Temi di architettura. Una nota iniziale.
Questo libro è parte di una collana dedicata ai temi di architettura; più specificatamente è dedicata alla frugalità, al kitsch, alla fragilità, alla stilizzazione, alla convenzionalità, alla nudità e al manierismo. Sette temi utilizzati come dispositivo per comprendere la nostra epoca, il suo gusto e il suo sentire fatto di infatuazioni e idiosincrasie, di aspirazioni come anche di inevitabili frustrazioni. Come si sa i temi prendono forma in diversi modi i quali dialogano tra loro per accostamenti, analogie e metafore. Nelle diverse espressioni tematiche riconosciamo delle apparizioni, delle ricorrenze, come anche degli slittamenti semantici che nel tempo hanno prodotto delle vere e proprie metamorfosi ed è proprio questo andamento il nucleo di interesse della collana.
L’analisi per temi non è una novità. Nella seconda metà del secolo scorso Hans Sedlmayr ha incentrato il suo libro Perdita del centro sull’analisi tematica. Egli ha così analizzato la modernità attraverso determinati temi: la fabbrica, il museo, il teatro, il monumento architettonico figurativo, la casa popolare, il giardino all’inglese. Mediante essi Sedlmayr intendeva cogliere, da buon hegeliano, lo spirito di un’epoca da lui considerata, non senza forzature, una morbosa patologia. A prescindere dalle conclusioni a cui Sedlmayr è giunto, la sua analisi possiede ancora il fascino delle letture a volo d’uccello, di grande respiro, che hanno il coraggio di rifuggire quel
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debilitante relativismo, oggi soverchiante, che considerando solo i particolari avvilisce la narrazione generale, ovvero la narrazione critica. Leggendo il libro di Sedlmayr abbiamo infatti la sensazione di riappropriarci del dibattito e questa riappropriazione nasce proprio da quell’analisi tematica che appare come il necessario preludio a qualunque teoresi. Preludio senza il quale le forme, inseguendo loro stesse, scivolano inevitabilmente nell’entropia.
È da notare che i temi di Sedlmayr erano specificatamente architettonici, tanto che in alcuni casi (la fabbrica, il museo, la casa popolare) corrispondevano a dei tipi edilizi. I temi presi in considerazione in questa collana invece non sono specificatamente architettonici, bensì estetici, nel senso che coinvolgono contemporaneamente diversi campi espressivi. Il kitsch o la frugalità a esempio prendono forma non solo in un’architettura, ma anche in un’opera d’arte, in una performance, in una pièce di teatro, nella moda e non ultimo nel costume. La scelta di allargare l’analisi tematica, e di conseguenza l’analisi iconografica, deriva dal fatto che le visioni a volo d’uccello, come ci insegna Fernand Braudel, non possono restringersi a uno specifico, ma devono allargare i loro orizzonti diventando il più possibile inclusive: devono, come andava affermando George Kubler, «allargare il più possibile il portone di ingresso».
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Quanto il lettore troverà scritto deriva dalle lezioni svolte presso l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia, presso la sede di Roma della Cornell University e presso l’Università della Navarra a Pamplona, istituzioni a cui devo un sentito ringraziamento. Ringraziamento che estendo alle biblioteche dello IUAV e della Sede di via Flaminia dell’Università La Sapienza di Roma. Per ultimo ringrazio Franco La Cecla che mi ha fatto capire che il kitsch è una fissazione occidentale.
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Le opere d’arte prive di gusto nascono allorché coloro i quali non hanno mai conosciuto il fine dell’arte ne possiedono tuttavia i mezzi e con essi giocano senza costrutto. Gli esempi più evidenti di ciò li offre l’architettura»1.
Arthur Schopenhauer
Tutto ciò che è kitsch non è soltanto kitsch»2.
Susan Sontag
Per comprendere il cattivo gusto ci vuole molto buon gusto»3.
John Waters Jr
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Aveva ragione Paul Valéry ad affermare che il buon gusto altro non è che il risultato di una sovrapposizione nel tempo di innumerevoli cattivi gusti4. Aveva ragione perché lo stesso si potrebbe affermare per il cattivo gusto che altro non è che la sovrapposizione nel tempo di innumerevoli buon gusti scaduti o se non altro deteriorati5. Un paradosso quello di Valéry che inquadra il kitsch nella giusta prospettiva: quella delle questioni irrisolvibili. Il kitsch, e su ciò aveva ragione il teologo Romano Guardini, è endemico e infestante6. Esso è parte integrante e strutturante la nostra civiltà fino nei suoi recessi più reconditi, lo è nella vita pubblica come in quella privata7. L’accordo sul kitsch, come per altro quello sul buon gusto, varia nel tempo, ma varia relativamente: in alcuni casi esso rimane sé stesso, basti pensare al bric-à-brac o ai gadget, in altri invece presenta in forme del tutto nuove8. Nella contemporaneità ad esempio appare in forme sempre più deboli, subdole e sfuggenti, ben diverse da quelle chiassose del passato. Un kitsch allentato dunque, di sfondo ma sempre più pervasivo, possibilmente ancora più infestante. Oggi, ancor più di ieri, è necessario fare i conti con il kitsch in quanto proprio attraverso questo confronto mettiamo alla prova la nostra tempra estetica in quella che può essere considerata la più dura delle prove.
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2. Giambattista Piranesi, Camino egizio sormontato da due grandi obelischi, tratto da Diverse maniere d'adornare i cammini ed ogni altra parte degli edifizi desunte dall'architettura egizia, etrusca, e greca, Firmin Didot Frères, Parigi, 1836. © Istituto centrale per la grafica. Fondo Piranesi
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moderna, almeno come l’abbiamo conosciuta finora. Prendiamo di Piranesi le incisioni dedicate ai camini. In esse la struttura del camino è alquanto rigorosa, tendente all’elementarismo geometrico neoclassico. Su di essa Piranesi appone senza inibizioni apparati decorativi densissimi ed eclettici, spesso tendenti all’esotico, in cui spesso appaiono quegli stilemi dell’antico Egitto che andavano di moda ai suoi tempi e che inaugurano la lunga stagione dell’esotismo ottocentesco che in seguito, annoiato dall’Egitto, si rivolgerà al Giappone. Piranesi esalta la decorazione e lo fa senza pregiudizi. Lo fa con innegabile spudoratezza, ma la sua decorazione, come ci ha raccontato Manfredo Tafuri, è priva di contenuto, se non quello di assecondare i gusti e le bizzarrie del pubblico23. Da Piranesi in poi la decorazione andrà alla ricerca non di forme, facilmente ottenibili da un mercato sempre più ricco, ma dei pochi contenuti rimasti disponibili. I decorativi architetti Art Nouveau o Jugendstil, e prima di loro Ruskin, cercheranno di colmare il vuoto contenutistico adducendo ragioni di carattere sociale e politico. A loro avviso la decorazione andava salvata e incentivata in quanto rappresentativa di quella libertà espressiva artigianale che la rivoluzione industriale stava schiacciando. Nella decorazione essi vedevano così l’antidoto nei confronti dell’alienazione indotta dalla divisone del lavoro tipica del sistema industriale. Paolo
Portoghesi coglie il paradosso di una storia che a prima
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3. Albrecht Dürer, Artista che disegna una donna reclinata, ca. 1525.
5. Adolf Loos, Stanza da letto per la moglie, 1903. © Adolf Loos Archiv, Albertina, Vienna
Scomparsa la sostanza infestante di ciò che è stato contaminato di solito non rimane più alcuna traccia.
Domare il kitsch attraverso delle tecniche in modo tale da renderlo espressivo, in modo tale da concedergli quella profondità di campo e quella ricchezza semantica che di sua natura non possiede, il tutto senza snaturarlo. Programma difficile, talmente difficile da trovare pochi esempi. È la Vienna di inizio del secolo scorso il luogo in cui kitsch è finalmente trattato con il rispetto dovuto a ciò che struttura profondamente il gusto, a trattarlo come mistero estetico e morale. Il kitsch ricorre nelle pagine di Robert Musil, di Karl Kraus e di Adolf Loos che in quegli anni realizza un vero e proprio saggio sull’arte di addomesticare il kitsch. Si tratta della stanza da letto che l’architetto progetta a casa sua come omaggio alla moglie. Gli elementi che compongono la stanza sono pochi: sullo sfondo una grande tenda di batista bianca, elegante ma del tutto spoglia che copre completamente la parete. Essa si adatta a nascondere gli spogliatoi di lato e inaspettatamente i comodini. Al centro troneggia il letto matrimoniale, rivestito completamente anch’esso con un tessuto senza decorazioni; a terra poi un surreale tappeto di angora che sale sul letto fino al materasso. Con la sua stanza Loos si pone al centro di una ipotetica triangolazione tra l’astrazione, lo straniamento e il kitsch. Il letto, la tenda e il tappeto, sono stilizzati fino a
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9. Caricatura di Alfred Fruch in The New Yorker, giugno 1946.
con inaspettata prepotenza. Rafael Moneo, scrivendo di Peter Eisenman, identifica nel process il dispositivo e la tecnica espressiva del decostruttivismo, in definitiva la sua ideologia110. Process per Moneo è il dar forma a qualcosa attivando per l’appunto un processo conformativo di cui non si deve sapere in anticipo il risultato. In ragione di ciò la validità di una forma non potrà essere giudicata prendendo in considerazione il prodotto finale, ma la validità e l’interesse generato dal processo conformativo della stessa. Il process, che non poco a che fare con la teoria della “formatività” dell’arte di Luigi Pareyson e Filiberto Menna, implica necessariamente l’abbattimento delle convenzioni, ovvero di qualunque limite espressivo. In definitiva implica l’abbattimento di un concetto fondamentale per l’architettura, il decoro111. Abbattendo la legittimità del decoro il decostruttivismo si è esposto al kitsch. Non avere limiti vuol dire non avere limiti anche per quel che riguarda la decorazione: utilizzarla senza remore, metterla in mostra e godere della sua ostentazione. Esiste una continuità tra lo storicismo postmoderno e il decostruttivismo e questa continuità
è data proprio dalla propensione alla decorazione, ma mentre la decorazione storicista si affidava al pop figurativo, quella decostruttivista si affida alle tecniche e ai materiali del costruire moderno assemblate ben oltre la loro funzionalità. Durante l’International Style si tendeva decorare graficamente, attraverso dei motivi astratti
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