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La forza del pensiero

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Geovision

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Ci sono ricercatori che giocano a flipper senza muovere le mani. O comandano una sedia a rotelle con la sola forza del pensiero. Tutto ciò è possibile grazie a una tecnologia che trasforma gli impulsi elettrici del cervello in segni leggibili. La vita delle persone portatrici di handicap potrebbe trarne grandi vantaggi, ma quali sono i confini che non si possono superare?

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Preparazione per il test presso il Politecnico di Graz. Gli elettrodi devono stimolare i muscoli delle braccia del paraplegico Tom Schweiger. Il software riesce a leggere i segnali direttamente dal suo cervello.

Un incidente di nuoto è stato la condanna di Schweiger. Oggi è la prima persona che, in laboratorio, riesce a sollevare una bottiglia, con il braccio paralizzato, usando la sola forza del pensiero.

Accadde a Malta, facendo il bagno in mare, nell’estate 1998. Tom Schweiger e un paio di amici si tuffarono tra le onde. Un momento di distrazione durante il tuffo e Tom rotolò su se stesso, racconta, facendo praticamente perno sul proprio collo. E sentì un “crac”: quella fu la fine. Il rumore proveniva dalla sua spina dorsale nel momento in cui si ruppe tra la quarta e la quinta vertebra cervicale.

Gli amici lo trascinarono a riva. Tom

Schweiger, un giovane di 23 anni slanciato e orgoglioso, proveniente dalla Stiria (Austria), e in quell’estate studente presso la

Höhere Technische Lehranstalt, il politecnico di Weiz, era diventato un disabile. Da allora riesce solo a sollevare un po’ il braccio sinistro e a muovere la spalla destra.

Tutti gli altri arti – mani, dita di mani e piedi, gambe e piedi – non obbediscono più alla sua volontà. Gli impulsi nervosi emessi dal suo cervello per indurre il suo corpo ad afferrare un libro o a fare un passo, terminano nel midollo spinale poco sotto il cervelletto. Questa condizione, che comporta la quasi totale paralisi dei quattro arti, si chiama tetraplegia.

15 ANNI DOPO TOM SCHWEIGER, ora trentanovenne, siede in un laboratorio dell’Università Tecnica di Graz, presso l’Istituto di Analisi semantica dei dati. È già da quasi un quarto di secolo che qui i ricercatori cercano un modo per restituire un po’ di autonomia alle persone affette da una limitazione totale o parziale dei movimenti, per questo hanno costituito le Brain Computer Interfaces (Bci), interfacce tra cervello e computer. Le Bci registrano i segnali del cervello di un paziente, li identificano e li traducono in comandi per gli apparecchi tecnici, come software di scrittura o sedie a rotelle. Oppure direttamente per il movimento elettro-comandato di arti paralizzati. La particolarità sta nel fatto che i ricercatori di Graz non impiantano elettrodi nel cervello: per registrare gli impulsi provenienti dal cervello usano l’elettroencefalografia (in breve Eeg), che misura l’attività elettrica del cervello sulla cute del cuoio capelluto. Tom Schweiger è uno dei primi ad aver sperimentato questa tecnica. «Mi hanno chiesto di partecipare nel 1999, quando ero ancora in riabilitazione», racconta Tom, che ha subito dato il suo consenso. Visto che la sua prima vita era stata distrutta, ha iniziato subito con la seconda. Nel frattempo ha concluso i suoi studi di geografia, si è sposato, ha due figli maschi, Tommy e Julian, il più grande dei quali ora ha quattro anni e mezzo. Tom Schweiger non si lamenta della propria sorte, perlomeno non apertamente. Talvolta, però, va in collera quando si scontra con l’ignoranza. Più volte, racconta, ha incontrato medici che non volevano credere che un paraplegico possa generare un figlio. Silvia, sua moglie, quel giorno l’ha accompagnato al laboratorio Bci di Graz; da solo, infatti, non sarebbe stato in grado di manovrare la sua sedia a rotelle. Gernot Müller-Putz, direttore dell’Istituto, li saluta: Tom Schweiger lo conosce da 15 anni. Due altri ricercatori, Alex Kreilinger e la psicologa Hannah Hiebel, lo preparano per la seduta. L’atmosfera è distesa. Kreilinger applica al tetraplegico il casco per l’Eeg. Alcuni cavi lo collegano con il computer. Poi applica gli elettrodi per stimolare i muscoli sul braccio di Tom Schweiger: un paio per chiudere la mano, uno per aprirla, uno per la “sintonia fine” del pollice. Tom Schweiger si è fatto tatuare sulla pelle il punto esatto in cui devono essere applicati gli elettrodi. Per risparmiare tempo, spiega. Poi Kreilinger accende lo stimolatore per iniziare il test. Le dita paralizzate di Schweiger si muovono. Le guarda e sorride. «Bene», dice, «ora prova tu». Kreilinger appoggia sul tavolo una bottiglia verde piena d’acqua. Schweiger si concentra, immagina di sollevare i piedi. Fa agire su di sé la sensazione di questo movimento per lui impossibile. Una barra verde sul monitor indica la forza misurata dal segnale emesso dal suo pensiero. Questo segnale viene identificato e trasformato in una debole corrente, che comanda la presa di Schweiger. Il computer ha imparato a leggere i pensieri di Schweiger. Perlomeno alcuni, ben precisi. E Schweiger ha imparato a pensare in modo che il computer riesca a leggerli senza faticare troppo. Lentamente ora allunga il braccio, poi appoggia la mano paralizzata sulla bottiglia di plastica. Immagina di sollevare i piedi e di riabbassarli – il software invia il suo comando che fa aprire la mano. Da ogni altro movimento immaginario dei piedi scaturisce un nuovo ordine in una sequenza prestabilita: solleva i piedi, quattro dita si piegano attorno alla bottiglia; solleva i piedi, il pollice si chiude. Schweiger solleva la bottiglia. Da solo. È il primo uomo che riesce a sollevare una bottiglia con la sola forza del pensiero. Ride. «È difficile immaginare il movimento di un piede dopo anni di assoluta immobilità?». «No», risponde Schweiger, «quando dormo sogno di andare a spasso. Ma sicuramente è strano: pensi ai tuoi piedi e si muovono le dita della tua mano!».

Questo esercizio paradossale ha uno scopo ben preciso. «Le aree del cervello che rappresentano i movimenti reali o pensati dei piedi sono molto più circoscritte di quelle di braccia e mani», spiega MüllerPutz. «Nel caso di Tom il casco da Eeg riesce a riconoscere più facilmente questi se-

«PIUTTOSTO STRANO: COL PENSIERO SOLLEVI I PIEDI – E SI MUOVONO LE DITA DELLA TUA MANO»

ESPLODERE COME NEURONI PENSARE AUMENTA LA TENSIONE

OGNI PENSIERO nel cervello produce un minimo incremento della tensione; i ricercatori che studiano il cervello parlano di “potenziale elettrico” . Con un’intensità da 10 a 15 milionesimi di Volt, è 100 mila volte più debole della batteria di una lampadina tascabile. Le tensioni possono essere misurate sul cuoio capelluto tramite elettroencefalografia (Eeg) e utilizzate per controllare software di scrittura o protesi. La ricerca sulle interfacce cervello-computer si concentra soprattutto su tre tipi di segnali cerebrali.

1. SEGNALI DALLA CORTECCIA MOTORIA Questa zona della corteccia cerebrale controlla i movimenti volontari del corpo, anche se solo immaginati. Già un secondo prima di un’azione si genera un potenziale elettrico, che aumenta lentamente, diventa misurabile circa mezzo secondo prima dell’esecuzione e un quinto di secondo (200 millisecondi) prima è abbastanza forte da poter essere letto con l’Eeg. LE ONDE P300 Queste si manifestano dopo un evento significativo, esattamente 300 millisecondi dopo. Nell’Eeg la curva presenta dei picchi (peak). Le onde P300 sono molto indicate per il controllo di software di scrittura, perché è sempre possibile misurarle quando a video viene visualizzato il carattere richiesto.

3. SEGNALI DAL CENTRO VISIVO Se vediamo una luce a intermittenza regolare, il nostro cervello dopo poco tempo genera sequenze di tensione della stessa frequenza. Quindi, nel caso di più luci aventi frequenze diverse, dalle correnti cerebrali è possibile capire su quale luce ci stiamo concentrando in quel momento. Le frequenze possono essere abbinate a comandi software. Questo metodo può essere indicato per persone con paralisi della muscolatura oculare. gnali. È più comodo e meno dispendioso dal punto di vista tecnico».

LA FORZA DEL PENSIERO per comandare apparecchiature, fino a poco tempo fa, era roba da fantascienza: l’essere ibrido di RoboCop, la fusione di software e cervello in Matrix, tutto ancora molto lontano da ciò che si ritiene possibile al giorno d’oggi. Ma la realtà si avvicina alla fiction. Da tempo nei laboratori di ricerca in Europa e Cina, in Giappone e negli Usa si studiano protesi, braccia artificiali o esoscheletri controllati dal cervello. Alcune aziende sviluppano sistemi Bci per giochi al computer, un gruppo di ricercatori a Berlino è riuscito a comandare un’automobile usando solo segnali del cervello, e vari istituti di ricerca sono stati incaricati dalle forze armate statunitensi di studiare la “telepatia sintetica”, con la quale i pensieri non vengono più espressi in parole, ma captati da uno scanner Eeg e trasmessi a un ricevitore. La medicina ha bisogno di questa tecnologia. Ogni anno nel mondo sono 130 mila le persone che subiscono lesioni del midollo spinale. A queste si aggiungono 350 mila persone al mondo, che, come l’astrofisico britannico Stephen Hawking, sono affette da sclerosi laterale amiotrofica (Sla), quella grave malattia neurologica che inizialmente colpisce la muscolatura e successivamente la parola. Inoltre non di rado si manifesta una sorta di sindrome locked-in (Lis), nella quale il paziente è perfettamente cosciente, ma non può muoversi perché il suo corpo è paralizzato. Spesso anche un ictus cerebrale può avere come conseguenza una condizione locked-in. Non esistono statistiche al riguardo, ma l’onlus Lisa (Lockedin syndrome italian association), stima che solo in Italia vi siano circa 600 casi di questo tipo. Secondo le stime di ricercatori belgi oltre il 40% dei pazienti che in base alle diagnosi mediche sono in coma vigile, in realtà potrebbero essere in una condizione locked-in e quindi coscienti.

GLI STUDIOSI DI BCI imparano a sfruttare sempre meglio il meccanismo neuronale che controlla la percezione e le capacità motorie dell’uomo. Già, perché ogni azione, ogni movimento consapevole del corpo è preceduto nella mente da un’intensa attività cerebrale, che può essere misurata come una serie di impulsi elettrici. E le stesse cellule nervose si attivano anche quando il soggetto pensa a un movimento, ma gli arti stimolati non sono disponibili. Un chiaro esempio di un effetto analogo è dato dai dolori dell’arto fantasma, anche se amputato da molto tempo.

E, così come esistono i dolori dell’arto fantasma, esistono anche i movimenti dell’arto fantasma. Proprio come quelli che i ricercatori di Graz registrano in Tom Schweiger quando pensa ai suoi piedi. La sfida più grande in questo caso consiste nel riuscire a estrarre dall’esplosione neurale proprio quell’impulso che serve per attivare la serie di comandi digitali. Per lo scambio di segnali il nostro cervello dispone di circa 100 miliardi di cellule cerebrali e fino a 100 bilioni di terminazioni sinaptiche. Nella sola corteccia cerebrale ogni singola cellula nervosa riceve le informazioni di circa 30 mila altre cellule, un’attività neurale continua, che non si interrompe nemmeno durante il sonno.

UN FLUSSO DI STIMOLI: OGNI NEURONE NELLA CORTECCIA CEREBRALE RICEVE I SEGNALI DA ALTRI 30 MILA NEURONI

COCKTAIL PARTY PROBLEM: così viene definita questa tempesta di segnali da alcuni ricercatori. Gli impulsi elettrici del cervello assomigliano al brusio confuso di voci percepito dalle case vicine durante un ricevimento. Solo avvicinandosi è possibile cogliere alcuni frammenti di discorso, e solo ascoltando con attenzione è possibile distinguere le voci. Per questo motivo all’inizio molti credevano che fosse necessario andare molto vicino all’origine di un se-

Deboli correnti di uno stimolatore inducono delle contrazioni dei muscoli. Le dita si chiudono e la mano è in grado di afferrare.

Meeting di famiglia in laboratorio. Quattro anni e mezzo fa nacque Tommy, il figlio maggiore di Schweiger. Mamma Silvia (a sinistra) deve frenare il suo interesse per questa tecnica.

gnale cerebrale per poterlo captare chiaramente. Negli anni Novanta, quando negli Stati Uniti la ricerca si focalizzò sui progetti Bci – spesso finanziati dal Pentagono – i neuro-scienziati impiantarono dei micro-elettrodi nel cervello delle loro “cavie”. All’inizio solo negli animali, ma presto anche in alcuni volontari. Grazie a questi impianti neurali i pazienti paralizzati sono stati in grado di muovere braccia robotiche e spostare il cursore sullo schermo di un computer. Il neurologo John Donoghue ha insegnato a un paziente paralizzato dal collo in giù a controllare i movimenti di una sedia a rotelle con gli impulsi prodotti dal cervello e trasmessi da un micro-chip a un computer. Philip Kennedy di Atlanta ha intenzione di restituire la parola a una persona completamente immobilizzata in seguito a un incidente d’auto: questo grazie a un sintetizzatore che trasforma i pensieri del paziente in suoni. E con l’aiuto degli impianti, di recente, un gruppo di studiosi nel North Carolina è riuscito a far muovere a una scimmia due braccia virtuali solo con la forza del pensiero. È già da tempo che gli scienziati in Europa e Asia conducono esperimenti con eletmano sinistra paralizzata di Schweiger alterna la presa di un blocco di legno con tutta la mano alla presa su una bacchetta tra pollice e medio. Con un sensore, che reagisce a movimenti reali della sua spalla destra, contraendo la spalla riesce ad aprire e chiudere le dita; attraverso il Bci, pensando al movimento dei piedi, passa dalla presa con l’intera mano alla presa con due dita. Col passare del tempo, però, questa operazione gli riesce sempre più difficile. «Sono troppo stanco», afferma. «Allora meglio smettere», risponde Kreilinger.

trodi esterni applicati sul cranio del paziente. Il vantaggio di questo metodo, il cosiddetto Bci non invasivo, è che non richiede interventi chirurgici. Lo svantaggio è che la misurazione è relativamente imprecisa se si devono ricercare i segnali nelle regioni cerebrali più profonde. Per questa tecnologia, quindi, sono necessari impulsi che il computer riesca a ricollegare a un pensiero ben preciso. Il paziente, quindi, deve istruire il computer con ore di duro lavoro, oppure i segnali devono essere generati in zone precise della corteccia cerebrale. Come quelle dei movimenti immaginari dei piedi con cui Tom Schweiger controlla lo stimolatore collegato alla sua mano.

PAZIENTI PARALIZZATI CONTROLLANO LA SEDIA A ROTELLE CON GLI IMPULSI PRODOTTI DAL CERVELLO

SONO TRASCORSE DUE ORE nel laboratorio Bci del Politecnico di Graz. Schweiger è chiaramente affaticato. Ora la sequenza dell’esperimento è cambiata: la

NELL’APPLICAZIONE PRATICA, i metodi non invasivi di interazione tra cervello e computer nel frattempo si sono dimostrati altrettanto efficaci di quelli invasivi con impianti cerebrali. Così, un gruppo di ricerca Bci presso il Politecnico di Losanna, diretto da José del R. Millán, ha sviluppato una sedia a rotelle che viene controllata immaginando il movimento delle mani: la sedia impara a interpretare sempre meglio gli ordini mentali impartiti dall’utilizzatore ed è in grado di sollevarlo da una parte dell’attività necessaria alla guida. Un gruppo di ricercatori dell’Università di Brema ha costruito una sedia a rotelle controllata addirittura via Eeg, dotata di un braccio robotico che consente agli utilizzatori persino l’uso di un forno a microonde. E gli scienziati dell’Università di Tsinghua a Pechino e della Clinica universitaria di Amburgo hanno testato un sistema Bci per pazienti paralizzati che, attraverso i segnali generati nel centro visivo del cervello, è in grado di controllare, per esempio, la tastiera di un telefono portatile o i telecomandi di apri-porta, televisore e impianto di condizionamento. In questo caso si lavora con luci colorate, che lampeggiano a frequenze diverse, ma appena percettibili. La frequenza della luce sulla quale si concentra l’utilizzatore

genera particolari segnali neurologici nel centro visivo. Questi vengono letti in tempo reale dal computer e trasformati in ordini prestabiliti, come spegnere la televisione, accendere la luce, aprire la porta... Al centro del laboratorio dell’Istituto per l’Apprendimento automatico del Politecnico di Berlino è installato un flipper. Nel resto della stanza ci sono tavoli da lavoro sui quali sono collocati fasci di cavi, computer portatili e schermi. Michael Tangermann, informatico, si concentra sullo schermo davanti a lui. In testa Tangermann indossa una cuffia di plastica dotata di 128 elettrodi collegati via cavo a un computer. Le mani del ricercatore riposano sulle sue ginocchia. A video compaiono sei campi, disposti in cerchio e contrassegnati da lettere. Poi, dal centro del cerchio parte una freccia verde che attraversa lo schermo come una saetta, fino a raggiungere una D. La lettera si illumina e compare in un campo di testo sul bordo superiore dello schermo. «Ho immaginato di muovere le dita della mano sinistra e poi quelle della destra», spiega il ricercatore Bci, «come un pianista che, mentre sta viaggiando in metropolitana, ripensa a un pezzo per un concerto». Ogni movimento immaginato corrisponde a un impulso che viene registrato dagli elettrodi. Il software abbina un comando a ogni impulso: piega dito a destra – cursore a destra; piega dito a sinistra – cursore a sinistra. Fino a raggiungere la lettera desiderata. La lettera successiva è una I, poi una E seguita da uno spazio. Michael Tangermann scrive, lettera dopo lettera, con il suo pensiero. Dopo cinque minuti sullo schermo compare la frase: Die Gedanken sind frei (Il pensiero è libero). Tangermann scrive senza alcuna esitazione. A un certo punto il cursore sullo schermo diventa «un po’ come una parte del proprio corpo», spiega il fisico Klaus-Robert Müller, che dirige il gruppo di ricerca del politecnico. «Con il nostro metodo il periodo di ad-

destramento è ridotto», afferma. «Durante una prova con soggetti sani, due terzi sono riusciti a dominare la tecnica in un’ora al massimo, riuscendo a scrivere fino a otto caratteri al minuto. «Dopo una sola seduta anche i pazienti affetti da paralisi agli arti inferiori possono già comunicare grazie al Bci berlinese, anche se un po’ più lentamente». Tangermann controlla persino il flipper del laboratorio tramite il sistema Bci. E, dopo un po’ di LA RICERCA con le interfacce uomomacchina ha raggiunto un livello che poco tempo fa aveva ancora dell’incredibile. Di recente alcuni neurologi statunitensi sono addirittura riusciti a ricostruire delle immagini dal cervello dell’uomo. Hanno mostrato ai soggetti dell’esperimento alcune sequenze di film e hanno raccolto l’attività del centro visivo tramite tomografia a risonanza magnetica. I dati sono stati usati per ricostruire la scena con un software; le immagini risultanti erano poco nitide, ma comunque spettacolari. Alcuni ricercatori chiedono già di fermarsi, di avviare un confronto pubblico per stabilire cosa sia o meno consentito fare con questa tecnologia. Soprattutto perché, oltre alla medicina, questa tecnologia interessa molto anche alle forze armate. Infatti, la Darpa, l’agenzia per i progetti di ricerca avanzata del dipartimento di Difesa degli Usa, investe molti milioni di dollari nella ricerca Bci. Non solo per migliorare la qualità della vita degli invalidi di guerra, ma anche per migliorare l’efficienza dei soldati sul campo di battaglia. In teoria, infatti, il sistema Bci non consente di muovere solo protesi, ma anche caccia da combattimento. Alcuni scienziati, tra cui il biologo americano Pete Estep, stanno già progettando la prossima fase nella liaison tra cervello e computer: non si tratta più di leggere i pensieri umani con una macchina, ma del loro potenziamento. Di espandere in modo artificiale la biblioteca di conoscenze, apprendimenti e ricordi memorizzata nei neuroni con conoscenze provenienti dal computer. Ciò che non si è appreso nel corso di molti anni, entro breve potrà essere caricato nella rete di cellule neurologiche. Così anche la demenza potrebbe diventare un disturbo del passato. Questo tipo di potenziamento della memoria è definito da Estep come “Bci cognitivo”: fantascienza per ora, proprio come le sedie a rotelle controllate dal pensiero fino ad alcuni anni fa. «Ma», spiega Estep, «ci sono validi motivi di pensare che gli ostacoli per raggiungere questo obiettivo non siano insormontabili».

CON I SISTEMI BCI I MILITARI NON VOGLIONO MUOVERE SOLO PROTESI MA ANCHE CACCIA DA COMBATTIMENTO

Schweiger controlla anche il cambio di presa, due dita o la mano intera, immaginando un movimento dei suoi piedi. Una grafica a video indica la forza dei segnali cerebrali.

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