ma sì per la sola virtù si acquista tale onore, cui è glorioso lasciare in retaggio ai discendenti. Per me non deside, o di esser moglie di re, ma sì di quel gran capitano che avea saputo vincere, non tanto col suo valore durante la guerra, quanto nella pace con la sua magnanimità, i più grandi re».
Ischia, se accogliendo la dolorosa nel 1525, valse a fecondarle il potente entusiasmo dell’alta fantasia, siccome assai trista era stata 24 anni innanzi in porgere estremo asilo al Sannazzaro. Quest’isola data in perpetuo fondo a’ Marchesi del Vasto fu assicurata in qualche maniera da nuovi mutamenti di signoria, ma però la non si poté campar mai dalle irruzioni de’ pirati, che sempre, e particolarmente sorprendevanla alla sprovveduta, e ne faceano pingue bottino di uomini e di cose. A salvar quindi il meglio che si fosse que’ poveri isolani da tanto periglio, solevasi per lo passato chiamarli all’annottare con un suon di campana, la quale trovavasi nel luogo or detto porta del martello. Avvenne però che il terribile e audacissimo Barbarossa, rotto mal’animo contro il barone, sbarcasse nell’isola, e talmente corressela con odio devastatore, che superò ogni andata barbarie; quattromila furono i prigioni venduti siccome schiavi; il castello non s’ebbe, che difendevasi da natura, e da militar valore. Questa fu l’ultima delle sciagure avvenute a quegl’isolani. Entrava il secolo XIX, fecondissimo di cangiamenti e rivolture, quando Ischia venne in potere de Francesi. Gl’Inglesi, mirando al riconquisto di Napoli, veleggiavano per alla volta di quell’isola, e in due mesi l’ebbero senza trar di moschetto, che infelicemente reggevasi quella guarnigione. Ricuperando alla perfine Ferdinando IV il regno, Murat precipitò in Ischia, e vi si tenne poche ore, volgendosi alla Francia; e questa fu l’ultima comparsa d’Ischia nelle politiche istorie. Alcuni scavi in epoche varie tentati non solo provarono l’antichità dell’isola e di sue popolazioni, ma persuasero che seguitandoli con ardore avrebbero potuto recar sommo vantaggio alle istorie romantiche de’ nostri primissimi padri. D’altissima antichità è un simulacro di Ercole assai mutilato, che regge ora la pila dell’acqua in una chiesa di Lacco. — Sul pendio orientale del monte Vico presso la torre costruitavi dal re Alfonso circa il XV secolo, s’invenne una iscrizione in greco, in lava basaltica, di dieci piedi quadrati, la quale direbbe in latino PACIUS NYMPSIUS MAJUS PACVLLUS MILITES HOC PROPUGNACULUM SUCIPIENTES DEDICAVERE Questo masso era parte della fortezza che la colonia siracusana, venuta in Ischia dopoché l’eruzione del vulcano fugonne gli Eubei, stava costruendo Questa iscrizione è il più certo argomento alla storia in quanto alla fuga dei Siracusani ed all’eruzione. La Rassegna d’Ischia n. 6/2016
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Basta notare lo stile dorico di essa, e ricordare che Siracusa da’ Dori traeva l’origine, e che la corte di Gerone era allora allegrata da Pindaro. Ma di più forte argomento è la significazione del nome Vico, il quale altro non è che il to toichion della iscrizione, quasi niente alterato da’ tanti secoli; sicché Monte Vico significa il Monte del baluardo. Altre ve ne sono, di più fresca età, sebbene antiche, ma non dobbiamo però omettere un’altra cosa ben singolare. Al di sopra di Casamicciola è una roccia enorme e cava, aperta solo in alto, nella quale rinserravansi gl’Ischiesi all’approssimar dei corsari, e la si dice Pietra de’ Turchi. Una scala a piuoli serviva all’ingresso. Fu costrutta, secondo il Sanchez, in tempi a noi remotissimi. Oggi è un cellaio. L’ Atellis assicura vedersi a’ suoi tempi nel museo Arrigoni due delle tante monete trovate in Ischia. Hanno esse nel dritto una testa imberbe galeata, nel rovescio una capra col pié ritto, ora alla radice di un lauro ora a sostegno di un corvo; e le iniziali d’Ischia ritte e rovesce come IS-SI Varie acque termali sono in quest’Isola, come del Pontano, d’Ischia, Castiglione, Gorgitello, Cappone, Bagnofresco, della Rita, S. Restituta, S. Montano, Francesco I, Citara, Amitello, e Nitroli, che tutte però conosconsi comunemente col nome di BAGNI D’ISCHIA. E’ vero che sono proficue a molte malattie, ma il cerretanismo , e l’inesperienza hanno loro attribuite più facoltà di quel che non abbiano. Alcuna anco fu detta rendere prolifiche le donne sterili. In molte Borgate suddividesi l’isola, e sono Casamicciola, Lacca, Foria, Pausa, Lervara, Fontana, S. Nicolò, Moropano, Barano ec. Non ragioniam di queste, che nostro primo scopo fu il Castello d’Ischia. (G. Valeriani)
Castello d’Ischia Chiamati ad aggiunger cosa al nostro articolo precedente su d’Ischia, abbiam creduto preciso dovere di compiacer la gentilezza di chi ne faceva avvertiti delle nostre omissioni. D. Niccola Donati scelto al carico di Coman-
dante Militare in Ischia, siccome intelligente delle cose di beltà e bontà negli edifici, si mise a studiare lo stato del Castello, (in cui già tempo comprendevasi pur la popolazione di unita al presidio) e nelle sue considerazioni rinvenne la casa ora diruta (già di pertinenza dell’antichissima famiglia Calasirti) ov’ebbe i natali e l’educazione S. Gio. della Croce Alcantarino. Si pensò tosto a racconciarla, e insieme colla guarnigione, che assunse poscia in protettore questo Santo, in poco d’ora comparve in ottimo stato; ebbe un tempietto, e un cimitero: e con un real Rescritto, firmato ai 30 gennaio 1832, venne aggregato il Sacro Oratorio alla Parrocchia del Castello. Trovandosi per avventura su quest’Isola il Provinciale degli Alcantarini Fra Eustachio da S. Pietro, fu fatta per esso la dedicazione del piccolo Tempio il 5 marzo, appunto anniversario del transito di S. Giovanni. Ben lungo sarebbe narrar qui come quel popolo si svegliasse ad esultanza in occasione della rinnovata memoria del loro beato Concittadino. I riti sacri celebrati con pompa andarono uniti a pubblico ed esterior tripudio. Quel giorno fu il primo in che si celebrasse l’incruento Mistero. GÌ’Isolani insieme al presidio preservi sincera e pietosa parte. Quattro scorridoje della Real Marina salutarono il lieto giorno con salve replicate e continue di artiglieria, si tenne pubblico pranzo, e la sera fu universalmente illuminata la Città e il Forte. Il parlare di frequenza di concorso è inutile, che ognuno può supporlo numerosissimo; diremo solo che da quel giorno in poi vi accorrono anco gli esteri…. per pietosa divozione. Due feste all’anno tengonsi nell’Oratorio, e sono il 5 marzo e l’ultima domenica di agosto. Quando è precetto di messa, celebrasi a carico della guarnigione. Neil’ interno del Castello è un Bagno che d’ordinario contiene un 130 galeotti. Vi è pure uno spedal militare. Il presidio è composto da una Compagnia di Veterani, un distaccamento di artiglieria, ed altro della Real Marina. (Gaetano Valeriani)
Libro sulla storia d'Ischia “Storia di Ischia nei suoi periodi di massimo splendore. Dalla civiltà greca alla grandezza della corte rinascimentale” di Rosario de Laurentiis è il nuovo volumetto (l’undicesimo) della collana “La coppa di Nestore” edita dal Circolo Georges Sadoul e dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. Il libro sarà presentato venerdì 16 dicembre alle ore 18 presso la Biblioteca Antoniana di Ischia. Con l'autore interverranno il giornalista Ciro Cenatiempo e la Dssa Lucia Annicelli direttrice della Biblioteca. 16 La Rassegna d’Ischia n. 6/2016
Carta dell'isola d'Ischia dall'Itinerarium Orbis Christiani di Joannes Metellus - 1598 A
B
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3
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Toponimi riportati sulla Carta I centri abitati sono introdotti da pagus e vicus, Ischia e Forio sono scritti in lettere maiuscole: la prima qualificata civitas, Forio non ha nessuna specificazione; in lettere maiuscole anche Maximus Mons Epomeus. Alcuni sudatori non presentano alcun nome specifico. Le chiese sono tutte precedute dall’indicazione templum (T). Con le indicazioni "numero e lettera" riportate accanto a ciascuna voce è possibile individuare i luoghi sul particolare della Carta. Aqua cum fragore bulliens Acqua ribollente con fragore (Cavascura) Aqua fervens
1B 1B
Aquaeductus novus = Acquedotto nuovo Arena famosa = Arena famosa (San Montano) Balneum Agnonis = Bagno di Agnone La Rassegna d’Ischia n. 6/2016
2B 3C 1C 17
Balneum Capitelli = Bagno del Capitello 3B Balneum Castilionis = Bagno del Castiglione 3B Balneum Fontis = Bagno di Fontana 3B Balneum Furnelli = Bagno di Fornello 2AB Balneum Gradonis = Bagno di Gradone 1C Balneum Olmitello = Bagno dell’Olmitello 1B Balneum S. Restitutae = Bagno di S. Restituta 3B Calix = Calice 3B Castrum et sudatorium Castilionis – Castello e sudatorio di Castiglione 3B Cavallara = Cavallaro 1BC Claretum = Chiarito 1C Cornix = Cornice (Punta Cornacchia) 3C Cythara = Citara 1C Domus Cumana = Casa Cumana 3B Duo Balnea = Due bagni Duo Balnea Solicite = Due bagni di Soliceto 1C Duo Sudatoria Solenandri = Due sudatori di Solenandro 2BC Ficus = Fichera 1B Fons Abouceti = Buceto 2B Fodina Aluminis =Miniera di allume 2BC Fons Retis = Fonte della Rete (Rita) 3C FORIO = FORIO 2C Giemetta = Gemmetta 3C ISCHIA CIVITAS = Ischia città 2A Lilium = Ciglio 1C MAXIMUS MONS EPOMEUS = Monte Epomeo 2B Molandina = Molendina (Molino) 2C Mons Cognoli Longi = Monte di Cognolo Lungo 1C Mons Custodiae = Monte della Guardia 2C Mons et Vicus Campaniani = Monte e Vico di Campagnano 1AB Mons et vicus Testacci = Monte e Vico di Testaccio 1B Mons Ligorii = Monte Liguori 1A Mons Seianus = Monte Seiano 1A Nucum casa = Casa delle Noci 2C Pagus cumanus = Vico cumano 1AB Pagus Moropani = Casale di Moropano 1B Pansae angiportus = Angiporto di Pansa 1C Promontorium Acus = Promontorio dell’Aguglia 1A Promontorium anilis lobij = Promontorio della pisciazza della vecchia 1A Promontorium Arenae = Promontorio dell’Arena - Punta Molino 3A Promontorium Caballi = Promontorio della Cavalleria 1B Promontorium Canopis = Promontorio di Canopo 3B Promontorium Cephalonium = Promontorio di Cefaglioni 1A Promontorium et mons S. Angeli = Promontorio e monte di S. Angelo 1C Promontorium Falconariae = Promontorio della Falconara 1C 18 La Rassegna d’Ischia n. 6/2016
Promontorium Marontum = Promontorio dei Maronti 1B Promontorium Pedora =Promontorio della Pedora 1C Promontorium S. Pancratii = Promontorio di San Pancrazio 1A Promontorium S. Petri = Promontorio di San Pietro) 3A Promontorium Sciarilli (Promontorio di Sciarillo) 1A Promontorium Scrophae (Promonotorio della Scrofa 3B Rhoilus = Roilo 2C S. Angeli = Sant’Angelo 1C Salinae = Salina 2C Saxum Album = Pietra bianca 2C Saxum Rubeum = Pietra rossa 2C Scopuli Scrophae = Scogli della Scrofa 3B Scopulus Furmicularum = Scogli delle Formichelle o Foranicole 3C Scopulus mullus (triglia) vulgo La Triglia Il Fungo 3B Scopulus vulgo lo Caruso = Scoglio del Caruso 3C Scpulus Gigantis = Scoglio del Gigante 3AB Sedile = Sedile 1A Sudatoria = Sudatori 2A Sudatorium Cacciutti = Sudatorio di Cacciutto Templum Annuntiatae Mariae Virginis = Chiesa dell’Annunziata 3AB Templum Divae Annae = Tempio di S. Anna 2A Templum Divae Mariae gratiarum = Tempio della Madonna delle Grazie 1A Templum Divi Dominici = Tempio di S. Domenico 1A Templum Divi Pauli = Tempio di S. Francesco di Paola 3C Templum S. Alexandri = Tempio di S. Alessandro 3A Templum S. Nicolai = Tempio di S. Nicola 1BC Templum S. Pancratii = Tempio di S. Pancrazio 1A Templum Sebastiani = Tempio di S. Sebastiano 1A Tria Sudatoria Frassi = Tre sudatori di Frasso Vicus Barani = Casale di Barano 1B Vicus Casanizzola = Casale di Casanizzola 3B Vicus Fontana = Casale di Fontana 1-2AC Vicus Lo Lacci = Casale Lo Lacco 3C Vicus Pansa = Casale di Pansa 1C Vicus Piani = Casale di Piano 1B
La Carta di Joannes Metellus porta in basso a destra una scritta a matita piuttosto sbiadita in due righe tra parentesi quadre: “Metellus” nel primo rigo e “Cologne 1598” nel secondo rigo, scritta presumibilmente di fine Ottocento – primi Novecento. Vi sono raffigurate le isole di Ischia, Procida e
Vivara incorniciate in basso ed a sinistra da una parte dei Campi Flegrei. In alto a sinistra è un cartiglio molto semplice con iscritto il titolo Ischia quae olim Aennaria (come la prima parte dell’iscrizione della carta di Ortelio), mentre in basso a destra è la scala in miglia anch’essa inserita in un cartiglio e a sinistra la scritta inquadrata in una piccola cornice: quo utilior magis necessaria atque amoenior insulae pars verusque eius situs obviam iret plaga superior meridies obversa est. Ai margini in alto a sinistra e a destra sono i rispettivi punti
cardinali, meridies, oriens, occidens. Nel mare, rappresentato con puntini come nelle precedenti carte, di fronte alla costa settentrionale dell’isola è la scritta: Maris Tyrrheni sive Inferi pars. La carta è disegnata in maniera piuttosto approssimata e si presenta poco curata. Il disegno della morfologia costiera e interna di tutto il territorio è impreciso ed abborracciato. In particolare, per quando riguarda Ischia, si nota inoltre l’assenza di alcuni toponimi anche importanti,
come T. S. Restitutae, Promontorium Imperatori, Vicus Latrista, Balneum Plagae romanae ed altri e un errore nella posizione del nome dell’abitato di Piano cui è attribuito il nome di Barano e viceversa, mentre ridottissima e senza toponimo è la raffigurazione dell’Arso. Sul verso della carta sono note storico-geografiche su Procida ed Ischia in latino. La fonte di conoscenza di Ischia per Metellus fu Abramo Ortelio che egli conobbe.
(Fonte : Ischia nelle Carte geografiche del Cinquecento e Seicento di Dora Niola Buchner, Imagaenaria, luglio 2000).
Di alcune sepolture della necropoli di Pithekousai Analisi preliminare dei resti odonto-scheletrici umani di VIII-VII sec. a. C. dagli scavi di Buchner 1965-1967 di Melania Gigante, Luca Bondioli, Alessandra Sperduti (...)
La presente analisi prende in esame un gruppo selezionato di sepolture della necropoli di Pithekoussai. Le 28 deposizioni a inumazione e a cremazione hanno restituito complessivamente 29 individui di cui 2 perinatali, 8 infanti e 20 adulti. Tra gli adulti è stato diagnosticato il sesso di 15 individui (10 maschi e 5 femmine). Il basso stato di conservazione dei resti ha limitato fortemente l’estrazione delle informazioni di base della serie. La tendenziale sottostima di individui di sesso femminile1 tra gli inumati impone senz’altro alcune considerazioni. Uno degli aspetti di maggiore interesse della realtà archeologica pitecusana è la simultaneità della consuetudine funeraria della cremazione e dell’inumazione dei defunti per tutto il tempo che dalla metà
dell’VIII sec. a.C. si estende fino agli inizi del VI sec. a.C. L’impianto della necropoli era pertanto caratterizzato da tumuli, a copertura di lenti di terra nera e carboni, mescolata a frammenti di ceramica, ornamenti e ossa combuste, e da sepolture in fossa terragna, scavate ad una profondità variabile e contenenti i resti scheletrici di giaciture primarie. La forte inclusività di questa necropoli2 rende inverosimile l’ipotesi che l’assenza di inumati di sesso femminile sia da ricondurre ad una codificata gestualità funeraria di tipo selettivo. L’assenza di individui di sesso femminile tra gli inumati adulti è probabilmente da ricondurre all’alto tasso di N.D. dovuto alla mancanza di elementi sesso-specifici. Piuttosto, la lettura del record funerario pitecusano offre un’immagine altra del sepolcreto, fondata su una diversificazione nel trattamento del corpo del defunto
1 È opportuno osservare come nel campione delle inumazioni siano presenti 4 individui di sesso non determinabile
2 B. d’Agostino, Pithecusae e Cuma nel quadro della Campania di età arcaica, in RM 117, 2011 pp. 35-53.
Discussione e conclusioni
operata su classi d’età e rango sociale. Il rito dell’inumazione appare infatti connotato dalla presenza di individui di tutte le classi di età; ciò emerge anche dall’analisi di questo campione, entro cui si attesta la contemporanea presenza di perinatali in enchytrismoi, adolescenti e adulti. D’altro canto, se il duplice e coevo rito funerario non La Rassegna d’Ischia n. 6/2016
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è unicamente destinato a distinguere le diverse classi d’età, la cremazione si connota pur sempre come un rito d’élite, riservato a defunti che sono stati, pleno iure, membri della comunità. L’inumazione, invece, è il rito della marginalità, dell’inserimento imperfetto all’interno della realtà comunitaria di Pithekoussai3. Le classi di età delle cremazioni sembrano supportare questa ricostruzione: si tratta infatti di individui con un’età stimata alla morte superiore ai 20 anni4. Al contempo, il sesso non rappresenta un vincolo di accesso al rito crematorio, come suggerito dalla sex ratio del campione che è prossima all’unità. La scarsità dei rinvenimenti, lo stato frammentario e la pessima conservazione dei reperti meritano, invece, un’ulteriore riflessione. Quantitativamente le cremazioni della serie pitecusana mostrano valori ponderali complessivi assai inferiori a quelli registrati per altri campioni odonto-scheletrici cremati appartenenti a orizzonti cronologici simili. Per la serie Pontecagnano-Colucci5 la media del peso per individui di sesso maschile è di 1491±331 grammi, contro una media di poco inferiore di 1126±401 grammi per gli individui di sesso femminile; decisamente più esiguo ponderalmente è il campione pitecusano con una media di 330±98,7 grammi per gli individui di sesso maschile e di 329±82,5 grammi per gli individui di sesso femminile. Pur considerando il sostrato culturale differente e le pratiche rituali differenziate tra comunità pitecusana e Pontecagnano-Colucci, resta il problema della 3 B. d’Agostino, op. cit. 4 Ricordiamo il caso eccezionale della T. 168 a cremazione, o Tomba della Coppa di Nestore, che testimonia come la volontà di autorappresentazione sociale da parte di un gruppo elitario della comunità permettesse di rompere la tradizione funeraria ammettendo al rito crematorio un individuo di un’età stimata di circa 12 anni. (Becker 1995). 5 Le sepolture di propr. Colucci (tra il primo e il terzo quarto dell’VIII sec. a. C, fase I B finale - IIB) si localizzano nell’area nord-occidentale della necropoli pontecagnanese del Picentino (De Natale 2016).
scarsa conservazione, difficilmente attribuibile ad una volontaria dispersione dei resti scheletrici cremati nelle fasi di passaggio dalla combustione del corpo alla deposizione secondaria dello stesso. Dagli scavi non sono stati identificati i luoghi che scandivano le varie fasi del rituale, in primis quella della combustione del corpo, giacché, come scrive Buchner «i roghi stessi non erano mai accesi sul posto dove fu eretto il tumulo, ma su un ustrino comune che non è stato ancora trovato». Non di secondaria importanza è la deposizione dei resti combusti «accumulati in un leggero incavo praticato sulla superficie pianeggiante del piano di calpestio, dunque non sotterrati, e ricoperti col tumulo (...) internamente riempito di pietre e terra alla rinfusa6». Di certo, per il campione delle inumazioni, ove si documentano casi di individui rappresentati da soli 4 frammenti di radici e corone dentane, la natura vulcanica del sito ha compromesso irreparabilmente la preservazione dei resti. Sebbene i frammenti odonto-scheletrici combusti siano più immuni da alterazioni diagenetiche7, la mancanza di un contenitore funerario, quale ad esempio l’urna biconica del funerale villanoviano della coeva Pontecagnano, potrebbe aver influito sulla dispersione dell’originaria deposizione. Non meno importante è l’ipotesi di una raccolta selettiva dei resti dal rogo funebre. Il presente contributo sulla serie pitecusana non può certo essere considerato esaustivo: esso rappresenta una fase preliminare di analisi morfologica di base su un sottocampione archeologicamente omogeneo. L’estensione a tutti i reperti ancora non sottoposti ad analisi antropologica, provenienti dagli inediti scavi Buchner, permetterà di contestualizzare meglio quanto evidenziato in questa fase. Numerose ulteriori analisi morfologiche, di maggiore dettaglio, non saranno probabilmente possibili a causa dello stato di conservazione dei resti; ciononostante, l’uso di tecniche analitiche per la determinazione dei rapporti isotopici dello Stronzio potrà dare, nel breve futuro, importanti contributi per la conoscenza della composizione della popolazione di Pithekoussai8, attraverso la stima della componente alloctona della comunità.
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Esempi di conservazione del record odonto-scheletrico di alccune sepolture a cremazione e a inumazione, necropoli di Pithekoussai, VIII-VII sec a. C., scavi di Buchner.
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6 Buchner 1982 7 G. Depierre, Crémation et archéologie. Nouvelles alternatives méthodologiques en ostéologie humaine, Dijon 2014. 8 T. D. Price et al., The Characterization of biologically available Strontium Isotope Ration for the Study of Prehistoric Migration, Archaeometry 44, 2002, pp. 117-135 --M. L. Jorkov et al., The petrous Bone: a new sampling Site for identifying early dietary Patterns in stable isotopic Studies, in American Journal of Physical Anthropology 138, pp. 199-209 --- L. Harvking et al., Strontium Isotope Signals in cremated petrous Portions as Indicator for ChildhoodOrigin, in Plos One 9-7, 2014 pp1-5.
Viaggio a Sora (Frosinone) terra di Santa Restituta qui "una nobile romana" di Giuseppe Silvestri Una locandina, conservata da mia nonna e ritrovata dopo oltre cento anni tra le vecchie carte, ha suscitato in me il desiderio di saperne di più in merito al suo contenuto. Con riferimento al 1911, il manifestino comunicava il programma delle funzioni in Chiesa per la festività della Patrona, Santa Restituta, dei giorni 26 e 27 maggio. Lo aveva portato Giuseppe Augusto Calise, nato a Lacco Ameno il 2904-1878 da Calise Vincenzo e da Piro Restituta, sposato nel 1898 a Lacco Ameno con Piro Restituta di Lorenzo e di Patalano Maria Grazia. Dopo aver compiuto studi di
carattere giuridico e studiato musica, soprattutto organo e composizione, il Calise si distinse giovanissimo per la composizione di testi religiosi che lui stesso suonava in occasione delle festività. Dal suo matrimonio nacquero tre figli: Sofia e Vincenzo a Lacco e Edgardo a Sora nel 1911. L’intera famiglia si era trasferita a Sora quando Giuseppe fu assunto come segretario comunale. Dovettero partire con il primo vaporetto per trovarsi alla stazione di Piazza Garibaldi intorno alle dieci e prendere il treno per raggiungere la bella cittadina della Ciociaria Andarono ad abitare in via Barea, che dava in Piazza S. Restituta, dove sorgeva l’ antica chiesa che sarà distrutta dal terremoto e non più ricostruita (si preferì ricostruire su un diverso sito la nuova chiesa). Vincenzo si inserì subito nella nuova realtà di lavoro e sociale e prestò con
entusiasmo la sua opera di musicista nella chiesa di Santa Restituta. Da buon isolano veniva a trascorrere con la famiglia le vacanze a Lacco come ho potuto dedurre dai racconti di mia nonna Assunta che risalgono agli anni 1950. In quelle occasioni raccontava della sua vita a Sora, del suo lavoro, del fiume Liri, degli inverni freddi e nevosi, dei lupi che spinti dalla fame arrivavano anche in paese e costituivano un pericolo. Diceva ancora della sua partecipazione come maestro, compositore e direttore della filarmonica sorana. Nel 1911 portò alle sorelle il manifestino da me ritrovato. Per maggiori conoscenze e soprattutto per la coincidenza della nostra e della loro Santa Protettrice Restituta mi sono recato una prima volta quest’anno 2016, il 26 e 27 maggio, a Sora in provincia di Frosinone.
In aliscafo raggiunsi Napoli, in tempo alla Stazione di Piazza Garibaldi per il treno interregionale delle 11.50, con cambio a Cassino, che mi avrebbe portato a Sora in tre ore e qualche minuto. Mi andava bene perché interessato a vedere il paesaggio ed i monti interni alla costa che guardo sempre da Lacco soprattutto d’inverno con le loro cime innevate e mi sembra eccezionale che a poche miglia dall’isola del sole e del fuoco la neve rimanga su quelle montagne anche a primavera inoltrata. Ma ci fu uno stop prima di Cassino durato diversi minuti, per cui persi la coincidenza per Sora. Il capo stazione mi disse di procedere per Rocca Secca dove avrei trovato una nuova coincidenza. Ma, quando vi arrivai, anche questo treno era partito. Il successivo per Sora era alle 16.50. Pensai di trovare un ristorante per mangiare qualcosa e per trattenermi buona parte del tempo d’atLa Rassegna d’Ischia n. 6/2016
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tesa, ma non ce ne erano aperti. Camminai, seguendo un’indicazione fino alla Casilina, alla fine di un lungo rettilineo di oltre un chilometro per l’eventuale “Corriera” che mi portasse a Sora o a Frosinone. Il sole picchiava forte, caldo intenso; pensai che forse sprecavo tempo ed energie, che questo mio viaggio sarebbe stato una inutile iniziativa. Mi confortavo: ”almeno cammino qualche chilometro e mi fa molto bene”. Arrivato sulla Casilina, due ragazzi mi dissero che di lì passava solo la “Corriera” diretta a Roma. Decido di ritornare alla stazione, in un bar mangio un cornetto e bevo un succo di ananas, in un bar successivo bevo un caffè. A Roccasecca ci sono le elezioni amministrative perché leggo diversi manifesti e due auto sfilano con le foto dei candidati sindaci. Ricordo il film di Totò: ”Vota Antonio!! “Vota Antonio La Trippa”, girato proprio a Roccasecca. Mi chiedo se è stata girata proprio in questa stazione la scena finale del film “I due Marescialli” con Totò e Vittorio De Sica; quella in cui Antonio (Totò) sul marciapiede della stazione capta nella sua valigia senza fondo quella del Maresciallo (De Sica) che per un momento aveva persa di vista. E, vestito da frate domenicano, a passo svelto, si allontana mentre De Sica lo rincorre chiamandolo per nome: “Antonio”, “Antonio” (l’aveva cercato tanto pur credendolo morto) e infine conclude (se ricordo bene): ”sei un fetente!!.” Divertito, sorridente, mi scatto un selfy. Finalmente il treno, quasi in orario. Alle 17.40 sono alla stazione di Sora. Una strada diritta, via XX Settembre, mi porta al fiume Liri; attraverso il ponte e raggiungo il mio Bed and Breakfast. Sono sistemato bene: una stanza con salottino e bagno tutta per me., a 50 metri dal fiume Liri, vicino al palazzo municipale ed alla chiesa di Santa Restituta. Qui Santa Restituta secondo la tradizione fu una nobile romana, torturata e decapitata presso Carnarium, l’attuale Carnello, venerata dalla Chiesa cattolica come santa e martire. In buon anticipo mi reco ad assistere alle funzioni del giorno 26. Comprendo che la parte principale della città è sviluppata su Corso dei Volsci, parallela al Viale ed alla strada che accompagnano il fiume Liri, l’ampia Piazza Santa Restituta rappresenta il riferimento di ogni manifestazione ed evento. La facciata della Chiesa segue l’andamento delle coperture; un rosone al centro sopra la porta principale; le due porte secondarie presentano gli stipiti abbelliti da bassorilievi con motivi floreali; archetti pensili con colonnine chiudono il prospetto in alto. Entro con una certa emozione. Confesso che fino a questo momento 22 La Rassegna d’Ischia n. 6/2016
penso che sia l’antica chiesa di Santa Restituta, di lì a poco capirò che è stata costruita nuova dopo il terremoto del 1915, tra il 1921 ed il 1929. L’interno è molto luminoso, romanico, con serie di pilastri e con capitelli di stile corinzio diversi tra di loro, su cui poggiano poderosi archi a tutto sesto che sorreggono le volte a crociera delle tre navate. Nel transetto sul lato sinistro della navata centrale è la statua della Santa. Poggia su una base di legno dorato senza addobbi e gioielli. È una semplice, bella giovane latina. Affreschi e mosaici alle pareti ne ricordano il martirio. Le lunghe file di scanni vengono a mano a mano occupate. Dopo la recita del Santo Rosario, sento per la prima volta cantato dai fedeli l’inno della Santa che ne ripercorre la storia dal Tevere al Liri. Finalmente il Vescovo avanza sorridente e benedicendo raggiunge l’altare dove lo attende il Parroco, mons Bruno Antonellis. Credo che tutto si svolga come nel vecchio programma del 1911: Vespri, condotti dallo stesso vescovo; inno della Santa ed infine la Processione. Infatti, terminata la funzione in Chiesa, esce la processione. Io raggiungo l’altare e parlo con un signore che stava eseguendo preparativi per la funzione dell’indomani. Gli accenno il motivo della mia presenza e mi suggerisce di parlare con il Parroco dopo la Messa solenne delle 11.00. Esco, prendo Corso dei Volsci verso il Liri, dove assisto al passaggio della processione. La statua è portata a spalla da persone che indossano lo stesso costume: pantaloni bianchi e camicia rossa. Carabinieri in alta uniforme sono ai lati, seguono il Sindaco con la fascia tricolore ed altre autorità, alcune in divisa. Ciò che mi stupisce però sono le numerosissime associazioni e confraternite che con i loro rappresentanti in camice e mantellina precedono la Santa, che sarà portata in Cattedrale dove rimarrà durante la notte. Ritornerà nella sua Chiesa l’indomani giorno 27 alle sei. Chiudo la serata in un ristorante sul Liri: frittura di paranza di Gaeta ed insalata. Rientro nel vicino albergo soddisfatto della giornata. Giorno 27 maggio, alle 8.00 sono già fuori, faccio una passeggiata sul Lungoliri, dove si svolge ancora la Fiera. Verso le 10.oo raggiungo la Chiesa, prendo posto in uno scanno abbastanza avanti. Ascolto ancora una volta l’Inno della Santa. Finalmente inizia la Messa Solenne celebrata dal Vescovo. Le musiche ed i canti della filarmonica Sorana diretta da un giovane maestro sono senz’altro belli. La partecipazione dell’assemblea è attenta e sentita. Mi domando se è possibile che siano gli stessi canti e musiche del 1911! Alla fine della Messa il Parroco ricorda il miracolo della
all’ingresso della Chiesa dove si raccoglievano le offerte. Gli chiesi se conosceva Vincenzo Alonzi, autore del libro: ”Terremoto del 13 gennaio 1915 ore 7.50. La nobile Sora devastata conta le sue vittime”. Mi rispose che era stato fino a pochi minuti prima nelle vicinanze, ma che adesso non lo vedeva. Gli spiegai perché lo cercavo. Lo contattò col telefonino. Tutto risolto. L’indomani mattina presto, già prima delle 8.00 avrei trovato il libro a Corso dei Volsci, alla prima edicola dopo la piazza. Andai subito sul posto per rendermi conto. L’indomani mattina alle 7.30 ero lì ed acquistai il libro. Poi alla stazione per l’autobus delle 9.50 per Napoli. Seduto su una panchina, aprii il libro e lessi i cinque nomi, lontani, lontani nel tempo ma vivi nella forza meravigliosa del pensiero. E seppi che la mamma Restituta Piro di Lorenzo e di Patalano Maria Grazia ed il figlio più piccolo di quattro anni che era nato a Sora, di nome Edgardo, morirono a Piazza Indipendenza (la mamma accompagnava il piccolo all’asilo) alle 8.00. Giuseppe Augusto con i figli Sofia e Vincenzo morirono negli stessi istanti nella casa a Via Barea. Fu un’emozione leggere quei nomi che io portavo con me ormai custoditi in un libro, al loro paese natìo: Lacco Ameno, dopo 101 anni. Ma un libro forse è di più, di più… Ritornerò ancora a Sora presto per cercare notizie di Giuseppe Augusto Calise. Intanto mi piace pensare che qualche nota di un suo spartito, di qualche sua composizione possa librarsi ancora nell’aria tra Sora, Lacco Ameno e l’isola d’Ischia. Giuseppe Silvestri
Sora - La locale Santa Resttuta
rosa che fiorita in una notte consentì di individuare il sepolcro della Santa. Garantisce che ci sarà una rosa in ricordo per tutti i presenti. Anch’io ne ricevo una. Terminata la celebrazione mi reco in sacrestia per parlare con il Parroco. Un signore del comitato mi dice che è impossibile perché impegnato in tante cose. Garbatamente gli rispondo che avrei voluto comunque provare. Alle sue insistenze gli dico di avere fiducia, di essere ottimista. Quando il Parroco uscì dal suo Studio, gli dissi che venivo da Lacco Ameno... mi invitò subito ad entrare, dicendomi che era stato a Lacco e che conosceva bene la storia della nostra Santa. Gli consegnai una copia del manifesto programma del 1911, gli dissi di quel giovane maestro Calise Giuseppe Augusto che agli inizi del 1900 si trasferì a Sora per lavorare presso il Comune, che amava la musica, era anche compositore e dirigeva la Filarmonica Sorana nella quale in occasione della festa di S. Restituta intervenivano distinti professori napoletani. Espresse meraviglia e mi disse che purtroppo lui, pur essendo Parroco da tanti anni, non poteva saperlo, certamente il suo predecessore, ma era morto. Comunque avrebbe fatto qualche indagine. Io nel ringraziarlo gli consegnai un libretto che conteneva la storia di S.anta Restituta che si venera a Lacco. Mons.Bruno Antonellis fu gentilissimo e volle regalarmi le pubblicazioni sulla Chiesa e sulla vita ed opere della Santa sorana. Nelle vicinanze della chiesa c’era un Bar-libreria dove ero convinto che avrei trovato il libro pubblicato in occasione del centenario del terremoto del 1915. Ma il gestore, molto gentile e disponibile, non ne era a conoscenza. Comprai comunque un libro sui terremoti nella Marsica. Passando per la Piazza, riconobbi un signore del Comitato seduto a un tavolo
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Recentemente è venuto a mancare, prematuramente, l’amico (non solo mio, ma di tanti e tanti, isolani e non) Vito Patalano; non sapendo cosa e come scrivere, per
rievocarne la sua figura, mi sono ricordato di un articolo da lui scritto nel 1972 per la Tribuna Sportiva dell’isola d’Ischia (anno III n.ri 9/10) e mi piace riproporlo qui, anche
nel ricordo di un artista che molti anni trascorse a Lacco Ameno:Incontro-intervista con l’artista che ha portato Ischia nel mondo.
Mario Cortiello attinge ancora al paesaggio dell’isola Napoletano, figlio di un commerciante di diamanti, ha esordito nell’arte nel ‘26, ma soltanto negli ultimi anni ha fermato intorno alla sua firma l’interesse dei collezionisti. E le quotazioni sono salite. Una fortuna oggi per quanti con prezzi molto contenuti acquistarono i suoi quadri. «L’arte è come un orologio che va avanti di 50 anni» ci fa osservare l’artista. Ischia, e in special modo Lacco Ameno, ha significato per lui in passato una tappa fissa della sua vita, per ritrovarvi quel tema del paesaggio «che è poi quello in cui la sua immaginazione si placa e si intenerisce liricamente sommessa davanti al motivo naturale che lo incanta con la sua verità e che chiede d’essere poetizzata. Allora, sono immagini semplici e pure che evocano paesetti vesuviani, Ischia là dove non è sconciata, o quei luoghi superstiti del Golfo e della Costiera dove non è avvenuto ancora la grande distruzione di una bellezza che pareva intramontabile» (Mario Lepore). Poi un lungo periodo di assenza, in cui peraltro si costruiva il suo rilancio e il boom commerciale. In giro per il mondo ha portato, oltre che le sue estrose fantasie, anche Napoli e il sorriso di Ischia con i suoi colori e i suoi spazi di luce. Quanti anni esattamente? Ce lo dice Cortiello stesso, ritornato per alcuni giorni sulla nostra isola: «Nove anni. Sono stato un po’ 24 La Rassegna d’Ischia n. 6/2016
in giro per il mondo. Ho fatto mostre a Filadelfia, a Tokio e in molte città italiane. Ho avuto la gioia di vincere due premi molto importanti: quello internazionale «Europa ‘70» e, proprio recentemente il 10 maggio u.s., il «Pavone d’oro». Ricorre all’estero il tema d’Ischia? «Non ho mai fatto una mostra in tutti questi luoghi senza che ci non fossero i paesaggi di Ischia. Abbiamo un’isola che mi è sempre rimasta dentro gli occhi (sono 40 anni che vengo)». Nota qualche differenza tra la vecchia e la nuova Ischia? «Trovo che il progresso non si arresta. Esso apporta delle comodità in più, anche se a discapito della natura. Ma Ischia resiste». Vari critici hanno dato risalto ad un’evoluzione nella sua arte partendo dalle illustrazioni di vari libri alla quale lei si è dedicato. «Indubbiamente sì. C’è una maggiore sintesi, un colore più vivace, più smagliante, più puro. Certo, con i tempi che corrono, l’arte attraversa un periodo che, pur essendo affascinante, è un po’ caotico; non ho mai approvato e non approvo nemmeno ora quelle forme di esibizionismo che a tutto servono meno che a rendere l’arte figurativa degna di questo nome. L’arti-
sta è, e rimane, secondo me, un essere sensibilissimo che deve esprimere attraverso questa sensibilità, quasi per miracolo, tutto ciò che la bellezza e la natura hanno creato. Ho illustrato due libri, uno di Domenico Rea: «La canzone di Zeza» del nostro famoso Pulcinella, la più umana delle maschere italiane, e recentemente l’altro edito da Maria Teresa Benincasa: «I proverbi napoletani» di Alberto Consiglio con la prefazione molto lusinghiera, anche nei miei riguardi, del Presidente della Repubblica, on. Giovanni Leone. Queste esperienze servono a dare più lustro alla nostra Napoli». La luce e i colori dei suoi quadri sono quelli che la natura stessa ci presenta oppure hanno ricevuto una modulazione personale? «Il pittore è come un medium e attraverso il contatto esprime miracolosamente la natura. La pittura in effetti è un miracolo». Pensa di ritornare di nuovo ad Ischia? «Ritornerò sempre ad Ischia, per quanto con il cuore non mi sono mai allontanato, avendola dipinta anche nella grande e fredda Milano. Io che ho girato quasi tutto il mondo, soggiornando parecchio tempo in varie località, non ho mai trovato un’atmosfera più pulita e un paesaggio così incantevole». Vito Patalano
RASSEGNA LIBRI Le Madonne della Misericordia dell’isola d’Ischia storia, arte, religiosità popolare di Agostino Di Lustro – Ernesta Mazzella Gutenberg Edizioni, settembre 2016. In copertina: Madonna della Libera, maiolica sec. XVIII, Forio, spiaggia di San Francesco, scomparsa nel 1977. Il libro è corredato anche da varie immagini a colore e da numerosi riferimenti bibliografici. Pagine 96.
In occasione del Giubileo della Misericordia, indetto dal Papa Francesco e chiusosi il 20 novembre scorso, gli autori hanno voluto evidenziare in questo testo «la “Misericordia” che si è realizzata in Maria attraverso una serie di titoli che la pietà popolare ha voluto attribuirle», come “delle Grazie”, “della Libera”, “del Soccorso”, “di Portosalvo”, “della Marcede”, “della Salvazione”, etc. «Non tutti questi titoli sono autoctoni, ma dobbiamo anche dire che alcuni sono certamente tali, come pure alcune espressioni iconografiche. Tutto questo però si innesta più generalmente nello sviluppo della pietà popolare e nella diffusione sempre più capillare della devozione a Maria che costituisce la caratteristica nel popolo cristiano delle varie nazioni. Uno sviluppo particolare che si è verificato nel meridione d’Italia e ha interessato, e non poteva essere diversamente, anche la nostra isola». Con il titolo di “Madonna della Misericordia” si ha un’immagine nella chiesa di San Domenico (Ischia), costituita non da un dipinto, bensì da una statua settecentesca che certamente non
può gareggiare con quelle di famosi pittori e scultori, ma, al di là dell’aspetto artistico, bisogna notare che «nell’isola d’Ischia la pietà popolare ha creato una serie di titoli mariani che denotano aspetti particolari della protezione della Madonna per i propri devoti». Il libro si presenta interessante e preziosa, non solo sotto il piano religioso, ma anche per quello informativo e storico, per cui ne appare opportuna la presenza nelle biblioteche, piccole o vaste, dei cultori di tutto ciò che riguarda l’isola d’Ischia e le sue vicende di ogni tempo; le chiese isolane sono ricche di un patrimonio, anche artistico per certi riguardi, che di tanto in tanto è stato anche studiato ed offerto ai lettori, ma forse presto passato nell’oblio generale. Si può leggere nel libro del Crocifisso venerato nel Santuario del Soccorso (Forio): questo «lasciava la sua cappella solo in occasione dell’Anno Santo e restava qualche giorno nella basilica di Santa Maria di Loreto, dove si svolgeva la celebrazione conclusiva della missione». Si parla del polittico “Madonna delle Grazie con le Committenti Costanza d’Avalos e Vittoria" Colonna, che si trovava anticamente nella Chiesa delle Clarisse al Castello aragonese; oggi smembrato, si trova nella sacrestia del convento di Sant’Antonio (Ischia), è stato fatto oggetto di molte attenzioni da parte di au-
torevoli studiosi: Alparone, de Castris, e altri di cui si ha notizia nell'ampia bibliografia e sitografia che gli autori hanno proposto. Raffaele Castagna
Ischia, convento di S. Antonio da Padova, sacrestia: Polittico "Madonna delle Grazie con le committenti Costanza d'Avalos e Vittria Colonna.
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Amori e intrighi a Ischia durante l’occupazione inglese di Nunzio Albanelli Editoriale Ischia srl, 2016. Testo e foto. In copertina: Piazza Croce negli anni dell’occupazione. Prefazione di Michele D’Arco. Pagine 112. Un amico inglese, che nell’infanzia avevo conosciuto in Ischia sulla spiaggia di San Pietro, recatosi a far visita a una zia, residente nella periferia di Londra, aveva ricevuto in dono un vecchio diario, che raccontava una storia ambientata proprio in Ischia al tempo dell’occupazione inglese. Ne era stato protagonista un certo Simon che insieme con i commilitoni Gordon, Antony e John aveva prestato servizio a bordo di una motovedetta ancorata nel porto del capoluogo e aveva finito per trovarsi invischiato in una vicenda tanto intricata da apparire inverosimile. Mi confidava d’aver trovato quella storia molto interessante, che rappresentava, a suo avviso, un eloquente spaccato delle condizioni dell’isola in quel periodo senza dubbio difficile. Ricevuto quel diario, l’ho sfogliato avidamente; vi ho ritrovato tanti personaggi a me noti, protagonisti della memoria storica isolana. Perciò lo pubblico volentieri, convinto che la storia riportata merita di essere conosciuta (Nota di Nunzio Albanelli sul retro di copertina).
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* Una storia, frutto della rigogliosa fantasia dell’autore, che si dipana lungo sentieri, anche quelli più reconditi, di quell’isola che per tutti è solo lontana nostalgia. Nel contempo diventa un fantastico “excursus” in un periodo della nostra straordinaria storia locale, sconosciuto ai più, a cavallo tra due epoche, lontane anni luce l’una dall’altra. Ischia che vive per secoli nel suo guscio fatto di origini greche e romane e poi… vita aspra e durissima. Pesca, coltivazione della vite, mare e terreni da inventare per potersi sfamare. Valori sacri: la famiglia, la fede sincera nella provvidenza, tanta serenità nonostante i disagi. L’autore piazza la vicenda dei suoi protagonisti, quasi spartiacque, tra quest’isola e quella che sta per nascere, rigogliosa, prorompente, miracolata da uno sviluppo fuori da ogni parametro delle più evolute scienze economiche. Ischia all’età di San Giovan Giuseppe, che si apre ad Ischia cosmopolita. L’opera, ma forse più ancora un saggio per una “fiction” televisiva, scorre come l’acqua sul marmo. Si ha la sensazione che la penna del preside Albanelli abbia cominciato a tracciare le sue lettere, la sua trama, senza mai fermarsi. E la lettura è, di conseguenza, agile, scorrevole, piacevole, a tratti commovente, ma più ancora è un piccolo capolavoro di sintesi storica dell’isola del tempo, nella sua semplice vita, e delle meraviglie che il sommo Reggitore delle nostre sorti ci ha donate. Con certosina precisione egli le enumera una ad una offrendoci uno spaccato mirabolante di aspetti di vita semplice e di ogni angolo del nostro piccolo paradiso. Michele D’Arco
Architettura e paesaggi della villeggiatura in Italia tra Otto e Novecento (A cura) di
Fabio Mangone, Gemma Belli e Maria Grazia Tampieri Franco Angeli Editore, pagine 432. Introduzione di Fabio Mangone, direttore del BAP – Centro interdipartimentale di ricerca per i Beni architettonici e ambientali e per la Progettazione urbana dell’Università Federico II di Napoli.
«Questo volume – si legge nella Introduzione – è l’esito definitivo di una serie di ricerche presentate nel memorabile convegno tenuto a Madonna di Campiglio dal 26 al 28 marzo 2009, sul tema “Architettura e paesaggi della villeggiatura. Luoghi in Italia e in Trentino Alto Adige nell’Ottocento e nel Novecento”». Un capitolo di Andrea Maglio, ricercatore in Storia dell’architettura, Dipartimento di Architettura, Univerrsità di Napoli Federico II, è dedicato all’isola d’Ischia e più particolarmente a Casamicciola, intitolato: “La nascita del turismo a Ischia nell’Ottocento: il primato di Casamicciola dai primi alberghi al terremoto del 1883”. Tra le fonti, indicate nelle note sparse qua e là, sono citati autori e testi pubblicati da Imagaenaria Edizioni Ischia, come pure vi si trova qualche riferimento tratto da La Rassegna d’Ischia (Giovanni e Raffaele Castagna). I titoletti intermedi indicano innanzitutto Casamicciola “la capitale morale” dell’isola, “Degenti, turisti e studiosi”, “Casamicciola: la prima ville d’eau italiana”, “gli alberghi di Casamicciola”, “il terremoto del 1883, la ricostruzione e il declino”. «Il dramma del terremoto segna una battuta d’arresto fondamentale per l’attività tu-
ristica di Casamicciola, come anche per gli altri settori produttivi, e la “capitale morale” dell’isola, per usare le parole di Kaden, perde quel primato conservato per gran parte dell’Ottocento : anzi, paragonandola all’antica Pompei, il professore tedesco, che vive in prima persona il momento fa-
tale del terremoto, non esita a scrivere che “Casamicciola è scomparsa dalla faccia della terra”».
Quando Casamicciola era la “capitale morale” dell’isola * Per quasi tutto l’Ottocento il centro più rinomato è Casamicciola, grazie a un’economia diversificata e basata, oltre che sul turismo, anche su altre attività quali la produzione di argilla e allume e quella di ceramiche, introdotta al tempo dei greci, nonché sull’esportazione di vino e prodotti agricoli. La gerarchia tra i diversi centri isolani viene gradualmente modificata a partire dalla creazione del porto, inaugurato da Ferdinando II nel 1854, laddove prima esisteva il lago presso l’abitato di Bagni, corrispondente all’attuale Ischia Porto. Il nuovo approdo assume un ruolo di primaria importanza in maniera lenta e progressiva e i primi tempi successivi all’apertura del varco nel lago non comportano modifiche immediate nel ruolo * Dalle pagine del libro
dei diversi centri, anche perché esso viene adibito solo alla funzione di riparo per le navi in caso di burrasca, escludendo quelle commerciali e di scalo. Anche dopo l’apertura del porto, per almeno un altro trentennio, fino al terribile terremoto del 1883, che segna la vera crisi della cittadina termale, il maggior centro turistico dell’isola rimane quindi Casamicciola, che nel 1875 conta circa 3700 abitanti, e ancora nel 1880 la migliore strada carrozzabile dell’isola è quella tra la marina e gli stabilimenti termali di Casamicciola. Alla metà del secolo già esiste un collegamento con la capitale effettuato dalla compagnia di vaporetti di Carlo Garavini, proprietario di quella che diverrà poi villa D’Ambra; ma nel periodo di maggiore fama della cittadina termale esistono due compagnie, una La Rassegna d’Ischia n. 6/2016
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italiana e l’altra inglese, che in due ore e mezza collegano Napoli e Casamicciola, passando per Procida. Ancora a fine Ottocento i vaporetti dalla terraferma non si fermano al nuovo porto ma proseguono fino a Casamicciola. Questa, come scrive il germanista Woldemar Kaden nel 1883, è diventata «la stazione termale per eccellenza [...] Qui da anni prosperava su larga base una redditizia industria termale e balneare, promossa da uomini avveduti, dinamici come il sindaco Dombré e i direttori delle strutture termali Manzi e Belliazzi [...] Casamicciola era diventata non solo una delle più importanti ma anche una delle più efficienti località dalle migliori capacità ricettive», tanto da essere definita «capitale ‘morale’ dell’isola».
Lacco Ameno Sebbene Casamicciola costituisca il vero centro turistico dell’isola, la prima locanda di cui si ha notizia dall’inizio dell’Ottocento è la Pannella a Lacco, aperta dall’abate don Tommaso De Siano, presso cui soggiornano ospiti di rilievo come Ludwig I di Baviera e molti esponenti dell’aristocrazia internazionale e del mondo della cultura. A questa va aggiunta la presenza di villa d’Atri, affittata da personaggi illustri, come nel 1817 Caroline von Humboldt, figlia del celebre Wilhelm. In ogni caso, la breve distanza tra Lacco e Casamicciola rende complementari tra loro le diverse strutture ricettive, le fonti termali e le attrazioni della zona. Nella seconda metà del XIX secolo Lacco perde attrattiva e la più importante località turistica dell’isola rimane la sola Casamicciola, anche grazie alla capacità di modernizza28 La Rassegna d’Ischia n. 6/2016
zione degli impianti termali e degli alberghi, in grado di conformarsi ai gusti della clientela internazionale.
La Sentinella A Casamicciola, «casette il cui aspetto denota agiatezza e decoro sono ben situate sulla vetta di alcune colline, come per esempio La Sentinella, casa di campagna di proprietà della famiglia Monti». Inizialmente, come avviene per molte strutture dell’isola, la Sentinella è una casa privata in grado di offrire alloggio ad una clientela esigente e raffinata, ma non ancora un vero e proprio albergo, come sembra invece essere la Pannella. La famosa pittrice svizzera Angelica Kaufmann, tra l’altro autrice di un ritratto di Ferdinando IV, soggiorna nel 1773 e poi nel 1787 proprio alla Sentinella, dipingendo i ritratti dei due proprietari. Una descrizione dell’edifìcio è fornita da
un’altra pittrice svizzera, anche se meno nota, ossia Barbara Bansi, che vi arriva nel 1805: «una terrazza ombreggiata da rami di mirto serviva da sala d’ingresso, da dove si godeva di una vista divina». Pochi anni dopo, proprietario ne è il dottor Monti, che somma all’attività imprenditoriale competenze scientifiche, poiché è anche il medico che cura illustri personaggi, tra cui Caroline von Humboldt, sebbene ella soggiorni a Lacco; l’albergo incanta diversi ospiti, tanto che al principio degli anni Venti il compositore Bernhard Klein musica una poesia “A ricordo della Sentinella”, scritta da Edwige von Olfers, moglie del consigliere di legazione dell’ambasciata di Prussia a Napoli e futuro direttore dei musei reali di Berlino. Negli stessi anni alla Sentinella alloggia anche Turpin de Crissé, incantato dall’amenità del paesaggio di Casamicciola.
Giacinto Gigante (Napoli 1806-1876) - Casamicciola Olio su tela 29 x 41
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Al mondo ci sono solo isole Filosofia dell’intensità di Tommaso Ariemma Diogene Edizioni, Campobasso, ottobre 2016. In copertina : Sara De Salve, Senza titolo, tecnica mista su carta.
“Questo libro non è una guida turistica, ma contiene un nuovo modo di guardare il mondo. I suoi protagonisti: Atlantide, Utopia, Lampedusa, Ischia, David Foster Wallace, Kate Moss, Rousseau el’idealismo tedesco, e tanti altri ancora. I suoi temi: l’isola come purezza e come incontro, l’isolamento come pericolo e come risorsa. Si tratta di un vero e proprio elogio dell’isola, della sua intensità, come dimensione cardine della nostra esistenza, attraverso tutte le sue possibili declinazioni: dal corpo all’immagine, dalla moda alla politica, con gli strumenti della filosofia classica e contemporanea (da una nota di copertina). Nel capitolo della purezza si legge: “L’isola è tutto ciò che può essere raggiunto con il pensiero, con le proprie gambe o con qualsiasi altro mezzo. Per questo motivo, tutti quelli che vedono nell’isola un emblema di ciò che è remoto o puro o protetto si sbagliano di grosso”. Si ricorda anche un verso di Hugo von Hofmannsthal: “C’è un regno dove tutto è puro: / e ha un nome: / regno dei morti”. Immagine di isola come purezza che si trova nel famoso dipinto di Arnold Böcklin: L’isola dei morti, che era tanto ammirato da Adol Hitler. L’associazione della dimensione dell’isola all’idea di purezza si ritrova anche in altri momenti della cultura,
tedesca e non solo. La poetessa Ingeborg Bachmann dedica una poesia all’isola d’Ischia, in cui si leggono i versi: (L’isola d’Ischia) è un fuoco sotto terra / e il fuoco è puro (Es ist Feuer unter der Erde, und das Feuer ist rein). “L’isola, lungi dall’essere qualcosa di puro, è sempre principio di composizione, di invenzione, nel senso forte del termine, ossia di incontro. L’isola stessa, raffigurata dal pittore Böcklin, è una composizione di elementi dell’isola d’Ischia più che una rappresentazione descrittiva di un territorio ancestrale. Inoltre, il dipinto mostra qualcuno che arriva. Una barca trasporta un defunto. In tal modo ci viene detto, con i mezzi della pit-
tura, che ciò che consideriamo erroneamente puro è sempre il territorio di arrivi e dunque di cambiamento. E non si creda di poter mai lasciare l’isola. Si lascia un’isola, ma non l’isola, perché l’isola è la tabula, la tela, su cui la vita scrive. Isola è anima, isola è corpo. La distinzione che si arricchisce sempre di altro”.
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Arnold Böcklin - L'isola dei morti (Die Toteninsel)
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Procida: al via la valorizzazione del Palazzo D’Avalos (ex carcere)
La valorizzazione dell’Ex Carcere Nuovo e Palazzo D’Avalos si inserisce in una strategia complessiva di riqualificazione e riconversione turistica di Procida che punta ad affiancare il tradizionale turismo nautico da diporto dell’isola con nuovi flussi di turismo culturale, enogastronomico, rurale e di eco-turismo. Dal 15 novembre scorso è possibile visitare, con ingresso a pagamento e con prenotazione (vedere sito istituzionale del Comune di Procida: www.comune.procida.na.it) il complesso procidano. Dal sito del Comune ricaviamo il seguente scritto illustrativo:
L’ex Carcere dell’isola di Procida è un imponente edificio sul mare, costituito dall’intervento urbano cinquecentesco realizzato nel finire del sec. XVI per volere del Cardinale Innico d’Avalos dagli architetti Cavagna e Tortelli. D’Avalos con la costruzione del suo Palazzo fece realizzare l’attuale accesso a Terra Murata il cui borgo era accessibile solo dalla spiaggia dell’Asino dopo punta Lingua e grazie a questo collegamento si ebbe lo sviluppo urbano dell’isola con la nascita dell’insediamento del borgo della Corricella, la realizzazione del Convento di Santa Margherita Nuova e l’attuale architettura dell’abbazia di San Michele. Il Palazzo Signorile fu dal 1734 confiscato dai regnanti borbonici che istituirono a Procida il primo sito Reale di caccia divenendo sia per Carlo III ma in particolare per Ferdinando IV residenza reale per la caccia, prima della realizzazione di Capodimonte e della Reggia di Caserta. Il complesso monumentale, dopo essere stato Palazzo Reale dei Borbone, tra i 22 beni allodiali della Corona, nel 1815 venne trasformato in scuola militare e poi nel 1830 in carcere del Regno con successivi ampliamenti che vennero realizzati dal 1840 per la nuova funzione di bagno penale, all’unità d’Italia carcere di massima sicurezza dello Stato italiano. Nel Carcere di Procida sono stati detenuti Cesare Rosaroll e Luigi Settembrini, e dopo la caduta della repubblica di Salò, dal ’45 al ’50, vale a dire fino all’indulto Togliatti, furono rinchiusi tutti i principali capi della “nomenclatura fascista”, 30 La Rassegna d’Ischia n. 6/2016
Procida - Il Palazzo dal mare (da La regina delle galere di Franca Assante)
da Graziani, a Teruzzi, a Cassinelli, nonchè Julio Valerio Borghese. Il complesso Monumentale è costituito dal Palazzo D’Avalos, il cortile, la Caserma delle guardie, l’Edificio delle Celle singole, il Padiglione delle Guardie, l’Edificio dei veterani, la Medicheria, la Casa del Direttore, il tenimento agricolo detto la Spianata di circa 18.000 mq. “Un sistema unitario ed inscindibile dalla emergenza monumentale rappresentata dal Palazzo d’Avalos che, travalicando l’interesse artistico e storico particolarmente importante per i suoi caratteri peculiari, che ne sanciscono l’appartenenza alla storia dell’architettura rinascimentale, esso assume anche il valore di testimonianza della storia politica, militare e urbanistica dell’isola”. Il fatto che il Palazzo sia stato voluto dal colto Signore del Rinascimento, improntandolo a canoni di bellezza, e abitato da Carlo III di Borbone, re illuminato, fa contrasto con il luogo di pena che poi divenne:
oggi una semplice visita lo rivela come un posto unico, un luogo dell’anima, in cui si avverte una forte tensione emotiva. Infatti nell’ex carcere tutto è ancora lì, tra le celle e gli androni rinascimentali, consunto e fermato dal tempo: le vecchie divise, le scarpe sul pavimento polveroso e poi le brande arrugginite, le balle di cotone un tempo lavorate nell’opificio, e finanche il lettino per gli interventi ambulatoriali. Tutto giace uguale a se stesso, ma in fondo no, sotto la bellezza mai davvero decaduta di ampie volte e capitelli. Nel 1978 venne chiuso
il carcere vecchio (Palazzo d’Avalos) e nel 1988 definitivamente abbandonato anche il carcere nuovo.
Per maggiori informazioni e per una storia dettagliata si può leggere il testo di Franca Assante : La regina delle galere, storia e storie del Carcere di Procida, Giannini Editore, Napoli 2015.
Stroccafilando con mio nipote Daniele Se tu vieni qua ed io vado la non ci incontreremo mai! “qua” ripetuto più volte diventa giulivo come l’oca “la” ripetuto più volte resta sempre nota per l’accordo “là” col cappello è tutt’altra cosa e... ti ci manda... senza troppe storie “quà” con l’accento è grossolano errore perché sul “qui” e il “qua” l’accento non ci sta sul “qua e il “la” cos’altro dire… ma… il dubbio resta… è forse un qui pro quo per ricordarci sol di Quì Quò Quà paperopolense nipotame illustre?!
Agosro 2016
Pietro Paolo Zivelli Stroccafilando con Daniele Giuliano Della Casa Acquarello per Daniele
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ARTISTI d’ISCHIA di Luca Ielasi
Bolivar Mille fotografie non bastano a restituirci chi non è più. Tuttavia, quei ritratti di Bolivar, pittati voluttuosamente, senza respirare, per materializzare cromaticamente la folle passione di un attimo, sono finestre da cui qualcuno resterà per sempre affacciato sul mondo. (1999)
creano un’atmosfera tristissima e non terrena, simile a quella ottenuta appunto nella pittura metafisica di un De Chirico, ad esempio, che, con altri mezzi, analogamente non propriamente pittorici (ma ciò non vuol dire, talvolta, non poetici), ricercava un effetto poetico. (Pier Paolo Pasolini)
Iacono Attraverso un figurativismo sfigurato dall’oblio, i quadri di Iacono recuperano da vuoti abissali i resti immortali della nostra umanità. (1999)
De Angelis (…) davanti alle sue figure, che spesso non sono che una goccia lucente di biacca schiacciata miseramente con il pennello contro un fondo appena macchiato di grigio, parleremmo quasi di una povera metafisica. Si veda ad esempio un quadro rappresentante una festa paesana, che sparge la sua esigua folla intorno ad un gran carro addobbato di fiori; ebbene, qui il mezzo pittorico è dei più miseri, l’atmosfera nasce quasi dalla trascuranza del pittore, dalla confusa e povera scelta dei colori. E quei fiori, poi, mucchietti di pasta vivace appiccicati in rilievo sulla piattezza grigia e quasi acquerellata della tela, 32 La Rassegna d’Ischia n. 6/2016
Macrì Il Porto d’Ischia, a nord-est dell’isola, è stato per secoli un lago originatosi dal cratere di un vulcano e un luogo ideale di pesca e caccia alle folaghe. Nel 1854, i Borboni, eliminando una sottile diga naturale interposta, unirono il lago al mare e diedero vita al porto. La cerimonia di inaugurazione fu immortalata da Lord Mancini con un piccolo quadro raffigurante imbarcazioni di forgia e dimensioni diverse che entrano ed escono dal nuovo porto addobbato a festa. Fino agli anni ‘30 del secolo successivo, essendo Borgo di Celsa, l’attuale Ischia Ponte, il principale centro socio-economico e politico-culturale di Ischia, l’utilizzo del porto fu minimo, così come minimo fu il suo ‘appeal’ estetico, rispetto a quello, ad esempio, del Castello Aragonese. Un bel quadro del porto lo dipinse Giacinto Gigante; significative fotografie furono scattate da Sommer e Brogi alla fine dell’‘800. Hans Purrman e Luigi De Angelis furono due pittori, tedesco e molto noto il primo, ischitano e raffinato ‘naif’ il secondo, che ci hanno lasciato opere pittoriche di qualità pregevolissima e di notevole importanza storica, poiché antecedenti lo sconvolgimento dell’identità del luogo conseguente all’avvento del turismo di massa a cavallo tra gli anni ‘60 e ‘70. Vero e proprio perno ispirativo è ed è stato il porto per Antonio Macrì, pittore locale poco più che settantenne, testimone della drammatica trasformazione di quello che era un piccolo paradiso naturale in un convulso crocevia turistico-commerciale, spogliato, pressoché del tutto, del proprio sublime ‘colore locale’. Macrì inizia a dipingere ‘en plein air’. Sempre lì, sul posto, con tele, pennelli e colori, a catturare luci ed atmosfere, a osservare eleganti velieri o umili ma dignitosi pescherecci, a conoscere gli addetti allo scavo, gli operai di Don Ciccio intenti a lavar botti, i pescatori, gli spazzini, gli artigiani, i bottegai. Quella semplice ma autentica umanità, insomma, che sul porto e dal porto traeva di che vivere. Subirà, umanamente ed artisticamente, lo stravolgimento del suo ‘piccolo mondo antico’. Fuggirà alla ricerca di nuove fonti ispirative. Il Castello Aragonese, Forio, Sant’Angelo. Luoghi incantevoli, è vero, ma non radicati nel suo cuore come il Porto d’Ischia. Lo sentirà, lo capirà e tornerà nella foresta. In una foresta non più vergine, stuprata dalla pressoché generale ignoranza e cupidigia. Vi tornerà con la mente, ma non col
corpo. Tornerà a dipingere un porto che però non sarà quello che oramai è, ma la rappresentazione di una dolente parte di se stesso. Di un luogo surreale, vuoto, malinconico, che stentatamente lascia riconoscere il faro, Portosalvo, Casa D’Ambra, l’Acquario. Di un fantasma del passato che vaga intorno a questo sensibile e delicato maestro, ispirandolo e facendogli compagnia. (2006)
Mascolo Mi piace chiamare per nome Aniellantonio Mascolo perché è un grande interprete, che ognuno dovrebbe sentire fraternamente vicino. Una volta Michele (Michele Petroni, detto ‘Peperone’, noto pittore di Forio d’Ischia), entrando in casa mia, esclamò: ‘Malò… ch’ lè… ‘na gìesa?’ (‘Madonna… cos’è… una chiesa?’). Effettivamente, entrando in casa mia, si ha la stessa vaga sensazione di quando si entra in un luogo sacro. Tale sensazione scaturisce dalla vista di una piccola terracotta di Aniellantonio, raffigurante una popolana con un vaso sul capo. Adeguatamente illuminata, l’ho posta al centro di una parete che dall’ingresso appare incorniciata da due archi in successione. Non si sa di cosa sia colmo il vaso sul capo di quell’umile donna, sebbene contenga qualcosa di altrettanto essenziale quanto il fine che colei che lo porta si è preposto sia certo. È straordinario il significato filosofico che assume la simiglianza tra il soggetto e l’oggetto con cui interagisce. La donna nel portare il vaso assume un atteggiamento dignitoso dettato non tanto dall’orgoglio quanto dall’esigenza di non perder l’equilibrio. Non ha bisogno d’esser orgogliosa questa creatura, perché ha la serena consapevolezza di contribuire con la sua azione all’armonia dell’universo a cui appartiene. Ha La Rassegna d’Ischia n. 6/2016
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bisogno, tuttavia, di portare a buon termine la sua mansione, cerca di farlo nel migliore dei modi e così facendo si integra elegantemente al vaso. Aniellantonio riesce a cogliere l’essenza del sinergismo che scaturisce dalla totale identificazione del soggetto con l’oggetto e ad ottenere una magistrale interpretazione della realtà che tende all’assoluto. La sublime bellezza delle opere di Aniellantonio deriva dalla ieratica descrizione della semplicità alla base dell’ordine naturale delle cose e si contrappone con fierezza al sensazionalismo dell’apparenza; a quella dissennata e vana ricerca del ‘bello’ tanto in voga e unicamente volta a mistificare la vacuità dello spirito. (2009)
Petroni
Pagliacci È passata L’ombra della giovinezza, Fresca e sorridente, Ed è scomparsa Senza voltarsi indietro. Sulle grigie pareti della casa Piove: Ma non scolorisce La scritta spray Maria, ti amo (Aldo Pagliacci) 34 La Rassegna d’Ischia n. 6/2016
E ancora rivedo I panni stesi, I balconi… …E San Vito, Portato in spalla Per le strade in festa. …Rivedo i giochi, I pupazzi, I fantasmi, Le canne, Le vigne, I fichi d’India… …E quel suo villaggio, Adagiato lì, In grembo all’Epomeo. La scala su cui saliva, La sedia su cui sedeva, I muri a secco… …Ancora li rivedo… …Dimenticati, Discreti … …Indimenticabili! …E la gioia, La malinconia,
La voglia, la pazzia. I funerali… …Che tutto placavano nel cordoglio. Come sempre, Rivedo la luce accecante Delle torridi ‘notti bianche’ Smorzarsi nel desio… … E i riflessi di quando Cultura e Natura Si fusero nella modernità… …Come sempre, Rivedo Peperone E lo confondo con Forio. (2012) Luca Ielasi
Mario Mazzella (1923 - 2008) - Mercatino alla Chiesa del Soccorso : venditrici di pesci e conigli
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RASSEGNA STAMPA Il vulcano Ischia Giornata in ricordo di Paolo Gasparini, scienziato e maestro della comunicazione gli scienziati che hanno avuto ad Ischia una presenza importante1, col ricordo di due persone scomparse (Sebastiano Sciuti e Franco Mancusi). Si possono ancora leggere (è possibile scaricare gratu1 La sintesi degli scienziati è riportata in questo numero a pagina 5, grazie alla gentile autorizzazine concessa dalla direzione.
itamente la rivista dai siti: www. amracenter.com e www.doppiavoce.it) artcoli di Pietro Greco (Circolo Sadoul e direttore del Centro Studi di Città della Scienza): “Ischia è un patrimonio naturale e culturale dell’umanità. Ma non lo sa”; di Agostino Mazzella (fisico e docente del liceo statale d’Ischia): “Radioattività e salute”; di Ugo Leone (direttore della rivista), di Giuseppe Luongo: “Storia vulcanica e rischi geologici”, ecc.
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GEO - L'Italie de l'île en île Il numero 11/luglio 2016 di Ambiente Rischio Comunicazione, rivista quadrimestrale di analisi e monitoraggio Ambientale), ha per tema Il vulcano Ischia considerandone i rischi naturali ma anche alcune trascurate e discusse potenzialità. La giornata di presentazione della pubblicazione, svoltasi sabato 22 ottobre 2016 alla Biblioteca Antoniana d’Ischia, a cura del Centro Studi di Città della Scienza, del Circolo Georges Sadoul e dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, è stata anche l’occasione per ricordare la figura di Paolo Gasparini, non solo come scienziato – Paolo è stato uno dei più grandi geofisici italiani – ma come maestro di comunicazione della scienza, che dal 28 luglio scorso non è più tra noi; sulla rivista lui è presente con due articoli su Ischia come sorgente di energia geotermica e sul Sistema idrotermale e la sua radioattività; con una sintesi – insieme con Pietro Greco - de36 La Rassegna d’Ischia n. 6/2016
Ischia L’ «Isola Verde» a gardé le feu sacré Nul besoin de titiller longtemps Peppe Ferrandino pour qu’il se lance dans une déclaration d’amour à son île. Comme dans un opéra, sa tirade contient un déluge d’aveux exubérants, quelques mots sirupeux en dialecte napolitain et des silences bien sentis qui se terminent par des oeillades charmeuses. Les bras, eux, s’élèvent vers le ciel pour ce qui ressemble à une prière à sa terre natale... Ischia la volcanique, l’incandescente, est «la più bella del mondo!» jure ce cuistot quinquagénaire qui passe son temps à fredonner des grands airs du répertoire italien. Son île est un mirage où fument des eaux sulfureuses, dansent des fumerolles et tiédissent des boues olivâtres. Partout, une impression de fournaise, dont on ne sait plus si elle sourd du sol ou descend du soleil. Les plages de sable noir y ont le mauvais goût de brûler le pied du blanc-bec fraîchement débarqué de Naples, après quarante-cinq minutes d’une traversée pourtant enchanteresse. Son pedigree parle pour elle. Ischia est une enfant des champs Phlégréens, cette zone hautement
sismique et éruptive du littoral campanien. Les Grecs, qui colonisèrent l’île au VIIIe siècle avant notre ère, y voyaient l’antre de Typhon, une divinité baraquée dont l’humeur était tout sauf placide. «Ici, c’est une terre de feu», tranche Peppe Ferrandino. Une contrée aussi ardente que le grand four de l’Antico Girarrosto Ischitano, la pizzeria-rôtisserie qu’il tient avec ses proches. Les doigts épais de Peppe, ceux-là mêmes qui pétrissent les meilleures pizzas du port, font à présent défiler des photos sur une tablette numérique : on y voit des falaises de tuf fragiles
Ischia L ‘ “Isola Verde” ha conservato il fuoco sacro Non c’è bisogno di solleticare a lungo Peppe Ferrandino, che si lancia in una dichiarazione d’amore per la sua isola. Come in un’opera, la sua tirata contiene un diluvio di confessioni esuberanti, alcune parole sciroppose in dialetto napoletano e meritati silenzi che terminano in seducenti occhiate. Le braccia si levano verso il cielo per ciò che sembra una preghiera alla sua terra natale... Ischia, vulcanica, incandescente, è “la più bella del mondo!” giura questo cuoco cinquantenario che passa il suo tempo canticchiando arie del repertorio italiano. La sua isola è un miraggio in cui fumano acque sulfuree, danzano fumarole e s’intiepidano fanghi olivastri. Ovunque un senso di fornace, che non si sa più se venga dal suolo oppure dal sole. Le spiagge di sabbia nera hanno il cattivo gusto di bruciare il piede del pivello appena sbarcato da Napoli, dopo quarantacinque minuti di una traversata tuttavia incantevole. Il suo pedigree parla da sé. Ischia è figlia dei Campi Flegrei, questa zona altamente sismica ed eruttiva della costa campana. I greci, che colonizzarono l’isola nell’VIII secolo a. C. vi vedevano la grotta di Tifone, una enorme divinità il cui umore era tutt’altro che placido. “Qui è una terra di fuoco” sentenzia Peppe Ferrandino. Un paese ardente come il grande forno dell’Antico Girarrosto ischitano, la pizzeria-rosticceria che lui detiene con la sua famiglia. Le spesse dita di Peppe, quelle stesse che impastano le migliore pizze del porto, fanno ora scorrere alcune foto su un tablet: vi si vedono scogliere di tufo fragili come me-
comme des meringues et des grottes ouvertes sur l’eau turquoise. Ou encore une barque de pêcheurs qui glisse sur la bonace de l’aube, alors que rosit le vieux château aragonais, une forteresse médiévale où environ 2000 familles pouvaient se réfugier en cas d’attaque de pirates ou d’éruption. Plus loin, ce sont des cultures qui dévalent en escaliers, les hameaux perchés, des vignobles acrobates, des bosquets chevelus. Sur chaque image, l’Epoméo, volcan surgi de la Méditerranée il y a 35 000 ans, et dont la dernière coulée de lave remonte au XIVe siècle. Dominant l’île du haut de ses 789 mètres, il s’ébroue encore parfois, et tout le monde se souvient du séisme de juillet 1883, lorsqu’un bout du cratère s’écroula et que 4000 personnes périrent. Le gravir, en une heure de marche, est la garantie d’un étourdissant point de vue sur le golfe de Naples. A ce monstre de magma, Ischia doit tout: son relief escarpé; sa taille bien plus généreuse que
celle de sa voisine Procida, et même que de Capri, la star locale; sa couleur de cendre, un vert-de-gris inimitable à l’origine de son surnom d’isola verde, «île verte»... Mais surtout, sa fortune. Car des tréfonds jaillit en continu un trésor hydrothermal, qui fait vivre bon nombre des 60000 habitants. Pline l’Ancien, au Ier siècle, vantait déjà ses prodiges sur les rhumatismes. Aujourd’hui, cinq millions de visiteurs goûtent chaque année les bienfaits d’Ischia. Avec vingt-neuf établissements thermaux, soixanteneuf fumerolles et 103 sources, il y en a pour tous les goûts. Au sud de l’île, dans la calanque de Sorgeto, la mer Tyrrhénienne se fait piscine chauffée grâce à la combustion des profondeurs, ce qui permet de faire trempette en plein hiver. A quelques brasses de là, la plage des Maronti. Les flots bleus y lèchent un sable anthracite dont il faut se méfier si l’on ne possède pas des dons de fakir. Et tout près de ce rivage idyllique, les thermes de Cavascu-
ringhe e grotte aperte sull’acqua turchese. O ancora una barca da pesca che scivola sulla bonaccia dell’alba, mentre arrossa il vecchio Castello Aragonese, una fortezza medievale dove circa 2000 famiglie potevano rifugiarsi in caso di attacco piratesco o di eruzione. Più oltre, ci sono colture che scendono le scale, borghi collinari, vigneti acrobati, boschetti chiomati. Su ogni immagine, il Monte Epomeo, vulcano emerso dal Mediterraneo 35.000 anni fa, e la cui ultima colata di lava risale al XIV secolo. Dominando l’isola dall’alto dei suoi 789 metri, a volte ancora sbuffa, e tutti ricordano il terremoto del mese di luglio del 1883, quando un tratto del cratere crollò e morirono 4.000 persone. Scalarlo, in un’ora di cammino, è la garanzia di una vista spettacolare sul Golfo di Napoli. A questo mostro di magma Ischia deve tutto: il terreno acciden-
tato; la sua taglia, più generose di quella della vicina Procida, e anche di Capri, star locale; il suo colore di cenere, un verde grigio inimitabile all’origine della sua denominazione di “isola verde”. Ma soprattutto, la sua fortuna. Dalle profondità scaturisce continuamente un tesoro idrotermale che sostiene molti dei 60.000 abitanti. Plinio il Vecchio, nel I secolo, già vantava le sue meraviglie nei reumatismi. Oggi, cinque milioni di visitatori ogni anno provano i benefici d’Ischia. Con ventinove centri termali, sessantanove fumarole e 103 sorgenti, ce n’è per tutti. A Sud dell’isola, nel calanco di Sorgeto, il Mar Tirreno si fa piscina riscaldata grazie alla combustione delle profondità, il che consente di fare un rapido bagno in pieno inverno. A poca distanza, la spiaggia dei Maronti. Le onde blu vi lambiscono una sabbia antracite di cui bisogna diffidare se La Rassegna d’Ischia n. 6/2016
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ra proposent une expérience pour le moins rustique, qui consiste à prendre les eaux «comme au temps des Romains». Le propriétaire, Nicola Iacono, l’assure: «Les installations ont été réalisées à l’époque de l’empereur Hadrien, et rien n’a changé depuis l’Antiquité.» De fait, en guise de sauna, il y a une grotte sans lumière, ce que l’on nomme douche est une cascade, et les bains de boue régénérateurs se prennent dans l’âpreté de baignoires taillées dans la roche. Chaque année, 10000 curistes s’égaient dans cet improbable péplum thérapeutique. Les brochures recommandent aussi de faire escale au parc Negombo, qui occupe la crique de San Montano, à l’autre bout de l’île. Quinze piscines (de 15 à 40° C), pléthore de jets et de bouillons réparateurs... Le néophyte déambule ici un peu ahuri, en claquettes, le corps dégoulinant comme un baba au rhum, se de-
«Le thermalisme est une bénédiction pour beaucoup, et ni la pêche ni l’agriculture ne sont capables d’offrir une telle manne», insiste Raffaele Mirelli. Ce jeune homme est docteur en philosophie. Après des études en Allemagne et en France, il est revenu vivre dans son île natale. «Pour la défendre, dit-il. Sans quoi elle finira par ressembler à n’importe quelle station balnéaire italienne». Raffaele a lancé un audacieux congrès annuel de philosophie qui, chaque année à la fin de l’été, aimante l’élite des penseurs européens, pendant que les derniers curistes se prélassent. «Nous détenons une identité particulière, un génie pour digérer les cultures de ceux qui sont passés par chez nous: Grecs, Romains, Arabes, Normands, Aragonais... et nous
avons toujours su garder le meilleur», remarque-t-il. Pour s’en convaincre, il suffit de flâner dans la vieille ville d’Ischia Ponte. Les maisons blanches et roses ont déjà quelque chose de l’Orient. Les ruelles pavées de lave sont la scène d’un théâtre chaotique où la vie se joue entre éclats de rire, chamailleries d’enfants et passeggiate (promenades) bavardes. Les églises tapissées d’ex-voto abritent des Vierges au regard de braise. Dans la fumée des encens, on y marmonne des cantiques qui rappellent à quel point l’autochtone garde la foi. Et les restaurants — à condition d’éviter ceux qui proposent des menus trilingues — sont le refuge d’une authentique cuisine îlienne. «Une gastronomie tournée vers la terre, et non vers la mer, avec comme spécialité... le lapin-chasseur !» précise Raffaele le philosophe. Les gourmets se retrouvent notamment près de Sant’Angelo, dans une paillote nommée Ristorante Emanuela. La
non si hanno virtù di fachiro. E vicino a questa spiaggia idilliaca, le Terme di Cavascura offrono un’esperienza quanto meno rustica, che è quella di prendere le acque “come in epoca romana”. Il proprietario, Nicola Iacono, assicura: “Gli impianti sono stati realizzati al tempo dell’imperatore Adriano, e nulla è cambiato dall’antichità”. In effetti, a guisa di sauna, vi è una grotta senza luce, quello che viene chiamato doccia è una cascata e i rigeneratori bagni di fango sono presi nella asprezza di vasche scavate nella roccia. Ogni anno, 10.000 ospiti delle terme si sollazzano in questo improbabile peplo terapeutico. Le brochure raccomandano anche di fare tappa al parco Negombo, che occupa la baia di San Montano, sull’altro lato dell’isola. Quindici piscine (da 15 a 40° C), pletora di getti e bollori riparatori... Il neofita cammina qui un po’ sconcertato, in claquettes, il cor-
po gocciolante come un babà al rum, chiedendosi senza dubbio se Ischia non fosse più ammaliante quando non si vantavano a tal punto le sue virtù... “Il termalismo è una benedizione per molti, e né la pesca, né l’agricoltura sono in grado di offrire una tale manna” insiste Raffaele Mirelli. Questo giovane è dottore in filosofia. Dopo gli studi in Germania e in Francia, è tornato a vivere nella sua isola natale. “Per difenderla, dice. In caso contrario, finirà per assomigliare a qualsiasi località balneare italiana”. Raffaele ha lanciato un audace convegno annuale di filosofia che, ogni anno, a fine estate, accoglie l’élite dei pensatori europei, mentre gli ultimi clienti delle terme si rilassano. “Abbiamo un’identità speciale, un genio per digerire le culture di coloro che sono stati qui: Greci, Romani, Arabi, Normanni, Aragonesi... e abbiamo sempre saputo mantenere il meglio”, osserva.
Per convincersene, basta gironzolare per il centro storico di Ischia Ponte. Le case bianche e rosa hanno già qualcosa dell’Oriente. Le viuzze pavimentate di ciottoli di lava sono la scena di un teatro caotico in cui si vive tra le risate, litigi di bambini e passeggiate loquaci. Le chiese sono piene di ex voto. Nel fumo degli incensi, si mormorano canti che fanno pensare a che punto l’autoctono conserva la fede. E i ristoranti - da evitare quelli che offrono menu trilingue - presentano una autentica cucina isolana. “Una gastronomia volta alla terra, non al mare, con una specialità... il coniglio alla cacciatora!” precisa Raffaele il filosofo. I buongustai si ritrovano soprattutto a Sant’Angelo, in una capanna chiamata Ristorante Emanuela. Qui si tende a conservare una ricetta antica: la cucina alla fumarola. Sulla spiaggia adiacente al suo forno, lo chef Filippo Iacono ha fatto un buco
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mandant sans doute si Ischia n’était pas plus ensorcelante du temps où l’on ne sollicitait à ce point ses vertus...
dernière adresse à perpétuer une recette séculaire: la cuisson à la fumerolle. Sur la plage attenante à ses fourneaux, le chef Filipo Iacono s’est adjugé un trou dans le sable, qui s’avère être une fournaise (jusqu’à 350° C). Là, il enfouit un plat de métal contenant une viande, des tomates, quelques patates et des herbes aromatiques. «Il faut une heure de cuisson», prévient le cuistot. Après ce festin au fumet incom-
parable, il n’y a plus qu’à filer vers l’ouest, en direction de Forio, pour une balade digestive au jardin de La Mortella. Un éden exotique que vénère Michelangelo Messina, fondateur du festival de cinéma d’Ischia et lui aussi ardent défenseur de la culture locale. «Notre bout de terre ne se donne pas à celui qui reste au bord d’un Jacuzzi. Ses beautés sont souvent cachées derrière les murs des élégantes propriétés». Selon
lui, ce n’est pas un hasard si plus de quarante films furent tournés sur l’île, si Visconti en fit son refuge, et si des stars, comme Burt Lancaster ou Alain Delon, vinrent y flâner loin des paparazzis... «Capri, c’est fini, dit la chanson française, rappelle Michelangelo. Mais Ischia la volcanique elle, renaît toujours de ses cendres». Elle a gardé le feu sacré.
nella sabbia, che vuole essere una fornace (fino a 350° C). Lì, ha interrtato un piatto di metallo contenente carne, pomodori, patate e alcune erbe. “Ci vuole un’ora di cottura”, avverte il cuoco. Dopo questa festa dall’aroma ineguagliabile, non vi è più altro da fare che andare verso ovest in direzione di Forio, per una passeggiata digestiva al giardino di La Mortella. Un paradiso esotico
che predilige Michelangelo Messina, fondatore del Festival del cinema di Ischia e lui stesso accanito difensore della cultura locale. “Il nostro pezzo di terra non è concesso a colui che rimane al bordo di una vasca idromassaggio. Le sue bellezze sono spesso nascoste dietro i muri di eleganti proprietà”. Secondo lui, non è un caso che più di quaranta film sono stati girati sull’isola, se Vi-
sconti ne fece il suo rifugio, e se star del calibro di Burt Lancaster e Alain Delon vi venero per stare lontano dai paparazzi .. “Capri è finita, dice la canzone francese, ricorda Michelangelo. Ma Ischia vulcanica rinasce sempre dalle sue ceneri”. Ha conservato il fuoco sacro.
Sébastien Desurmont
Sébastien Desurmont
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Colligite fragmenta, ne pereant
Fonti archivistiche per la storia dell’isola d’Ischia A cura di Agostino Di Lustro
Il monastero di S. Maria della Consolazione I Premessa La nostra rivista già nel 2014 si è interessata, ad opera del Prof. Raffaele Castagna, del monastero delle Clarisse del Castello, trattando soprattutto le origini, lo sviluppo, le monache che vi hanno soggiornato, il seppellimento di esse ed altri aspetti di estremo interesse di questa istituzione. L’argomento però è stato trattato anche da altri in diverse occasioni e ognuno ne ha messo in evidenza gli aspetti che più li interessavano. L’intervento del Castagna, dal titolo: Il monastero delle Clarisse o Cappuccinelle sul castello d’Ischia, è stato pubblicato nei numeri 4 e 5 de La Rassegna d’Ischia anno XXXV agosto-settembre e ottobre-novembre 2014. Questo mio intervento ora potrebbe apparire superfluo e dare l’impressione che voglia dimostrare di sapere più di altri studiosi che, prima di me, si sono interessati dello stesso argomento. Nulla di tutto questo, ma vorrei solo presentare una serie di documenti che riguardano il monastero che, diversamente, potrebbero rimanere sconosciuti. Non sono Giovanni Pico della Mirandola così da pretendere di conoscere tutta la documentazione esistente su questo argomento esistente nei vari archivi; bensì posso dare solo delle indicazioni su quello che io ho potuto leggere nei documenti degli archivi da me frequentati negli anni della giovinezza. Altri possono far tesoro di queste indicazioni documentarie e approfondire l’argomento, io non posso fare altro che limitarmi a presentare qualche documento ancora inedito trascritto nel corso delle mie ricerche d’archivio ed eventualmente segnalare qualche aspetto poco noto di questo singolare ente religioso presente sulla nostra Isola nei secoli che ci hanno preceduto. Per questo non me ne voglia il prof. Castagna e quanti ancora si sono interessati a questo argomento se, a chiusura del lungo cammino che abbiamo fatto insieme per conoscere i luoghi sacri presenti sul nostro territorio al tempo della prima relazione ad limina del vescovo Innico d’Avalos, o come la conosciamo meglio, la Platea d’Avalos del 15981, a conclusione del nostro girovagare nei vicoletti della città d’Ischia nei quali, come abbiamo visto, chiese e cappelle veramente non erano poche, e poiché i documenti che intendo 1 La «Platea d'Avalos» è pubblicata per intero da P. Lopez, Ischia e Pozzuoli due diocesi nell'età della controriforma, Napoli Gallina Editore 1991.
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far conoscere ai futuri studiosi dell’argomento sono numerosi, dividerò questa ricerca in più parti così da presentarla in più di un numero della nostra rivista. Chi avrà voglia di conoscere questi documenti, lo faccia con interesse ed entusiasmo. Chi non è interessato, può pure passare a leggere altri contributi presenti sui prossimi numeri della rivista; da parte mia non ci sarà alcuna recriminazione. D’altra parte anche Manzoni quando nel capitolo XXII del suo romanzo introduce la storia del card. Federico Borromeo, a chi non avesse voglia di «sentire le quattro parole» che avrebbe detto su un personaggio così famoso, dice francamente: «chi non si curasse di sentirle, e avesse però voglia di andare avanti nella storia, salti addirittura al capitolo seguente». Per conto mio mi accontento che anche solo una piccola parte dei miei soliti «venticinque lettori» abbia voglia di leggermi sino alla fine della puntata. Anche così verrebbe pienamente appagato il mio desiderio di far conoscere l’esistenza di certi documenti. Che poi i «grandi scrittori e storici» della nostra Isola, che si cimentano a scrivere su argomenti particolari sui quali anche noi abbiamo fatto ricerche d’archivio per decenni e, a volte, realizzato anche pubblicazioni di centinaia di pagine, non hanno neppure l’onestà intellettuale di citare le fonti dalle quali anch’essi attingono, la cosa non ci interessa per nulla perché la presunzione rimane sempre figlia dell’ignoranza.
*** Sulla fondazione del monastero, vorrei solo riferire il documento con il quale l’autorità civile viceregnale di Napoli approva la bolla di papa Gregorio XIII sulla fondazione del monastero che si trova nell’Archivio di Napoli. Archivio di Stato di Napoli Cappellano Maggiore Exequatur Fascio 2 f. 127 r. Illustrissimo et Eccellentissimo Signore Donna beatrice dela quadra li homini, et officiali dela fedelissima Citta de Ischa fanno intendere a Vostra Signoria qualmente hanno ottenuto gratia dalla Santità de papa Gregorio XIII dell’erectione del monisterio novamente fatto in detta Citta del unione, et aggregatione del intrate dela cappella di
Santo Luca construtta allo borgo de ditta Citta de la quale ne sono patroni. Il primicerio arcidiacono et arciprete et con loro consenso, et de più l’intrate della confrateria de Santa Maria della Pietà, et doj jus patronati semplici quali sono de detta Citta, del che ne have spedita bulla in favor di detto monisterio pigliar il possesso delle intrate pertanto supplicamo Vostra Signoria restj servita concederli lo regio exequatur in forma che lo riceveranno a gratia. Reverendus regius cappellanus monitis monendis informet et referet. Per lllustrissimum et Excellentissimum proregem Neapoli die 26 aprilis 1577 Joannes Vincentius de Juliis Illustrissimo et Eccellentissimo Signore Per parte dela retroscritta donna Beatrice, et hominj de la Citta de Iscla supplicanti me e stato presentato lo retro scritto memoriale con regia decretatione de Vostra Eccellenza ut viderem, et referrem, et volendo li mandatj di quella obedir esequir et al esposto informando ho visto una bulla sub plumbo spedita dela Santità de papa f. 127 v. Gregorio XIII in virtù de la quale concede a essi supplicanti che possano esiger monitorio de dame monache che novamente fatto in detta Citta con consenso deli Reverendi primicerio arcidiacono et arciprete padroni di quella, et anco le intrate de la confrateria de Santa Maria de la Pietà. Et di certi juspatronati simplici di detta Citta, et con altre clausole quale detta bulla spedita appare et vero possessorio quella far eseguire….. parte se dimanda il regio exequatur et questo visto et considerato tutto adhibito invio parer il parer del magnifico Judice Francesco Antonio dedarie... de la regia Camera ordinandi dare generali pareri ali! detti supplicanti doversi concedere il detto regio exequatur per l’esecutione di essa bulla ut supra spedita, et cossi refero in Napoli ex domo primo Xmbris 1580 Fabius Pulverinus Episcopus Isclanus regens offerens regii cappellani maioris Franciscus Antonius de darium Joannes venetia. La «Platea d’Avalos» del 1598 dedica al monastero di Santa Maria della Consolazione solo qualche rigo e scrive: «Il Monastero delle Donne Moniche della Città rende con li pesi ducati 340» e tace persino sull’ordine monastico di appartenenza. Certo, con le sue rendite annuali, in questo momento è il secondo istituto religioso della diocesi per ricchezza dopo il convento agostiniano di S. Maria della Scala. Da dove provengano queste rendite il vescovo non lo
dice e per poterne sapere di più dobbiamo riferirci al breve apostolico di fondazione di papa Gregorio XII del 10 febbraio 1576 e ai capitoli e costituzioni del 19 settembre 15752. In questi documenti vien detto che le rendite del monastero risultano così costituite: ducati cinquanta per «terze decorse» e rendite annuali su di un fondo nominato «Matarace3» che fu di Pietro Giovanni di Barano, del valore di ducati 200 e con rendita annua di ducati venti. La massaria di Giovanni Vincenzo e altri di casa Cossa ubicate a Casamicciola, dove si dice «lo Rostinale4», del valore di ducati 200 e rendita annua di ducati venti. Altra massaria nominata «Cucoruopo5» del magnifico Cola Vincenzo Menga per ducati venti annui; altri ducati venti sopra i beni del magnifico Pietro Antonio Melluso. La Signora fondatrice, inoltre, stabilisce che dopo la sua morte vengano consegnati al monastero altri 50 ducati alla ragione dell’otto e nove per cento come ha stabilito per notar Filippo Casdia e devono servire per sussidio e vitto delle monache. Gli eletti e deputati della città si impegnano a dare altri ducati sessanta sopra ducati 1.000, a cominciare dal giorno in cui entrerà in vigore la clausura, donazione che dovrà essere discussa dal Parlamento di tutti i cittadini. Inoltre il sindico, eletti e deputati concedono al monastero le ragioni sui beni dell’ospedale di San Luca di Celsa e quelle della confraternita di Santa Maria della Pietà, che si trova nella chiesa del convento agostiniano di Santa Maria della Scala con tutti i relativi pesi e obblighi. Altri trenta ducati provengono dalla chiesa della Trinità e ducati diciotto con altri ducati dodici dalla chiesa dell’Annunziata con altre rendite della chiesa di Santa Maria delli Turri. La signora della Quadra, nella sua qualità di fondatrice del monastero, dona «Il luogo suo sito dove s’ha da fare il predetto monastero eh’è una casa grande dentro detta città consistente in più membri superiori e di inferiori giusta li beni del nobile Pie2 Questi documenti della fondazione del Monastero si trovano in copia nel «Diario delle Clarisse», f. 1 e ss. conservato nella Biblioteca Antoniana d'lschia. 3 «Matarace», come si sa, è una località sopra Piedimonte consistente in un gruppo di case che si arrampicano su per la collina, e costituisce un piccolo villaggio. La prima volta che nei documenti di mia conoscenza compare questo toponimo è un atto del notar Guglielmo Sardano del 1418, transuntato nella «Platea corrente» (d'ora in poi: P.C.) del convento agostiniano di Santa Maria della Scala, conservato nell'Archivio Diocesano, f. 139 e in un altro atto del notar P. Albano del 7 dicembre 1530. Su Matarace, cfr. pure la poetica descrizione che ne fa Giovan Giuseppe Cervera in: Questa è Ischia, Napoli 1955, pp. 50-51. 4 Questa è la prima volta che ci imbattiamo in questo toponimo ( anno 1595, Diario delle Clarisse cit. f, 29. 5 Non ricordo di aver trovato in altro documento questo toponimo.
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tro Garofalo, giusta li beni della Menza Vescovale, la via publica et altri confini e promette di più detta Signora a sue proprie spese accomodare, fabricare, e ridurre detto luogo in clausura, monastero e chiesa accomodare atta a cantare e farci il culto6». La fondatrice diede anche delle norme precise circa l’accettazione delle nuove monacande e sul modo di gestire il monastero. Innanzi tutto stabilì che «occorrendo alla giornata per utile di detto monistero li sia lecito uscire et entrare ad elettione di detta Signora quando li piacerà con li piacere delle sette sue moniche, per la manutentione». Inoltre. «vuole che morendo alcuna delle dette sette monache sue figliole quale entreranno con sua Signoria sia lecito in vita sua aggregare secondo meglio li piacerà, et a sua morte sia ad elettione del Reverendissimo Vescovo che prò tempore si ritroverà, e delli mastri che si ritrovaranno al governo di detto Monistero e beneplacito delle Reverende Monache.... Imbosolare diece figliole povere e ben nate, cinque della Città, e cinque dell’Isola, e quelle che per sorte uscirà s’intende subrogata in luogo di quella che manca delle sette». Nel caso che venisse a mancare una delle sette monache e volessero entrare in monastero due nipoti di D. Pompilio Fiorentino, canonico della cattedrale, queste sarebbero surrogate senza procedere ad alcun sorteggio. Lo stesso caso avverrà per le nipoti di D. Mario di Meglio. Fino alla morte di D. Beatrice non si può eleggere alcuna badessa perchè questa carica sarà sua esclusiva pertinenza fino alla sua morte. Solo allora si procederà alla elezione della badessa il cui mandato durerà solo tre anni e dovrà essere scelta, con votazione segreta, «la più attiva delle Monache». Tale elezione dovrà essere confermata dal vescovo. Inoltre stabilisce che la dote di ogni monaca, sia essa di città o dell’isola d’Ischia, non può ascendere a meno di centoventi ducati ciascuna in contanti e «quelle che non haveranno contanti, debbiano assegnare l’entrate di essi a pagarli del dieci per cento e quelle che saranno a detto Monistero li contanti, et siano sempre tenuti al Monistero all’evittione, e quale s’intenderà tanto per le cittadine, come per quelle della Isola predetta le quali doveranno la medesima dote come le cittadine, ponno entrare in detto monistero e godere senza differenza come le cittadine». La fondatrice vuole che il numero delle monache debba essere di trentatre persone, senza le converse, e che durante la sua vita può ammetterne quante ne vuole. Dopo la sua morte, tale facoltà è riservata al vescovo, ai quattro mastri o economi del monistero e alle « nove che di esso parerà», però non superino il numero di quaranta senza le converse, delle quali due parti debbano essere « cittadine et Insulane » e una parte forestiere. Nel caso in 6 Cfr. Le Capitolazioni citate in Diario delle Clarisse cit. f. 1.
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cui la percentuale delle monache forestiere venisse a mancare, potranno essere sostituite da monache cittadine o insulane. Le donne forestiere che vorranno entrare nel monistero, devono portare una dote non inferiore a duecentocinquanta ducati. In caso di povertà e se fossero ricche la dote dovrà essere superiore a tale cifra ad arbitrio della donatrice e, dopo la sua morte, ad arbitrio del vescovo e dei quattro mastri. Nel monastero poi non può «esser posta donna di qualsivoglia conditione in loco di deposito, né di priggione. I mastri del monastero che lo consentissero, sarebbero sottoposti ad una multa di cinquecento ducati da pagarsi al regio fisco». I quattro mastri cittadini deputati al governo economico del monastero saranno indicati dalla fondatrice e poi confermati dal vescovo fino alla morte di D. Beatrice. Da quel momento tale elezione dovrà svolgersi davanti a Gesù Sacramentato solennemente esposto e in presenza del vescovo e dei «magnifici cittadini» dopo aver invocato l’aiuto di Dio e dello Spirito Santo, senza «nessuna passione». Saranno sorteggiati «diece cittadini da bene, timorosi di Dio e atti a detto Governo, i primi quattro eletti formeranno il governo del monistero». Questi, al momento di prendere possesso del loro incarico, dovranno versare sessanta ducati al monastero con «promissione di evittione generale». Questi, in breve, i punti salienti dei capitoli voluti dalla Signora Beatrice della Quadra che furono sanciti con atto del notar Filippo Casdia7 il 10 settembre 1575, a Casa Lauro, nella casa che fu di Marzio d’Avalos, in presenza del magnifico Antonio Scotti e Giovanni Antonio Pesce sindico ed eletti e d’altri testimoni quale Magnifico Colella Canetta, Giovan Girolamo Menga, Prospero Melluso, Nicola Giovanni Baldaja e Carlo Melluso deputati. L’originale di questo documento è andato perduto, ma possediamo una copia trascritta dal notar Giovanni Aniello Mancusi alcuni anni dopo8. Abbiamo già visto che Donna Beatrice della Quadra al momento della fondazione del monastero si impegnò a ristrutturare i locali che dovevano essere adibiti a monastero per renderli idonei alla clausura. Quando tali lavori siano terminati non risulta dai documenti in mio possesso, ma sta di fatto che intorno al 1596 i locali del monastero avevano bisogno almeno di una riattazione generale. Negli stessi anni risultò necessario, e anche di una certa urgenza, effettuare importanti lavori alle mura del castello per cui la Regia Camera fece incetta della calce necessa7 Dalle notizie in mio possesso, questo notaio avrebbe rogato tra il 17 giugno 1561 (P. C. f. 571) e il 16 giugno 1588 (Corporazioni Religiose Soppresse dell'Archivio di Stato di Napoli 113 - d'ora in poi CRS.). La scheda notarile, naturalmente, non esiste più. 8 Di questo notaio abbiamo notizie tra il 9 novembre 1568 (CRS., fascio 82 f. 49) e il 2 settembre 1607 (ibidem f. 88). Manca la scheda notarile.
ria per portare a termine questi lavori. Questo fatto però fu all’origine di un episodio piuttosto spiacevole che provocò chiacchiere e malumore tra la gente nella città e nel borgo di Celsa. Infatti un certo quantitativo di calce scomparve perché sia le monache che il vescovo Innico d’Avalos , che evidentemente anche lui aveva bisogno di effettuare lavori di restauro non sappiamo se nella cattedrale o nel palazzo episcopale. Gli antefatti ci vengono ampiamente documentati da queste due lettere.
Archivio di Stato di Napoli : Processi della Sommaria vol 280 Informatione presa d’ordine dela Regia Camera per Mario Salerno—Lo furto dela calce consignata per lo partitario dela fabrica de la muraglia de Iscla. f. 1 r. Illustrissimo et Molto Eccellente locogotenente et presidente della Regia Camera della Summaria Per aviso del officiale di questo officio che reside in Iscla appare che mastro fabbio mirabiello partitario della calce per muraglòiala del castello, et fortezza di quella Città consigno con intervento del soprastante salariato dalla regia corte, pesi millequattrocento et diece di calce, il prezo della quale già è stato pagato per la regia forteza per mano de Rafaele Raguante pagatore della Curia Generale et che il vescovo di ditta Città, et il Monisterio di Monache d’essa sell’hanno presa senza licencia ne saputa delli officiali, Il che Ultra essere atto che non con venga, et di poco rispetto alle cose di sua Maestà è anco di molto interesse, et danno, porche la calce predetta mentre sta per montonesi va spognando et agumenta molto, et la fabrica viene molto più perfetta, et con meno calce che quando la calce e verde, ultra che essendo adesso inverno non se ne può cossi facilmente havere, a causa che le calcare non coceno per lo maltempo; ha parso a questo Regio officio darne aviso alle Signorie vostre accio sopra di questo particulare donino quell’ordine li parirà conveniente Dalla scrivente di Racione li 13 de Genaro 1596 Delle Signorie Vostre (firme illegibili) f.2 r. Instruttioni che si danno ad voi Mario Salerno officiale di questa Regia Camera per quello haveretj da exequire nella Città d’Iscla per servitio della Regia Corte senza obligho d’eseguire a nesciuno. A notizia di questa Regia Camera è pervenuto che havendo mastro fabio mirabello partitario della calce per servitio della fabrica del Castelo di detta Città de Iscla consignato, con intervento del soprastante di detta fabrica pesi millequattrocento et diece di calce in detto loco con havere la Regia Corte fatto il prezo di quella, da alcuni partitari è stata detta calce
presa senza licenza, et senza saputa dell’officiali convertendola in llor proprio uso in grave danno della Regia Corte, et desiderandomo haver del tutto particolare certeza ne ha parso commettere a voj questo negotio et per questo vi confereti personalmente in detta Città con quelli famegli che a voj parerà esere nessarij, dove gionto prendereti diligente informatione in scriptis per chi è sta presa detta calce, con che quantità è stata, et con che ordine, et per chi è stata condotta, et dove con lo se più che a voi parerà et perando per quello che trovaretj assicurarvj de alcuna persona lo farreti, et del tutto darreti raguaglio a questa Regia Camera alla quale anco portareti detta informatione Dato Neapoli ex Regia Camera Summarie die 16 februarij 1596 Didacus Del ( illegibile ) Instrutioni che si danno a Mario Salerno per quello che ha da exequire in Iscla9. Queste lettere informative provocarono una indagine su questa vicenda affidata a Mariano Salerno, commissario deputato dalla Regia Camera. Questi si recò a Ischia e iniziò la sua indagine il 30 aprile 1596. Non ho alcuna intenzione trascrivere tutta la relazione del Salerno, certamente interessante sotto diversi aspetti, ma penso di spulciare da essa qua e là alcune notizie che diversamente non riusciremmo a conoscere e che costituiscono un interessante spaccato della vita di Ischia alla fine del secolo XVI. Il primo personaggio che viene interrogato è il notar Giovanni Aniello Macusi. Egli dice di avere 49 anni10 ed è luogotenente del provveditore ai castelli e «si tiene curo della fabrica che si fa nella muraglia di questa città». Il partitario di questa fabbrica è mastro Fabio Mirabella; la calce che è stata consegnata per la fabbrica delle muraglie, il partitario la fa «equa in Iscla in loco detto li bagni, et in un altro loco nominato la Siena, il quale è obligato consegnare detta calce a spese sue nell loco dove si fanno le fabriche delle muraglie». La Regia Corte la paga al partitario tornesi 1911 il peso12 «et ovante che la fa condurre in detti lochj si misura la calce predetta in le calcare con intervento di esso depositante Nicola Romano che tiene il sortito a ragione
9 ASN. Processi della Sommaria fascio 1537 n. 280. 10 Quindi è nato nel 1547 per cui a 21 anni già esercitava il notariato. 11 Dovrebbero equivalere grana 9,5. C'è da ricordare che un grano era la decima parte del ducato (F. De Rossi- O. Sartorius, Santa Maria Regina Coeli. Il monastero e la chiesa nella storia e nell'arte, Napoli 1987 p. 191). 12 Il «peso» per la misurazione della calce corrispondeva a Kg. 35,639988. Cfr. A. Di Lustro, Il restauro settecentesco della Basilica di Santa Maria di Loreto di Forio, Forio 1995 pp. XLVII-LII.
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di carlini13 a canna cuba14, ponendo esso pietre e pozolana et manifattura, et la Regia Corte li dà la calce nel loco dove si fabbrica». Tutte le spese e le notizie sui lavori sono narrate in un libro «qui incipit, conti della fabrica, della città d’Iscla incomingiota d’oprile 1593, et finita in ultima pagina tergo una catena di muro alla sagliuta del bel guardo». Il teste viene esortato «che dica la verità che altro si è servito di detta calce, che l’ho pigliata, et rubbata olla Regia Camera dice che bavera da circa quattro mesi che Monsignore d’Iscla con licenza, et saputo del detto Fabrizio d’afflitto per quanto ha inteso do detto Monsignore si mandò a pigliare da circa cento pesi15 di calce dicendo che la volevo ritornare in la prima calcara che facevo fare et esso deponente ha vista caricare et condurre detta coke con le ciucciarelle dal loco detto l’orto donico dove bave da fare lo casa per conservare la polvere in la casa del detto Monsignore, et viste de più fabricare detta calce, in detta casa di Monsignore e la fabrica che si facea in quella consisteva in certe ostriche gaifetti che erano necessari in detta cosa ha visto di più che il monastero di donne monache d’Iscla si ha pigliato circa centotrentacinque16 oltrj pesi di detta calce per situare uno astrico del detto monastero che stava scoverto, e non ci possevano habitore le monache, et queste haverà da circa tre mesi, et essendo domandato con che ordine et saputo detto monostero si ha pigliato la detta calce della Regia Corte disse che quello di che il monastero predetto si mandò a carricare detta calce esso deposante si ritrova nella sua mossoria fora della città, et quando ritornò haveva inteso che era carnata, et presa detta calce esso deposante andò dal detto monastero perchè era uno dell’i mastri di esso monastero et domandò allo matre Abbatessa per ordine di chi era stata presa detta calce, et quello li replicò che havendo mancato la calce nel temperante del rapillo per gettare la detta streche se l’havera mandato o pigliare per ritornarlo alla Regio Corte, al partitario nella prima calcara che si faceva dicendoli di più la madre Abbotessa che l’havea fatto intendere a Monsignore et olii eletti d’Iscla, et domandato che ha tenuto conto parlare della quantità di calce che è stato presa per detto Monsignore et per lo predetto monisterio, dice che per quello che ha inteso lo mastro Marco de Meglio che hafobricato olla cosa di Monsignore et nel detto esso mastro ha fatto notamento della calce ut supra presa, et volto fabrica 13 Ricordiamo che il ducato equivaleva dieci grana, per cui abbiamo l'equivalente di circa un ducato. 14 La «canna cuba» per le fabbriche equivaleva 128 palmi cubi, cioè me. 2,34638346. 15 Dovrebbe corrispondere a KG. 3.563,98880 di calce, quindi circa tre quintali e mezzo. 16 Cfr. Le Capitolazioni citate in Diario delle Clarisse cit. f. 1.
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fatto tanto in detto monasterio come nella casa di Monsignore si può vedere, et estimare la quantità di calce consumata nel mese di gennaro e febraro a passato secondo ricorda haverlo la fortuna del mare avendo fracassato un petaceno del ponte da dove s’entra nella città et non posendoci passare per detta rottura il governatore Oratio Tuttavilla pigliò espediente di fare accomodare detto ponte, et fé rendere da circa vinti pesi della calce della Regia Corte consignato per detto partitario nel bello guardo della prima porta d ella città e con la detta accomodare detto ponte et per la accomodazione spetta alla detta città detto Orazio fé ordine l’havea ordinato, et de più era cosa necessaria che non si fu possuto ne intese né uscire dalla detta Ciittà. Intesi tanto la calce presa per detto Monsignore come per lo monastero, et per l’accomodati che di detto ponte è stata restituita nel loco da lorfo preso che non è stato restituito niente perché non si è fata nisciuna calcara. Item interrogati che sono li mastri fabricatore che fabricano in detta fabrica della Regia Corte dicono che sono mastro fabio di meglio mastro Giovan Angelo di Meglio, Giovani Antonio di Meglio Giovanni Vincenzo Balistriero, Giovanni dpmenico dela Monica felipo pennetto, fonso Cesaro quali al presente fabricano, et il detto Giovanni Vincenzo balistriero al presente non è in Iscla per che va fogendo per uno homicidio commesso; et ovante di questi mastri ce ne hanno lavorato altri che stanno notati nel quinterno d’esso deposante in causa sciente loco, et tempore». In questa inchiesta vengono interrogati su questi fatti anche altre persone che lavoravano per la Regia Corte i quali, in sostanza, confermano quanto già detto da mastro Fabio Mirabella. Gli altri interpellati sono i seguenti: Giovan Dominico della monica della città di Cava, chiamato a lavorare nella fabbrica della muraglia della città dal partitario Nicola Romano: ha 45 ani; da circa tre lavora alla muraglia. «Il partito di detta fabbrica il predetto Nicola lo tiene de nove carlini meno un grano la canna ponendoci le pietre pisolano e fattura, et la Regia Camera dà la calce; Il «magisterfabius de meglio de Casali Marani Civitatis Iscle» di anni 27 vi lavora da circa due anni; Giovan Angelo «de meglio è anch’egli Casalis Marano pertinentiarum civitatis Iscle» ed ha circa 30 anni. Lavora alla muraglia da circa tre anni. Mastro Giovanni Antonio de Meglio «de Casali Marani pertinentiarum Civitatis Iscle» di anni 25, vi lavora da circa due anni. Fabrizio d’Afflitto di anni 36, vi lavora da circa sei anni. Fabrizio de Mirabella di anni 35 della città di Ariuano «dice habitare equa in
Iscla dov efa l’arte del calzolaio, tiene il partito di consignare fa nella città d’Iscla Giovan Domenico Canetta di anni la calce per servitio della fabrica che si fa nella città d’Iscla. Ottavio Russo della città d’Iscla di anni 50». Depone anche Orazio Tuttavilla, governatore della città d’Ischia di anni 65; viene chiamato a deporre, come ci viene detto, come persona informata dei fatti. L’erario della città, Nicola Angelo Galapano d’Ischia, afferma che la calce è stata pagata dalla badessa con le elemosine che dice di aver avuto dal commissario Giovan Tommaso Vespolo, protettore del monastero. Se e come il vescovo d’Avalos e anche il monastero, abbiano pagato, o restituito, la quantità di calce «momentaneamente prelevata» per eseguire i lavori urgenti sia nella casa del vescovo che nel monastero, non sappiamo, ma possiamo immaginarlo conoscendo la personalità del vescovo d’Avalos. Questa vicenda creò certamente trambusto nella vita del monastero, ma forse non danneggiò la disciplina monastica e la vita di preghiera che le monache continuarono a praticare, producendo ottimi frutti spirituali. La fama della santità e della disciplina che si viveva nel monastero di S. Maria della Consolazione, presto valicò non solo le mura del monastero e della città d’Ischia, ma andarono oltre per arrivare fino alla terraferma. Infatti la città di Pozzuoli, volendo fondare un monastero di monache dedite alla preghiera e alla penitenza, si rivolsero proprio a quello di S. Maria della Consolazione di Ischia per realizzare il desiderio di avviare un luogo di perfezione spirituale e di preghiera. Questo fece accrescere il prestigio e la stima universale per il nostro monastero. Sulla fondazione del monastero di San Celso, del quale esiste ancora la cupola della chiesa che vediamo acanto all’altra coperta da maioliche che faceva parte della cappella del SS.mo Sacramento del duomo di Pozzuoli, troviamo questa testimonianza nel registro del monastero di Ischia, quello che sulla scorta di Onofrio Buonocore siamo soliti chiamare «il Diario delle Clarisse» che trascrivo qui di seguito.
no, processionalmente si partirono da questa clausura, accompagnate da molte gentildonne, e dalla Città in corpo, oltre del Vicario Apostolico, con tutti li requisiti necessari] da pratticarsi in simili congiuntura, ìndi sotto lo sbarro del cannone di quella Città consegnate a Monsignor Vescovo della medesima furono con segni di stima accolte benignamente assistendoci ancora quella Città in corpo, che con feste ed altre compitezze mostrò il contento che ricevè per tall’effetto. Se li consignò la Clausura, in cui entrò competente numero di donzelle per educande, per indi ascendere alla santa professione senza tralasciare che la sopradetta Suor Colomba Santillo dopò certo tempo, ottenne il permesso di ritornare da S. Celzo di Pozzuoli a questa nostra Clausura, dove fini santamente li suoi giorni, come il foglio seguente nell’anno 1668. Il sinodo del vescovo Innico d’Avalos del 1599 dedica alla disciplina della vita monacale i primi cinque capitoli della Sessio Tertia celebrata il 15 aprile presentando le norme da osservarsi in qualsiasi monastero, senza però alcun riferimento al nostro17. Le relazioni che il vescovo presenta successivamente nelle visite ad limino alla Sacra Congregazione del Concilio, non fanno alcun riferimento al nostro monastero. Solo in quella presentata nel 1615 scrive. «In Civitate adest monasterium Monialium Sancte Clare, sub titulo Sancte Marie Consolatinis, vivitur religiosissime, ex proprijs introitibus et purum elemosinis18». Anche nelle sette relazioni dei trienni successivi usa quasi le medesime espressioni e quindi non ci offre dati importanti sulla vita del monastero.
Biblioteca Antoniana d’Ischia: “Diario delle Clarisse” f. 7 r.
Il successore Francesco Tontoli (1638-1663)19 accenna al monastero solo nella prima delle due relazioni dal 1641 e 1644, ma anche lui usa quasi le stesse espressioni del suo predecessore. Giovanni Antonio de Vecchi, che ha retto la diocesi tra il 1662 e il 167320, nell’unica sua relazione ad limina, scrive. «Ho qui nella Città un Monastero di monache francescane in numero di trentuno compresovi anche le converse, et è unico in tutta la diocesi». Sullo stato del monastero si sofferma invece il successore Girolamo Rocca21 nella relazione del 1678 nella quale presenta uno spaccato non tanto lusinghiero dal punto di vista disciplinare del monastero che vive
Notasi in questo foglio che sotto lì 29 dicembre giorno di venerdì dell’anno 1628 essendo à preghiere della città di Puzzuoli state trascelte e destinate le nostre Religiose per fundatrici della novella clausura sotto il titolo di S. Celso di detta Città e per maestre delle moderne Moniche, furono destinate tre nostre Suore cioè: Suor Teresa Vitale, e le suore Elena e Colomba Santillo sorelle siche in detto gior-
17 Cfr. Decreta et Constitutiones Synodales Dioecesana Isclana per Admodum et Referendum D. Innicum de Avalos.... Romae, Apud Impressores Camerales MDXCIX, p. 61 e ss. 18 Archivio S. Congregazione del Concilio (d'ora in poi: ACC.) relazione ad limino del 1615. 19 Cfr. Ritzler- Sebrin, Hierarchia Catholico Medi! et Recentioris Aevi, vol. IV, Patavii MCMLX, p. 211. 20 Ibidem 21 Fu vescovo d’Ischia dal 1673 al 1691. Cfr. ibidem
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un momento di gravi difficoltà. Egli infatti scrive: «Unum exat in Civitate totaque Dioecesi Coenabium Monialium Sanctae Clarae , quod si ad temporalia reflectatur, paupertate laborat, eademque necessitas impella, ut moniali indigenti extraneorum communicatio difficillime impedir! valeat, etenim quod olim fuit initium, est hodie vitium et necessitas. «Quoad illius statum spiritualem tria prae caeteris omissis pluribus aliis, in eo reperi absurda valde detestabilia, et Clausurae praeiudiciaria prò quibus tollendis contentionem maximam subire coactus sum. «Primum quod per Moniales colloquia frequentissima habentur cum saecularibus in fenestrella in ecclesia existente adhiberi solita, ac parata prò confessionibus audiendis, ac recipiendo Sancissimo Eucharitiae Sacramento; ideo statim decrevi prò evitandis scandalis, quae facile oriri poterant, ne imposterum Moniales dieta Fenestrella ad usum collocutirij utantur. «Secundum vero quod Magistratus Civitatis ab Immemorabili tempore singuli annis ingredi consuerunt cum episcopo Clausuram Monialium prae peragenda Viitatione nedum contro legem Clausurae turpiter violata, sed etiam contro expressa decreta hiuus Sacra e Congregationis, prò quo detestabili abusu tollendo valde mihi opus fuit, contendere atque hinc initio mei regiminis odia Civitatis exarserunt conquerentis se spoliatam diuturna, ac per me immemorabili possessione Episcopum comitanti in actu visitationis septa Monasterij. «Tertium demum reperi absurdum quod quadam Monialis nuncupata Soros Hieronyma Maria d’Avalos sexdecim annorum spatio , conniventibus episcopis meis antecessoribus, de triennio in triennium vel precibus vel minis confirmata non sine ingenti detrimento Monasteri], cumque id repugnaret nedum Sacrorum Canonum dispositioni, sed et decretis Sacrae Congregationis mandavi novam eligi Abbatissam Quoad Monasteria Regularium quamvis in Suburbio Civitatis due existant a Ite rum Divae Mariae Scala e, ubi ex Augustiniana Familia Fratres commorantur, alterum Divae Mariae Gratiarum, quod Franciscani incolunt nihil sane exiguum penes nullum est auxilium, quod mihi ab eis prò vinea Domini excolenda praestatur, cui utrumque licet redditus satis amplos prò loci conditione habeat duos aut ad summum tres detinet sacerdotes, plerosque ad confessiones parum idoneos, ut meo conscientia minime ad illas audiendas admitti posse existimarem si meliorum non coartarer penuria22». 22 Relazione ad limina del vescovo Girolamo Rocca del 1676 in ACC.
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L’azione di recupero della disciplina monastica voluta dal vescovo portò buoni frutti tanto che nella successiva relazione ad limina del 1683 può comunicare ai Padri della Congregazione del Concilio quanto segue: «unum extat in Civitate totaque Diocesi Monasterium Monialium sub regula Sancti Francisci quod maxima egestate laborat ob deficientes redditus ex temporum calamitate, sed, dante Deo, Moniales religiosissime vivunt23». Qualche difficoltà sussiste ancora nel 1703, al tempo della prima visita ad limena del vescovo Luca Trapani il quale scrive: «In eadem Civitate adest Monasterium Sanctimonialium Sancte Clare cuius Clausura integre servatur, vivunt in comuni, sed propter paupertatem Monasteri] non perfecte: sunt exemplares, devote grates Monasteri] ab externis non frequententur, et a consanguineis moderate. Easdem prò ac dodo Confessano providi, nullamque diligentiam prò conservando earum regalar! disciplina quantum in Domino possum omitto24». Estremamente laconico è quanto scrive nella successiva relazione del 1707 nella quale si limita a dire: «circa ecclesiastocorum statum, et monialium clausuram, in qua semper divina largitatis beneficio nova virtutum incrementa cospiciuntur25». L’episcopato di Luca Trapani fu caratterizzato dalla celebrazione del Sinodo che, nella mente del vescovo, doveva costituire la summa di tutta la legislazione ecclesiastica che avrebbe dovuto governare la chiesa di Ischia per i secoli futuri. Purtroppo questo sinodo fu proprio il contrario di tutto questo, solo in parte per colpa del vescovo Luca Trapani, ma soprattutto per le mutate circostanze storiche e politiche che crearono gravi difficoltà e un periodo di lotta tra la Santa Sede e il Consiglio Collaterale del vice regno di Napoli e si concluse con il ritiro da parte del vescovo delle costituzioni sinodali, vanificando anni di lavoro del vescovo e di quelli che collaborarono con lui alla preparazione delle stesse26. Tuttavia bisogna spendere qualche parola sul Caput XXI della pars secunda del citato sinodo. Questo capitolo si compone di ben quaranta numeri, o paragrafi, nei quali sono affrontati tutti i problemi e tutti gli aspetti della vita monastica: da quelli di natura disciplinare, della vita di pietà, a quello economico di ogni 23 (fr. relazione del 28 novembre 1683. 24 Relazione del vescovo Luca Trapani del 4 giugno 1703. 25 Relazione ad limina del vescovo Luca Trapani dell’11 marzo 1707. 26 Sul Sinodo di Luca Trapani, cfr. A. Lauro, Collaterale e Curia Romana per la sospensione del Sinodo d’Ischia nel 1717, in Archivio Storico per le Province Napoletane, CXI (1993).
monastero. Il paragrafo quarto stabilisce che le norme sinodali che riguardano le monache, devono essere lette alla comunità monastica almeno due volte all’anno durante la mensa comune delle monache. Alcune relazioni ad limina presentate da vari vescovi nel corso del secolo XVIII, ricordano di sfuggita l’esistenza del monastero sottolineando che in esso vivono ventisei monache e dieci tra converse e postulanti «veramente religiosissime ed osservantissime della loro regola quali per la Dio Grazia non mi donno più fastidio o inquietudine di quello che me ne dovrebbero se non li fossero affatto, perché ci è un buonissimo e religiosissimo confessore,
il quale è anco penitenziere maggiore e canonico di detta cattedrale». Nelle altre relazioni i vescovi ripetono quasi le stesse cose per cui potremmo farci l’idea che il monastero, nel corso del secolo XVIII, sia progredito senza troppi scossoni nella pietà e nella osservanza della disciplina monastica. Purtroppo, però, la vita monastica non fu cosi tranquilla e regolare come potremmo immaginare. Agostino Di Lustro 1 - Continua
In occasione della VI Edizione del Premio del Paesaggio del Consiglio d’Europa (2016-2017), indetto con cadenza biennale dallo stesso Consiglio – come previsto dall’art.11 della Convenzione Europea del Paesaggio, il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo (MiBACT) intende avviare una ricognizione delle azioni esemplari attuate nel territorio italiano, al fine di individuare la Candidatura italiana al Premio del Paesaggio del Consiglio d’Europa. La partecipazione alla procedura di selezione, come avvenuto nelle precedenti edizioni, sarà supportata da una campagna di pubblicizzazione e di sollecitazione degli stakeholder e degli advisors i quali potranno segnalare o presentare progetti svolti a favore del paesaggio in tutte le sue componenti naturali e/o culturali e nella sua accezione più ampia rimarcata dalla Convenzione.
Giardini La Mortella nella stagione fredda Visite guidate Per l’inverno 2016-2017 sarà possibile visitare i Giardini La Mortella, per godere degli aspetti più inconsueti del giardino. Le visite, solo su appuntamento, si svolgeranno con l’accompagnamento di competenti guide naturalistiche che racconteranno la straordinaria storia dei giardini e condurranno il visitatore ad esplorare gli aspetti più insoliti del giardino, portandolo a conoscere piante fino ad oggi rimaste ignote alla massa del pubblico che giunge alla Mortella in primavera ed estate.. Contrariamente a quanto potrebbe pensare chi viene da climi diversi, in inverno La Mortella non va in stasi e non si spoglia; anzi è verdissima e rigogliosa, piena di fiori esotici e di allegri frutti colorati. Si potrà ammirare la sontuosa fioritura delle camelie, a partire dalle eleganti Camellia sasanqua, seguite dalle williamsi, le japonica, le reticulata; si sosterà sotto la smagliante fioritura della Bauhinia blakeana, l’albero “delle orchidee” di Hong Kong, aspirando il profumo degli agrumi maturi che si mescola con le fragranze delle più rare e delicate acacie australi. In tardo inverno sbocceranno le magnolie orientali dipingendo nel giardino a valle immagini fiabesche. La pergola
della tea house sarà punteggiata da migliaia di grandi fiori a tromba della Solandra, detta “Copa de oro”, un mare dorato sullo sfondo verdissimo delle foglie lucide. La salita al giardino superiore, che permette di scoprire panorami sempre più spettacolari sul mare e la cittadina di Forio, sarà accompagnata dai fiori blu dei rosmarini che sottolineano, con cascate di rami profumati, le scalette ed i muretti a secco, e culminerà con le entusiasmanti fioriture della collezione di Aloe, che in inverno si illuminano di rosso, di giallo, di arancione. La macchia mediterranea, in pieno rigoglio grazie alla piogge autunnali ed alla stagione fresca, colorata dalle bacche di corbezzolo e di mirto, farà da sfondo alle stravaganti corolle delle piante australiane, come le Mimose, le Grevillee, le Banksie. Gli aceri giapponesi offriranno una fiammata di colore autunnale nel giardino orientale che circonda la casa Tai prima di perdere le foglie e lasciare il posto d’onore alle grafiche sagome dei bambù. Una visita che lascerà il segno, alla scoperta di un paesaggio pieno di suggestioni inaspettate e poetiche.
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Voyage de Naples à Capri et à Paestum Viaggio da Napoli a Capri e a Paestum 1846 di Jacques Étienne Chevalley De Rivaz II Ici finit le golfe de Naples et commence celui de Salerne connu anciennement sous le nom de Posidonia ou de Paestum dans lequel nous allons entrer. C’était le moment d’agiter la question s’il était probable que Capri et le promontoire Minervien avaient pu être dans les temps passés unis. Nous n’en manquâmes pas comme on peut le penser l’occasion et j’eus la satisfaction d’entendre les premiers géologues de l’Europe professer la même opinion que celle qui avait déjà été avancée à cet égard par Strabon1, s’appuyant sur la similitude des rochers existants sur les deux côtés de ce détroit, lesquels sont de la même pierre calcaire, élevés et taillés presque perpendiculairement. Pour que cela ait été en effet ainsi, il n’y a qu’à supposer que les masses qui unissaient jadis Capri au continent reposaient sur des cavernes volcaniques: un tremblement de terre sousmarin, en détruisant leurs voûtes, obligea ces rochers à se précipiter au fond des eaux, et Capri devint île. Ce qui arriva non loin du même lieu dans l’endroit appelé Roncato, à peu de distance de Termini, le 21 avril 1819, ne semble-t-il pas d’ailleurs donner plus de force à cette supposition? Dans la soirée du sus dit jour, dit le comte Milano2, la roche de Roncato fut ébranlée, en même temps qu’un bruit souterrain accompagna ce phénomène. La mer était agitée et le ciel couvert de noirs nuages; dans la journée il avait plu et le tonnerre s’était fait entendre. A ces diverses circonstances vint s’unir un ouragan impétueux, mais qui ne dura que peu de temps. Plusieurs fentes, dont quelques unes avaient dix pieds de largeur et étaient considéra blement profondes, furent occasionnées en attendant par cet acci1 Sunt qui Lesbum ab Ida abruptam credunt, ut Prochytam et Pithecusam a Miseno, Capreas ab Athenaeo. 2 Cenni geologici sul tenimento di Massa lubrense. Napoli, 1820, p. 70
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II Qui finisce il Golfo di Napoli e comincia quello di Salerno anticamente noto col nome di Posidonia, o Paestum, in cui ci accingiamo ad entrare. Era il momento di affrontare la questione della probabilità se Capri e il promontorio di Minerva avessero potuto essere uniti in tempi remoti. Noi non ne evitammo, come si può pensare, l’occasione, ed io ebbi la soddisfazione di sentire i primi geologi europei professare la stessa opinione rispetto a ciò che era già stato detto da Strabone1 sulla base della somiglianza delle rocce esistenti su entrambi i lati dello stretto, che sono della stessa pietra calcarea, alte e sfaccettate quasi perpendicolarmente. Perché sia avvenuto davvero così, c’è solo da supporre che le masse che una volta univano Capri al continente poggiavano su caverne vulcaniche: un terremoto sottomarino, distruggendo le loro volte, fece precipitare le rocce in fondo alle acque, e Capri divenne isola. Ciò che è accaduto non lontano dal luogo stesso, nel tratto chiamato Roncato, a poca distanza da Termini, il 21 Aprile 1819, non sembra dare maggior forza a tale ipotesi? La sera del suddetto giorno, disse il conte Milano2, la roccia di Roncato fu scossa, mentre un boato sotterraneo accompagnò questo fenomeno. Il mare s’increspò e il cielo si coprì di nuvole scure; nel corso della giornata era piovuto e tuonato. A queste varie circostanze s’unì un violento uragano, ma che durò solo un breve periodo di tempo. Diverse fenditure intanto, alcune delle quali larghe dieci piedi e notevolmente profonde, furono 1 Vi sono di quelli che credono Lesbo staccatasi dall’Ida, come Procida e Pithecusa da Miseno, Capri da Ateneo. Strabone, lib. I 2 Cenni geologici sul tenimento di Massa Lubrense. Napoli, 1820, p. 70.
dent à cette roche. Dire que ce partiel tremblement de terre ne fut senti que dans cet endroit, et qu’on ne s’en aperçut en aucune manière au prochain village de Termini, n’autorise-t-il pas d’après cela à croire que cet événement dut être produit par l’affaissement de quelque caverne souterraine locale, semblable en petit à celui qui eut pour résultat la séparation de Capri3? Mais nous voici entrés dans le golfe de Salerne. Un horizon des plus magnifiques se présente à nos regards, et nos yeux ne peuvent se lasser de se porter successivement sur les fertiles plaines d’Eboli et de Paestum arrosées par l’ancien Silaro, aujourd’hui Sélé, sur les bords duquel s’élevait autrefois le temple de Junon Argive fondé par Jason et les Argonautes4 et qui sépare Salerne des prés fleuris d’Homère, lesquels vont aboutir aux promontoires d’Acropolis et de Licose qui semblent s’unir aux montagnes de l’antique Grande-Grèce. Nous arrivons en face des trois écueils connus aujourd’hui sous le nom vulgaire des Galli. Jadis habités, dit-on, par les redoutables Sirènes et appelés par cette raison Sirénuses, ces rochers calcaires n’offrent rien à présent de particulier, mais viennent seulement attrister nos souvenirs. C’est là que Manso, fils de Sergius duc d’Amalfi, fut relégué en exil, en 1039, après avoir régné quatre ans et trois mois, par ordre de son frère Jean qui lui fit auparavant crever les yeux5. Une de ces îles, quoique moins grande que celle qui s'appelle île longue, porte le nom de Castelletto, parce que sans doute un château y était autrefois élevé. Si l’on en croyait l’opinion générale, ce serait à ces écueils que Virgile fait allusion, quand il dit après avoir raconté la mort du pilote d’Enée6: Jamque adeo scopulos Sirenum advecta subibat Difficiles quondam multorumque ossibus albos. Le savant chevalier Quaranta, dans le grand ouvrage intitulé: Napoli e i luoghi celebri delle sue vicinanze, offert si gracieusement par la ville de Naples à tous les membres du Congrès, pense également que c’est dans le même voisinage que demeuraient les Sirènes, et qu’Ulysse réussit à les éviter, en faisant boucher les oreilles de ses compagnons avec de la cire et se faisant attacher lui-même au mât de son vaisseau, selon le conseil de Circé, pour ne pas être séduit par la 3 Tout en faisant des vœux pour que mes prévisions ne se réalisent jamais, je ne dois pas cacher qu’il ne serait pas impossible qu’un semblable événement pût arriver tôt ou tard à la grotte d’Azur par la disposition d’une des parois de la dite grotte. C’est une réflexion que j’avais déjà faite pendant ma première visite dans cette grotte et qui ne m’a pas empêché pourtant d’y retourner une deuxième fois, mais je la consigne ici pour qu’elle puisse servir un jour, tout en croyant cet accident peu probable, ad futuram rei memoriam, si cependant contre toute attente ce malheur devait arriver. 4 Post Silari ostia, Lucania sub equitur, fanumque Junonis Argivae ab Jasone conditum. Strab. op. cit. lib. VI. 5 Capaccio, op. cit. tom. 1, p. 155. 6 Eneid. lib. V.
provocate dall'accaduto in questa roccia. Dire che il parziale terremoto fu sentito solo in questo posto, e che non s’avvertì affatto nel vicino villaggio di Termini, non autorizza a credere dopo ciò che l’evento dovette essere prodotto dal crollo di una caverna sotterranea locale, simile un po’ a quello che ha provocato la separazione di Capri?3. Ma eccoci entrati nel Golfo di Salerno. Un orizzonte magnifico si presenta ai nostri sguardi, e i nostri occhi non possono evitare di portarsi successivamente sulle fertili pianure di Eboli e Paestum bagnate dall’antico Silaro, oggi Sele, sulle cui rive sorgeva il tempio di Giunone Argiva fondato da Giasone e dagli Argonauti4 e che separa Salerno dai prati fioriti di Omero, che terminano ai promontori d’Acropoli e Licosa che sembrano unirsi alle montagne dell’antica Magna Grecia. Arriviamo di fronte ai tre scogli conosciuti oggi sotto il comune nome de Li Galli. Anticamente abitati, si dice, dalle temute Sirene e chiamati per questo motivo Sirenuse, questi scogli calcarei non offrono al presente nulla di particolare, ma rattristano solo i ricordi. È là che Manso, figlio di Sergio, duca di Amalfi, fu relegato in esilio nel 1039, dopo aver regnato quattro anni e tre mesi, per ordine di suo fratello Giovanni, che gli fece prima cavare gli occhi5. Una di queste isole, anche se meno grande di quella che si chiama isola lunga, porta il l nome di Castelletto, probabilmente perché c’era una volta un castello. Se credessimo all’opinione generale, sarebbe a questi scogli che Virgilio allude quando dice dopo aver parlato della morte del pilota di Enea6: E già s'accostava agli scogli delle Sirene un tempo ardui e bianchi per le tante ossa.
Il dotto cavaliere Quaranta, nella grande opera intitolata Napoli e i luoghi celebri delle sue vicinanze, omaggiato gentilmente dalla città di Napoli a tutti i membri del Congresso, crede che propriamente nelle vicinanze dimoravano le Sirene, e Ulisse riuscì ad evitarle, facendo otturare le orecchie dei compagni con la cera e facendosi legare all’albero della nave, secondo il consiglio di Circe, non lasciandosi sedur3 Facendo voti che le mie previsioni non si verifichino mai, non devo nascondere che non sarebbe impossibile che un simile avvenimento potrebbe accadere prima o poi alla Grotta Azzurra per la disposizione di una delle pareti di detta grotta. Questa riflessione, che avevo già fatta durante la prima visita nella grotta e che non mi ha tuttavia impedito di ritornarvi una seconda volta, la rifaccio qui perché possa servire un giorno, pur ritenendo questo evento poco probabile, a futura memoria, se però dovesse accadere. 4 Dopo il Silaro segue la Lucania e il tempio di Giunone Argiva fondato da Giasone. Strab. op. cit. lib. VI 5 Capaccio, op. cit. tom. 1 p. 153. 6 Eneide, lib. V.
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voix de ces filles d’Achéloüs et de Çalliope, se fondant sur le passage suivant d’Homère7: Sirenum quidem primum jubet divinarum Vocem cavere, et pratum floridum8.
re dalle voci delle figlie di Acheloo e Calliope, sulla base del seguente brano omerico7: Dice prima di evitare il canto delle divine Sirene e il florido prato8.
Malgré l’autorité d’un auteur aussi distingué, je crois néanmoins que c’est une double inadvertance, et que l’on doit retenir seulement d’après Pline que le promontoire de Sorrente a bien pu être autrefois un des séjours des Sirènes, sentiment avancé également par Strabon9, comme le cap Péloro en Sicile a été aussi nommé par quelques auteurs pour avoir été pareillement un des sites occupés par les mêmes enchanteresses, mais que ni Homère ni Virgile n’ont entendu parler assurément des Galli dans les vers ci-dessus. Si l’on admettait un instant le sentiment contraire au mien, où serait dans ces lieux le pré fleuri si explicitement indiqué par Homère10? Sans doute il ne faudrait pas prétendre l’avoir trouvé sur les côtes escarpées de Capri aussi bien que de la Campanella, et encore bien moins sur les rives où fut enterrée plus tard Parthénope, puisque cette dernière vivait toujours alors et ne vint dans ces lieux que poussée après sa mort par les flots. D’ailleurs Homère, en chantant les voyages d'UIysse, ne raconte-t-il pas que ce héros ne descendit point chez les Sirènes; et dans ce cas, comment concilierait-on ce que dit Strabon que le temple de Minerve fut fondé par Ulysse avec le rapport d’Homère? Je dirai plus, selon Pline les Sirénuses ne seraient point même les rochers que nous appelons aujourd’hui les Galli, car d’abord cet auteur non seulement ne fait pas mention de ces derniers, puisqu’il passe immé diatement de Capri à Leucothée11 qu’il appelle dans d’autres endroits Leucasie et Leucosie, connue à présent sous le nom de Licose12, et où il met le tombeau
Nonostante l’autorità di un autore tanto illustre, credo ancora che si tratti di una duplice inavvertenza e dobbiamo pensare che solo dopo Plinio il promontorio di Sorrento è stato una delle dimore delle Sirene, anche al dire di Strabone9, come il Capo Peloro in Sicilia è stato anche così chiamato da alcuni autori per essere stato ugualmente un sito occupato dalle stesse incantatrici, ma che né Omero e né Virgilio hanno sicuramente inteso parlare di Li Galli nei versi qui riportati. Se per un momento si ammettesse una opinione opposta alla mia, dove sarebbe in questi luoghi il prato fiorito così esplicitamente indicato da Omero10? Certamente non si dovrebbe pretendere di averlo trovato sulla costa frastagliata di Capri, o della Campanella, e molto meno sulle sponde dove fu sepolta successivamente Partenope, poiché quest’ultima era ancora in vita allora e poi giunse in questi luoghi dopo la sua morte spinta dalle onde. D’altronde Omero, cantando i viaggi d’Ulisse, non dice che l’eroe non discese presso le Sirene, e in questo caso come si concilierebbe quanto dice Strabone che il tempio di Atena fu fondato da Ulisse secondo il racconto di Omero? Dirò di più, secondo Plinio, le Sirenuse non sarebbero affatto gli scogli che oggi chiamiamo Li Galli, perché innanzitutto quest’autore non solo non li menziona, poiché egli passa immediatamente da Capri a Leucotea11, che chiama in altri passi Leucasie e Leucosia ora conosciuta con il nome di Licosa12, e dove egli met-
7 Vol. I , p. 39. 8 Odyss. C. XII, v. 158 et 159. 9 Sed a Surrento vicinis locis usque ad fretum quod est juxta Capreas cubito similis quidam terrae flexus interjacet, ab altera montani lateris parte Sirenum fanum habens, ab altera ad Posidoniatem sinum, tres exiguas insulas desertas ac saxosas, qua vocantur Sirenusae, et in ipso trajectu Minervae templum. Op. cit. lib. I. ��������������������������������������������������������������� Ce qui me fortifie d’autant plus dans cette opinion, c’est que le même poète en décrivant l’habitation des Sirènes (c. XII. v. 44, 45 et 46.) employe encore la même expression de pré, que nous ne pouvons pas appliquer assurément au promontoire Minervien ni à Capri : Sed Sirenes arguto fascinant cantu, Sedentes in prato : ingens vero circum ossium acervus Virorum putrefactorum ; circumque cutes tabescunt. ������������������������������������������������������������ Tiberii principis arce nobiles Capreae circuitu XI milia passuum CX. Leucothea. Hist. nat. lib. III, p. 64 �������������������������������������������������������� Que le nom de Leucothée ait appartenu à la Licose moderne, on ne saurait en douter par les raisons qu’on lit dans la dissertation du savant Magnoni intitulée : De veris Posidoniae el Paesti originibus, aussi bien que dans un passage de Cassiodore, dans lequel cet écrivain fait mention d’un fameux marché qui se tenait encore de son temps dans le voisinage de cette île, et où l’on se rendait en foule pour
7 Vol. I p. 39. 8 Odyss. c. XII, v. 158 e 159. 9 Ma �������������������������������������������������������� da Sorento e luoghi vicini fino al mare di Capri trovasi una insenatura simile ad un gomito, ove ci sono, da una parte del fianco montano il tempio delle Sirene, dall'altra presso lo stretto di Posidonia tre piccole isole deserte e sassose, che sono chiamate Sirenuse, e nello stesso tratto il tempio di Minerva. Strabone lib. I 10 Ciò che mi convince sempre più in questa opinione è che lo stesso poeta, descrivendo la dimora delle Sirene (c. XII. v. 44, 49 et 46) usa ancora la medesima espressione di prato che non possiamo riferire sicuramente al promontorio di Minerva e neppure a Capri: Ma le Sirene seducono con arguto canto sedendo in un prato; intorno un gran monte di ossa d'uomini putrefatti e di pelli marcite. 11 Capri famosa per il palazzo dell'imperatore Tiberio ������������ con un perimetro di 11 mila passi. Hist. nat. lib. III, p. 64 12 Che il nome di Leucotea sia appartenuto alla moderna Licosa non si potrebbe dubitare per le ragioni che si leggono nella dissertazione del dotto Magnoni intitolata: De veris Posidoniae et Paesti originibus, così come in un brano di Cassiodoro, in cui questo scrittore fa menzione di un famoso mercato che si teneva ancora al suo tempo nelle vicinanze di quest’isola, e dove si recava molta gente per i canti
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d’une Sirène13, après avoir averti que cette île avait été détachée du promontoire des Sirènes qui n’est autre que le cap Licose d’aujourd’hui14; mais il place au contraire les Sirenuses, contre l’assertion de Strabon, près du promontoire de Lacinium dans le golfe de Squillace, immédiatement après l’Ogygie d’Homère où demeurait la belle Calypso15. Observons ensuite que nous trouvons Ulysse, aussitôt après avoir passé devant les Sirènes, dans le voisinage de la redoutable Sylla et s’armant pour la combattre. Dès lors, n’est-il pas évident qu’on ne saurait situer les Sirènes d’Homère, sinon dans un endroit plus approché du goufre où la mythologie avait placé le susdit monstre marin, que ne le sont sans contredit l’île de Capri ou le promontoire Minervien? Enfin, Virgile lui-même ne nous a-t-il pas clairement indiqué le véritable site, dans lequel nous devons rechercher le séjour des Sirènes, à l’époque où il faisait voyager son héros ? Quand Énée arriva-t-il, en effet, selon ce divin poète, aux écueils indiqués par les vers cités plus haut: Jamque adeo scopulos Sirenum advecta subibat, etc. N’est-ce pas immédiatement après la chute de Palinure dans la mer, accident qui fit donner le nom de cap de Palinure au promontoire qui existe dans ce lieu, près de l’ancienne Velia, et qu’il porte encore de nos jours ? Devant Velia étaient, au rapport du même Pline, les îles de Pontia et d’Isacia connues sous le nom d’Oenotrides16, après lesquelles vient la Leucasie, où Strabon lui-même a placé également la sépulture d’une des Sirènes17, située, comme nous l’avons vu plus haut, en face du cap qui, selon Pline, portait jouir au son des chants et des instruments des agréments qu’on rencontrait dans cette ville momentanée, non seulement de tous les points de la Lucanie, mais encore des provinces les plus éloignées. Pomponius Mela dans le cinquième chapitre du livre second de sa géographie, et Volateranus l’appellent aussi Leucothée. Enfin, Festus la nomme à son tour Leuctosie. Le même Magnoni prétend, il est vrai, qu’Antonini s’est trompé en plaçant le marché dont il vient d’être question vis-àvis à la Licose, tandis qu’il avait lieu dans la vallée de Diane; mais tout porte à penser cependant que le susdit marché prit son nom de Leucothée du nom d’une des Sirenes, et c’est l’opinion que je suis ici, sans me mettre en peine si ce marché avait lieu devant la Licose même où dans la vallée de Diane, n’ayant pas la prétention assurément entre des écrivains aussi célèbres qu’Antonini et Magnoni, … tantas componere lites ��������������������������������������������������� Contra Paestanum sinum Leucasia est a Sirene ibi sepulta appellata. Hist. nat. lib. III, cap. 7 , p. 65 ����������������������������������������������������������� Avellit.. . Leucosiam Sirenum promontorio. Op. cit. lib. II, cap. 88, p. 11 �������������������������������������������������� Altera Calypsus quam Ogygiam appellasse Homerus existimatur. Praeterea très Sirenussae, Meloessa. Op. cit. lib. III, cap. 10 ������������������������������������������������������ Contra Veliam, Pontia et Itacia utraeque uno nomine Oenotrides. Op. cit. lib. III, cap. 7, p. 65 ���������������������������������������������������������� Hinc cum enavigaberis, Leucosia occurrit insula, parvum ad continentem habens cursum , nomen a Sirenum una sortita. Strab. geogr. lib. VI
te la tomba di una sirena13, dopo aver avvertito che quest’isola fu separata dal promontorio delle Sirene, che non è altro che l’odierno capo Licosa14, ma invece pone le Sirenuse, contro l’affermazione di Strabone, vicino al promontorio di Lacinio nel Golfo di Squillace, subito dopo l’Ogigia di Omero, dove abitava la bella Calypso15. Osserviamo poi che troviamo Ulisse, subito dopo aver superato le Sirene in prossimità della temibile Scilla e pronto a combatterla. Quindi, non è forse evidente che non siamo in grado di individuare le Sirene di Omero, se non in un luogo più vicino alla voragine dove la mitologia aveva posto il mostro marino di cui sopra, che è senza dubbio l’Isola di Capri e il promontorio di Minerva? Infine, lo stesso Virgilio non ci ha forse chiaramente indicato il vero sito in cui dobbiamo ricercare la sede delle Sirene, nel tempo in cui faceva viaggiare il suo eroe? Quando arrivò Enea, infatti, secondo il divino poeta, agli scogli indicati dai versetti sopra citati: Già s'accostava agli scogli delle Sirene, ecc. Non è forse subito dopo la caduta in mare di Palinuro, occasione che fece dare il nome di Capo Palinuro al promontorio che esiste in questo luogo, nei pressi dell’antica Velia, e che porta ancora il al giorno d’oggi? Di fronte a Velia erano secondo Plinio, le isole di Ponza e Isacia note sotto il nome di Enotridi16, dopo le quali viene la Leucasia dove Strabone stesso ha posto anche la sepoltura di una delle sirene17 che si trova, come abbiamo di sopra citato, di fronte al Capo che, secondo Plinio, portava il nome delle Sirene, e ciò probabilmente perché queste ultime dovevano farvi di solito la loro dimora. Sulla base di quanto sopra, come non si potrebbe trovare e l'allegria che vi si godevano, non soltanto da ogni parte della Lucania, ma ancora dalle provincie più lontane. Pomponio Mela nel quinto capitolo del libro II della sua Geografia, e Volaterrano la chiamano anche Leucotea. Infine Festo la chiama a sua volta Leuctosia. Il citato Magnoni pretende, è vero, che Antonini si sia sbagliato ponendo il detto mercato di fronte a Licosa, mentre esso si faceva nella vallata di Diana; ma tutto porta a pensare che il suddetto mercato prese nome di Leucotea dal nome di una delle Sirene, opinione che io seguo senza darmi pena se questo mercato avesse luogo davanti a Licosa o nella valle di Diana, non avendo affatto la presunzione di voler comporre le liti tra scrittori così celebri come Antonini e Magnoni. 13 ���������������������������������������������������������� Davanti al golfo di Paestum è Licosa, detta così dal nome di una Sirena ivi sepolta. Hist. nat. lib. III, cap. 7 , p. 65 14 (La natura) strappa... ����������������������������������������� Leucosia al promontorio delle Sirene. Op. cit. lib. II, cap. 88, p. 11 15 L'altra Calipso, che si pensa che Omero chiami Ogigia. Poi ,e le tre Sirenuse.... Op. cit. lib. III, cap. 10 16 ���������������������������������������������������������� Di fronte a Velia sono Ponza e Isacia, entrambe dette con un sol nome Enotridi. Op. cit. lib. III, cap. 7, p. 65 17 ������������������������������������������������������ Di qui navigando s'incontra l'isola Leucosia, a breve distanza dal continente, così detta da una delle Sirene. Strab. geogr. lib. VI
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le nom des Sirènes, et cela probablement parce que ces derniè res devaient y faire habituellement leur demeure. D’après les considérations précédentes, comment pourrait-on ne pas trouver en conséquence infiniment plus exact d’attribuer aux îles ci-dessus et à leur voisinage dangereux les vers de Virgile qu’aux Galli? Non seulement, les plaines de Paestum se rap portent plus aussi au pré fleuri d’Homère que le lieu où l’on voit les Galli; mais, comme ces parages étaient fréquemment le théâtre de naufrages; qui pourrait certifier que les restes des infortunés qui avaient eu le malheur d’être jetés sur ces inhospitalières rives n’ont pas été peut-être la première, et l’unique cause de la description fantastique, que les poètes nous ont faite des os qui encombraient le séjour des Sirènes? Les anciens auteurs latins parlent de deux flottes romaines, qui furent presqu’entièrement détruites par une tem pête près des mêmes Oenotrides; la première fois l’an 500 de Rome, sous le consulat de C. Servilius Cepione et de C. Sempronius Bleso, et la seconde l’an 706 du temps d’Auguste18. Il est probable même qu’Horace ��������������������������������������������������������������� Les cadavres rejetés par la mer après ces naufrages furent renfermés selon Antonini dans trois des six grottes voisines du golfe de la Molpe, lesquelles s’appellent toujours de nos jours grottes des os. On y trouvait encore du temps du même Antonini des tibias attachés à leurs pieds et des crânes avec leurs mâchoires, mais le tout formant une seule masse tellement dure et compacte qu’il fallait un marteau pour les briser (Lucania, tom. I, pag. 363). Je n’ignore pas à la vérité que d’autres auteurs ont prétendu que ces os étaient des restes non d’hommes mais d’animaux; mais, en attendant qu’il me soit permis de pouvoir visiter moi-même ce lieu, je préfère suivre l’opinion commune à cet égard, d’autant plus que je la trouve confirmée dans une lettre que le digne archiprétre Giovanni de Sanctis de Torre Orsaja, commune située à dix huit milles du golfe de la Molpe, m’écrivait encore le 8 janvier dernier sur ce sujet. Pour ne pas priver mes lecteurs du témoignage de ce savant ecclésiastique, voici, en effet, le passage de sa lettre qui se rapporte au lieu dont il est question. «Questa mia patria che dista dal mare di Policastro non più che quattro miglia, dista dalla Molpe sole miglia diciotto, e come che la Molpe pur facesse parte del golfo di Policastro ch’è chiuso tra il capo Palinuro e quello del Cetraro, tuttavia è la Molpe un seno di mare così intéressante per la cosiddetta Cala delle ossa che merita una designazione a parte nelle carte tanto geograficbe quanto marittime. Poche miglia al di là della marina di Camerota, prima però che si arrivi al promontorio Palinuro, nello scoglio tagliato a picco vedesi una grotta entro alla quale penetra libero il mare, cosicché chi va a visitarla vi debbe intrare in barchetta, la quale nel suo interno è tapezzata tutta di ossa, legate fra loro in masse confuse mediante un bitume quasi sempre del colore del solfuro d’antimonio, senza però avere de’ punti luccicanti come questa sostanza. Le osse non sono come per ordinario facili a sgretolarsi, ma ridotte allo stato di pietra probabilmente da quel bitume che gli tiene anmassati. Atteso la gran forza cbe fa duopo impiegare con ferri appuntati per ispezzare qualche brano da quelle masse durissime, le ossa vengono sempre in ischegge nei pezzi che ogni visitatore ne prende per memoria, né io potrei farvi fede di aver visto giammai teschi coi denti, o tibie intere attaccate ai piedi come scrive il nostro Antonini; ma posso assicurarvi cbe quelle ossa sono umane, sia perché
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molto più esatto l’attribuire alle isole di cui sopra e alle loro vicinanze i versi di Virgilio piuttosto che a Li Galli? Non solo, la pianura di Paestum si riferisce più al prato fiorito d’Omero che al luogo dove vediamo Li Galli; ma, siccome questi paraggi erano teatro di frequenti naufragi, chi potrebbe certificare che i resti degli sfortunati che ebbero la sfortuna di essere gettati in questi lidi inospitali non furono forse la prima e l’unica causa della descrizione fantastica, che i poeti ci hanno fatto delle ossa che ingombravano la dimora delle Sirene? Gli antichi autori latini parlano di due flotte romane, che furono quasi interamente distrutte da una tempesta nei pressi delle stesse Enotridi; la prima volta nel 500 di Roma, sotto il consolato di C. Servilio Cepione e C. Sempronio Bleso, e la seconda volta l’anno 706 del temp0 di Augusto18. È anche probabile che Orazio dovette 18 I cadaveri rigettati dal mare dopo questi naufragi furono posti secondo Antonini in tre delle sei grotte vicine al golfo della Molpe, le quali si chiamano ancora oggi grotte delle ossa. Vi si trovavano al tempo dello stesso Antonini delle tibie attaccate ai piedi e dei cranii con le mascelle, ma il tutto formava una sola massa così dura e compatta che occorreva un martello per frantumarle (Lucania, tomo I, pag. 363). Non ignoro in verità che altri autori hanno preteso che queste ossa fossero resti non di uomini ma di animali; ma, finché non mi sia permesso di poter visitare direttamente il luogo, preferisco seguire al riguardo l’opinione comune, tanto più che la trovo confermata in una lettera che l’attendibile arciprete Giovanni de Sanctis di Torre Orsaja, comune situato a 18 miglia dal golfo della Molpe, mi scriveva l’8 gennaio ultimo su questo argomento. Per non privare i mei lettori della testimonianza di questo dotto ecclesiastico, ecco, in effetti, il passto della citata lettera che si riferisce al luogo in questione: «Questa mia patria che dista dal mare di Policastro non più che quattro miglia, dista dalla Molpe sole miglia diciotto, e come che la Molpe pur facesse parte del golfo di Policastro ch’è chiuso tra il capo Palinuro e quello del Cetraro, tuttavia è la Molpe un seno di mare così interessante per la così detta Cala delle ossa che merita una designazione a parte nelle carte tanto geografiche quanto marittime. Poche miglia al di là della marina di Camerota, prima però che si arrivi al promontorio Palinuro, nello scoglio tagliato a picco vedesi una grotta entro alla quale penetra libero il mare, cosicché chi va a visitarla vi debbe intrare in barchetta, la quale nel suo interno è tappezzata tutta di ossa, legate fra loro in masse confuse mediante un bitume quasi sempre del colore del solfuro d’antimonio, senza però avere de’ punti luccicanti come questa sostanza. Le ossa non sono come per ordinario facili a sgretolarsi, ma ridotte allo stato di pietra probabilmente da quel bitume che gli tiene anmassati. Atteso la gran forza che fa d’uopo impiegare con ferri appuntati per ispezzare qualche brano da quelle masse durissime, le ossa vengono sempre in ischegge nei pezzi che ogni visitatore ne prende per memoria, né io potrei farvi fede di aver visto giammai teschi coi denti, o tibie intere attaccati ai piedi come scrive il nostro Antonini ; ma posso assicurarvi che quelle ossa sono umane, sia perché questa è la opinione ricevuta da tutt’i dotti che le hanno studiate, sia perché fra quelle masse ossee sonosi spessissimo trovati de’ denti e de’ crani che evidentemente erano umani, e non di bruti, ed io ne ho visto parecchi in case di amici che
dut se trouver dans la dernière, quand il dit dans une de ses odes qu’il a été sauvé par la faveur d’Apollon : Non Sicula Palinurus undâ Utcumque mecum vos eritis, libens Insanientem navita Bosphorum Tentabo, et arentes arenas Littoris Assyrii, viator19. D’un autre côté, ne savons-nous pas aussi que c’est du cap de Licose, appelé encore par les poètes Énipée20, que Leucosie désespérée de n’avoir pu enchanter Ulysse se précipita avec ses compagnes dans la mer, et donna ainsi son nom à l’île de Leucosie, où la tradition ajoute qu’elle fut enterrée, tandis qu’elle fait reposer non loin d’elle sa deuxième soeur à Térine aujourd’hui Nocera dans le golfe de Policastro, et la troisième Parthénope à Naples où elle fut apportée par les ondes? Certes, ou toutes ces observations réuquesta è la opinione ricevuta da tutt’i dotti che le hanno studiate, sia perché fra quelle masse ossee sonosi spessissimo trovati de’ denti e de’ crani cbe evidentemente erano umani, e non di bruti, ed io ne ho visto parecchi in case di amici cbe ne facean serbo per rarità. Non istento però a credere a’ detti del barone Antonini. Ai tempi suoi quella cala non avea ricevuto tanti visilatori e tanti guastatori quanti d’allora fin’oggi, e perciò quelle masse essendo quasi intiere potevano presentare quelle rarità ch’egli narra, e l’Antonini poi è scrittore di buona fede in questa parte storica. Ma awenuti i rivolgimenti del 1806 per la continua lotta tra i Francesi e gl’lngtesi che si esercitava sui nostri mari, cominciò quella grotta ad essere visitata da infiniti personaggi de’ quali ognuno voile averne reliquia, e quindi n’è avvenuio che quelle masse grandissime d’ossa impietrite, lungi dall’essere vergini ed intiere, sono state in mille parti rotte e staccate, il che impedisce poter più osservare l’intierezza degli ossi. Anche io ne avea riportato. quando fui a vederla, un bellissimo pezzo che conservava per ricordo, contenente visibilmente un trocantere con altre ossa minori amassate; ma l’onore di una visita che ricevetti da ragguardevoie personaggio me ne privò». �������������������� Ode IV, lib. III. ��������������������������������������������������������� Enipeus Posidon id est Neptunus, (dit le célèbre scholiaste J. Tzelze ) apud Milesios colitur. Ad Posidonium autem ejecta Leucosia Siren sepulta est. Licofron dans la Cassandre, après avoir raconté la mort de Parthénope, ajoute: In ripam autem eminentem Enipei Ejecta Leucosia, cognomine diu Occupavit insulam, ubi violentus Is Vicinusque Laris, eructant latices. Si l’on était embarrassé pour se rendre compte de quels fleuves Licofron a voulu parler en nommant l’Is et le Laris, sans admettre l’interprétation d’Antonini qui suivant Cluvier pense que ce sont deux petits fleuves, dont l’un est appelé Franco venant du Montecorace à l’orient, et l’autre Juncarella à l’occident du cap Licose, on pourrait ce me semble croire avec plus de raison que l’Is n’est autre que l’Halès des anciens qui coulait au nord de Velia devant l’Ile d’Isacia, tandis que le Laris n’est assurément lui-même que le Silaris aujourd’hui Sélé , et cela d’autant plus que Magnoni rapporte qu’on lisait autrefois sur lé sceau de la Rocca du Cilento, capitale un temps de cette baronie, le vers suivant : Cognomen Silarus fecit Alesque mihi.
trovarsi nell’ultima, quando dice in una delle sue odi d’essersi salvato con il favore di Apollo : Non Palinuro tra l'onde sicule. Ovunque meco sarete (Apollo), intrepido andrò nocchiero per il truce Bosforo e per l'arse arene del littoral assirio19 . D’altra parte, non sappiamo neppure che è dal capo di Licosa, chiamato anche dai poeti Enipeo20, che Leucosia disperata per non essere stata in grado di incantare Ulisse si precipitò in mare con le sue compagne, e così diede il suo nome all’isola di Leucosia, dove la tradizione aggiunge che fu sepolta, mentre fa riposare non lontano da sé la sua seconda sorella a Térine, oggi Nocera nel Golfo di Policastro, e la terza Partenope a Napoli, dove fu portata dalle onde? Certo, o tutte queste osservazioni raccolte sulle Sirene di Omero e di Virgilio provano che solo del Capo Licosa e degli scogli vicini che questi due grandi poeti volevano parlare, e così lo pensa con ne faceano serbo per rarità. Non stento però a credere a’ detti del barone Antonini. Ai tempi suoi quella cala non avea ricevuto tanti visitatori e tanti guastatori quanti d’allora fin’oggi, e perciò quelle masse essendo quasi intiere potevano presentare quelle rarità ch’egli narra , e l’Antonini poi è scrittore di buona fede in questa parte storica. Ma avvenuti i rivolgimenti del 1806 per la continua lotta tra i Francesi e gl’lnglesi che si esercitava sui nostri mari, cominciò quella grotta ad essere visitata da infiniti personaggi de’ quali ognuno volle averne reliquia, e quindi n’è avvenuto che quelle masse grandissime d’ossa impietrite , lungi dall’essere vergini ed intiere, sono state in mille parti rotte e staccate, il che impedisce poter più osservare l’intierezza degli ossi. Anche io ne avea riportato quando fui a vederla un bellissimo pezzo che conservava per ricordo, contenente visibilmente un trocantere con altre ossa minori amassate ; ma l’onore di una visita che ricevetti da ragguardevole personaggio me ne privò» 19 Ode IV, lib. III. 20 Enipeo ���������������������������������������������������������� Posidone cioè Nettuno, (dice il celebre scholiasta J. Tzelze) è venerato presso i Milesii. Al lido Posidonio fu sepolta la sirena Leucosia. Licofrone nella Cassandra, dopo aver detto della morte di Partenope, aggiunge: Sull'alta ripa di Enipeo fu spinta Leucosia, con il cui nome a lungo tenne l'isola, dove il violento Is e il vicino Laris, vomitano acque. Se ci si trova in difficoltà a rendersi conto a quali fiumi Licofronte abbiaa inteso riferirsi, parlando di Is e Laris, senza riconoscere l'interpretazione di Antonini che, seguendo Cluviero, pensa che si tratti di due piccoli fiumi, l'uno detto Franco e l'altro Jancarella ad occidente del capo Licosa, si potrebbe, mi sembra, credere più ragionevolmente che l'Is non sia altro che l'Halès degli antichi e che scorreva a nord di Velia davanti all'isola d'Isacia, mentre il Laris non sia altro che lo stesso Silari oggi Sele, tanto più che Magnoni riferisce che si leggeeva un tempo sul sigillo di Rocca del Cilento, capitale allora di questa baronia, il verso seguente: Cognomen Silarus fecit Alesque mihi
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nies touchant les Sirènes d’Homère et celles de Virgile prouvent que c’est seulement du cap Licose et des écueils qui l’avoisinent que ces deux grands poètes ont voulu parler, et ainsi que le pense également avec moi le savant Antonini dans sa Lucanie, ou je suis dans un grande erreur? Après les Galli, les premiers endroits habités sur cette côte sont Positano et Prajauo renommés par leur industrie, et où l’on fait un grand commerce de toiles de lin et de chanvre, en même temps que les négociants du premier de ces lieux occupent toujours un des premiers rangs parmi leurs confrères de Naples. Passé la pointe de Conca, où est le village de ce nom, commence un petit golfe au fond duquel se trouve située, à onze milles de Salerne, la patrie de l’inventeur de la boussole, la célèbre Amalfi21 qu’on croit avoir été fondée par une colonie romaine qui s’y réfugia pour se soustraire aux fureurs des barbares qui envahirent l’Italie à la chute de l’empire. Chacun connaît le degré d’opulence et de grandeur où cette illustre république, adonnée à la navigation et au commerce n’avait pas tardé d’arriver en devenant par son industrie et à l’ombre de ses lois protectrices la souveraine des mers à l’époque de sa splendeur; et dont il nous reste encore aujourd’hui un monument remarquable dans les portes de bronze avec des figures d’argent, fondues en l’an mille et par conséquent les plus anciennes de l’Italie, de sa cathédrale d’architecture extraordinaire dédiée à l’apôtre St. André. Les guerres qu’elle soutint contre le prince de Salerne Roger et les Pisans, qui deux fois la saccagèrent, nous montrent de leur côté toute l’ardeur guerrière qui animait alors ses hardis citoyens. Outre l’invention de la boussole, on doit encore à cette ancienne cité la possession des pandectes de Justinien qui y furent découvertes en 1137 par les Pisans, en même temps qu’elle peut réclamer l’honneur d’avoir été le berceau des chevaliers de Malte, en ouvrant en 1020 à Jérusalem le premier hospice de cet ordre destiné à recevoir les pèlerins des deux sexes de toute l’Europe. Mais si Amalfi n’offre plus maintenant qu’une ombre de sa gloire passée, qu’on ne croye pas toutefois que le feu de l’industrie se soit éteint dans l’esprit de ses habitants actuels. De nombreuses fabriques de papier, de fer et de pâtes, connues dans le commerce sous le nom de pâtes de la côte, alimentent de nos jours cette ville, ainsi que ses intéressantes voisines Scala, Ravello, Minori et Majori, dont les territoires bien qu’alpestres abondent non seulement de fruits excellents, mais produisent encore une grande quantité de soie qui est recherchée pour sa bonne qualité.
me anche lo scienziato Antonini nella sua Lucania, o sono in un grosso errore? Dopo Li Galli, i primi luoghi abitati sulla costa sono Positano e Prajano rinomati per la loro industria, e dove si fa un grande commercio di tessuti di lino e di canapa, mentre i commercianti del primo di questi luoghi continuano a detenere uno de primi posti tra i loro colleghi di Napoli. Passata la punta di Conca, dove si trova l’omonimo villaggio, inizia una piccola baia al fondo della quale è situata, a undici miglia da Salerno, la patria dell’inventore della bussola, la famosa Amalfi21 che si ritiene sia stata fondata da una colonia romana che vi si rifugiò per sfuggire alla furia dei barbari che invasero l’Italia alla caduta dell’impero. Tutti conoscono il grado di opulenza e di grandezza cui questa illustre repubblica, dedita alla navigazione e al commercio, non tardò ad arrivare, diventando con la sua industria e all’ombra delle sue leggi protettrici la sovrana dei mari al tempo del suo splendore, e di cui ancora resta oggi un notevole monumento nelle porte di bronzo con figure di argento, fuse nell’anno mille e quindi le più antiche d’Italia, della sua cattedrale dalla straordinaria architettura dedicata a S. Andrea Apostolo. Le guerre che sostenne contro il Principe di Salerno Ruggero e i Pisani, che per due volte la saccheggiarono, mostrarono tutto lo spirito guerriero che allora animava i suoi audaci cittadini. Oltre l’invenzione della bussola, si deve a questa antica città il possesso delle Pandette di Giustiniano che vi furono scoperte nel 1137 dai Pisani, allo stesso tempo ch’essa può rivendicare l’onore di essere stata la culla dei Cavalieri di Malta, aprendo nel 1020 a Gerusalemme il primo ospizio di questo ordine in modo da ricevere i pellegrini di entrambi i sessi di tutta l’Europa. Ma se Amalfi non offre più ora che l’ombra della sua passata gloria, non si creda però che il fuoco dell’industria si sia spento nello spirito degli attuali abitanti. Molte cartiere, fabbriche di ferro e di paste, conosciute nel commercio sotto il nome di paste della costa, alimentano oggi questa città, così come le vicine Scala, Ravello, Minori e Maiori, i cui territori, bnchè alpestri, abbondano son solamente di frutti eccellenti, ma producono ancora una grande quantità di seta che è ricercata per la sua buona qualità. Infine, a prescindere dai siti davvero pittoreschi che si osservano in questi luoghi, gli amanti delle arti ammireranno ancora a Ravello le porte di bron-
��������������������������������������������������������� Selon d’autres auteurs c’est Positano qui aurait donné naissance à Flavio Gioja l’inventeur de la boussole, mais comme le plus grand nombre pense cependant que ce der nier est né à Amalfi, je n’ai pas voulu priver cette dernière ville de l’honneur d’avoir produit un aussi grand citoyen, quoique j’aye de fortes raisons de croire que c’est Positano qui a vu naître Flavio Gioja, ainsi que j’espère pouvoir un jour le démontrer.
21 Secondo altri autori è a Positano che sarebbe nato Flavio Gioia l'inventore della bussola, ma siccome molti pensano intanto che quest'ultimo sia nato ad Amalfi, non ho voluto privare questa città dell'onore di aver dato i natali a sì grande cittadino, sebbene abbia buone ragioni per credere che il luogo di nscita di Flavio Gioia sia Positano e spero di poterlo un giorno dimostralo
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Enfin, indépendamment des sites vraiment pittoresques qu’on observe dans ces lieux, les amateurs des beaux arts admireront encore à Ravello les portes de bronze de son église qui datent de l’an 1180, et furent faites aux frais de Sergius Muscetola et de sa femme Sciligande, comme l’atteste l’inscription qu’on y lit, lesquelles sont seulement postérieures de quatrevingt-treize ans à celles d’Atrani, de cent dix ans à celles du fameux temple de St. Paul à Rome qui fut brûlé en 1823, et de cent quatre-vingts années à celles d’Amalfi dont il a été parlé plus haut. Selon l’opinion générale, opinion consacrée éga lement dans le savant ouvrage dont il a été fait mention ci-dessus22, Amalfi aurait été aussi la patrie du célèbre Masaniello, mais c’est une erreur que je suis bien aise de pouvoir relever ici. On pourra voir, en effet, dans les documents faisant partie de l’appendice qui sera placé à la fin de cette relation, et qui trouveront pareillement leur place dans l’histoire que mon illustre ami, le savant duc de Rivas, Ambassadeur actuel d’Espagne auprès de la Cour des Deux-Siciles, auquel je me suis fait dès l’année dernière un devoir de les communiquer, prépare dans ce moment sur cet ancien capitaine général du peuple de Naples, que Masaniello avait reçu le jour à Naples même dans la rue, dite alors vico Rotto, qui se trouve dans les environs de la place du Mercato, et porte encore aujourd’hui le nom de Vico Rotto al Lavinajo23. Après avoir dépassé le cap d’Orso célèbre par la bataille navale gagnée par la flotte de Philippe Doria qui tenait la mer pour les Français, sur le vice-roi de Naples, Ugo de Moncade, qui y fut tué avec plusieurs autres personnages de distinction, en 1527, au temps du siège de cette capitale par le maréchal Lautrec, se voit ensuite Vietri, dont le nom signifie vieille cité, fondée sur les ruines de Marcie, où existent plusieurs fabriques dé papier, de draps, de fer, de poterie, et de verre, et où l’on peut se procurer en automne le plaisir de la chasse des pigeons sauvages au moyen de filets; amusement qui y est aussi ancien qu’ingénieux. Malheureusement, pour nous rendre à notre des tination, nous devons de plus en plus nous éloigner de la terre côtoyée par nous jusqu’à ce moment. Que cela ne nous empêche pas néanmoins de saluer en passant la docte Salerne, qui nous apparaît dans le lointain, ���Napoli e i luoghi celcbri delle sue vicioanze, tom. 11, pug. 552 23 Ayant été redevable de la connaissance de ces précieux documents à mon honorable ami Minieri Riccio, je me fais un plaisir de lui en exprimer ici toute ma gratitude, me réservant seulement l’avantage d’avoir été le premier qui les ait fait connaître au monde savant, dans une lettre que j’adressai au commencement de l’année dernière à l’Institut historique de France. Je ne puis cependant me dispenser d’ajouter encore que j’ai été instruit plus tard que M. Riccio les tenait lui-même de l’obligeance de son ami le savant Louis Volpicella, lequel les avait à son tour reçus de MM. Vincent Cuomo et Emmanuel Palermo auxquels doit revenir par conséquent tout l’honneur de cette intéressante découverte.
zo della chiesa, risalenti all’anno 1180, e fatte a spese di Sergio Muscetola e della sua consorte Sciligande, come testimonia l’iscrizione che vi si legge, che sono posteriori rispetto a quelle d’Atrani soltanto di novantatré anni, di centodieci anni rispetto a quelle del famoso tempio di San Paolo a Roma, che fu bruciato nel 1823, e di 180 anni riguardo a quelle d’Amalfi di cui si è detto in precedenza. Secondo l’opinione generale, l’opinione sancita anche nel lavoro scientifico sopra menzionato22, Amalfi sarebbe stata anche la patria del famoso Masaniello, ma si tratta di un errore che io sono felice di poter rilevare qui. Possiamo vedere, infatti, nei documenti che fanno parte dell’appendice posta alla fine di questo resoconto, e che allo stesso modo troveranno posto nella storia che il mio illustre amico, lo scienziato duca di Rivas, Ambasciatore attuale di Spagna alla Corte delle Due Sicilie, al quale mi son fatto un dovere di comunicarli, sta preparando su questo antico capitano generale del popolo di Napoli, che Masaniello aveva raccolto lo stesso giorno a Napoli nella via, allora chiamata Vico Rotto, che è nelle vicinanze della piazza Mercato, e porta ancora il nome di Vico Rotto al Lavinajo23 . Superato capo d’Orso celebre per la battaglia navale vinta dalla flotta di Filippo Doria, che teneva il mare per i Francesi, sul viceré di Napoli, Ugo de Moncada, che fu ucciso con diversi altri compagni nel 1527, al tempo dell’assedio della capitale da parte del maresciallo Lautrec, si vede poi Vietri, il cui nome significa città vecchia, fondata sulle rovine di Marcia, dove esistono numerose fabbriche di carta, di tessuti, di ferro, di ceramica e vetro, e dove si può godere in autunno il piacere della caccia ai piccioni selvatici con le reti; divertimento che è antico quanto geniale. Purtroppo, per arrivare alla nostra destinazione, ci allontaniamo sempre più dalla terra da noi costeggiata fino ad ora. Il che non ci impedisce, tuttavia, di salutare di passaggio la dotta Salerno, che ci apparve in lontananza, e la cui fondazione si perde nella notte dei tempi. Appartenente ai Picentini prima di diventare colonia romana, sotto cui continuò a incrementare la sua fama, questa città è spesso 22 Napoli e i luoghi celebri delle sue vicinanze, tom. II pag. 552. 23 Essendo stato riconoscente per la disponibilità di questi preziosi documenti al mio onorevole amico Minieri Riccio, mi pregio di esprimergli qui tutta la mia gratitudine, riservandomi solo il pregio di essere stato il primo che li abbia fatto conoscere nel mondo scientifico, in una lettera che inviai all'inizio dell'anno scorso all'Istituto storico di Francia. Non posso intanto evitare di aggiungere ancora di essere stato poi informato che Minieri Riccio ne doveva la conoscenza a Luigi Volpicella, il quale a sua volta li aveva appresi da Vincenzo Cuomo e Emanuele Palermo ai quali spetta di conseguenza tutto l'onore di questa preziosa scoperta.
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et dont la fondation se perd dans la nuit des temps. Appartenant aux Picentins avant de devenir colonie des Romains, sous lesquels elle continua de se rendre illustre, cette ville est souvent citée par les poètes de l’antiquité, et l’on y voyait jadis des temples célèbres par leur magnificence et parmi ceux-ci ceux de Pomone et de Bacchus, divinités qu’on devait croire propices à une contrée où la nature fait pompe de toutes ses productions. On sait généralement que dans les siècles les plus barbares Salerne se distingua par son amour pour les sciences naturelles, et que son université qui le disputa un temps aux plus célèbres écoles de l’Europe, et a toujours été mentionnée avec le plus grand respect par les historiens les plus sévères, fut protégée par les Suèves, les Angevins et les Aragonais, et qu’elle mérita les bénédictions du fameux Grégoire VII et du grand Bernard. Pétrarque disait d’elle avec raison: Fuisse hic medicinae fontem fama est; et le célèbre St. Thomas d’Aquin en parlant de la même ville a laissé écrit: Parisiis in scientiis, Salernum in medicina, Bononia in legibus, Aurelianum in auctoribus floruerunt. Effacée sans doute maintenant par les nombreuses universités qui existent en Italie, il ne faut pas croire cependant que Salerne n’en conserve pas avec autant de jalousie qu’autrefois l’amour des lettres, et que son lycée actuel, qui a remplacé l’ancienne école Salernitaine, ne donne pas chaque année encore des marques de son désir de soutenir son ancienne réputation dans les sciences. II serait à désirer seulement, ainsi que l’observe avec un généreux patriotisme l’auteur anonyme de l’intéressant article intitulé : Una università in Salerno, inséré dans l’ouvrage portant pour titre: Napoli e sue provincie (p. 197), qu’élevée au degré d’université, comme le sont également à juste titre Palerme et Catania en Sicile, et que l’instruction s’y recevant alors sur une échelle plus large, ainsi que les besoins des provinces qui lui sont limitrophes le réclament d’ailleurs impérieusement, Salerne pût rivaliser de zèle avec Naples même dans l’art de diriger les hommes dans les sentiers difficiles de la science; et, certes, ce voeu ne saurait déplaire au Souverain paternel, qui, tous les jours depuis son avènement au trône, n’a cessé de donner des preuves de l’ardente volonté qu’il a de faire fleurir la religion et les lettres parmi ses fortunés sujets. Habitée pendant quelque temps par Horace, qui s’y était rendu d’après le conseil de Musa pour se guérir d’ une maladie des yeux, on lit dans un auteur qu’une inscription en honneur de ce poète se voyait sur l’une de ses places; mais c’est une méprise que je suis bien aise de pouvoir rectifier ici, comme j’ai eu le plaisir d’en avoir la certitude par une lettre de l’intendant de Salerne lui-même, qui sera nommé plus loin, lequel a eu la complaisance de me faire tenir une note à ce sujet constatant la fausseté de cette assertion. La cathédrale de Salerne dédiée à l’apôtre St Mathieu, dont on prétend y conserver le corps, renferme une foule de trésors antiques qui y furent portés de Paestum par son fondateur Robert Guiscard en 1075. C’est 56 La Rassegna d’Ischia n. 6/2016
citata dai poeti dell’antichità, e una volta vi si vedevano templi famosi per la loro magnificenza e, tra questi, quelli di Pomona e di Bacco, divinità che si dovevano credere propizi in un paese dove la natura faceva pompa di tutti i suoi prodotti. Si sa generalmente che nei secoli più barbari Salerno si distinse per il suo amore per le scienze naturali, e che la sua università un tempo stava alla pari con le più famose scuole d’Europa, ed è stata citata con grande rispetto da parte degli storici più severi, e che fu protetta dagli Svevi, dagli Angioini e Aragonesi, e meritò la benedizione del famoso Gregorio VII e del grande Bernard. Petrarca diceva di essa giustamente: Fuisse hic medicinae fontem fama est; e il famosao San Tommaso d’Aquino parlando della stessa città, ha lasciato scritto; Parisiis in scientiis, Salernum in Medicina, Bononia in legibus, Aurelianum in auctoribus floruerunt. Oscurata probabilmente ormai dalle molte università che esistono in Italia, non bisogna credere, tuttavia, che Salerno non abbia conservato con la stessa gelosia di prima l’amore delle lettere, e che il suo liceo attuale, che ha sostituito la vecchia scuola Salernitana, non offra ogni anno segni ancora del suo desiderio di mantenere la sua antica reputazione nel campo delle scienze. Sarebbe solo auspicabile, come osserva con un generoso patriottismo l’autore anonimo dell’interessante articolo intitolato Una Università in Salerno inserito nel libro dal titolo : Napoli e sue Provincie (p. 197), che elevata al grado di università, così come giustamente lo sono Palermo e Catania in Sicilia, e che l’istruzione ricevuta su scala più ampia, così come le esigenze delle province confinanti reclamano imperiosamente, Salerno potrebbe competere in zelo con la stessa Napoli, nell’arte di dirigere gli uomini nei percorsi della scienza; e, naturalmente, questo voto non dispiacerebbe al paterno Sovrano, che ogni giorno dall’ascesa al trono, ha continuato a dare prova del suo ardente desiderio di far prosperare religione e lettere tra i suoi fortunati sudditi. Abitata per qualche tempo da Orazio, che vi s’era recato dopo il consiglio di Musa per curare una malattia degli occhi, si legge in un autore che un’iscrizione in onore del poeta si vedeva in una delle piazze; ma questo è un errore che io sono felice di poter qui correggere, come ho avuto il piacere di averne la certezza da una lettera dallo stesso intendente di Salerno, appresso citato, che ha avuto la compiacenza di farmi avere una nota a proposito della falsità di questa affermazione. La Cattedrale di di Salerno dedicata a San Matteo Apostolo, di cui si pretende di preservare il corpo, contiene una ricchezza di antichi tesori che furono portati lì da Paestum dal suo fondatore Roberto il Guiscardo nel 1075. Vi si osserva ugualmente la tomba di Papa San Gregorio VII, che morì dieci anni dopo, e le cui ultime parole
là qu’on observe, pareillement le tombeau du Pape St. Grégoire VII, qui y mourut dix ans après au milieu des tribulations, et dont les dernières paroles furent: Dilexi justitiam et odivi iniquitatem ; propterea morior in exilio. Deux mois après lui, mourait Guiscard, qui doit être rangé avec ce saint Pontife au nombre des hommes les plus marquants du onzième siècle; tous deux sortis du néant, et arrivés tous deux au sommet de la gloire et de la puissance. Près de cinq cents ans après, en 1578, ayant fait la reconnaissance des dépouilles mortelles de cet illustre Pape, on les retrouva intactes avec leurs habits pontificaux. Si je ne rappelle pas avec plaisir que cette cité célèbre vit naître encore le fameux Jean de Procida, c’est que les vêpres siciliennes, dont ce dernier fut fauteur, sont aujourd’hui également blâmées par tous les partis, comme l’est aussi avec non moins de raison le massacre de la St. Barthélemi en France: époques de douloureuse mémoire, où l’on croyait que la violence pouvait remplacer la persuasion, et que de nos jours heureusement nous n’avons plus à craindre. Tout en discourant de la foule des objets qui nous apparaissent dans le lointain, en éveillant nos souvenirs, et s’enfuyent presqu’aussitôt après s’être montrés à notre vue, le soleil avait pendant ce temps parcouru la moitié de sa carrière, et notre steamer s’approchait en attendant de plus en plus de la vaste plaine, au milieu de laquelle on voit de loin s’élever les ruines de Paestum. Déjà bien longtemps avant que nous fussions à portée de pouvoir débarquer, tous les membres de notre comitive, impatients d’arriver, avaient les yeux fixés sur cette terre désirée; lorsque, vers les deux heures de l’après-midi, voilà partir du rivage de Paestum une flottille de trente barques couvertes de tentes élégantes et ornées du pavillon royal. Aussitôt que nous pouvons distinguer les personnes qui venaient à nous dans ces barques, nous reconnaissons dans la seconde le digne marquis de Spaccaforno, intendant de la province de Salerne, accompagné du sous-intendant du même district, du lieutenant de gendarmerie M. Puzio, et de l’inspecteur des antiquités M. Michelange Bellelli, avec lesquels avaient eu l’amabilité de se joindre la spirituelle et belle comtesse de Savignano avec son mari, précédés d’une autre barque remplie par une compagnie de musiciens de Capaccio qui fai saient résonner l’air de joyeuses mélodies; spectacle aussi riant qu’inattendu, et auquel nous nous empressâmes de répondre de notre bord par un hourra général d’applaudissements et de cris de joye, pour saluer à notre tour la courtoise compagnie qui venait ainsi nous accueillir. Une aussi délicate attention, hâtons-nous de le dire, nous avait été préparée encore par le généreux Souverain des Deux-Siciles, qui en avait transmis en conséquence les ordres à S. E. le Ministre de la police générale, le Marquis Delcarretto, auquel la prospérité de ce royaume est si redevable, et qui avait dignement secondé son auguste Maître, en envoyant dès le jour précédent par son officier d’ordonnance, le lieutenant
furono: Dilexi iustitiam e odivi iniquitatem; propterea morior in exilio. Due mesi dopo di lui, morì il Guiscardo, che deve essere segnalato con il suo santo Pontefice nel novero degli uomini più importanti del secolo XI; entrambi venuti dal nulla e arrivati all’apice della gloria e del potere. Quasi 500 anni dopo, nel 1578, dopo aver fatto il riconoscimento dei resti mortali di questo illustre Papa, questi furono trovati intatti con gli abiti pontificali. Se non ricordo con piacere che questa famosa città vide nascere ancora il famoso Giovanni da Procida è che i Vespri Siciliani, dei quali quest’ultimo fu l’autore, sono ora ugualmente biasimati da tutte le parti, come lo è con non meno ragioni il massacro di San Bartolomeo in Francia: epoche di ricordi dolorosi, quando si credeva che la violenza potesse sostituire la persuasione, e che per fortuna oggi non abbiamo più da temere! Discorrendo della moltitudine di oggetti che ci apparivano in lontananza, risvegliando i nostri ricordi, che quasi subito dopo essere apparsi alla nostra vista, il sole aveva nel frattempo percorso metà del suo percorso, e il nostro battello si avvicinava sempre più alla vasta pianura in mezzo alla quale si vedevano da lontano elevarsi le rovine di Paestum. Già molto tempo prima che fossimo in grado di raggiungere terra, tutti i membri della nostra comitiva, ansiosi di arrivare, avevano gli occhi fissi su questa desiderata terra, quando, verso le due del pomeriggio, ecco partire dalla riva di Paestum una flottiglia di trenta barche coperte con tende eleganti ed arredate con la bandiera reale. Non appena fummo in grado di distinguere i personaggi che venivano verso di noi in queste barche, riconoscemmo nella seconda il degno Marchese Spaccaforno, intendente della provincia di Salerno, accompagnato dal sotto intendente dello stesso distretto, dal tenente di polizia signor Puzio e dall’ispettore delle Antichità Sig. Michelangelo Bellelli, con i quali aveva avuto l’amabilità di unirsi la bella contessa di Savignano con il marito, preceduti da un’altra barca con una compagnia di musicisti di Capaccio che suonavano gioiose melodie; spettacolo piacevole ed inaspettato, al quale ci affrettammo a rispondere da bordo con un evviva generale di applausi e grida di gioia per salutare da parte nostra la cortese compagnia che veniva ad accoglierci così. Una così delicata attenzione, ci preme dirlo, ci era stata preparata anche dal generoso Sovrano delle Due Sicilie, che ne aveva trasmesso gli ordini a S. E. il ministro di polizia, il marchese Delcarretto, al quale si doveva la prosperità di questo reame, e che aveva degnamente secondato il suo augusto sovrano, mandando dal giorno precedente a mezzo del suo aiutante, il tenente già nominato sig. Puzio, una lettera al soprintendente di Salerno, al fine di far trovare sulla spiaggia di Paestum, tutto ciò che era La Rassegna d’Ischia n. 6/2016
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ci-dessus nommé M. Puzio, une lettre à l’intendant de Salerne afin de faire trouver sur la plage de Paestum tout ce qui était nécessaire pour le débarquement des voyageurs du Stromboli, et leur transport de là aux antiques ruines. Ces deux derniers, après s’être concertés sur ce qu’il était convenable de faire dans cette circonstance, s’étaient hâtés de se rendre de leur côté sur le même rivage, et c’était par leurs soins que dès le matin du 4 octobre ces trente barques, dont vingt-sept fournies par les marines d’Amalfi, de Vietri et de Salerne, et trois par la douane, toutes couvertes du pavillon national et parées comme pour une fête, s’étaient rendues à la marine de Paestum, et nous avaient procuré en y arrivant le spectacle unique et enchanteur dans son genre, dont nous avons parlé. Il est fâcheux seulement que nous n’ayons pas eu avec nous un Carelli, un Duclaire ou un Vianelli pour le fixer sur la toile, car assurément le coup d’oeil ravissant et animé qu’offrait dans ce moment un pareil tableau aurait mérité d’être conservé par les pinceaux d’aussi excellents maîtres. Mais ce n’était pas tout. A peine débarqués, nous devions tomber de surprise en surprise, et avoir, pour ainsi dire, à chaque pas de nouveaux motifs de gratitude à exprimer envers l’hospitalité prévenante que le meilleur des Rois avait voulu nous témoigner dans cette mémorable journée. A peu de distance de la mer, vingt chars tirés par des boeufs étaient rangés sur une même ligne, tous couverts de tentes de diverses couleurs, ornés de fleurs et de myrthe, et disposés de manière à recevoir cinq personnes commodément assises sur des sièges fixés dans chaque char, tandis que plus loin où terminait le sable et proprement près de la tour de la douane, le même nombre de voitures, dont une partie avait été envoyée de Salerne et le reste par les plus riches habitants de la voisine Capaccio, se trouvaient également préparées pour recevoir les savants à leur descente des premiers chars, et les transporter ensuite par la grande route aux diverses antiquités. Près du temple principal de Paestum, le respectable et prévenant intendant de Salerne avait fait en outre construire deux élégants et grands pavillons, afin que les voyageurs venus avec le Stromboli pussent s’y reposer et y prendre en même temps les rafraîchissements qui nous y vinrent généreusement offerts. Enfin, une compagnie de gendarmerie d’élite à pied et un escadron de cavaliers du même corps, disposés en petits détachements, étaient placés en grande tenue sur la plage où le débarquement avait eu lieu, aussi bien que dans les campagnes environnantes, et garnissaient pareillement les avenues des ruines de Paestum, pour honorer cette journée solennelle. Pouvait-on imaginer une réception plus splendide, et plus digne du bienveillant Roi, qui avait daigné l’ordonner?-....
2- à suivre 58 La Rassegna d’Ischia n. 6/2016
necessario per lo sbarco dei passeggeri dallo Stromboli, e il loro trasporto da lì alle antiche rovine. Questi ultimi due, dopo aver concertato su ciò che era giusto fare in questa circostanza, s’erano a loro volta portati sulla stessa riva, e fu loro cura che la mattina del 4 ottobre trenta barche, ventisette fornite dalla marina di Amalfi, Vietri e Salerno, e tre dalla dogana, tutte munite della bandiera nazionale e ornate a festa, si portassero alla marina di Paestum e ci avevano offerto lo spettacolo unico e affascinante nel suo genere, di cui abbiamo parlato. Fu solo un peccato che non avessimo avuto con noi un Carelli, un Duclaire o Vianelli per fissarlo sulla tela, perché sicuramente l’aspetto affascinante e vivace offerto in questo momento avrebbe meritato di essere conservato dai pennelli di sì insigni maestri. Ma non era tutto. Appena messo piede a terra, abbiamo dovuto passare di sorpresa in sorpresa, e avere, per così dire, ad ogni passo nuovi motivi per esprimere gratitudine alla ospitalità premurosa che il miglior dei re aveva voluto mostrarci in questo giorno memorabile. A breve distanza dal mare, una ventina di carri trainati da buoi erano allineati, tutti coperti di tende variopinte, ornati di fiori e mirto, e organizzati per ospitare cinque persone comodamente sedute sui sedili predisposti in ciascun carro, mentre là dove terminava la sabbia e propriamente presso la torre della dogana, lo stesso numero di vetture, di cui una mandata da Salerno e il resto dagli abitanti ricchi della vicina Capaccio, erano pronte a ricevere gli studiosi alla loro discesa dai primi carri armati e trasportarli per la grande strada alle diverse antichità Vicino al tempio principale di Paestum, il rispettabile intendente di Salerno aveva inoltre fatto costruire due eleganti e grandi padiglioni, in modo che i viaggiatori dello Stromboli potessero riposarsi e prendere al tempo stesso dei rinfreschi che ci vennero generosamente offerti. Infine, una compagnia di gendarmi scelti e uno squadrone di cavalieri dello stesso corpo, schierati in piccoli distaccamenti, erano disposti in alta uniforme sulla spiaggia dove avvenne lo sbarco, così come nelle campagne circostanti, e ornavano similmente le vie delle rovine di Paestum, per onorare questo giorno solenne. Si poteva immaginare una più bella e degna accoglienza dal benevolo re, che si era degnato di ordinarla? ....
2- continua
Le opere di alfonso di spigna sull’isola d’ischia Itinerario Storico -Artistico di Ernesta Mazzella Alfonso Di Spigna e l’isola di Ischia rappresentano un binomio veramente unico per il legame tra l’artista, la committenza, il pubblico e la sua vicenda artistica, che si sviluppa in modo particolare sull’intero territorio isolano. Di Spigna nasce a Lacco il 1° gennaio 1697 da Dionisio e Lucia Castaldo, muore all’età di ottantotto anni il 1° novembre 1785. La produzione artistica del Di Spigna risente l’influenza di grandi maestri come Solimena, Conca, De Mura, del cromatismo acceso del Baciccia, Strozzi, Ansaldo, Piola e Trevisani, stili, forme e colori percepiti e assorbiti durante il soggiorno giovanile nella città di Genova. Le sue opere fanno parte di una produzione locale di ambito devozionale, si ripetono e si riscoprono stilemi e moduli compositivi come il modellato, la stesura cromatica, le fisionomie dei personaggi, in particolare degli angeli e nella dolce figura della Vergine, caratterizzata dal volto arrotondato, dai lineamenti delicati e dalla soave espressione. Lo studioso isclano Giuseppe Alparone ha dedicato al Di Spigna una monografia nel 1968, nella
quale emerge l’immagine di un pittore molto attivo e ricercato, dalla ricca cultura figurativa e ben inserito nella vita isolana. Nell’opera, Vite de’ pittori, scultori ed architetti napoletani, di Bernardo De Dominici è documentato il soggiorno del pittore, durato sette anni, nella città di Genova al seguito di un ignoto cavaliere genovese arrivato ad Ischia per le cure termali. Il Di Spigna rientra ad Ischia intorno al 1735, l’artista opera comunque anche a Napoli, dove, nel periodo 1740-1741, realizza per la chiesa dell’Ascensione a Chiaia la Rinuncia di Celestino V, Agar nel deserto, Abramo davanti agli angeli e quattro pontefici affrescati nei pilastri. L’artista, però lavora prevalentemente per le chiese dell’Isola. Da segnalare in modo particolare la serie di sei ovali realizzati per la Confraternita di Santa Maria di Visitapoveri a Forio, caratterizzati da un cromatismo chiaro e delicato, proprio degli ultimi anni. Inoltre il Di Spigna è stato uno dei più illustri confratelli della Confraternita di Visitapoveri, alla quale risulta iscritto sin dal 1747, e vi ricopre anche le cariche di razionale e di priore, come afferma il Di Lustro.
Ecco alcune indicazioni per un itinerario dedicato ad Alfonso Di Spigna con inizio dal Museo Diocesano in Ischia per raggiungere le varie chiese dell’Isola. Ischia Museo Diocesano • L’arcangelo Raffaele con Tobiolo, attribuito Cattedrale
• San Giuseppe, seconda cappella navata di sinistra Chiesa dello Spirito Santo • La Pentecoste, pala altare maggiore Chiesa di Sant’Antonio • Sant’Antonio • San Giuseppe da Copertino • San Francesco Barano Parrocchia di San Sebastiano
• L’Annunciazione, navata di sinistra • L’arcangelo Raffaele con Tobiolo, navata di destra Forio
Arciconfraternita di Santa Maria Visitapoveri Forio - Chiesa Visitapoveri Visita ad Elisabetta
• Madonna e santi, pala altare • Decollazione del Battista
Forio - Chiesa Visitapoveri Immacolata con santi e committenti
• Sei ovali: Annunciazione, Visita ad Elisabetta, Adorazione dei pastori, Sposalizio della Vergine, Immacolata, Assunzione di Maria
Forio - Chiesa Visitapoveri - Annunciazione
Alfonso Di Spigna
Basilica di Santa Maria di Loreto
• Annunciazione, abside • Presentazione al tempio, abside • Nascita della Madonna, cappella dell’Immacolata, navata di sinistra • Riposo durante la fuga in Egitto, cappella dell’Immacolata, navata di sinistra Basilica di San Vito • Gloria della Vergine con San Vito e Santa Caterina d’Alessandria, pala altare maggiore • Compianto sul Cristo morto, sacrestia
Lacco Ameno
Chiesa dell’Annunziata alla Fundera
• Battesimo di Gesù, affresco
Chiesa di San Francesco Saverio
• Madonna delle Grazie con San Francesco Saverio e Sant’Ignazio, pala altare Chiesa di S. Michele Arcangelo
• Immacolata con Santi e committente • San Michele abbatte lucifero • Adorazione dei pastori Chiesa del Purgatorio
• Madonna delle Grazie con San Giovanni Battista e San Michele Arcangelo, pala altare Museo di S. Maria di Loreto
• Presentazione di Maria al tempio • Visita ad Elisabetta • Adorazione dei pastori
Forio - Chiesa S. Michele S. Michele abbatte lucifero