Sommario
Val Masino Foto di Matteo Marinelli
Lofoten La barriera corallina al Polo Nord
Buenos Aires Movida porteĂąa
Istanbul La cittĂ segreta
Nuova Zelanda Natura morbida
Val Masino Travolti da natura e storia
Marzo 2019
Redazione:
Via Pisacane, 26 20129 Milano tel. +39 02.36511073 redazione@latitudeslife.com Foto di Shutterstock
Hanno collaborato
Pietro Tarallo Fabio Fogu Giorgia Boitano Scilla Nascimbene Luca Bracali
Fotografi
Massimo Bisceglie Fabio Fogu Jan H. Störkel Matteo Marinelli Luca Bracali
Pubblicità
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Buenos Aires Foto di Massimo Bisceglie
n°124 Marzo 2019
Direttore Responsabile Eugenio Bersani
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Photo Editor Lucio Rossi
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lanfranco@latitudeslife.com
Redazione
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Graphic
Arianna Provenzano
arianna@latitudeslife.com
Land art in Sicilia
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La barriera corallina al Polo Nord
7 isole sparse nel mare del Nord, un arcipelago quasi artico che dista solo 200 km dal circolo polare e tuttavia inaspettatamente vivo e bellissimo, luogo straordinario come pochi, dove le montagne si tuano a picco nelle acque gelate. Testo e foto di Luca Bracali www.lucabracali.it
Lofoten
LAT 68,14 N
La barriera corallina al Polo Nord
NORVEGI A / LOFOTEN
La
BARRIERA CORALLINA al P O LO
NORD
La barriera corallina al Polo Nord
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La barriera corallina al Polo Nord
U
n ambiente quasi unico che genera una incredibile biodiversità di fauna ittica , con alcune specie non ancora classificate dai biologi marini. Questo territorio marino così variegato è situato fra il 67esimo ed il 68esimo grado di latitudine nord, e la terraferma più prossima è quella norvegese , verso ovest. Lontane, ma non disabitate: tracce di insediamenti umani risalgono al 3.000 – 4.000 avanti Cristo, esattamente la stessa epoca a cui risale Skara Brae nelle Orcadi. I reperti archeologici del periodo, testimoniano la vocazione dei popoli del neolitico ad una vita meno nomade e più stanziale, un primo abbozzo del concetto di comunità. E del resto Svolvaer, la maggiore tra le cittadine dell’arcipelago, è anche la città più antica del circolo polare artico. Lontane, ma non isolate; i vichinghi avevano legami assai stretti con le Lofoten e la nascita di Svolvaer risale proprio al periodo dei naviganti norreni.
La barriera corallina al Polo Nord
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Certo dalle lontane epopee vichinghe, le cose sono molto cambiate; nel passato le isole erano collegate unicamente da traghetti o piccole imbarcazioni, le Lofoten di oggi si attraversano facilmente con ponti sopraelevati e tunnel sotterranei ed in un’ora e mezzo da Svolvaer si giunge a Nusfjord. Quest’ultimo è certamente il più colorato ed importante villaggio di pescatori, oggi sito Unesco, dove in estate vivono 30 abitanti che scendono a 14 in inverno, fra le quali c’è pure un italiano. Michele Sarno è arrivato in Norvegia nel 1980 e alle Lofoten nel ‘94, è un artista e mastro argentiere di Torino ed è diventato un soggetto così identificativo e significativo per questo piccolo villaggio
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al punto da ricevere sovvenzioni direttamente dal governo per non lasciare l’isola. Non a caso le guide Lonely Planet lo citano come punto di riferimento sull’arcipelago. I contatti con il mondo occidentale iniziano però verso il tardo medioevo e l’età moderna grazie al coraggio e alla passione per le scoperte di un antesignano di Colombo, un altro italiano, veneziano questa volta, il capitano Pietro Querini che ben 60 anni prima dello scoperta delle Americhe, attorno al 1432, approdò alle Lofoten. O meglio, vi naufragò, colto da una violenta tempesta che infuriava nella Manica e che gettò la sua flotta sulle coste di Røst . E’ a questo sbarco casuale sull’arcipelago che si deve la scoperta gastronomica del merluzzo essiccato, il celebre stoccafisso delle Lofoten che ancora domina le tavole europee.
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“
Veniva messo ad essiccare
in apposite RASTRELLIERE, ERA
nutriente, COSTAVA poco
E SI MANTENEVA
a lungo
“
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Il navigatore fu accolto e tratto in salvo assieme ai pochi uomini rimasti del suo equipaggio dagli abitanti dell’isola che lo sfamarono offrendogli del merluzzo trattato in modo un po’ particolare. Proprio quel pesce, di cui i mari delle Lofoten erano e sono pescosissimi, veniva messo ad essiccare in apposite rastrelliere, era nutriente, costava poco e si manteneva a lungo. Il nostro Querini, rientrato una decina di mesi dopo in Italia, portò così sulle nostre tavole lo stoccafisso destinandolo ad una fama imperitura. Il merluzzo vive felice e prolifero nel mare delle Lofoten ed è forse la risorsa alimentare ed economica principale per queste isole; il microclima marino è assolutamente perfetto
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per questa specie, ma i problemi sono dietro l’angolo. I cambiamenti climatici sono una grave minaccia anche per queste latitudini, basti pensare che lo scorso luglio sono stati registrati 31° e, secondo uno studio di The Guardian dell’aprile 2018, pubblicato inizialmente su Nature, la corrente del Golfo si è indebolita di un 15% negli ultimi 1.600 anni con un calo evidente dal 2004 ad oggi quando sono iniziate le misurazioni in maniera costante. E la mano umana potrebbe fare anche di peggio: nei fondali delle Lofoten, oltre a migliaia di biodiversità, giacciono anche 60 miliardi di dollari di petrolio pronti ad essere estratti. Dovesse partire l’industria delle trivellazioni, l’entità del danno ambientale sarebbe inimmaginabile.
La barriera corallina al Polo Nord
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L’impatto turistico su questo delicato ambiente, pur essendo in netta crescita (+31.2% negli ultimi due anni), non genera ancora preoccupazione; non si tratta certo di un flusso di massa anche perché contenuto e ben spartito nel corso delle due principali stagioni. E comunque si parla di un turismo consapevole e diversificato, non a caso le Lofoten, come già accaduto per le isole Svalbard, stanno per ricevere la certificazione di destinazione sostenibile, un marchio di qualità dato alle località che lavorano in modo sistematico per ridurre l’impatto negativo del turismo. Alle isole Lofoten, oltre che per turismo puro, si viene per fare trekking, climbing, sci-alpinismo, diving, bird-watching e caccia fotografica. E’ sempre qui, alle isole Lofoten, che si trova il più grande rapace del nord-Europa
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e sebbene sia una specie rara ed in diminuzione, all’interno di questi fiordi vive la più alta concentrazione di aquile di mare coda bianca. Lungo la baia di Svolvaer si nascondono un centinaio di nidi e circa 500 esemplari di aquila, dove una femmina arriva a pesare fino a 7 chili e può avere un’apertura alare che sfiora i due metri e mezzo. Il punto più fotografato delle Lofoten, vera e propria mecca dei fotografi provenienti da tutto il mondo, fra cui persino molti australiani , è il villaggio di Hamnoy, casette rosse in legno sparse in un fiordo dal mare color acciaio e circondato da vette acuminate e solenni. Altro luogo simbolo ed iconico di queste isole è Reine, che offre un suggestivo scenario puntellato di cime che bucano il cielo cobalto e ripide scogliere .
La barriera corallina al Polo Nord
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Å è l’avamposto più meridionale delle isole Lofoten, il capolinea vero e proprio, è questo il punto in cui la E10 termina la sua corsa ed è questo il paese con il nome più corto al mondo dove fra l’altro si trova un interessantissimo museo sullo stoccafisso. Ma c’è altro quassù che rapisce profondamente. Si tratta delle aurore boreali, quella danza di luci e colori che volteggia da una parte all’altra della sfera celeste e che si origina dal sole, dalle tempeste solari, quei fenomeni che Rob Stamnes, ricercatore olandese trapiantato a Laukvik, studia oramai da 30 anni fornendo dati scientifici ai colleghi di tutto il mondo. L’attività solare ha comunque una sua ciclicità di 10/12 anni e se il 2013 è stato l’anno del
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picco massimo significa che il 2019 è l’anno dei minimi, non a caso anche il sito di riferimento mondiale per l’attività solare ci mostra quanto sia piatta, e quindi priva di macchie, la superficie del sole in questi periodi. Ma le ricerche statistiche di Rob, dimostrano che, proprio agli anni in cui l’attività solare è più bassa, corrisponde una visibilità maggiore di aurore, meno intense, ma più frequenti. Non resta che affrettarsi e approdare alle isole Lofoten entro fine marzo, prima che la lunga notte artica, lasci definitivamente spazio al giorno di 24 ore.
Testo e foto di Luca Bracali © LATITUDESLIFE.COM RIPRODUZIONE RISERVATA
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La barriera corallina al Polo Nord
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ES U TIT
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Lofoten
Informazioni: Per informazioni su un viaggio in Norvegia visitare il sito Visit Norway dell’Ente del Turismo norvegese. Per informazioni sulle isole Lofoten potete visitare questa pagina. Informazioni sulle aurore boreali: Per sapere tutto sulle aurore boreali si può visitare il sito di Polarlight Center, stazione scientifica sulle isole Lofoten, un luogo di osservazione privilegiato. Come arrivare: Con SAS via Oslo da Roma, Milano e altre città italiane.
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Quando andare: Clima: Le Isole Lofoten si possono visitare tutto l’anno. Per le aurore boreali il periodo migliore sono i mesi di ottobre/ novembre e febbraio/marzo. Il clima è piuttosto rigido anche se le temperature difficilmente scendono sotto i -15°. Fuso orario: +1 rispetto all’Italia.
Documenti: Carta d’identità valida per l’espatrio. Vaccini: Nessuno. %&x
Lingua: Norvegese, ma l’inglese è parlato perfettamente ovunque.
L
La barriera corallina al Polo Nord
Religione: Evangelico-luterana.
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Valuta: Corona norvegese. 1 Euro corrisponde a circa 9,6 NOK. Elettricità: 220 volts. Prese di tipo Schuko (tedesco).
Telefono: +47. Copertura mobile, sia voce che dati ovunque. Roaming molto conveniente se viene scelto il giusto contratto prima di partire dall’Italia. Abbigliamento: Tecnico invernale, da montagna meglio che da sci.
Shopping: Maglioni di lana e stoccafisso sono gli acquisti tradizionali. Suggerimenti: Documentarsi bene sull’abbigliamento da portare e sull’attrezzatura fotografica. Link utili: Sito ufficiale delle Isole Lofoten
BUENOS AIRES Movida porteña
Movida porteña
Buenos Aires
LAT 34,36 S
BUENOS AIRES
MOVIDA PORTEÑA
E’ la città più europea dell’ America del Sud, formidabile laboratorio culturale e città multietnica e multiculturale. Seguiteci in questo viaggio per scoprire i segreti del suo divertimento. Testo di Pietro Tarallo Foto di Massimo Bisceglie
BUENOS AIRES Movida porteña
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BUENOS AIRES Movida porteña
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I
ncantamento per le sue bellezze, tristezza per il tradimento della sua classe politica e la caduta di Perón ed Evita, idoli mai dimenticati, dolore per i suoi figli desaparecidos, felicità per la liberazione dalla dittatura, terrore per la svalutazione, angoscia per le altre ossessioni cittadine, adrenalina per i ritmi di vita incalzanti, entusiasmo per essere un formidabile laboratorio culturale, orgoglio per essere una città multietnica e multiculturale. A Baires (abbreviazione di Buenos Aires), città “europea” reinventata da un Sudamerica che strizza l’occhio a New York, a Shangai, a Berlino, a Londra e alla globalizzazione incalzante, il tango fa da sottofondo. Chi arriva dall’Europa pensa di non essere mai partito.
Movida porteĂąa
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Buenos Aires è dunque una città decisamente europea, dove il resto dell’America Latina è molto... ma molto lontano. Stessi volti, stessi nomi, stesso stile di vita del Vecchio Continente. A prima vista sembra essere un po’ Milano e un po’ Madrid, un po’ Parigi e un po’ Londra. Ampie avenidas con grattacieli e palazzi neoclassici, liberty e decò costruiti negli anni d’oro del miracolo argentino. Senza dubbio la città soffre per il peso di un passato prestigioso, quando l’Argentina era l’ottava potenza economica del mondo, messo in discussione dai disastri della politica economica dei governi civili e militari.
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Ne fa fede un dato curioso: a Buenos Aires i professionisti che guadagnano di più sono gli psicanalisti, gli psicologi e gli psicoterapeuti (ve ne sono 19.000, di cui 1800 del servizio pubblico, gratuiti e a disposizione delle fasce più povere della popolazione). C’è un rapporto pazientiterapeuti tra i più alti del mondo (uno ogni 160 abitanti). Molti hanno il loro studio nel quartiere di Palermo, in una zona soprannominata Villa Freud, dove vi sono 1000 consultori. E’ difficile pensare che sia un fenomeno casuale. L’Argentina e la sua capitale attraversano un periodo di grave crisi d’identità.
Movida porteĂąa
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La gente di Buenos Aires dice che il loro è il primo Paese “europeo” ad essere precipitato nel Terzo Mondo. Ed è una fortuna che l’estrema varietà etnica e culturale della popolazione riescano in qualche modo ad esorcizzare i fantasmi del passato e tenere a bada l’inquietudine per il futuro. Contrasti e contraddizioni spinti all’eccesso. L’importante è fare spettacolo. E allora si pranza tardi, si esce quando il resto del mondo va a letto, si tira allegramente la madrugada, password della notte porteña che indica le ore che vanno da mezzanotte fino all’alba. In altre parole ci si inventa la vita. Nei cinema, nei teatri, nelle discoteche, nei ristoranti, nei caffè. Un mondo sempre in bilico tra kitsch e avanguardia, passato e futuro, tradizionalismo e sperimentazione. Sempre in gruppo e con l’immancabile colonna sonora dei cellulari che trillano per messaggi in codice o per chiamate dell’ultima ora. Perché bisogna marchar hasta que muera la noche. Tutti i gusti, fantasie e desideri dei movideños sono esauditi. Templi techno in immensi exmagazzini, locali con gogo-girls, spettacoli super-hard, karaoke, disco, laser, video clips, ritmi latino-americani, club privée solo per gay o per scambisti, cinema, teatri.
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Tango superstar Per ballare, vedere e ascoltare tango. Ecco i locali più famosi del tango e delle milongas, le sale da ballo tradizionali. Molti realizzano impeccabili spettacoli destinati ai turisti e impartiscono lezioni. Un’atmosfera più autentica si trova nei piccoli locali di San Telmo, frequentati quasi solo da argentini. All’inizio degli anni ottanta dell’Ottocento, il tango era originariamente ballato tra uomini nei vicoli di Buenos Aires. Questo perché c’erano poche donne tra gli immigrati, italiani compresi. Quindi l’unico modo per gli uomini di avere rapporti con una donna era o attraverso la prostituzione o per impressionarla con alcune mosse della danza
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sensuale appena inventata. Appunto il tango. Così gli uomini si erano costretti a ballare l’uno con l’altro. Ora si è tornati alle origini. E’ molto di moda il tango-queer, ossia fra uomini. I locali. Il Café Los Angelitos, Avenida Rivadavia 2100, tel. 40785942, è un teatro dei primi del Novecento. Il suo show è di alto livello professionale e trasmette con le sue coreografie la sensualità del tango ricostruendo il suo evolversi attraverso i decenni. Fra i più costosi ed eleganti. Ottimi i piatti di carne e accurata la selezione di vini. Il Querandì, Calle Perù 302, tel. 51991770, è in un edificio del 1860, con una ampia ed elegante sala dai decori liberty.
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TO R N A I N D I E T R O
BUENOS AIRES
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Lo spettacolo, particolarmente travolgente, ripercorre tutte le epoche del tango e la sua evoluzione, grazie anche alla sua orchestra e ai suoi cantanti. La cena è a base di piatti regionali ben preparati. El Viejo Almacén, Avenida Independencia 299, tel. 43127108, San Telmo. Ricavato in un vecchio teatro con palcoscenico, è uno dei locali di tango più noti. Molto frequentato è il Centro Cultural Torquato Tasso, Calle Defensa 1575, tel. 43076506, San Telmo. Sono di buon livello gli spettacoli anche quelli musicali.
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Le milonghe. A La Viruta, Calle Armenia 1366, Palermo Viejo, tel. 47750160, si incontrano tutti gli appassionati di tango. Come scriveva Borges: “A esta milonga vienen todos los que quieren compartir una noche a puro tango: jóvenes, no tan jóvenes...”. La Catedral, Calle Sarmiento 4006, tel. 59252150, è un posto fascinoso e indimenticabile, un po’ retrò e délabré, dove sono protagonisti i ballerini appassionati di tango. Al Tango Queer, Calle Perù 571, tel. 32526894, si balla come si vuole e con chi si vuole: soprattutto donne con donne e uomini con uomini.
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Disco di tendenza Come da copione i locali notturni aprono alle 24 o addirittura all’una. Affollatissimi nel fine settimana, organizzano serate a tema. Informarsi in rete. Il Club Museum, calle Perù 535, tel. 47817061, ricavato in uno stabilimento industriale enorme, progettato da Eiffel, è famoso per i complessi che suonano musiche pop e latine. Lunghe code di giovani si formano davanti alla discoteca La Warhol, Avenida Rivadavia 1910, il venerdì notte quando sono organizzate travolgenti feste pop, a tema, con animazioni e fantasiosi travestimenti.
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La serata è “llena de buena onda, de música y gente que ama la noche!” Info sulla sua pagina Facebook. Palermo il quartiere più cool Il nuovo che avanza sta cambiando anche Palermo, il barrio che un tempo fu abitato dagli emigrati Siciliani e oggi è un mix di musei, parchi, ristoranti etnici e fusion, bar minimal e locali trendy. Ma non solo. Praticamente è suddiviso in tre parti. Palermo Viejo fino a qualche anno fa era il quartiere degli psicanalisti, di Borges, di Gardel, dei film di Woody Alien e del Prozac. Demolizioni e ricostruzioni, boutique e locali di tendenza hanno mutato il volto di Palermo Soho.
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Zona fatiscente che proprio come la Soho newyorkese è risorta diventando un quartiere trendy. Mentre a Palermo Hollywood la moda si è insediata insieme agli studi pubblicitari, cinematografici e televisivi, imponendo atmosfere modaiole e adrenaliniche. Da visitare di giorno e dove divertirsi la sera, tenendo conto che la notte inizia tardi e finisce all’alba. Tutto inizia e finisce in Plaza Serrano: ombelico di Palermo con ristoranti, bar e soprattutto feste travolgenti in piazza, animate da complessi musicali, anche brasiliani. L’Amerika, Calle Gascón 1040, è una delle più grandi discoteche gay friendly di tutta l’America Latina, con una capacità di circa 2000 persone. La festa del sabato sera attira una folla mista, soprattutto giovane. Sitges, Avenida Córdoba 4119,tel. 4861-3763, è uno dei più vecchi bar gay della capitale. Esilarante è il drag show del duo Gonzalo Costa e Diego Moyano. La serata più popolare da non perdere è la festa di Julepe, il sabato. Cibo di qualità e serate a tema, ma anche spogliarellisti palestrati tra i tavoli al New Inside Resto, Calle José Antonio Cabrera 4014, tel. 39686590.
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Caffè storici Bisogna fare almeno un’ora di coda per entrare nello storico Caffè Tortoni, Avenida de Mayo 829. tel. 43424328. Inaugurato nel 1858 da un italiano, ha lo stile tipico dei suoi omologhi dell’Europa asburgica. Tavolini di marmo, poltroncine di mogano, boiserie ovunque, camerieri con grembiule bianco lungo fino a terra e un grande bancone con un numero incredibile di torte e pasticcini. In una saletta laterale la sera, dalle 19 alle 21, si tengono corsi ed esibizioni di tango. Jorge Luis Borges, assiduo frequentatore, è stato immortalato con una statua che ne riproduce fedelmente le fattezze situata nel suo angolo
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preferito con accanto il compositore Carlos Gardel e la scrittrice Alfonsina Storni. Anche Luigi Pirandello è stato qui durante le sue tournée argentine quando agli inizi del Novecento le compagnie teatrali italiane e francesi approfittavano della differenza stagionale per esibirsi durante i mesi morti dell’estate europea. Il suo busto, opera di Blas Guerrieri, troneggia nell’angolo sinistro. La peluqueria di un tempo è ora un piccolo museo con foto e manifesti del passato. Il Caffè La Biela, Avenida Quintana 600, tel. 48040449, è affacciato sul giardino della Recoleta di fronte all’Iglesia del Carmine. Pare di stare in un caffè parigino con tavolini e decorazioni che ricordano quelli del Flore e del Deux Magots in Boulevard Saint-Germain.
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Si trova l’Argentina che conta, ricca e di destra. Sfilano le facce tipiche degli Argentini più potenti che esibiscono il loro benessere. Bisogna ordinare una birra e la bandejita (vassoietto) con dei salatini, olive, salsicce e polpettine. Un vero pranzo! Teatri che passione L’area attorno all’Obelisco in Avenida 9 de Julio e all’Avenida Corrientes è definita la Broadway di Buenos Aires per l’alta concentrazione di teatri e sale cinematografiche. Davanti alle casse dei cinema e dei teatri si formano lunghissime code d’attesa in disciplinata fila. I bar e i caffè sono super affollati. I teatri mettono in
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scena commedie, opere liriche, concerti di musica classica e moderna e musical che sono sempre esauriti. In Avenida Corrientes, al numero 1530, in una costruzione in vetro e acciaio, c’è il Teatro San Martín, il più grande del paese, con 5 palcoscenici e mezzo milione di spettatori l’anno. Poco più in là si apre Corriente Peatonal, un’area interna con vialetti e aiuole fiorite dove si affacciano bar, boutique e teatri. Il Teatro Colón, che si erge imponente sull’Avenida 9 de Julio, ingresso Calle Cerrito 628, tel. 43787132, è uno dei teatri d’opera più importanti del mondo. Sul suo palcoscenico si sono esibiti e si esibiscono orchestre e cantanti tra i migliori del mondo (Caruso, Del Monaco, Tebaldi, Callas, Domingo, Carreras, Pavarotti).
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Si può visitare per ammirare i costumi e i gioielli falsi di scena. Costruito in Francia, fu spedito a blocchi nella capitale dove fu assemblato così come lo si ammira oggi nel 1908. Con le sue cupole di vetro e una sala di sette piani, è uno dei più grandi templi della lirica mondiale. Ci lavorano 1300 persone ed è sede di una prestigiosa orchestra sinfonica e del balletto nazionale. Ristoranti tradizionali e innovativi I porteños mangiano sempre. Ristoranti, bar e pizzerie sono aperti fino a tardi. Si inizia il mattino con una medialuna (croissant grondante marmellata) e un cappuccino o un caffè cortado (macchiato).
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Si prosegue con empanadas (focacce di farina di grano farcite di carne o verdure) e pizze con molto formaggio fuso. Le tradizioni gastronomiche argentine si rifanno a quelle dell’Europa, in particolare a quelle spagnole e italiane. Per cui paella e tortillas sono onnipresenti, come la pasta (spaghetti, agnolotti, tortellini, lasagne, ravioles) condita con le salse nostrane, dal pesto al ragÚ alla bolognese, la pizza e la cotoletta alla milanese (milanesa), enorme e sottile. La fanno da padrone la parillada mixta, grigliata mista di vari tagli di carne, salciccia e interiora e il bife a caballo, uovo fritto su di una bistecca di manzo, servito con papas fritas (patate fritte), ma anche quella fusion e di tendenza.
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Empanadas e pizze superlative, a prezzi contenuti, innaffiate dalle birre piĂš classiche Quilmes e Patagonia, da La Americana, Avenida Callao 83, e da Guerrin, Avenida Corrientes 1368. Sempre affollatissimi. Proposte anche vegane e arredi minimal da Le Pain Quotidien, Recoleta
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Mall, Calle Vicente López 2050, a pochi metri dal celebre cimitero che conserva le spoglie di Evita Peròn. Mentre i cibi più autentici, gustosi e ruspanti si gustano nel mercato coperto, in ghisa e liberty, di San Telmo, Calle Chile 594. Testo di Pietro Tarallo e foto di Massimo Bisceglie © LATITUDESLIFE.COM RIPRODUZIONE RISERVATA
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Buenos Aires
Informazioni: Ufficio del Turismo Argentino e Argentina Travel – tel. 06 48 73 866. Come arrivare: Aerolineas Argentinas e AirEuropa
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Quando andare: Clima: continentale, a stagioni rovesciate rispetto all’Italia.
Viaggio organizzato: Il Tucano Viaggi e Ricerca, Piazza Solferino 20, Torino, tel. 011 561 7061, propone numerosi viaggi a tema in Argentina, fra cui anche il soggiorno a Buenos Aires. Fuso orario: -4 con ora solare, -5 con ora legale rispetto a Italia.
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Documenti: Passaporto con scadenza non inferiore ai 6 mesi dalla data di arrivo. Vaccini: Nessun vaccino è richiesto.
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Lingua: Spagnolo.
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Religione: Cattolica.
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Valuta: Peso argentino, il cui valor cambia ogni giorno per la svalutazione in corso (1 euro = 45.1664 pesos).
ElettricitĂ : 220 volt, consigliati gli adattatori per le prese di corrente a lamelle piatte. Telefono: Prefisso telefonico: 0054.
Abbigliamento: Secondo la stagione, come in Italia.
La cittĂ segreta
Tra le strade di F i tre quartieri fu turistici nasco dell’antica C
Testo e foto
Istanbul
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Fatih, Fener e Balat, uori dagli itinerari osti oltre le mura Costantinopoli.
o di Fabio Fogu
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La cittĂ segreta
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l profumo del pesce arrostito nei banchetti che affollano il molo di Eminonu arriva, debole, oltre le antiche mura ottomane che guardano il Corno d’Oro. Si perde facilmente tra la ragnatela di vicoli che disegnano il volto segreto di Istanbul. Un volto e tre nomi tenuti colpevolmente fuori dagli itinerari confezionati per i turisti: Fatih, Fener e Balat. Sono i quartieri meno visitati della capitale turca, si trovano nella parte europea della città e per scovarli è necessario sapersi orientare nel cuore della vecchia Costantinopoli.
La cittĂ segreta
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La città segreta
Le vie del “Conquistatore” Il distretto di Fatih si arrampica sul promontorio che affaccia sull’antico porto, l’arrivo è in salita ma il fiato lo si perde solo davanti all’imponenza del complesso religioso di Zeyrek. Oggi ospita una moschea in fase di ristrutturazione, in passato è stata la Chiesa bizantina di Cristo Pantocratore. Il silenzio è rotto dalle urla di tre giovani che spingono un vecchio carro in legno, così avvisano gli abitanti del loro passaggio per caricare il ferro da buttare. Percorrono una strada coperta dall’ombra dalle antiche e caratteristiche case di legno ottomane, 200 anni di storia snobbata dal turismo di massa ma certificata dall’Unesco come Patrimonio
La città segreta
mondiale dell’umanità. Il tour nel quartiere più conservatore dell’antica Costantinopoli prosegue con lo shopping di spezie e formaggi tra i banchetti del Mercato delle donne, la sosta è d’obbligo nei tavolini sistemati lungo le arcate dell’acquedotto di Valente, qui il must è assaggiare il tè turco servito nei caratteristici bicchierini a forma di tulipano. Non si può lasciare il quartiere senza aver visitato la Moschea di Fatih costruita in onore del grande conquistatore, il sultano Maometto II. Fuori dai circuiti turistici, si fa ammirare con calma fin dal cortile esterno avvolto dal marmo bianco. Al centro alcuni uomini parlottano a bassa voce attorno alla fontana dell’abluzione, all’interno l’enorme lampadario circolare cade sul tappeto rosso che raccoglie in preghiera i fedeli musulmani.
La cittĂ segreta
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La città segreta
I salmi cantati dal muezzin rimbalzano dai minareti lungo il viale che dalla moschea accompagna i viandanti tra botteghe che profumano di pane e le vetrine coloratissime delle pasticcerie. Fener, il labirinto greco Quando Fatih diventa Fener arriva l’ordine di Kadir, la guida che accompagna i viaggiatori alla scoperta della Istanbul nascosta: “Qui niente foto”. Tra i due quartieri ci sono poche centinaia di metri dove a parlare sono i volti e gli abiti dei passanti. Nella zona più “integralista” dell’itinerario i visi delle donne sono coperti fino agli occhi, i pantaloni e le camicie degli uomini nascosti sotto
La città segreta
lunghe tuniche. Gli occhi incrociano solo di sfuggita quelli dei passanti stranieri, non c’è alcun pericolo ma solo una tacita richiesta di riservatezza. Le vetrine dei negozi affacciano su un intreccio di viottoli in mezzo a vecchie case colorate. Molte sono abbandonate e diroccate, ci si infilano solo i bambini per giocare e arrampicarsi sui muri grigi che le circondano. Nello storico quartiere greco non c’è un ordine. Ci sono le tracce, tante e diverse, dell’insediamento delle numerose etnie che si sono succedute negli anni. La cartolina di Fener sono i mattoni rossi che disegnano il Rum Lisesi, il palazzo che ospita il Liceo Greco Ortodosso. Da quassù, tra i tetti, si apre uno scorcio del Corno d’Oro, sull’altra sponda si scorge in lontananza la Torre di Galata.
GA LLERY
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La cittĂ segreta
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La città segreta
La strada che costeggia il liceo è una discesa che conduce davanti alla Chiesa di Santa Maria dei Mongoli. La torre a cupola che domina la facciata rossa è il tratto distintivo per riconoscere da fuori la piccola chiesa bizantina, è l’unica di Istanbul a non esser mai stata convertita in moschea. Riuscire a visitarla all’interno non è semplice, è consigliabile affidarsi a una guida. Tra le vie di Fener la sensazione di smarrimento scompare solo per un attimo davanti all’ingresso del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli. Un inaspettato numero di visitatori si attarda davanti all’ingresso del luogo di culto più importante per gli ortodossi. Le pareti dorate stregano i turisti, per i cristiani il punto di maggiore interesse si trova in fondo alla navata sinistra dove è custodito un frammento della colonna della flagellazione di Gesù. L’ultima fermata di Fener è la Chiesa di Sveti Stefan Kilisesi, si affaccia sul porto e visivamente segna un netto distacco dall’architettura degli altri luoghi di culto presenti a Istanbul. “Solo se la costruisci in un giorno” così il Sultano accettò ironicamente la richiesta del Patriarca di innalzare una chiesa sulle rive del Corno d’Oro. Interamente costruita in ferro e ghisa, si narra che l’intera struttura fu trasportata via mare smontata in più pezzi e poi assemblata in solo ventiquattr’ore una volta sbarcata nella capitale turca.
La cittĂ segreta
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Il quartiere a colori Balat è un’esplosione di colori e contraddizioni. Sotto il grande arcobaleno dipinto sulla facciata del Minik Kalpler un gruppo di bambini fa la fila davanti al pentolone pieno di cioccolata e pesca fette di dolce da un vassoio lasciato all’esterno del bar. Non è una festa, è un punto di incontro abituale per chi non ha niente e vive la povertà dell’antico quartiere ebraico. Il benvenuto è una schiera di pupazzi ammucchiati sul davanzale, dietro le grate della finestra. Le stradine sono vive, c’è il vociare dei passanti, il chiasso delle attività quotidiane, le risate e le chiacchiere di chi sosta fuori dai bar. Si respira il fascino
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della vita di tutti i giorni. Le reflex immortalano gli scorci più caratteristici. C’è la lunga salita che parte all’angolo del Balat Kafe, il selciato è affiancato da immensi gradoni che si arrampicano sotto i balconi sporgenti di case variopinte. Nei pressi di Mektep Sokagi i viaggiatori si soffermano davanti a una scala coloratissima, è meno ripida ma ricorda quella più “visitata” del quartiere Cihangir, vicino a piazza Taksim. Balat è vecchio e nuovo, luci e ombre, allegria e raccoglimento. La storia è racchiusa nelle tre sinagoghe del quartiere, quella di Ahrida è la più interessante dal punto di vista architettonico. Per spalancare gli occhi bisogna arrampicarsi sul promontorio che domina il quartiere ed entrare nella Chiesa di San Salvatore in Chora, conosciuta anche come Kariye Müzesi.
La cittĂ segreta
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L’edificio, nato come chiesa ortodossa, fu successivamente convertito in moschea. Oggiè un importante museo, c’è chi lo considera un tesoro alla portata della ben più famosa Chiesa di Santa Sofia. I mosaici e gli affreschi
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rimasti custoditi sotto le imponenti volte sono una preziosa testimonianza dello splendore dell’architettura bizantina. Testo e foto di Fabio Fogu © LATITUDESLIFE.COM RIPRODUZIONE RISERVATA
ES U TIT
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Istanbul
Informazioni: ‘Scoprire Istanbul’ come loro stessi dichiarano, è il punto di riferimento per i turisti italiani a Istanbul, in particolare per i quartieri citati nel reportage.
Come arrivare: Con Turkish Airlines ci sono voli diretti da varie città italiane.
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Quando andare: Clima: I periodi migliori sono la fine della primavera e la fine dell’estate, quando il grande caldo estivo non è un problema. L’inverno può essere piovoso e freddo e può fare la sua comparsa anche la neve.
Fuso orario: +1 ora in primavera e autunno, + 2 ore durante il resto dell’anno: la Turchia ha infatti optato per il regime di ora legale per tutto l’anno.
Documenti: Necessaria la carta di identità, o il passaporto. Se entrate con la carta d’identità conservare attentamente il foglietto che vi verrà rilasciato con impresso il timbro. Sia passaporto che carta di identità devono comunque avere validità residua di almeno 5 mesi. Vaccini: Non è richiesta nessuna vaccinazione. Un po’ di attenzione va riservata all’acqua, che comunque si trova imbottigliata ovunque.
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La città segreta
Lingua: La lingua ufficiale è il turco.
U TIT
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Religione: Stato laico, il 98% della popolazione è musulmana. Valuta: La moneta ufficiale è la Nuova Lira Turca (YTL). Elettricità: Come in Italia.
Telefono: Per chiamare L’Italia dalla Turchia comporre 0039 il prefisso di destinazione e il numero di telefono che si vuole contattare. Per chiamare la Turchia dall’Italia, comporre 0090 poi il prefisso e il numero di telefono. Ovunque c’è copertura per i cellulari. Abbigliamento: Abiti leggeri e qualcosa di pesante per la sera. Al di fuori dei circuiti turistici la Turchia è un Paese molto conservatore: per non urtare la sensibilità locale è meglio non indossare pantaloni corti, minigonne e canottiere. Shopping: Tappeti, ceramiche, gioielli, oggetti di rame sbalzato, legno intagliato, le famose pipe in schiuma di mare per i fumatori. Ricordiamo che è proibita l’esportazione di ogni oggetto antico di età superiore ai 100 anni. Negli acquisti è uso contrattare i prezzi, un’arte che richiede tempo, pazienza e molti sorrisi.
Natura morbida
N U O V A Z E L A N D A
Nuova Zelanda
Natura morbida
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M O R B I DA Da Wellington verso sud, un viaggio tra le insenature e le coste sabbiose di Marlborough e Tasman, scorci di Nuova Zelanda del Sud dove i paesaggi e il clima gentile invitano ad assaporare l’outdoor Testo di Giorgia Boitano Foto di Jan H. StÜrkel visual-walkabout.com
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W
ellington, Mt Victoria Viewpoint, qualche ora prima del tramonto. Il vento soffia impazzito, un turbine di foglie e polvere sfida lo sguardo ad affrontare l’orizzonte, raggi tiepidi scaldano la brezza gelida. Sull’orlo dell’oceano tra le due grandi isole della Nuova Zelanda, le forze atmosferiche chiamano attenzione a tutta voce. Guarda. Qualche nuvola allungata segna il cielo di bianco, la luce decisa confonde la vista, un aereo se ne va. Nella baia più ventosa di sempre, la vita della capitale più a sud del mondo scorre indisturbata. Ormai abituati alla bellezza che li circonda, uomini in giacca e cravatta e donne eleganti si riparano il collo mentre camminano da una parte all’altra. Qualche grattacielo fa capolino tra gli edifici bassi, strade a senso unico si arrampicano sulle colline, villette a due piani spuntano tra la ricca vegetazione.
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Nominata nel 2018 dalla Deutsche Bank la città con il migliore stile di vita al mondo, Wellington ha una popolazione di appena 200 mila fortunati, 400 mila se si considerano i pendolari. Si stimano circa duemila ore di sole e oltre mille millimetri di pioggia all’anno, mentre la temperatura sale a un picco di soli 17 gradi a febbraio. Ma sono altri i criteri che invogliano a trasferirsi qui. Per esempio, la scena sociale, i deliziosi caffè, i ristoranti e le birrerie intorno a Cuba Street, e lo spazio. Non solo la conformazione del territorio permette di vivere nel raggio di 3 km dalla costa, ma le aree pubbliche urbane facilitano la vita all’aria aperta.
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Ci sono ben 102 parchi e giardini attrezzati con giochi per bambini, bagni pubblici e acqua potabile. Per non parlare dei 50 mila ettari di parchi regionali e della miriade di sentieri tracciati da percorrere a piedi o in bicicletta. Nonostante tutto, il 90% dei neozelandesi preferisce vivere da qualche altra parte della nazione. A nord chi vuole stare al caldo e piÚ vicino alle comodità , a sud chi preferisce una vita piÚ ruspante e paesaggi da togliere ogni pensiero. Dalla baia di Wellington partono le navi per Picton, la porta di accesso al sud. Tre ore e mezza di danze sulle onde nella notte umida valgono il panorama promesso all’arrivo.
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Punto d’incontro tra il Mar di Tasman e l’Oceano Pacifico meridionale, lo stretto di Cook è uno dei più agitati al mondo. Pio la nave si infila tra lunghissimi fiordi coperti di verde brullo, ed ecco la pace. Il giorno avanza lentamente, scoprendo un quadro vivente che apre il cuore e calma la mente. La natura si sveglia come da un sogno, l’acqua piatta dell’insenatura bacia piccole spiagge di sassi chiari, le piante argentee lavorano immobili, i gabbiani allungano le ali, i delfini rincorrono le scie dei motori da lontano. Secondo la leggenda Maori, l’isola del sud era originariamente una grande e robusta canoa, Te waka a Maui, imbarcazione con cui il giovane e potente dio
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guerriero Maui partì con i suoi fratelli per pescare un grosso pesce ika, da cui il nome Te ika a Maui. Con grandi sforzi e un po’ di magia ce la fece, e così le due isole della Nuova Zelanda si formarono. Con i suoi stretti canali simili a fiordi, la zona del Marlborough Sounds comprende oltre 1500 km di coste ventose e acque profonde casa di balene, delfini, foche e un’incredibile varietà di uccelli marini. E se il nome richiama quel vino Sauvignon Blanc famoso in tutto il mondo, lunghi sentieri scenografici come il Queen Charlotte Track invitano a fare escursioni a piedi o in mountain bike, mentre il mare a specchio è un richiamo a cui è ancora più difficile resistere.
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Noleggiare un kayak per qualche giorno regala il privilegio di trovarsi in paesaggi unici, da soli o quasi. Si prenota una guida per un’escursione di una giornata o si organizza un itinerario di qualche giorno e si salpa. Con le mani strette alla pagaia, una mappa plastificata a prua, i bagagli e la tenda negli scomparti stagni dell’imbarcazione a due posti, si parte nei dintorni di Havalock e ci si spinge verso un paradiso sempre più deserto. In due o tre giorni si riesce ad arrivare fino alle zone più belle e quasi disabitate, dormendo in uno dei campeggi in riva al mare gestiti dal Dipartimento di Conservazione (DOC). La fatica dell’avventura è il piccolo
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prezzo di un’esperienza davvero unica. Muovendosi a zig zag contro la corrente, è così facile trovare posti isolati dove ascoltare il silenzio immobile e ammirare la perfezione della natura mentre si spera di scorgere una foca all’orizzonte. Stanchi ed estasiati, si osservano le mante sui fondali, si scovano piccole grotte e ci si prende il lusso di ascoltare gli schizzi dei remi che affondano nell’acqua. Forse è per questo che i fiordi si chiamano Sounds, come i pochi suoni che rimbombano in questa terra magica. Dopo qualche giorno qui a sud, appare quasi incredibile che la città di Auckland dia casa a più persone che tutta l’isola Te waka a Maui.
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Con appena 968 mila persone spalmate su un territorio di oltre 151 mila chilometri quadrati, a europei abituati alla ressa sembra di essere completamente soli. Ecco perché il turismo è così forte da queste parti. Una delle mete più ambite, soprattutto dal turismo interno, è Nelson, dove il sole splende tutto l’anno e le spiagge dorate corrono a est fino a Parchi Nazionali che sembrano dipinti. Importante centro per l’ecoturismo, è la porta d’accesso all’Abel Tasman Coast Track, una delle Great Walks, grandi passeggiate segnalate dal Dipartimento di Conservazione e tappa immancabile di un viaggio dedicato all’outdoor. Si parte a piedi da Marahau e si cammina per 3-5 giorni e circa 60 km di splendore fino a Wainui Bay,attraversando
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cascate e piscine naturali, boschi nativi casa di una ricchissima fauna aerea, ponti sospesi oltre 30 metri su fiumi e dirupi di roccia bianca. Per chi decide di percorrere tutta la lunghezza, è necessario prenotare in anticipo il posto nei campeggi DOC distribuiti lungo il percorso. Tenda, acqua e viveri si portano in spalla, con la sicurezza di un incredibile archivio di memorie indimenticabili e una gioia superiore all’arrivo. Chi non se la sente di affrontare l’impresa, può scegliere opzioni intermedie come tour guidati in traghetto o in barca a vela e brevi tratti a piedi. Wainui Bay, inoltre, è raggiungibile in auto e offre un ampio spazio dove pernottare, fare picnic e godersi il sole in spiaggia.
G A L L E R Y
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N U O V A Z E L A N D A
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Ogni giorno la bassa marea scopre il fondale lasciando secchi gli scafi di piccole barche a vela che sembrano relitti, segni di vita sociale in un territorio dove la natura regna quasi indisturbata. La luce si posa su un pino gigante tra il bosco e la spiaggia: spesse radici affondano nella sabbia candida, i piÚ luminosi gradi di turchese circondano la costa, il verde piÚ scuro che esiste si staglia sullo sfondo, un tenue celeste completa l’opera. Silenziose, famiglie di curiosi volatili si aggirano alla ricerca di cibo. Ovunque nel bush si trovano i Weka: simili a galline selvatiche, venivano un tempo cacciati e cucinati dalle tribÚ Maori e sono oggi protetti dal DOC. Si materializzano puntuali con il loro becco simpatico ogni volta che ci si ferma per uno spuntino.
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Nonostante i cartelli vietino di nutrire gli animali selvatici per non rompere la loro catena di sopravvivenza, molti visitatori si lasciano tentare dalle loro avances e purtroppo contribuiscono a renderli golosi, pigri e impertinenti. Intenti a rovistare tra le conchiglie appena la marea si abbassa, sono invece i Kakč, magri e allungati con le loro piume nere inchiostro e le zampe di un acceso arancione. Limitati dalla continua riduzione del loro habitat naturale e dai piccoli predatori non nativi dell’isola come gatti, cani e furetti, ne sono rimasti appena 132 endemici in tutta l’isola. Depongono le uova a dicembre e possono diventare violenti se ci si avvicina ai loro nidi. Un altro motivo per lasciarli indisturbati.
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Esemplare di uccellino non nativo che si incontra lungo il tragitto è il California Quail, inconfondibile con il suo ciuffo eccentrico e il suo simpatico richiamo. Introdotto dagli europei due secoli fa, è molto simile al suo cugino locale New Zealand Quail, conosciuto tra i Maori come Koreke e ormai estinto. I rischi più grandi per queste specie sono quelli che oggi chiamiamo animali da compagnia. Nelle due isole, infatti, non esistono serpenti o animali velenosi. Inutile dire come questa notizia faccia la fortuna di chi ama il trekking. In una terra così bella e dolce, si potrebbe addirittura camminare scalzi nel bosco. Senza spingersi ad azioni estreme, di giorno e di notte ci si sente sicuri e
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disinvolti nell’ammirare la bellezza naturale liberi da preoccupazioni. Si inventano nomi nuovi per i colori del cielo all’alba e al tramonto, si ascoltano i canti del vento leggero tra gli alberi a tutte le ore, si immaginano figure fantastiche nelle notti più stellate di sempre, si godono attimi dolci di un sogno già vero. Seguendo la sabbia dorata verso est, si può proseguire via mare verso la Golden Bay Mohua e oltre, fino a perdersi tra i doppi nomi di queste lande spettacolari e fino a dimenticare da dove si è partiti. Profumo di sale, aria impetuosa, respiro di terra, amore dell’anima, pura libertà. Ricordi indelebili che spingeranno a tornare, un giorno, verso le vette di ghiaccio e i fiordi dell’estremo sud. Testo di Giorgia Boitano e foto di Jan H. Storkel © LATITUDESLIFE.COM RIPRODUZIONE RISERVATA
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ES U TIT
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Nuova Zelanda
Come arrivare: In aereo dall’Italia con arrivo a Auckland o Wellington.
Come spostarsi: Per la speciale conformazione del territorio e la storia del Paese, i mezzi di trasporto pubblici in Nuova Zelanda non permettono di raggiungere i luoghi più remoti. Soprattutto se si ha poco tempo è meglio noleggiare un’auto o un piccolo campervan. La guida è a sinistra. Dove dormire: Sacred Earth Retreat Centre, Karekare Nascosto sulle colline verdi e affacciato sulla spiaggia di Karekare, questa struttura ricettiva boutique è un paradiso ecosostenibile che offre due lussuose guest house con vista su tramonti mozzafiato. Camping: Il Dipartimento di Conservazione (DOC) offre una quantità di campeggi e rifugi gratuiti e a pagamento. Alcuni come quelli lungo il Tongariro Alpine Crossing, l’Abel Tasman Coastal Track e gli altri grandi sentieri Great Hikes vanno prenotati in anticipo. Informazioni sul sito ufficiale.
Dove mangiare: Una vera e propria tradizione culinaria locale non esiste, e anche nei paesini più piccoli si trova un’ampia scelta di ristoranti etnici di ogni prezzo e qualità. Moltissimi i ristoranti italiani, cinesi, tailandesi. I neozelandesi adorano mangiare fuori. Da provare formaggi e miele locali.
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Natura morbida
Shopping: Te wai Pounamu è il nome originario dell’isola del sud, la terra di quella pietra verde sacra agli dei Maori, simbolo di pace, indipendenza e forza. Famosa in tutto il mondo come giada neozelandese, Pounamu è molto resistente e si trova solo nell’estremo sud-ovest, nel territorio della tribù Ngāi Tahu. I gioielli, le decorazioni di guerra e le armi più potenti venivano scolpite con questa roccia carica di simboli e valore spirituale. Tesoro inestimabile, è protetta persino nel Trattato di Waitangi, l’importante accordo con cui il capo Maori pose fine alla guerra agli inglesi il 6 febbraio 1840. In molti negozi e mercatini, si possono comprare orecchini, pendenti, soprammobili e manufatti artistici modellati nelle forme più intriganti rispettando il significato della pietra e certificati con il simbolo “Authentic New Zealand Greenstone”. Vuole la tradizione che Pounamu vada sempre regalata e mai tenuta per sé: un bene da condividere e prezioso gesto d’amore.
U TIT
Val Masino
LAT 46,12 N
Travolti da
NATURA e s tori a
Pareti verticali, rocce taglienti, strapiombi che tolgono il fiato fanno da cornice ad un territorio di grande bellezza e fascino nella suggestiva Val Masino, in Bassa Valtellina, che abbraccia un arco di incantevoli valli granitiche di origine glaciale: la Valle dei Bagni, la Valle di Sasso Bisiolo o Predarossa e la Val di Mello, chiamata non a caso “La Piccola Yosemite�. Testo di Scilla Nascimbene Foto di Matteo Marinelli www.rtearth.com
Le vette granitiche della Val Masino hanno segnato la storia dell’alpinismo moderno
Travolti da natura e storia
VAL MASINO P
areti verticali, rocce taglienti, strapiombi che tolgono il fiato fanno da cornice ad un
territorio di grande bellezza e fascino nella suggestiva Val Masino, in Bassa Valtellina, che abbraccia un arco di incantevoli altri valle granitiche di origine glaciale: la Valle dei Bagni, la Valle di Sasso Bisiolo o Predarossa e la Val di Mello, chiamata non a caso “La Piccola Yosemite”. Il suo territorio interamente montano, è scavato dall’omonimo torrente, confluente del fiume Adda nel paese di Masino ed è sfruttato dalla pastorizia e dall’attività estrattiva: la valle è un vero e proprio regno del granito, elemento principale del Plutone di Masino Bergaglia, minerale pregiato presente in molti palazzi medievali e liberty e nell’anfiteatro romano a Milano. Le vette granitiche della Val Masino hanno segnato la storia dell’alpinismo moderno. Oggi gli imponenti colossi ne fanno un paradiso per i free-climbers, che qui trovano vere e proprie palestre naturali ove sfidare la verticalità. Impervi tornanti,
tra boschi di abeti, larici e faggio collegano la valle, tramite una strada statale costruita il secolo scorso che, attraversando piccoli centri abitati dalle caratteristiche casette in pietra, si inoltra in uno splendido habitat naturale con muschi dal colore verde acceso, quasi irreale, che coprono massi e alberi, assumendo talvolta strane forme in cui la fantasia può spaziare. Siamo nel “Bosco incantato” e nella vicina “Foresta dei sassi”. Volendo immaginare un bosco abitato da elfi e gnomi, penso che questo sia il posto ideale. Percorrendo la strada costeggiata da alte pertiche slanciate verso il cielo, si arriva ai famosi Bagni di Masino: le cui proprietà termali sono conosciute sin dal XVI secolo. Secondo la leggenda, i Bagni di Masino, furono scoperti seguendo una mucca che, a differenza delle altre, non si abbeverava al torrente, ma risaliva il versante del monte per bere da una sorgente d’acqua calda, producendo molto più latte delle altre.
Travolti da natura e storia
VAL MASINO
Furono proprio questi bagni a dare notorietĂ alla valle che, pe
resto, rimaneva quasi tagliata fuori dal mondo, in un territorio
115 kmq che ospita poco meno di mille abitanti. Un ambiente i
cui da sempre l’uomo convive, alla ricerca di un equilibrio, con
natura, che a volte scatena la sua furia, trasformando gli impon
alberi in tristi scheletri abbattuti al suolo. Ma nonostante la na resti la protagonista incontrastata di questi luoghi, la presenz umana non passa inosservata. Si incontrano qua e lĂ piccole
contrade dove, casette in pietra poeticamente decorate si alte
er il
a ruderi abbandonati da tempo. Eppure queste pietre sono intrise
o di
di storia: la valle è menzionata già nel secolo X in documento di
in
donazione della Corte di Masino alla Chiesa di San Pietro in Ciel
n la
d’Oro a Pavia. Una storia di cui vanno fieri i pochi abitanti di questi
nenti
frazioni, per la maggior parte non giovanissimi, i quali non si sono
atura
fatti sfuggire l’occasione di raccontarmi, nella loro fierezza, che fu
a
una famiglia di Ardenno, i Tampini a donare al comune di Roma il
ernano
terreno su cui è stato costruito l’aeroporto di Ciampino.
Travolti da natura e storia
FOTO GALLERY
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Siamo nel “Bosco incantato” e nella vicina “Foresta dei sassi”. Volendo immaginare un bosco abitato da elfi e gnomi, penso che questo sia il posto ideale.
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All’atto notarile, erroneamente, il notaio scrisse Ciampini al posto di Tampini, e da lì prese il nome il famoso aeroporto. In queste zone dove il silenzio regna e la natura fa da padrona, molti non abbandonano il luogo natale, e offrendoti un caffè o delle castagne tostate, cercano una scusa per raccontarti curiosi aneddoti sulle loro origini, ma nel frattempo scambiano quattro chiacchere con gente nuova. In queste montagne un po’ isolate dal mondo di persone forse ne incrociano ben poche, ma si sa, l’uomo non è fatto per stare da solo, e a volte bastano poche parole ed un sorriso per allietare la giornata, cacciare i cattivi pensieri e non smettere di sognare.
T E S TO : S C I L L A N A S C I M B E N E F O T O D I : M AT T E O M A R I N E L L I
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Val Masino
Informazioni: Sul sito della Val Masino dedicato al Turismo
Come arrivare: IN AUTOMOBILE: Da Milano attraverso la SS 36 per LeccoSondrio (90 km); a Colico SS 38 direzione Sondrio, deviazione a sinistra dopo il ponte del Masino. Da Como/Lugano attraverso Menaggio/Gravedona SS 340 direzione Colico; a Colico SS 38 direzione Sondrio, deviazione a sinistra dopo il ponte del Masino. Da Bergamo attraverso il Passo S.Marco oppure attraverso Lecco. Da St. Moritz attraverso il Passo Maloja, Chiavenna, Morbegno. Oppure dal Passo del Bernina e Sondrio Dal Passo Spluga attraverso Chiavenna e Morbegno. Dall’Austria attraverso il Passo dello Stelvio. IN TRENO: Da Milano linea ferroviaria per Lecco/Sondrio/Tirano. Stazione ferroviaria: Morbegno, poi bus per Valmasino. Dalla Svizzera linea Saint Moritz/Tirano, Tirano/Morbegno, poi bus per Valmasino.
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Quando andare: Clima: la Val Masino è una meta per tutte le stagioni. Dove dormire: Sul sito della Valle c’è una vasta offerta di soluzioni. Dove mangiare: Sul sito della Valle c’è una vasta offerta di soluzioni.
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Link utili: Val Masino
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Land art in Sicilia
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A Pizzo sul mare
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