Il Principe Viaggiatore e la Bella Colombella
THE PRINCE WHO WANTED TO SEE THE WORLD
Racconto dalla tradizione portoghese.
Dalla versione di Andrew Lang, The Violet Fairy Book.
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Tanto tempo fa, in un castello sull’Oceano Atlantico, viveva un re che aveva un unico figlio.
Tutti i giorni il principe tormentava il padre da mattino a sera, chiedendogli il permesso di partire per vedere il mondo. Aveva sempre sognato di fare l’esploratore, ma il re non voleva che uscisse dai confini del regno.
Chiedi, chiedi, chiedi, un bel giorno il re cedette, seppur preoccupato per la sorte del suo unico erede. Ordinò al tesoriere del regno di preparare alcuni lingotti d’oro che potessero coprire le spese di viaggio, chiamò a sé il principe e gli comunicò la sua decisione.
«Se questo è ciò che ti rende felice, figlio mio, allora potrai partire», gli disse. Il principe, fuori di sé dalla gioia, sellò il cavallo e partì il giorno stesso.
Era talmente tanto tempo che sognava di farlo che aveva già preparato tutti gli itinerari, segnato i luoghi che avrebbe voluto visitare e cercato tutte le recensioni delle locande.
Aveva persino un “Taccuino delle avventure”, dove aveva preso appunti su tutti i mostri conosciuti che popolavano le leggende del tempo e che avrebbe voluto combattere. Era certo che la sua sarebbe stata l’avventura della vita!
Le prime settimane, però, si rivelarono più noiose del previsto. Il principe non faceva altro che cavalcare, giorno e notte, e attraversava campi e boschi, villaggi tutti uguali e ponti traballanti.
Una sera, stanco e annoiato, guardò l’itinerario e poi cercò sulla mappa la locanda migliore della zona, e vi si recò per la notte. Mentre cenava, circondato da creature di ogni tipo, uno strano individuo si sedette al suo tavolo.
«Hai mai giocato a carte?» gli chiese. Il principe fu allo stesso tempo stupito e incuriosito da quella domanda. «Certo, mio buon signore.
È uno dei miei passatempi preferiti!» rispose il principe.
«Vorresti farmi compagnia?» domandò l’uomo misterioso tirando fuori dalla tasca un mazzo di carte. Il volto del principe si aprì in un sorriso: un po’ di divertimento, finalmente! Accettò subito l’offerta dello straniero, e iniziarono a giocare. Ahimè, l’uomo non voleva giocare soltanto per divertirsi, ma gli propose anche di puntare i lingotti d’oro che aveva con sé. Il principe, inconsapevole e ingenuo, accettò, e poche ore dopo si ritrovò senza niente.
«Un’ultima partita», disse allora lo straniero. «Se vincerai tu ti ridarò tutti i tuoi lingotti. Se vincerò io, però, tu passerai i prossimi tre anni in questa locanda, e non ti potrai muovere. Io pagherò tutte le spese necessarie. Una volta trascorsi i primi tre anni,
sarai mio servo per i successivi tre». Il principe, che ormai non aveva più denaro per continuare il suo viaggio, annuì. Per sua sfortuna, lo straniero vinse un’altra volta, e il principe, piangendo lacrime amare per le sue scelte infauste, trascorse i successivi tre anni nella locanda. Abituato com’era agli agi del palazzo, la stanza della locanda sembrava ogni giorno più piccola, e il cibo gli pareva più insipido ad ogni pasto.
«Perché non ho ascoltato mio padre?» si lamentò il giovane.
Trascorsi i primi tre anni lo straniero tornò alla locanda, accompagnato da una decina di guardie.
«Vieni con me, giovane. Hai ancora tre anni di pena da scontare!» gli disse, mostrandosi nel suo vero aspetto. Infatti lo straniero era in realtà anch’egli di sangue reale, e condusse il principe nel proprio palazzo. Durante il viaggio la comitiva incontrò una vecchia mendicante con un bambino molto magro, e il principe sentì il suo cuore stringersi.
Promise al re che l’avrebbe raggiunto a palazzo, e gli disse di proseguire, poi prese dalla sua sacca un pezzo di pane e una bottiglia d’acqua e li porse al bambino. La donna, con gli occhi bagnati di lacrime di riconoscenza, lo ringraziò di cuore.
«Sei una persona buona, straniero.
Avresti potuto ignorarci come ha fatto il resto della tua comitiva, e invece hai
avuto pena di noi. Prosegui dritto per questa strada. Quando sentirai un intenso profumo di rosa provenire da un giardino ai lati della strada, entraci e nasconditi vicino al ruscello. Arriveranno presto tre colombe bianche come la neve, e quando voleranno accanto a te dovrai rubare loro una piuma.
La rivorranno indietro, ma tu rifiuta di ridargliela finché loro non ti avranno donato tre oggetti».
Il principe la ringraziò e fece come la donna aveva detto.
Le colombe donarono al principe un anello, una collana e, infine, gli lasciarono la piuma.
«Quando avrai bisogno di aiuto, ricordati di noi», disse una colomba, «Se hai scoperto il nostro segreto
significa che hai un buon cuore, e ti meriti questi oggetti. Ti basterà dire “Vieni in mio aiuto, o bella colombella”, e io arriverò da te. Sono la figliastra del re che ti ha ingannato tre anni or sono, e riconosco le colpe del mio patrigno. Ti ha imbrogliato e ha sfruttato le tue debolezze per portarti in rovina e per renderti suo schiavo, e tu non lo meriti».
Il principe la ringraziò e ripartì verso il castello del re malvagio. Come vi entrò, il re ordinò che fosse subito portato al suo cospetto, e gli porse tre grosse borse di tela. «Queste sacche contengono grano, miglio e orzo. Seminali subito, e domani portami tre panini: uno al grano, uno al miglio e uno all’orzo. Se non lo farai, ti ucciderò».
Il principe rimase senza parole. Come poteva fare entrambe le cose?
O seminava, oppure ci faceva il pane. Una volta nella sua stanza, che in realtà era più simile ad una cella perché aveva una sola, minuscola, finestra, un letto di paglia e un umido muro di pietra, il principe iniziò a piangere. Tra una lacrima e l’altra, tuttavia, si ricordò delle colombe che aveva incontrato durante il viaggio, e prese la piuma bianca dalla tasca.
«Bella Colombella, ti prego, aiutami!»
implorò il principe.
La colomba arrivò in un battibaleno, e volò nella stanza.
«Che succede, uomo dal buon cuore?»
chiese la colomba.
Il principe le raccontò della richiesta del re, ma lei non si scompose.
«Non disperare e vai a dormire. Fidati di me, e vedrai che tutto si sistemerà». Dicendo questo, la colomba volò via e il principe cadde in un sonno profondo.
Il mattino dopo, quando si svegliò, vide tre vasi germogliati, e accanto ad essi tre grandi panini, morbidi e caldi.
La colomba era stata incredibile!
Il principe si vestì in fretta e furia, prese i vasi e i panini, e si recò dal re. «Ecco a voi, vostra maestà», disse il principe inchinandosi davanti al trono.
Il re non riusciva a credere ai suoi
occhi: nessuno era mai riuscito a soddisfare la sua richiesta prima di quel giorno! Decise, allora, di chiedere ancora di più.
«La mia amata figliastra, la mia primogenita, ha perso un vecchio
anello di famiglia durante un viaggio, tempo fa. Devi ritrovarlo! Se non lo farai, ti ucciderò». Il principe tornò ancora una volta nella sua stanza e richiamò la colomba, che ascoltò la richiesta del re e disse: «Domattina prendi un coltello e un catino, e recati sulla riva del fiume. Percorrila tutta, e troverai il relitto di una scialuppa. Là troverai l’anello».
Pur non sapendo a cosa servissero il coltello e il catino, né dove fosse esattamente l’anello sulla scialuppa, il principe fece come ordinato dalla colomba. Dopotutto, lei l’aveva aiutato già una volta. Quando arrivò alla scialuppa, vide la colomba appoggiata al legno della barca. Lei gli ordinò di salpare, e lui obbedì.
Quando giunsero in mezzo al mare, la colomba parlò: «Prendi il coltello e feriscimi, ma fai attenzione! Neanche una goccia di sangue deve cadere. Poi lanciami in mare».
«Ma, bella colombella, non voglio farti del male», disse il principe.
«Lo so, buon uomo, ma proprio per questo dovrai fidarti di me», rispose la colomba.
Il principe prese il coltello, chiuse gli occhi per non vedere e poi ferì la colomba e la lanciò in mare.
Poco dopo lei riemerse dalle acque, tenendo con il becco un enorme anello. Per un solo istante, il principe vide al posto della colomba una bellissima fanciulla. Chiuse le palpebre un momento, incredulo, e quando le riaprì davanti a lui c’era soltanto la colomba.
«Deve essere stata un’allucinazione», si disse il principe. Dopo avergli consegnato l’anello, la colomba volò via, e il principe tornò dal re.
Infuriato per le incredibili capacità del giovane, il re gli fece un’altra richiesta, certo che questa volta il ragazzo non sarebbe riuscito a soddisfarla.
«Questa sera dovrai cavalcare il mio asino e insegnargli ad essere il migliore dei destrieri. Se non lo farai, ti ucciderò».
Per la terza volta il principe tornò nella sua stanza e chiamò la colomba.
Lei, come le volte precedenti, parlò:
«Il mio patrigno, il re malvagio, sta cercando un modo per liberarsi di te. Non dovrai trattare l’asino con
gentilezza! Devi sapere che, in realtà, grazie ad una magia, l’asino sarà proprio il mio patrigno. Mia madre sarà la sella, le mie sorelle saranno le staffe e io sarò le briglie. Devi trovare un modo per indebolirci tutti!»
«Ma, bella colombella, non voglio farti del male», disse il principe.
«Lo so, buon uomo, ma proprio per questo dovrai fidarti di me», rispose la colomba.
Il principe allora indossò un paio di guanti, andò nel bosco e raccolse due interi cesti di ortiche. La sera, quando fu il momento di andare nella stalla a prendere l’asino, portò con sé i cesti e ricoprì l’asino, la sella e le staffe con le foglie di ortica. Il mattino dopo, quando il principe si presentò al cospetto del re, questi era tutto pieno
di bolle rosse, e non riusciva a smettere di grattarsi. E anche le figliastre e la moglie erano nelle stesse condizioni! Si salvava soltanto una delle figliastre, che il principe vedeva per la prima volta. Aveva i capelli bianchi come le nuvole d’estate, gli occhi neri come il carbone e le labbra rosse come una rosa fiorita: era la fanciulla più splendente che avesse mai visto in vita sua. Quella stessa sera, la ragazza lo svegliò in piena notte.
«Avanti, principe!», gli disse scuotendolo, «Dobbiamo approfittare del fatto che siano ancora deboli, dobbiamo scappare!»
Il principe e la principessa corsero nelle scuderie, sellarono il cavallo più magro, che lei diceva corresse come il vento, e partirono.
Quando il re e la regina si svegliarono e scoprirono che la principessa era fuggita con il ragazzo, la loro rabbia esplose come una bomba.
«Devi inseguirli!» disse la regina al re, «Alzati da questo letto, e vai a riprendere la mia bambina!»
Il re prese con sé le sue guardie migliori, e partì all’inseguimento.
Quando la principessa si rese conto che il suo patrigno stava per arrivare, ordinò al principe di fermarsi e fece una magia: trasformò il principe in un vecchio eremita, il cavallo in una cappella e sé stessa in una suora.
Quando il re li raggiunse, fermò il cavallo e chiese: «Avete per caso visto due giovani con un cavallo?»
«Nessuna creatura è passata di qui questa notte», rispose l’eremita, che in
realtà era il principe. Il re, deluso, tornò al castello, mentre il principe e la principessa ripartirono. Quando il re riferì l’accaduto alla moglie, questa esplose ancora una volta di rabbia: «Ti hanno ingannato, marito! Io sono una strega, e così anche le mie figlie! Avresti dovuto portarmi una pietra della cappella, oppure un pezzo dell’abito della suora o dell’eremita. Sei uno stolto! Ora torna da loro, e riportami la mia bambina!»
Il re tornò nelle scuderie, richiamò le guardie e ripartì.
Quando la principessa si accorse che, di nuovo, il patrigno li stava per raggiungere, trasformò il cavallo in un bel cespuglio, sé stessa in una pianta di rose e il principe in un giardiniere.
Quando il re li raggiunse, fermò il cavallo e chiese: «Avete per caso visto due giovani con un cavallo?»
«Nessuna creatura è passata di qui questa notte», rispose il giardiniere, che in realtà era il principe. Il re sbuffò, e tornò di nuovo a palazzo, mentre i due giovani riprendevano la fuga.
Quando la regina venne a sapere che il re era stato ingannato un’altra volta, non seppe più trattenersi: «Sei uno stolto! Dovevi portarmi una rosa! Visto che non sei capace di occupartene da solo, questa volta verrò con te! Voglio riportare a casa la mia bambina!»
Detto questo, la regina andò con il marito nelle scuderie e, richiamando le guardie per la terza volta, ripartirono.
La ragazza percepì la loro vicinanza, ma sentendo la presenza della madre si spaventò moltissimo. La regina, infatti, aveva doti magiche ben superiori alle sue! Prese coraggio e trasformò il cavallo in uno stagno, il principe in una tartaruga e sé stessa in un’anguilla. Purtroppo, però, non servì a nulla, perché non appena la regina li vide, seppe che erano loro.
«Torna a casa con noi!»
ordinò la regina all’anguilla, riconoscendo la figlia.
La ragazza, però, si rifiutò con veemenza.
La regina, allora, si rivolse al re: «Prendi un po’ di acqua dallo stagno e mettila in una borraccia».
Soltanto così, infatti, avrebbe potuto piegare la principessa al suo volere.
Il re aprì la borraccia e la infilò nell’acqua. Quando stava per tirarla fuori, però, la tartaruga lo fermò e la rovesciò. Il re provò una seconda volta, ma di nuovo la tartaruga fu più veloce di lui. Al terzo tentativo fallito, la regina sospirò.
«E va bene, figlia. Hai vinto tu. Vuoi fuggire con questo principe?
Ebbene, puoi farlo. Promettimi, però, che tornerai a trovarci», disse. La principessa si ritrasformò in un’umana, poi fece tornare anche il cavallo e il principe alla loro forma originale. Abbracciò la madre e le assicurò che si sarebbero riviste presto. Ciò che la ragazza non sapeva, però, era che, nel frattempo, il suo patrigno aveva obbligato le sue sorelle a fare un incantesimo.
Come il principe e la principessa avessero varcato le porte della locanda dove il principe aveva perso tutti i suoi averi, infatti, egli si sarebbe dimenticato della principessa. E, purtroppo, così accadde. Il principe ripartì dalla locanda, scordando di dover portare con sé anche la principessa. La ragazza, disperata e abbandonata, pianse tutte le lacrime che aveva, finché non sentì le voci delle sue sorelle.
«Ci dispiace, ma non avevamo altra scelta! Sai quanto il nostro patrigno sia malvagio, non potevamo rifiutarci!» disse la maggiore.
«Non è ancora tutto perduto, però!» la rassicurò quella di mezzo.
«Vola da lui, e ricordagli delle vostre
avventure!» concluse la maggiore. La principessa si trasformò ancora una volta in una colomba, e volò fino al castello sull’Oceano Atlantico.
Fece il giro intorno al palazzo due volte, finché non riuscì a trovare la stanza del principe. Vi entrò e lo vide seduto alla scrivania, intento a scrivere del suo lungo viaggio.
In un sacchettino su un angolo del tavolo c’erano l’anello, la collana e la piuma bianca che lei gli aveva donato la prima volta che si erano visti.
La colomba si posò sulla spalla del principe, e gli sussurrò nell’orecchio: «Indossa quell’anello, mio principe, vedrai che ti andrà bene».
Il principe, non comprendendo più il linguaggio delle colombe per via dell’incantesimo voluto dal re
malvagio, si voltò verso la colomba e la guardò storto. Allora, la colomba prese il sacchettino con il becco e lo portò sul foglio dove il principe stava scrivendo. Lui, incuriosito, l’aprì, e indossò l’anello e la collana, poi prese in mano la piuma, e in un istante gli tornò la memoria.
«Bella colombella! Mia bella principessa, sei tu!» disse entusiasta. La colomba si ritrasformò nella principessa, e abbracciò il suo amato.
I due innamorati si sposarono e, una volta celebrato il matrimonio, mandarono a chiamare le sorelle e la madre della principessa, perché vivessero con loro nel castello sull’Oceano Atlantico.
Il re malvagio morì solo e triste, mentre la principessa, il principe e le loro famiglie vissero per sempre felici e contenti.