INDICE
Il Grattacielo della
Società Cattolica
Assicurazione 44
“La
casa di abitazione” 58
Le palazzine in via Nevio 66
Il condominio di Parco Grifeo 78
NELL’OMBRA
Questo libro si situa nel filone di ricerche sulle donne e l’architettura con l’intento di tracciare “nuove genealogie” storiografiche1. Esso vuole contribuire a fare luce sulla figura di Stefania Filo Speziale (1905-1988) collocandola accanto alle altre “pioniere”, le prime donne che hanno avuto accesso alla professione e che possono essere considerate delle “maestre”2. Non rinuncia pertanto all’impostazione autoriale, né al taglio monografico3. Il tema delle genealogie è particolarmente adatto ad inquadrare il suo percorso professionale anche perché, oltre ad essere la prima donna laureata in Architettura a Napoli (1932), Filo Speziale ebbe vari allievi sia in ambito professionale che accademico. Dalle prime collaborazione nel 1937 con Marcello Canino presso la Facoltà napoletana, passando per la libera docenza di “Elementi di Composizione” nel 1939, cui seguii l’ordinariato in “Caratteri Distributivi degli Edifici” nel 1955 e poi la cattedra di “Composizione Architettonica” nel 1970, fino al 1980 quando assunse per qualche mese la carica di preside protempore della stessa Facoltà prima della pensione, l’architetta ebbe modo di fondare una scuola4. Uberto Siola ricorda il suo ruolo fondamentale nel diffondere, anche attraverso l’Istituto di Caratteri Distributivi da lei diretto dal 1970, un approccio tipologico-morfologico al progetto, già in uso nel contesto internazionale, ma che in Italia giunse solo più tardi, anche grazie al suo impegno nel comitato tecnico-scientifico per la fondazione della Facoltà di Pescara5. Secondo la sua testimonianza,
In primo piano Stefania Filo con alla sua sinistra la sorella Eletta (Archivio privato Fulvio Filo).
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Stefania Filo Speziale
LA PRIMA
DONNA
Stefania Filo di Torre di Santa Susanna nacque a Napoli nel 1905 da una famiglia di origini aristocratiche. Cresciuta dalla nonna e dalle zie non sposate, fu indirizzata allo studio dell’arte e delle lingue, soprattutto il tedesco e il francese, ma anche delle discipline scientifiche, la fisica e la matematica. Fu la zia, la principessa di Cellammare, a consigliarle di dedicarsi all’architettura che Filo iniziò a studiare nella nuova Regia Scuola Superiore di Architettura1 ottenendo il diploma di laurea il 18 dicembre del 1932. Lei e Umberto Perrella furono i primi due laureati: una donna e un uomo. Dalle pagine del quotidiano «Roma», apprendiamo, oltre al giorno esatto della laurea, anche il tema della tesi di laurea, un sanatorio per bambini ubicato ad Agerola, vale a dire un edificio destinato all’infanzia come si addiceva all’epoca alle tesi delle studentesse considerate naturalmente più adatte a questi progetti. Un breve estratto dal quotidiano può servire a riportare al clima di quegli anni, nonché a passare in rassegna i suoi docenti: «Domani, con l’augusto intervento dei Principi di Piemonte, la Scuola Superiore di Architettura inaugurerà il nuovo anno accademico, offrendo un cospicuo bilancio dell’attività svolta in questi brevi ma fecondi anni di rigogliosa vita. […] La cerimonia di domani ha un particolare significato morale anche perché coincide con la consegna, in forma solenne, di due lauree le prime rilasciate dalla scuola a due giovani che hanno compiuto brillantemente tutti i corsi dei cinque anni di studi: Stefania Filo e Umberto Perrella, che
hanno anche superato con lusinghiero risultato gli esami di Stato. Il corpo insegnante della scuola, ormai al completo, vanta i professori
Signorini, Ricci, D’Erasmo, Carlevaro, Ippolito, Maione, Coniglio, Mayer, Eugenio ed Adriano Galli, Cherubino, Ascione, Pantaleo, Chiaromonte e Cimmino per la parte scientifica; ed i professori
Canino, Cesa, Chierici, Siviero, De Renzi, Piccinato, Ferrazzano, Pane, Samonà e Sanarica per la parte artistica. La mostra didattica dei lavori eseguiti dagli alunni del nell’ultimo anno accademico offre un quadro completo dell’attività svolta dai giovani in tutte le materie di insegnamento […]. Progetti di restauro e lavori di decorazione e di topografia mostrano il grado di preparazione raggiunto dagli alunni, alcuni dei quali come i laureati Filo e Perrella, appaiono degli architetti provetti, con una personalità ben definita ed uno stile proprio […]. La Filo espone il progetto con i relativi dettagli di prospettiva topografia e plastica, di un sanatorio per bambini che dovrà assurgere ad Agerola. È un progetto che riassume in uno stile semplice e lineare il tipo moderno razionale di un sanatorio in cui i criteri igienici e sanitari sono magistralmente armonizzati con una simpatica linea estetica»2.
In Italia, prima di lei, c’erano state poche altre “pioniere”: Emma Strada e Gaetanina Calvi laureate in Ingegneria rispettivamente al Politecnico di Torino e Milano nel 1908 e nel 1913, Elena Luzzatto, prima architetta della Regia Scuola Superiore di Roma nel 1925, Carla Maria Bassi ed Elvira Luisa Morassi Bernardis, laureatesi entrambe in architettura a Milano nel 19283.
Dal 1936 al 1953 a Napoli si laurearono: Alba Luise (laurea 1941), Anna Del Pezzo (laurea 1944), Regina Gargano (laurea 1946), Gabriella Palermo (laurea 1947), Eirene Sbriziolo (laurea 1947), Irma Amatucci (laurea 1949), Lea Carlevaro (laurea 1949), Delia Maione (laurea 1949), Chiara Baccaro (laurea 1950), Lea Mariella Greta (laurea 1950), Elena Mendia (laurea 1950), Anna Sgrosso (laurea 1950), Emma Spada (laurea 1951), Costanza Caniglia (laurea 1952), Margherita Costagliola (laurea 1952), Clara Torre Rosa (laurea 1952), Rosalba La Creta (laurea 1953), Antonietta Navarra (laurea 1953). Venivano da Napoli, Genova, Cosenza, Palermo, addirittura da Trieste, di pochissime sappiamo qualcosa, che riuscirono a realizzare, quali furono le loro vite4. Delia Maione e Lea Carlevaro furono entrambe figlie di due ingegneri e docenti della Facoltà
Dall'alto Il Museo della Tecnica, 1940 (Archivio Mostra d'Oltremare).
L'ingresso nord con i padiglioni del settore agricolo-industriale progettati da Filo: Pesca, Colonizzazione Capitalistica, Enti Colonizzatori,
Caccia e Zootecnica, 1940 (Archivio Mostra d'Oltremare).
A fianco
Padiglione dell’Elettrotecnica con il murale di Enrico Prampolini, 1940 (Archivio Mostra d'Oltremare).
Stefania Filo Speziale
AVANGUARDIA MERIDIANA
Il cinema-teatro Metropolitan progettato nel 1946 al di sotto dell’avito Palazzo Cellammare è stato il primo lavoro di Filo Speziale a riscuotere unanime consenso1 e che non mancò di suscitare anche risonanza nella coeva pubblicistica, come testimonia l’articolo pubblicato all’indomani della sua inaugurazione sulla rivista «Domus»2 diretta da Gio Ponti, nonché l’interesse di «L’Architecture d’aujourd’hui»3
La commissione da parte della ditta privata E.C.I. di Roma era legata alle proprietà del prestigioso palazzo. Non è dato sapere se fosse stata la famiglia Filo a promuovere l’operazione alienando parte di un suo bene all’impresa, sta di fatto che nella articolata cavità sottostante l’edificio, svuotata sin dal Cinquecento del tufo necessario alla sua costruzione e divenuta durante la guerra rifugio antiaereo, fu stabilita la costruzione di questa grande attrezzatura. La sala polifunzionale, la maggiore in Italia nel secondo dopoguerra, adibita non solo a cinema e a teatro, ma anche a riunioni e ad attività ludiche fu realizzata tra il 1948 e il 1950 con la collaborazione dell’ingegnere Marino Galzenati4
In una pubblicazione compilata nel 1949 che passava in rassegna le recenti sale cinematografiche, l’architetta indicava come un importante riferimento progettuale per la sua opera il teatro progettato da Gropius e Breuer nel 1930 a Kharkov in Ucraina, a sua volta ispirato al Total Theater5. A questi temi, inoltre, in quel periodo Filo Speziale dedicava le sue lezioni universitarie e i testi che ne
scaturivano. Tra questi, “Del Corso di Caratteri Distributivi degli edifici” del 1953 in cui elencava nella sezione “Cinema” numerosi progetti fatti approfondire agli studenti mediante specifiche ricerche e esercitazioni di ridisegno: il “Dal Verme” a Milano, spazio polifunzionale ispirato al modello americano per la presenza di bar, negozi e sale gioco, oppure il “Supercinema” di Ugo Luccichenti a Frascati, il “Capitol” di Fabio Dinelli e Kurt Hans Gunther con l’“Alcione” di Riccardo Morandi e Gianni Gandolfi, entrambi a Roma, e il “Duni” di Ettore Stella a Matera6
Tornando al progetto per il Metropolitan, per come fu presentato in Soprintendenza e approvato senza variazioni nel febbraio del 19477, le modifiche apportate all’edificio storico si concentrarono sull’accesso. Fu infatti demolito lo scalone in asse con il portale progettato da Ferdinando Fuga e ricavata una rampa che girando lateralmente permettesse di rendere autonomo l’ingresso al palazzo da quello alle sale sottostanti. Quattro fornaci quadrangolari rivestiti con il bugnato alludevano alla preesistenza, se non fosse per la scritta “Metropolitan” che campeggiando al centro introduceva senza indugi agli spazi moderni. Passata l’ampia sala di ingresso con la biglietteria, un tunnel costellato di pannelli pubblicitari attraversava lo spazio ipogeo disegnando vari tornati, come un nastro continuo illuminato da una luce diffusa che si irradiava dalla mezzeria delle volte ribassate. Secondo Mario Tedeschi che lo descriveva su «Domus» nel 1950: «Basta questo a dare la suggestione del labirinto, a caricare emotivamente l’ambiente»8. È il dato naturale a dettare la forma del manufatto di questa architettura scavata nel tufo, di modo che l’ampia cavea trapezoidale lunga 50 metri con un’innovativa copertura in cemento armato era ripartita in tre settori di diverse altezze cui si aggiungeva il palco, collegati con i dislivelli della preesistente cavità mediante scale, percorsi e passerelle. Il foyer di 500 metri quadrati era ubicato sotto la platea di cui si scorgeva l’estradosso con il suo sistema di nervature “a conchiglia”. Il Metropolitan rappresenta una sperimentazione embrionale di un tema compositivo indagato da Filo Speziale per tutta la vita: il rapporto con il contesto. In questo caso, la preesistenza coincideva con il sistema di cunicoli scavati nel tufo del sottosuolo che diventavano materiali plastici da modellare per ricavare le sinuose
Stefania Filo Speziale
corpo a valle; le piastre sul verde sono poi un arricchimento per gli abitanti, così le abbiamo pensate. È stata una scelta progettuale presa di concerto, non un gesto singolo»10 Grazie ai numerosi successivi interventi, l’opera arrivò ad una preziosissima definizione cromatica e dei dettagli. Come sempre nei progetti dello Studio Filo Speziale, i materiali utilizzati per i rivestimenti furono scelti con estrema varietà e accuratezza: il klinker, le tessere mosaiche ceramiche bianche, le scaglie di quarzite, le piastrelle dai colori vivaci, azzurre, rosse e bianche, il cotto della tradizione locale, il vetro e l’intonaco bianco. Una serie di particolari architettonici contribuì ad arricchire il manufatto: le balaustre bianche delle balconate continue, le fioriere, i pilotis, le scale esterne, le passerelle, le pavimentazioni delle terrazze. Il codice applicato era indubbiamente moderno, ma gli edifici risultavano perfettamente integrati nel contesto e articolati mediante soluzioni fortemente espressive. Elementi di progetto divenivano le condizioni climatiche, morfologiche e topologiche della città: l’orientamento e la luce dettati dalla presenza del golfo a Sud, il rapporto con il mare, la presenza dei banchi di tufo e il terreno che costituivano il basamento cui collocare gli edifici e così via. Un ruolo fondamentale era svolto dalle terrazze-giardino, dai balconi e dalle finestre che aprivano la vista sull’esterno, mentre gli interni erano disposti secondo la loro panoramicità, con la zona giorno direttamente affacciata sul mare e gli spazi di servizio sul retro. La forte luce solare veniva sfruttata, sia nelle facciate che negli interni, per creare giochi di rifrazione attraverso l’uso di colori vivaci, di maioliche e tufi policromi.
Un merito va dato anche alla committenza che ha saputo conferire il giusto spazio al talento di Filo Speziale per realizzare non solo un’opera remunerativa, ma anche di estrema qualità che si integrava perfettamente nei dislivelli della collina del Vomero e nel paesaggio napoletano. Oggi, a distanza di più di sessant’anni dalla sua costruzione il palazzo presenta evidenti segni di invecchiamento che hanno spinto i Della Morte che ancora lo abitano ad avviare con i restanti condomini i lavori di restauro conservativo dell’edificio affidando l’incarico allo studio D.F.T. s.r.l. (D’alisa, Ferrandes, Testa).
Stefania Filo Speziale
IL GRATTACIELO DELLA SOCIETÀ CATTOLICA ASSICURAZIONE
Il Grattacielo della Società Cattolica Assicurazione in via Medina 57 è l’opera più discussa di Stefania Filo Speziale e di cui allo stesso tempo ci sono meno notizie e documenti. Del concorso-appalto bandito dalla società veronese nel novembre 1954 la stessa architetta ci informa che «partecipano numerose imprese costruttrici affiancate per la progettazione da vari architetti», tra cui «l’architetto Donini di Milano e i professori Carlo Cocchia e Giulio De Luca Docenti della Facoltà di Architettura di Napoli»1. Il progetto vincitore risultò quello presentato dall’Impresa De Lieto - Del Vecchio con gli architetti Filo Speziale, Chiurazzi e Di Simone. La richiesta del bando era realizzare su di un lotto di proprietà della società un edificio da adibire ad uffici, residenze e albergo al Rione San Giuseppe-Carità. Il sito coincideva con un lotto già incluso nel 1913 nel piano di Risanamento e durante il fascismo coinvolto da una serie di varianti che portarono alla demolizione di gran parte degli edifici preesistenti per fare spazio a quello che doveva diventare, anche in base al piano di Luigi Piccinato del 1939, il nuovo centro direzionale della città. Come spesso accadeva nella fase della ricostruzione, si ripresero quindi piani e progetti in corso ma con una velocità e intensità maggiore, a fronte di una normativa che si faceva via via più stringente, anche considerata la mutata consapevolezza ambientale e della tutela. In particolare, per il completamento della bonifica del rione San Giuseppe-Carità, perfezionata nel 1953, furono attuati tutti i
piani esecutivi derivanti dalle concessioni edilizie ex Risanamento recepiti nel piano di Piccinato2
Dalla documentazione custodita nell’archivio storico della Soprintendenza di Napoli, che rappresenta l’unica fonte indagata dagli studi storici condotti fino ad oggi su quest’opera, compreso l’articolo da me compilato con Aurora Maria Riviezzo nel 20183, si apprende come il suo complicato iter amministrativo scaturì da varie pressioni economiche e politiche, oltre che culturali: da parte delle assicurazioni veronesi per portare avanti il loro investimento attraverso un edificio che simboleggiasse la potenza dell’azienda; da parte del Comune per accelerare i processi economici costruendo un modernissimo grattacielo nel nuovo centro direzionale della città; da parte della Soprintendenza e dell’Università che si opponevano alla sua realizzazione accusandolo di mancato ambientamento; da parte del Ministero della Pubblica Istruzione che interloquiva con i vari soggetti con atteggiamento altalenante4
Grattacielo della Società Cattolica Assicurazione, veduta dall'alto del 12 maggio 1955 (ASABAPACNa).
Grattacielo della Società Cattolica Assicurazione, vista della soluzione "A" e "B" del 9 maggio 1955 (ASABAPACNa).
rifanno i successivi edifici del già citato grattacielo Pirelli a Milano di Gio Ponti (con Pier Luigi Nervi, 1955-58), e il Pan-Am building di New York di Walter Gropius (1958-63). Dal grafico si evince che l’edificio in altezza fosse dotato di un sistema continuo di balconature aggettanti che marcavano orizzontalmente i prospetti accentuando e al contempo snellendo la sua volumetria non scatolare, soluzione che Filo Speziale stava allora sperimentando in diversi edifici residenziali, come le palazzine in via Nevio e Villa Grimaldi. Una piazza antistante ottenuta arretrando l’edificio rispetto a via Medina e delimitata lateralmente da un volume basso appoggiato su pilotis che si attestava perpendicolarmente al grattacielo, marcava la differenza del nuovo edificio con la preesistenza e garantiva una “pausa” nel ritmo delle cortine del compatto tessuto edilizio. Nei grafici della Soprintendenza del maggio del 1955 il progetto risultava modificato. Rispetto alla prospettiva di Di Simone del 1954, Filo Speziale rinunciava alla piazza e collocava su via Media un edificio più basso, allineato con gli edifici preesistenti, una sorta di basamento dell’edificio alto a sua volta posizionato nella parte retrostante del lotto e ad esso collegato anche funzionalmente. È possibile notare inoltre la presenza sul piano attico di un ulteriore volume con pensilina corrispondente al ristorante dell’hotel. Su questo schema, Filo Speziale elaborò due proposte. La prima indicata come “A” presentava la pianta “a losanga” della prospettiva di Di Simone, ma ai balconi sono sostituite superfici vetrate più vicine alle finestre tradizionali dei palazzi napoletani. La struttura leggera in acciaio era divenuta nel frattempo in cemento armato12. L’altra versione, la “B”, presentava una facciata dove ancora una volta mancavano i balconi sostituiti da finestre ricavate in una trama di travi e pannelli. Probabilmente a corredare questa soluzione di facciata a griglia regolare si allegava una fotografia trovata nello stesso fascicolo della Soprintendenza che ritraeva il grattacielo Lancia di Torino progettato poco prima (1953) da Nino Rosani con Gio Ponti e caratterizzato da un prospetto simile e un’analoga pianta fusiforme. Come si evince dalla lettera del 16 maggio 1955 indirizzata al Ministero, Rusconi preferì la soluzione “A” «sia per la forma a esagono schiacciata che farebbe apparire la mole meno rigida sia per la stesura architettonica della facciata»13.
Poco dopo (25 luglio 1955), anche a seguito dell’intervento della
Stefania Filo Speziale
“LA CASA DI ABITAZIONE”
Oltre che sul tecnigrafo, una parte importante della ricerca di Filo Speziale si svolse nelle aule universitarie. Nell’ambito dei corsi che tenne dal 1937, anche in occasione del concorso a cattedra del 1953 al Politecnico di Milano in “Caratteri distributivi degli edifici”, materia di cui divenne come noto ordinaria nel 1955 nella Facoltà di Architettura napoletana1, Filo Speziale elaborò una serie di testi: le dispense “Scuola e architettura”, “I musei”, cui seguirono i suoi due libri “La casa di abitazione” e “Del Corso di Caratteri Distributivi”2 “La casa di abitazione” uscito nel 1953 per la storica casa editrice napoletana Fiorentino rappresenta una bussola per comprendere il tipo di studi e l’approccio che l’architetta aveva consolidato su questo argomento nel momento forse più prolifico della sua attività professionale. Il filone cui si rifà è quello del taylorismo applicato alla casa, dello studio dei percorsi, delle superficie libere, delle visuali e della luminosità. Con le sue parole: «Perché le abitazioni diano quel senso di comodità, di luminosità, di facile traffico e di rendimento economico […] alcuni architetti studiosi del problema della casa, fra i quali sono da citare i primi, il Taut e il Klein, hanno osservato quali sono gli accorgimenti di fattori da tener presente […]. La prima analisi consiste nello studio dei percorsi, poiché il loro perfetto ordinamento permette di eliminare il dispendio di energie; segue lo studio delle superfici libere, lo studio che va collegato con l’arredamento, e che permette di osservare maggiore o minore effetto di ordine e di spazio»3. Soprattutto per le case economiche,
un ambito chiaramente distinto da quello delle “civili abitazioni” destinate alle classi medie e medio-alte, è forte il richiamo agli imperativi igienici di matrice razionalista, anche nel suo manuale considerati uno strumento di emancipazione della condizione femminile. Il testo cita “Das Einfamilienhaus” (1934) di Alexander Klein4, “Ein Wohnhaus” (1927)5 e “Die neue Wohnung” (1924)6 di Bruno Taut che poté leggere in lingua originale, prima della loro traduzione in italiano. Si noti, inoltre, che nell’ultimo volume di Taut pubblicato in edizione originale con il sintomatico sottotitolo “Die frau als schöpferin” (la donna come creatrice) vengono citati ampi brani tratti da “Household Engineering: Scientific Management in the Home” (1919) di Christine Frederick 7 . Nel libro di Filo Speziale il nesso tra la razionalizzazione dell’alloggio e l’emancipazione della donna è esplicitato in riferimento alla condizione di arretratezza dell’Italia rispetto ai paesi nordici, tra cui cita Svezia, Finlandia e Russia. Nell’affrontare il tema degli alloggi collettivi e quindi dell’esternalizzazione degli impianti preposti ai servizi di lavanderia e di cucina, l’architetta denuncia infatti che nel Bel Paese all’inizio degli anni Cinquanta la donna se sposata aveva enormi difficoltà a lavorare fuori casa: «I pochi esempi di mogli e madri aventi una professione sono costrette a moltiplicare la servitù per ottenere uno sgravio sensibile alle loro mansioni»8. Si dilunga, inoltre, nella descrizione della cucina, un ambiente centrale nella trattatistica soprattutto femminile: «Per poter proporzionare il vano alle necessità, l’architetto studierà questo ambiente tenendo presente la collocazione dei mobili, per garantire anche il buon traffico e un buon andamento del servizio. Per questo occorre che la massaia compia tutte le operazioni necessarie alla preparazione del cibo tenendo a portata di mano roba e utensili con ordine logico, evitando la stanchezza di passi inutili»9.
I mobili cui Filo Speziale fa riferimento sono ancora artigianali e nella disposizione si alternano ai primi elettrodomestici, tra cui il frigidaire e quelle che lei chiama “macchine per lavare”: «fabbricate ora anche da ditte italiane, sono azionate a gas o elettricamente per la produzione dell’acqua calda ed avviate da un piccolo motore elettrico […] arrivano a lavare 3 kg di biancheria in 10 minuti, senza rovinarla in alcun modo»10. La distribuzione di una cucina tipo, invece, ricorda molto la cosiddetta “cucina di Francoforte” anche se
Stefania Filo Speziale
LE PALAZZINE IN VIA NEVIO
Già dal 2017 nell’ambito di una serie di pubblicazioni dedicata ai condomini napoletani ho descritto la genesi del progetto delle palazzine dell’impresa Mep in via Nevio a Posillipo iniziato da Francesco Di Salvo nel 1954 e completato dallo Studio Filo Speziale a partire dal 19551. Documenti archivistici rivenuti presso la Soprintendenza di Napoli relativi al più esteso complesso residenziale Mep permettono di dettagliare ulteriormente la storia di queste ed altre palazzine progettate da Filo Speziale che declinano in maniera emblematica il tema dell’abitazione moderna napoletana in relazione al paesaggio.
Il primo progetto di lottizzazione per l’aerea sottoposta a convenzione tra il Comune di Napoli e la Speme (Società Edilizia Moderna ed Economica)2 è firmato da Francesco Di Salvo nel 1948, cui si deve il planivolumetrico per un grande complesso residenziale ubicato su di un terreno in forte dislivello e composto da palazzine “in linea”, di impianto marcatamente razionalista, poste in senso trasversale alla pendenza, con ampie balconature aperte verso il golfo3.
Il terreno estremamente panoramico divenne ben presto oggetto di numerose transazioni da parte di imprese non solo locali che ne fiutarono l’altissimo valore immobiliare. Ripercorrere brevemente le vicende legate alle compravendite può essere utile per riportare al clima di forti pressioni speculative ma anche di grande domanda di alloggi per la classe medio-alta, in cui vengono coinvolti i migliori
progettisti dell’epoca, approdando a soluzioni di alta qualità.
Risale al 1951 la suddivisione del suolo per il quale era stato precedentemente redatto il piano di Di Salvo in due lotti divisi dal tornante della via pubblica di parco Angelina e ceduti dalla Speme rispettivamente al conte Adolfo Fossataro e al principe Antonio de Curtis, meglio noto come Totò4
La società napoletana di Fossataro dal suggestivo nome “La Panoramica” faceva parte del gruppo Cofimprese (Compagnia Finanziaria per le Imprese di Costruzione e di Ricostruzione). La finanziaria edile era stata fondata dopo la guerra dal conte con Luigi Moretti e aveva al suo attivo le Case albergo a Milano – in via Corridoni (1946-51), in via Bassini (1946-53) e via Lazzaretto (1947-53) – nonché la nota palazzina “Il Girasole” (1947-50), progettata dallo stesso Moretti in viale Bruno Buozzi, nel quartiere Parioli a Roma, dove vivevano sia Fossataro che Totò, nonché Ingrid Bergman e Roberto Rossellini.5
F. Di Salvo, G. Di Simone, palazzine Mep, planimetria generale, 1954 (ASABAPACNa).
A fianco, dall'alto Studio Filo Speziale, edificio C, pianta alla quota delle residenze, 1958 (ASABAPACNa).
Studio Filo Speziale, planimetria generale Mep, 1958 (ASABAPACNa).
Studio Filo Speziale, edificio D, schizzo assonometrico (ASABAPACNa).
Stefania Filo Speziale
si aggrega la copertura giardino pensile; lo è di più all’estero dove la più estesa adozione della casa sviluppo verticale ha portato a questo criterio di divisione degli alloggi»10
L’invenzione tipologica dell’architetta raggiunse come sempre livelli non sempre compresi da tutti, come si apprende dai documenti inoltrati alla Soprintendenza che contestano la definizione di “villino” per questo tipologia di alloggi, su cui il sovrintendente Pacini segna un appunto: «Chiurazzi parliamo di quanto è qui esposto»11. La Soprintendenza bloccò i lavori, ma a seguito di una serie di varianti redatte nel 1957 da Filo Speziale e soci la sagoma, l’altezza e la collocazione dei villini cambiò per venire incontro alle prescrizioni di Pacini12.
Non essendo stati rinvenuti i disegni esecutivi possiamo solo ipotizzare che lo Studio Filo Speziale non si sia occupato della loro redazione, non raggiungendo l’edificio i livelli di accuratezza del non lontano Palazzo Della Morte, cui pure allude per invenzione tipologica e per l’uso delle passerelle. Sta di fatto che oggi l’edificio si presenta come una sintesi dei progetti di Catello e di Filo Speziale, poiché lo schema planimetrico del primo sembra non aver recepito tutte le variazioni introdotte dal secondo per ciò che concerne l’ingresso e la chiostrina sul retro.
Il prospetto principale invece risulta molto simile a quello delineato nel grafico di Filo Speziale nel 1956, con il sistema di logge continue sopra il basamento rivestito in pietra. Sull’attico sono state realizzate le due ville, ma purtroppo una serie di superfetazioni rende pressoché illeggibile la chiarezza delle loro piante dalle linee spezzate e non regolari e delle volumetrie studiate proprio per garantire la migliore integrazione con il paesaggio, nonché il sistema di terrazze unite da passerelle.
Sembra un destino crudele quello di non vedere mai realizzati i progetti originali dello Studio Filo Speziale, vuoi per le modifiche amministrative, vuoi le manomissioni che si sono stratificate nel tempo, cui la ricostruzione dell’iter progettuale può purtroppo apportare solo tardivo e molto parziale rimedio.