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La zona grigia
AMBIENTE LA ZONA GRIGIA
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Miniere e industria pesante erodono la Cina. Particolarmente colpito è il nord del Paese, dove la vita media degli abitanti è diminuita di cinque anni e mezzo. A quando un cambiamento?
Testo Florian Hanig / Foto Lu Guang
Nella steppa di Hulun Buir il terreno è dissestato e pericoloso. Le gallerie delle miniere di carbone spesso crollano, inghiottendo la terra. Ed è anche successo che si trascinassero dietro un’intera famiglia a bordo di un trattore.
Quando i camion carichi di carbone passano per le strade dei villaggi, gli abitanti vengono inghiottiti da una nuvola di polvere. A Pechino le polveri sottili nell’aria sono arrivate persino a livelli 50 volte superiori a quelli ammessi dall’Organizzazione mondiale della sanità.
Un’industria chimica ha riversato i propri rifiuti in un avvallamento del terreno. Una volta evaporata l’umidità, al suolo restano zolle cristalline e una superficie luccicante. Gran parte dell’acqua freatica cinese non è potabile.
Gli operai cercano di proteggersi con delle maschere dai gas di scarico di una fornace di calce. L’industria cinese si sviluppa come quella europea si è sviluppata 150 anni fa. Ma in modo molto più rapido e molto più inquinante.
Il mais e i cereali coltivati nella Mongolia Interna sono contaminati con metalli pesanti. Il governo è costretto ad acquistare terreni agricoli all’estero per sfamare la popolazione.
Kazakistan
India
1000 km Russia
Mongolia Mongolia Interna Pechino
Cina
Corea del Nord
Oceano Pacifico
Grafica-GEO
Bieca ironia o cieca obbedienza? Quando Pechino, a fine febbraio 2014, è scomparsa sotto una nuvola di smog, il contrammiraglio Zhang Zhaozhong è apparso sugli schermi della televisione statale per dichiarare che la coltre nera e soffocante che avvolgeva le strade aveva i suoi lati positivi: l’aria era così satura di metalli pesanti da formare uno scudo contro i raggi laser nemici. La capitale era quindi protetta da eventuali attacchi aerei. Il contrammiraglio ne ha anche approfittato per ricordare che la cintura carbonifera che si estende a nord della capitale attraverso le province di Mongolia Interna, Shaanxi, Shanxi e Hebei protegge Pechino anche da eventuali invasioni via terra, in modo ancora più efficace di quanto abbia mai fatto la Grande Muraglia che attraversa la regione. Infatti, chiunque attraversi il confine cinese dalla Mongolia o dalla Russia incontra, in queste quattro province, un paesaggio infernale. Dove prima c’erano praterie attraversate da gruppi nomadi con i loro greggi di pecore, oggi ci sono crateri enormi, profondi oltre 100 metri e con un diametro che può arrivare fino a qualche chilometro. Colonne di mezzi pesanti serpeggiano sui fianchi di queste voragini per caricare carbone da portare alle cokerie circostanti. Le aree disseminate di crateri sono vaste. Qualche tempo fa alcune gallerie sono crollate: ormai è come se il suolo fosse disseminato di trappole.
È STATO MAO ZEDONG a decidere, negli anni Cinquanta del secolo scorso, di insediare gran parte dell’industria pesante nel nord della Cina. Da un lato perché la costruzione di cokerie, altoforni e fabbriche chimiche vicino ai giacimenti carboniferi avrebbe permesso di limitare i trasporti. Dall’altro lato perché Mao voleva assicurarsi l’approvvigionamento industriale in caso di guerra nell’eventualità in cui la costa fosse stata attaccata da Stati Uniti e Taiwan. Dopo la liberalizzazione dell’economia negli anni Novanta il numero di fabbriche nella regione si è moltiplicato. Se nel 1990 la Cina produceva solo 66 milioni di tonnellate di acciaio, nel 2013 ne produceva 779 milioni, quasi la metà della produzione mondiale. E il settore è in continua espansione, con una crescita fino al 10 per cento annuo. La Cina consuma anche circa la metà del carbone estratto a livello mondiale: nel 2012 ne ha consumate complessivamente 3,8 miliardi di tonnellate. Il Paese non dispone infatti di giacimenti petroliferi e di gas sufficienti ai propri bisogni, mentre abbonda di enormi filoni di carbone, concentrati nelle pianure della Mongolia Interna e nelle province limitrofe. Il 70 per cento dell’energia cinese viene ottenuta dalla combustione del carbone. Nel 2015 verranno costruite altre 16 enormi centrali, la maggior parte delle quali nella zona carbonifera settentrionale. A pagarne il prezzo sono gli uomini e la natura: i giacimenti di carbone inghiottono enormi quantità d’acqua. Solo le 16 nuove centrali avranno bisogno, secondo una stima effettuata da Greenpeace, di dieci miliardi di metri cubi d’acqua all’anno, in una regione che già oggi soffre una grave siccità e diventa sempre più arida e stepposa. A ciò si aggiunge il fatto che le fabbriche scaricano le loro acque reflue non depurate nei fiumi oppure nei deserti. Infatti oggi oltre il 50 per cento delle acque freatiche cinesi è inquinato. E i laghi prosciugati sono spesso ricoperti di uno strato di residui chimici che scintillano nei colori dell’arcobaleno. La polvere turbinante del deserto del Gobi si mescola alla fuliggine delle
fabbriche, ai vapori sulfurei delle cokerie e ai gas di scarico velenosi delle fabbriche chimiche, generando una miscela tossica che durante l’inverno e la primavera copre ampie zone della Cina.
IL GIORNO IN CUI il contrammiraglio Zhang è comparso sugli schermi televisivi, la concentrazione di polveri sottili a Pechino superava i 500 microgrammi al metro cubo: un livello 50 volte superiore al valore massimo stabilito dall’Organizzazione mondiale della sanità. I pechinesi che volevano attraversare una strada a quattro corsie non riuscivano più a vedere da un lato all’altro dell’arteria. Secondo gli studi pubblicati sulla rivista medica inglese The Lancet, questo smog costa ogni anno la vita a mezzo milione di cinesi. Nelle regioni nord-orientali della Repubblica popolare la speranza di vita si è ridotta in media di cinque anni e mezzo. Il ministero dell’Agricoltura cinese stima che l’inquinamento dell’aria con metalli pesanti renda ogni anno non commestibili dieci milioni di tonnellate di cereali e ne contamini altri 12 milioni di tonnellate. Una ragione in più per cui le aziende statali acquistano o affittano terreni agricoli in tutto il mondo. Solo in questo modo è infatti possibile nutrire la popolazione cinese. Il governo è consapevole della crisi: il Capo del governo Xi Jinping ha dichiarato, nel luglio 2013, che i suoi ministeri nei prossimi cinque anni spenderanno l’equivalente di 200 miliardi di euro in misure volte a migliorare la qualità dell’aria. Inoltre l’impegno per l’ambiente sarà uno dei fattori da considerare nella promozione dei funzionari pubblici. È infatti in questo settore che sono falliti finora i progetti di riforma dei decenni passati. I funzionari con ruoli direttivi, molti di cui membri del partito, finora venivano valutati in base a due criteri: la capacità di mantenere la pace politica nel loro distretto e la quantità di denaro iniettata nelle casse dello Stato. Chi voleva fare carriera doveva favorire l’insediamento di industrie. I requisiti ecologici, controproducenti in termini di profitto, venivano trascurati. Un compito piuttosto semplice, dato che la maggior parte dei danni ambientali sono di natura cumulativa e che i loro effetti diventano visibili solo in un secondo tempo, come è avvenuto nei “villaggi del cancro” della Cina Centrale, situati a valle di alcuni stabilimenti chimici. Quando si verificano i primi casi di tumore, nella maggior parte dei casi, i funzionari responsabili dello scarico illegale dei veleni tossici hanno già ottenuto un posto migliore altrove. Con una automobile di servizio più grande, una casa più lussuosa, una nota spese ancora più generosa.
A Xilin Gol le scorie dei giacimenti carboniferi seppelliscono la steppa. Sono ormai pochi i pastori rimasti con i loro animali tra i cumuli di detriti.
LA DESERTIFICAZIONE del paesaggio nel nord della Cina ha nel frattempo assunto dimensioni talmente apocalittiche e gli effetti sull’intero Paese sono così devastanti che il partito deve agire. Gli esperti sinologi amano scrivere che esiste una specie di accordo tra il Partito comunista e il popolo cinese: se l’economia è florida e il popolo sta sempre meglio, si può anche rinunciare alla propria libertà. Pur di aumentare il proprio livello di benessere i cinesi hanno per così dire rinunciato al diritto di votare liberamente, di riunirsi liberamente e di esprimersi liberamente. E ben presto dovranno rinunciare anche a quello di respirare liberamente.
Lu Guang, ex operaio di fabbrica nato nel 1961, documenta da anni le devastazioni ambientali in Cina. Grazie al suo lavoro ha ottenuto il premio Henri Nannen e altri riconoscimenti, ma anche tante minacce da parte degli industriali.