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LETTERARIA
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Gennaio - Febbraio 2014
Anno 4 - Numero 19
Cari amici ecco la nostra newsletter. Non solo novità e bestseller, ma proposte di libri che, secondo noi, sono meritevoli di essere letti. Nella speranza di aiutarvi nelle vostre scelte e di darvi idee sempre nuove di cultura.
UN BUON 2014 CON LE MIGLIORI LETTURE NUOVE USCITE MA ANCHE PROPOSTE UN PO’ “DATATE”, PERCHÉ I BEI LIBRI NON INVECCHIANO MAI IL NUOVO ROMANZO DI BANANA YOSHIMOTO
Da quando ha esordito, nell’ormai lontano 1988, è una delle scrittrici più amate dal pubblico italiano: Banana Yoshimoto, con il suo ultimo libro “A proposito di lei”, rivela una nuova maturità, ma conservando sempre lo sguardo fresco di un’adolescente.
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A sinistra, lo scrittore canadese Mordechiai Richler (pag. 10). A destra, la copertina del libro “Yoga School Dropout” (pag. 13)
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UNA GRANDE ICONA DELLO STILE
Il 2013 appena terminato è stato un altro anno di importanti anniversari. Noi ne ricordiamo uno: i 130 anni della nascita di Coco Chanel, la donna che ha inventato uno stile di moda e di vita. Continua a pagina 4
GLI SPAZI DEL CANADA NEL NUOVO ROMANZO DI FORD
Il romanziere premio Pulitzer Richard Ford ci regala un intenso romanzo, “Canada”, profondo e appassionante come le grandi distese nordamericane che fanno da sfondo alla storia.
A sinistra, “Luminal” il visionario romanzo di Isabella Santacrice (pag.14). A destra, la copertina del romanzo “La maga delle spezie” (pag. 15)
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UN GRANDE SUCCESSO DALLA SVIZZERA
Si intitola “Il talento del cuoco”, pubblicato da Sellerio, il romanzo, diventato bestseller internazionale, di uno scrittore svizzero che ha ormai conquistato i lettori italiani: Martin Suter.
INDOVINA L’AUTORE E IL LIBRO Il brano qui a fianco è tratto dal diario di uno scrittore/scrittrice Continua a pagina 8 molto noto, soprattutto in questi RITORNA IL COMMISSARIO SONERI ultimi anni. Le note del diario sono Il famoso commissario nato dalla penna di Valerio state scritte durante la stesura di un Varesi torna in libreria con la sua prima indagine, suo famoso romanzo. Chi è l’autore/ pubblicata nuovamente da Frassinelli Continua a pagina 12 autrice e qual è il romanzo?
“Caldo pazzesco. Il giardino sfoggia tutti i colori di giugno azzurro, verde chiaro e rosa. Ho perso la mia stilografica. E ho ben altre preoccupazioni, come la minaccia del campo di concentramento.”
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A PROPOSITO DI BANANA YOSHIMOTO: NUOVO ROMANZO, NUOVA MATURITÀ ARTISTICA Quando si parla di letteratura giapponese, il primo nome che viene in mente è, per lo più, quello di Murakami Haruki, seguito da altri grandi nomi di come Kenzaburō Ōe o Kawabata, due premi Nobel. Eppure, sebbene i critici non la considerino tra i “grandi” della letteratura nipponica, il suo seguito di lettori è ben nutrito e appassionato, fin dal 1988, quando fu pubblicato il suo primo libro, “Kitchen”, un romanzo sui temi della famiglia, sulla sua perdita e sulla difficoltà di crearsene una, anche non in senso strettamente tradizionale. Il romanzo ha un grandissimo successo, sia in patri che all’estero e lei, la scrittrice, è Banana Yoshimoto, un nome che tutti ormai conoscono. Nata nel 1964 a Tokyo, figlia di Takaaki Yoshimoto, famoso filosofo e critico letterario degli anni ’60 e sorella di Haruno Yoiko, conosciuta disegnatrice di fumetti giapponesi, Banana cambia il suo vero nome (Mahoko) all’epoca dell’università, dove studia letteratura. La scelta è dovuta al fatto che la scrittrice ha una vera e propria passione per i fiori rossi della pianta di banano. Dal suo esordio, che, come abbiamo detto, le porterà subito fama (dal libro, che vince numerosi premi, saranno anche tratti due film), i romanzi di Banana Yoshimoto sono un successo dopo l’altro, anche grazie al suo stile, fresco e
giovane, che ricorda molto i manga giapponesi, ai quali si ispira. L’amore, la famiglia, la vita e la morte, l’amicizia sono tutti temi molto cari all’autrice, che non disdegna anche di trattare argomenti più scabrosi, come l’omosessualità, l’incesto, l’omicidio, il suicidio, le famiglie allargate, ma sempre con una leggerezza e uno stile narrativo semplice e naturale che la contraddistinguono da sempre e la rendono uno degli scrittori giapponesi più amati. In Italia, le sue opere pubblicate da Feltrinelli sono, oltre al già citato “Kitchen”: “N.P.” (1992); “Sonno profondo” (1994); Tsugumi” (1994); “Lucertola” (1995); “Amrita” (1997); “Sly” (1998); “L’ultima amante di Hachik ō ” (1999); “Honeymoon” (2000); “H/H” (2001); “La piccola ombra” (2002); “Presagio triste” (2003); “Arcobaleno” (2003); “L’abito di piume” (2005); “Ricordi di un vicolo cieco” (2006); “Il coperchio del mare” (2007); “Chie-Chan e io” (2008); “Delfini” (2010); “Un viaggio chiamato vita” (2010); “High&Dry. Primo amore” (2011); “Moshi moshi” (2012). Fino ad arrivare all’ultimo romanzo, una delle strenne del Natale 2013: “A proposito di lei”, tradotto magistralmente, come gli altri romanzi, da Giorgio Amitrano, l’esperto di letteratura giapponese che l’ha fatta conoscere al pubblico italiano più di venti anni fa. La voce narrante di questo nuovo romanzo è quella di Yumiko, giovane dalla vita travagliata per colpa di un terribile omicidio: la madre, ossessionata dallo spiritismo e mente fragile, uccide il marito quando Yumiko è accora una bambina. Da allora vive sola, fino a quando ricompare Shōichi, il cugino, figlio della zia di Yumicho, sorella gemella della madre. Yumiko e Shōichi sono cresciuti insieme, quando le madri erano molto vicine. Alla morte della madre, Shōichi va a cercare la cugina per eseguire le ultime volontà della defunta. I cugini, un tempo molto uniti, ritrovano subito quella confidenza e intimità così naturale e profonda per loro quando erano dei bambini, figli di gemelle. Inizia un percorso nel passato, che servirà a Yumiko per colmare i vuoti di cui soffre la sua memoria a causa del trauma patito da bambina.
Banana Yoshimotoe la copertina italiana di “Kitchen”, il romanzo che le ha dato fama internazionale Libreria Le mille e una pagina, C.so Garibaldi 7 27036 Mortara (PV) | 0384.298493 | www.lemilleeunapagina.com
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E, a mano a mano che i due cugini ripercorrono la vita delle loro madri e la loro, il passato sembra riaffiorare, fino a un’ultima rivelazione, imprevista e sconvolgente, che regala al lettore un finale davvero inatteso e spiazzante. Si ritrova tutto lo spirito di Banana, in q u e s t o romanzo breve ( c o m e b rev i sono tutti i romanzi della scrittrice giapponese), quello spirito che ha conquistato tanti lettori I temi che qui ritroviamo sono, ancora una volta, quelli della famiglia, della solitudine, dell’amore e dell’amicizia, che fanno da sfondo a una vicenda dolorosa e drammatica. Sempre, però, con uno stile avvincente e leggero senza essere banale, una freschezza narrativa che ci conquista e ci tiene legati alla pagina fino alla fine. La vicenda dolorosa e traumatica dell’omicidio viene resa più lieve quando la scrittrice si sofferma sul rapporto dei due cugini, sul loro tentativo di fare chiarezza, di riprendere il loro rapporto così drasticamente interrotto, di sperare in un futuro più sereno e meno solitario. “Io avevo vissuto facendo tutto da sola, ma in realtà avrei voluto essere aiutata anche negli anni della mia adolescenza. Avrei voluto essere accompagnata nei posti in cui andavo, avrei voluto qualcuno che mi aiutasse a pensare, che fosse costantemente al mio fianco. Tutte queste cose da un certo punto di vista erano un lusso, ma in fondo erano anche normali, e sicuramente erano quelle che avrei davvero desiderato. E le stavo ricevendo adesso.” Ogni romanzo di Banana Yoshimoto, per me, è una piacevole scoperta e “A proposito di lei” rivela una particolare capacità nell’intrecciare momenti difficili di esistenze dolorose con la dolcezza dei sentimenti che sembravano nascosti ma che non sono mai scomparsi. E c’è anche molta poesia, nella scrittura di Banana, un altro aspetto che rende accattivante e piacevole la lettura di ogni suo romanzo.
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“Al mattino una luce trasparente che entrava da una fessura della tenda mi colpì in pieno viso, e così mi svegliai presto, cosa per me rara. Si vedevano le montagne, negli spazi tra una casa e l’altra, c’era ancora molto verde. L’aria era talmente pulita che non sembrava di essere in Giappone. E tuttavia, a differenza della Toscana, annusando bene si sentiva un odore di alberi bagnati. Nonostante soffiasse un forte vento, gli alberi erano ancora impregnati di umidità, caratteristica della stagione. Con l’arrivo dell’inverno, si sarebbe sentito un odore più secco e pungente. Era molto tempo che non entravo in contatto con l’atmosfera di questa stagione in Giappone. Nella particolare e malinconica qualità della luce percepivo una pace profonda. Guardai a lungo fuori dalla finestra in modo da assaporarla appieno.” Due curiosità: Yumiko parla del suo boyfriend italiano, di aver imparato la nostra lingua, di essere vissuta in Italia, a Torino, in certi periodi, molto felici, della sua vita. La scrittrice giapponese, infatti, ama molto l’Italia e si ritrova questa sua passione per il nostro paese anche in altri romanzi, in particolare in “Chie-Chan e io”, pubblicato da Feltrinelli nel 2008: la protagonista Kaori si occupa d’importazione di abiti e accessori dall’Italia, dove è vissuta a lungo, tanto da parlare bene la nostra lingua. A questo proposito, la Yoshimoto ha detto: “L’ho scritto [il romanzo] mettendoci dentro tutte le emozioni che provo per il vostro paese.” Inoltre, Banana dedica il libro a Dario Argento, un regista da lei molto amato, il cui film “Trauma” è stato fonte d’ispirazione del romanzo. Altra dimostrazione del grande affetto che lega la scrittrice giapponese al nostro paese. Affetto che non è mai venuto meno anche da parte dei suoi lettori italiani.
Laura Fedigatti
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ESTEMPORANEA A CURA DI FRANCESCA PROTTI Questa volta, mio padre non c’entra. È un altro membro per un’artista dell’abbigliamento e nel corso degli anni a della famiglia che ha ispirato questa pagina. venire nemmeno la Prima Guerra Mondiale né minò il Il nonno di mia nonna faceva il sarto. Rammendava strappi, successo. Tale meritò si potrà poi attribuire alla Grande attaccava bottoni, rifiniva orli. Vedeva un vestino nel taglio di Depressione del ’29, la cui onda d’urto ebbe effetti devastanti stoffa che aveva davanti, come Michelangelo il suo Mosè in per molti. Superato, però, questo scoglio, di nuovo la storia un blocco di marmo. Un ramo della famiglia di mia nonna è di Mademoiselle Coco fu tutta in salita. Abiti, gioielli, rimasta nel settore, sarti e venditori di abiti fino ai giorni profumi…Chanel impresse un’impronta inconfondibile, nostri. Per il resto, i geni sartoriali sono passati dal mio avo a contraddistinta da un sapiente e ardito bricolage sartoriale, mia nonna, da questa a mia madre, che a sua volta li ha in cui elementi della moda maschile vengono assemblati a trasmessi a mia sorella. Io, ahimè, non ho ricevuto in dono quella femminile, in cui predomina l’amore per il bianco e il l'occhio critico, a volte un po' crudele, dell'antico sarto. Mi è nero e l’austerità apprese durante il soggiorno presso difficile dire se un indumento mi sta, o no, a pennello. Le l’orfanotrofio di Aubazine. mie strette congiunte di cui sopra, sì. A voi l'ardua sentenza La data di nascita di Chanel l’ho scoperta per puro caso, di chi viva meglio... sfogliando una rivista. Un altro personaggio da omaggiare Ciò nonostante, né mia madre né mia sorella sono delle nel 2013. Mi sono incuriosita… possibile che nessuno ci fashion victim, tutt'altro. Qualcuno disse che "Il buon gusto abbia pensato con un bel libro? Strano a dirsi, eppure così nel vestire è qualcosa di innato, come la sensibilità del pare. palato." Parole, queste, che ben descrivono il senso modaiolo Il volume più recente è del 2012. “Coco Chanel. Genio, di mia madre e di mia sorella. La frase cita qualcuno che di passione, solitudine” di Delay Claude (Ed. Lindau), che moda, vestiti e queste quisquiglie se ne intendeva giusto quel sceglie di iniziare il suo racconto dalla fine, dall’ultimo saluto tantino. Mi sto riferendo a Coco Chanel, classe 1883 che Coco le rivolse una domenica pomeriggio, sul marciapiede davanti all'hotel Ritz, dove abitava a Parigi. nonché coscritta di Fanz Kafka, già presente su queste Morì poche ore dopo, sola, nella sua stanza. Era il 10 pagine. gennaio 1971. In poco più di 365 pagine la scrittrice Non c'è che dire. L'estate del 1883 diede i natali a più di una racconta al mondo l'intimità nata dieci anni prima nella celebrità. Madmoiselle, al secolo Gabrielle Bonheur Chanel, boutique Chanel di rue Cambon, tra la grande signora della nacque il 19 agosto di quell'anno a Saumur. Concepita al di moda e una giovane cliente: una affinità divenuta nel tempo fuori del matrimonio, visse in ristrettezze l’intera infanzia, un'amicizia vera, quotidiana, senza segreti, cui Chanel si arrivando persino a dover essere ospitata in un orfanotrofio. affidò con crescente fiducia raccontando di sé, delle ferite Le difficoltà economiche accompagnarono Coco fino al dell'infanzia, dei suoi abiti, dei successi e delle sconfitte. E, compimento della maggiore età, nel 1901, quando venne naturalmente, degli uomini della sua vita, il padre, gli assunta come commessa presso la bottega Maison amanti, gli amici celebri. Grampayre. L’anno della svolta fu il 1904, quando madmoiselle conobbe il suo primo amante, Etienne de Balsan, nonché suo primo sostenitore. La loro storia durò sei anni, durante i quali Chanel iniziò a muovere i primi passi nel mondo della moda creando cappellini. La cerchia di conoscenze e amicizie di de Balsan divenne la prima clientela di Coco. Il negozio di cappellini, aperto nel 1910 grazie all’aiuto del suo secondo amante, Boy Capel, due anni dopo iniziò a vendere anche capi d’abbigliamento. Coco non era una sarta, ma una creatrice di moda “Per prima cosa io non disegno” ripeteva “non ho mai disegnato un vestito. Adopero la mia matita solo per tingermi gli occhi e scrivere lettere. Scolpisco il modello, più che disegnarlo. Prendo la stoffa e taglio. Poi la appiccico con gli spilli su un manichino e, se va, qualcuno la cuce. Se non va la scucio e poi la ritaglio. Se non va ancora la butto via e ricomincio da capo… In tutta sincerità non so nemmeno cucire… (!sic). Quel Un modello che è entrato nel mito della moda: il tailleur Chanel. A destra, negozietto da modista fu il trampolino di lancio una famosa immagine di Mademoiselle Coco Libreria Le mille e una pagina, C.so Garibaldi 7 27036 Mortara (PV) | 0384.298493 | www.lemilleeunapagina.com
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Dell’anno prim’ancora, il volume edito da Sperling & Kupfer e a firma di Vaughan Hal, “A letto con il nemico. La guerra segreta di Coco Chanel”. Frutto di un lavoro di ricerca in archivi americani ed europei inaccessibili al pubblico, squarcia il velo sugli anni dal 1941 al 1954, e sul segreto inconfessabile di Mademoiselle Chanel. Emerge una verità sulla chiacchierata collaborazione di Coco con i più alti ufficiali di Hitler nella Parigi occupata e sulla sua decennale relazione con il barone Hans Günther von Dincklage, descritto nelle tante biografie come un innocuo playboy amante del tennis anziché come un pericoloso agente al servizio del Reich, che riportava direttamente a Goebbels. E svela con quali sotterfugi riuscì a sfuggire all'arresto nel dopoguerra e come, ormai settantenne, riuscì a tornare trionfante a Parigi e a ricostruire la mitica Casa Chanel. Due furono le pubblicazioni del 2010. La prima, una biografia a firma di Fiemeyer Isabelle, “Coco Chanel. Un profumo di mistero” edito da LIT, dà vita a un racconto ammaliante, rivelando dietro l'immagine pubblica la verità e il mistero di una donna tormentata "fino all'ultimo respiro". Karbo Karen, invece, nel suo “Il mondo di Coco Chanel. Lezioni di vita e di stile dalla donna più elegante di sempre” (ed. Lindau) sceglie di svelare cosa si nasconde dietro a concetti quali “stile, indipendenza, praticità e classicità senza tempo”. Ovvero una donna e la sua vita, le sue vicende e le sue scelte indissolubilmente intrecciate agli avvenimenti più importanti e ai cambiamenti epocali che hanno segnato il XX secolo. In uno stile gradevole e leggero Karbo delinea i tratti salienti della storia di Chanel, ci fa conoscere il lato più nascosto e personale di una grande icona della moda e della società francese. I suoi giudizi impietosi, le battute fulminanti, gli indimenticabili aforismi costituiscono spesso il punto di partenza di un percorso tra luoghi, fatti e persone che ci porta a comprendere sempre meglio la complessa personalità di Coco. Ultimi tre volumi, datati 2009, vedono il nostro connazionale Alfonso Signorini tra gli autori. Nel suo “Chanel. Una vita da favola” (ed. Mondadori), Signorini ci mostra come quella Coco Chanel che il mondo eleggerà regina del gusto, musa della bellezza, consacrata da successi assoluti, sia stata la protagonista di un'epopea drammatica e di lotta contro le brutalità di un intero secolo. Edito da Achinto, il saggio di Elisabeth Weissman, “Coco Chanel”, parte dall'immagine del tailleur rosa di Jackie Kennedy macchiato di sangue per poi domandarsi in che modo un'orfanella abbandonata dal padre tra le mura di un convento è diventata la celebre Coco Chanel, alla testa "del più grande impero mai costruito da una donna"? È stata la leggendaria Mademoiselle, creatrice del tubino nero, del profumo N° 5, dei gioielli fantasia, del tailleur con i bottoni d'oro, della borsa matelassé e di tanti altri classici. È stata la mecenate discreta di Cocteau, Radiguet, Stravinsky, Reverdy...
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Ha avuto amanti ricchi e celebri, duchi e artisti, ma anche uomini dalle dubbie frequentazioni. Ha avuto il successo, il denaro, ma non è mai stata una donna veramente felice... In ultimo vi menziono “L' irregolare. Coco prima di Chanel” di Charles-Roux Edmonde, che tratteggia una Madmoiselle più umana, meno iconica, il cui avveniristico taglio di capelli era il risultato di un indicente domestico. Bruciatane una parte su di un fornello, si vide costretta a tagliarli del tutto. Lanciando una moda. La stilista a cui dobbiamo il marchio della doppia C, che impreziosisce cappelli, tailleur, profumi, era una donna astuta e determinata, il cui nome è legato a un immaginario fatto di corpi eleganti e sottili, passerelle e salotti. Eppure c'è stato un tempo in cui Coco Chanel si chiamava solo Gabrielle e imparava a cucire nel collegio di Notre-Dame a Moulins, creando originali copricapo per se stessa e poi per le sue amiche; una Gabrielle che si innamorava, che sognava, Chanel prima del successo, Coco prima di Chanel. Il mio aforisma preferito declama che “la natura ti da la faccia che hai a vent'anni; è compito tuo meritarti quella che avrai a cinquant'anni”. Chissà, questo donnino che sovvertì la moda del ‘900, apprezzerebbe i miei consigli di bellezza a lungo termini… peccato che la sua sfolgorante vicenda abbia tratti troppo cupi per poter essere riassunta in una rubrica per il buon umore. Poco male, “Estemporanea” è nata proprio per aiutarmi in questi frangenti.
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IL BATTITORE LIBERO* LETTURE CON LICENZA DI AVANZARE A CURA DI ANTONIO SEGRINI
A me sembra meraviglioso che Richard Ford conservi le sue idee nel freezer: in un’intervista ha raccontato che è cresciuto in un tempo in cui gli incendi erano frequenti e così, perché i suoi appunti siano sempre al sicuro, mette le note, frutto dell’ispirazione del momento e scritte di getto, nel congelatore dove restano per periodi di tempo indeterminati. “Canada”, l’ultima fatica dello scrittore americano che nel 1995 con “Il giorno dell’Indipendenza” ha vinto il Pen Faulkner Award e il Pulitzer, è rimasto in ghiacciaia per almeno un ventennio. L’incipit è memorabile, folgorante, spiazzante: “Prima di tutto parlerò della rapina, commessa dai nostri genitori. Poi degli omicidi, che avvennero più tardi.” Il narratore è Dell Parsons, ora professore in pensione, che racconta gli avvenimenti che hanno sconvolto la vita della sua famiglia, il padre Bev, la madre Neeva e la sua gemella Berner. Bev è un ex militare dell’aviazione che durante la Seconda Guerra Mondiale ha bombardato il Giappone; è stato prepensionato per una storia di piccoli illeciti ed ora passa, senza apprezzabili successi, dal settore immobiliare a quello della vendita delle automobili. Per arrotondare mette in piedi, in accordo con alcuni indiani, un traffico di carni rubate da rivendere alle ferrovie ma le cose non vanno per il verso giusto ed in breve accumula un debito di duemila dollari. Questa situazione lo spinge a prendere in considerazione l’idea di rapinare una banca. “Oppure era arrivato alla conclusione di essere un fallito, di avere rovinato tutto, e ardeva dalla voglia di fare qualcosa di notevole (qualcosa di più che vendere ranch o automobili o rubare vacche), qualcosa che ci avrebbe sistemato finanziariamente, lui e noi, o che ci avrebbe fatto saltare in aria, con la conseguenza che nulla sarebbe stato mai più come prima. Ma è chiaro che lui voleva qualcosa in più dei duemila dollari di cui aveva bisogno per pagare gli indiani, perché quelli avrebbe potuto
trovarli anche senza rapinare una banca. Il qualcosa in più qualunque fosse - fu la molla che lo spinse a fare la rapina.” La moglie, Neeva, è un’insegnante di origine ebraica, con un carattere spesso scontroso al punto da aver sempre negato a Dell e Berner la possibilità di integrarsi e farsi nuovi amici nelle varie località nelle quali sono costretti a spostarsi per seguire la carriera militare del padre. Neeva però non ha la forza di opporsi allo sconsiderato progetto del marito, finisce con l’accettarlo ed assecondarlo come se, una volta rapinata la banca e tornati a casa, le cose potessero riprendere il loro normale corso. Ford (per voce di Dell), è prodigo di dettagli, pensieri e osservazioni riguardo alla preparazione del giorno fatale, come se volesse attutire l’impatto di un evento eccezionale e dargli un connotato il più vicino possibile alla normalità, suggerendoci l’idea che ogni cosa, anche la più assurda, ha un senso e va accettata per come si presenta. Inutile dire che il piano criminoso, per quanto portato a termine, presenta una serie di lacune come è normale ch e s i a p e r d e i r a p i n at o r i improvvisati e i due vengono ben presto identificati e arrestati. A questo punto i due gemelli quindicenni, dal carattere molto diverso tra loro, restano completamente soli ed abbandonati a loro stessi. “Avrei voluto abbracciarla. Sembrava la cosa più naturale da fare se volevo avere il controllo di tutto. Il telefono nel corridoio cominciò a suonare: squilli sonori, striduli, infelici, che distrussero il silenzio della casa. E così il momento passò: Berner e io quasi abbracciati, il telefono che squilla, e nessun altro che bada a noi.” Nei giorni precedenti all’arresto, “trascorsi nell’attesa che qualcosa succedesse, perché era chiaro che qualcosa sarebbe successo”, Neeva ha però avuto la lucidità necessaria per organizzare la fuga dei figli verso il Canada, per evitare che finiscano all’orfanotrofio.
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LETTERARIA! La sua amica Mildred Remlinger si è infatti offerta di accompagnarli in auto da suo fratello Arthur che vive oltre il confine, però Berner scappa prima della partenza ed è il solo Dell ad affrontare questo viaggio. Ritroveremo la gemella solo verso la fine del romanzo, ormai prossima alla morte, divorata dalla malattia ma più che altro sconfitta dalla vita. Arthur Remlinger è un personaggio riuscitissimo, brillante eppure scostante, oscuro ma attraente, senz’altro pericoloso. E’ fuggito anch’egli in Canada tempo addietro per sottrarsi ad un omicidio commesso in maniera involontaria ma alquanto stupida ed il passato continua a braccarlo. “Il suo principale attributo era che incorporava un'assenza, un'assenza di cui era consapevole e che aveva un assoluto bisogno di colmare. Quello che voleva era la prova - rappresentata da me o ottenuta grazie a me - che era riuscito a colmare questa assenza. Voleva la conferma che c'era riuscito, e
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esistenziale; Ford sembra volerci indicare il parallelo con il confine tra il bene ed il male che è spesso labile, inconsistente, per cui basta un nulla per attraversarlo. Gli omicidi di cui all’incipit sono quelli dei due agenti federali provenienti da Detroit e, dopo lunghissimo tempo, finalmente approdati sulle tracce di Arthur Remlinger: verranno uccisi quasi con naturalezza, come se fosse un fatto inevitabile, una fine alla quale anche loro non hanno potuto sottrarsi pur essendone consapevoli. Dell assisterà indirettamente a questo evento drammatico e verrà poi coinvolto nella rimozione e nella sepoltura dei corpi, eppure riuscirà a non farsi travolgere, a far emergere, proteggere e a custodire il buono (quel poco che è rimasto) delle tristi vicende che l’hanno visto, suo malgrado, protagonista. Colonna sonora: Moby (with Wayne Coyne) – The perfect life (dall’album Innocents, 2013) http://allsongs.tv/pop/video/moby-the-perfect-lifetesto-traduzione/
I grandi spazi americani visti da Great Falls, nel Montana, uno dei luoghi del romanzo di Ford che non meritava di essere ulteriormente punito per i gravi errori commessi. Quando mi ignorava, in quelle settimane che passai a Partreau, cercando di non credere che sarei stato sempre solo, era perchè non aveva la certezza di poter contare su di me per ottenere ciò che voleva: non finchè non mi fossi adattato alle mie disgraziate circostanze e non avessi dimenticato le mie tragedie quel tanto che bastava per prendere in considerazione le sue. Aveva bisogno che fossi per lui un "figlio speciale": anche se solo per un momento, perchè conosceva la tegola che stava per cadergli sulla testa. Aveva bisogno che io facessi ciò che i figli fanno per i padri: testimoniare che sono essenziali, che non sono vuoti, che non sono assenze risonanti. Che contano qualcosa quando tutto il resto sembra contare poco.” Arthur è proprietario di un hotel che è anche casa di appuntamenti e bisca clandestina, Dell viene assunto al suo servizio sotto la sorveglianza di Charley, singolare uomo di fiducia di Arthur, un uomo rozzo dalle striscianti tendenze omosessuali ed al corrente del passato torbido del suo principale. A Dell il Canada sembra stranamente molto simile al posto da cui proviene, eppure è consapevole di avere oltrepassato la frontiera, non solo fisica tra due territori ma anche quella che l’ha catapultato in pieno dramma
Lo scrittore Richard Ford
*Fino agli anni '80 veniva definito "battitore libero" quel calciatore che, sgravato da compiti di marcatura fissa degli avversari, era appunto "libero" di giostrare a suo piacimento alle spalle dei difensori suoi compagni di squadra o di avanzare a sostegno degli altri reparti.
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SOTTO IL TIGLIO* PICCOLA RUBRICA DI CULTURA TEDESCA A CURA DI FRANCESCA PROTTI
Personalmente, limitavo la letteratura svizzera ad autori del calibro di Max Frisch, di cui mai nulla ho recensito, e di Friedrich Dürrenmatt, di cui, invece, già vi ho a lungo parlato. Era l’aprile del 2011, “Letteraria” era agli albori, con una redazione tanto smilza quanto convinta. Da allora sono passati quasi tre anni, i curatori sono aumentati e insieme a loro le rubriche, ma questa che ho pensato e voluto sinceramente sin dall’inizio non è mai mancata. Spero vi abbia aperto le porte su di un mondo letterario, quale è quello di lingua tedesca, troppo poco conosciuto, spero abbiate avuto voglia di leggere qualcuno dei testi che ho recensito, spero che abbiate voglia di continuare a leggermi e leggere di questi autori nuovi, ignoti, spesso sorprendenti. E di una sorpresa voglio parlarvi (anche) in questo primo numero del 2014. Sorpresa in ogni senso. “Il talento del cuoco” di Martin Suter è stato un regalo di Natale. L’ho letto in un soffio, scoprendo un autore che scrive da sempre, saggista e reporter per la rivista “GEO”, prima, autore per il teatro, il cinema e la televisione, poi. Dal 1991, abbandonata del tutto l’attività di pubblicitario, è scrittore a tempo pieno di romanzi che non solo raccontano storie di finzione, ma aprono porte su realtà del nostro vasto mondo del tutto ignorate. Partiamo, quindi dall’ultimo e testé citato romanzo. Alzi la mano chi di voi conosce “le tigri Tamil”. O chi sappia, almeno, chi siano i Tamil. Le mie rimangono mestamente abbassate, muta ammissione della mia totale ignoranza in merito. Ebbene, “Il talento del cuoco” è stato una scoperta anche in questo. Le Tigri per la Liberazione della Patria Tamil sono un gruppo militare nazionalista Tamil, anima motrice di una violenta campagna secessionista conto il governo dello Sri Lanka dal 1970. A muovere le Tigri, il desiderio di creare uno Stato Sovrano Socialista Tamil nel Nord-Est dello Sri Lanka, noto, fino al 1972, come Ceylon. Ma veniamo al libro. Maravan, giovane Tamil, lavora come sguattero nella cucina di un rinomato ristorante di Zurigo a dispetto delle sue grandi, eccellenti qualità come cuoco e del suo olfatto sopraffino. Rifugiatosi in Svizzera sperando nell’asilo politico, racimola tutto quello che può per sostenere la famiglia rimasta in Sri Lanka, inerme vittima della guerra. Per natura, Maravan è un ragazzo amabile, che modestamente propone al primo chef di insegnargli come si fa il vero curry. Ovviamente il titolare del ristorante snobba in malo modo il ragazzo, offeso dal doppio senso di quell’offerta. Come osa, quel garzoncello, con che coraggio suppone che lui non sappia preparare il curry. Maravan, mortificato, riprende le sue umili incombenze. La scena, però, non è passata inosservata. Andrea, ragazza disinibita e un po’ sventata, cameriera nello stesso ristorante, chiede a
Maravan di mostrare a lei, come si fa il vero curry. È l’inizio di una torbida storia, che porta Andrea a scoprire in Maravan non solo il grande cuoco quale egli è, ma anche la possibilità, per entrambi, di dare una svolta, soprattutto economica, alle loro vite. La ragazza, nel corso di una cena indimenticabile maturerà l’idea di aprire un servizio di catering, il Love Food, che prepara a domicilio i love menu, raffinati manicaretti afrodisiaci capaci di stimolare il desiderio delle coppie annoiate. Il successo non manca, la voce si sparge per tutta la città e Zurigo finisce con il riscoprire i piaceri del corpo, della mente, del palato. Coppie abbienti e personalità della politica si alternano a uomini d’affari, i cui interessi hanno anche connotazioni ambigue e spiazzanti. Soprattutto per Maravan, radicato nei riti e nella religione della sua terra d’origine, che presto si trova di fronte ad amletici dilemmi cui dare risposta.
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Con sagacia ed ironia Suter riflette sull’aspra complessità di un ingranaggio sociale che rimescola il destino di persone lontane e diverse, portandole sul palcoscenico della vita a dispetto del loro non amare la ribalta, costringendole a fare i conti con quel passato che speravano di essersi lasciati alle spalle. Ma non è solo la storia contemporanea ad interessare Suter. Quando non racconta le disavventure di un raffinato investigatore privato, John Allmen, e del suo servitore guatemalteco, Carlos, costantemente alla ricerca del caso che farà fare loro il botto e li porterà la ricchezza necessaria per quello stile di vita dispendioso e raffinato che tanto amano, lo scrittore elvetico si interessa di argomenti quali il morbo di Alzheimer. Questa terribile forma di demenza degenerativa e invalidante, le cui ripercussioni sociali, organizzative, economiche ed emotive sono difficili da quantificare, è il tema su cui si basa “Come è piccolo il mondo”. Il titolo riprende la battuta di un vecchietto svanito, nelle cui mani si ritrova il destino della famiglia Koch, titolare di una impero invidiabile. Come ogni impero, anche questo fonda le proprie basi su segreti che è meglio tenere nascosti. Un male, però, come quello dell’Alzheimer che affligge il povero Konrad Lang, è un nemico insidioso e troppo pericoloso perché la famiglia Koch, e la sua matriarca su tutti, non possa essere disposta a qualsiasi cosa per correre ai ripari. Elvira Senn, vedova del fondatore, matrigna di Thomas, l’amico di infanzia e gioventù di Konrad, nonché nonna di Urs, l’erede, tiene nel pugno di ferro tutto il clan e Konrad con loro. Tra i due si sottintende un conto in sospeso che lei gli fa pagare a suon di gratuite umiliazioni. Suter, artefice di intrecci thriller ingegnosi e perfetti, prova per questa gente benestare, maniacalmente atterrita da qualsiasi minaccia possa incrinare la loro ricchezza, un’intelligenza impietosa e
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un corrosivo umorismo così come prova un sentimento fraterno per questi ammalati, troppo dimenticati dalla società.
* Unter den Linden (Sotto il Tiglio) è uno dei più bei viali di Berlino, che prende il proprio nome dall'incipit di un canto d'amore di Walter von der Vogelweide, poeta medievale (1170 ca. – 1230 ca.).
La copertina del romanzo “Com’è piccolo il mondo” e un’immagine dello scrittore svizzero Martin Suter
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ALLA FIERA DELL’EST* RUBRICA DI LETTERATURA EBRAICA A CURA DI LAURA FEDIGATTI
In questi ultimi mesi la letteratura canadese è sotto i riflettori per il meritatissimo Nobel vinto da Alice Munro, la grande scrittrice originaria dell’Ontario, la più nota fra gli scrittori del Canada, spesso messi in secondo piano dai loro più ingombranti vicini di casa statunitensi. Tra gli altri autori canadesi che si sono fatti strada in modo eccelso c’è Mordecai Richler. Nato nel 1941 da una modesta famiglia di ebrei ortodossi nel quartiere ebraico di Montréal (la famosa rue St. Urbain) Richler prese le distanze dalla religione fin da ragazzo dopo la separazione dei genitori, dichiarandosi laico. Dopo aver viaggiato molto in Europa, continente culturalmente vivace e stimolante, ed aver vissuto per diversi anni a Londra, Richler sentì il richiamo delle origini e tornò in Canada, dove iniziò a scrivere romanzi ambientati prevalentemente nel quartiere ebraico della sua infanzia di St. Urbain Street, con riferimenti fortemente autobiografici e l’immancabile ironia che caratterizza spesso la letteratura degli scrittori di origini ebraiche. Il romanzo che gli dà, finalmente, meritata fama è “L’apprendistato di Daddy Kravitz”, pubblicato nel 1959 (in Italia da Adelphi nel 2006), un romanzo di formazione in cui si racconta la crescita di un ragazzo ebreo dal dopoguerra al successo economico, raggiunto in età adulta ad un prezzo elevato e con ogni mezzo, fino a quando la vita non si presenta a chiedere il conto.
Già si delinearono i temi che saranno presenti in ogni romanzo di Richler: l’appartenenza alla comunità di St. Urbain Street, i difficili rapporti con la religione e la famiglia, il desiderio di elevarsi socialmente sfruttando ogni mezzo a propria disposizione, un umorismo “nero”, tanto che alcune delle sue opere furono definite vere e proprie “black comedies”. I personaggi di Richler sono, per lo più, uomini dal carattere complesso, non del tutto trasparente, consci delle proprie debolezze e, quindi, spesso, incapaci di far uscire la parte buona che c’è dentro di ciascuno di noi. Dopo una serie di fortunati romanzi, premi e anche qualche accusa di antisemitismo (per aver messo in risalto gli aspetti negativi dei suoi personaggi piuttosto che quelli positivi), peraltro respinti dallo stesso autore, nel 1997 Richler pubblica il più famoso tra i suoi libri, “La versione di Barney” (pubblicato in Italia da Adelphi, come tutti i romanzi di Richler, nel 2001, raggiungendo un numero notevole di copie vendute e diventando un vero e proprio caso letterario), il cui protagonista, Barney Panofsky, resta il migliore dei personaggi dello scrittore canadese e una delle figure più popolari e meglio delineate nella letteratura ebraica. Nel 2010, dal libro è stato tratto un film, con un Paul Giamatti in stato di grazia nei panni di Barney (interpretazione che gli valse il Golden Globe come migliore attore in una commedia) e un altrettanto bravo Dustin Hoffman, interprete del padre di Barney. Il romanzo è narrato in prima persona da Barney stesso: il protagonista si appresta a scrivere la sua autobiografia, raccontando le sue vicende dalla gioventù fino al suo presente. Figlio di un poliziotto, Izzy Panofsky (incredibile personaggio, di una comicità irresistibile, degno padre di tale figlio, che, vedovo inconsolabile, morirà di un “colpo” nel tentativo di trovare conforto tra le braccia di una prostituta), Barney è un ebreo benestante di Montreal, la cui vita dissoluta e spesso sopra le righe ci viene raccontata a partire dagli anni giovanili, trascorsi in una Parigi del dopoguerra insieme a una serie di artisti cui Barney si lega (tra cui il suo più caro amico Boogie), fino agli anni ’90, con un capitolo finale del figlio di Barney, Michael, nel quale si spiega come il libro sia stato rivisto proprio da lui, come testimoniano le note al testo, in quanto Barney, negli ultimo momenti della sua vita, è malato di Alzheimer, cosa che gli provoca delle numerose lacune nell’arco della narrazione. Inoltre, Michael spiega anche il grande interrogativo dell’intero romanzo (e della vita di Barney): che fine abbia fatto Boogie.
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LETTERARIA! Il libro è diviso in tre parti, ognuna dedicata alle tre signore Panofsky: la prima, Clara Charnofsky, un’artista dalla vita disordinata (per usare un eufemismo), morta suicida nella Parigi dei primi anni Cinquanta, dove Barney vive per un certo periodo di tempo; la seconda, conosciuta solo come “seconda signora Panofsky”, una ricca ereditiera, sposata per capriccio e senza convinzione e con la quale il matrimonio dura poco; infine, Miriam, il vero, grande amore della vita di Barney, madre dei suoi tre figli (Michael, Saul e Kate), che finirà per lasciare il marito a causa dell’incapacità del nostro eroe di mantenere una vita equilibrata, sincera e priva di contraddizioni. Leggendo il romanzo, però, le tre signore Panofsky saranno sempre tutte presenti, in quanto Barney, nel raccontare la sua vita, continua a lasciarsi andare a una serie di digressioni, che il racconto una serie di avvenimenti intrecciati fra loro. Quello che spinge Barney a scrivere la sua autobiografia è un fatto tragico che segna la sua esistenza: la scomparsa dell’amico Bernard “Boogie” Moscovitch, ritenuto morto, nonostante non si riesca a trovare il cadavere, e della cui morte Barney viene sospettato. L’impossibilità di avere la prova “fisica” di quello che viene ritenuto un omicidio scagiona Barney, ma il sospetto è una spada di Damocle da cui è difficile liberarsi e Barney passerà il resto della sua vita a convincere tutti della sua innocenza. Da qui l’esigenza di scrivere la sua “versione” dei fatti. Versione, peraltro, non del tutto chiara, visto che lo stesso Barney non ricorda come si sian effettivamente svolto il fatto in questione. Questa la trama, in breve. Quello, però, che rende davvero grande il romanzo di Richler, e che lo pone fra i migliori autori satirici dei nostri tempi, è la serie di avventure raccontate dal protagonista, in una sequenza confusionaria, saltando da un momento ad un altro, da un aneddoto all’altro, da un ricordo che torna alla mente proprio quando si sta raccontando qualcosa d’altro. Un girandola irresistibile di ricordi, avventure, incontri straordinari, ricordi del passato che si intrecciano col
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presente, una serie di flashback che rappresentano la dissoluta, disordinata, incredibile vita di Barney Panofsky. Barney, ormai alla fine del suo cammino, malato, alcolizzato, abbandonato da Miriam (che amerà sempre fino alla morte, tanto da volere inciso il suo nome sulla tomba, in modo da essere riunito a lei nell’aldilà) e, soprattutto, ossessionato dalla sparizione dell’amico Boogie (Barney non crederà mai alla sua morte, convinto che Boogie se ne sia andato a godersi la vita da qualche parte nel mondo), sente la necessità di scrivere, per lasciare ai posteri una testimonianza della sua esistenza. Un modo per fare ammenda e per trovare quella redenzione di cui ha bisogno, un po’ come tutti, dopo un’esistenza non propriamente edificabile. Nella migliore tradizione della letteratura ebraica. Il miglior modo di leggere il romanzo è lasciarsi prendere dal vortice dei pensieri di Barney, dalle sue riflessioni e battute irriverenti, poco “politically correct”. “Mi piacerebbe tanto, ma proprio tanto non sentir più parlare di Farrakhan, Jesse Jackson, Cedric e compagnia bella. Sì, Miriam. È vero, Miriam. Scusa, Miriam. Lo so, se avessi patito quello che hanno patito loro in America la penserei allo stesso modo, sarei anch’io convinto che Adamo ed Eva in realtà erano neri, solo che poi Caino, sentendosi accusare da Dio dell’omicidio di Abele, era sbiancato.” Richler ha dimostrato di essere un grande scrittore satirico, uno dei migliori, scrivendo un romanzo divertente e intelligente, delineando uno fra i migliori personaggi, a mio avviso, della letteratura satirica ebraica, un Barney dissacrante, scandaloso, adultero, ubriacone, che passa tra alti e bassi economici, forse persino omicida (sebbene la sua “versione” debba proprio provare il contrario, così come lui stesso afferma con forza, e la convinzione della sua innocenza è l’unico caposaldo della sua vita, insieme all’amore per Miriam), ma, forse proprio per questo, straordinariamente umano. E come dice di lui il figlio Mike, nell’ultimo capitolo del libro, rivelatore il mistero di Boogie e che vuole ridare dignità al povero Barney, ormai nella tomba: “Finché gli è rimasto un minimo di lucidità, Barney Panofsky ha mantenuto fede alle proprie convinzioni. E cioè che la vita è assurda, e che nessuno di noi, in pratica, capisce gli altri.” Come dicevamo, un capolavoro della condizione umana.
*”Alla fiera dell’est” è un canto pasquale ebraico, “Chad Gadya”, a cui si è ispirato Angelo Branduardi per la sua celeberrima canzone Paul Giamatti e Dustin Hoffman, rispettivamente Barney e suo padre Izzy, nel film omonimo tratto dal romanzo
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L’IMPRONTA RUBRICA NOIR DI RICCARDO SEDINI ASSOCIAZIONE CULTURALE “GIALLOMANIA”
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“ULTIME NOTIZIE DI UNA FUGA” di VALERIO VARESI (Frassinelli) Rocchetta e il suo piano, la sua straordinaria strategia, si stagliavano sempre più limpidi nella mente di Soneri. Tutti i giorni, ripercorrendone passo dopo passo le mosse, ne scopriva le qualità, l'attenzione per i particolari, con l'occhio sensibile dell'investigatore. E la sua ammirazione cresceva di pari passo con l'indagine. Parma, estate del 1989: le prime pagine dei giornali sono riempite dal caso di un'intera famiglia, i Rocchetta, inghiottita nel nulla. Unica traccia, un camper abbandonato alla periferia di Milano. Uno dei figli è un ex tossico, e la polizia comincia a indagare nel mondo della droga. Ma il commissario Franco Soneri, schivo, taciturno, segnato dalla vita, batte da subito una pista diversa. Chi è il capofamiglia, il grigio e anonimo ragionier Rocchetta? Si è davvero limitato a contare per anni i soldi del padrone nella ricca azienda di provincia? E soprattutto: come ha fatto a sparire senza lasciare traccia, insieme alla moglie e ai due figli? Con uno stile asciutto ed essenziale Varesi ci guida in un labirinto di intrighi, ricatti,
silenzi omertosi, dove i protagonisti tentano di affrancarsi dal g r i g i o r e quotidiano per ritrovarsi comunque in un meccanismo più grande di loro, fino a rimanerne stritolati. Ispirato a un fatto di cronaca, Ultime notizie di una fuga è la geniale ricostruzione di una scomparsa rimasta misteriosa. Ed è anche il primo giallo di Valerio Varesi, che sancisce la nascita di un grande personaggio, il commissario Soneri: inarrestabile indagatore delle verità nascoste. Valerio Varesi, nato a Torino nel 1959, vive a Parma, e lavora nella redazione de “la Repubblica“ di Bologna. Romanziere eclettico, è il creatore del commissario Soneri, protagonista dei polizieschi che hanno ispirato le tre serie televisive “Nebbie e delitti” con Luca Barbareschi (ora distribuite anche negli Stati Uniti). I romanzi con Soneri sono stati tradotti in tutto il mondo e nel 2011 l'autore ha vinto il Premio del Centenario Scerbanenco ed è stato finalista al CWA International Dagger, il premio internazionale per la narrativa gialla. Dopo l'apprezzatissima parentesi storica costituita dal dittico “La sentenza” e “Il rivoluzionario”, Varesi è tornato a indagare nell'attualità con i gialli di Soneri.
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RIDI E AVRAI LE RUGHE GIUSTE RUBRICA DEL BUON UMORE A CURA DI FRANCESCA PROTTI Per questo inizio anno ero davvero in difficoltà. Forse, il volgere del tempo all’inverno, con i suoi freddi e le sue nebbie, il ritorno all’ora solare, con il suo repentino accorciarsi delle giornate, invogliano più alla mestizia che al riso. Pessimo atteggiamento. Ciò non toglie quanto, davvero, fossi abbattuta. Poi, lo yoga mi è venuto in soccorso. Unico rammarico, la traduzione in italiano del testo di cui mi accingo a parlarvi, è davvero difficile da reperire. Personalmente ho ripiegato sull’originale in lingua inglese, e forse per una parte di voi, questa soluzione non è praticabile. Potrebbe, però, rivelarsi un buon consiglio per la nostra amica Alice e le sue prossime conversazioni in inglese. “Yoga School Dropout” venne eletto, nell’anno della sua pubblicazione, libro del 2005 dal prestigioso “Indipendent on Sunday”, supplemento del quotidiano di Sua Maestà Elisabeth II. Anche in Italia il successo si è ripetuto. E il motivo è la natura stessa dell’autrice, Lucy Edge, pubblicitaria quarantenne di origini britanniche. Divertente e profonda insieme, saggia e dissennata, mondana e spirituale nel raccontare, con ironia arguta e mai cinica, la vera Lucy. Attraverso lo yoga e un viaggio in India lungo sei mesi. Da nord a sud, da est a ovest, visitando le maggiori scuole e gli ashram più noti sparsi, appunto, per i quattro angoli del subcontinente. Desikachar a Chennai? Il sentiero dell’auto-conoscenza, lo jnana yoga, a Tiruvannamali? Bhakti yoga, il sentiero d’amore e devozione, a Keralan? A Auroville per lo yoga integrale di Aurobindo? Il tantra di Osho, e la sua visione del corpo come tempio del divino, a Pune? La precisione dello Iyengar yoga, sempre a Pune? Asthanga yoga a Mysore o Sivananda a Kerala? È il quesito che Lucy era arrivata a porsi, decidendo, poi, semplicemente di partire. Alla legittima domanda degli altri praticanti yoga e ricercatori di se stessi, su cosa l’abbia portata in India, Lucy risponde candidamente un Boing 747, stemperando la risata, in cui era scoppiata, nell’imbarazzato silenzio che cala intorno a lei. Con autoironia Lucy si considera e definisce una reietta dello yoga, da cui il titolo. Quando mi chiedeva di inalare e aprirmi alle nuove esperienze, espiravo. Quando mi chiedeva di espirare e lasciare andare il passato, trattenevo il respiro, ancorandomi alla mia storia personale. È un classico, per qualsiasi principiante. Ma non solo. Un compulsivo desiderio di shopping e alcol non l’abbandona mai, pensieri lussuriosi la distraggono, è goffa nelle posture. Non riuscivo a persuadere le mie spalle a porre fine a quella relazione amorosa, lunga tutta una vita, con le mie orecchie. E siamo solo alle prime pagine. Un’altra scena è esemplare. Tentai di imitare la loro posizione del loto, con le caviglie poggiate senza sforzo sulle cosce, ma le mie anche e ginocchia non andavano oltre ai cruciali 45°. Fui costretta ad abbandonare ogni altro tentativo, incrociando le gambe che rimanevano saldamente ancorate a terra come i piedi. Per pudore mi coprii con lo scialle. Lo stesso scialle che, traditore, ritorna
alla fine del capitolo 1. Confessando ai compagni, con cui sta conversando, che ha in animo di raggiungere Venkatesh, il così detto “yogi di gomma”, Lucy si sente trapassare da sguardi scettici per quelle gambe inchiodate. La pudica copertura è scivolata a terra rivelando tutte le rigidità della protagonista. E quello del primo capitolo è il tenore di tutto il romanzo. Mr. Vi mi disse <<… attenderai fuori dall’aula il mio permesso di entrare. Se arriverai in ritardo, perderai la lezione. Arriverai alle sei e quarantacinque tutti i giorni. Tranne la domenica.>> <<La domenica, quindi, è giorno di vacanza?>> <<No, di domenica inizierai alle sei e un quarto, giacché la lezione precedente termina prima.>> Scanzonata e onesta, Lucy dimostra che anche per noi occidentali la via dello yoga è percorribile con successo e soddisfazione, perché alla fine, l’illuminazione arriva. E con il botto! Nel romanzo, però, l’autrice non si limita a un prendersi serenamente in giro. Lucy Edge si confronta con lo yoga e le sue grandi figure, e condivide, in puro spirito yogico, ciò che ha imparato. Alle più spudorate confessioni della propria inadeguatezza fisica, si alternano capoversi più o meno lunghi, pregni di teoria dello yoga. Personalmente, l’ho trovato oltre che divertente, anche molto istruttivo, ricco di immagini più abbordabili e comprensibili, per un’occidentale quale anche io sono, dei grandi concetti dello yoga. Qualche esempio? “Mr V spiegò che “prana” significa forza vitale, “yama” significa espansione e “ama” controllo e ritenzione”. Così “pranayama” è l’espansione, la ritenzione e il controllo della nostra forza vitale. Oppure ancora “…non riuscivo a creare abbastanza fuoco yogico da far salire il serpente kundalini dalla base della colonna vertebrale, ognuno dei miei cakra rimaneva risolutamente chiuso e io non riuscivo ad andare oltre tre respiri prima di domandarmi cosa ci fosse per cena. Mi pareva improbabile riuscire a fondere le energie di “ha”, il calore del sole, con “tha”, il fresco della luna, lungo “shusumma”, il canale energetico che corre attraverso la spina dorsale, in un prossimo futuro.” Lucy Edge
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PAROLE E CARNE... RUBRICA DI EROTISMO E POESIA A CURA DI GRETA LEDER "Sono la regina degli angeli maldestri delle calde notti di violini ascoltati. Sono la regina del sottile sentire ansioso degli angeli maldestri fragili gelsomini in fiore che passeggiano battendo ritmi che corrono dentro ferendo tremanti cuori in equilibrio sulla linea della mia inquieta lingua. Sono la regina di angeli in attesa di dolce risveglio tra le braccia in attesa di giochi senza memoria dove svendersi e vendersi e poi dimenticare. Cosa d'alta magia non feririsi mai". Una dissacrante visione della nuova gioventù, uno sguardo freddo sui demoni del secolo. Questo è “Luminal”. È la storia di Demon e Davi, due amiche, due amanti. L'una 'alter ego del'altra. Vagano da un locale all'altro, si vendono e si svendono, praticano sesso estremo, vivendo solo di notte ome due vampiri, assumendo droghe, il Luminal, appunto, potentissimo barbiturico.Sullo sfondo locali illuminati di blu, strade buie di tre città europee: Zurigo, Berlino, Amburgo. Isabella Santacroce affronta il mondo caustico di queste due giovani amiche. La narrazione prosegue per stadi emotivi
Isabella Santacroce su una prosa raffinata. La trama è scarna e a volte ripetitiva e lascia al lettore un senso di ansia e di incompiutezza nel suo lavoro di lettura. È un romanzo estremo, visionario e pessimista. È un libro sulla inadeguatezza, su come le due protagoniste sfuggono il reale. Il loro unico rimedio è l' annullamento attraverso il sesso, il sadismo, l'autolesionismo e infine il Luminal, una droga dello spirito che fa addormentare e allontanare dal mondo. Le vicende delle due protagoniste sono descritte in prima persona da Demon, con frequenti cambi di narratore. Vengono descritte, non narrate perché il libro non ha trama, almeno non come la si intende tradizionalmente. Tutte le vicende sembrano un videoclip. Si ripetono a volte scene identiche: stesse situazioni nei party e nel sesso, stesse descrizioni di abbigliamento, stesse musiche di sottofondo. Non esiste una cognizione di tempo e spazio, in Luminal non esiste una ambientazione vera, le tre città che fanno da sfondo
non sono descritte, non sono ben individuabili, di esse sono solo ben delineati i locali frequentati e le strade buie. luminal è un romanzo buio, tutti i personaggi vivono nell'oscurità. Anche la notte di DeMon e Davi continua nel loro letto alle prime luci dell'alba con il sonno profondo simile al coma regalato dal Luminal. È un susseguirsi di notti senza un risveglio alla luce del sole. L'unico spazio per la memoria sono i brevi flash back, che però non raccontano, ma come videoclip sono una fotografia della infanzia adolescenza. La Scrittrice in questo romanzo descrive un sesso autodistruttivo, un qualcosa che anniente e che avvicina alla morte. Il sesso è autopunizione, espiazione della colpa di essere imperfette. Demon e Davi non sono oggetti del desiderio, si sottopongono a sesso perverso e umiliazioni di ogni genere per mortificare i loro corpi e le loro anime imperfette. Luminal è un libro sulla morte e il suicidio. Il titolo infatti richiama il potente barbiturico con cui si suppone si sia tolta la vita Marilyn Monroe. Un'overdose di Luminal in una intensa giornata di sole, unica in tutto il libro, sarà fatale anche alle due protagoniste. La luce del sole diventa simbolod ella coscienza, quando le due giovani amiche vengono investite dai raggi della coscienza-conoscenza del reale, finiscono. Sembra per la scrittrice che si vive bene solo nell'incoscienza, nel buio totale. Il Luminal diventa sinonimo di incoscienza e infine di morte, perché alla fine regala il sonno eterno alle due ragazze. Isabella Santacroce dedica questo libro a 32 suicidi, da Seneca a Sylvia Plath, a Mishima, a Curt Cobain a Marilyn Monroe. Dunque un romanzo sul suicidio con funzione catartica, un modo dI purificarsi dall'inadeguatezza di vivere. Il linguaggio usato è decadente, poetico e romantico e allo stesso tempo violento. Eccentrica, soprattutto quando usa l'aggettivo al posto dell'avverbio, oppure quanto ignora totalmente la punteggiatura. Emerge una musicalità nella lettura. Importante infatti in tutto il libro è la musica che fa da sottofondo alle vicende, troveremo un onnipresente David Bowie. Un romanzo paranoico, oscuro, fatto di immagini. Ti immergi nella sua lettura come nell'acqua. Sono sensazioni simili: liquido, bagnato, ora caldo, ora freddo. Molto interessante lo stile narrativo, il ritmo e la forma. Attraverso un uso particolare della punteggiatura, quasi a volere dare una direzione, con blocchi e sbocchi, a una massa di parole, pensieri ed emozioni altrimenti amorfa. Un lavoro che sembra teso a costruire canali, argini in modo che l'acqua possa ora travolger, ora ristagnare, ora correre e defluire, che tutti trapassa e da tutto è trapassata, ma sempre invariata nella sua inconsistenza.
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YOGA NON E’ YOGURT*... ... ma molto altro RUBRICA DI YOGA E DINTORNI A CURA DI FRANCESCA PROTTI
*Liberamente tratto dall'incipit di “Yoga per negati”
Ho preso parte a un seminario dio yoga. Che novità, commenterete voi… Beh, nel bar accanto a dove praticavamo c’era una piccola libreria ad angolo. Book-crossing, in una spessa grafia nera in campo giallo, attirava la curiosità degli avventori e della sottoscritta. Prendi un libro, dona un libro. Ottima abitudine, mi son detta, però come si fa a sperarsi da un libro intitolato “La maga delle spezie”? Per una che come me, diventata vegetariana da qualche anno, si trova nella necessità di insaporire cibi, quali le verdure, per natura piuttosto insipidi, le spezie stanno diventando delle grandi, grandissime amiche. Era il mio libro. Ovviamente me lo sono portata a casa. Al prossimo seminario provvederò a lasciare in dono un mio romanzo, uno di quelli che ha smesso di dirmi qualcosa. Spulcerò i ripiani della mia libreria, ma di sicuro non portò in dietro il libro di Chitra Benerjee Divakaruni, autrice di origini bengalesi, trasferitasi negli anni ’70 da Calcutta a San Francisco. Prima di me, l’hanno conosciuta i miei genitori, che di sicuro non se ne ricordano e ora mi verranno a domandare come? Dove? Quando? Se avranno la pazienza di arrivare alla fine dell’articolo…. “La maga delle spezie” fa venire voglia di zenzero e cannella, di peperoncino, basilico e cardamomo e di un mondo fiabesco proveniente dall’India di cui non sospetteremmo l’esistenza. Così commentava “Tuttolibri”, così si legge sulla quarta di copertina, prima del riassunto, prima delle notizie bibliografiche sull’autrice. Ed è vero. Immergersi nelle pagine del romanzo ti apre le porte del magico mondo delle spezie. Cannella bruna e calda quanto la pelle per aiutarti a trovare qualcuno che ti prenda per mano. Seme di coriandolo, sferico come la terra, per farti vedere chiaro. Trigonella contro la discordia. Zenzero per il coraggio profondo di chi sa quanto dire no… o per riscaldare il corpo, aggiungo io. E i miei compagni di pendolarismo ben lo sanno, potrebbero confermarvelo in toni… coloriti, oserei dire. Così come farebbe la vecchia signora indiana che ad Oakland, in California, gestisce una bottega e sfiora polveri e semi, foglie e bacche alla ricerca del sapore più squisito, del sortilegio più sottile. Lei è Tilo e La maga delle spezie è la sua storia. La sua nascita venne annunciata da un tuono blu acciaio che provocò un incendio sulla piazza del piccolo villaggio indiano e che durò tre giorni. Tilo non è una bimba come le altre, lei ha il dono di vedere nella vita degli uomini e di predire il futuro. Da quello sperduto villaggio indiano la rapiscono i pirati, da cui poi fugge alla volta dell’isola ove l’Antica Madre la educa all’arte di governare le erbe e i loro poteri, per atterrare, in fine, nell’America del XX, dove la magia delle spezie le permette di aiutare chi si è lasciato (davvero?) l’India alle spalle. E dove i poteri di Tilo finiranno con il vacillare sotto l’onda di una passione che la esporrà alle conseguenze più straordinarie e terribili. Ogni spezia ha il suo giorno speciale. Quello della curcuma è la domenica...quando la luce
gocciola burrosa nei barattoli di latta che se ne imbevono fino a splendere... È la maga delle spezie a pronunciare questa verità, mentre lavora in una bottega che sembra esserci da sempre, piena all'inverosimile di cibo e vecchi oggetti dimenticati e, nei cui angoli si nascondono, esalati da chi è entrato, ammonticchiati tra i bioccoli di polvere, i desideri. Zafferano, coriandolo, zenzero, sesamo, peperoncino, cumino, pepe, radice di loto... in ognuna di queste spezie risiede il segreto del nostro vivere, in ognuna vi è il rimedio agli affanni e alle pene che ci assillano e che non ci fanno respirare. Cerchiamo la nostra spezia, respiriamola, assaporiamola, cantiamo la nostra magia e ascoltiamo la risposta che verrà. Forse in quella vecchia bottega dimenticata all'angolo della strada dove ogni giorno ha un colore, un profumo. E se sapete ascoltare, una melodia c'è la nostra maga che ci aspetta, o forse è solo in attesa dell'amante con cui tradire le sue spezie, ancora in attesa di un amore umano, tutto ingarbugliato, generoso e insieme esigente e imbronciato e ardente. Guardiamola oltre le sue rughe, oltre il suo corpo stanco, evitiamo di toccarla ma rivolgiamole un saluto e affidiamole con fiducia le nostre pene in cambio della magia dell'amore. La ricompensa avrà il sapore di... ebbene, provate ad indovinare cosa racchiude il vostro sacchetto. Insieme a noi, sono tante le persone che frequentano la bottega di Tilo, che da lei attendono fiduciose un sacchetto. Ognuno le lascia una parte di sé mentre lei distribuisce le sue spezie e recita i suoi rituali in silenzio e in solitudine, ma nessuno riesce a sgretolare le sue convinzioni come Raven, l'americano, lo straniero che sembra leggere nei suoi occhi e vedere quello che le rughe del suo viso nascondono, Raven, il cui nome ..è bellissimo, esclamo, gustandone in bocca il lungo suono simile a un battito d'ali, l'odore di un cielo rovente, salire e lasciarsi cadere, un bosco oscuro nella sera, occhi brillanti, piume della coda fatte di carbone e fumo. L'amore non ammette prigionieri e Tilo decide di vivere il suo anche a costo di tradire le spezie che quasi si rifiutano di obbedirle e lei è costretta a piegarle alla sua volontà, per l'ultima volta. Una favola di fragranze, di aromi, di isole arcane, di amori proibiti e impossibili. E, soprattutto, di una magia che si annida nel più quotidiano, e violento, dei mondi possibili. “La maga delle spezie” non è né il primo né l’ultimo libro di Chitra Banerjee Divakaruni. Dell’anno appena trascorso è “Oleander Girl”, non ancora edito in Italia, del 1991 “Black Candle”. In più di vent’anni di successi, ha scritto anche “Sorella del mio cuore”, “Matrimonio Combinato”, “Il fiore del desiderio” e “Le avventure di Anand, Anand e la conchiglia magica” e “Anand e lo specchio del fuoco e del sogno”. Era con Anand che mamma e papà fecero la conoscenza di questa scrittrice, poetessa, saggista, giornalista ed attivista statunitense di origine indiana. Spero non l’abbiano dimenticata e vogliano riscoprirla…
Libreria Le mille e una pagina, C.so Garibaldi 7 27036 Mortara (PV) | 0384.298493 | www.lemilleeunapagina.com
Indovina l’autore:
Ospiti in libreria: Gli appuntamenti in libreria da febbraio ad aprile 2014: Sabato 15 febbraio ore 17,30: presentiamo Beatrice Masini, scrittrice per bambini e traduttrice di letteratura inglese (tra gli altri, Harry Potter) con il suo romanzo “Tentativi di botanica degli affetti” (Bompiani). Sabato 1° marzo ore 17,30: presentiamo il giallista Giulio Massobrio con “L’eredità dei santi” (Bompiani). Moderatore dell’incontro Riccardi Sedini. S a b a t o 8 m a r zo o re 1 5 , 3 0 A L C I V I C O 1 7 i n collaborazione con Università della Terza Età: presentiamo Elda Lanza con “Il matto affogato” (Salani). Sabato 22 marzo ore 17,30: un altro scrittore della nostra Lomellina: Francesco Pugni presenta “12 tasselli” (Loquendo editrice). Sabato 12 aprile ore 17,30: presentiamo Alessandro Reali con il suo giallo pavese “La morte scherza sul Ticino”. Moderatore Riccardo Sedini.
Chi vuole partecipare, può inviare una mail oppure passare in libreria e lasciare la risposta. Il primo lettore che ci invierà o porterà la risposta giusta vincerà un buono da spendere nella nostra libreria.
Soluzione del numero precedente:
La parola da indovinare era “quadrifogli”, dal romanzo “Tentativi di botanica degli affetti” di Beatrice Masini.
LETTERARIA DA: L IB R E R IA L E M IL L E E U N A PA G IN A C .s o G ar ib al di 7 2 7 0 3 6 M or ta ra (P V ) 0 3 8 4 .2 9 8 493 in fo @ le m il le eu na pa gi na .c om
Gennaio - Febbraio 2014
A CURA DI:
Laura Fedigatti Alberta Maffi Greta Leder Francesca Protti Riccardo Sedini Antonio Segrini
Anno 4 - Numero 19