The affective city. Abitare il terremoto

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█ INTRODUZIONE 009 ABITARE IL TERREMOTO Federico De Matteis █ ROVINE, RICOSTRUZIONI 025 RICOSTRUIRE E RIABITARE DOPO IL TERREMOTO Simona Salvo 039 L’AQUILA DUE VOLTE Città parallele e tempo di confine Ilaria Spaziani █ ATLANTE DEI TERREMOTI 053 LO SPAZIO-TERREMOTO Una topografia affettiva Federico De Matteis █ IMMAGINI SENTIMENTODEL 139 ATMOSFERICHEIMMAGINI Esplorazioni fotografiche nel centro storico dell’Aquila Federico De Matteis, Fatima Marchini 157 TOPOGRAFIE DEL TRAUMA La corporeità del paesaggio nelle forme della catastrofe Isabella Zaccagnini 167 28 SECONDI Fatima Marchini INDICE

Piero Cesaroni, Gran Sasso, 2007

INTRODUZIONE

TERREMOTOABITAREDEFEDERICOMATTEISIL

8/9 1. Lo spazio-terremoto

Questo libro esplora le fenomenologie del terremoto. Occorre tuttavia precisare che consideriamo il terremoto non tanto un singolo evento si smico, dalla durata estremamente contenuta ma dotato di una devastante potenza distruttiva, quanto piuttosto una condizione spaziale che, tra endo origine da questo momento chiaramente identificabile, si estende poi nel tempo per un periodo non altrettanto facilmente circoscrivibile. L’assunto che poniamo, dunque, è che il terremoto è in realtà uno spazio – inteso, chiaramente, non nel senso di un’estensione geometrico-fisica –che consente di essere abitato e che, come tutti gli spazi vissuti, istituisce una risonanza con i soggetti che lo incontrano. Inevitabilmente, tale ri sonanza viene condizionata dalla radice catastrofica del sisma che, anche dopo la fine delle scosse, resiste impressa in maniera permanente, come un’ombra che rimane percepibile anche quando l’oggetto che l’ha genera ta non è più presente.

La vita stessa dei territori sismici può considerarsi, in un certo senso, come un lasso di tempo fra terremoti. Non tutte le catastrofi naturali si presentano, fenomenicamente, come il sisma: si può vedere una tempesta montare sull’orizzonte marino prima che colpisca terra, o un fiume gon fiarsi di pioggia ben prima di esondare. I vulcani, inoltre, sono accurata mente monitorati, e i loro eventi eruttivi vengono pronosticati con una certa accuratezza. Il terremoto non consente anticipazione: sopraggiunge inaspettato, senza preavviso – e senza possibilità di essere previsto. Ma la scossa non è mai un evento del tutto nuovo, bensì il ritorno di un sussulto che già prima del tempo presente ha colpito le stesse terre. I lenti movi menti tellurici della crosta terrestre, le dinamiche continentali, sfuggono alla nostra percezione: il sisma, al contrario, fa vibrare prepotentemente corpi viventi e oggetti, montagne e città. Ma non è un fatto isolato, una singolarità nel tempo: è il rimanifestarsi ciclico di un movimento che, sempre presente, subisce un’istantanea accelerazione e modula la nostra affettività, tornando come un ladro nella notte.

ABITARE IL TERREMOTO

Definire il terremoto in questo modo può sembrare improprio, giac ché la condizione della terra che trema differisce, in maniera sostanziale, dalla stabile quiete del prima e del dopo. Ci pare, tuttavia, che considerare il sisma non solo un evento momentaneo bensì una condizione perma nente, consenta di ribaltare la prospettiva rispetto ai modi in cui abitiamo il territorio, come fondiamo la nostra esistenza nella relazione con luoghi e paesaggi, come siamo in grado di curare – lato sensu – gli spazi dell’a bitare. Si tratta, anche, di una diversa relazione con il tempo, che guarda al di là della singola esistenza umana, estendendo lo sguardo alle genera zioni successive, ai naturali processi di crescita e decrescita antropici e a come questi interagiscono con gli agenti non umani. Sembrerebbe quasi

CONFINEECITTÀDUELSPAZIANIILARIA’AQUILAVOLTEPARALLELETEMPODI

L’esistenza di un filo per nulla sottile che lega lo spazio al soggetto in corda doppia è una consapevolezza diffusa, seppur con declinazioni e intensità diverse, nella riflessione architettonica dell’ultimo secolo. Il maggiore ostacolo alla considerazione di questo legame e alla sua appli cazione in ambito progettuale è probabilmente la consapevolezza della vaghezza che lo caratterizza, e la convinzione che essa equivalga all’im possibilità di gestione del fenomeno, che ne determina spesso l’irrilevan za nella pratica progettuale.

38/39L’AQUILA DUE VOLTE 1. Sulla città

Se però le variabili spazio e soggetto esistono, e se si concorda sulla loro importanza nell’ambito architettonico, non si può prescindere dal chiedersi in che modo la gestione dei fenomeni che scaturiscono dall’in terazione tra i due possa influenzare la riflessione sulla progettazione, e in particolare quella della città.

Ragionando in termini di soggetto in quanto corpo nello spazio ci si ac corge che la questione dell’esperienzialità diventa una chiave di lettura dei temi analizzati che prescinde dalla considerazione del bagaglio pregresso del soggetto nell’ambiente: non è l’eco di interazioni passate tra individuo e luogo a generare i fenomeni, ma l’essere da qualche parte (De Matteis, 2019).

In un sistema tra soggetto e ambiente di risposte affettive ad una geo grafia “semi-reale e semi-immaginaria” (Focault, 1963, p. 70), che coin volge contemporaneamente il piano espressivo e quello percettivo, “io do in prestito allo spazio le mie emozioni e le mie associazioni, e lo spazio dà in prestito a me la sua aura, che seduce ed emancipa le mie percezioni e i miei pensieri” (Pallasmaa, 2007, p. 14).

La città così intesa è sempre una città affettiva e per chiunque, e a varia re sono gli esiti delle interazioni, ovvero i tra soggetto e oggetto (Griffero, 2017): le atmosfere, i sentimenti e l’affettività, l’aura che Juhani Pallasmaa (2007) ha legato all’integrità “materiale, corporea e spirituale” della città, perché il nostro legame con lo spazio non dipende solo dalle sue pro prietà, ma anche da come esse vengono recepite, dalle modalità attraver so cui si prende parte all’esperienza nel mondo: lo spazio non è neutro, e non esiste una separazione netta tra il percepito, il costruito e il vissuto (Lefebvre, 2018).

È dalle cose del mondo, dalle forme attualizzate, che le atmosfere pro vengono, condizioni necessarie ma non sufficienti se private della dimen sione umana, dunque, tra le molteplici variabili che determinano le quali tà di queste atmosfere vi sono necessariamente anche le peculiarità fisiche dell’ambiente, che condizionano il nostro vederle1: 1. Dizionario della Lingua Italiana Treccani: “Vedére: Percepire stimoli per mezzo di

ILARIA

Fig. 2 – Via Sallustio, L’Aquila, 2018.

e l’enorme impatto che tale gesto ha sull’esperienza atmosferica se, per esempio, si esclude dalla vista (o vi si include) uno degli elementi prece dentemente considerati contraddizioni: un edificio mancante nel serrato ritmo del costruito è rilevante ai fini della resa affettiva, ma vi incide non in virtù della propria esistenza, ma solo della propria inclusione nella sfera percettiva del soggetto5 e delle modalità in cui tale inclusione avvie ne che comportano non solo una variazione atmosferica, ma anche del luogo stesso: le cose cambiano appena inquadriamo lo stesso luogo da una prospettiva topo logica (oppure semplicemente oculare) diversa. Basta osservare lo stesso pontile muovendosi qualche centimetro verso sinistra, anche alla stessa ora e con le stes se condizioni meteorologiche, per vedere l’atmosfera cambiare un po’. (Griffero, 2019, p. 138)

5. Sono inoltre rilevanti le modalità e l’intensità con cui un elemento entra nella sfera percettiva del soggetto: basti pensare alle differenti conseguenze di una visione periferica o centrata, o di una percezione visiva, uditiva o tattile sfocata a motivo di lontananza o di condizioni che indirizzano l’attenzione su altro. SPAZIANI

L’AQUILA DUE VOLTE

44/45

Fig. 3 – Via delle Bone Novelle, L’Aquila, 2021. Inoltre, lo spostamento del soggetto nello spazio ricopre un ruolo fon damentale nell’esperienza urbana più di una fissa visione poiché il con trasto tra la percezione delle due temporalità, quella circolare e quella statica, o delle incongruenze nelle due, che scaturisce attraverso il mo vimento del corpo e la transizione tra l’una e l’altra dimensione è frutto di un processo attraverso il quale il soggetto stesso veicola la variazione della propria condizione affettiva.

L’osservatore, dunque, attraverso la vitalità del proprio corpo si accor ge dell’esistenza di un terzo tempo: è il tempo del confine tra le città che coesistono a L’Aquila, quella del tempo circolare che ha veicolato un ritor no ad una condizione pre-sisma e quella del tempo puntiforme fermo da nove anni, città sovrapposte e mutevoli seppur differenti: talvolta città diverse si succedono sopra lo stesso suolo e sotto lo stesso nome […] Alle volte anche i nomi degli abitanti restano uguali, e l’accento delle voci, e perfino i lineamenti delle facce; ma gli dèi che abitano sotto i nomi e sopra i luoghi se ne sono andati senza dir nulla e al loro posto di sono annidati dèi estranei. […]

Così come le vecchie cartoline non rappresentano Maurilia com’era, ma un’altra città che per caso si chiamava Maurilia come questa. (Calvino, 1993)

ATLANTE DEI TERREMOTI

AFFETTIVAUNATERREMOTOLODEFEDERICOMATTEISSPAZIO-TOPOGRAFIA

In un libro pubblicato due anni dopo il disastroso terremoto aquilano del 2009, l’architetto Renato Rizzi propone un’interessante considerazione: L’evento tragico non accade mai al di là o al di fuori di un determinato apparato conoscitivo, e pertanto di un certo dispositivo del sapere. Natura e cultura sono sempre strettamente vincolate, nel bene e nel male. E noi, ora, siamo nel centro del nichilismo tecnico-scientifico. Distinguere perciò fin da subito emergenza e ricostruzione come se fossero due categorie temporali, significa paradossalmente subire implicitamente la loro logica analitico-scientifica. Comunque, consapevoli di questa inevitabile incongruenza, le due fasi non dovrebbero essere considerate disgiunte, ma contenute una nell’altra. Reciprocamente. […] Ma ciò che preme innanzitutto evidenziare è ancora un’altra questione, ben più radicale: la relazione tra causa e risposta, tra l’evento tragico della natura e i dispositivi della cultura tec nico-scientifica […]. Osservando i comportamenti dei due ambiti, natura-cultura, emerge una forte analogia negativa tra violenza improvvisa della prima e violenza mascherata e reiterata della seconda. […] La violenza del terremoto è impreve dibile e concentrata. Quella nichilista è prevedibile e dilatata. (Rizzi, 2011, p. 18)

In queste righe, che rappresentano una delle critiche più radicali alla ricostruzione post-sisma dell’Aquila – e di molti altri casi analoghi – Riz zi anticipa quello che oggi, a più di un decennio dal terremoto, è sotto gli occhi di tutti. Nel lungo e articolato processo le questioni politiche, economiche, tecniche e di orientamento culturale hanno preso il soprav vento, sostanzialmente escludendo qualsiasi considerazione relativa alle dinamiche dello spazio umano (De Matteis, 2019a). La sensazione che viene avvertita trasversalmente sia dai residenti sia dai visitatori occa sionali è che, sebbene la ricostruzione del nucleo storico della città abbia compiuto grandi passi avanti, la vita che un tempo si svolgeva fra le sue strade è ancora ben di là dal ritornare. Più precisamente: la progressiva riapertura delle attività commerciali ha riportato in città il traffico di per sone nelle ore diurne, ma la quasi totale assenza di popolazione residente fa sì che lo spazio pubblico si svuoti drammaticamente al calare della sera, nonché appena al di fuori delle zone dotate di negozi. Si tratta, in sostanza, di una singolare forma di gentrificazione post-terremoto.

Altre città centroitaliane, colpite dai terremoti del 2016 e 2017, stanno vivendo un dramma ancora più bruciante. Amatrice, Campotosto, Castel luccio di Norcia, Arquata del Tronto e molti altri borghi appenninici sono quasi del tutto crollati a causa delle scosse sismiche. In molti casi, il poco che rimaneva è stato rimosso dalla Protezione Civile per motivi di sicu rezza, lasciando soltanto una tabula rasa (Fig. 1). Qui, la considerazione che sembra sottendere il post-terremoto è che la distruzione ha raggiunto una tale entità da impedire un futuro ritorno della vita umana. Qualun que forma assumeranno i centri ricostruiti, sarà comunque del tutto nuo va rispetto a quanto esisteva precedentemente, persino topograficamente LO

SPAZIO-TERREMOTO

52/53 1. Mappare le città ferite

Fig. 3 – Edificio crollato a Castelluccio di Norcia. Terremoto 2016, foto 2018. FEDERICO DE MATTEIS

62/63 uso” che offrono a specifici individui, in relazione alle loro abilità e inte ressi. Le estasi sono simili a questa nozione, riferendosi tuttavia prevalen temente ad una ricaduta emotiva più che ad un pragmatico invito all’uso. L’esperienza quotidiana ci mostra che alcuni oggetti possiedono una forte capacità di attrazione: una vettura sportiva scintillante, una pietra prezio sa o un albero maestoso possono divenire presenze “magnetiche” nella nostra dinamica percettiva. Essendo prevalentemente svincolate da fatti culturali, le estasi sono inoltre differenti rispetto al concetto benjaminia no di aura (Benjamin, 2000, p. 23).

SPAZIO-TERREMOTO

Nella descrizione delle città danneggiate, le estasi possono rivelarsi fondamentali per comprendere la dimensione materiale degli oggetti sto rici. Un edificio caratterizzato dalla presenza dei segni del tempo si ma nifesta percettivamente in un modo differente rispetto ad uno appena co struito o ricostruito. Questa differenza risulta cruciale nella ricostruzione e nel restauro, considerando che spesso entrambe queste pratiche mirano ad un sostanziale rinnovamento delle superfici materiali. In questi casi la “storicità” degli edifici viene attribuita alle loro qualità formali e cultura li, quali segni di un particolare periodo o stile. Al contrario, una patina naturale è un’espressione immediata del tempo, come emerge anche dalla nozione giapponese di wabi-sabi (Pasqualotto, 1992, p. 88). La ricostru zione, dunque può essere intesa al di là della sua accezione primaria di “rimettere in sesto”, includendo un processo di “ricostruzione emotiva” che si concentra sul sentimento prodotto dalla presenza dei materiali sto rici (Zumthor & Lending, 2018, p. 68).

Atmosfere Il concetto di atmosfera è centrale nella teoria fenomenologica di Sch mitz: con questo termine si può descrivere un’emozione effusa spazial mente che viene avvertita corporeamente dal soggetto percipiente (Sch mitz, 2011a, p. 99). L’idea – apparentemente contraddittoria – che le emo zioni non rappresentino un moto interiore e privato del soggetto, quanto piuttosto una dinamica spaziale che può essere condivisa da più individui, rimanda ad un concetto di spazio come ambito comunicativo, ovvero dove i soggetti interagiscono fra loro ponendo in comune una parte della loro soggettività. Le atmosfere sono strettamente situazionali, dato che possono comparire e scomparire istantaneamente: ad esempio, nel caso di un forte rumore minaccioso di origine incerta che modifica collettivamente il sen tire di tutte le persone che lo percepiscono, producendo una risposta cor porea. Mentre le due famiglie di fenomeni che abbiamo precedentemente discusso – le qualità gestuali degli edifici e le estasi dei materiali – sono collegati agli oggetti fisici, benché in maniera non binaria, le atmosfere non possono essere posizionate con precisione. Schmitz adotta il concetto di “spazio privo di superfici” come contrappunto alla costituzione fisica LO

Coppito L’Aquila Campotosto

Onna Paganica

L’AQUILA | 42°20’57”N 13°23’47”E ALT 1.000M | 30/06/2020

L’Aquila, in centro, è un’intersezione di atmosfere. Di strada in strada, attraversando le piazze, salendo e scendendo lungo i fianchi scoscesi del monte, ogni giorno produce sensazioni di spazio diverse. Angolo per angolo, la città si svolge camminando, lì dove il centro storico si fonde con i margini sfrangiati del tumulto moderno. Fra cantieri e gente a passeggio, silenzi notturni e frastuoni serali, spettri alle finestre e timidi mercati, qualcosa si muove fra un tempo e l’altro. Chi cammina sente questo strano spaccarsi del tempo, un continuo alternarsi di “ora” e di “prima”, a volte occhieggianti fianco a fianco. L’alba dell’Aquila ospita solo gli spazzini in giro per il Corso, la sera è dei giovani per strada. Le finestre, invece, sempre buie. Le piazze sono le case delle automobili più che dei passanti. Si senti il rumore della ricostruzione, ma non della vita. Camminiamo in cerchi concentrici, da Piazza

L’AQUILA

ATLANTE DEI TERREMOTI

94/95L’AQUILA

Rembrandt, I tre alberi, 1643

IMMAGINI DEL SENTIMENTO

MARCHINIFATIMADEFEDERICODELL’AQUILASTORICONELFOTOGRAFICHEESPLORAZIONIATMOSFERICHEIMMAGINICENTROMATTEIS

138/139 1. Una ricostruzione invisibile?

L’Aquila, 2022: la ricostruzione procede, con una moltitudine di can tieri aperti nel centro storico della città. A tredici anni dalla notte fatale del 6 aprile 2009, una parte rilevante degli edifici distrutti o danneggiati è oggi di nuovo in piedi, le facciate tinteggiate di fresco in colori brillan ti. Il corso e diverse altre strade ospitano nuovamente numerose attività commerciali, e le sere estive attraggono folle di persone per il divertimen to notturno, con non poco disappunto di quanti hanno sinora deciso di tornare ad abitare entro l’anello delle mura cittadine1. La maggioranza degli edifici residenziali è tuttora vuoto, e il centro è stato privato della presenza degli studenti universitari, che si sono spostati nella città ex tra moenia. Se – e quando – si verificherà un ritorno più consistente di abitanti nel centro dipenderà molto dalle politiche che verranno messe in atto, nonché da dinamiche economiche e demografiche indipendenti dall’orientamento delle amministrazioni. Tuttavia, nonostante il graduale ritorno alla vita urbana, l’impressione che una passeggiata per il centro della città offre al residente o al visita tore occasionale è che qualcosa non torni. Non parliamo del fatto che è sufficiente allontanarsi appena dalla zona già ricostruita per imbattersi in comparti ancora prevalentemente in rovine: più in generale, una strana atmosfera pervade il cuore della città2. Si potrebbe quasi affermare che gli edifici appena ricostruiti siano incapaci di accogliere quel legame af fettivo tra abitanti e città che è stato drammaticamente interrotto dalla catastrofe. Il carattere non-ideologico e fortemente pragmatico della ri costruzione è stato ampiamente criticato (Varagnoli, 2019), ma la sensa zione non deriva solo dalla radicale rimozione delle tracce del terremoto. Quello che si avverte è che il trauma non è stato negoziato, nessun “lutto” è stato elaborato, lasciando piuttosto spazio al diniego, all’idea ingenua che tutto possa tornare ad essere normale, come se nulla fosse avvenuto (De Matteis, 2020, p. 77). Ciò conduce a quanto potremmo definire una “mancanza di fiducia” verso lo spazio della città: per quanto ineffabile possa rivelarsi questo sentimento, potrebbe ricordare la strana sensazione avvertita da una coppia dopo un litigio furioso, che finisce per lasciare 1. A oggi, non sono disponibili dati esatti dei residenti effettivi del centro storico. Tuttavia, alcune stime si attestano intorno alle 3.500 unità, circa la metà della po polazione pre-sisma. Cfr. Comune di L’Aquila, Deliberazione di Giunta comunale n. 334 del 13.08.2019: Approvazione del “Piano parcheggi provvisorio del centro storico”, http://www.albo-pretorio.it/albo/archivio4_atto_0_335776_0_3.html, consultato il 14 luglio 2020. 2. È, questo, un fenomeno che colpisce di frequente i centri urbani colpiti dalle cata strofi. Cfr., ad esempio, Steiner, 2011, p. 55.

IMMAGINI ATMOSFERICHE

Queste immagini – ad eccezione della prima, che testimonia la presenza, qualche ora prima della scossa distruttiva, di una sfera psichica ancora vibrante pur se in tensione – costituiscono frammenti di un arco temporale consecutivo di 365 giorni contrassegnato non più dalla paura ma dalla catalessi Viaemotiva.viache l’esercizio grafico è proceduto nel tempo, allontanandosi dall’impatto vivido del terremoto, il silenzio sordo ha lasciato il posto ad una febbricitante e conflittuale conversazione interiore che, con quieta rassegnazione, produce talvolta ancora oggi nevrotici strascichi.

MARCHINIFATIMASECONDI

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La serie di 28 disegni che segue è estratta da un diario per immagini realizzato lungo l’anno successivo al terremoto del 6 aprile 2009 a L’Aquila, durato, appunto, 28 fatali secondi. Trovandomi improvvisamente impossibilitata ad esprimere qualunque tipo di emozione – non solo in forma verbale ma anche in forma scritta – a causa di quello che è stato poi diagnosticato quale disturbo post-traumatico da stress, ho presto realizzato che la musica e il disegno erano gli unici due modi efficaci che avevo per attutire da una parte e dissipare dall’altra un vuoto interiore sorto in maniera improvvisa e una affettività tanto anestetizzata quanto compressa. Sostare con un taccuino di fronte alle macerie di uno spazio quotidiano prima di allora dato per scontato e ritrarre ogni scena, con dovizia di particolari o piuttosto con resa solo metaforica di quanto soggettivamente registrato, è stato il tentativo disperato di tornare a sentire l’eco di un battito animico spaventosamente assente dentro di me a partire da quella notte.

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