Sommario
Isole Lofoten Foto di Sergio Pitamitz
Palermo Palermo by Lapa
Myanmar I tempi cambiano, la gente cambia
Maldive 6 nell’anima
Isole Lofoten Oltre il muro di ghiaccio
Germania Il filo verde
Gennaio 2016
Redazione:
Via Pisacane, 26 20129 Milano tel. +39 02.36511073 redazione@latitudeslife.com Foto di Walter Leonardi
Hanno collaborato
Nicola Pagano Aldo Pavan Lucio Valetti Lucio Rossi Gabriella De Fina
Fotografi
Angela Prati Aldo Pavan Sergio Pitamitz Lucio Rossi Walter Leonardi
Pubblicità
Info
Myanmar Foto di Angela Prati
n°89 Gennaio 2016
Direttore Responsabile Eugenio Bersani
eugenio@latitudeslife.com
Photo Editor
Lucio Rossi
lucio@latitudeslife.com
Sales Manager
Lanfranco Bonisolli
lanfranco@latitudeslife.com
Redazione
Francesca Calò
francesca@latitudeslife.com
Graphic
Arianna Provenzano
arianna@latitudeslife.com
Social Media Manager
Marco Motta
marco@latitudeslife.com
Land art in Sicilia
Land art in Sicilia
Land art in Sicilia
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Decappottabili e panoramiche, addobbate come carretti siciliani, vestite a festa per matrimoni e cerimonie, le Api-calesse (ma a Palermo tutti le chiamano lape) sono il mezzo piÚ amato dai turisti che vogliono godersi l’anima vera della città , perchÊ loro, le lape, agili e impertinenti, ficcano il naso, anzi il pungiglione, dappertutto.
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Testo di Gabriella De Fina foto di Walter Leonardi www.walterleonardi.it
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cendi dalla nave e te le trovi lì, appollaiate come grossi insetti, pronte ad offrirti un volo di un’ora nel cuore del cuore di Palermo city. Sì, perché di volo si tratta, sia pure rasoterra, un percorso a rotta di collo tra vicoli e mercati, nel caos vociante delle strade intasate, gestito dai prodi lapa rider che maneggiano manubri come fossero briglie, che fanno inversioni a U in mezzo al traffico e quello, incredibile!, si blocca per farli passare, che frenano a un millimetro dalle auto e si beccano gli sguardi stile “qualche volta ti taglio la faccia” dei tassisti condannati al giro esterno dei quartieri per via delle dimensioni della macchina, e degli gnuri, le cui carrozze hanno il problema che il cavallo nei vicoli scivola sulle balate...
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Ma le lape del Tourist Service di Antonio Guagliardo (Cooperativa Number One, una delle due che ha regolato un servizio che nasce abusivo nel 2009 - al sud c’è l’arte di arrangiarsi si sa - dopo il lancio della Piaggio di un’edizione limitata di 1.000 Api) sono in agguato in tutti i punti chiave del centro storico della città, pronte all’adescamento dei turisti, che all’inizio guardano con sospetto le tre ruote del mezzo e non vogliono salire e alla fine, quando si rendono conto che nei vicoli a piedi da soli non ci sarebbero entrati, e che il caffè buono come quello che gli hanno fanno bere i lapa rider non
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l’avevano mai provato, non vogliono più scendere. “Un Ape tour per Palermo, un’ora 70 euro a prescindere dal numero di passeggeri” ci dice Antonio “non è un giro dei monumenti, è l’unico servizio che riesce a portare i turisti nei vicoli del centro storico, nei quartieri arabi e spagnoli, nei mercati a tutta velocità, perché la lapa s’infila dovunque, e inoltre è panoramica.”“Per portare i turisti in lapa, oltre ad avere le licenze e la patente giusta, devi parlare le lingue” continua Paolo, il suo secondo “io non le ho mai studiate, ma conosco il basic english, un po’ di spagnolo, quieres una cervezita, paramos donde quieres, Palermo è a 180 gradi, aperta a tutto il mondo.
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E adesso su whatsapp ho 350 turisti che mi invitano ad andare a trovarli e mi avvisano se gli nasce un bambino.” Mentre Antonio e Paolo ci spiegano, noi cavalchiamo la regina delle lape, quella con il frontalino giallo e rosso stile carretto siciliano e le portiere affrescate come all’opera dei pupi, e intanto la città scivola sotto i nostri occhi e i panorami cambiano a velocità supersonica: passiamo dai quartieri eleganti del centro con la sfilza di negozi griffati al Teatro Massimo, un’occhiata alla scalinata e alla facciata del Basile e ci ritroviamo dentro il mercato di Ballarò dove
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le chiese bellissime e cadenti si alternano alle trattorie, ai banconi del pesce, al flusso di indiani e arabi, e le urla degli abbanniatori ci perforano i timpani; poi sbuchiamo nell’area pedonale di via Maqueda, dove la nostra lapa sfiora piante e persone, e noi naso all’insÚ a guardare i mascheroni dei Quattro Canti; una sgommata oltre il semaforo e siamo in Piazza della Vergogna ad ammirare la bianca nudità delle statue della fontana Pretoria; poi, dopo una manovra da paura in mezzo ad altre lape trasformiste - quelle bianche addobbate da matrimonio che sembrano il cocchio di cenerentola, quelle con il
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padrino che fuma il sigaro stampigliato sul fondo blu, quelle che si aprono tutte e diventano friggitorie - risaliamo per Corso Vittorio e c’è la Cattedrale arabo-normanna, ma noi abbiamo il privilegio di fotografarla da dietro in un punto in cui la pietra rosa è tutta un ricamo, e prima di arrivare al Palazzo Reale ci infiliamo in un vicolo dove d’un tratto, appoggiati al muro sgretolato, appaiono dipinti di santa Rosalia e scaffali di legno affrescato, quelli dove si vendono la calia e la simenza durante le feste, e quella è l’entrata dell’officina dove si riparano le lape, e poi, non si sa come, ci ritroviamo in Piazza Bologni, dove c’è Palazzo Alliata di Villafranca con i suoi mille tesori d’arte, e intanto la strada si riempie di neri perché lì c’è il centro di accoglienza dell’oratorio di Santa Chiara, e in un lampo siamo già immersi nel via vai di via Roma e spalanchiamo gli occhi davanti alla maestosa basilica di Piazza San Domenico, che negli anni delle stragi ha visto il popolo bagnato di pioggia e di lacrime durante i funerali di Falcone, e scendiamo a rotta di collo verso il mare, facendo lo slalom tra le signore storte dai sacchi della spesa, perché lì c’è una delle entrare della Vucciria, che camminano tra le vetrine abbacinanti del quartiere degli orafi, all’incrocio con vicolo dei Bambinai, dove ancora sopravvive un negozietto che fa i Gesù bambino e gli ex voto, e, passando per via dei Chiavettieri (il cuore della movida Palermitana), raggiungiamo Piazza Marina, dove troneggiano il palazzo dell’Inquisizione e un ficus che è l’albero più grande d’Europa, e ci infiliamo nella
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via Alloro, un tempo piena di carrozze, dove tra i palazzi cadenti spunta una scalinata di marmo rosa che ti mozza il fiato, e le inferriate dei balconi sono panciute perchÊ la dame dovevano farci entrare le loro gonne con il cerchio, e in via Vetriera passiamo davanti all’antica farmacia Borsellino nel quartiere dove il giudice Paolo vide la luce, e dalla Piazza Magione, passando per il Teatro inaugurato nel 1861 da Garibaldi e che perciò porta il suo nome, ci ritroviamo a costeggiare lo Spasimo, la chiesa-teatro a cielo aperto venuta fuori come un miracolo dalle macerie della guerra. Ed eccoci di nuovo alla Marina, passando
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per la kalsa, il quartiere arabo dove il Principe di Salina, dalle ville ai Colli, si recava per andare a incontrare la bella Mariannina; e c’è il palazzo Butera, la Passeggiata delle Cattive, le vedove che solo da quell’osservatorio nascosto e sopraelevato potevano vedere il passio della Marina; e siamo al Foro Italico, il carro di Santa Rosalia, quello dell’ultimo fistinu, è posteggiato in uno spazio vicino al palchetto della Musica, e i nostri chauffeur fermano il traffico con la mano, tagliano la strada a tutti e ci portano dal lato opposto: due enormi birilli d’oro delimitano un corridoio di birilli più piccoli
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e colorati che attraversa il prato e porta fino al mare, una famiglia cingalese la attraversa, sembra di stare in un film di bollywood, in lontananza le gru del cantiere navale, il Monte Pellegrino. Passiamo la Cala, il porticciolo turistico, e siamo di nuovo al punto di partenza... fine della corsa; ma volendo si può proseguire, con una piccola aggiunta monetaria, verso Mondello, la spiaggia, o acchianare alla grotta di Santa Rosalia o farsi tutto il Cassaro dal mare alla montagna e andare a visitare il duomo di Monreale, dopo un giro lungo il percorso arabo-normanno che da qualche mese è diventato patrimonio dell’UNESCO. E se invece vuoi essere lasciato in albergo, no problem, la lapa ti porta pure lì, chissà, magari si trasforma in un’ape gigante, entra dalla finestra della tua camera e ti posteggia, stordito e felice, direttamente sul tuo letto. Si ringrazia Apetour Palermo e la modella Federica Sgroi www.apetourpalermo.it
Testo di Gabriella De Fina e foto di Walter Leonardi © LATITUDESLIFE.COM RIPRODUZIONE RISERVATA
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Come arrivare: In aereo: Palermo è collegata al resto dell’Italia e dell’Europa grazie ai suoi aeroporti: L’aeroporto Internazionale di Palermo (PMO), circa 32 km a ovest della città. L’aeroporto di Trapani, per i voli low cost con trasferimento in pullman per il centro di Palermo. In traghetto: Il Porto di Palermo è collegato via mare con i maggiori porti Italiani tra cui Genova, Civitavecchia, Napoli, La Valletta (Malta) e Cagliari (Sardegna). In treno: Puoi raggiungere Palermo in treno, da Roma o Napoli, con il treno-traghetto che attraversa lo Stretto di Messina.
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Quando andare: Clima: Il clima di Palermo è temperato delle medie latitudini con la stagione estiva asciutta e calda e inverno fresco e piovoso. Le stagioni intermedie hanno temperature miti e gradevoli. A volte nel capoluogo, come nel resto delle città costiere della Sicilia, possono registrarsi durante le sciroccate più intense massime superiori ai 20 °C anche in pieno inverno. Le temperature minime sotto lo zero sono estremamente rare. Dove dormire: “La Domus dei Cocchieri”, tel. 091 332990 prezzi da 50 a 70 euro doppia con breakfast. Dove mangiare: Nni Franco U’ Vastiddaru, Corso Vittorio Emanuele, 102, 091-32-59-87. Si mangia all’aperto la cucina tipica di Palermo.
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Shopping: I mercati di Palermo sono tra i piÚ vivaci e colorati del sud Italia. Da non perdere La Vucciria, il Capo e Ballarò.
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Suggerimenti: Ape Tour palermo Number One. Le Ape Calesse della Cooperativa Number One sono equipaggiate con dispositivi con auricolari multilingue con minuziose spiegazioni dei Monumenti. Via Francesco Paolo Perez,28 Palermo, info@apetourpalermo.it T.+39 345 1642361. Link utili: Palermo Turismo Tour a Palermo Regione Sicilia Turismo
Il posto
Domus dei Cocchieri Palermo
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ia Alloro è come un elastico disteso in mezzo al cuore di Palermo, tra il quartiere arabo della Kalsa e il sontuoso barocco dei Quattro Canti. Una lunga strada stretta e lastricata che corre come attraverso secoli, dal mare alle grandi piazze barocche dei principi palermitani. Nella parte bassa di via Alloro, proprio al centro della Kalsa dove si allarga una breve piazzetta, Piazzetta dei Cocchieri, si incontra il nobile palazzetto Mangione. Qui, al primo piano, ecco “La Domus dei Cocchieri”, B&B che vi lascerà sorpresi e felici. Un appartamento sventrato e magnificamente riattato dal proprietario, architetto e storico della città, che offre 3 camere e una suite, affrescate e arredate con pezzi d’epoca, mobili antichi, dipinti e pale dell’opera dei pupi. Ogni stanza è un piccolo capolavoro colorato e con carattere. Bagno privato, wi-fi gratuito, doccia e tv, completano l’offerta. La colazione è sontuosa e casalinga insieme: torte che la proprietaria sforna ogni giorno, dolci al pistacchio, frutta fresca e ogni ben di Dio escono dalla cornucopia che è la cucina della Domus.
Il posto
Domus dei Cocchieri Palermo
Domus dei Cocchieri B&B www.bb-domus-dei-cocchieri.hotelspalermo.net tel. 091 332990 prezzi da 50 a 70 euro doppia con breakfast
Il posto
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I tempi sono cambiati, la gente è cambiata
I tempi sono cambiati, la gente è cambiata
M Y A N M A R
I TEMPI SONO
CAMBIATI
la gente è
CAMBIATA Queste le parole di Aung San Suu Kyi all’indomani delle prime elezioni libere in Birmania che hanno visto la sua affermazione. Ma nel Paese asiatico sopravvivono molte minoranze etniche indipendenti e fiere che ancora aspirano all’autonomia. Testo di Nicola Pagano Foto di Angela Prati www.angelaprati.com
Myanmar
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I tempi sono cambiati, la gente è cambiata
I tempi sono cambiati, la gente è cambiata
I tempi sono cambiati, la gente è cambiata
I tempi sono cambiati, la gente è cambiata
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anelito alla libertà deve essere una questione genetica nella famiglia Aung San. Concetti quali giustizia e democrazia trasmessi con il DNA dal padre Bogyoke Aung San alla figlia Aung San Suu Kyi. La bimba aveva solo 2 anni quando, nel 1947, il padre fu assassinato dal governo militare birmano a causa della sua attività politica democratica e antimilitarista. Ma oggi, dopo anni di diritti negati, violenze, isolamento, repressione e politiche economiche disastrose, la lotta di Bogyoke per il Myanmar si conclude con la vittoria di Aung San Suu Kyi, che ha dedicato la propria vita alla causa del padre. Il pugno di ferro militare, durato oltre 30 anni, è finito e per la Birmania comincia una nuova era.
I tempi sono cambiati, la gente è cambiata
I tempi sono cambiati, la gente è cambiata
I tempi sono cambiati, la gente è cambiata
I tempi sono cambiati, la gente è cambiata
Tra i tetti dorati delle pagode di Yangoon è tornata l’effige del “Padre della Patria”, proibita durante la dittatura e l’abitazione di Suu Kyi, in cui la Premio Nobel per la Pace trascorse anni agli arresti domiciliari, è meta di pellegrinaggio. La sua figura esile, la non violenza, la pazienza testarda tipica del mondo asiatico contrastano con lo spirito combattivo e irriducibile che hanno condotto Aung San Suu Kyi al trionfo democratico ancora una volta, venticinque anni dopo che la giunta militare aveva annullato l’esito elettorale.
I tempi sono cambiati, la gente è cambiata
La fine della dittatura militare, che nei decenni ha alimentato odi etnici e traffici illeciti di ogni genere nel famigerato triangolo d’oro, lascia un Paese in pezzi. Nelle regioni nord orientali di Shan e Kayah, storicamente ribelli e frammentate, soggette nei secoli a migrazioni di popoli confinanti, sopravvivono decine di gruppi etnici disomogenei, la cui convivenza è sempre stata problematica. Campioni di equilibrismo, i pescatori Intha del lago Inle, remano con una sola gamba sulle affilate piroghe.
I tempi sono cambiati, la gente è cambiata
I tempi sono cambiati, la gente è cambiata
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“
Nelle regioni nord orientali di
Shan e Kayah, storicamente ribelli e frammentate, soggette nei secoli a
migrazioni di popoli confinanti, sopravvivono decine di gruppi etnici DISOMOGENEI, la cui convivenza è sempre stata PROBLEMATICA .
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Detti “i figli del lago�, si sono adattati perfettamente alla vita lacustre costruendo villaggi palafitticoli con orti galleggianti. Nel magico labirinto formato dall’incontro del fiume Beluo Chaung con il lago, tra vestigia di antiche pagode e villaggi sospesi, si incontra anche il popolo Pa-O, gente dal carattere socievole che anima i mercati e si distingue per il tipico copricapo femminile si colore rosso a quadretti. Le atmosfere mistiche fatte di luci crepuscolari, riflessi e ombre nelle nebbie, campanelli
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nel vento che celano templi antichi e buddha dormienti lasciano spazio a una regione collinare impervia, il Kayah, a sud del lago Inle. Qui abita l’etnia più stravagante del Myanmar, i Padaung. Le loro donne portano per tradizione, fin da bambine, pesanti anelli di ottone attorno al collo. Aumentano gli anni, aumentano gli anelli e il collo si allunga... per questo sono tristemente note col nome di “donne giraffa”, le più gettonate dai turisti! Le foreste e le montagne del Kayah sono punteggiate di villaggi Karen “Rossi”, con il caratteristico mantello scarlatto.
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Nel totale isolamento, i Karen hanno mantenuto integro un sistema di credenze superstiziose legate ai “Nat”, spiriti benigni o maligni che interferiscono con la vita degli uomini e richiedono sacrifici e cerimonie. Anche le loro abitazioni, costruite su palafitte, sono protette da misteriosi feticci ed amuleti. Nell’est dello Shan si è sempre coltivato il papavero da oppio. Chengtong, il capoluogo della regione è stata per anni al centro del fuoco incrociato dei signori della droga ma oggi, nelle sue strade tempestate di pagode, regna la pace. Questa travagliata regione di confine fra Cina, Thailandia e Laos ha dato rifugio, nei secoli, a decine di minoranze etniche dai costumi unici. Le tribù di montagna sono collegate tra loro da una fitta rete di sentieri percorribili solo a piedi. Nei mercati si incontrano donne di varie etnie, come le “silver” Palaung che indossano una preziosa, alta cintura d’argento e le Akha, che risaltano per il luccicante copricapo decorato con palline argentate e antiche monete. Questo popolo, di origine sino-tibetana, è diffuso in tutto il sud-est asiatico e nella Cina meridionale.
I tempi sono cambiati, la gente è cambiata
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Dedito all’agricoltura distruttiva del “taglia e brucia”, gli Akha sono anche abili cacciatori e raccoglitori. Gli Enn popolano le stesse colline e si riconoscono per il vizio di masticare la noce di betel che a lungo andare, annerisce indelebilmente la bocca; neri sono anche i loro costumi. La vita, in queste zone remote, scorre fuori dal tempo, segue i ritmi scanditi dalle stagioni e la tradizione rimane ancora l’unica regola.
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Se la genetica di libertà e progresso della famiglia Aung San darà finalmente i suoi frutti, il difficile sviluppo che attende il Myanmar sarà comunque percepito con diffidenza e sospetto da queste minoranze indipendenti e fiere.
Testo di Nicola Pagano e foto di Angela Prati © LATITUDESLIFE.COM RIPRODUZIONE RISERVATA
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Birmania
Informazioni: La Birmania non possiede una rappresentanza turistica in Italia, per informazioni più approfondite sul Paese ci si può rivolgere all’Ambasciata del Myanmar in Italia. Come arrivare: Malaysia, Singapore, Thai e Lufthansa hanno i migliori collegamenti e i migliori prezzi per i voli dall’Italia a Yangon.
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Quando andare: Clima: Il clima è altamente influenzato dal regime monsonico delle diverse regioni. Generalmente si considera caratterizzato da 3 stagioni: da marzo a maggio quella calda; da giugno a ottobre quella piovosa; da novembre a febbraio quella secca e più fresca, questa è anche ovviamente la migliore per visitare il Paese.
Dove dormire: Dormire in Birmania costa poco, soprattutto se privilegiano le guesthouse presenti ovunque la cui qualità può variare molto. Sono difficili da prenotare poiché spesso non hanno sito internet. Non si può fare altro che recarvisi di persona. Dove mangiare: Il Paese presenta una vasta offerta di piccoli ristoranti a prezzi bassi dove si gusta l’ottima cucina locale. Anche lungo le strade i semplici carretti che offrono street food sono una valida alternativa per i più arditi che non si fermano di fronte alle apparenze. Costano pochissimo e permettono di assaporare la cucina locale. Se avrete nostalgia del cibo internazionale potrete trovare rifugio nei ristoranti degli hotel.
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Viaggio organizzato: Il tour operator Kel12, specializzato in viaggi culturali e di scoperta, propone diversi itinerari in Birmania; tutte le info alla pagina Kel12.
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Fuso orario: + 5,5 h di differenza conl’Italia; + 4,30 h quando da noi vige l’ora legale. Documenti: Passaporto con validità residua di almeno 6 mesi e visto da richiedere all’Ambasciata dell’Unione del Myanmar di Roma, Via della Camilluccia 551, t. 06 36303753. Vaccini: Consigliate le profilassi antiepatite, antidifterite e antitifica (ma in genere è sufficiente bere acqua in bottiglia per evitare la maggior parte dei disturbi gastrointestinali). Le strutture sanitarie locali sono spesso scadenti e inadeguate e le condizioni generali igienico sanitarie del Paese sono decisamente precarie. E’ sempre buona norma chiedere un parere aggiornato all’Ufficio d’Igiene prima della partenza. %&x
Lingua: La lingua ufficiale è il birmano parlato da circa l’80% della popolazione, ma convive con centinaia di lingue e dialetti. L’inglese è parlato nelle città principali e nelle zone turistiche. Religione: Quasi il 90% della popolazione è buddista. Il resto è suddiviso tra cristiani, musulmani, hindu e animisti.
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Birmania
Valuta: Il Kyat è la moneta locale ed è sottoposta a frequenti fluttuazioni. Al momento in cui queste informazioni sono redatte 1 Euro corrisponde a circa 1400 Kyat. I dollari hanno più circolazione rispetto agli euro, le banconote devono essere in buone condizioni. Le carte di credito hanno pochi impieghi, solitamente vengono accettate solo negli hotel di lusso. Tutto il resto si paga in contanti.
Elettricità: 230V 50 Hz, consigliabile portare con se un adattatore universale per evitare problemi con la ricarica delle apparecchiature fotografiche. L’energia elettrica può mancare di frequente e solo i grandi alberghi hanno generatori funzionanti e affidabili. In molti centri di piccole dimensioni è cosa comune trovare solo le candele. Telefono: Prefisso internazionale 0095. La copertura cellulare è scarsa al di fuori delle città. Chi vuole mantenere contatti telefonici costanti deve procurarsi una scheda SIM locale. Gli internet café si trovano solo nelle grandi città. Abbigliamento: Abbigliamento pratico e sportivo; cappellino, occhiali da sole e creme protettive, scarponcini da trekking e/o scarpe sportive con suola antiscivolo, coltellino multiuso, borraccia, torcia, collirio, repellenti per zanzare; farmaci di uso personale. Si consiglia di utilizzare di preferenza valigie/borse morbide.
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I tempi sono cambiati, la gente è cambiata
Shopping: Oggetti tradizionali in legno, statue, gioielli delle popolazioni locali, abiti, borse e tessuti; tutto solitamente a prezzi molto contenuti. Nei negozi in città si possono trovare anche pezzi più pregiati, quali mobili e tessuti antichi.
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Suggerimenti: Indossare un abbigliamento attento alle usanze locali sarà considerato un segno di rispetto e sarà sempre apprezzato. Se si desidera visitare pagode e monasteri ricordarsi togliersi calze e scarpe. Lo stesso vale se si viene invitati in una abitazione privata. La religione buddista prevede che non si tocchi nessuno in testa, nemmeno i bambini e i ragazzi, perché nel capo risiede la parte sacra del corpo.
6 nell’anima
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Maldive
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Certo, il nome è evocativo. Al Six Senses Laamu le Maldive si vivono in tutti i sensi: mare cri stallino a perdita d’occhio, relax e coccole pieds dans l’eau, una proposta gastronomica sempli ce ma strepitosa. E ha un’unica pretesa: graffia il blu sconfinato con un’anima green. Testo e foto di Lucio Rossi
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tollo di Laamu, pianeta a sud della grande costellazione delle Maldive che fluttua nel blu dell’Oceano Indiano. 15 minuti di navicella dall’aeroporto di Kadhuhoo e ti trovi ammarato tra 82 isole, di cui 12 abitate, spiaggiando in fine in mezzo a una teoria di palafitte che sembrano spuntate da sole, così perfettamente integrate col tutto. E il tutto qui si fa presto a capire cos’è: una galassia acquatica, che va dai toni dell’azzurro al verde smeraldo, e abbraccia sprazzi di natura selvaggia, lambisce lingue di sabbia bianchissima dove pensi che quasi non sia contemplabile l’umanità.
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Invece qui è tutto pieno, nonostante l’isola sembri pressoché deserta. Perché questo è un resort, ed è molto diverso dalle magioni che uno si immagina. Qui ogni ospite ha la sua piccola isola da vivere a ritmo rigorosamente slow, un paradiso intimo che è l’elogio della lentezza. Il prodigio si chiama Laamu Six Senses, e porta la firma di Sonu Shivdasani, pioniere arcinoto dell’ospitalità di alto livello che ha sposato la causa dell’eco sostenibilità. Gli eccessi sono quindi banditi: in
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fin dei conti, il vero lusso è fare una vacanza “come vuoi tu”, almeno è quello che ti ripetono per tutta la durata del soggiorno. E allora meglio lasciare a casa le Louboutin e infilarsi gli infradito, perché queste che sembrano le Isole dei beati in Oceano Indiano non si può che godersele comodi. Il piglio è down to earth, senza pretese e d’altro canto lo scenario strepitoso dovrebbe dissuadere dal chiedere di più. Al resto, ci pensa lo staff, che con mano quasi invisibile trasforma il semplice in esclusivo. Sarà mica questa la felicità?
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Maldive evergreen Può il paradiso essere green? Sembrerebbe di sì, anche in questa porzione di terra così celestiale. Perché il benessere degli ospiti passa innanzitutto dal benessere dell’isola, preservandola e mantenendola incontaminata. Qui si ricicla, ma soprattutto si minimizzano i rifiuti. Per capirci, i fornitori sono pregati di non mandare plastica inutile sull’isola e agli ospiti stessi viene chiesto di riportare con sé contenitori di plastica di creme e shampoo, perché smaltire costa e inquina.
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Il mantra è zero waste concept e risparmio energetico: si contengono le emissioni, l’acqua impiegata viene desalinizzata. Il resort stesso conduce programmi di insegnamento nelle isole circostanti abitate dalle popolazioni locali per istruire su come riciclare. Il rispetto dell’ambiente si insegna attraverso lezioni condotte dai biologi marini che spiegano l’importanza della conservazione delle specie e della barriera corallina, che qui è praticamente intatta e rappresenta la maggior ricchezza di tutto l’atollo.
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Come se non bastasse, tutti gli ospiti che occupano un bungalow hanno accanto un GEM (guest experience maker) che li assiste durante tutto il soggiorno. Chi lavora qui viene sottoposto a un training di cinque giorni per apprendere a ridurre la produzione di rifiuti inutili. Ad esempio le lavatrici del reparto lavanderia devono funzionare solo a pieno carico e c’è anche il giorno senza aria condizionata: per 5 ore un giorno alla settimana niente aria condizionata negli uffici. Un bel sacrificio a queste latitudini dove il sole ti divora. Eco è chic 97 ville in legno a basso impatto ambientale che si adagiano sul mare, sulla spiaggia e che si mimetizzano tra le mangrovie. Il design è ricercato, gli interior, minimal e di stile, sono costruiti con materiali riciclabili, legno e tessuti, che provengono dalla produzione locale. Gli arredi del Six Senses riflettono i valori dello Slow Life (Sustainable, Local, Organic, Wellness, Learning, Inspiring; Fun, Experiences), il progetto ambientale e sociale sposato dal marchio. Certo, non mancano i migliori comfort: Docking Station, impianto satellitare, schermo da 37 pollici e WiFi;ma l’intrattenimento vero è all’esterno. Dal pontile privato la vista sulla laguna è spettacolare e invita al relax.
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Benessere in tutti i sensi La formula è vincente e affonda le basi nella visione olistica del suo fondatore. L’intento di Sonu Shivdasani e di sua moglie Eva, creatori del Six Senses, è quello di far abbracciare il benessere del luogo con il benessere fisico e spirituale di ogni ospite. Immersa nella vegetazione selvaggia, la Laamu Six Senses Spa offre una struttura dal design raffinato dove rilassarsi e prendersi cura di sé. Corsi Yoga, medicina ayurvedica, massaggi orientali: la parola d’ordine è relax. Terapisti altamente qualificati utilizzano prodotti naturali in una gamma infinita di
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trattamenti esclusivi: dai trattamenti di bellezza, a quelli estetici, al ringiovanimento. Senza dimenticare le cure locali. A disposizione degli ospiti, operatori esterni offrono consulenze per intraprendere uno stile di vita sano e per trattamenti olistici specializzati. A qualcuno piace freddo, esotico e bio E il benessere passa anche dal cibo. Dall’orto organico posto nel centro dell’isola provengono tutti gli alimenti vegetali e le materie prime impiegate nel Leaf, il ristorante vegetariano che è tra i più gettonati dagli ospiti.
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La filiera è cortissima: gli chef lavorano in stretto contatto con i coltivatori e tutto il pescato è quello dei produttori locali, garantendo così materie prime freschissime e un’economia territoriale virtuosa. Non mancano le proposte di cucina internazionale, nel ristorante Longitudine, mentre gli amanti dell’esotico dovranno provare lo Zen, che propone cucina in stile giapponese per solo 12 fortunatissimi. I golosi faranno tappa a Ice
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& Chocolate, gelateria artigianale con più di 40 gusti, difficile assaggiarli tutti. L’ultimo grillo per la testa? Un brindisi finale al tramonto al Chill Bar, con vista sull’anima infuocata della laguna.
Testo e foto di Lucio Rossi © LATITUDESLIFE.COM RIPRODUZIONE RISERVATA Ha collaborato Francesca Calò
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Maldive
Informazioni: Laamu Six Senses Informazioni in Italia: sixsenses@clubsnc.com.
Come arrivare: Si vola da Milano Malpensa e Roma Fiumicino alla capitale Malè con Qatar Airways via Doha. Dall’Ibrahim Nasir International Airport di Malè ci si sposta al terminal dei voli domestici in attesa del volo interno (dura 50 minuti ed è operato dalla compagnia Maldivian) per Kadhdhoo, da qui ancora un transfer di 15 minuti con una barca veloce per Laamu.
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Quando andare: Clima: la stagione migliore per una vacanza alle Maldive è tra dicembre e aprile. Questa è però l’alta stagione, quindi gli alberghi sono pieni e prezzi sono più alti. Tra maggio e novembre, invece, i prezzi sono più bassi e i turisti sono meno ma può esere nuvoloso e ogni tanto piove. I due mesi intermedi, cioè novembre e aprile, sono caratterizzati da maggior trasparenza dell’acqua e migliore visibilità. Viaggio organizzato: Gattinoni Travel Experience.
Fuso orario: Quattro ore avanti con l’ora solare, tre quando è in vigore l’ora legale.
Documenti: Per entrare nella Repubblica delle Maldive non è necessario alcun visto, è sufficiente essere in possesso di un biglietto di andata e ritorno. Il visto turistico di trenta giorni è concesso direttamente in aeroporto al momento dell’ingresso nel Paese.
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Vaccini: Nessuno obbligatorio.
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Lingua: La lingua ufficiale è il dhivehi. Ma nei resort la lingua ufficiale è l’inglese. Ovviamente per compiacere gli ospiti si parlano tedesco, francese e a volte anche l’italiano. Religione: Musulmana sunnita.
Valuta: Rufiya (Rf); 1 Euro equivale a 18,95 Maldive Rufiya. Tuttavia tutti i conti si pagano in Dollari americani e in Euro. Elettricità: Il sistema elettrico funziona a 230-240 Volt. Consigliato un adattatore universale se avete molti apparecchi da ricaricare. Telefono: Il prefisso per chiamare le Maldive dall’Italia è 00960. Le comunicazioni dei cellulari sono assicurate dagli operatori Dhiraagu o WMOBILE con standard GSM 900/1800 o 3G. Abbigliamento: A Laamu la parola d’ordine in fatto di abbigliamento è ‘Casual dress code’che significa che non è richiesto alcun abbigliamento particolare a parte quello suggerito dal buon senso di chi viaggia ai tropici. Da ricordare solamente di non presentarsi in costume da bagno al ristorante. Per gli uomini la sera sono indicati i pantaloni lunghi. Va ricordato che nudismo e topless sono vietati e sono considerati un’offesa per i costumi locali.
Oltre il muro di ghiaccio
OLTRE IL MURO DI
G H I AC C I O N O R V E G I A LO F OT E N
Oltre il muro di ghiaccio
Certo deve piacerti il freddo se vieni da queste parti invece di scegliere una spiaggia dei Caraibi. Quella sensazione di vigore che il freddo ti dà , quella reazione vitale che ti provoca. Questa è la Norvegia estrema e solitaria. Testo di Lucio Valetti Foto di Sergio Pitamitz www.pitamitz.com
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eve, neve, e ancora neve. Fresca e farinosa da affondarci dentro fino a superare le ghette, ghiacciata da sentirla sfrigolare sotto le suole, dura come quella sui marciapiedi di New York o QuÊbec City da non riuscire a stare in piedi. E poi soffice e morbida capace di annullare tutti gli spigoli, gli angoli, e far diventare sinuoso tutto il paesaggio. Oppure frantumata, sgretolata e gettata in faccia a cento all’ora come una gragnuola di aghi dal vento gelido del nord in questo meraviglioso mondo candido. Tante sfumature di bianco in un vivace, continuo cambio di umore del tempo, tra nevicate improvvise e violente, e magnifiche, inaspettate schiarite, su tra le isole norvegesi oltre il Circolo Polare, in questa primavera nordica che ha ancora le magie dell’inverno senza avere la cupa angoscia della notte perenne.
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Marzo, aprile, il bianco lascia qualche spazio, qualche metro quadrato di terra scura emerge piano piano. Ma è ancora freddo. Il mondo conosciuto, i giardini di Oslo, le piazze di Bergen, li scavalchi in aereo. Un salto per superare la civiltà urbana e tutto il resto e finire nel silenzio di Evenes. Un aeroporto, gli abitanti di un quartiere della capitale, un albergo, uno spiazzo dove il giorno dopo recuperi la tua auto a noleggio, il tuo cavallo con gomme chiodate per un’avventura on the road. Perché da qui parte una strada che si arrampica verso
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una dimensione diversa. E’ la E10 che vaga come una spettacolare pista di kart dentro il paesaggio contorto di questo bordo frantumato della Norvegia fatto di fiordi, qui ancora più sbriciolato e spaccato in tante isole. Obbiettivo Andenes, isole Vesterålen, punto estremo, 200 chilometri più su, ultimo balcone sul mare. Tre o quattro ore di viaggio, tra una breve tempesta, la tappa d’obbligo al Inga Sami Siida, un insediamento sami, una specie di museo vivente che mostra le tradizioni di quelli che un tempo chiamavamo lapponi.
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C’è una grande tenda, tipo teepee indiano, ci sono loro che spiegano un po’ di tradizioni, ci sono le renne nei recinti. Turisticamente curioso. Le renne le incontri anche fuori di recinti. Sembrano più felici anche se più affamate. Solitarie e galoppanti nella neve o in piccoli gruppi lungo le rive di un torrente. Sono libere ma tutte, o quasi, hanno un proprietario e più avanti nella stagione verranno radunate in grandi mandrie. Andenes, isola di Andøya, una delle cinque isole dell’arcipelago di Vesterålen collegate tra di loro da ponti
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spettacolari. Ci si arriva piano piano perché qui i limiti sono da centro storico anche nei lunghi rettilinei che ogni tanto attraversano grandi spianate. Case basse, strade ghiacciate, poche auto, nessuno in giro. E’ la città delle balene. E del faro. Un faro rosso alto 40 metri che ancora funziona dal 1859. C’è un ufficio che organizza gli whales safari là fuori in quel mare grigio e blu notte che fa paura solo a vederlo. Trupponi di turisti giapponesi imbarcati, molti italiani, pillole anti mal di mare distribuite come noccioline, un capodoglio che spunta, una coda che sbatte le onde. Se hai fortuna è un bello spettacolo.
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Che notte strana era stata, poi, la prima notte di Andenes. A piedi, fuori dall’albergo, nel cuore del centro, forse un’auto in giro, forse due, le case basse con tutte le finestre illuminate e immagini la vita là dentro in un ambiente surriscaldato per smaltire il freddo del giorno ma nessun fumo dai camini perché ci si scalda con l’elettricità, e improvvisamente il cielo che diventa verde. Striature verdastre in movimento, come fragili nuvole spazzate dal vento. Non capisci subito quel che succede se non hai mai visto un’aurora boreale. La cinta, il limite dove si può assistere a questo fenomeno passa proprio di qui e dalle isole Lofoten c’è anche un centro che lo studia, che manda i bollettini sul grado di probabilità che il fenomeno accada. Le Lofoten sono l’altro gruppetto di isole da queste parti. Più note, forse. Il paesaggio non cambia, la strada neppure, i ponti sono sempre spettacolari e immagino gli ingegneri che godimento a disegnare su questo ammasso di scogli, pianure, fiumi e laghi un qualcosa di percorribile. Sono più a sud le Lofoten.
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La strada passa per Andøya, è una “strada turistica nazionale”, va vedere una magnifica costa frastagliata, i villaggi di case rosse sul mare, le pianure verso l’interno di torba e paludi, montagne scure che arrivano a 700 metri. Obbiettivo Svolvær, la città. Questa volta una città quasi normale. Un museo, un grande porto, un villaggio turistico, battelli che ti portano fuori in mezzo alle isole a guardare le aquile pescatrici pescare quasi a comando e, noi turisti, a pescare con la lenza e incredibile facilità enormi merluzzi intontiti e sfiancati dal viaggio
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attraverso lo stretto di Bering che graziose hostess sulla barca sventrano e sfilettano con le mani insanguinate e determinazione da marinaio per chi se li vuole portare a casa. E ti chiedi se usciresti mai con una ragazza capace di usare il coltello in quel modo. E’ la stagione dei merluzzi questa, il cod fish, che poi, decapitato, squartato diventa stock fish, pesce da stoccaggio diventato poi lo stoccafisso con libera traduzione. Li vedi i milioni di merluzzi destinati a diventare baccalà con polenta appesi su enormi strutture di legno ad essiccare.
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Basta il vento secco di queste parti per fare il lavoro. Vicino a SvolvÌr si va a vedere una fish factory, la fabbrica dei baccalà . Una catena di montaggio perfetta. In banchina arrivano i pescherecci con grandi cassoni pieni di merluzzi. Nastri trasportatori li inviano verso l’interno della
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fabbrica e schiere di lavoratori decapitano, sventrano, sfilettano quelli che qualche ora prima erano speranzosi aitanti esemplari arrivati fin qui per riprodursi. E di baccalà e di noi che andiamo a vederli vivono le piccole Lofoten. Testo di Lucio Valetti e foto di Sergio Pitamitz Š LATITUDESLIFE.COM RIPRODUZIONE RISERVATA
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Isole Lofoten
Informazioni: Per informazioni su un viaggio in Norvegia visitare il sito Visit Norway dell’Ente del Turismo norvegese. Per informazioni sulle isole Lofoten potete visitare questa pagina Visit Norway. Informazioni sulle aurore boreali: Per sapere tutto sulle aurore boreali si può visitare il sito di Polarlight Center, stazione scientifica sulle isole Lofoten, un luogo di osservazione privilegiato. Come arrivare: Con SAS via Oslo da Roma, Milano e altre città italiane.
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Quando andare: Clima: Le Isole Lofoten si possono visitare tutto l’anno. Per le aurore boreali il periodo migliore sono i mesi di ottobre/ novembre e febbraio/marzo. Il clima è piuttosto rigido anche se le temperature difficilmente scendono sotto i -15°. Dove dormire: A Evenes, il Fjordhotell (Strandveien 82, 8533-Bogen, Norvegia, tel. 0047-76982130, a 15 minuti dall’aeroporto di HarrstadNarvik, servito da un bus navetta, e all’inizio della strada che porta alle Lofoten. Albergo di passaggio con una bella vista e un ristorante accettabile. A Andenes, Hotell Marena (Storgata 15, 8480-Andenes, Norvegia, tel.0047-91583517, proprio in centro alla cittadina, molto piacevole e curato. A Svolvær, capoluogo delle Lofoten, lo SvinøyaRorbuer, splendida sistemazione a un chilometro dal centro del paese. E’ un villaggio turistico formato da tante tipiche casette di legno affacciate sul porto. Dove mangiare: A Evenes, RiggenRestaurant, presso il Whalesafari center, un grande, affollato, tipico ristorante norvegese, atmosfera nordica e clientela variopinta. Ottimo il cibo. A Svolvær il BørsenSpiseri, ristorante del villaggio SvinøyaRorbuer, scenografia spettacolare e piatti tradizionali cucinati con cura. serve specialità locali di pesce.
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Documenti: Carta d’identità valida per l’espatrio. Vaccini: Nessuno.
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Lingua: Norvegese, ma l’inglese è parlato perfettamente ovunque. Religione: Evangelico-luterana.
Valuta: Corona norvegese. 1 Euro corrisponde a circa 9,6 NOK. Elettricità: 220 volts. Prese di tipo Schuko (tedesco).
Telefono: +47. Copertura mobile, sia voce che dati ovunque. Roaming molto conveniente se viene scelto il giusto contratto prima di partire dall’Italia. Abbigliamento: Tecnico invernale, da montagna meglio che da sci.
Shopping: Maglioni di lana e stoccafisso sono gli acquisti tradizionali. Suggerimenti: Documentarsi bene sull’abbigliamento da portare e sull’attrezzatura fotografica. Link utili: Sito ufficiale delle Isole Lofoten
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IL FILO VERDE Per quasi 40 anni castigo per gli uomini, la ex striscia di confine che ha separato l’Europa è stata per la natura una benedizione. Il limite mortifero oggi disegna la linea della vita, con un tesoro inaspettato di biodiversità. Testo e foto di Aldo Pavan www.aldopavan.it
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GERMANIA
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in da piccola ho sempre visto queste torrette, per me qui finiva il mondo, oltre non esisteva nulla. E quando passavano i soldati con i kalashnikov tremavo dalla paura”. Il sole basso illumina il viso di Monika e il suo sorriso risplende, gioioso. La sua terra oggi è diventata un giardino fiorito. Il suo grande cane nero si impegna in scorribande oltre l’ex confine, lungo i sentieri che si intrecciano nel parco dello Shaalsee, un’area umida che si estende a sud di Lubecca. Qui si accavallano storie che sembrano ormai trapassate, cadute nell’oblio.La vecchia frontiera tra le due Germanie aveva tagliato in due il grande lago. Adesso la natura si è riappropriata dello spazio che le era stato rubato.
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Il terrore ha lasciato il posto al verde. La cortina di ferro, lunga 1393 chilometri, è diventata luogo di unione, anziché di separazione. In 25 anni, sono stati divelti i cippi di confine e con loro i reticolati e i posti di frontiera attrezzati con diabolici meccanismi per impedire ai tedeschi della DDR, la Germania comunista, di scappare verso il presunto benessere dell’occidente. In questa fuga verso la libertà hanno perso la vita più di mille persone. A questi assassini, purtroppo, si devono aggiungere i misteriosi decessi che sono seguiti alla caduta del muro,
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probabili vendette perpetrate dalle vittime contro i carnefici. Adesso la cortina di ferro è stata ribattezzata: qualcuno ha deciso di chiamarla Grüne Band, cintura verde, con l’obiettivo di far nascere parchi e aree protette che sfruttino le vaste zone che un tempo occupavano i militari e le guardie di frontiera. L’idea è subito piaciuta anche agli amministratori locali e ai politici che l’hanno fatta propria per trasformarla nel simbolo della nuova Germania unita. Intanto a livello internazionali è nato un organismo che si batte per la realizzazione di una Green Belt che parte dalla Finlandia e che arriva al Mediterraneo.
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Al progetto ha dato l’adesione anche Green Cross International, il movimento ambientalista patrocinato da Mikhail Gorbaciov. Carta geografica alla mano si segue un insolito itinerario che si snoda da nord a sud della Germania, dal Meclemburgo fino alla Turingia, passando per la Sassonia. E’ un alternarsi di aree verdi, di parchi e di città storiche ma anche di musei dedicati proprio a quel periodo storico che ha visto la Germania divisa dalla logica dei blocchi geopolitici contrapposti e dalla guerra fredda. A sud del parco dello Shaalsee il fiume Elba è un nastro azzurro che si insinua tra dolci colline. La cortina di
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ferro correva proprio qui sulla riva destra. Vecchie torrette in legno sono ormai cimeli storici. A cavallo del vecchio confine è nato il parco Meclemburgo Elba. A Rßtemberg una casermetta delle guardie della DDR è diventata una casa privata che i proprietari affittano ai turisti di passaggio che seguono il corso del fiume in bicicletta lungo una ragnatela di percorsi ciclabili. Un nuovo ponte sul fiume collega le due sponde e permette ai turisti di visitare la bella cittadina di Salzwedel le cui case hanno facciate a graticcio che sembrano uscite da una fiaba dimenticata, giustamente orgoglio di questa parte del Magdeburgo.
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Lungo strade ancora rattoppate alla meglio, ricordo della ex DDR, e fitti boschi, si raggiunge un punto nel nulla: Marienborn. Non una località ma più semplicemente un posto di frontiera grande come un paese dove lavoravano 1100 poliziotti, un immenso check point sulla direttiva Berlino Hannover, la più importante via di comunicazione tra le due Germanie. Qui era stato creato un efficientissimo sistema di controllo stradale e ferroviario. Un sistema di gallerie sotterrane permetteva alla Stasi, la polizia segreta, di passare tra una zona e l’altra senza essere visti. Oggi l’immensa struttura è come un dinosauro che giace adagiato a fianco della autostrada federale numero 2. Ancora prati, ancora colline e ancora città d’incanto. Wernigerode è tra queste ultime. E’ così leziosa e curata che fin dai tempi della Germania comunista era considerata il gioiello di famiglia. La strada conduce in direzione del massiccio dell’Harz, un grande panettone che si eleva coperto di boschi fino a 1142 metri sul livello del mare. Fino al 1989 la cortina di ferro lo tagliava in due. Il Brocken, la cima che si trovava in territorio DDR, era stata completamente disboscata per far posto a una mega stazione radar utilizzata per spiare l’altra Germania. Oggi tutto è cambiato.
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E’ stato istituito un parco naturale che tra le sue finalità si prefigge di “restaurare” la montagna ripiantando gli alberi per riportarla all’antica bellezza, quella stessa che aveva colpito lo scrittore Wolfgang Goethe che vi veniva a passeggiare. Un treno a vapore sbuffa sulle pendici scaricando visitatori e trekker sulla cima. Una massiccia costruzione alta come un grattacielo di venti piani, un tempo usata come osservatorio, ospita un albergo. Si alloggia nelle stesse stanze che furono degli agenti della Stasi. Con un po’ di immaginazione si segue il taglio del bosco lungo il quale correva la linea elettrica ad alta
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tensione che teneva lontani i visitatori indesiderati. Dello stesso tono è l’opera di recupero che si sta facendo un po’ più a sud, in Turingia, presso Mühlhausen dove è stato istituito il parco di Hainich, una vasta area boschiva collinare che al tempo della DDR veniva usata per le esercitazioni dall’armata rossa sovietica. Ma il punto più caldo della cortina di ferro si trovava in prossimità del paesino di Geisa, a una ventina di chilometri a sud di Eisenach, città storica tedesca il cui nome è legato a doppio filo a Martin Lutero, al musicista Johann Sebastian Bach oltre che ai grandi nomi del romanticismo.
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Tutta la Turingia è parte importante della cultura tedesca. Le vicine città di Erfurt, Weimar, Go-tha, Jena sono pietre miliari della sua storia anche se per più di quarant’anni sono state rinchiu-se in una specie di enclave geografica segnata dalla cortina di ferro. Ebbene proprio in questa regione si trovava un punto preciso, il Point Alpha, dove fin dalla fine della seconda guerra mondiale si guardavano negli occhi i due eserciti più potenti del pianeta: i sovietici e gli statuni-tensi. Lo spazio lasciato dalla cortina di ferro è una lunga ferita che taglia la riserva della biosfera del Rhön e che si allunga nella Selva Turingia al confine con la Baviera. Si ha un’idea della lunga linea di confine salendo in volo con uno dei velivoli da turismo che si staccano dai prati del Wasserkuppe, uno dei monti più alti della zona. Caduta la cortina di ferro anche il bosco della Turingia, un tempo bandito agli abitanti della DDR, è tornato a rivivere. Attraverso i boschi di conifere, da Oberohf si segue fino a Lauscha un antico sentiero che veniva usato durante il medioevo per gli scambi commerciali. E’ un itinerario che dura una settimana e che si fa con lo zaino in spalla.
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Ma è al margine orientale della Turingia che si può toccare con mano tutta l’assurdità dei confini imposti dalla logica della guerra fredda. Töpen, un borgo agricolo di qualche decina di anime, era stato diviso da un alto muro di cemento eretto sulle rive di un fiumiciattolo. Per più di quarant’anni parenti e amici non si sono potuti vedere, né parlare. Oggi l’intero villaggio è stato trasformato in museo. Rimane in piedi un pezzo di muro, come se Töpen fosse un angolo di Berlino immerso nella ridente campagna.
Testo e foto di Aldo Pavan © LATITUDESLIFE.COM RIPRODUZIONE RISERVATA
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Informazioni: Come arrivare: Tutto quello che c’è volano da sapere su un viaggio in Germania Diverse compagnie dall’Italia al Canada, ma la più sul sito dell’Ente Nazionale Germanico per il Turismo. economica è solitamente Air Transat che collega Roma con Toronto e Vancouver. Una volta in territorio canadese bisogna Come arrivare: prendere un volo interno per raggiungere Whitehorse e Per visitare l’area della ex cortina ferro le conviene volare lo Yukon Territory (Air Canada, AirdiNorth compagnie più dall’Italia suDalla Berlino con Air c’è Berlin e da qui noleggiare un’auto. gettonate). Germania però l’opzione volo diretto con la Condor Airlines, che vola su Whitehorse durante i mesi Quando andare: estivi. Questa si rivela spesso la soluzione più conveniente Clima: la primavera inoltrata è la stagione miglioreun’auto per visitare la per raggiungere lo Yukon dall’Europa. Noleggiare zona. per raggiungere il Grande Nord da Toronto può essere molto costoso (sono circa 7000km) anche se panoramico Dove dormire:Da Vancouver il tragitto è invece più breve e e avventuroso. Suggeriamo alcuni hotel(silungo il percorso trattato neldiversi reportage anche più spettacolare attraversano tre ecosistemi tra A Hotel Alter al Gusthof. cuiDemen il deserto intorno fiume Fazer a Cache Creek e la tundra in A Eisenach Hotel Kaiserhof. Bristish Columbia). A Meiningen Hotel Schlundhaus.
Quando andare: Dove mangiare: Clima: Il periodo migliore per visitare il Canada e in particolar Suggeriamo alcuni ristoranti lungo il percorso trattato nel modo lo Yukon Territory è solitamente da metà maggio a fine reportage. A Rütemberg consigliamo il Restaurant Elbklause agosto. Le temperature sono gradevoli e le precipitazioni meno A Salzwedel il ristorante Bürgermeisterhof. A Wernigerode il Cafe frequenti. Sicuramente da evitare il periodo tra marzo e aprile Wiecker. quando lo scioglimento della neve, oltre a causare inondazioni in tutto il paese, scopre infinite distese di erba bruciata dal Lingua: gelo. Meraviglioso invece il mese di ottobre, che corrisponde Tedesco, l’inglese èèlargamente diffuso. all’inizio del breve autunno. Le immense foreste dell’Ontario e delle Rockies si colorano, in questo periodo, di un’ infinita quantità di sfumature tra il rosso e il giallo. Religione: Cattolica e protestante.
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Valuta: Dove mangiare: Euro. Nello Yukon i prezzi sono ovunque piuttosto alti, si consigliano soprattutto i dining a bordo strada, specie se frequentati da Elettricità: camionisti, che possono riservare anche esperienze pittoresche Come in Italia.meno turistiche. Il prezzo medio per una colazione e “indigene”, (uova, bacon, patata e pane) o un pranzo tipico (hamburger e Telefono: patatine) si aggira intorno ai 10/15 euro. Per chiamare la Germania dall’Italia comporre il prefisso internazionale 0049 seguito dal prefisso della località senza Viaggio organizzato: lo zerooperator e poi il numero. Dalla Germania 0039 l’itinerario e il numerodidi14 Il tour Viaggi dell’Elefante propone telefono desiderato (con &loYucon” zero delcon prefisso). La ilcopertura giorni “Gran Tour Alaska partenze 13 giugno e cellulare ovviamente l’8 agostoè 2015. Prezzo capillare. a partire da 3120 euro a persona.
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Link Fusoutili: orario: In lungo l‘Elbaa – 9 sulla West Coast. Dabicicletta – 6 sulla East Coast Documenti: Passaporto con validità a 6 mesi. Vaccini: Nessuno. %&x
Lingua: Inglese e francese. Valuta: Dollaro canadese.