

INDICE
PREFAZIONE
Ovvero sull'importanza dello studio
della forma / Silvia Gron e Elena Vigliocco
COMPOSIZIONE è GEOMETRIA
Introduzione / Massimo Camasso
Lavorare per modelli / Elena Vigliocco
Lavorare per layer / Massimo Camasso
Lavorare sulla serie / Silvia Gron
COMPOSIZIONE e PROGETTO dell'ARCHITETTURA
Introduzione / Silvia Gron
Citare / Elena Vigliocco
Aggiungere / Silvia Gron
Contrastare /Massimo Camasso
COMPOSIZIONE e PROGETTO della CITTÀ
Introduzione / Elena Vigliocco
Riformare / Silvia Gron
Estendere / Elena Vigliocco
Trasfigurare / Massimo Camasso
POSTFAZIONE
Ovvero il piacere dello (stra)ordinario / Elena Vigliocco

[1] Particolare del Convento di Santa Maria de La Tourette a Èveux in Francia. Opera di Le Corbusier del 1956-60.

«[...] ciò che a mio avviso Le Corbusier perseguiva era dimostrare che la fruizione delle forme nella loro immediatezza, se le percepiamo senza pregiudizi culturali, ci permette di conoscere ciò che un edificio vuole dirci, ciò che un'architettura è. Se ammettiamo che questa ipotesi è frutto di quanto Ronchamp suggerisce, dobbiamo chiederci: è giusto avvalersene? Le forme possono di per sé contenere un significato?»
R. Moneo, Ronchamp, 2023
Silvia Gron e Elena Vigliocco
PREFAZIONE
Ovvero sull'importanza
dello studio della forma
«L’architettura è il gioco sapiente, corretto, magnifico dei volumi sotto la luce […]. Mediante l’uso dei materiali grezzi deve stabilire rapporti emotivi […]. L’architettura è arte nel senso più elevato, è ordine matematico, armonia compiuta grazie all’esatta proporzione di tutti i rapporti»
Le Corbusier, 19231
Nel
2012, Maria Paola Orlandini intervista Enzo Mari che espone una critica pungente ed esplicita su come nelle scuole venga insegnato il progetto2. La convinzione di Mari è che oggi la progettazione, intesa come disciplina fondata sullo studio, sia stata sostituita da una idea romantica di creatività piegata dai tempi e dalle logiche funzionali imposte dal mercato. Lo studio del “sapere per saper fare” sarebbe stato cancellato e sostituito dall’illusione dell’invenzione senza fatica che produce mediocrità. Asserendo che «la conoscenza del mondo è basata sulla storia» e che «nella storia è implicito il futuro», egli auspica invece che il lavoro del progettista contemporaneo possa essere assimilato a quello di un interprete musicale che «continua a provare e riprovare la qualità di quel certo accordo». Richiamare questa intervista a Mari è per noi richiamare le ragioni che già in passato ci hanno spinti nello studiare e nello scrivere sul lavoro di alcuni autori e delle loro opere. Nella letteratura sull’architettura esiste, infatti, un genere di studi interamente incentrati sulla genesi di un singolo progetto, realizzato o meno. Per lo più, si possono osservare due traiettorie di indagini: la prima è quella degli storici, che ricostruiscono in modo ordinato la genesi delle opere a partire dall’esame delle fonti; la seconda è quella dei progettisti di architettura che studiano le opere di altri architetti alla stregua di un testo scritto, come nel caso – in ordine cronologico – dello studio di Peter Eisenman su Giuseppe Terragni3, di Herzog & de Meuron su Mies van der Rohe4 o, recentemente, di Rafael Moneo su Le Corbusier5. Al di là della consistenza dei materiali esaminati, ciò che distingue il modo di lavorare di queste due categorie di studiosi è l’intenzione. Mentre lo storico ha un interesse scientifico per l’opera in esame e il suo obiettivo è documentale, il progettista studia l’opera di architettura per ragioni strumentali e pratiche servendosi, per lo più, del disegno. Nei suoi appunti scritto-grafici raccolti nei suoi quaderni di viaggio6, fedele alla tradizione dei grandi viaggiatori ottocenteschi, Le Corbusier accumula osservazioni, calcoli, disegni di opere e progetti e annotando scrupolosamente i suoi incontri, le esperienze, le riflessioni che poi sarebbero riemerse all’occorrenza. Copiare dal vero è il primo degli esercizi
LAVORARE PER MODELLI
LAVORARE PER LAYER
LAVORARE SULLE SERIE
COMPOSIZIONE è GEOMETRIA



1. Costruzione geometrica della sezione aurea. La sezione aurea o rapporto aureo o numero aureo o costante di Fidia o proporzione divina indica il numero irrazionale 1,6180339887... ottenuto effettuando il rapporto fra due lunghezze disuguali delle quali la maggiore a è medio proporzionale tra la minore b e la somma delle due (a + b): a + b a def a b ϕ = =
l’architettura, prima di essere un fatto costruttivo, è un progetto, misurare, rappresentare, verificare e modificare sono le necessità insite nel progetto stesso: attraverso gli strumenti della geometria descrittiva e del disegno geometrico, tale progetto si confronta con i fattori della fattibilità costruttiva.
«Noi guardiamo la forma con occhio analitico, riconosciamo la sicurezza delle scelte, ma la nostra attenzione è attirata piuttosto dalla coordinazione che regola tali scelte: cioè a dire dall’ordine che presiede alla disposizione delle parti e degli elementi. E la forma in quanto tale ci interessa solo perchè ne è il risultato»2
Architettura come espressione di una “certa” composizione che nella citazione è sinonimo di ordine e coordinazione delle singole scelte e della disposizione delle parti. Se ci riferissimo alle caratteristiche più evidenti degli impaginati della facciata e alle proporzioni assegnate alle sequenze delle bucature e delle aperture, la composizione potrebbe essere vista e interpretata come una sequenza più compressa e serrata o – all’inverso – più rarefatta e dilatata, o, come spesso accade, come composta alternanza di sezioni e partiture differenti. Come in un brano musicale, le sezioni che ne costituiscono l’insieme, le varie parti che suoneranno poi insieme, sono “composizioni nella composizione”. Termini come “ritmo”, “metrica”, “ripetitività”, “serie”, “sequenza” riconducono al tema della relazionabilità tra le diverse parti costituenti, come ad una condizione di tipo fondamentale; come un sistema di norme destinate a regolare la composizione, in un insieme organico, di elementi ciascuno in sè definito.
«La struttura, nella musica è la sua divisibilità in parti sempre maggiori, dalle frasi alle lunghe sezioni. La forma è il contenuto, è la continuità. Il metodo è il mezzo per controllare la continuità di nota in nota. Materiali della musica sono il suono e il silenzio. Integrarli significa comporre ... John Cage ha sostituito una relazione aritmetica fra le durate dei suoni alle tradizionali relazioni aritmetiche fra le loro altezze. Egli ha isolato il ritmo come elemento compositivo e gli ha dato un’indipendenza che prima non aveva»3.
L’analogia che mi permetto di adoperare tra l’architettura e la musica trova il suo fondamento concettuale nel fatto per cui la musica è scritta con una notazione particolare e specifica, – con un “linguaggio” autonomo – per essere riprodotta ed eseguita da altri e non per forza esclusivamente dal musicista che la compone; allo stesso modo l’architettura è trascritta, tradotta e annotata con un linguaggio autonomo in un progetto che ha come fine la sua costruzione attraverso l’intervento di tecnici e maestranze che non sono coloro che hanno progettato l’opera.
Potremmo indicare le parti costituenti di una composizione musicale come quelle unità minime che emergono pensando l’insieme della composizione come sommatoria di diverse tracce e partiture. Esattamente come nell’esecuzione di orchestrali, ogni musicista possiede la partitura singola mentre il direttore d’orchestra “vede” il disegno generale e conosce l’insieme della composizione e quindi le leggi che la governano. Se isolassimo allora le singole tracce dei musicisti potremmo far emergere il progetto delle pause, degli “a solo” e delle variazioni che ogni musicista compie; allo stesso modo, nel caso specifico dell’architettura e della composizione di un edificio, si evidenzierebbe lo spartito delle aperture, la sequenza ritmica degli aggetti e delle rientranze, la continua scansione di certi elementi costruttivi e portanti, la profondità di certi sfondati, fino ad arrivare alla modularità degli elementi di finitura.
Questo lavoro di smontaggio, di riconoscimento e di ridisegno delle singole partiture ha un senso “formativo e pedagogico” solo se fatto per cercare di comprendere i rapporti che intervengono tra gli elementi di uno stesso gruppo; la ricerca da compiere è quella di scoprire le relazioni che strutturano le singole parti per definirne l’insieme, quasi come a ricercare ogni volta i tracciati guida della composizione. Che si parli di musica o che invece ci si riferisca all’architettura, l’interesse principale è sempre orientato verso la scoperta dei modi in cui si relazionano tra loro le singole parti per definire “quella” specifica e precisa composizione.


molteplicità di forme sviluppate; un tentativo per un approccio umanistico all’architettura e alle sue forme, dove la conoscenza storica gioca un ruolo importante al pari dell’invenzione stessa. A dimostrazione del metodo seguito dall’architetto tedesco si propone di seguito l’analisi di progetti elaborati per le case di abitazione sulla Ritterstrasse a Marburg6 e per l’isolato residenziale in Köthener Strasse a Berlino. Questi progetti sono stati scelti sia perchè esemplificativi dell’approccio progettuale adottato, sia perchè, chiari nell’esposizione teorica e metodologica, meglio esprimono i risultati del metodo che concepisce la geometria e la forma come prodotto di un ragionamento di astrazione, a priori, e che nel progetto si adattano alle specifiche realtà contingenti7 Seguendo l’ordine cronologico e iniziando dal progetto delle case di Marburg, è necessario puntualizzare alcuni aspetti morfologici e tipologici della piccola città in modo da comprendere i ragionamenti elaborati dal progettista. Essa si caratterizza per la presenza di unità residenziali formalmente autonome, cioè dove è evidente la presenza di un linguaggio architettonico spiccatamente individualizzato. Le case presenti nella parte più antica della città sono differenti non solo per dimensioni ma anche per l’articolazione delle facciate e per gli strumenti espressivi impiegati. Marburg si mostra per il suo susseguirsi apparentemente casuale, ma nella realtà ordinato, di volumi e forme, di corpi edilizi e facciate, di materiali e particolari differenti. In questa situazione l’immagine della città può essere sintetizzata come un “tutto molteplice”8 dove ciascun fabbricato, che compone il mosaico dell’agglomerato urbano, resta comunque leggibile e individuabile nella sua identità; questo è l’aspetto connotante la città, il cui linguaggio formale non è univoco bensì caratterizzato dalla molteplicità di aspetti formali presenti. Se ciò è vero per la città, assimilabile a un macrocosmo, ciò si rivela anche nel microcosmo del singolo isolato: la successione di edifici differenti per forme, dimensioni e materiali fanno sì che l’isolato sia omologo alla città. Pure nella differenziazione di particolari e di materiali, la permanenza del principio base unitario della casa unifamigliare costituisce l’elemento ricorrente e denominatore comune delle architetture civili.
3. Frammento Roma interrotta di Colin Rowe del 1979.
2. Schema compositivo della Enschede Student Housing di Ungers del 1964.

4. Studi per la ricomposizione dell'isolato interrotto in Ritterstrasse a Marburg.
Negli anni settanta del Novecento, in un periodo in cui la città si stava svuotando, cioè in un momento in cui la borghesia si stava trasferendo fuori città in virtù delle migliori qualità ambientali offerte dalla campagna e dalla possibilità di acquistare immobili isolati, Marburg mette in atto politiche immobiliari volte al soddisfacimento dei desiderata di coloro che erano disposti a trasferirsi fuori città: per questa ragione, e in accordo a quella che è la composizione morfologica della città, gli strumenti urbanistici in vigore prevedono la realizzazione di corpi di fabbrica isolati9 e in quest’ottica, nel 1976, la città affida uno studio meta-progettuale di intervento a Ungers: quanto chiesto non è il progetto eseguibile del completamento di un isolato urbano bensì l’individuazione di alcune linee guida per l’istruzione di programmi di sviluppo residenziale10. L’area su cui viene sviluppato il progetto è situata nel cuore del centro cittadino ed è delimitata, a est, da un’area mercatale, a sud, dalla Steingasse e, a nord, dalla Webergasschen
[1] OMU e Stefan Schroth, stazione di pompaggio, AltMoabit, Berlino 198788. © 2023


[2] Casa al Checkpoint Charlie, angolo del "blocco 5", tra la Friedrichsrasse, la Kochstrasse e la Charlottenstrasse. La stratificazione dei layer che compongono la facciata è governata dallo stesso principio di sovrapposizione della planimetria; trasformata in una notazione e un rimando, la facciata permette di vedere solo quello che una vista zenitale permetterebbe. © 2018

l’architettura è concepita non come evento che ha un inizio e una fine ma come prodotto di un pensiero che subisce le suggestioni del passato e che già contempla la possibilità di essere trasformato in futuro23. Più immediate sono invece le assonanze formali tra le opere dei due architetti catalani. In particolare, dal confronto tra il Parco Diagonal Mar e il Parco Güell, piuttosto che del Mercato di Santa Caterina con la Casa Batlló (1904-1906) o la Cripta della Colonia Güell (1898-1914), emergono due importanti assonanze. La prima, relativa alla frammentazione di forme, di spazi e della loro articolazione reciproca. La seconda, nell’uso di masse, o piani, morbidi o spezzati che vengono enfatizzati per mezzo della varietà dei materiali tra loro accostati e del colore.
Ma se Gaudí restituisce forme cariche di solidità materica, aulica nell’enfasi, EMBT usano le superfici policrome come arazzi ornamentali. A questo proposito, se osservando le opere di Gaudí si può notare il loro profondo legame scultoreo con la terra, quasi a provenire da questa, le due opere di EMBT sembrano legarsi più con l’aria: se nel primo caso prevale la dimensione solida e statica dell’architettura, nel secondo prevale la dimensione dinamica del piano bidimensionale e della linea: da un lato, le masse murarie, dall’altro, la leggerezza delle superfici. Queste considerazioni sono rese evidenti alla luce del fatto che il modo di lavorare di Gaudì è “manuale” nel senso più profondo del termine, letteralmente fisico e per nulla metafisico24. I materiali impiegati sono quelli appartenenti alla tradizione catalana che però vengono utilizzati in modo scultoreo. È come se l’architetto li utilizzasse per plasmare le forme più che per rivestirle: le colonne, i muri, le coperture, più che rivestiti in ceramica sembrano costruiti con l’impiego di un composto plastico, mescolato a frammenti ceramici, che nelle mani dell’artigiano è stato forgiato. Inoltre, così come nella tradizione catalana, i pavimenti sono veri e propri arazzi colorati tessuti con la ceramica. L’architettura di Gaudì eleva la ceramica a essere il più diffuso all’interno delle sue architetture non solo per ciò che riguarda gli interni ma anche negli esterni, per le pareti verticali e per le pareti orizzontali o in curva. Proprio per queste ultime, per riuscire a realizzare superfici il più possibile lisce, le ceramiche

[5] Edificio residenziale nel quartiere Borneo di Amsterdam, progetto di EMBT del 1996. © 2018

vengono frantumate diventando reperi. A questo si somma il colore e, soprattutto negli esterni, i materiali utilizzati vengono impiegati in funzione del loro cromatismo: la pietra grigia, il laterizio rosso, l’intonaco neutro – bianco negli interni25 –, il legno naturale. Solo la ceramica si tinge di colori più accesi e saturi. Diversamente l’approccio di EMBT alla materia non è ragionato per corpi solidi ma per superfici e linee. Sicuramente in questa interpretazione influisce il pensiero costruttivo contemporaneo che tende a concepire la costruzione come composta di strutture principali e secondarie, in cui si trovano tamponamenti e superfici vetrate. Tuttavia, da una lettura della produzione di EMBT è ricorrente il tema della successione di piani e superfici (coperture e tamponamenti) che si appoggiano a linee di tensione fluide (pilastri)26


[3] Nella pagina accanto, Borneo Island in Amsterdam. © 2017
condotto alla formulazione di un atteggiamento progettuale che propone il recupero, da un lato, dei registri formali del passato, dall’altro, degli atteggiamenti culturali legati alla disuguaglianza e all’esclusione. Questo modello propone ambienti urbani spesso isolati rispetto all’intorno in cui è enfatizzato il senso di esclusione di coloro che stanno “fuori”. La tensione dentro/fuori è quella che più caratterizza i risultati di queste procedure: progetti urbani profondamente coerenti al loro interno, che rischiano di scivolare nell’omogeneità, ma assolutamente in antitesi con l’ambiente urbano circostante, rifiutato a priori. L’azzardo di questo tipo di atteggiamento, che pure produce ambienti urbani molto ambiti perché spesso fisicamente isolati e quindi protetti, come accade nei casi delle città di nuova fondazione olandesi o americane, è quello di realizzare porzioni di città esclusive all’interno della città di tutti: un rischio che, filologicamente, riporta alla memoria la storia dei ghetti. Adottare uno di questi tre atteggiamenti – continuità funzionale e formale, continuità funzionale, rifiuto del modello contemporaneo – comporta sempre accettarne i rischi. Nessuno dei tre modelli interpretativi è preferibile agli altri due. Lo spunto è quello di ripensare la città, perché possa continuare a vivere esercitando la lezione della sua memoria ed essere l’espressione più compiuta di una società civile che vuole proiettarsi, nell’incertezza della sua identità contemporanea, verso l’ignoto dei futuri possibili45. A questo proposito, potrà sembrare retorico citare Italo Calvino ma è opportuno ricordare che solo per mezzo della conoscenza, della sperimentazione continua e della consapevolezza del proprio operare è possibile costruire “città vivibili”46.

