Letteraria 15_16 /2013

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Maggio - Agosto 2013

Anno 3 - Numero 15/16 www.lemilleeunapagina.com

NUMERO DOPPIO, PIÙ CONSIGLI PER L’ESTATE

Cari amici ecco la nostra newsletter. Non solo novità e bestseller, ma proposte di libri che, secondo noi, sono meritevoli di essere letti. Nella speranza di aiutarvi nelle vostre scelte e di darvi idee sempre nuove di cultura.

NUMERO ESTIVO SPECIALE CON TANTI CONSIGLI PER LE LETTURE DELLE VACANZE UN GRANDE DELLA NARRATIVA BRITANNICA

Qualcuno ha detto che gli autori britannici “hanno una marcia in più”. Forse è vero, soprattutto se si legge uno scrittore come Alan Hollighurst, raffinato interprete dell’essenza “British” degli ultimi decenni. Continua a pagina 2

DAGLI USA ALLA FRANCIA, I CONSIGLI DEL “BATTITORE”

In alto da sinistra, Quim Monzó (pag. 4); Karen Thompson Walker (pag. 17), Daniel Goleman (pag.. 19); in basso da sinistra, lo svizzero esordiente Joël Dicker (pag. 11) e la copertina dell’edizione Einaudi di “Orgoglio e Pregiudizio” (pag. 11)

Antonio Segrini non ha dubbi: per i consigli “delle vacanze”, niente di meglio dei noir di due scrittori molto diversi tra loro, ma ugualmente bravi: l’americano del Texas Joe R. Lansdale e la francese Fred Vargas. Continua a pagina 7

IL NOIR ITALIANO DI QUALITÀ

Due importanti autori del noir italiano, due stili diversi a confronto: Simonetta Santamaria e Michele Giuttari, per i consigli “in giallo” di Riccardo Sedini. Continua a pagina 15

UNA NUOVA RUBRICA “ESTEMPORANEA”

E così si chiama la nuova rubrica di Francesca Protti, che ci guiderà alla scoperta di nuovi mondi della letteratura internazionale. Continua a pagina 21

“Il vestito da sera era appeso INDOVINA IL nell'armadio. [...] C'era uno PERSONAGGIO strappo. Qualcuno le aveva L’abito descritto nel brano qui a calpestato la gonna. L'aveva sentita fianco appartiene alla protagonista tirare in alto tra le pieghe al di un famoso romanzo inglese. ricevimento all'Ambasciata. Con la Come si chiama questo luce artificiale il verde brillava, ma personaggio? al sole sbiadiva.”

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ATMOSFERE RAFFINATE PER CELEBRARE LA MEMORIA DEL PASSATO Non sempre i premi letterari sono meritati, come non sempre determinano la vera qualità di uno scrittore. Nel caso di Alan Hollinghurst questo non vale. Il vincitore del Man Booker’s Prize (già citato altre volte in questa sede per altri scrittori “di qualità”) per il romanzo “La linea della bellezza” merita davvero di essere letto. Il suo ultimo romanzo, “Il figlio dello straniero”, uscito nel 2012 per Mondadori, ora pubblicato in edizione economica, rappresenta un buon punto di partenza per la conoscenza di questo autore britannico, che può rivelarsi una scoperta felice. Alan Hollighurst nasce nel 1954 a Stroud, una cittadina della contea del Glucestershire, figlio di un bancario. Dopo essersi laureato in Letteratura inglese a Oxford, Hollinghurst inizia la sua carriera letteraria con la pubblicazione di poesie (una grande passione dello scrittore, non a caso il personaggio attorno a cui ruota la vicenda dell’ultimo romanzo è un poeta). Nel 1981 si trasferisce a Londra, dove lavora per la University of London, e nel 1982 inizia una collaborazione con il Times Literary Supplement (conosciuto anche come TLS), il prestigioso settimanale di recensioni letterarie. Dopo una serie di raccolte poetiche, che gli valgono diversi premi, nel 1988 Hollighurst pubblica il suo primo romanzo, “The Swimming Pool Library” (“La biblioteca della piscina”, Mondadori, 1989), che gli vale il “Somerset Maugham Award” (premio britannico istituito nel 1947 dal grande scrittore William Somerset Maugham, che gli diede anche il nome). Con il secondo romanzo, “The Folding Star” pubblicato nel 1994 (“La stella di Espero”, Mondadori, 1995), vince uno tra i più antichi e prestigiosi premi letterari della Gran Bretagna, il “James Tate Black Memorial Prize”, istituito nel lontano 1919 presso l’Università di Edimburgo e vinto da quattro Premi Nobel (Doris Lessing, Nadine Gordimer, J.M. Coetzee e William Golding) e numerosi tra i più importanti scrittori di lingua inglese, come Ian McEwan, Graham Greene, Zadie Smith, Evelyn Waugh, Salman Rushdie. Ma questo non è tutto. Se il terzo romanzo, “The Spell” del 1998 (non pubblicato in Italia) resta “a secco” di premi, così non è con il quarto romanzo. “The Line of Beauty”,

pubblicato nel 2004 (“La l i n e a d e l l a b e l l ez z a ” , Mondadori, 2006) fa vincere a Hollinghurst quello che, forse, è il maggior riconoscimento cui uno scrittore inglese possa ambire (Nobel a parte), il “Man Booker Prize”, a conferma (se ce ne fosse stato bisogno) della grandezza di questo scrittore. Alan Hollinghurst Ma veniamo all’ultimo libro, “T he Stranger’s Child”, uscito nel 2011, pubblicato in Italia da Mondadori nel 2012 con il titolo “Il figlio dello straniero” e che ha “rischiato” di far vincere al nostro Alan, per la seconda volta, il Booker Prize. Un romanzo che rivela, una volta di più, la bravura di questo autore, sia stilistica, sia narrativa, collocandosi nella migliore tradizione del grande romanzo inglese. Hollighurst ci immerge in atmosfere sofisticate, esprimendo un interesse particolare per le antiche dimore inglesi, aristocratiche ville con giardini abitate da personaggi più o meno fascinosi, come già era successo anche per altri lavori. Le case, in questo romanzo, sono importanti quasi quanto le persone, e infatti da una poesia dedicata (ma solo all’apparenza) a una dimora parte tutta la vicenda, che si snoda in cinque parti, dal 1913 al 2008. “Il bagliore alticcio, nella limpida mattinata d’aprile, era innegabilmente d’effetto. Sembrava la stanza di un costosissimo sanatorio. Le comode poltrone moderne dai morbidi rivestimenti grigi avevano sostituito l’antica congerie di bambù, chinz e velluti dalle pesanti frange. Le pareti dallo zoccolo scuro e il soffitto a cassettoni, con i dodici pannelli incastonati che raffiguravano i mesi, erano stati tranquillamente coperti e, sulle nuove pareti, ai dipinti originali si affiancava tutt’altro genere di opere.” Cecil Valance è un mediocre poeta che, invitato dall’amico George Sawle (entrambi studenti di Cambridge), fa una visita di pochi giorni alla famiglia di George nella loro casa, una tenuta chiamata “Due Acri”. Qui, Cecil, un po’ per gioco, un po’ per vanità, scrive una poesia intitolata, appunto, “Due Acri”, composizione che gli porterà la fama. A chi è dedicata la poesia? Alla casa? Un po’ improbabile. A Daphne, l’adolescente sorella di George, innamorata del bel Cecil, che scherza con lei fino a baciarla in modo un po’ brutale, e che lascia, nel quaderno di Daphne, il segno del suo passaggio, ovvero il componimento? Oppure a George, amico sì, ma forse qualcosa di più, un amante platonico o effettivo (non è dato saperlo)?

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Questa ambiguità porta a una serie di decisioni nella vita dei protagonisti, più o meno errate, soprattutto dopo che Cecil muore, soldato britannico in Francia, durante la Grande Guerra, nel 1916. I grandi eventi - le morti, i matrimoni, le nascite, gli incontri - non sono raccontati direttamente. Restano sullo sfondo, quasi un fuori scena tra una sezione e l’altra del romanzo, come se lo scrittore volesse lasciare il lettore libero di intuire quello che è successo tramite le parole e le vicende dei personaggi stessi. La seconda parte è ambientata nel 1926. Cecil Valance è ormai un poeta di culto, dopo che Winston Churchill ha nominato la sua poesia “Due Acri” come uno dei migliori componimenti di guerra. I suoi resti sono sepolti a Courley Court, la vittoriana dimora di famiglia trasformata in un mausoleo alla memoria del figlio perduto di Lady Valance. Daphne Sawle è temporanea padrona di casa, avendo sposato - dopo che l’oggetto della sua infatuazione adolescenziale, il grande amore La copertina del libro “La linea della bellezza” e un’immagine dello scrittore della sua vita, è andato perduto - il fratello di Cecil, alla cerimonia di premiazione del Man Booker Prize nel 2004 aspirante scrittore, pessimo padre dei loro due figli, Corinna e Wilfrid, e marito anche peggiore, tanto che creando, anche, con una punta di furbizia navigata da parte Daphne lo lascerà per sposare un artista, Ravel Ralph. dello scrittore, un finale a sorpresa, con delle rivelazioni che, Anche lui morirà, in un’altra guerra altrettanto terribile e però, non sciolgono totalmente l’ambiguità sulla vera natura che sarà raccontata di riflesso nelle parti seguenti. di Cecil. Nella terza parte arriviamo al 1967. Corley Court è una Amante di Daphne o del fratello George? O forse di scuola, che accoglie ancora la tomba di Cecil Valance. Paul entrambi? Certo è che l’altro tema del romanzo è molto caro Bryant è un giovane impiegato nella banca del genero di a Hollinghurst, come aveva già dato prova di prediligere in Daphne, alla cui festa di compleanno incontrerà Peter Rowe, “La linea della bellezza”. Hollighurst è gay dichiarato e la un insegnante di Corley Court, con il quale avrà una tematica dell’omosessualità in Gran Bretagna è presente nei relazione. Ritroveremo Paul negli anni ’80 (nella quarta suoi lavori. Qui, lo scrittore cerca di comunicare come sia parte del romanzo), scrittore che tenta di completare una cambiato il fatto di essere gay nella società britannica lungo biografia su Cecil Valance e, per questo, cercherà di tutto l’arco del XX secolo (nel romanzo precedente, si avvicinare i familiari di Cecil ancora in vita. Il romanzo limitava agli anni ’80). termina nel 2008, con un Paul ormai biografo affermato, in In ogni caso, Hollinghurst è uno dei migliori scrittori un finale che vede riunite, al funerale di Peter Rowle, una britannici attuali; i suoi romanzi (e in particolare questi due serie di persone, più o meno legate al poeta Cecil, il cui ultimi) sono un bell’esempio di scrittura elegante, raffinata, spirito ha aleggiato in tutto il racconto. piacevole, che fa scorrere le pagine con la sensazione di La storia è affascinante e raffinata, di una lentezza essere in buona compagnia - la compagnia di uno scrittore di particolarmente cara a certi scrittori britannici, che amano notevole livello. soffermarsi sulle descrizioni dei luoghi (e come non potrebbe “«Probabilmente tutti conoscete i versi di Cecil a memoria» proseguì, essere, in questo romanzo, dove i luoghi - le dimore, nella sorridendo alle file stipate e suscitando nuovamente un misto di fattispecie - sono così legate alle persone), o su certi momenti resistenza e bramosia; sembrava quasi che avrebbe chiesto a ciascuno dei particolari per spiegare meglio la psicologia interna dei presenti di citare i versi che conoscevano. «Era un esempio di prim’ordine personaggi, ma che rende la lettura ancora più preziosa. del poeta di second’ordine che penetra la coscienza comune più a fondo Leggere Hollighurst, infatti, è un po’ come leggere il suo di qualsivoglia grande maestro. “Trema Inghilterra nel rorido “collega” McEwan: si viene trascinati piano piano dentro le raggio/Della rosa canina in pieno maggio”... “Due sacri acri pagine, nella storia, fino ad esserne totalmente assorbiti e di terreno inglese”.»” non volere più lasciarla andare. Un po’ come un cibo E, per questo motivo, quando si arriva all’ultima pagina, c’è raffinato che deve essere gustato lentamente. un po’ di nostalgia, ma non di rimpianto. Con uno scrittore C’è anche dell’ironia, nel trattare uno dei temi principali del straordinario come Hollinghursrt, il rimpianto è fuori romanzo, cioè la memoria che si conserva dei propri cari e il questione. mito che può, a volte, circondare questa memoria. Come nel caso di Cecil: una poesia, ambiguamente interpretata, ha dato il via a un mito letterario forse non così meritevole di Laura Fedigatti fama; ha suscitato sentimenti, speranze, convinzioni che hanno, in qualche modo, cambiato la vita di tutti coloro che hanno gravitato attorno alla sua persona e al suo ricordo. E Libreria Le mille e una pagina, C.so Garibaldi 7 27036 Mortara (PV) | 0384.298493 | www.lemilleeunapagina.com


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RIDI E AVRAI LE RUGHE GIUSTE RUBRICA DEL BUON UMORE A CURA DI FRANCESCA PROTTI

Mi hanno trasferito all’ufficio di Milano. Non si tratta di un male incurabile, ne sono più che consapevole, ma affidarsi ai mezzi pubblici, siano essi treni, metro o tram, spesso si rivela una vera e propria seccatura che ti spinge a domandarti quale crimine hai commesso, in una vita passata, per meritarti uno scotto di tal portata? La risposta, forse, sarà conoscibile in una vita futura. Al momento, ciò che si può fare è solo reagire e cercare qualcosa che possa alleviare le fatiche del pendolarismo. Carta e penna per appuntarsi simpatiche conversazioni origliate tra i sedili del treno, ma soprattutto buona musica nelle orecchie e un buon libro tra le mani. Meglio se ne hai scelto uno che ti strappa un sorriso o una risata con la giusta frequenza. Un paio di mesi or sono, mia sorella ed io eravamo in viaggio, da una città universitaria antica come Pavia, a una di più recente fondazione quale è M o d e n a . Ovviamente, abbiamo viaggiato in treno e, nella mezz’ora abbondante che separava l’arrivo a Milano Centrale dalla partenza per Modena, abbiamo gironzolato pig ramente tra le scaffalature di una libreria della città, imbattendoci in un libretto sottile quanto denso di divertimento. “Mille cretini” ti fa ridere già con il titolo e si rivela essere un libro davvero divertente, piacevole, da leggere tutto d'un fiato. Quim Monzó riflette sui miti, le abitudini, i difetti della moder na società, portandone certi aspetti all'esasperazione, creando dei personaggi che sono delle vere e proprie “macchiette”, al limite del grottesco: lo scrittore non rinuncia a ritrarli in modo impietoso, concedendo, però, momenti di tenerezza e riflessione. C'è il principe azzurro che tenta in svariati modi di svegliare la bella addormentata dal suo sonno, invano: alla fine è lui ad addormentarsi, per sempre. In Il sangue del mese venturo, un'inconsueta rilettura del tema dell'Annunciazione, c’è una Madonna che non intende accettare la sua gravidanza… basta un semplice no, al posto di un sì, e la storia del mondo cambia... C’è il ragazzo che, dopo tanto tempo, incontra la

sua ex fidanzata e decide di sposarla, poiché ha scoperto che è malata terminale: peccato che la donna guarisca miracolosamente dal suo brutto male e che il neo marito, a quel punto, non sappia più che fare. C’è un paparino profondamente materno che prende in contropiede l'incipiente vecchiaia - nonché il figlio - a suon di collant, gonna, rossetto e tacchi a spillo. C’è uno scrittore esordiente pronto a rinnegare il suo idolo - che ha contribuito in modo sostanziale al suo decollo - non appena ne ha preso il posto nel firmamento letterario. C’è la donna frustrata perché il marito e il figlio, dopo cena, si chiudono nelle loro stanze coi rispettivi computer e la lasciano da sola per tutta la serata e a cui non resta che rifugiarsi davanti alla tanto aborrita televisione. Se prima la odiava, perché impediva alla sua famiglia di comunicare, ora ne è attratta perché significa almeno qualche ora insieme in salotto. L'eloquente titolo raccoglie una galleria di tipi tragicomicamente storditi dai propri limiti: padri, fidanzati, scrittori, sante potenziali. È palese che Monzó ci ha spiati mentre andavamo in bagno, al ristorante e persino a letto e ha scritto proprio ciò che sarebbe accaduto se non ce la fossimo cavata, all'ultimo, con quel benedetto colpo di genio, o di buon senso. Nei racconti si parla di varia umanità, con uno stile semplice, diretto, che sembra ingenuo, ma che va dritto al punto. Lo stile di vita e di scrittura di Quim Monzó, autore, molto conosciuto e amato nella sua Barcellona, si può dedurre facilmente dagli autori che ha tradotto in catalano. Truman Capote, Roald Dahl, J.D. Salinger, Ray Bradbury, Dorothy Parker… tutta gente per cui la brevità è un'arte e il senso della vita sta tutto nei dettagli. È un continuo ridere, ridacchiare, sorridere, riflettere, amareggiarsi, arrabbiarsi. Ogni racconto lascia una sensazione diversa che ci porta a un'acuta riflessione su chi siamo noi e se somigliamo a questi personaggi, che vengono definiti cretini, ma che poi, pensandoci bene, sembrano così 'normali'. E quando sorgono queste domande non c'è più nulla da ridere. Si riflette, sui drammi del nostro quotidiano. Quando la normalità ci sembra una routine usurata dalle ovvietà, dagli egoismi, ed è costellata da mille cretini, appunto. Monzó si rivela il grande osservatore del reale che è, in grado di farti passare qualche ora in allegria, con piccoli quadretti disegnati con abilità. Le sue parole si leggono con leggerezza, facilità, come acqua fresca, e come l'acqua sono fondamentali. E dopo aver letto, riso e sorriso, a noi non resta che riflettere su questi Mille cretini, e sperare, almeno nel nostro piccolo, di vivere meglio di loro. Poi guardi fuori dal finestrino, vedi che la campagna intorno a te è ferma, invece che in movimento come dovrebbe essere e allora ti interroghi… cosa faccio? Mi arrabbio e avveleno il sangue o… sì, senz’ombra di dubbio. Mi rimetto a leggere “Mille cretini”. Prima o poi, a casa arriveremo. Un po’ più vecchie, forse, ma con le giuste rughe (;-P)…

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ALLA FIERA DELL’EST* RUBRICA DI LETTERATURA EBRAICA A CURA DI LAURA FEDIGATTI

Quando abbiamo inaugurato questa rubrica, la scelta è caduta su un giovane scrittore americano famoso anche grazie alle trasposizioni cinematografiche dei suoi romanzi, Jonathan Safran Foer. Dal momento che gli spiriti affini si attraggono sempre, Safran Foer ha sposato una giovane scrittrice di origine ebraica altrettanto brava, di cui vogliamo parlare ora. Nicole Krauss è nata a New York nel 1974 da madre britannica con origini tedesche e ucraine, e da padre americano di origini ungheresi e bielorusse. Queste diverse influenze convergeranno nel lavoro della Krauss come scrittrice. Dopo molta poesia e diversi riconoscimenti, nel 2002 pubblica il suo primo romanzo, “Un uomo sulla soglia” (“Man Walk Into A Room”, pubblicato in Italia da Guanda nel 2006), la storia di un trentaseienne professore universitario, Samson Greene, che, dopo un intervento chirurgico per l’asportazione di un tumore al cervello, perde la memoria di gran parte della sua esistenza. Si ritrova, così, solo a cercare di ricostruire i suoi ricordi, l’unico modo per riappropriassi della propria vita, e accetterà di sottoporsi a un esperimento sulla mente da parte di un discutibile medico. Per Samson sarà un processo doloroso di rinascita che lo porterà a prendere coscienza del significato della vita. Il libro viene lodato dalla critica come romanzo poetico e raffinato, dai toni evocativi e mette in luce le capacità narrative della Krauss. Nel 2005, esce il suo secondo romanzo, “La storia dell’amore” (“The History Of Love”; Guanda, 2005), che la

consacra uno dei migliori scrittori della nuova generazione americana, vincendo premi importanti e conferendo fama internazionale alla sua autrice. La storia si divide tra la New York dei nostri giorni e la Polonia del periodo bellico. Leopold Gursky, detto Leo, è un ottantenne ebreo polacco che vive solo a New York, personaggio straordinario, forse il migliore della Krauss, un degno erede della tradizione ebraica dei personaggi tragici e umoristici allo stesso tempo. A tenergli compagnia sono i suoi ricordi e l’amore che ha provato in gioventù, nel suo paese prima della guerra, per la giovane Alma e per la quale ha scritto un libro, “La storia dell’amore”, che lui crede andato perduto per sempre. Alma e Leo vengono separati quando, preoccupato dalla situazione in Europa, il padre della ragazza decide di mandarla negli Stati Uniti. Alma è incinta del figlio di Leo, che le promette di raggiungerla presto. Scoppia la guerra e Leo è costretto a nascondersi per due anni. Quando finalmente arriva in America, scopre che Alma, credendolo morto, si è sposata e ha un altro figlio dal marito. Isaac, il figlio di Leo, non saprà mai chi è il suo vero padre. Tornando ai giorni nostri, Leo scopre che Isaac, ormai diventato uno scrittore famoso, è morto a 60 anni. Per Leo la notizia è devastante, perché è convinto che di lui non resterà più nulla, dopo la sua morte. I piani della storia si spostano anche all’altra protagonista del romanzo, una ragazzina di 15 anni, Alma Singer, che deve il suo nome al libro preferito dei suoi genitori, proprio “La storia dell’amore” di Leo, che, a insaputa del suo vero autore, è stato pubblicato in spagnolo da un amico polacco dello stesso Leo, Zvi Litvinoff, il quale fugge in Cile durante la guerra portandosi dietro il manoscritto del libro e pubblicandolo a suo nome. Alma si trova in un momento particolare: il padre è appena morto di cancro e la madre - una tradiutrice - si è rifugiata in se stessa per sfuggire al dolore. Il destino, però, vuole sempre giocare la sua parte; in questo caso arriva sotto forma di un uomo misterioso che chiede alla madre di Alma di tradurre dallo spagnolo all’inglese la “Storia dell’amore”, per un notevole compenso. La giustificazione è che il libro ha un enorme valore affettivo per lui. Da qui parte la ricerca da parte di Alma della vera “Alma”, quella del libro e a cui lei deve il suo nome, e la sua vita s’incrocerà con quella di Leo, che nel frattempo sta cercando di riavere l’unica copia (così lui crede) del suo libro che esiste ancora, la copia da lui data La scrittrice americana Nicole Krauss e la copertina del suo romanzo all’amico Zvi. “La storia dell’amore”

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LETTERARIA! Per tutta la durata della storia, l lettore è sempre in bilico tra i due protagonisti principali, il vecchio Leo e la giovane Alma, accomunati dalla solitudine e dal dolore della perdita e dalla volontà di riuscire a dare un senso a ciò che è successo nelle rispettive vite. Nicole Krauss è brava a tenere viva l’attenzione, nonostante i tanti passaggi che sembrerebbero confondere il lettore, fino a un finale sorprendente. Lo stesso può valere anche per il terzo romanzo (e a tutt’oggi ultimo) della scrittrice americana. “La grande casa” (“Great House”, uscito negli Stati Uniti nel 2010, pubblicato sempre da Guanda in Italia nel 2011, e finalista al prestigioso National Book Award per la narrativa) è un’altra storia che si perde nei meandri del passato, sulla perdita e la necessità di avere una memoria, l’unico modo per mettere a posto tutti i tasselli della nostra vita. Se ne “La storia dell’amore” l’oggetto del “contendere” è un libro, qui invece è una scrivania (siamo sempre nell’ambito della scrittura). Varie persone si alternano come proprietari di questa scrivania dai 19 cassetti, di cui uno irrimediabilmente chiuso: Nadia, scrittrice newyorchese che si pone domande sull’utilità della sua scrittura e che ha ereditato la scrivania, anni prima, da un poeta cileno che tornerà in patria e sarà inghiottito dalle prigioni di Pinochet; un antiquario di Gerusalemme che sta tentando da anni di mettere le mani sulla scrivania per ricostruire lo studio del padre,

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segreti chiusi nell’animo delle persone che, forse, non hanno amato abbastanza. “Le pause delle parole si allungavano, quando per un attimo veniva meno lo slancio che consente al pensiero di trasformarsi in linguaggio, e sbocciava in me una nera chiazza di apatia. Suppongo sia questo l’ostacolo contro il quale ho lottato più spesso nella mia vita di scrittrice, una sorta di entropia dell’impegno, di infiacchirsi della volontà, così ricorrente, in effetti, che ci facevo a malapena caso: la tendenza a cedere a una risacca di mutismo.” Ancora una volta, Nicole Krauss riesce a scrivere un r o m a n z o emozionante con una tecnica di intrecci tra persone, luoghi e tempi, un’abilità che la scrittrice ha dimostrato di possedere. Tr a g e d i a , umorismo, capacità di sopravvivere al dolore e alla perdita, perché si è in grado di dare comunque un senso a tutto ciò, grazie alla caparbietà e al desiderio di riscatto: sono questi i tratti evidenti nei romanzi della Krauss, temi cari a tutta la letteratura ebraica. Direi che Nicole Krauss ha un pregio: la capacità di rendere le sue storie originali e fuori dal comune, con uno stile personalissimo (di cui si può trovare traccia nei romanzi del marito, come molti hanno evidenziato) che la pone fra i più interessanti scrittori della sua generazione.

Nicole Krauss con il marito, lo scrittore Jonathan Safran Foer saccheggiato e smembrato dai Nazisti nella Germania del 1944; un professore universitario inglese, che ha sposato Lotte Berg, una scrittrice ebrea tedesca fuggita durante la guerra e che ha nascosto al marito tanta parte della sua vita. Dall’Olocausto ai giorni nostri, la scrivania si lega alle persone che la possiedono, tanto che nessuno di loro non vorrebbe più separarsene, diventando l’oggetto simbolo dei loro ricordi, di una memoria che vorrebbero preservare, dei

*”Alla fiera dell’est” è un canto pasquale ebraico, “Chad Gadya”, a cui si è ispirato Angelo Branduardi per la sua celeberrima canzone

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IL BATTITORE LIBERO* LETTURE CON LICENZA DI AVANZARE A CURA DI ANTONIO SEGRINI

Joe R.Lansdale è nato nel 1951 nel Texas orientale, luogo dove tuttora risiede e ambientazione di quasi tutti i suoi romanzi. Scrittore di difficile collocazione in quanto padroneggia e mixa con disinvoltura i generi più disparati (dal noir alla fantascienza, dal western all’horror), ha conosciuto una notevole popolarità in Italia nell’ultimo decennio. Lui stesso ammette che «dopo gli Stati Uniti, l’Italia è il posto in cui sono più famoso e in cui vendo più libri. Per questo ci vengo spesso.». E’ difatti tutt’altro che inusuale vederlo presenziare ai nostri festival letterari. La strategia della differenziazione dei generi la ritroviamo applicata anche alle case editrici: Lansdale ha, fin dall’inizio, diversificato la sua corposa produzione tra editori grandi e piccoli, riuscendo in questo modo a non soffocare la sua prolificità e garantendosi, nello stesso tempo, una quanto mai provvidenziale indipendenza.

Joe R. Lansdale Possiamo suddividere e raggruppare le sue opere in vari cicli: - “Il ciclo di Hap e Leonard”, una coppia investigatori originalissimi e dalla potenza (anche nel linguaggio) dirompente: Hap è bianco, democratico ed eterosessuale, Leonard è nero, repubblicano e gay. Qui ci sono tutti gli ingredienti della scrittura di Lansdale, “Mucho mojo” e “Il mambo degli orsi” rappresentano gli episodi più riusciti. - “Il ciclo del Drive-In” e “La trilogia di Ned la foca”, dedicati alla fantascienza.

- I numerosi romanzi cosiddetti di Mystery fiction (su tutti “Tramonto e polvere”). - I libri dedicati al tema dell’infanzia (imperdibili i bellissimi “In fondo alla palude” e “La sottile linea scura”). - Le raccolte di racconti (l’ultima, uscita nel 2010, è intitolata “Altamente esplosivo”). - Fumetti e graphic novel. I suoi fans più affezionati e storici gli hanno affibbiato il nomignolo di “Champion Joe” per via della sua più che quarantennale pratica di arti marziali. Eccovi, in breve, la presentazione di due dei suoi romanzi più belli. Tramonto e polvere Un incipit memorabile, folgorante, di quelli che marchiano a fuoco un'opera. Il più tarantiniano degli scrittori o forse è il buon Quentin ad essere in debito, fatto sta che trovo incomprensibile come i due geniacci non abbiano ancora pensato di collaborare per regalarci un capolavoro. Ci sono tutti gli ingredienti per inchiodare il lettore alle pagine, ambientazione western, dialoghi a volte giocati sul filo di un apparente no-sense ma sempre funzionali alla vicenda, spruzzate di pulp e splatter qua e là, momenti di autentico umorismo noir, un gusto del grottesco impagabile nel raccontare scene di una violenza altrimenti insostenibile, cattivi "cattivissimi" e buoni che hanno i loro peccatucci da farsi perdonare, un finale che non svela completamente come sono andate realmente le cose, è stato il mio primo Lansdale e, come tale, impossibile da scordare. In fondo alla palude Ciò che amo di Lansdale è la sua capacità di farti familiarizzare subito con i suoi personaggi, non c'è filtro, due battute, una descrizione sommaria ma dritta al cuore e ti sembra di conoscerli da sempre. E così incontriamo Jacob, l'agente-barbiere dalla profonda umanità e giustizia, Maggie, l'ultracentenaria laconica nella sua saggezza impossibile da scalfire, nonna June, un tornado inarrestabile con le sue battute al vetriolo e tanti, tantissimi altri; persino gli animali assumono sembianze quasi umane (emblematico e irresistibile il brano in cui il cane Toby "sembrava imbarazzato" per non essere riuscito ad avvisare in tempo la famiglia di una visita notturna).

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Da sinistra, le copertine dei romanzi di Lansdale: “Tramonto e polvere” pubblicato da Einaudi; “In fondo alla palude” pubblicato da Fazi A destra, la scrittrice francese Fred Vargas

L'io narrante è un ragazzino disubbidiente (ma sempre a fin di bene) che si trova coinvolto in una vicenda enormemente più grande di lui e la affronta con il candore e l'incoscienza che solo la sua età gli possono garantire. Tra tutte le scene madri, quella dell'impiccagione di un nero (innocente) è assolutamente epica; la forza di Lansdale è dare risalto a particolari che determinano un potente effetto d'insieme e di passare con disinvoltura dal western al noir, dall'horror all'avventura sempre con un'ironia di fondo magistrale. Il romanzo ha un momento di apparente stanca nella parte centrale, dove sembra non succedere nulla, ma è solo un abile artificio; difatti da lì in poi riprende a scorrere impetuoso come le acque del fiume ingrossate dalle piogge che flagellano il Texas orientale, teatro della vicenda, per giungere al finale che non t'aspetti. E non tutto, al tirar delle somme, è spiegato, Champion Joe lascia aperte diverse ipotesi tra le quali il lettore può scegliere quella che più gli aggrada perché "d'altronde la vita è così. Non è come in uno di quei gialli che leggeva la nonna, dove alla fine tutto viene fuori confezionato per bene". Colonna sonora: 1 6 H o r s e p ower – B l a c k s o u l ch o i r ( d a l l ’ a l bu m Sackcloth‘n’Ashes, 1996) http://www.youtube.com/watch?v=f-vpAn15-vE The Black Keys – Gold on the ceiling (dall’album El Camino, 2011) http://www.youtube.com/watch?v=6yCIDkFI7ew

Fred Vargas è lo pseudonimo di Frédérique AudouinRouzeau. Nata a Parigi nel 1957 da madre chimica e padre pittore, Fred è il diminutivo di Frédérique, mentre Vargas è lo pseudonimo assunto da sua sorella gemella Joëlle (Jo Vargas), una pittrice che a sua volta lo ha preso in prestito dal personaggio che Ava Gardner interpreta nel film “La contessa scalza”. La Vargas, ricercatrice in archeozoologia ed esperta in medievalistica, inizia la sua attività di scrittrice nel 1986, con un romanzo inedito in Italia, ma è con il romanzo poliziesco “L’uomo dei cerchi azzurri” del 1991 che raggiunge il successo, prima in Francia e poi anche all’estero. In questo romanzo, protagonista è uno dei personaggi ricorrenti dei libri della Vargas, il commissario Jean-Baptiste Adamsberg, che si ritroverà in ben sette dei suoi polizieschi, mentre l’ex poliziotto Ludwig/Louis Kelweihler e i tre studiosi Marc (storico medievalista), Lucien (specialista di Prima guerra mondiale) e Matthias (archeologo), detti “i tre Evangelisti” sono protagonisti dei tre romanzi della “serie degli Evangelisti”. Ecco la recensione due dei polizieschi della serie di Adamsberg. La cavalcata dei morti Dice bene Zerk a proposito di Adamsberg, suo padre: "Credo che il tizio che ha torturato il piccione, il tizio che ha ucciso a Ordebec, il tizio che ha bruciato Clermont-Brasseur, credo che tutta quella gente se ne vada a spasso a braccetto nella sua testa senza che lui faccia davvero una distinzione." L'originalità del nostro amato spalatore di nuvole ed antieroe per eccellenza sta anche nel garantire lo stesso trattamento e la stessa considerazione a situazioni che ai più parrebbe ovvio porre su piani diversi. Forse mai come in questo episodio della saga tutti i limiti (apparenti) del commissario vengono impietosamente messi a nudo:

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LETTERARIA! i poliziotti che vengono da Parigi non riescono a t a m p o n a r e l'emorragia di morti provocata dalla Schiera Furiosa del Sire Hellequin nel borgo normanno di Ordebec anzi, sembrano impotenti e addirittura inoperosi, la proverbiale lentezza di Adamsberg, i suoi metodi spesso incomprensibili, i suoi tortuosi percorsi mentali sembrano portarlo lontanissimo dalla soluzione del caso. Soluzione che poi piove letteralmente dal cielo, grazie ad un temporale estivo, più volte annunciato dall'accumularsi delle nubi ad ovest e sempre rimandato, al "dispiegarsi di tutta quella potenza che gli era singolarmente mancata in quei giorni, potenza lasciata tutta in mano al nemico" e grazie anche ad un senso di incompiutezza, alla sensazione di aver lasciato qualcosa di irrisolto, come il morso del ragno sul braccio del suo vicino di casa Lucio, braccio perso in guerra senza che lo spagnolo avesse finito di grattare. I libri della Vargas sono costellati da decine di immagini di questo genere e, per quanto maniacali possano apparire la cura e la ricerca del dettaglio, queste non risultano mai fini a sè stesse, impreziosendo la scrittura e rendendola ancora più godibile. L'opera è ambiziosa e imponente, come e forse anche più degli ultimi romanzi e che alla fine tutti i tasselli (e sono veramente tanti) trovino la loro naturale collocazione non può che provocare una meravigliosa "irradiazione" (tanto per usare un termine che spesso ritroviamo tra le sue pagine) del lettore. Non è semplice per i fans terminali abbandonare i modi di dire, i termini, le abitudini strampalate di tutti (ma proprio tutti) i personaggi, perchè sono proprio questi i punti di forza della scrittrice francese: l'estrema caratterizzazione di coloro che si muovono sulla scena, il gergo godibilissimo dei dialoghi e delle riflessioni, il tutto calato all'interno di un intreccio sempre impeccabile. P.S.: era così semplice (e formidabilmente azzeccato) tradurre dall'originale il titolo La Schiera Furiosa, perchè rovinare tutto con un La Cavalcata dei Morti che puzza tanto di horror-movie di serie B ? Mah....

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Un luogo incerto Sarebbe buona cosa che quelli della Einaudi eliminassero finalmente dalle note di copertina quel riferimento alla presunta avversione della Vargas per i "crimini complicatissimi" perchè poi ci si ritrova tra le mani uno qualunque dei suoi libri e ci si accorge immediatamente che di semplice non c'è proprio nulla, anzi... L'autrice si diverte come al solito a disseminare qua e là indizi più o meno determinanti, spesso camuffandoli abilmente o lasciandoli cadere con apparente nonchalance ed il sommo godimento sta proprio nell'andare a ripescare i vari spunti (che non sempre hanno a che fare con l'indagine ma a volte sono puro e semplice divertissement) per metterli in relazione tra loro, proprio come le idee di Adamsberg che guizzano come pesci dalle acque. Questa volta, alle prese con una meravigliosa ancorchè agghiacciante storia di vampiri, lo spalatore di nuvole da solo non ce l'avrebbe mai potuta fare; sono un ritorno inatteso, l ' e f fi c i e n z a d i u n personaggio minore come Froissy ed una provvidenziale vecchina a salvargli la pellaccia mentre la stella dell'impagabile Danglard, dopo un inizio sfolgorante, brilla meno del solito, parzialmente oscurata dall'ascesa del duo serbo Vladislav - Arandel e da un fedelissimo come Mordent che vuole fargli le scarpe. Dicono bene invece le note di copertina quando parlano di "poliziesco inteso come favola, ironica o tragica o cerebrale", nei libri della Vargas non c'è spazio per la tragedia ma ironia e cerebralità la fanno da padrone e talvolta, come con Pennac, sembra di leggere un fumetto per cui le perdoniamo volentieri qualche trovata forse un pò eccessiva. Tre stelle e mezzo sarebbero la giusta valutazione ma arrotondiamo per eccesso senza timore di essere troppo magnanimi.

*Fino agli anni '80 veniva definito "battitore libero" quel calciatore che, sgravato da compiti di marcatura fissa degli avversari, era appunto "libero" di giostrare a suo piacimento alle spalle dei difensori suoi compagni di squadra o di avanzare a sostegno degli altri reparti.

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UN PO’ DI CONSIGLI PER LE LETTURE DELLE VACANZE “LUCE D’ESTATE” di Jón Kalman Stefánsson L a l u c e h a u n’ i m p o r t a n z a fondamentale e le lunghe giornate d’estate si apprezzano anche per le ore di luce in più di cui possiamo godere. Pensiamo, allora, a quanto possa essere importante la luce in un paese come l’Islanda, che a inverni molto lunghi e bui alterna estati cortissime ma piene di luce. E la luce è la protagonista del romanzo di Jón K alman Stefánsson, islandese, nato nel 1963 e con una serie di lavori alle spalle prima di esordire nel 1996 come scrittore. In Italia, nel 2009 viene fatto conoscere da Iperborea, la casa editrice milanese specializzata in letteratura nordica (prima che gli scrittori scandinavi diventassero fenomeni editoriali da ricercare ad ogni costo) con la pubblicazione di “Paradiso e Inferno”, romanzo lodato da critica e pubblico, e dal suo seguito nel 2012 da “La tristezza degli angeli”, in attesa del terzo capitolo di una trilogia. “Luce d’estate” (che, in realtà, è antecedente ai libri della trilogia) conferma la bravura di questo scrittore, che predilige le storie di gente semplice da immergere nella natura incontaminata del suo paese. Con un umorismo un po’ nero, tipico dei nordici, ci narra le storie, tante e diverse, degli abitanti di un paesino di 400 anime, immerso nella campagna islandese, nel pieno di un’estate dalla luce infinita. Non è facile vivere in un posto simile, dove non accade mai nulla, tanto che quando passa un’auto tutti escono in strada a vedere di chi sia. Eppure, anche in mezzo all’apparente nulla, anche nella solitudine della propria casa, circondati da una natura ancora selvaggia, è possibile trovare una “luce” che ci permetta di dare un senso alla vita e di vivere un’esistenza degna di tale nome. “Perché viviamo?” è la domanda che Stefánsson si pone e a cui cerca di dare una risposta in questo piccolo gioiello di romanzo. “Parliamo, scriviamo, raccontiamo di piccole e grandi cose per cercare di capire, di arrivare a qualcosa, di afferrare l’essenza che però si allontana sempre più come l’arcobaleno. Nelle storie antiche si dice che l’uomo non possa guardare Dio, equivarrebbe alla morte, e senza dubbio vale lo stesso per quello che cerchiamo - la ricerca stessa è lo scopo, il risultato ce ne priverebbe. E ovviamente è la ricerca che ci insegna le parole per descrivere lo splendore delle stelle, il silenzio dei pesci, il sorriso e lo sconforto, la fine del mondo e la luce dell’estate.”

“MIELE” di Ian McEwan Come non parlare per un consiglio di lettura - che sia estate o qualunque altra stagione - di un grande romanziere (lo sanno bene coloro che mi conoscono, per lui ho un debole) come Ian McEwan. Il suo romanzo più recente (non vogliamo dire “ultimo”, speriamo che ne seguano molti altri) ha un titolo particolarmente accattivante “Miele” (“Sweet Tooth” in originale) ed è uscito in Italia per il Natale 2012 da Einaudi. McEwan ci immerge in una storia piena di riferimenti autobiografici (dalle citazioni di personaggi a lui, in qualche modo, legati, ai luoghi frequentati dall’autore, ai racconti di uno dei protagonisti, molto simili ai primi racconti di McEwan), ambientata nel primi anni ’70, quando la Gran Bretagna è un paese in pieno fermento culturale, sociale e politico, nel bel mezzo di una guerra fredda che ancora impegna al massimo le attività di “intelligence” dei servizi segreti da una parte e dall’altra. Serena Frome, la giovane protagonista, voce narrante (la prima femminile da “Espiazione”), è una borghese ben educata, con un padre vescovo, una madre impeccabile e una sorella spinta ai margini della società dalla cultura hippy che ha spopolato negli anni Sessanta. Serena ha grandi doti matematiche, ma non ama la matematica. Tuttavia, per accontentare la madre, si laurea a fatica a Cambridge, dove però dà sfogo alla sua passione per la letteratura divorando ogni sorta di romanzo. La sua educazione viene completata da un professore di storia cinquantenne, Tony Canning, che diventa il suo amante - per un breve periodo, prima di scaricarla brutalmente - ma, soprattutto, la prepara nella maniera giusta per entrare nell’MI5, il servizio segreto britannico. Serena sarà scelta per far parte del progetto “Miele”, che ha lo scopo di individuare scrittori da sostenere economicamente con una fantomatica fondazione di facciata, per trasformarli in inconsapevoli pedine contro il comunismo sovietico. Lo scrittore che viene affidato a Serena è Tom Haley, brillante autore di alcuni racconti. Serena s’innamora prima dello scrittore, poi dell’uomo. E qui cominciano i guai per lei, sospesa tra verità e inganno, tra fedeltà al proprio paese e alla missione o all’uomo che ama.

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LETTERARIA! “Questa particolare sensazione, che lui ora fosse completamente mio e che, volente o nolente, lo sarebbe stato per sempre, era priva di peso, vuota, avrei potuto rinnegarla in qualunque momento. Mi sentivo intrepida. Lui mi baciava piano e mormorava il mio nome ancora e ancora. Forse era il momento di dirglielo, adesso che non poteva fuggire. Diglielo adesso, mi ripetevo. Digli quello che fai.” Serena sarà sola a prendere una decisione importante per la sua vita, in un finale con tanto di colpo di scena. Certo, lo scrittore si crogiola un po’ nella sua bravura, ma ancora una volta, McEwan non delude, con questo romanzo che strizza l’occhio alle spy-story - senza propriamente esserlo e si rivela uno dei più grandi romanzieri viventi.

“ORGOGLIO E PREGIUDIZIO” di Jane Austen Un po’ scontato, forse, e “fuori moda” proporre un classico, ma quando si parla di una grande scrittrice, tutto il resto non conta. Jane Austen è Jane Austen. Meravigliosa, eterna, ironica, osservatrice acuta di situazioni e persone, una vera “ever green” della letteratura da duecento anni a questa parte. Perché, allora, non approfittare di un po’ di tempo libero durane le vacanze per leggere, o rileggere, questa sublime scrittrice? Non può che far bene all’umore, e quindi anche alla salute, passare un po’ di tempo in compagnia delle sue impagabili eroine (e anche dei protagonisti maschili, ce ne sono diversi niente male). Il mio consiglio è di procurarsi “Orgoglio e pregiudizio”, senza dubbio il suo romanzo più celebrato, e a ragione. Non starò a dilungarmi sulla trama, ormai notissima anche a chi non l’avesse mai letto, e sulle cinque sorelle Bennett - in particolare la dolce Jane e la testarda Elizabeth, indubbiamente l’eroina “numero uno” di tutte le creature di Jane Austen - in cerca di un marito, sulla loro madre isterica e desiderosa di vedere la prole accasata, sull’orgoglioso e ricco Mr Darcy e sul suo più tenero amico Mr Bingly, nonché su una miriade di altri personaggi mirabilmente descritti. Basta dire che un romanzo di Jane Austen è un piacere impagabile, un divertimento sano e assicurato, un tuffo nel passato, ma senza risultare antiquato. Del resto, certi difetti (e pregi, ovviamente) sono da sempre caratterizzanti dell’animo umano e, come tali, immutabili. Superfluo dire che di “Orgoglio e pregiudizio” ci sono molte versioni, pubblicate da diverse case editrici. Einaudi ha in catalogo il romanzo nella traduzione di Fernanda Pivano, che si rivela, oltre che amica dei poeti della “Beat Generation” americana, anche un’estimatrice della scrittrice inglese.

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“LA VERITÀ SUL CASO HARRY QUEBERT” di Joël Dicker Primavera 2008. Marcus Goldman è un giovane scrittore che ha scritto un solo romanzo di successo. Ora il suo editore è in attesa del secondo, ma l’ispirazione sembra aver abbandonato Marcus, che, non sapendo più che fare, chiede aiuto al suo vecchio amico e mentore Harry Quebert, professore universitario e scrittore di successo. Harry vive ad Aurora, nel New Hampshire, posto idilliaco e ideale per uno scrittore che cerchi di vincere il famoso blocco. L’invito sembra non funzionare per Marcus, fino a quando non succede qualcosa di totalmente imprevedibile: nel giardino della casa di Harry viene trovato il cadavere di Nola Kelleran, una quindicenne di Aurora scomparsa nel 1975. All’epoca, Harry, scrittore trentenne newyorchese che si era trasferito nel New Hampshire per scrivere il secondo romanzo, ha una relazione con l’adolescente Nola. Già indagato, ora sembra che i sospetti su di lui siano fondati. Ad aggravare la sua situazione, il fatto che, insieme ai resti della ragazza, viene trovato il manoscritto del romanzo che ha reso Harry famoso. A questo punto, a Marcus si presenta una doppia occasione: far luce sul delitto di Nola per scagionare l’amico che lo ha tanto aiutato e ritrovare l’ispirazione letteraria. Questa è, per sommi capi, la trama di un romanzo che sta facendo molto parlare di sé, “La verità sul caso Harry Quebert” dello scrittore svizzero Joël Dicker, edito in Italia da Bompiani e subito balzato tra i primi dieci libri più venduti delle ultime settimane. Nato a Ginevra nel 1985, Dicker è al s e c o n d o ro m a n zo. L a b o n t à d e l l e re c e n s i o n i è impressionante, tanto che è stato definito da critici di tutto rispetto come uno dei migliori gialli degli ultimi tempi (qualcuno ha ipotizzato che potrebbe cambiare la vita di chi lo legge, tanto è straordinario, ma questo ci sembra un po’ esagerato). Un bel giallo, indubbiamente, in grado di tenere desta l’attenzione fino alla fine e con un susseguirsi di colpi di scena che non deludono il lettore. Un po’ troppo lungo, forse, in certe parti iniziali lo scrittore avrebbe potuto trattenersi su un certo autocompiacimento descrittivo, ma la storia è di quelle che tiene inchiodati fino all’ultima pagina e scorre via bene. Un’ottima lettura, quindi, per chi cerchi un bel libro, appassionante ma senza essere eccessivamente impegnativo.

Laura Fedigatti

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SOTTO IL TIGLIO* PICCOLA RUBRICA DI CULTURA TEDESCA A CURA DI FRANCESCA PROTTI

L’ho detto nella prima recensione del 2013. Questa rubrica era nata per diffondere meglio la letteratura tedesca contemporanea, ma di nuovo devo disattendere alla filosofia con cui è stata ideata per commemorare un altro grande del passato, dal dolce triste sorriso, giovane alto ed esile, timido e facile agli sgomenti, frequentatore delle lezioni di filosofia tenute da un allievo di Brentano. Il 03 luglio si sono celebrati, nel più totale silenzio, i 130 anni dalla nascita di Franz Kafka, autore con il quale – ragionandoci – mi sono accorta di avere molto in comune. E il nome è solo la prima riga dell’elenco. La decade ('80) e il mese (luglio) di nascita, per cominciare. Continuiamo con il giorno, che è palindromo. Lui venne al mondo il 03, mentre io il 30. Entrambi da sempre astemi e vegetariani dall'età di 30 anni circa, con padri non entusiasti di questa dieta... per il mio "l'orzo sembra polistirolo". Tu t t i e d u e Franz Kafka nel 1906 lavoratori presso un assicuratore “straniero”. Kafka fu oltre che una delle più grandi figure della letteratura del XX secolo, anche impiegato, seppur per un breve periodo, presso le Assicurazioni Generali di Trieste. Io, da qualche anno ormai, sono assunta presso uno studio che risponde ad assicuratori inglesi e tedeschi. Ve lo dicevo che i punti di contatto tra noi non erano pochi… speriamo di non fare la sua stessa fine, però… Kafka, ammalatosi di tisi, morirà il 03 giugno del 1924. Qualcuno, poi, potrebbe dirmi che il vecchio Franz non era tutto giusto… non posso che convenirne. Io spero di non essere così pazza, almeno con così tanto... Parlare di Franz Kafka non è semplice, nonostante essenzialmente tre siano le tematiche che elabora nei suoi

scritti. Il conflitto Arte-Legge, in cui è chiaro l’influsso degli studi giuridici (coronati dalla laurea nel 1906), il suo difficile rapporto con il femminile (forse per una figura materna molto forte). Di più alto livello culturale rispetto al marito Hermann, Julie Löwy lavorava nell’emporio di famiglia anche dodici ore al giorno ed era lei a prender le decisioni riguardo agli affari. Terza tematica, il problema della colpa come regola universale, in cui non si fatica a ritrovare la sua impostazione ebraica. Di notevole interesse per la comprensione dei suoi scritti è la convinzione che il destino dell’uomo – anche nella sua più banale quotidianità – sia sempre e comunque nelle mani di forze imperscrutabili e beffarde, imprevedibili e ingannevoli. L'inganno sarebbe anzi l'unico principio ordinatore che l'uomo possa conoscere: sarebbe l'unica "Legge" dietro cui si cela Dio. Agli anni della formazione, la prima decade del XX secolo, è databile il primo testo giunto fino a noi, “Descrizione di una battaglia”. Nell'autunno del 1912 scrisse le parti più importanti del suo primo romanzo, “Il disperso”, pubblicato postumo nel 1927 con il titolo “America”, anche se il primo capitolo era stato pubblicato già nel 1913 con il

Casa natale di Kafka a Praga titolo “Il fochista”. Nello stesso periodo compose “La sentenza”, racconto pubblicato sulla rivista “Arkadia” nel 1913 e “La metamorfosi” (pubblicato sulla rivista “Die weissen Blatter” nel 1916), il racconto più noto. Nell’estate di quello stesso anno iniziò la stesura del romanzo “Il processo” e del racconto “Nella colonia penale”, di cui diede una lettura pubblica nel novembre del 1916. Quest'ultimo scritto, assieme ad altri 14 racconti brevi (composti nei mesi successivi), confluirà nel volume “Un medico di campagna”, pubblicato nel 1919.

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LETTERARIA! E qui terminano, i pochi testi che Kafka, a dispetto della loro incompiutezza, decise di dare alle stampe. Pregò l’amico Max Brod di bruciare tutto il resto. Questi disattese la richiesta, facendosi carico della pubblicazione di buona parte degli scritti kafkiani e innescando un’analisi critica senza precedenti. Probabilmente ad attrarre l’interesse fu la particolare capacità di immaginare, e riportare su carta, situazioni inusuali nel vissuto quotidiano, di integrare l'elemento grottesco nella vita di tutti i giorni, assumendo a volte aspetti onirici (spesso incubi, più che sogni). Il protagonista è in qualche modo sempre i d e n t i fi c a b i l e c o n l'autore, anche dal nome. Gli esempi più tipici sono Gregor Samsa, protagonista de “La metamorfosi”, il cui cognome è evidente calco del Copertina della prima edizione de cognome dello “La metamorfosi” del 1916 scrittore; Josef K., protagonista de” Il processo”; il K. de “Il castello”. Lo stile di Kafka si fa notare per la sua capacità di esprimere i temi dell'alienazione interiore ed esteriore dell'io, mostrando come nella vita ordinaria di uomini qualunque possa manifestarsi, all'improvviso, l'irreparabile perdita di contatto con la realtà ovvero l'emarginazione e il naufragio. Di lui, Quim Monzò ha detto che è grande perché scrive con humor cose terribili. Senza umorismo, la letteratura è insopportabile, mentre il filosofo Karel Kosik dichiara che Kafka, e la sua opera sibillina e difficile da decifrare, si leggano per interpretarlo. I suoi scritti più famosi, dicevo, rimasero monchi del finale. Non si tratta di un fatto casuale. In questa incompiutezza si riflette l'impossibilità, per Kafka, di risolvere il proprio conflitto interiore attraverso la scrittura, nonostante per lui scrivere fosse “una scelta di vita, una vocazione profonda, un'irrinunciabile esigenza esistenziale” (Cercignani 2004), oltre che un rifugio. “Appena posava la penna si trovava allo scoperto” a detta di Michael Mares, boemo che accompagnò Kafka al Balkan, locale ove erano soliti ritrovarsi giornalisti, letterati e artisti ai margini dell’anarchismo. In ultimo, chi voglia capire Franz Kafka non può dimenticare né il ricco "corpus" dei Diari, né l'epistolario, composto in particolare dalle lettere alle donne con cui ebbe delle relazioni, Felice Bauer e Milena Jesenská. In fine, la notissima Lettera al padre, che costituisce un vero e proprio testo autobiografico a sé stante.

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Curiosità. Il nonno di Kafka, Jakob, nacque con il cognome di Kavka che in ceco significa cornacchia. Mai nome fu più profetico! In seguito al proprio trasferimento a Praga, venne modificato in Kafka, più rispettoso della traslitterazione in lingua tedesca.

“Ragazze, cappelli e Hitler” di Trudi Kanter Avevo pensato ad almeno cinque diversi incipit per questo articolo. Ovviamente, e ritengo sia di lapalissiana evidenza, non ne ho usato nessuno, ma ognuno può essere utile per spiegarvi un romanzo scoperto per caso, attratta da un 15% di sconto, da una scrittrice dal nome tedesco e da una parola del titolo, cappelli. Ricordo un’amica dei tempi dell’università che sceglieva i libri in base alla copertina. Letteralmente. Più era colorata e vivace, più l’immagine era accattivante, più lei era invogliata a comprarlo. Una vera e propria roulette russa, acquisto a scatola chiusa della peggior specie. Nella scelta di questo libro, comunque, io ho più o meno fatto la stessa cosa. Come testé confessato, è stata la parola cappelli ad attirare la mia curiosità, a spingermi a s f o g l i a r e distrattamente il libro e a scoprirne il contenuto nella quarta di copertina. Una storia chiara sin dal titolo, ma in ogni caso sor prendente. Vienna 1938. Giovane, bella e chic, Trudi Miller crea cappelli per le donne più eleganti della città. Quando comincia a frequentare Walter, un uomo d'affari affascinante e carismatico, in breve se ne innamora. Ma il loro idillio avrà vita breve: Trudi e Walter sono ebrei e quando i carri armati di Hitler entrano in Austria sanno che saranno costretti a fuggire. Ragazze, cappelli e Hitler narra un'incredibile storia di vita vissuta che da Vienna a Praga, dall'Est Europa fino alla Londra dei bombardamenti, racconta dei disperati tentativi compiuti da Trudi per garantire un rifugio sicuro a sé e Walter, per fuggire dagli orrori che hanno inghiottito l'Europa.

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LETTERARIA! Prima ho scelto un aggettivo, sorprendente, non a caso. Il romanzo ti stupisce ad ogni pagina. Dopo tutto, c’è modo e modo di raccontare le cose. Tra questi capitoli, la levità di un ricordo personale si mischia alle terribili ferite che la Storia vissuta in prima persona, quella del nazismo, dell’Anschluß e delle leggi razziali, hanno lasciano addosso alla narratrice.

Un’immagine di moda degli anni ‘30 Nata in Austria in un famiglia di origini ebraiche, Trudi amava Vienna e l’indipendenza che si era costruita con il suo piccolo atelier di modista. Periodicamente andava a Parigi, per comprare materiali, per studiare il gusto del momento e per ricopiare, freneticamente e a memoria, qualche schizzo su cui costruire la nuova collezione. Una donna in carriera nei minacciosi anni ’30 del secolo scorso. Una tragedia come quella che si rivelerà essere l’ascesa al potere di Adolf Hitler la costringerà a fuggire dall’amata capitale austriaca, non senza mettere a repentaglio la propria vita o lasciare indietro persone care. In una pagina del romanzo, una scena è significativa. Trudi e Walter, una sera, nel buio della loro casa si interrogano su cosa stia accadendo, su come sia meglio agire. Partire o restare? Trudi, con impulsività, propone di fuggire. Di uscire di casa, raggiungere la stazione e salire sul primo treno. “Ora, mio caro, che è ancora possibile”. Walter è una persona più posata, naturalmente incline a ponderare ogni decisione a lungo. Non condivide l’idea di Trudi, ma la convince, invece, che le sue sono solo paure vane, che sia bene aspettare qualche tempo. Illuso. Questo, però, lo dico io, adesso, con il senno di poi e il peso della Storia sulle spalle. Parlando del romanzo con un’amica, ci trovammo a chiederci cosa faremmo noi se, improvvisamente, fossimo perseguitate. Ad essere onesta, non lo so. A mente lucida e fredda potrei esclamare che fuggirei, forte dell’insegnamento che i libri di Storia mi hanno dato. In realtà, però, nel momento in cui dovessi essere invischiata nella Storia non so come agirei. Devo confessare che non ho idea di come mi comporterei. Se fuggirei senza esitare o se, come Walter, finirei con l’illudermi che sono solo paure sciocche e prive di senso. Non so… davvero non so, e voi? Per

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Trudi e Walter, comunque, ad un certo punto la risposta si impone sulle loro vite con tutta la gravità del momento. Non hanno scelta, devono abbandonare l’Austria, con ogni mezzo, pronti ai sacrifici più duri. Come quello di partire per Londra lasciando dietro di sé gli anziani genitori, rincuorati dalla sola promessa che prima o poi, in qualche modo, a loro volta sorvoleranno la Manica e si riuniranno ai due giovani. Il romanzo autobiografico, infatti, venne scritto in inglese e pubblicato postumo. Forse, alcuni puristi tra voi potrebbero, e a giusta ragione, obiettare che “Ragazze, cappelli e Hitler” nulla c’entra in questa rubrica. Eppure, per quanto il titolo originale sia “Some Girls, some Hats and Hitler” e non “Mädchen, Hüte und Hitler”, ho inserito il romanzo in questa rubrica, lasciando che la bilancia pendesse verso la lingua madre della sua autrice. Confido che, al riguardo, possiate non essere troppo “sufistic” o, per usare un termine più contemporaneo, non troppo “choosy”. In linea con la trama del romanzo, a certe obiezioni, più o meno argomentate, potrei ribattere come faceva spesso la mia nonna. “Voi due… - mia sorella ed io, ovviamente - avreste bisogno di un po’ di guerra”. Forse ho scelto questo romanzo anche perché, le mie nonne erano giovani quando lo fu Trudi Kanter, forse volevo cercare di conoscere ancor meglio un momento della loro vita di cui, entrambe, non possono più raccontarmi.

* Unter den Linden (Sotto il Tiglio) è uno dei più bei viali di Berlino, che prende il proprio nome dall'incipit di un canto d'amore di Walter von der Vogelweide, poeta medievale (1170 ca. – 1230 ca.).

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L’IMPRONTA RUBRICA NOIR DI RICCARDO SEDINI ASSOCIAZIONE CULTURALE “GIALLOMANIA”

www.giallomania.it Simonetta Santamaria, scrittrice di thriller e horror. Giornalista, irriducibile motociclista, amante dei gatti e delle orchidee. Ha vinto l’XI edizione del Premio Lovecraft e il Premio Fantastique nell’ambito del I Fantasy Horror Award. Ha partecipato a numerose antologie di prestigio. Sua la raccolta di racconti “Donne in Noir” (Il Foglio Letterario) e l’e-Book “Black Millennium” (La Tela Nera). I suoi saggi illustrati “Vampiri - da Dracula a Twilight” e “Licantropi - i Figli della Luna” (Gremese) sono stati tradotti in Francia e Spagna. Ha scritto i romanzi “Dove il Silenzio Muore” (Cento Autori) e “Io Vi Vedo” (Tea/Tre60). È rappresentata dall'agenzia letteraria Martin Eden. Cura, in collaborazione con Maurizio Ponticello, la rassegna letteraria annuale “INPASTALLAUTORE”. È membro della “Noir Factory” e collabora con il network “Mondocult”. Il quotidiano “La Repubblica” l’ha definita una delle “signore della suspense made in Naples” mentre per il “Corriere del Mezzogiorno” è “lo Stephen King napoletano”.

sono dei paria. Adoro anche Stephen King: ho l'intera collezione dei suoi libri e sono andata in giro tra le locations dei suoi romanzi fin sotto casa sua, nel Maine. E scrivo storie oscure. Perché mi afferrano cuore e stomaco, perché sanno scavare nel profondo della mente umana mettendone a nudo il lato oscuro. Proprio quello che si nasconde in silenzio da qualche parte, dentro ognuno di noi. Ogni tipologia di aberrazione ha il suo fascino. Quelle che vi offro sono paure quotidiane: nei miei libri non troverete esseri soprannaturali in un mondo fantastico ma presenze soprannaturali inserite in un contesto tangibile, tanto da sembrare esse stesse reali. Da bambina, mentre le altre sognavano di fare le ballerine, io volevo fare il meccanico. Mentre loro s'infiocchettavano da fatine a Carnevale, io mi vestivo da cowboy e sognavo di pilotare un elicottero. Perché volevo fare quello che facevano i maschi. Le preclusioni del sesso m’infastidivano quanto m’invogliavano a spingermi oltre i cosiddetti “limiti” imposti dall’essere femmina. All’elicottero non ci sono arrivata, e non posseggo neppure un cavallo, ma giro in sella alla mia inseparabile motocicletta. Per molti sono Simonoir, con buona pace dei miei familiari. A proposito di familiari... Diego, mio marito e prezioso consulente macabro-scientifico, è in realtà un chirurgo straordinario. Abbiamo due figli splendidi, Fabrizio e Adriano, che sanno ascoltare le mie contorte fantasie, mi ispirano con la loro musica (gli Ephesar) e con cui amo condividere notti insonni di PlayStation tra Silent Hill e Resident Evil. Abbiamo due gatti, Byron e Shelley, che mi hanno convinta a inserire sempre un loro simile nei miei romanzi. Se poi volete anche sapere come mi vede mio padre, cliccate un po' qui. Detesto cucinare: la mia concezione di angelo del focolare la si può evincere cliccando qui e dall’omonimo racconto in Donne in Noir; uno di quelli che riscuote maggior successo, il che la dice lunga sullo status di casalinga... P.S. Chi scrive storie oscure non è necessariamente un pazzoide che di notte Simonetta Santamaria e la copertina del suo libro va per cimiteri. E comunque riflettete, sui cimiteri. Ogni lapide racconta una storia, e se qualcuno si ferma ad ascoltarla è un po' come tornare a vivere. ” Dice: “Non mi prendo mai troppo sul serio, altrimenti sarei una serial killer. Vivo e scrivo a Napoli, col Golfo e Capri di fronte e il Vesuvio alla mia sinistra. Ho la R moscia, e come H. P. Lovecraft adoro i gatti, in particolare quelli neri perché Libreria Le mille e una pagina, C.so Garibaldi 7 27036 Mortara (PV) | 0384.298493 | www.lemilleeunapagina.com


LETTERARIA! Michele Giuttari ha fatto carriera nella Polizia di Stato. Impegnato inizialmente nella Squadra Mobile di Reggio Calabria, ha successivamente diretto la Squadra Mobile di Cosenza prima di prestare servizio presso la DIA a Napoli e a Firenze. Dopo aver svolto nel 1993 le indagini sugli attentati di Mafia verificatisi a Firenze, dal 1995 al 2003 ha ricoperto il ruolo di capo della Squadra Mobile di Firenze, ricoprendo un ruolo determinante nelle indagini che hanno portato alle condanne dei Compagni di merende nella sanguinosa vicenda del Mostro di Firenze. Dal 2003 in poi è stato a capo di un pool investigativo denominato Gides (Gruppo Investigativo Delitti Seriali) in azione in Italia, alla ricerca dei possibili mandanti dei delitti del Mostro di Firenze. Nel 2006 ha subito, assieme al Pm di Perugia Mignini una denuncia per calunnia nell'ambito delle indagini sui mandanti del Mostro di Firenze. Nel 2008 è stato rinviato a giudizio per abuso d'ufficio in relazione alla denuncia del 2006. Il 22 gennaio 2010 viene assolto con formula piena perché il fatto non sussiste, assieme al Pm di Perugia Dr. Giuliano Mignini, in relazione all'accusa iniziale e più importante di avere svolto indagini "parallele" e condannato, per ipotesi minori di abuso, ad un anno e sei mesi con l'accusa di aver fatto pressione su colleghi e giornalisti che avrebbero contrastato l'operato del Giuttari. Entrambi gli imputati vengono invece assolti dall'accusa di abuso d'ufficio in concorso in un'inchiesta collegata alle indagini perugine legate alla vicenda del Mostro di Firenze. Il Pubblico Ministero non ha impugnato l'assoluzione piena che è così definitiva. Av ve r s o l a condanna sia il Dr. Giuttari c h e i l D r. Mignini hanno interposto appello e il secondo dei Michele Giuttari due ha non solo contestato nel merito l'accusa ma ha addirittura eccepito, sin dalla fase delle indagini, l'incompetenza funzionale dell'Autorità giudiziaria di Firenze poiché nella vicenda sono, a vario titolo, coinvolti

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magistrati fiorentini ed ha addirittura eccepito la nullità della sentenza di condanna per difetto di contestazione, cioè perché il Tribunale ha pronunciato la condanna, senza tener conto delle precise contestazioni. In seguito all'appello degli imputati Giuttari e Mignini, la Corte d'Appello di Firenze, Seconda Sezione penale, con una clamorosa e dirompente decisione, in data 22 novembre 2011,ha dichiarato l'incompetenza funzionale del Tribunale di Firenze, per essere competente il Tribunale di Torino ed ha dichiarato la nullità della sentenza del Tribunale di Firenze, azzerando in pratica tutto il procedimento. Ciò perché vi erano coinvolti, come ipotetici danneggiati, magistrati della stessa Procura di Firenze, in stridente violazione delle n o r m e processuali s u l l a competenza n e i procedimenti p e n a l i concernenti magistrati (art. 11 c.p.p.) Il Dr. Giuttari ha ricoperto, dopo la fine delle indagini collegate, il ruolo di dirigente presso l'Ufficio centrale ispettivo ministeriale, organo dirigente della polizia di stato. Dopo il pensionamento, il Dr. Giuttari si è dedicato all'attività di scrittore ed ha iniziato una lunga serie di interventi televisivi di commento degli episodi criminosi di attuali. Bibliografia: “Compa gni di sangue” - 1999 Scritto con la collaborazione di Carlo Lucarelli “Scarabeo” - 2004 “La Loggia degli innocenti” - 2005 “Il Mostro. Anatomia di un'indagine” - 2006 “Il Basilisco” - 2007 “La Donna della ‘Ndrangheta” - 2009 “Le Rose Nere di Firenze” - 2010 “I sogni cattivi di Firenze” - 2012 “Il cuore oscuro di Firenze” - 2013

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E SE L’ASSE TERRESTRE INIZIASSE A RALLENTARE...... Sarebbe il libro ideale da leggere il 21 giugno, il primo giorno d’estate, il giorno più lungo dell’anno. E infatti “L’età dei miracoli”, primo romanzo dell’esordiente americana Karen Thompson Walker, è uscito proprio il 21 giugno del 2012 (pubblicato in Italia da Mondadori, ora è in uscita nel formato tascabile). Ed è stato un caso letterario nell’ambiente editoriale, questo romanzo strano, originale, anche un po’ inquietante, come lo sono i racconti in cui si ipotizzano catastrofi terrestri, in quanto ha dato il via a una vera e propria battaglia tra case editrici a suon di centinaia di migliaia di dollari per accaparrarsi il diritto di pubblicarlo. La protagonista è Julia, che ci racconta la vicenda filtrandola con gli occhi di una ragazzina di 11 anni che vive in una cittadina tranquilla e benestante vicino a San Diego, in California, e che sta affacciandosi a quel difficile e complesso periodo della vita che è l’adolescenza. Un’adolescenza, in questo caso, molto particolare, perché, oltre ai soliti problemi con la scuola, i genitori, le amiche, i primi turbamenti del cuore, Julia deve vedersela anche con il rallentamento terrestre. Per un motivo non ben specificato - guerre, emissioni di gas inquinanti, terremoti, non sembra ci possa essere una causa vera e propria e non è nemmeno così importante ai fini della storia - la terra incomincia a girare più lentamente, causando a poco a poco dei seri cambiamenti negli esseri viventi, animali e vegetali. “Non ce ne siamo accorti subito. Non potevamo prevederlo. Non ci siamo resi conto, all’inizio, del tempo in più che debordava dalla superficie levigata dei giorni, come un tumore che si gonfia sotto la pelle.” I giorni iniziano ad allungarsi, sempre di più, tanto che alla fine del libro un giorno dura settimane. Settimane intere di sola luce seguite da settimane intere di solo buio. Julia riporta tutti i cambiamenti che conseguono a questo rallentamento e al variare dell’esposizione a luce solare e totale sua assenza. Gli uccelli non riescono più a volare e muoiono, le balene non riescono più ad orientarsi e spiaggiano, l’erba non cresce più, spariranno il grano, gli ananas, e tanti altri vegetali. Gli umani saranno colpiti da una malattia chiamata “la Sindrome”, che si manifesta con vertigini, senso di stanchezza, insonnia, svenimenti. Senza parlare delle radiazioni a cui sono sottoposti nei lunghi periodi di luce, tanto che la stessa protagonista si brucerà la pelle prendendo il sole con un amico. Il rallentamento, però, non vuol dire solo cambiamenti fisici; come è immaginabile, anche la società va incontro a stravolgimenti che creano nuove incomprensioni tra le presone, nuovi motivi di scontro fra chi la pensa in modo diverso, nuove scuse per potersi

scagliare contro gli altri. Qualche mese dopo l’inizio del rallentamento dell’asse terrestre, si sente la necessità di regolare il nuovo gior no. Come fare? Seguire le ore di luce scandite dal nuovo ordine naturale? Oppure continuare a seguire le ore “ d e l l ’ o ro l o g i o ” , alla maniera tradizionale, prerallentamento? I governanti del mondo decidono di continuare a seguire l’ora dell’orologio. La maggior parte dell’umanità, quindi, si adegua a dormire con la luce, lavorare col buio, regolando le attività quotidiane sulle 24 ore tradizionali. Alcuni, però, non ci stanno e decidono di adeguarsi al nuovo ordine naturale. In ogni caso, gli sconvolgimenti sulle persone sono notevoli. “Per un po’ i giorni vennero percepiti ancora come giorni. Il sole si levava e tramontava. Il buio era seguito dalla luce. Ricordo la fresca esplosione del mattino, la lenta calura del pomeriggio, l’indolenza del crepuscolo. La fase più brillante del tramonto si dilungava per ore prima di scivolare nella notte. Il tempo scorreva pigro, sempre più lento a mano a mano che passava. Ogni nuovo mattino ci ritrovavamo sempre più fuori sincronia rispetto agli orologi. La terra continuava a girare e gli orologi a ticchettare, ma adesso avevano tempi diversi. Nell’arco di una settimana la mezzanotte non scoccava più necessariamente a un’ora buia della notte. L’orologio poteva tranquillamente indicare le nove del mattino a metà giornata. Mezzogiorno talvolta coincideva con il tramonto. Erano giorni caotici, improvvisati.”

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LETTERARIA! E inizia una nuova forma di ghettizzazione, nei confronti di quei pochi che preferiscono seguire il nuovo giorno dalle ore dilatate. Così succede che Sylvia, l’insegnate di pianoforte di Julia, che abita proprio di fronte a lei, perde tutti i suoi allievi, viene isolata, la sua casa è presa di mira da dei vandali, fino a quando Sylvia se ne va, Julia non sa dove, forse in un luogo dove si riuniscono a vivere tutti coloro che non seguono l’ora imposta dalla maggioranza. Intanto la vita di Julia va avanti. I suoi cambiamenti, quelli di una ragazzina che cresce e si affaccia alla vita, che crede fortemente di avere un futuro, nonostante tutto, restano la parte fondamentale del romanzo. Nella rivoluzione caotica e stravolgente del rallentamento che provoca sconvolgimenti permanenti nella sua vita - “Mi sembra adesso che il rallentamento avesse innescato anche altri cambiamenti meno evidenti all’inizio, ma più profondi. Alterò certe traiettorie meno percettibili: i percorsi delle amicizie, per esempio, i sentieri verso l’amore, e lontano da esso” - Julia si trova alle prese con i piccoli, grandi drammi dell’esistenza normale di una ragazza della sua età: la sua migliore amica le ha voltato le spalle; Seth, il ragazzo che le piace, non sembra considerarla molto; i compagni di scuola la prendono in giro perché non porta ancora il reggiseno; i genitori sembrano avere incomprensioni sempre più grandi e Julia sospetta anche che il padre possa avere una relazione con Sylvia; il nonno, infine, a cui Julia è molto legata, scompare proprio nel momento in cui tante persone decidono di isolarsi nelle comunità dove si segue l’ora naturale. Per Julia, in fondo, è la sua vita ciò che conta. Nella sua solitudine, cerca di trovare la sua strada, di realizzare il futuro che l’attende nel mondo che sta cambiando in un modo che nessuno avrebbe mai previsto. E i suoi occhi di adolescente registrano ogni cosa che la circonda e che ha un peso fondamentale sulla sua vita. “Mia madre dice che passo troppo tempo a pensare al passato. Dovremmo guardare avanti, dice, al tempo che ci rimane. Ma il passato è lungo e il futuro è breve. Mentre scrivo questo resoconto di una vita ordinaria, i nostri giorni so sono dilatati a settimane ed è difficile dire quali periodi sono più pericolosi adesso: quelli di buio, con la temperatura sotto lo zero per settimane, o quelli di luce. [...] Ma io cerco di guardare avanti più che posso. Ho deciso che cercherò di diventare un medico, sebbene alcune università abbiano chiuso. Nessuno sa come sarà il mondo quando avrò finito gli studi.” Karen Thompson Walker presentata da di Mantova nel settembre 2012

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La speranza, nonostante tutto, sembra non abbandonarla. Karen Thompson Walker, nata e cresciuta a San Diego, dopo aver studiato letteratura e scrittura creativa all’università, ha lavorato prima come giornalista, poi come editor per la casa editrice Simon&Schuster a New York, dove vive col marito. Ha scritto il suo romanzo al mattino, alzandosi presto prima di andare al lavoro, impiegandoci circa tre anni. L’ispirazione per questa storia le è venuta quando il terribile terremoto in Indonesia, che ha provocato lo tsunami nel dicembre del 2004 che tutti ben ricordiamo, ha influito sulla rotazione terrestre, causando un rallentamento della rivoluzione terrestre e una riduzione delle nostre 24 ore di una frazione di secondo. Un’ultima annotazione: il sito del libro (www.theageofmiracles.com) offre interessanti notizie, oltre che sull’autrice, anche sul rallentamento terrestre, con una “guida per il lettore” con una serie di domande che potrebbero insorgere dopo la lettura del romanzo. Chissà se qualcuno riuscirà a dare anche delle risposte.....

Laura Fedigatti

Francesco Piccolo al Festivaletteratura

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YOGA NON E’ YOGURT*... ... ma molto altro RUBRICA DI YOGA E DINTORNI A CURA DI FRANCESCA PROTTI

Una forma di meditazione, per esempio.Meditare pallido e assorto, presso un rovente muro d'orto.... Mi capita spesso di "storpiare" l'incipit di una bella poesia, che di recente sono andata a rileggere nella sua interezza. Vi ho scoperto una chiave di lettura yogica e meditativa cui, penso e mi auguro, Eugenio Montale non obietterà. Meditare è questo, in primis. Ascoltare ciò che ci circonda, ascoltare i rumori lontani, vicini e vicinissimi, prenderne atto e lasciarli andare, separarli dalla mente affinché non ne rimanga invischiata, ma possa liberarsi e concentrarsi sull'interiorità del meditatore. … ascoltare tra i pruni e gli sterpi / schiocchi di merli, frusci di serpi… Lo so, può apparire difficile, può spaventare un neofita l'idea di rimanere fermo, immobile, sordo ai lamenti del corpo, magari proprio accanto a un muro simile a quello montaliano (scene a noi non così difficili da immaginare)... se le parole di una yogini di lungo corso, come mi soprannomina il mio insegnante, possono non convincere, lasciatevi guidare da un libro. Daniel Goleman, “La Forza della Meditazione”. Trovo il sottotitolo illuminante. Che cos'è? Perché può renderci migliori? Sul che cos'è tornerò brevemente tra poco, lasciando però la scena al libro; sul perché ci rende migliori posso provare a spendere un paio di parole. Meditare fa bene. La vita caotica e frenetica che vedo scorrere sotto le finestre del mio ufficio (Milano zona San Babila) non ha nulla da insegnare a quella che mi passa sotto le finestre di casa (Mortara). Ormai la campagna come la città è vittima, inconsapevole o no, di un ritmo di vita esagerato. Dove vogliamo correre? Dove speriamo di arrivare con tutta quella frenesia? Diceva il Mahatma Gandhi... "oggi ho talmente tante cose da fare che invece di meditare un'ora ne dovrò meditare due." Una frase semplice, ma esplicativa. Nella sua grandezza quasi spaventa. Se non prendi il tempo per pensare a quello che fai, per concentrarti sui gesti che compi, per meditare prima di agire farai le cose male e ti toccherà ricominciare da capo. Era mahatma mica per niente... Lo so, già li sento. In molti obietteranno che nessuno ha due ore da buttare. Se guadagnarci in salute vuol dire buttare via del tempo, allora smettete di leggere, passate all'articolo successivo o abbandonate la rivista per intero. Se, invece, pensate che potrebbe esserci qualcosa di vero, allora arrivate alla fine di questa mia recensione, poi uscite, fate due passi (consapevoli) e raggiungere la libreria (meglio) o la biblioteca (se proprio non potete fare diversamente) più vicina e procuratevi il libro di Goleman. Ne trarrete dei benefici.Il

testo si articola in quattro parti, delle quali le due pari mi hanno dato molto. Nella lunga e articolata seconda porzione, Cammini di meditazione : una rassegna, l'autore, psicologo, giornalista e scrittore statunitense noto per il testo Intelligenza Emotiva, tratteggia un dettagliato quadro su cosa sia la meditazione a seconda del punto di vista in cui la si considera. Dalla meditazione legata a una fede religiosa, quindi la cabala ebraica, l’esicasmo cristiano, il sufismo musulmano a una meditazione più marcatamente orientale. Quella, cioè, che si può ritrovare negli Yoga Sutra di Patanjiali, quella alla base del tantra indiano o dello yoga kundalini, la bhakti induista e il buddhismo tibetano, lo zen, la consapevolezza senza scelta di Krishnamurti, la quarta via di Gurdjieff. Meditare, però, non si limita a questo. Non è (solo) indottrinarsi o imporsi rigidi stili di comportamento. Meditare è anche vivere in maniera consapevole ogni momento della giornata. La quarta parte del testo, al riguardo, nelle sue pagine conclusive è a sua volta formativa. Dice Goleman “Per il lettore che volesse provare a meditare, ecco alcune semplici regole pratiche. Si possono provare tutte, ma se avete intenzione di continuare a meditare, la cosa migliore è fermarsi su quella che trovate più adatta a voi. La meditazione sul respiro è quella forse più immediata, che richiede solo la volontà di rimanere seduti fermi per almeno un quarto d'ora concentrati sull'aria che entra e che esce dai polmoni. Qualcuno mi ha detto che non ha tempo (o voglia) per meditare su cose così irrilevanti. Irrilevante? Il proprio respiro? Se non fosse per lui... Comunque, yoga è accettare i pareri altrui, soprattutto quando discordano dai nostri... E allora, se sedere e prestare attenzione al respiro vi pare poco, meditate mentre mangiate, fissando la mente al boccone, al gusto che lascia in bocca, ai gesti che compite mentre masticate, al modo di respirare (e lì ritorniamo). Oppure, meditate camminando, osservando il peso che si sposta da un piede all’altro, meglio se lasciati passeggiare nudi in mezzo a un prato, i muscoli delle gambe che si muovono, prima con lentezza e misura, poi con più scioltezza e verve, per ritornare alla calma iniziale e … per meditare su cosa c’è di diverso”. Su avanti… lasciate da parte Letteraria, ovunque voi siate. A casa, sul lavoro, in treno per andare in ufficio, in coda allo stop, alla fermata della metro, alla posta. Chiudete gli occhi e … coraggio. Meditate, gente. Meditate.

*Liberamente tratto dall'incipit di “Yoga per negati”

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PAROLE E CARNE... RUBRICA DI EROTISMO E POESIA A CURA DI GRETA LEDER

“All’alba dei nidi infranti” di Roberto Franco. Si tratta della seconda fatica di Roberto Franco. Questo scrittore milanese ha esordito nel 2001 con il romanzo “Urbane morti” (Ed. Effedute), ristampato successivamente nel 2009 con il titolo “La Morte Urbana”: storia dalle tinte macabre, focalizzato sulla decadenza della sua città natale, Milano. Collaboratore a lungo con il mensile “Il Mucchio selvaggio”, si occupa di musica alternativa, saggistica politica – filosofica. Dalla sua attenta osservazione dei fatti politici e culture alternative e dalla sua eclettica mente nasce “All’alba dei nidi infranti” edito da Albatros. Una segretissima organizzazione di neonazisti programma una serie di attentati simultanei con lo scopo di accelerare la disintegrazione dell'Unione europea. In una città del Nord Italia, Cola, giovane razzista separatista, si mette al servizio di questo disegno accettando di infiltrarsi in diversi ambienti a scopo di provocazione. Riesce a manipolare un gruppo di metallari che gravita attorno a una band metal-industrial di estrema destra, portandoli a commettere una serie di delitti in modo da legarli a una sorta di patto occulto. Nonostante il fallimento finale di questa strategia, i fantasmi dei crimini perpetrati lo perseguiteranno anche quando si distaccherà dalla politica per immedesimarsi totalmente nella sua segreta natura omosessuale - vagando come un ossesso nei recessi del mondo gay cittadino, preda di sogni e ossessioni sadomasochistiche in fondo speculari alla sua ideologia superomistica e al suo culto della violenza. Una serie oscura di eventi lo condurrà però di nuovo al servizio dell'eversione. Sullo sfondo di un'Europa economicamente e politicamente agonizzante, le ombre del terrorismo nero risorgono sotto forme inattese e sorprendenti. E’ un romanzo a tratti sconcertante per la lucidità con cui affronta i temi politici. In realtà penso che l’intento dell’autore sia quello di condurre il lettore a porsi delle domande. Che ne sarebbe dell’Italia se effettivamente si compisse la disgregazione della Unione Europea, quali scenari catastrofici si prospetterebbero, chi riuscirebbe a prendere il potere? Questi interrogativi non trovano risposta nel romanzo, ma presentano attraverso la minuta esistenza di personaggi tutt’altro che destinati a lasciare tracce di sé nella storia, una ipotetica società in mano ad un Centro, delle cui vicende, tuttavia, il lettore viene informato poco. In cui il centro di potere o i potenti che tirano le fila di questa intricata rete sono invisibili ed inarrivabili, pronti però a prendere il potere alla prima occasione. Quello su cui si focalizza l’autore è Cola. Un ragazzo come tanti, totalmente plasmato nella sua ideologia, al limite del fanatismo, pronto ad immolarsi per la causa. In uno scenario lindo ed ordinato come può essere l’ambiente neonazista e per certi versi incolore, inizia a smuoversi fin

dall’inizio del romanzo qualche piccola scheggia di colore, quasi che all’improvviso avesse preso coscienza di sé. La scintilla per Cola è la sua omosessualità da vivere sino al limite. Un romanzo che mette in contrapposizione due universi paralleli che si escludono e tuttavia si sognano e si temono l’un con l’altro. Diventano così due binari della storia su cui corrono due mondi, il primo alternativo al secondo e viceversa. Un racconto a volte allucinato dell’inferno che si agita nella mente di Cola. Lacerato tra la necessità e l’ideologia della sua causa e la bramosia di autodistruggersi, di arrivare sino alle più abiette azioni contro se stesso e gli altri. Una devastante spasmodica caduta verso il basso. Scavando nelle proprie ferite con l’acume della paranoia. E’ il viaggio in una mente allucinata e paranoica, ma paradossalmente più lucida che mai. È un romanzo totalmente incentrato su un universo alternativo scaturito da eventi che prendono una direzione che il lettore mai si immaginerebbe. A tratti geniale e sconvolgente per la crudezza. Politica, carne, sesso, morte, mente: questi sono gli ingredienti principali, il tutto condito con paranoie, divagazioni, una luce cercata ma continuamente sporcata dal fango. Un cinismo surreale ed unico, un libro che è quasi un diario di esperienze vissute prima che nel corpo, nella mente o più verosimilmente negli incubi, nei dormiveglia, nell’assenza di luce, nel buio di un tunnel senza fine in cui si intrecciano vicende di esseri umani che appaiono incredibilmente piccoli se rapportati alla grandezza della realtà in cui si muovono. Non è una lettura leggera da consigliare a chiunque; il filone “fanta-politico” o filone distopico, in generale, è un genere per appassionati e merita di essere affrontato con la giusta concentrazione.

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ESTEMPORANEA A CURA DI FRANCESCA PROTTI

Questa (nuova) rubrica vuole rendere omaggio a mio padre e a un suo pessimo vizio. Quello di regalarmi bei libri. E con belli non intendo solo storie avvincenti, da cui fatichi a staccarti, ma anche grossi, lunghi qualche centinaia di pagine… insomma dei bei mattoncini di carta! Saranno i suoi studi in architettura? Sarà una paterna idea di mandare la primogenita in giro per l’Italia, e il mondo, armata di un oggetto se non letale, almeno abbastanza contundente da difenderla? Non lo so, così come ignoro totalmente dove li scovi. Io so solo che tra recensioni su carta, giornali e riveste, in televisione o in radio, è informato tanto quanto un addetto ai lavori. Risultato? Finisce sempre con il mettermi tra le mani le belle opere (prime o no) di autori sconosciuti. E io, per questo, lo odio! Non scandalizzatevi. Lo fareste anche voi, se quei mattoni ve li doveste portare su e giù dai treni, su e giù dalle metropolitane, su e giù dalle scale che dalla strada conducono all’ufficio… perché… perché raccontano belle storie di cui vuoi sapere l’esito. Quindi avanti, “schiscetta” in una mano e il mattone nell’altra…, per citare i Negrita. PS: quando anche voi comprerete questi bei libri, e ve li porterete in giro, … prendetevela con lui, non con me, se i muscoli doleranno.

Qualche tempo fa mi aggiravo per le librerie di casa in cerca di qualcosa da leggere. L’animo e la mente impigriti da una primavera acquosa oltre che incredibilmente lunga, non avevano voglia di dedicarsi a un testo in funzione delle mie rubriche, desideravano, e io con loro, qualcosa di diverso, nuovo, insospettato. Prendevo un

volume, ne leggevo qualche decina di pagine, poi lo riponevo. Incontri di una notte, che l’indomani erano già dimenticati. Poi, spulciando sul ripiano in cui impilo i grossi regali paterni, mi ritrovai tra le mani il dono per il mio ultimo onomastico. Fuggevolmente ne lessi la seconda e la terza di copertina, per dare un ultimo, veloce, sguardo ai giudizi di critica riportati in quarta. Mal che vada, mi dissi, domani mattina lo ripongo dove l’ho preso. E mi rimetto in caccia. Non è stato necessario intraprendere alcuna nuova recherche. “Il Circo della Notte”, opera prima della trentatreenne americana Erin Morgenstern, si è rivelato il testo di cui avevo bisogno in quel momento, una perla rara scoperta al momento giusto. Ecco, questa è una buona definizione per un romanzo che è di tutto, senza essere nulla di ciò che si potrebbe dire. Non è un banale libro romance, non è un semplice fantasy, non è un romanzo che può attirare chi ricerca azione o banalità. È una lettura che non si dimentica, che ti entra dentro. È il più onirico dei viaggi che qualcuno possa decidere, scientemente, di intraprendere. Le Cirque des Rêves, il circo dei sogni e il suo bislacco orario d’apertura, rigorosamente dal tramonto all’alba, annovera anche me nell’esercito di appassionati che lo segue. Le storie dei protagonisti non sono nel giusto ordine, ma ogni capitolo è dedicato a uno di loro ed è ambientato in una città e in un anno diverso dall’altro, importanti per la storia del personaggio, non per la storia nella sua interezza, anticipano avvenimenti che si possono capire solo arrivando alla fine. È un puzzle, altro passatempo tanto amato da mio padre… abbiamo trascorso buona parte della nostra infanzia, mia sorella ed io, in compagnia dell’autore dei nostri giorni a dividere tasselli simili e a costruire una, due, tre… infinite volte la stessa scena. Una semplice trama non basta a render l’intreccio di fili su cui poggia la storia. Per capire, si può solo leggere, immergersi in queste pagine pregne di descrizioni stupende e dettagliate al punto giusto, che mai risultano noiose. È stata una sorpresa anche perché, personalmente, non amo la letteratura statunitense.

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In realtà non mi attirano gli States in generale, per cui orecchie. È un sottofondo che ti accompagna, che ti fa l’imbattermi con Hector Bowen, insieme a sua figlia Celia, e fremere come le strade all’udire la notizia: uno strano circo è con Alexander, accompagnato dal suo pupillo Marco è stato un piacevolissimo scontro. E scontro è la parola giusta. Le Cirque des Rêves è il campo di battaglia tra Celia e Marco, entrambi figli (naturali o putativi) di due grandi maghi, Alexander ed Hector, che costringono i loro campioni a sfidarsi in una tenzone il cui scopo ultimo è quello di dimostrare, incontrovertibilmente, la superiorità dell’altro. E il vincitore sarà decretato nel più atroce dei modi. Sotto i tendoni del circo si mette in scena uno spettacolo senza precedenti, oltre alle vite dei personaggi più disparati, ma ognuno essenziale per la storia. Persino le figure secondarie sono ammantate di un fascino suggestivo e conquistatore. Ma Le Cirque des Rêves è anche, e soprattutto, il luogo di un carnale e bruciante desiderio di Celia per Marco e di lui per lei, una forza d’attrazione tale per cui, ad un certo punto, i due si Daniel Radcliff nei panni del mago più famoso della letteratura, Harry troveranno non solo a combattere tra loro, ma Potter,. La scrittrice Erin Morgenstern si ispira, tra gli altri, ai romanzi anche a combattere ciò in cui sono immersi, di J.K. Rowling mettendo a rischio il precario equilibrio energetico su cui poggia il circo stesso. Vincere non è così facile, nemmeno così scontato. L’atmosfera ovattata con la scelta del apparso durante la notte… quasi i tendoni si fossero presente, nonostante i titoli dei capitoli di dicano che tutto ha materializzati dal nulla. Come per magia. C’è chi ha definito luogo a cavallo tra ‘800 e ‘900, lascia il lettore frastornato, il romanzo un mix tra Harry Potter e la saga di Twilight. come quando Nonostante nel Cirque des Rêves si renda credibile Celia e Marco l’incredibile, il maghetto inglese e i vampiri americani non si incontrano e hanno nulla a che fare con “questa perla brillante le doti di una si nell’universo delle americanate che affollano il nostro f ro n t e g g i a n o mondo”. Qualcosa nel circo mette l’anima in subbuglio e lo con quelle brami con ardore quando non c’è. dell’altro. Vedrete che vi dispiacerà leggere l’ultima pagina… Non c’è alcuna indicazione del suo imminente arrivo, solo una l e g g e r a elettricità nell’aria… mentre leggi, hai come il r u m o r e inconfondibile della scarica elettrica nelle Erin Morgenstern Libreria Le mille e una pagina, C.so Garibaldi 7 27036 Mortara (PV) | 0384.298493 | www.lemilleeunapagina.com


Ospiti in libreria:

Indovina l’autore:

I nostri incontri riprenderanno a settembre. Intanto, ricordiamo la terza edizione della rassegna “LOMELLINA IN GIALLO” che quest’anno si svolgerà dal 13 al 15 settembre a Palazzo Strada a Ferrera Erbognone (PV). Noi saremo presenti come libreria sabato 14 settembre. (Potete vedere il programma della rassegna sul sito www.lomellinaingiallo.it). Tra gli scrittori presenti: Michele Giuttari, Gianni Biondino, Hans Tuzzi, Enrico Pandiani, Elda Lanza, Massimo Carlotto. Sabato 21 settembre alle ore 17,30, avremo ancora ospite Hans Tuzzi, che presenterà il libro di un amico scrittore molto promettente, Junio Rinaldi. Giovedì 26 settembre alle ore 21,00, un altro gradito ritorno: Gianluca Veltri, il “parrucchiere delle star” tornerà in libreria per presentare il suo ultimo romanzo. Sabato 5 ottobre alle ore 17,30 presentiamo l’amico Umberto De Agostino, con il suo romanzo giallo pubblicato da Frilli Editore “Il brigante e la mondina”, ambientato nella Lomellina di fine Ottocento e che vede narrate le gesta del bandito Biondin.

Chi vuole partecipare, può inviare una mail oppure passare in libreria e lasciare la risposta. Il primo lettore che ci invierà o porterà la risposta giusta vincerà un buono da spendere nella nostra libreria.

Soluzione del numero precedente:

Il romanzo del numero precedente da indovinare è “Una storia tra due città” di Charles Dickens (pag. 81 dell’edizione Mondadori)

LETTERARIA DA: L IB R E R IA L E M IL L E E U N A PA G IN A C .s o G ar ib al di 7 2 7 0 3 6 M or ta ra (P V ) 0 3 8 4 .2 9 8 493 in fo @ le m il le eu na pa gi na .c om

Maggio - Agosto 2013

A CURA DI:

Laura Fedigatti Alberta Maffi Greta Leder Francesca Protti Riccardo Sedini Antonio Segrini

Anno 3 - Numero 15/16


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