Letteraria n.9/2012

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Maggio Giugno 2012

Anno 2 - Numero 9

www.lemilleeunapagina.com

Cari amici ecco la nostra newsletter. Non solo novità e bestseller, ma proposte di libri che, secondo noi, sono meritevoli di essere letti. Nella speranza di aiutarvi nelle vostre scelte e di darvi idee sempre nuove di cultura.

Nuove proposte, nuove rubriche e... una collaboratrice d’eccezione! ESCE A MAGGIO IL NUOVO ROMANZO DI PAOLA CALVETTI, LO PRESENTIAMO IN ANTEPRIMA IN UN ARTICOLO DELLA STESSA AUTRICE

La scrittrice Paola Calvetti ritorna in libreria con il suo nuovo romanzo. (pag. 2)

OLIVIA, OVVERO LA LISTA DEI SOGNI POSSIBILI

Qui sotto, “Ogni cosa è illuminata” di Jonathan Safran Foer (pag. 5)

In attesa di avere in libreria la scrittrice per la presentazione del suo ultimo romanzo, Paola Calvetti, già nostra ospite per il nostro primo compleanno, ci parla di questo nuovo libro, ancora una volta un inno ai sentimenti e all’imprevedibilità della vita. Continua a pagina 2

UNA NUOVA RUBRICA PER AMPLIARE GLI ORIZZONTI LETTERARI

Sono numerosissimi i contributi degli scrittori di origini ebraiche alla letteratura mondiale. Andiamo alla loro scoperta iniziando con un giovane autore oggi molto di moda, anche grazie alla cinematografia: Jonathan Safran Foer. Continua a pagina 5

UN DUO ECCEZIONALE PER UN GIALLO RAFFINATO

Il nostro “Battitore Libero” Antonio Segrini ci propone la lettura di uno dei più famosi romanzi frutto del sodalizio di due grandi scrittori italiani: Carlo Fruttero e Carlo Lucentini con il loro “A che punto è la notte”. Continua a pagina 7

A sinistra, lo scrittore svedese Jans Jonasson, autore del divertentissimo “Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve” (pag. 4)

INDOVINA L’INCIPIT L’incipit qui di fianco è l’inizio del primo racconto di una raccolta di racconti, appena pubblicata da Adelphi, di un grande scrittore britannico del secolo scorso. Qual è il titolo della raccolta? Per partecipare andate all’ultima pagina.

L’incipit della raccolta di racconti da indovinare:

“Non riuscivo proprio a capire perché Louise si ostinasse a volermi frequentare. Le ero antipatico e sapevo per certo che, alle mie spalle, in quel suo modo così delicato, non perdeva occasione di dire qualcosa di spiacevole sul mio conto”

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PAOLA CALVETTI CI PRESENTA IL SUO NUOVO ROMANZO: OLIVIA, OVVERO LA LISTA DEI SOGNI IMPOSSIBILI

Lo so, può sembrare un paradosso per chi scrive romanzi (e articoli sui giornali) non riuscire a trovare “l’attacco” per un pezzo sul proprio romanzo: sarà timidezza, sarà che quando si tratta di narrativa non mi piacciono le dissertazioni degli autori, sarà che Olivia è nel mio cuore e fatico a distaccarmi da lei… Ci ho dovuto pensare a lungo, riflettere, mi sono tirata indietro… ma chi mi conosce sa quanto amo e rispetto le libraie e i librai, sa anche quanto mi piace frequentare librerie e chiacchierare con i clienti di libri. Pensa che ti ripensa, alla fine mi sono detta «racconta come è nato “Olivia ovvero la lista dei sogni possibili”, ‘chè spesso i lettori te lo chiedono: come nasce un romanzo»? Devo tornare indietro, all’autunno 2009, novembre per l’esattezza. Camminavo per strada, a Milano, la mia città: il periodo era turbolento, si avvicinava la fine del mio lavoro: sono un’esodata. Anch’io. Camminavo molto, in quel periodo. Camminare mi rilassa, camminando si pensa meglio (questa l’ho pure scritta…). Premetto: ho una fantasia piuttosto visionaria, vedo prima ancora di sentire, mi capita di vedere qualcosa, come su uno schermo, nella mia mente. Ho visto due bambini. Nitidamente. Nevicava (nell’immagine), i bambini erano senza cappellino e senza ombrello, in primo piano. Poco distanti l’uno dall’altra. Sullo sfondo non c’erano simboli religiosi, ma una collina innevata e due gruppi di famiglia con lo sguardo rivolto all’ingiù. Non vedevo i loro volti, ma i loro corpi protesi verso la terra. Intuivo che stavano calando due bare. Non ho provato tristezza, né angoscia, però. Il bambino si è voltato verso la bambina e l’ha guardata. Per un breve istante. Fine. Come molti scrittori, anche io “archivio”: così mi sono detta – senza chiedermi chi fossero, sapevo che non era un’immagine che riguardava la mia biografia – “quei bambini verranno buoni per un racconto”. Sono diventati il senso di un romanzo, che ruota intorno a quella immagine. Come se Olivia e Diego (poi hanno trovato un nome) fossero nati da quella passeggiata.

La copertina del nuovo romanzo di Paola Calvetti, edito da Mondadori

Mi era già accaduto con Né con né senza di te: la bambina sotto il tavolo è affiorata come un ricordo d’infanzia. Non so se quei due bambini vogliano dire qualcosa della mia storia personale. Certo Olivia e Diego, per dirla alla Flaubert, c’est moi. E’ il primo romanzo (pur avendo scelto due protagonisti ben più giovani di me) in cui ammetto l’autobiografia. Come Olivia, so cosa significa sentirsi dire “in questa azienda non c’è più posto per lei”, come Diego so cosa significa vivere in una famiglia “listata a lutto” per la morte lancinante, improvvisa di un fratello di diciotto anni, che un giorno ha deciso di togliersi la vita senza lasciare spiegazioni. Mi è capitato di parlare con delle persone che avevano perso dei fratelli, anche per una semplice malattia e tutti si sono riconosciuti in Diego per quella sensazione, dolorosa e continua, di sentirsi quasi di troppo, comunque necessari ai propri genitori, ma con l’obbligo non scritto né detto di “camminare in punta di piedi”.

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LETTERARIA! Il resto è venuto. Grazie anche all’attualità, devo dire, che ogni giorno ci ricorda quanto il lavoro sia uno dei problemi più seri delle società europee e più in generale di tutto l’Occidente. Il lavoro dei ragazzi, anzitutto. Intanto, Olivia prendeva corpo, spiritosa, irriverente, sensibile e pasticciona. Una ragazza normale. Che, tuttavia, aveva avuto un grande dono dalla vita: sua nonna! Una nonna speciale, come lo sono molte nonne, figure nate nel secolo scorso, passate attraverso la Guerra e dotate di senso pratico e di quel pizzico di follia, capace di insegnare a sopportare … con un sorriso. A reagire, anche, alle avversità che sono componenti sicure in ogni vita vissuta fino in fondo, con un sorriso intelligente, con buon senso e con una buona dose di creatività. Olivia è cresciuta con la nonna, ha genitori troppo impegnati sul lavoro, che ha segnato la sua formazione di bambina intelligente e sensibile. A lei deve la capacità di “guardare oltre”, di far fruttare la fantasia come antidoto al pessimismo, di mettere in gioco tutto per cavarsela anche nelle situazioni più complicate.

Paola Calvetti tra le titolari della libreria il 12 settembre 2009

Diego è più dolente. La sua ferita è profonda. Anche a lui ho voluto dare una possibilità di riscatto: nell’ultima scena Diego trova il coraggio di capire che per poter amare, o anche semplicemente per sbloccare una timidezza paralizzante, doveva congedarsi da quel fratello tanto amato, perduto quando lui era ancora bambino… un fratello portato con sé per sempre, ma con una nuova autonomia sentimentale. Diego trova la forza di dire a sua madre quanto l’ha amata. Avevo anche una meta stilistica, con questo romanzo, un obiettivo difficile, che mi auguro riuscito. Volevo scrivere un romanzo strutturato come un film a “montaggio alternato”, composto cioè con una serie di inquadrature che si

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alternano, di due o più eventi che si svolgono simultaneamente e in luoghi diversi e che sono destinati a convergere. Lo spettatore, in questo caso il lettore, vede i protagonisti interagire, ma loro no: Olivia e Diego si sono sfiorati al liceo, in un aeroporto, al supermercato, a un matrimonio e persino nel bar tabacchi dove Olivia si rifugia… senza mai accorgersi l’uno dell’altro. Un po’ come due particelle che, “originate in un punto dello spaziotempo, restano legate da un inizio che le renderà non separabili per l’intero arco della loro esistenza, indipendentemente dalla distanza che le divide”, quel primo sguardo che ha legato i due bambini ha lasciato un segno.

Si rivedranno da adulti, al termine di una giornata cruciale per entrambi, e senza esser ne consapevoli, si “riconosceranno”. Ecco, se quella fotografia è frutto del mio inconscio, nel finale si rispecchia un atto conscio e convinto: siamo immersi in quello che Jung chiama l’inconscio collettivo, siamo creature legate da uno sguardo. siamo tutti, che lo si voglia o no, interconnessi. C’è “altro” oltre noi, alla nostra volontà: la vita, in qualche modo. Prosaicamente si potrebbe dire “siamo tutti sulla stessa barca”. Quella dell’esistenza. E questo, forse, ci aiuta ad essere meno egoisti, più generosi e, in fondo, ci dota di legittima speranza.

Paola Calvetti

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RIDI E AVRAI LE RUGHE GIUSTE RUBRICA DEL BUON UMORE A CURA DI FRANCESCA PROTTI

Jonas Jonasson vive a Ponte Tresa, nel Canton Ticino. Giornalista e consulente media, ha pubblicato a quasi cinquant'anni il suo primo romanzo, “Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve” (Bompiani 2011), ai primi posti delle classifiche di vendita in Svezia per oltre un anno, e tradotto in oltre trenta paesi. È stato “Miglior libro dell’anno 2009” in Svezia e vincitore dello Swedish Audio Prize 2009; premiato dai librai svedesi con lo Swedish Book Seller Award 2009, lo stesso che fu di Stieg Larsson, offre però ai lettori qualcosa di completamente diverso. Dimenticatevi la violenza e il gusto del macabro dei giallisti nordici che tanto furoreggiano da qualche anno a questa parte. Qui si racconta ben altro. Allan Karlsson compie cent'anni il 2 maggio 2005 e non ha la minima intenzione di partecipare ai festeggiamenti organizzati dalla casa di riposo di Malmköping, nel Sörmland. Di punto in bianco decide di scappare da quel luogo in cui si trova tanto male; salta dalla finestra e si avvia alla stazione degli autobus. Lì ruba una valigia a un giovane biondo dall'aria feroce, sale sul primo autobus che gli capita e inizia a vivere l'ennesima serie di esilaranti avventure della sua vita. Già, perché Allan non è nuovo alle girandole di equivoci. Nel corso di tutta la sua vita Allan è stato protagonista delle storie più assurde, perché, come Forrest Gump, attraversa il vasto mondo rimanendo fedele agli stimoli più basilari dell'uomo, come la buona cucina o il desiderio di farsi un goccetto, e finendo immischiato nelle vicende politiche e militari più importanti della storia mondiale. La narrazione procede su due binari. Da un lato la fuga di Allan, reo non solo di furto ma anche di omicidio, dalla gang a cui apparteneva il giovane dall'aria feroce e dalla polizia, insieme a improbabili compagni d'arme, donne fatali e animali di grossa taglia; una galleria di personaggi ottimamente concepiti, intelligentemente organizzati per interagire tra loro compensandosi e esaltandosi a vicenda. Dall'altro, l'autore rievoca i momenti salienti della vita di Allan. Esperto in esplosivi, si ritrovò a combattere in Spagna durante la guerra civile, diventando amico del generalìsimo; contribuì ad inventare la bomba atomica, stringendo amicizia con il presidente Truman; accettò di aiutare Song Meiling a ricongiungersi con il marito, Chiand Kai-shek, ma finì con il liberare Jiang Qing, consorte di Mao Tse-tung; attraversò a piedi il Tibet, l'Himalaya, le Indie Britanniche, l'Afghanistan, l'Iran, dove il suo viaggio verso la madre patria fu bloccato da un arresto perché sospettato di comunismo e dai suoi involontari sforzi di salvare la vita a Winston Churchill; venne

rapito dai sovietici per aiutarli a costruire a loro volta una bomba atomica ancora più pericolosa, ma non riuscendo a entrare nelle corde di Stalin, venne sbattuto in un gulag siberiano; da qui evase insieme a Herbert Einstein, per soddisfare l'insopprimibile desiderio di “un goccetto”, e con lui raggiunse non solo la Corea del Sud, ma anche il palazzo governativo di Kim Il-sung, da dove fuggì per rifugiarsi a Bali e concedersi una meritata vacanza prima di ritrovarsi a Parigi nel 1968, di diventare un agente della CIA e di essere spedito in Unione Sovietica con un'ultima missione da compiere prima di andare in pensione, rendere Julij Borisovič Popov un doppiogiochista. Insomma, una serie di circostanze fortuite e di situazioni ai limiti dell'assurdo magistralmente scritte in toni evasivi quanto riverenti, con il tenore tipico della dialettica della commedia a tratti anche buffonesca. Un romanzo divertente, ma anche capace di far riflettere sulla solitudine che un uomo può provare e sulla sua voglia di fuggire alla ricerca di un'ultima avventura. Già perché la vita non è mai veramente finita, se non di fronte all'umana volontà di rassegnarsi. Dal romanzo è in preparazione un film con un cast internazionale.

La copertina del romanzo nella collana Vintage, che racchiude in versione economica i migliori libri di Adelphi, Bompiani, Marsilio e Rizzoli

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ALLA FIERA DELL’EST* RUBRICA DI LETTERATURA EBRAICA A CURA DI LAURA FEDIGATTI

Quando si parla di cultura ebraica, e in questo caso in particolare di letteratura ebraica, l’argomento può essere vastissimo. Perché tantissimi sono gli scrittori di origini ebraiche, molti di più di quanto si potrebbe pensare. Ovviamente, ci sono gli scrittori israeliani, ma anche americani ed europei. Entrare nel mondo degli scrittori di origine ebraica può essere un viaggio molto lungo e complesso, ma estremamente affascinante. E vorrei iniziare questo viaggio con un autore di cui si parla molto ultimamente, grazie, come spesso accade, ad un film tratto da un suo romanzo e che è arrivato nelle sale cinematografiche italiane in questi giorni. Lo scrittore in questione è Jonathan Safran Foer, giovanissimo autore americano (è nato a Washington nel 1977), ma già internazionalmente famoso ed apprezzato. Il romanzo di cui si parla è “Molto forte, incredibilmente vicino” del 2005 (Guanda), secondo romanzo di Foer. Il primo, “Ogni cosa è illuminata”, (Guanda) pubblicato nel 2002 e nato dalla sua esperienza in Ucraina alla ricerca delle sue origini familiari, è diventato anch’esso un film. Solo due romanzi, seguiti dal saggio “Se niente importa” sui maltrattamenti subiti dagli animali da macello e che arrivano sulle nostre tavole. Anche questo un libro che ha fatto tanto parlare di sé. Tanto basta, infatti, per fare di Foer uno dei migliori autori della sua generazione, secondo il “New Yorker”. Certo è che i romanzi (e a questi ci limitiamo) rivelano uno scrittore incline alle sperimentazioni linguistiche e letterarie, con passaggi di punti di vista e salti temporali tra un capitolo e l’altro che possono destabilizzare il lettore non attento. Proprio questo, però, a mio avviso, rende Foer uno scrittore complesso sì, ma di notevoli capacità narrative. La lettura dei romanzi di Foer è un’esperienza particolare, non sempre lineare, ma per questo più intrigante. Lo scrittore sperimenta nuovi modi di esporre la storia (anche visivamente, le pagine scritte del romanzo “Molto forte, incredibilmente vicino” sono intercalate da immagini) e il lettore sperimenta insieme a lui. “Ogni cosa è illuminata” è, tra i due romanzi, il più personale. Nasce dal viaggio che lo scrittore fece in Ucraina nel 1999 sulle tracce del nonno. Jonathan, il protagonista, è un giovane ebreo statunitense che si reca in Ucraina alla ricerca di Augustine, la donna che salvò suo nonno dalle deportazioni naziste. A fargli da guida sono Alex, una giovane guida locale, appassionato della cultura americana e dall’inglese alquanto strambo; il nonno di Alex, che sostiene di essere cieco e che odia gli ebrei, ma che, in realtà, nasconde un segreto; e il cane guida femmina del nonno (che cieco non è per nulla) che si chiama Sammy Davis junior

junior. Attraverso il viaggio strampalato nell’aperta campagna ucraina, alla ricerca del vecchio shtetl (il villaggio ebraico) di Trachimbrod, che nessuno sembra conoscere, i tre impareranno a conoscersi e, nonostante le differenze e diffidenze iniziali, nascerà tra Jonathan e Alex un legame di amicizia profondo. Alla fine, quando le speranze di trovare Trachimbrod sembrano perse, finalmente riusciranno ad imbattersi in Lista, sorella di Augustine e unica sopravvissuta del villaggio, raso al suolo dalla furia nazista che è anche riuscita a cancellarne non solo gli abitanti e le case, ma anche il ricordo. L’unica prova dell’esistenza di quella piccola comunità è in una scatola piena degli oggetti delle persone trucidate che Lista conserva. Lista racconterà la fine di Trachimbrod, della sorella Augustine, del legame tra lei e il nonno di Jonathan, e riporterà in superficie il segreto terribile che il nonno di Alex si porta dentro da più di cinquant’anni. Tutte le storie, quella di Jonathan e Alex, quella del villaggio di Trachimbrod nei secoli, sono mescolate insieme, come si diceva, in passaggi da un tempo all’altro, intrecciandosi fra o loro e, alla fine, dipanandosi fino alla rivelazione finale. Si ride, leggendo questo libro, per le stramberie di Alex e del nonno e delle situazioni che si creano. Ma si versano anche lacrime di commozione per la tragicità umana che trapela dalle pagine del romanzo, sicuramente di non facile lettura (soprattutto per questi passaggi temporali, dai giorni nostri al passato per raccontare la storia dello shtetl e dei suoi abitanti), ma che è senz’altro un’esperienza letteraria diversa dal solito per chi decide di immergersi completamente nella scrittura di Foer.

Lo scrittore americano Jonathan Safran Foer

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LETTERARIA! Nel 2005, Live Schreiber, attore e regista americano di origini russe, porta sullo schermo il film omonimo, con Elijah Wood (il Frodo de “Il Signore degli Anelli”) come protagonista. Di altro genere è “Molto forte, incredibilmente vicino”, uno dei primi romanzi ad affrontare il tema degli attacchi terroristici alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001. Il protagonista è Oskar Schell, ragazzino di 9 anni che ha perso il padre Thomas , rimasto intrappolato nel World Trade Center. Oskar ne sente molto la mancanza, tanto da non poter cancellare i messaggi lasciati sulla segreteria telefonica dal padre prima di morire, tenuti segreti anche alla madre, in un disperato tentativo di sentirsi vicino a lui. Oskar fantastica su tante cose, su invenzioni che dovrebbero rendere il mondo migliore, in una specie di gioco che faceva anche con il padre. Cerca anche di immaginarsi come Thomas sia realmente morto, forse buttandosi dalle Torri come tanti hanno fatto. Quando trova, tra le cose paterne, una busta con su scritto un nome, Black, e con dentro una chiave, Oskar si mette alla ricerca di tutti i Black che abitano a New York, nella speranza di trovare ciò che quella chiave apre e, quindi, un segreto collegato alla figura di suo padre. Durante gli otto mesi di ricerca, Oskar vaga in lungo e in largo per la sua città, disperatamente cercando di colmare il vuoto lasciato dalla perdita subita, e incontrando tante persone, alcune delle quali saranno fondamentali per dipanare il mistero che avvolge la chiave. Ma sarà un incontro in particolare, quello con lo strano personaggio che vive in casa della nonna paterna di Oskar e che lei chiama

Tom Hanks e il piccolo Thomas Horne nel film di Stephen Daldry “l’inquilino”, a chiudere il cerchio e a svelare a Oskar il mistero più importante della sua famiglia. Alla fine, Oskar trova la successione delle immagini di un uomo che cade dal World Trade Center: le immagini sono messe alla fine del libro, in ordine contrario, in modo che sembri che l’uomo vada verso l’alto.

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La copertina del libro “Molto forte, incredibilmente vicino” (Guanda) Pensando che quell’uomo possa essere suo padre, Oskar dice: “Lui avrebbe detto: «Sì, pulce» alla rovescia. Io avrei detto: «Papà?» alla rovescia, che non è così diverso da papà detto normalmente. Mi avrebbe raccontato la storia del sesto distretto, dalla voce nel barattolo fino all’inizio, da «Ti amo» a «Una volta, ma tanto tempo fa...» E saremmo stati salvi”. Anche in questo caso, lo scrittore mantiene il proprio stile, passando da un punto di vista all’altro, seguendo le vicende dei protagonisti facendoli parlare in prima persona, così che ognuno racconta la propria storia, espone i fatti come li vede, che convergono tutti in un unico finale. Al racconto di Oskar, si alterna quello della nonna paterna, di quando era a Dresda durante la guerra, di come ha perso la sua famiglia nel terribile attacco alleato, di come è arrivata negli Stati Uniti e si è ricongiunta col fidanzato della sorella morta e l’abbia sposato; e le lettere del nonno di Oskar, padre di Thomas, che ha abbandonato il figlio prima che lui nascesse, per paura di perdere ancora una volta una persona amata. Anche da questo romanzo, è stato tratto un film che sta uscendo in questi giorni nelle sale italiane, con interpreti attori di grande calibro: Tom Hanks, Sandra Bullock e Max von Sydow.

*”Alla fiera dell’est” è un canto pasquale ebraico, “Chad Gadya”, a cui si è ispirato Angelo Branduardi per la sua celeberrima canzone

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IL BATTITORE LIBERO* LETTURE CON LICENZA DI AVANZARE A CURA DI ANTONIO SEGRINI

Ci sono autori ai quali non puoi imporre il tuo ritmo, per niente docili si ribellano ad una lettura veloce, distratta e superficiale consumata standosene sdraiati sotto l’ombrellone o in piedi sui vagoni della metropolitana, di contro pretendono un’ambientazione adeguata, magari una bella poltrona davanti ad un caminetto ed un bicchiere di buon vino: le soddisfazioni ed il piacere che regalano però sono impagabili, la sensazione è vagamente simile a quella che si prova nel gustare prelibatezze cucinate ad arte e qui si tratta semplicemente di applicare la regola dello slow food…leggere lentamente è ciò che la premiata ditta Fruttero&Lucentini chiede a chi si approccia a loro perché la pietanza è veramente squisita. “A che punto è la notte”, romanzo scritto nel 1979, viene per convenzione fatto rientrare nella categoria “gialli” ma è talmente ampio lo spettro di argomenti trattati che questa classificazione rischia di apparire riduttiva. Ambientato a Torino negli anni ’70, prende le mosse da una chiesa, Santa Liberata, assolutamente sui generis, e dal suo parroco, Don Pezza, che, con il suo stuolo di accoliti da lui plagiati, organizza messe al limite dell’eretico ed iniziative di vario genere a supporto dei “diversi”; proprio in occasione di uno di questi eventi il prete rimane ucciso dallo scoppio di un ordigno e da qui parte l’indagine vera e propria condotta dal commissario Santamaria e dai suoi collaboratori. In realtà i temi affrontati sono diversi e sovrapponibili tra loro, la maestria degli autori sta nel renderli tutti funzionali allo sviluppo della storia, creando personaggi (anche quelli

minori) fortemente caratterizzati. C’è la storia d’amore tra la giovane ragazza della Torino bene ed il belloccio pericolosamente legato ad ambienti mafiosi, le vicende della piccola casa editrice (pretesto per una meravigliosa parodia degli intellettuali), gli ambienti borghesi di una città pudica e chiusa nei suoi silenzi e poi naturalmente la Fiat, che tutto può e a cui tutto è concesso ed infine la solitudine del potere. A seguito dell’assassinio di Don Pezza la Chiesa si trova ad affrontare una scomoda realtà fatta di gnosi, eresia, pneumi ed eoni, termini tanto ostici quanto invece è grande la semplicità con la quale vengono chiariti. L’intreccio tra sacro e profano, tra Dio e Fiat è dosato in maniera sapiente e perfetta, gli accostamenti sono audaci e potenti, il libro è un autentico trionfo di stile senza rinunciare ad un’ironia briosa che non fa prigionieri, un’autentica delizia per il lettore. Gli omicidi alla fine saranno più di uno ma qui non siamo in presenza di alcun serial killer, la mano criminale non sarà mai la stessa anche se le vicende si scopriranno alla fine perfettamente concatenate e l’una causa ed effetto di quella successiva, un’altra dimostrazione dell’abilità di F&L di creare storie su più livelli senza sentore di forzatura.

CarloFruttero

Un’immagine giovanile di Franco Lucentini Libreria Le mille e una pagina, C.so Garibaldi 7 27036 Mortara (PV) | 0384.298493 | www.lemilleeunapagina.com


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Un capitolo a parte meritano almeno alcuni dei personaggi, del resto come non innamorarsi della giovane poliziotta Pietrobono che sul suo diario personale scrive (abbreviando in maniera assolutamente comica) tutto ciò che le passa per la testa in quel momento, sia che riguardi le indagini sia la sua vita privata (“sento amarlo” è un suo “must”), come non sorridere delle colorite imprecazioni (“ellamadosca”, “ellascalogna”, “ellamiseria”) di Monguzzi, redattore della casa editrice, perso da anni nella ricostruzione dell’imprescindibile carteggio Crispi-Oderici e ritrovatosi catapultato nel bel mezzo di un caso enormemente più grande di lui, come non provare ripugnanza di fronte alle sordide abitudini e maniere di Vicini, viscido ingegnere della Fiat.

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insieme si sono occupati anche di fantascienza dirigendo la collana Urania per ben 25 anni. Carlo Fruttero ci ha lasciati pochissimi mesi fa (gennaio 2012).

“A che punto è la notte” pubblicato da Mondadori nella collana “Oscar Bestsellers”

La “ditta F&L”: Carlo Fruttero e Franco Lucentini

Un’altra delle peculiarità più apprezzabili degli autori è quella di partire da una visione “laterale” delle cose, senza piombare subito nel cuore della scena ma arrivandoci pian piano passando per stradine secondarie e permettendoci così di assaporarla meglio: un calzante esempio è dato dalla figura del giovane agente Tropeano che appare solo verso la fine del romanzo e dalla cui visuale il lettore si gode l’intervento e l’azione decisiva da parte delle forze dell’ordine. Il fortunato sodalizio artistico, cominciato nel 1971, tra gli scrittori Carlo Fruttero e Franco Lucentini, si è interrotto a causa della scomparsa di quest’ultimo nel 2002 e ci ha regalato almeno un altro capolavoro di pari livello, “La donna della domenica”, che precede “A che punto è la notte” di 7 anni e da cui è stato tratto un film diretto da Luigi Comencini. Dalla loro collaborazione sono scaturiti altri apprezzati romanzi quali “Il Palio delle contrade morte” e “L’amante senza fissa dimora”;

“Nulla infatti come l’eventualità di tirar dentro a un’inchiesta la Fiat aveva il potere di trasformare in giganti del pensiero dei semplici funzionari di polizia. Nessun ragionamento, argomentazione, ipotesi, nessuna forma di sillogismo, nessuna analitica o sintetica sottigliezza poteva essere trascurata per accertare se fosse veramente il caso di andare a rompere i coglioni alla Fabbrica Italiana Automobili Torino.” tratto da “A che punto è la notte” di Fruttero &Lucentini (Mondadori)

*Fino agli anni '80 veniva definito "battitore libero" quel calciatore che, sgravato da compiti di marcatura fissa degli avversari, era appunto "libero" di giostrare a suo piacimento alle spalle dei difensori suoi compagni di squadra o di avanzare a sostegno degli altri reparti.

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YOGA NON E’ YOGURT*... ... ma molto altro RUBRICA DI YOGA E DINTORNI A CURA DI FRANCESCA PROTTI

L'elisir di lunga vita, per esempio. Se riesci a credere che l'impossibile è raggiungibile, allora giovinezza, salute e vitalità durature saranno tue. E per rendere possibile l'impossibile basta leggere un libro. Il primo a parlarmi dei cinque riti tibetani fu il mio insegnante di yoga, alla fine del mio primo anno di pratica. Ce li mostrò ed esortò tutti noi a praticarli durante l'estate, a viverli come una meditazione attiva e riponendo fiducia nel loro potere. Quello, cioè, di consentire il risveglio delle energie interiori benefiche per corpo, mente, spirito. Ma non si tratta solo di tradizione orale, parole semplicemente tramandate da un maestro ai suoi pochi allievi. “I cinque riti tibetani” è anche un libro in cui si racconta la profonda amicizia che unisce il suo autore, Peter Kelder, con il colonnello Bradford, ufficiale inglese in pensione, che decide di inseguire un sogno. Andare alla ricerca della fonte della giovinezza. L'opuscolo di appena 32 pagine che era stato pubblicato nel 1939, dal contenuto poco più che romanzesco, dopo vari decenni venne rivisto e riedito in un agevole libretto lungo un centinaio di pagine. Il libro si articola in quattro parti. Nella prima, quella più lunga, Kelder narra in prima persona il suo incontro con Bradford e il nascere della loro profonda amicizia, la determinazione del colonnello a partire alla ricerca dell'elisir di lunga vita, il meritato successo e il desiderio di divulgare al mondo questo sapere. Spinto da Kelder, Bradford fonda l'Himalaya Club e la sua divulgazione dei riti nel mondo è l'argomento della seconda parte. Terza e quarta, infine, approfondiscono la pratica con sintetici insegnamenti relativi all'alimentazione e allo stile di vita. Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, la fonte della giovinezza non è una fontana termale, bensì la folgorante scoperta che ogni persona porta seco un potenziale d'eternità fin dalla nascita, attivabile con un semplice insegnamento. Studiando il corpo umano e la sua fisiologia, i mistici orientali hanno localizzato un'infinità di vortici energetici e quelli in corrispondenza delle ghiandole endocrine sono ritenuti i principali. Sono i famosi chakra (parola sanscrita che significa, appunto, vortice, ruota) che, se ruotano in sincronia, garantiscono una perfetta salute. L'invecchiamento e il deterioramento fisico sono il risultato del rallentarsi di uno o più di questi chakra, mentre riavviando il loro normale movimento sincrono, si riacquista giovinezza. Chi sia esattamente Peter Kelder non è certo. Potrebbe essere il giovane, aitante e vitale, che abbiamo incontrato stamane, oppure un uomo di 78, 100, diverse centinaia di anni. Oppure, chissà, potrebbe trattarsi dello pseudonimo di una donna. Ma l'incertezza che lega l'autore non ne svilisce

l'opera. Tralasciando tutto ciò che non è importante, il lettore è condotto direttamente agli esercizi, alla pratica di questi riti energetici capaci di ringiovanire. Con descrizioni chiare Kelder permette a chiunque di praticare e di generare quell'energia che serve per superare, la pigrizia, origine della paura e della vecchiaia, e per riunificare corpo fisico, emozionale, mentale e spirituale. I riti esercitano una compressione e rilassamento, un profondo massaggio rigenerante per il corpo dall'interno. La loro pratica migliora l'attività della mente, rilassano le emozioni, innalzano il livello di energia vitale, rafforzano le difese immunitarie. Il primo volume de “I cinque tibetani”, pubblicato da Edizioni Mediterranee

“Who wants to live forever?”, domandavano i Queen ai loro fans. Le brutture del mondo di oggi potrebbero spingere a preferire il sonno eterno, ma ciò che non piace può essere cambiato. Ognuno di noi può impegnarsi per rendere tutto migliore, cominciando dal migliorare se stesso. Se tu stai bene, riesci a far star bene gli altri e ciò che ci circonda è più bello. Non posso che seguire l'esempio del mio maestro di yoga, esortandovi a praticare, a dar loro una possibilità e a scoprire quale sia l'effetto dei cinque riti tibetani su di voi. Un gesto vale più di mille parole e allora non vi resta che provare per credere. *Liberamente tratto dall'incipi di “Yoga per negati”

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SOTTO IL TIGLIO* PICCOLA RUBRICA DI CULTURA TEDESCA A CURA DI FRANCESCA PROTTI

Nascere femmina in una famiglia di contadini, dove due braccia in più, forti e lavoratrici, sono non solo sperate, ma pretese, è un amaro destino, nel cuore della Germania tanto quanto in qualsiasi altra realtà rurale nel mondo. E questo, Emma Wachs, la protagonista del romanzo della scrittrice tedesca Claudia Schreiber “La felicità di Emma” (Keller Editore), l’ha scoperto alla svelta. Il suo essere femmina ha fatto sì che sin da bambina Emma non conoscesse mai alcuna forma d'amore. Non dal padre, di cui ricorda solo i passi vigliacchi allontanarsi, né dalla madre, di cui sente ancora i passi minacciosi avvicinarsi, e nemmeno dal nonno, mosso da una filosofia di indescrivibile crudeltà. “Quelli che vogliono vivere qui dentro e vogliono mangiare devono anche lavorare. Mettitelo bene in testa. Chi non lavora ...” . La sua voce si faceva minacciosa e il resto della frase diventava realtà Alzava il braccio e scagliava con violenza i passerotti contro il muro della casa, dove andavano a sfracellarsi”. Ed Emma non aveva potuto fare altro che mettersi bene in testa il concetto, imparando a lavorare, a non avere né schifo né paura degli animali, diventando sempre più brava nei compiti assegnatile. Si impara ad amare, e si ama, solo se si è stati amati. Emma ha ricevuto amore solo dagli animali, dalle scrofe dell'allevamento, per esempio, tra i cui cuccioli spesso si nascondeva. Quindi Emma sa amare solo gli animali e con loro vive nella fattoria di famiglia, immersa nel caos, nello sporco, nel completo disinteresse per la sua persona e per gli altri esseri umani. È sempre stata talmente occupata a sopravvivere da non avere il tempo di sentirsi bella o desiderabile. Non riesce, quindi, ad accettare la corte di Henner, il poliziotto. Ormai vive allo stato brado, impegnata solo ad allevar maiali come fossero fratelli e come tali li macella. I suoi maiali, da lei accompagnati fino all'ultimo, muoiono felici. Max Bienen, impiegato nel lavoro e nella vita, consacrato a far quadrare anche l'aria e a contarne i capelli. Se potesse sterilizzerebbe anche il tempo, fissato com'è con il pulito impeccabile e l'ordine allo stremo. Di fatto Max che improvvisamente si scopre malato di un tumore in fase avanzata a quell'organo piccolo e dimenticato che è pancreas, non ha mai vissuto. Tutto ad un tratto Max vuole vivere e decide di tornare nell'unico posto dove crede di aver vissuto, dove semplicemente è stato bene. Il Messico. Per un viaggio, però, così ci vogliono soldi e Max sa dove trovarli. Armato di un insospettabile ardimento trafuga 50.000,00 dollari dall'azienda di Hans, il suo migliore amico, non che il suo esatto opposto. Un uomo ambizioso, impulsivo,

amante del pericolo e dell'avventura, che fa propri i talenti di Max, grande estimatore della musica classica e amante dell'arte culinaria, insuperabili armi di seduzione femminile.

La scrittrice tedesca Claudia Schreiber

“Hans scostò la stoffa e i due si fissarono. E qui il caro-buono-bravo Max, il Max che eseguiva sempre gli ordini, proprio quel Max che non chiedeva mai niente e non voleva mai niente lo colpì senza tanti preamboli. Sbattè la busta sulla guancia sinistra del suo amico con tale violenza che Hans cadde a terra sbigottito. Max non si fece scappare l'occasione. Corse fuori ... in cortile. Ed ecco lì la Ferrari con lo sportello aperto. Con un salto Max fu dietro al volante. Gettò la busta del denaro sul sedile del passeggero e filò via sgommando ... E arrivò a una curva che la Ferrari si rifiutò semplicemente di infilare ... L'auto e Max volarono nel bosco, giù per la scarpata ... Mentre la macchina rotolava fragorosamente, Max se ne stava seduto con la cintura allacciata constatando con tranquillità che se non altro quello era davvero un gran finale.”

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Ma in realtà la storia è solo all'inizio. Lo schianto dell'auto strappò Emma dal sonno. Si infilò l'impermeabile di suo nonno e uscì fuori. Osservò i rottami senza fretta, senza spaventarsi, con interesse e curiosità, meravigliandosi dello stupendo motore che faceva capolino dal cofano ammaccato. Solo allora si accorse dell'uomo inerte dietro al volante. Gli tastò la carotide. Era vivo. “Un uomo, dunque”. Ecco che il cielo finalmente gliene mandava uno ... danneggiato durante il trasporto, però. Comunque, meglio un

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duro, come una mano che esce dalla pagina. I ricordi di Emma, l'ultra grafica delle macellazioni, i dolori di Max ti stendono senza giri di parole in un romanzo mordente, che commuove senza straziare, diverte e colpisce con il dono inatteso della leggerezza. Come se fosse facile. Claudia Schreiber vive e lavora a Cologna. È scrittrice, sceneggiatrice e ha collaborato con la radio e la televisione tedesca (ZDF). La felicità di Emma, primo romanzo tradotto in italiano, ha ottenuto in patria uno straordinario successo di critica e pubblico ed è stato tradotto in numerose lingue. Già nel 2006 ne è stato tratto un film per la regia di Sven Taddicken.

Qui a sinistra, la copertina del libro “La felicità di Emma” pubblicato in Italia dalla Keller Editore, piccola casa editrice, fondata nel 2005 a Rovereto da Roberto Keller. Nata con pochi capitali e mezzi, questo piccolo editore si è fatto conoscere per la pubblicazione di autori stranieri quasi sconosciuti in Italia, ma che, in poco tempo, hanno ricoperto un ruolo importante nel panorama culturale europeo. Un nome su tutti, il Premio Nobel per la letteratura del 2009 Herta Müller

uomo rotto che niente. Emma radunò tutte le sue forze, lo sollevò, se lo carico sulle spalle come una mezzena di un maiale squartato e lo portò in qualche modo oltre la soglia di casa sua. Il destino fa incontrare due opposti e li rendere stranamente completi. Nessuno dei due ha mai vissuto, entrambi soffrono di un male di vivere che attacca i tessuti, per entrambi l'amore è una camera vuota in cui ci si sente a disagio e più spogli di prima. Lo scontro di Max ed Emma, due personaggi tratteggiati con convincente tangibilità, avvolti da una coltre terrena in ogni dettaglio, genera una creatura nuova, fatta dei loro lati più deboli. Momenti di comicità a volte si alternano, a volte procedono in sincronia con quelli drammatici in un'epifania totale divisa tra la procreazione e l'eutanasia. Le parole, crude e nude, colpiscono il lettore a pugno

* Unter den Linden (Sotto il Tiglio) è uno dei più bei viali di Berlino, che prende il proprio nome dall'incipit di un canto d'amore di Walter von der Vogelweide, poeta medievale (1170 ca. – 1230 ca.).

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CULTURA E’... ANCHE UNA BUONA TAVOLA! RUBRICA DI CUCINA E DINTORNI A CURA DI ALBERTA MAFFI Il romanzo consigliato nella rubrica “Ridi e avrai le rughe giuste” ha come protagonista un centenario molto arzillo e pieno di voglia di vivere, che, a cent’anni suonati, trova addirittura l’amore... A tutti piacerebbe arrivare a tarda età con fisico e mente in buona forma. In questi ultimi anni, non è poi così difficile mantenersi sani e giovani, grazie ad uno stile di vita decisamente migliore rispetto a quello dei nostri nonni che coinvolge tutta una serie di fattori: un’alimentazione più varia e sana, ricca di frutta e verdura; i progressi della scienza medica e far macologica; una maggiore consapevolezza del proprio corpo e quindi una cura più attenta; l’idea che l’attività fisica sia fondamentale per un buon funzionamento di mente e corpo; una mentalità più aperta che ci ha portati ad ampliare i nostri orizzonti culturali. Insomma, basta un po’ di buona volontà per rimanere giovani più a lungo e, soprattutto, invecchiare nella maniera giusta.

degli spunti interessanti, mentre sta a ciascuno di voi approfondire l’argomento dal punto di vista che più vi sta a cuore.

Frutta e verdura sono buone fonti di vitamine e antiossidanti

L’ARTE DI INVECCHIARE BENE

Sono molte le pubblicazioni che elargiscono consigli a riguardo. Mi limito a proporvi un paio di testi da cui trarre

L’invecchiamento, come si sa, è un fenomeno naturale a cui nessuno di noi può sottrarsi. C’è, però, il modo di farlo più lentamente e meglio. “Invecchiare bene” (edizioni Giunti Demetra) è un volumetto scritto da Paolo Giordo, neurologo ed esperto in omeopatia e fitoterapia. Non esiste la ricetta dell’eterna giovinezza, è chiaro, ma i consigli pratici e ben esposti di questo libro possono aiutarci a ritardare i processi dell’invecchiamento cellulare e, soprattutto, a vivere più serenamente un’età che ha senz’altro molto da offrire. Attività fisica e mentale, abbiamo detto, abbinata all’alimentazione regolare e sana. A questo si possono affiancare integratori o anche metodi naturali che, da secoli, vengono studiati per porre rimedio a disturbi di varia natura.

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LE PIANTE COME AIUTO NATURALE

Sin dai tempi più remoti, l’uomo ha studiato, selezionato e tramandato una serie di specie vegetali che vengono utilizzate a scopo terapeutico. La scienza moderna ha dato una mano a comprendere meglio l’azione di queste piante, tra cui ve ne sono alcune molto note e consumate regolarmente, senza quasi conoscerne i giovamenti apportati dal loro consumo. Uno di questi rimedi è il tè verde. Ricavato dalla foglie giovani della pianta Camellia sinensis, a differenza del tè nero, quello verde non viene particolarmente essicato e fermentato. Un’assunzione quotidiana di questa bevanda garantiscono una valida protezione antiossidante, in quanto il tè verde contiene sostanze ad alta attività antiossidante in grado di difendere le cellule cerebrali. Pare, anche, che studi recenti abbiano individuato nel tè verde delle sostanze in grado di prevenire il tumore, in particolare quello al seno. Inoltre, il piacere di fermarsi, prepararsi una buona tazza di tè da sorseggiare da soli davanti a un buon libro, o in compagnia, è un rito che ci permette di riappropiarci del nostro tempo e di rilassarci quel tanto che basta per lasciare alle spalle un po’ di stress (che non è certo amico dell’invecchiare bene!).

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Anche in questo caso, esistono in commercio diverse pubblicazioni. Vi consiglio “Il tè verde” delle edizioni Tecniche Nuove, da cui ho preso in prestito la ricetta che vi propongo: un fresco frullato al latte (ricco di calcio, quindi un valido aiuto per le nostre ossa) e tè verde naturalmente. L’augurio è quello di diventare tutti come il nostro simpatico centenario: sani, in forma e, soprattutto, con tanta voglia di vivere!

FRULLATO AL LATTE CON TE’ VERDE

Ingredienti per 1 persona 1/4 di latte fresco 1 cucchiaino di tè verde in polvere zucchero o miele, in base al gusto personale cubetti di ghiaccio Preparazione La preparazione è semplice: basta frullare tutti gli ingredienti, con i cubetti di ghiaccio, nel mixer. Sul bordo del bicchiere si può mettere una fettina di arancia o limone per decorazione.

Gustare una tazza di tè verde è un modo per rilassarsi piacevolmente e assumere sostanze naturali che aiutano a ritardare l’invecchiamento cerebrale.

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Prossimamente in libreria: Come anticipato dal nostro articolo, sabato 9 giugno 2012, alle ore 17,30 la scrittrice Paola Calvetti, già nostra ospite per festeggiare con noi il primo compleanno della libreria nel settembre 2009, torna per presentare il suo nuovo romanzo, “Olivia, ovvero la lista dei sogni impossibili” (Mondadori)

Indovina l’autore:

Chi vuole partecipare, può inviare una mail oppure passare in libreria e lasciare la risposta. Il primo lettore che ci invierà o porterà la risposta giusta vincerà un buono da spendere nella nostra libreria.

Soluzione del numero precedente:

La frase finale dello scorso numero è tratta dal romanzo di Jonathan Safran Foer “Troppo forte, incredibilmente vicino” (Guanda)

DA: L IB R E R IA L E M IL L E E U N A PA G IN A C .s o G ar ib al di 7 2 7 0 3 6 M or ta ra (P V ) 0 3 8 4 .2 9 8 493 in fo @ le m il le eu na pa gi na .c om

LETTERARIA Maggio - Giugno 2012

A CURA DI:

Paola Calvetti Laura Fedigatti Alberta Maffi Francesca Protti Antonio Segrini

Anno 2 - Numero 9


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