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L’eruzione che cambiò il mondo

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La zona grigia

La zona grigia

Nubi grigie nella luce abbagliante del crepuscolo (come raffigurato nel dipinto Veduta di un porto di Caspar David Friedrich): le emissioni gassose del Tambora, oltre che sul clima, ebbero effetto anche sull’arte.

1815 L’eruzione che cambiò il mondo

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Nell’aprile del 1815 avviene la più grande eruzione vulcanica della storia moderna, quella del Tambora, alla quale si deve l’introduzione di importanti innovazioni come le fognature, la bicicletta e le leggi sociali. Persino l’arte si trasforma sotto le nuvole di cenere di quella catastrofe ambientale.

Testo Fred Langer

NON CI SONO TESTIMONI OCULARI, ma sono in tanti ad aver udito l’enorme boato che, la sera del 5 aprile 1815, fa tremare l’intero archipelago indonesiano e non solo. Comandanti e luogotenenti in località distanti centinaia di chilometri tra loro mobilitano le truppe e fanno preparare le navi da guerra per il combattimento. Tutti credono che si tratti di fuoco di artiglieria nelle immediate vicinanze.

Thomas Stamford Raffles, vicegovernatore britannico nelle Indie Orientali, invia una nave ausiliaria da Batavia (l’odierna Giacarta, capitale dell’Indonesia) perché ritiene che le presunte salve di cannone siano segnalazioni di un veliero in difficoltà. Il vascello inglese non trova però niente.

In effetti, per conoscere l’origine di quel frastuono avrebbe dovuto spingersi molto lontano: sull’isola di

Sumbawa, 1.300 chilometri a est di Batavia, dove il vulcano Tambora è in eruzione. Eppure, per quanto immane sia il fragore, questo è solo l’inizio dell’inferno che si scatenerà sei giorni più tardi. Dopo una breve e illusoria fase di calma, sotto la sommità del Tambora si è sviluppata una pressione tale da squarciare il vulcano, alto più di 4 mila metri, provocando un’esplosione che si sente fino a Sumatra, situata 2.500 chilometri più a ovest. A bordo del Benares, un veliero da battaglia della Compagnia britannica delle Indie Orientali che si trova al largo di Sulawesi, a 350 chilometri dal focolaio eruttivo, il boato è assordante, “come se facessero fuoco tre o quattro cannoni contemporaneamente”, scrive il capitano Eatwell. Poi si fa scuro, già verso mezzogiorno è “più buio che nella notte più nera”. Dal cielo cade abbondante cenere, tanto che l’equipaggio del Benares deve mettersi a spalare affinché la nave non si ribalti. Il 19 aprile, dopo che la nube di cenere si è diradata, il Benares raggiunge un’isola che può essere solo Sumbawa, ma non le somiglia più: lunga 280 chilometri, larga

90, ma totalmente cambiata. Quello che un tempo era il cono uniforme del Tambora, punto di orientamento sempre visibile in lontananza per i naviganti, ora non esiste più, è letteralmente esploso, e il vulcano è passato dagli originari 4.300 metri a 2.850 metri di altezza. Degli abitanti dell’isola non c’è più alcuna traccia. Secondo i calcoli dei geologi contemporanei, l’esplosione del Tambora avrebbe liberato un’energia pari a quella di almeno 170 mila bombe atomiche, proiettando in aria 150 miliardi di metri cubi di rocce e cenere, e sollevando una colonna di fumo alta più di 40 chilometri. Colate piroclastiche e valanghe di gas di diverse centinaia di gradi centigradi precipitarono a valle, incenerendo qualsiasi forma di vita, e, nell’impatto con il mare, produssero violente esplosioni di vapore. Sui villaggi sottostanti si scatenò un micidiale bombardamento di frammenti di roccia e la lava ricoprì l’intera isola. Nel calore sempre più intenso si formarono uragani che spazzarono via alberi e case. Porti, spiagge, piantagioni furono flagellati dagli tsunami, con onde altissime che sommersero imbarcazioni, persone e animali. Solo pochi isolani riuscirono a sopravvivere al cataclisma. Due principati, Pekat e Tambora, scomparvero dalla superficie terrestre. Almeno 10 mila abitanti furono uccisi all’istante, tra 50 e 100 mila morirono di fame nelle settimane successive, perché a Sumbawa e nelle isole limitrofe, a Lombok e in alcune parti di Bali non cresceva più niente sotto la coltre di cenere vulcanica. Non sapendo più come sopravvivere, decine di migliaia di persone consegnarono le proprie vite nelle mani dei trafficanti di schiavi. L’eruzione del Tambora è la più violenta dall’ultima Era glaciale. Per trovarne una ancora più devastante, quella del Taupo in Nuova Zelanda, bisogna andare indietro fino a 26.500 anni fa. Il vulcano Krakatoa, molto più famoso del Tambora, eruttò quasi 70 anni dopo, nel 1883, sempre in Indonesia. L’energia sprigionata in quell’occasione fu tuttavia di gran lunga inferiore rispetto a quella del Tambora, ma la notizia fece subito il giro del mondo grazie al telegrafo e alla macchina da stampa. Per questo, nell’epoca dei primi mass media, l’eruzione del Krakatoa divenne una storia sensazionale.

LA NOTIZIA DEL TAMBORA si diffonde invece alla velocità dei velieri, suscitando una blanda reazione perché non vi è ancora un’opinione pubblica internazionale che segua l’evento con partecipazione o sensazionalismo, e nessuno al mondo metterà in relazione la catastrofe dell’anno seguente con l’eruzione di un vulcano in Estremo Oriente. La cenere nell’atmosfera viene presto dispersa e spazzata via dalla pioggia e dal vento, ma la violenza dell’eruzione ha anche proiettato milioni e milioni di tonnellate di anidride solforosa in aria, dove, fra i 30 e i 50 chilometri di quota, il gas incolore si combina con il vapore acqueo, dando vita all’acido solforico, che avvolge il Pianeta in una cappa di aerosol, una cortina di goccioline finissime che fa da scudo al calore dei raggi solari. Il disastro di Sumbawa è quindi solo il primo atto di un dramma che segue inesorabilmente il proprio corso e cambierà il mondo per sempre.

1816: L’ANNO SENZA ESTATE

Non si sa cosa stia succedendo, non si capisce perché il cielo sia così nero e cupo. A Parigi, sommersa sotto enormi masse d’acqua, le campane suonano per convocare i fedeli alla preghiera e i penitenti si muovono in tetre processioni sotto la pioggia battente. A Gand, in Belgio, la gente pensa che le trombe della cavalleria annuncino la fine del mondo come quelle di Gerico. A Bologna un predicatore sparge la voce che il Sole si spegnerà per sempre il 18 luglio 1816; le autorità, temendo un’isteria di massa, lo fanno arrestare. In effetti nell’e-

Thailandia Vietnam Filippine

Malesia Sumatra

Indonesia

Oceano Indiano Borneo

Sulawesi

Giacarta (Batavia)

Giava Tambora

Sumbawa Oceano Pacifico

1.000 km In questa raffigurazione storica quello che appare come un fungo atomico potrebbe essere l’eruzione del Tambora sull’isola di Sumbawa, di potenza equivalente a quella di 170mila bombe di Hiroshima.

Immagine simbolica (nel quadro Plus fidèle qu’heureux del pittore belga Joseph Stevens) che tuttavia era una triste realtà in molte zone europee, quando la nube di aerosol del Tambora schermò i raggi solari. Il 1816 fu un anno gelido in tutto il Nord America e in Europa.

state di quell’anno si mostrerà di rado. Il velo di aerosol del Tambora provoca un calo delle temperature compreso tra uno e due gradi in tutto il mondo, addirittura tra cinque e dieci gradi a livello locale. All’inizio di giugno nevica in Inghilterra e in Baviera, la Sassonia è colpita da alluvioni che fanno annegare le mandrie, mentre in Olanda i contadini macellano il bestiame, ormai alla fame perché le inondazioni hanno distrutto le riserve di fieno. Il Reno e il Neckar, la Senna e la Saona straripano e allagano città e villaggi. Il mese di agosto non è ancora finito, quando neve e ghiaccio ricoprono nuovamente i campi inglesi, distruggendo i raccolti.

LA SITUAZIONE DEGLI APPROVVIGIONAMENTI è talmente critica che le autorità britanniche secretano il rapporto sull’agricoltura, facendone circolare solo poche copie, nel timore che la disperazione dei contadini possa degenerare in rivolte popolari una volta appresa l’effettiva portata del disastro. In Irlanda si prega affinché il Signore risparmi alla gente la peggiore di tutte le calamità terrene, la fame. Invano, perché all’inizio del 1817 un’epidemia di tifo fa strage tra la già provata popolazione dell’isola, uccidendo decine di migliaia di persone. Nell’aprile dello stesso anno, in alcune parti della Svizzera il prezzo del frumento sale alle stelle. Anche i più abbienti chiedono ai propri invitati di portarsi dietro il pane per le cene di gala, mentre il popolo impara a cucinare cibi “alternativi” come lumache, rane e gatti. Nella regione del Baden si registrano i peggiori raccolti degli ultimi 400 anni, in Württemberg le patate marciscono nel terreno, lunghe carovane di affamati si trascinano nel fango delle strade provinciali. “Persone che sembrano cadaveri, tra cui molti bambini, mendicano il pane”, raccontano le cronache del tempo. I viaggiatori descrivono una situazione del tutto analoga in Francia: “A ogni fermata vi sono schiere di donne, bambini, anziani radunate intorno alla carrozza; le grida di tutte queste figure pallide ed emaciate, con le mani tese verso di noi, sono insopportabili”. Ben presto la Francia assiste a scenari da guerra civile, in Inghilterra c’è aria di rivoluzione, Vienna invia l’esercito per tenere a freno le masse esasperate con la forza delle armi. Nella Germania Sud-occidentale, tra la metà del 1816 e la fine del 1817 decine di migliaia di persone emigrano;

L’aumento vertiginoso dei prezzi dei cereali incrementò la criminalità. In questo dipinto si vede uno “strozzino del grano” impiccato.

nei primi quattro mesi del 1817, il solo granducato di Baden perde un quinto della popolazione, che risale il Reno verso i porti marittimi per proseguire alla volta dell’America. Ma non è un buon piano, perché sull’altra sponda dell’Atlantico il quadro è lo stesso: un’estate che è come un inverno, accompagnata in parte da un’estrema siccità. A metà aprile del 1816, nevicate che durano giorni interi preannunciano una catastrofe in Canada. In maggio il gelo e la neve raggiungono gli Stati Uniti dal Maine fino al Tennessee. A giugno le pecore appena tosate del Vermont muoiono assiderate e gli uccelli cadono morti dagli alberi; Boston è sotto la neve, ad Albany, capitale dello Stato di New York, si scatenano tempeste invernali. Neve e gelo anche nel mese di luglio, gelo in agosto. Stessa situazione nel 1817, con la neve che cade anche in pieno maggio. Ormai non si trova più il foraggio, e allora numerosi allevatori del New England sono costretti a trasferirsi nell’Ovest o nel Sud. Un esodo lungo 1.500 chilometri, con diligenze scassate o carretti a mano, sui quali stanno i figli più piccoli e qualche effetto personale; il padre provvede a trainare, seguito a piedi dalla moglie e dai figli maggiori. Tra il 1815 e il 1818 la popolazione dell’Illinois cresce del 160%, quella dell’Indiana quadruplica, arrivando a quasi 100 mila abitanti, quella dell’Ohio passa da 200 mila a 400 mila persone. Sicuramente non è solo il Tambora a spostare i confini americani. Gli Stati del New England, il nucleo iniziale degli Stati Uniti, sono densamente popolati, la terra è sottoposta a un eccessivo sfruttamento. L’“anno senza estate” fa crollare un sistema comunque fragile. Lo stesso avviene in Europa, dove il freddo anomalo colpisce un continente stremato da due decenni di guerra. Eppure senza l’eruzione del Tambora la storia del mondo sarebbe stata diversa, non solo in Europa, non solo in America. Nel 1816, a causa delle basse temperature, il monsone estivo è praticamente assente in India, dove si registrano scarsi raccolti, carestie ed epidemie. La Cina deve affrontare un’improvvisa ondata di freddo, con neve estiva, violente inondazioni nel Sud e siccità nel Nord.

IL VULCANO E IL VELOCIPEDE

Come reagiscono i potenti alle intemperie? Un esempio illustre è quello di Guglielmo I e della consorte Ekaterina Pavlovna Romanova, che salgono sul trono del Württemberg proprio nell’anno senza estate e, come risposta al disastro naturale dell’epoca, adottano misure sociopolitiche a sostegno dei ceti più deboli: nella primavera del 1817 fanno costruire mense, ospedali e una cassa di previdenza agricola, attuano un programma per la creazione di posti di lavoro e introducono una commissione per i poveri facente capo al ministero degli Interni. Una linea politica del tutto nuova, che prende le mosse dagli effetti devastanti dell’eruzione del Tambora. Anche l’Inghilterra emana nuove leggi sociali, la Francia promuove la giustizia distributiva con una politica economica ben calibrata, in Irlanda nascono organizzazioni umanitarie di nuova concezione. In passato le vittime di grandi calamità potevano contare solo sulla carità della Chiesa; ora invece, sotto la cappa di aerosol del Tambora, si fa strada la convinzione che i governanti debbano affrontare le conseguenze delle catastrofi naturali con programmi statali. La crisi degli approvvigionamenti impone anche misure preventive: nel 1818 Guglielmo I fonda un Istituto di agricoltura per lo studio di metodi di coltivazione più efficienti, che in seguito diventerà l’Università di Hohenheim, tuttora centro di eccellenza per le scienze agrarie. Un altro esito dell’eruzione è la Cannstatter Volksfest di Stoccarda, esposizione agricola annuale dove i contadini possono frequentare lezioni di agro-

COME FUNZIONA LA CLIMATOLOGIA: ECCO COSA POSSONO DIRCI DIPINTI E ALBERI

IL SEGRETO DI UN’APOCALISSE REMOTA

I risultati delle misurazioni meteorologiche sono disponibili soltanto da un secolo e mezzo, quindi gli storici del clima si avvalgono anche di dati indiretti per poter studiare il passato in modo più approfondito.

Nel dipinto di William Turner, Il declino dell’impero cartaginese (Londra, Tate gallery), il cielo drammatico ricorda la catastrofe del Tambora. STORICI DELL’ARTE e geologi colgono tracce dell’eruzione del Tambora nei tramonti particolarmente intensi dipinti da pittori come Caspar David Friedrich o William Turner. Anche se si potrebbe obiettare che il Romanticismo aveva un debole per la teatralità delle luci crepuscolari. È possibile stabilire in quale misura lo spirito dei tempi e la fisica dell’atmosfera si riflettono nelle esplosioni cromatiche sulle tele dei quadri? Alcuni scienziati, guidati dal fisico Christos Zerefos dell’Osservatorio nazionale di Atene, si sono cimentati in questo esperimento complesso e costoso. Gli studiosi hanno infatti analizzato le rappresentazioni di tramonti in 554 dipinti di 181 autori, eseguiti tra il 1500 e il 1900. Risultato: le opere prese in esame contengono informazioni straordinariamente precise sull’ambiente e l’intensità dei colori in correlazione con le quantità di lava emesse dalle eruzioni vulcaniche. I quadri dipinti nei tre anni successivi alle grandi eruzioni possiedono inoltre una percentuale notevolmente maggiore di rosso, con punte estreme nei dipinti eseguiti tra il 1815 e il 1818, a dimostrazione della violenza dell’eruzione del Tambora.

LA DENDROCRONOLOGIA studia i rapporti tra lo sviluppo annuale degli alberi e i fattori climatici, misurando la larghezza e lo spessore degli anelli legnosi: a condizioni di crescita sfavorevoli (in termini di temperature e precipitazioni, per esempio) corrispondono anelli di dimensioni minori. Il team del dendroecologo svizzero Ulf Büntgen ha raccolto dati dagli alberi, ma anche da vecchi mobili e travi, ordinandoli secondo un criterio temporale, riuscendo così a ricostruire 2.500 anni di storia del clima. I ricercatori hanno confrontato le informazioni climatiche racchiuse nel legno con gli eventi storici e sono giunti alla conclusione che le epoche storiche sono in correlazione con i cicli del clima; gli alberi e il loro sviluppo riflettono anche l’ascesa e il declino delle civiltà. Per esempio fu proprio intorno al 300 a.C., quando il clima in Europa divenne più caldo e umido, come si evince dalla maggiore crescita degli alberi, che l’Impero romano iniziò a prosperare, per poi tramontare a partire dal IV secolo d.C., quando il clima divenne freddo e secco.

I CLIMATOLOGI analizzano i sedimenti sul fondo delle acque o i depositi nei ghiacci artici, la crescita dei coralli e il rapporto tra gli isotopi di ossigeno nei fossili di crostacei. Il progetto Pages (Past global changes), a cui partecipano 78 ricercatori di 24 Paesi, ha esaminato per sette anni oltre 500 archivi in tutto il mondo, ricostruendo con precisione gli avvenimenti climatici del Pleistocene e dell’Olocene. Gli scienziati hanno anzitutto individuato le forti oscillazioni di temperatura su grandi distanze temporali, causate per esempio dall’intensità solare o dall’inclinazione dell’asse terrestre; tra esse figura la fase calda medioevale, che coincise con un picco culturale in Europa (poemi cavallereschi, cattedrali gotiche). Poi hanno studiato gli eventi catastrofici tra il 1815 e il 1817, successivi all’esplosione del vulcano Tambora, fino ad arrivare a ritroso al 536 d.C., anno d’inizio di un decennio veramente estremo dal punto di vista climatico. Il Sole si oscurò per almeno 18 mesi e i dati raccolti evidenziano infatti un drastico crollo delle temperature, che provocò una crisi della civiltà, con la scomparsa di intere città mitteleuropee, cinesi e centroamericane, il crollo degli imperi, il diffondersi di carestie ed epidemie. Quale fu la causa di una simile apocalisse? Tra i “sospettati” c’è il vulcano Ilopango, nell’odierno El Salvador, tuttavia finora non è stato possibile stabilire la data e l’intensità esatte della sua eruzione. Secondo un’altra ipotesi, quella terribile decade fu dovuta all’impatto di comete con la Terra. IL SEGRETO dell’anno senza estate è stato gradualmente svelato sul piano scientifico a partire dalla fine dell’Ottocento grazie a nuovi metodi di misurazione e con riferimento ad altri vulcani: le eruzioni del Krakatoa in Indonesia (1883), del Santa María in Guatemala (1902) e del Novarupta in Alaska (1912) hanno dimostrato, infatti, che esiste un nesso tra le grandi eruzioni vulcaniche e il raffreddamento del clima.

nomia e scambiare idee innovative. Oggi è una delle feste popolari più importanti del mondo. Oltre a tutto questo, e sempre sulla scia dell’eruzione vulcanica, a Baden prende corpo una geniale invenzione. Il tedesco Karl Drais lavorava già da tempo alla “draisina”, antenata della bicicletta, ma i suoi contemporanei non sapevano cosa farsene, avendo a disposizione cavalli e carrozze. Poi, nel 1816, gli animali, già fortemente decimati dalle guerre napoleoniche, iniziarono a morire di fame o a essere macellati per far fronte alla carestia. C’era quindi bisogno di un mezzo di trasporto efficiente su due ruote. Nel 1817 nasce la bicicletta e nel febbraio 1818 Drais brevetta finalmente il suo veicolo in Francia con il nome di “velocipede”. Nel 2017 verrà festeggiato il 200° anniversario della bicicletta, ennesima eredità lasciata dal vulcano Tambora.

TENEBRE E TRIPUDIO CROMATICO

Ebbi un sogno che non era del tutto un sogno. Il sole radioso si era spento, e le stelle vagavano oscurandosi nello spazio eterno, disperse e prive di raggi, e la terra coperta di ghiacci in tenebre ruotava cieca nell’aria senza luce; il mattino venne e svanì, ritornò senza portare il giorno, e nel terrore di questa desolazione gli uomini obliarono le loro passioni; (...)

IL POETA INGLESE GEORGE GORDON BYRON, autore di questi versi (L’oscurità), trascorre l’estate del 1816 in una villa sul lago di Ginevra. Sono presenti anche la scrittrice Mary Shelley, suo marito e altri bohémien inglesi. Regna un’atmosfera di desolazione. La località di vacanza è interessata dalla catastrofe e si prevede un’alluvione. Gli illustri ospiti non possono uscire di casa e si annoiano davanti al camino. Per ingannare il tempo, lord Byron indice un concorso letterario nella categoria dei racconti del terrore, in linea con la situazione generale. La prova di Byron è notevole: nel frammento Il vampiro, datato 17 giugno 1816, l’autore dà vita al prototipo del moderno vampiro. Ma il contributo di Mary Shelley è addirittura sensazionale: dalla sua fantasia nasce infatti Frankenstein, il capolavoro visionario che narra la storia del mostro per eccellenza. Alla sublime oscurità corrisponde una policromia esplosiva. Gli scrittori gotici possono coltivare la loro malinconia e i pittori romantici di quegli anni guardano il cielo della sera, rapiti da tramonti (quei pochi che ci sono) di intensità fino ad allora sconosciuta.

L’ ESPLOSIONE del Tambora non produce solo nuvole gravide di pioggia, ma anche crepuscoli dalla luce spettacolare. Le goccioline di aerosol nell’atmosfera spezzano i raggi di luce, dando vita a grandiose atmosfere crepuscolari. Probabilmente fu proprio una di esse che il pittore tedesco Caspar David Friedrich immortalò nel dipinto Veduta di un porto del 1815-16. Un altro pittore tedesco, Karl Friedrich Schinkel, si cimenta con la luce crepuscolare in Riva della Sprea nei pressi di Stralau (1817), e altrettanto fanno l’inglese William Turner ne Il declino dell’impero cartaginese (1817) o il francese Théodore Géricault in Paesaggio con acquedotto del 1818. L’impressionante gioco di colori non dura però a lungo. La nuvola di aerosol del Tambora si dissolve completamente entro il 1817 e nell’estate del 1818 le temperature tornano a normalizzarsi su entrambi i versanti dell’Atlantico. Tuttavia, almeno secondo alcuni studiosi, gli effetti della catastrofe si protraggono nel tempo, assumendo forme nuove e uccidendo probabilmente altre centinaia di migliaia di persone. Nel luglio 1832 New York è una città in preda al terrore. Sulle strade le diligenze sovraffollate schivano carrozze stracariche, tutti corrono veloci con il panico dipinto sul volto, tra rumore e caos. Via dalla città. “Fuggono come gli abitanti di Pompei, quando la lava cominciò a riversarsi sulle loro case”, scrive l’Evening Post. Il motivo di questo esodo di massa è il terrore del colera, che, nella sola New York, mieterà oltre 3.500 vittime. I cittadini più abbienti si salvano nelle campagne, mentre i più poveri rimangono nelle loro abitazioni; e nella

La carestia del 1816 decimò anche i cavalli, spianando la strada a un’invenzione fino ad allora considerata inutile e derisa: la draisina, antenata della bicicletta.

Negli anni Trenta dell’Ottocento il colera si diffuse in Europa: solo a Parigi (nel dipinto Il duca di Orléans visita un ospedale del francese Alfred Johannot) le vittime furono 18.500. Secondo gli studiosi, l’epidemia fu una conseguenza postuma dell’eruzione del Tambora.

metropoli regna un silenzio spettrale. Anche questa epidemia, che può trasformarsi in pandemia, ha a che fare con quell’esplosione vulcanica che, 17 anni e tre mesi prima, ha devastato l’isola indonesiana di Sumbawa. Ha inizio nel 1817 in India. Il colera è da tempo conosciuto come fenomeno isolato, ma l’anno senza estate crea condizioni di vita completamente nuove per l’agente patogeno. Le intemperie fanno crollare le temperature e provocano il raffreddamento delle acque del Golfo del Bengala, l’habitat naturale del batterio Vibrio cholerae. Questa nuova fase evoluzionistica ha prodotto un ceppo patogeno ancora più aggressivo a cui l’uomo non può opporre nessuna resistenza.

La popolazione è indebolita, affamata e più esposta alle malattie. Emigra per fuggire dalle zone di povertà nella valle del Gange, portando con sé l’infezione in altre parti del mondo: con le truppe coloniali britanniche, infatti, il colera arriva in Nepal e in Afghanistan e, tramite il fiume Volga, si diffonde dal Mar Caspio fino al Baltico. In Europa e in America Settentrionale, dove il batterio trova terreno fertile nelle baraccopoli metropolitane, l’epidemia giunge all’inizio degli anni Trenta del 1800, uccidendo 1.500 persone (tra cui il filosofo Georg Friedrich Wilhelm Hegel) a Berlino e 18.500 a Parigi. Dai porti britannici, poi, Vibrio cholerae viaggia verso il Nuovo Mondo. Il colera porta malattia e morte, ma cambia e modernizza anche le città. Una volta stabilito con chiarezza che l’epidemia è da imputare alle precarie condizioni igieniche, i quartieri poveri vengono risanati e lo Stato si fa carico di provvedere alle reti idriche e di attuare efficaci politiche sanitarie. Gli escrementi non vanno più a finire nei fiumi, da cui proviene l’acqua potabile: New York, Londra, Amburgo costruiscono le prime grandi reti fognarie. Il clima determina la Storia ben più di quanto pensassimo. “I fatti sociali si spiegano solo attraverso altri fatti sociali”, scriveva il francese Émile Durkheim, padre della sociologia. Si sbagliava: la sfera sociale è molto influenzata anche dalle temperature e dalle precipitazioni. Il 1815 è ricordato soprattutto come l’anno della battaglia di Waterloo, che segnò la sconfitta definitiva di Napoleone. Nei libri di Storia l’eruzione del Tambora appare tutt’al più nelle note a pie’ di pagina, ma la sua azione è importante tanto quanto quella di re, generali e soldati. L’anno senza estate potrebbe quindi insegnarci a ridefinire il nostro contesto storico.

NASA nel prossimo numero (maggio 2015)

GRECIA

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Sono 25 anni che il telescopio spaziale Hubble orbita intorno alla Terra. GEO ha selezionato le immagini più significative e i contributi più importanti raccolti direttamente nello Spazio.

Christian Ziegler

Progetto Icarus

Un esercito composto da migliaia di animali presto controllerà l’intero pianeta. L’obiettivo: prevedere invasioni di cavallette, epidemie o addirittura terremoti e tsunami. Coste assolate, paesini che sembrano usciti da una cartolina, montagne aspre e dolci colline: il valore aggiunto della Grecia è la varietà. Ed è così incantevole da eclissare qualsiasi caos finanziario.

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Prima guerra mondiale: la seconda battaglia di Ypres, in Belgio, diventa famosa per l’uso in combattimento dei gas asfissianti a base di cloro, sviluppati dal chimico tedesco Fritz Haber.

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A Kampala un gruppo di giovani imprenditori vorrebbe risolvere i problemi del Paese e dare al mondo un’immagine diversa del continente africano grazie a internet.

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