C’era una volta, quasi un millennio fa, un regno lontano dove le ninfe del lago vivevano in pace con gli esseri umani.
Il Governatore della città vicina al lago aveva due figli gemelli: Giovanni e Filippo, che erano come il bianco e il nero.
Giovanni, fin dalla tenera età, amava comandare tutti, mentre Filippo non ne aveva interesse.
Il sogno di Filippo non era diventare Governatore: lui voleva fare
L’ALCHIMISTA! Con l’aiuto della Vecchia Noella, esperta di arti magiche e discendente di una famiglia di incantatori, imparò tutto ciò
che c’era da sapere, e divenne bravissimo a creare intrugli, pozioni e pergamene di incantesimi.
La Vecchia Noella gli raccontò di un libro leggendario, IL LIBRO STRATOSFERICO DELLE POZIONI. Era stato proprio grazie alle ricette contenute in esso che la convivenza tra le ninfe del lago e gli umani era diventata realtà. «Come può un libro di pozioni permettere una cosa simile?» chiese Filippo. Ma la Vecchia Noella non gli rispose mai.
Un giorno la Principessa del lago, Lyla, andò a palazzo, e si innamorò del prode Cavalier Filippo.
Ben presto Lyla e Filippo decisero di sposarsi, ma il giorno del matrimonio
il perfido Giovanni li attaccò, geloso della bellissima Lyla e intenzionato a governare anche sul lago.
Filippo e Lyla, aiutati dalla Vecchia Noella, riuscirono a fuggire e, alla morte del padre, Giovanni divenne il nuovo Governatore.
Gli anni passarono e Giovanni, che aveva il cuore nero come la pece, diventò un gran tiranno. Sposò una nobildonna di una terra lontana ed ebbe un figlio, Javier. La Vecchia Noella venne imprigionata e morì in cella, e nessuno seppe più nulla sul Libro Stratosferico delle Pozioni.
Lyla e Filippo vivevano la loro vita sulle sponde del lago, felici con sei splendide bambine metà umane e metà ninfe. Le bambine si chiamavano
Aurora, Bianca, Elsa, Matilde, Flora, e Morgana. Il loro destino, una volta diventate grandi, era di trasformarsi in meravigliose ninfe del lago: dolci e sinuose, avrebbero ballato sulle acque come cigni e avrebbero dovuto proteggere il lago da ogni male. Però Morgana, la figlia di mezzo, era tale e quale al suo papà.
A lei non importava di essere delicata e soave: lei avrebbe voluto diventare l’alchimista più brava di sempre! Faceva sempre tantissimi esperimenti, che… BOOOOOOM! …non sempre davano il risultato sperato!
Ogni giorno Filippo usava le arti magiche per cambiare il suo aspetto e andare in città nella bottega di magia che aveva aperto nel villaggio,
e ogni giorno una delle sue figlie beveva la sua stessa pozione e a mezzodì gli portava il cestino del pranzo. La pelle delle ninfe splendeva al sole come pietre preziose, e i capelli fluivano come piume al vento: chiunque le avesse viste nel loro aspetto naturale avrebbe saputo che erano ninfe del lago. Con gli anni le ragazze diventarono però sempre più tristi: loro avrebbero voluto andare in città e farsi ammirare da tutti, e invece dovevano trasformarsi per non farsi riconoscere. Morgana, invece, era sempre entusiasta di bere la pozione: lei odiava stare al centro dell’attenzione, e aveva anche provato diverse volte a tagliare quei capelli, così lunghi e fastidiosi… ma dopo dieci minuti loro ricrescevano sempre!
Bere la pozione, per Morgana, era come respirare libertà.
Quando era il suo turno di portare il pranzo al papà lei si fermava ore e ore con lui. Leggeva tutti i libri che c’erano nella bottega, annusava tutte le boccette degli ingredienti e imparava a memoria tutti i nuovi incantesimi. A volte la sera sgattaiolava via da casa per tornare al villaggio e portare via uno o due libri da leggere.
Un giorno Flora stava passeggiando per la città, e vide due uomini che appendevano un manifesto che parlava di un Gran Ballo che ci sarebbe stato qualche giorno dopo, nel quale Javier voleva trovare una sposa. Appena i due furono andati via, un’orda di ragazze
si accalcò per leggere.
«Voglio essere io la sua sposa!» disse una. «Javier è così bello…»
esclamò un’altra. La folla si diradò e Flora, timidamente, si avvicinò.
Al centro della pergamena c’era un’illustrazione che ritraeva Javier, e Flora pensò che fosse il più bel ragazzo che avesse mai visto in tutta la sua vita. Tornò a casa, emozionata, e corse subito a raccontare del ballo alle sorelle. «Venite con me, ve ne prego! E, per una volta, andiamo con il nostro vero aspetto!» disse. Poi guardò
Morgana e aggiunse: «La mamma e il papà non devono saperlo, però».
«Parli come se io fossi una spia!»
reagì Morgana.
«Non sei una spia, però fai disastri fin da quando eri piccola»,
disse dolcemente Elsa.
Morgana incrociò le braccia: «E comunque non dovremmo andarci, ci hanno sempre detto che è pericoloso! Soprattutto senza bere la pozione».
Aurora allora le chiese: «Da quando tu hai paura di ciò che è pericoloso?»
«Io non ho paura!» rispose Morgana.
«E allora vieni anche tu, ci divertiremo, vedrai! E poi la sera anche tu esci sempre di nascosto!» concluse Aurora.
Morgana sbuffò, ma alla fine accettò di accompagnare le sorelle.
Le ragazze, senza farsi vedere dai genitori, indossarono gli abiti più belli che avevano, acconciarono i capelli e, una volta che Filippo e Lyla furono a dormire, sgattaiolarono fuori per andare in città. Quando entrarono
nella Sala Grande della residenza del Governatore, tutti si voltarono a guardarle: erano le creature più belle che tutti gli invitati avessero mai visto. Purtroppo, però, anche Giovanni le notò subito, riconobbe immediatamente la somiglianza con Lyla e chiamò a sé Javier. «Quelle sciocche ragazzine speravano che non le riconoscessi! Vai da loro figlio mio, guadagnati la loro fiducia e poi portami la Ninfa Lyla!» gli ordinò. Javier annuì e andò subito verso le ninfe. Si inchinò, si presentò e le guardò attentamente. Dopo qualche istante, il suo sguardo cadde su Flora. «Vuoi ballare?» le chiese. Flora, felicissima e con un gran sorriso, accettò. Ballarono fino all’alba, e Flora si innamorò perdutamente di Javier.
Le ragazze riuscirono a tornare a casa appena in tempo, proprio mentre Filippo si stava svegliando. In punta di piedi si avvicinarono ai letti, tirarono le coperte e si misero a dormire.
Nei giorni seguenti Flora non faceva altro che parlare di quanto Javier fosse bello, intelligente e affascinante, e tutte le sorelle l’ascoltavano rapite.
Soltanto Morgana le diceva di stare attenta. «Quel tipo ha gli occhi da cattivo!» le disse un giorno.
Ma Flora non la ascoltava: il cuore le diceva che Javier fosse la sua anima gemella, e non sarebbe certo stata sua sorella più piccola a farle cambiare idea. Nel frattempo Javier ogni giorno andava in città alla ricerca di Flora, insieme al capitano delle guardie del Governatore, il Cavaliere Artù,
che aveva un’armatura spaventosa e non mostrava mai il suo volto. Ma non fatevi ingannare dalle apparenze, perché Javier non cercava Flora per amore! Trovare il nascondiglio di Flora avrebbe voluto dire trovare anche Lyla, e catturare Lyla avrebbe significato ottenere finalmente il dominio sulle acque del lago. Nessuna delle ragazze, però, andò più in città senza bere la pozione, e Javier uscì ogni giorno per quattro mesi senza trovare la bella Flora. Poi, una sera, il Cavaliere Artù uscì di nascosto dal castello.
Javier lo vide, e decise di seguirlo.
Perché Artù usciva a tarda notte, di soppiatto? L’aveva forse tradito?
Javier prese un pesante mantello e se lo mise sul capo, per non essere
riconosciuto, poi seguì Artù fino ad una piccola bottega. Eh, sì, bambini, era proprio la bottega di Filippo!
«Ha forse trovato le ninfe?» si chiese
Javier. Artù tirò fuori un pezzo di carta dall’armatura e lo infilò sotto alla porta della bottega. Poi, silenzioso come era arrivato, se ne andò. Javier aspettò qualche minuto, per essere sicuro che Artù fosse andato via, si avvicinò alla porta e, con l’aiuto di un pugnale, riuscì a prendere la lettera da sotto la porta, e la lesse: “Le tue figlie erano al Gran Ballo. Giovanni e Javier lo sanno e le stanno cercando. Non farle tornare in città”.
Javier stracciò il messaggio e lo mise in tasca, sogghignando. L’aveva trovata, finalmente! La mattina dopo Javier e
Artù uscirono per andare alla ricerca di Flora, come facevano ogni giorno. «Andiamo alla bottega dell’alchimista», disse Javier. Artù si fermò.
«Perché, signore?» chiese.
Javier, che era molto cattivo ma anche molto furbo, disse una bugia: «Perché lui avrà di sicuro una pozione che mi possa aiutare a trovare la fanciulla misteriosa del ballo!»
Entrarono nella bottega e, che incredibile coincidenza! Quel giorno era proprio il turno di Flora!
Lei, che aveva appena lasciato il cestino del pranzo sul tavolo della bottega, si voltò e vide Javier. Il cuore di Flora si riempì di gioia.
«Cerchiamo l’alchimista», disse Javier non riconoscendo la ragazza, che aveva bevuto la pozione.
«Mio padre tornerà tra poco», rispose lei. «Andiamocene, qui non c’è nulla di utile», disse Artù agitato. «ASPETTATE!» li fermò Flora.
Javier la guardò negli occhi, e riconobbe la fanciulla. «Sei tu… la giovane che ha ballato con me al Gran Ballo?»
«Sì, mio principe!»
Javier si mise in ginocchio. «Ti sto cercando da mesi, mia adorata!
Ti prego, sposami, e rendimi felice!»
Flora si mise a piangere e annuì.
Poi diede appuntamento a Javier ai cancelli della città per la mattina successiva. «Ti farò conoscere la mia famiglia!» gli disse.
Artù era terribilmente agitato:
doveva trovare un modo
di contattare Filippo!
Aspettò che Javier andasse a dormire per uscire di nascosto e tornare alla bottega. Questa volta, però, non poteva soltanto lasciare un messaggio: doveva entrare, per essere certo di riuscire ad avvertire Filippo del pericolo. Andò nel vicolo dietro la bottega, dove vide una finestra aperta. Fantastico! Sarebbe entrato da lì, Filippo l’avrebbe trovato la mattina successiva all’alba, lui gli avrebbe raccontato tutto e sarebbero riusciti a salvare Lyla e le sue figlie. L’armatura era grossa e ingombrante, e faceva sempre un forte CLAC CLAC CLAC.
Artù cercò di essere silenzioso, ma senza successo. Facendo tanto baccano, riuscì ad entrare nella bottega, ma… SDOING!
Era Morgana che, davanti alla finestra, aveva appena stordito Artù, colpendolo con un grosso bastone. Con molta fatica lo legò alle gambe del tavolo, e gli imprigionò le mani e i piedi con una corda. Per farlo aveva dovuto cercare in sé tutto il coraggio del mondo, perché Artù indossava sempre un’armatura spaventosa, anche in quel momento! Si sedette di fronte a lui, nell’attesa che si risvegliasse, e si mise a leggere.
Quando Artù aprì gli occhi, lei posò il libro. «Perché ti sei intrufolato qui in piena notte? Cosa volevi rubare? Ladro!» gli disse Morgana. «Anche tu eri qui in piena notte», rispose Artù.
Lei si infuriò: «Perchè è il negozio di mio padre!»
«Allora devi avvertirlo subito!
Domattina Flora porterà Javier dai tuoi genitori fingendo di volerla sposare, ma è una trappola!»
«In realtà vuole rapire tua madre per poter governare anche sulle acque del lago!»
Morgana lo guardò, immobile, e poi gli disse: «Come fai tu a sapere di mia madre?»
«Non è importante adesso, liberami, dobbiamo andare subito da tuo padre!»
«E se fossi tu quello cattivo, e non Javier?» chiese lei.
«Non c’è tempo per discuterne!»
rispose Artù.
«Allora se tu sei davvero buono togliti quell’elmo orribile», disse Morgana incrociando le braccia.
Artù sbuffò, e poi fece come aveva chiesto Morgana e tolse l’elmo.
Artù aveva una gigantesca cicatrice che gli attraversava la faccia: dalla fronte alla guancia, passando per il naso.
«Tutto qui? Portavi un elmo orribile solo per coprire QUELLA? Lo sai che la tua armatura è molto più brutta della cicatrice?» gli disse Morgana.
Lui la ignorò: «Adesso liberami, o sarà troppo tardi».
«Non penso lo farò. Non vedo come toglierti l’elmo possa farti pensare che mi fidi di te».
«Me l’hai detto tu di toglierlo!»
«Sì, e ora ho cambiato idea!»
Artù alzò gli occhi al cielo, poi guardò l’elmo. «Tuo padre ti ha mai parlato del Libro Stratosferico delle Pozioni?»
le chiese. Morgana sussultò.
«Il Libro Stratosferico delle Pozioni???
Ma papà ha sempre detto che era una leggenda!»
«Non lo è. Prendi il mio elmo, e vedrai che sulla cresta c’è un punto in cui sembra che manchi un pezzo».
Lei prese in mano l’elmo di Artù e lo passò tra le mani, fino a trovare la rientranza di cui parlava il cavaliere, poi annuì. «Premilo», disse Artù.
Nell’esatto istante in cui Morgana premette il punto suggeritole da Artù, il grosso naso dell’elmo si aprì in due, scoprendo una piccola chiave.
«Vai dietro al bancone e apri il cassetto, poi strappa la carta con cui è ricoperto l’interno, e troverai una serratura.
La chiave apre quella serratura».
Morgana non capiva, ma la curiosità
era veramente troppa, e fece come
Artù le aveva detto.
Appena girò la chiave, il fondo del cassetto si alzò, e sotto… c’era il Libro Stratosferico delle Pozioni! Morgana
urlò dalla gioia, richiuse il cassetto e tornò da Artù.
«Ti fidi di me adesso?» le chiese.
«Come facevi a saperlo?»
rispose Morgana.
«Te lo dirò per strada, ora liberami e andiamo dalla tua famiglia, prima che sia troppo tardi!»
Morgana liberò Artù, e insieme salirono sul suo cavallo e partirono. Nel tragitto
Artù raccontò a Morgana di essere il nipote della Vecchia Noella, l’incantatrice che era stata l’insegnante di Filippo. Artù aveva vegliato sulle ninfe negli ultimi anni. Era stato una
spia di Filippo a corte per tutto il tempo! Artù spronò il suo cavallo a correre come non mai, ma quando arrivarono… era troppo tardi.
Morgana corse in casa, e non trovò nessuno. «Mamma! Sorelle!» urlò.
Ma nessuno le rispose. Allora corse fuori, verso il lago, e urlò di nuovo.
Ma, ancora una volta, non ebbe alcuna risposta. Continuò a correre cercando la sua famiglia finché, ad un certo punto, Artù la chiamò dalla foresta: «MORGANA!
Ho trovato tuo padre!»
Morgana corse verso di loro, e trovò Filippo sdraiato a terra, con Artù al suo fianco.
«Papà!» disse correndogli incontro.
Morgana vide subito che Filippo
era ferito. «Papà, papà! Scusami, è stata colpa mia, io ho legato Artù, e lui voleva venire ad avvertirti, e…»
Lui le accarezzò una guancia.
«Non è colpa tua, bambina mia.
Adesso ascoltami. Le hanno portate via, ma tu devi salvare la mamma.
Devi riportarla qui. Se il sole sorgerà il terzo giorno e lei non sarà ancora nelle acque del lago, morirà, insieme a voi e a tutte le creature del lago e della foresta», le disse.
Poi chiuse gli occhi.
Morgana lo chiamò, ma invano.
Lo abbracciò e pianse.
«Dobbiamo andare, Morgana. Non c’è più nulla che tu possa fare per tuo padre, ma puoi ancora salvare tua madre e le tue sorelle», le disse Artù.
Ma lei non voleva alzarsi.
«È tutta colpa mia, Artù, se io ti avessi dato retta subito, lui sarebbe ancora vivo!» rispose lei tra le lacrime.
«Mia nonna mi diceva sempre che la storia di ognuno di noi è già scritta nel nostro destino. Il tuo destino è salvare la tua famiglia».
«Ma io ho fallito!»
«Non hai fallito! Siamo ancora in tempo. Abbiamo il Libro Stratosferico delle Pozioni. Andiamo alla bottega, e troveremo una soluzione».
«Non lo capisci che non c’è una soluzione? È troppo tardi, Javier e Giovanni le hanno prese, e probabilmente anche loro sono già… sono già…» Morgana scoppiò di nuovo in lacrime.
Artù si alzò e la guardò: «Non pensavo fossi una che si arrende. Tu stai qui a
piangere, io vado alla bottega e vedo se il Libro ci può aiutare in qualche modo».
Poi se ne andò, e lasciò Morgana da sola. Lei guardò Filippo e lo abbracciò un’ultima volta. «Mi dispiace, papà…»
Mentre teneva stretto Filippo, sentì una mano sulla spalla. Si voltò, e dietro di lei c’era un’ombra chiara, pura e soffice, che aveva le sembianze proprio del suo papà.
«Pa… papà?» disse Morgana.
«Mio tesoro, devi avere coraggio», le disse l’ombra.
«Ma papà, tu… come è possibile?»
«È stato un incantesimo della Vecchia
Noella. Se una persona amata avesse avuto bisogno di me, il mio spirito sarebbe tornato da lei. Fatti forza piccola, io sarò sempre accanto a te.
Ma adesso sono la mamma e le tue sorelle che necessitano del tuo aiuto. Sei l’unica che può salvarle!»
«Papà, ma io senza di te non posso farcela! Non sono ancora pronta per prendere il tuo posto!»
«Ti ho insegnato tutto ciò che sapevo, e sei diventata un’alchimista più brava di quanto io potessi mai sperare di essere. Raggiungi Artù. Puoi farcela».
Morgana si asciugò le lacrime e abbracciò l’ombra di Filippo, che le accarezzò dolcemente la schiena.
Poi lo guardò, si sorrisero, e lei si allontanò per raggiungere Artù.
Prima di uscire dalla foresta si voltò
un’ultima volta e salutò Filippo. Corse verso casa, urlando il nome di Artù a gran voce. Lui stava già montando a cavallo quando la sentì.
«Non sono una che si arrende!»
disse Morgana. «Lo so», rispose Artù. Cavalcarono fino in città e presto raggiunsero la bottega. Appena entrarono presero subito il Libro Stratosferico delle Pozioni.
«Dobbiamo fare in modo di riuscire ad entrare nel palazzo senza essere visti. Non ho mai trovato in nessun altro libro le istruzioni per la pozione di trasfigurazione che ci fa bere papà, e li ho letti tutti almeno due volte. Deve per forza essere qui».
«Prima ci serve un piano», disse Artù, «Non per forza dobbiamo cambiare aspetto».
«Artù, in ogni caso io ho bisogno della pozione. Guarda la mia pelle, l’effetto di quella che ho bevuto ieri sta
svanendo. Mi riconosceranno subito, e…»
«Sei un genio, Morgana!» disse Artù entusiasta. Lei non capiva. «Lascia che l’effetto della pozione svanisca. Io ti porterò al castello, fingendo di averti catturata. Così entreremo, tu verrai portata nelle segrete, e da lì aiuterai Lyla e le tue sorelle a scappare!» Morgana lo abbracciò. «È un piano perfetto!», disse. Poi però si fermò un istante. «Aspetta, ma tu… come farai tu a fuggire?»
«Non è importante quello. La mia famiglia ha protetto la pace tra umani e ninfe per secoli. Questo è il mio destino Morgana, così come salvare la tua famiglia è il tuo».
Lei lo guardò, poi iniziò ad andare avanti e indietro per la stanza con una mano sotto al mento. «No, io non ci sto.
Abbiamo il Libro, cerchiamo un incantesimo. Tu hai il sangue degli incantatori, io quello delle ninfe. Sono certa che insieme possiamo farcela!»
Sfogliarono le pagine velocemente, una dopo l’altra, e Morgana dovette trattenersi dal fermarsi su ognuna di loro. C’erano così tanti incantesimi, e così tante ricette di pozioni sconosciute! Ma non doveva distrarsi, doveva trovare qualcosa che potesse essergli utile. Finché, ad un certo punto, arrivarono ad una pagina con il titolo: “Pozione Orologiaia: quando vuoi fare tante cose ma hai davvero poco tempo”. Morgana lesse la ricetta e saltò per la gioia. Recuperò tutti gli ingredienti e seguì le istruzioni alla lettera. Poi, quando ebbe finito, mise il calderone sul fuoco.
«Ecco fatto! Ora dobbiamo soltanto aspettare 60 ore, e poi la pozione sarà pronta!» esclamò.
Artù si rabbuiò: «Hai detto 60 ore?»
«Sì, perché?»
«Sono passate 8 ore da quando tua madre si è allontanata dal lago.
Ci rimarrebbero soltanto 4 ore. È troppo rischioso».
«Ho già perso mio padre, non perderò anche te. E poi per far svanire l’effetto della pozione completamente ci vorranno ancora due giorni.
Ce la faremo», disse Morgana prendendo la mano di Artù.
Le sessanta ore passarono, e alla fine la pozione sul calderone sembrava oro fuso. Era gialla, brillante e luminosa.
Morgana e Artù la trasferirono in otto
boccette: Morgana ne prese sette, e Artù tenne l’ultima.
«Andiamo a salvare la mia famiglia!»
disse Morgana. Poi porse le mani giunte ad Artù. Lui la guardò con aria interrogativa. «Legami, devo sembrare un prigioniero credibile».
«Ma io non vorrei farti del male, insomma, io…»
Morgana aveva ripreso l’aspetto da ninfa, e Artù aveva paura persino a sfiorarla. Non avrebbe mai voluto sporcare la sua pelle candida, e nemmeno farle del male.
«Artù, muoviti, abbiamo poco tempo!»
Riluttante, lui eseguì la richiesta di Morgana e la legò con nodi molto morbidi, così da permetterle di liberarsi facilmente da sola, se necessario. Poi la prese in spalla e
andarono al castello. Le guardie davanti al portone li fermarono, poi riconobbero l’armatura di Artù. «Capitano!» dissero in coro. «Fatemi passare, ho una prigioniera da portare nelle segrete!» ordinò Artù indicando Morgana che si dimenava sulla sua spalla. Le guardie, davanti al loro capitano, liberarono subito la strada e fecero passare i due. Stavano per scendere nelle segrete quando Javier li fermò. Lui, che aveva seguito Artù una notte, sapeva bene che non era dalla loro parte. «Traditore! Consegna la prigioniera e preparati a morire!» disse sguainando la spada. Artù posò a terra Morgana e iniziò a duellare con Javier. «VAI!» disse Artù a Morgana. Lei corse nelle segrete. Una volta lì tirò fuori la boccetta di Pozione Orologiaia
e la buttò in terra. Questa esplose in una nuvola di luce, e quando il fumo scomparve Morgana si accorse che aveva funzionato: tutte le persone nella stanza avevano cominciato a muoversi molto lentamente, mentre lei andava alla velocità della luce!
Riuscì a prendere agilmente le chiavi delle celle dalle mani di una delle guardie e liberò le sue sorelle e sua madre. Poi diede ad ognuna di loro una boccetta di Pozione Orologiaia, e ordinò loro di attivarla. Lyla e le ragazze seguirono i consigli di Morgana, e tutte insieme corsero verso l’uscita del castello.
Risalite le scale, Morgana vide che Artù stava ancora combattendo con Javier.
«Artù!!» Artù si voltò verso di lei, e proprio in quell’istante, come al rallentatore,
Javier lo trafisse con la spada. «Artù, no!» urlò Morgana. «Morgana, dobbiamo andare!» disse Elsa prendendole la mano. «Altrimenti sarà la fine per noi e per tutte le creature del lago e della foresta!»
«Non posso abbandonarlo! Aurora, Matilde, voi andate nella stanza del Governatore, e chiudetela a chiave, così non potrà più uscire! Io penso a Javier!»
Morgana si fiondò su Javier e, grazie alla velocità donatale dalla pozione, riuscì a disarmarlo facilmente.
Poi, come in un lampo, lo legò ad una colonna, e tornò da Artù.
«La tua pozione ha funzionato» disse Artù ansimando.
«Non lasciarmi anche tu, ti prego! Resisti!» disse Morgana.
Lyla si avvicinò a loro: «Portalo con noi al lago». Dopo che Aurora e Matilde furono
tornate, Morgana, Lyla e le ragazze rubarono dei cavalli dalle scuderie e andarono al lago. Morgana cavalcò con Artù. «Per favore, non morire!»
gli ripeteva in continuazione. Arrivarono sulle acque pochi istanti prima del tramonto, entrando nel lago con anche i cavalli, e Lyla e le sue figlie riuscirono tutte a salvarsi.
Artù sorrise, e poi perse conoscenza.
«Artù! Artù, svegliati!! Mamma, mamma!» urlò Morgana.
«Usa il potere delle acque, figlia mia», disse Lyla. Morgana si guardò i palmi delle mani, che risplendevano tra le acque alla luce della luna. Poi le posò sulla ferita di Artù e cercò di
convogliare in loro tutto il suo potere. Un bagliore immenso li avvolse, e Morgana svenne. Al suo risveglio Lyla, le sue sorelle e Artù la guardavano sorridenti. «Ce l’hai fatta, Morgana», le disse Lyla dolce. Artù tornò a palazzo e, con l’aiuto delle guardie a lui fedeli, rinchiuse Javier e Giovanni nelle segrete del castello. Voci dicono che dopo tanti anni siano ancora lì, a rimuginare sulla loro malvagità.
Morgana restò in città con Artù, per governarla insieme a lui. Da quel giorno le ninfe non ebbero più paura e poterono tornare a passeggiare nella città in compagnia degli umani. Fine!