IL PROGETTO E LA SUA COSTRUZIONE TEORICA

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IL PROGETTO E LA SUA COSTRUZIONE TEORICA

ALDO ROSSI E GIORGIO GRASSI A CONFRONTO

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Comitato scientifico

Edoardo Dotto (ICAR 17, Siracusa)

Emilio Faroldi (ICAR 12, Milano)

Nicola Flora (ICAR 16, Napoli)

Antonella Greco (ICAR 18, Roma)

Bruno Messina (ICAR 14, Siracusa)

Stefano Munarin (ICAR 21, Venezia)

Giorgio Peghin (ICAR 14, Cagliari)

ISBN 978-88-6242-787-6

Prima edizione maggio 2024

© LetteraVentidue Edizioni © Ivan Brambilla

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Progetto grafico: Gaetano Salemi Revisione testi: Greta Arlati

LetteraVentidue Edizioni Srl via Luigi Spagna, 50P 96100 Siracusa

www.letteraventidue.com

INDICE

INTRODUZIONE

Il progetto incompiuto del Neorazionalismo

PARTE

1 /

OSSERVAZIONI SULLA TEORIA E SUL PROGETTO

I. LA RIFONDAZIONE DISCIPLINARE DELL’ARCHITETTURA

Azzardato confronto di due libri noti

L’architettura della città come scena fissa della vita dell’uomo

Forma, convenzione e necessità nella Costruzione logica dell’architettura

II. QUESTIONI TEORICHE E DI COMPOSIZIONE

Architettura, realismo e razionalità

Dalla teoria al progetto

Il rapporto tra analisi e progetto come punto di vista individuale

PARTE 2 / CASI STUDIO

III. ESPERIENZE CONDIVISE, ESPERIENZE CONTRAPPOSTE

Esperienze condivise: la continuità critica del Moderno Esperienze contrapposte: affinità intellettuali e divergenze operative

IV. CITTÀ, DIMENSIONE MONUMENTALE E FRAMMENTO

Città e progetto

La dimensione monumentale dell’architettura

Unità ricomposta e unità negata

V. TIPO E MODELLO

L’architettura tra astrazione logica e dimensione formale

Primo caso studio: l’Ospedale Maggiore di Filarete a Milano

Secondo caso studio: la Basilica di Palladio a Vicenza

Tipo e modello come strumenti progettuali

PARTE 3 / APPARATI

Bibliografia

Autori delle immagini

Crediti delle immagini

Indice dei nomi

7 12 46 72 116 154 195 205 206 206

I. LA RIFONDAZIONE DISCIPLINARE

DELL’ARCHITETTURA

AZZARDATO CONFRONTO DI DUE LIBRI NOTI

L’architettura della città (1966)1 di Aldo Rossi e La costruzione logica dell’architettura (1967)2 di Giorgio Grassi sono due testi importanti, la cui portata teorica e conoscitiva seppe suscitare un rilevante interesse all’interno del dibattito dell’epoca, esercitando una forte influenza sulle generazioni a venire.

Entrambi scritti nella fase iniziale delle carriere dei rispettivi autori, questi libri possono essere considerati le loro principali opere teoriche, essendo in grado di riassumerne in maniera compiuta i distintivi tratti concettuali. È proprio questo l’oggetto di interesse dell’analisi qui proposta, che non intende investigare i libri a partire dai loro contenuti specifici e nemmeno indagarne gli influssi o il loro contributo generale dal punto di vista storico e teorico, ma osservarne alcuni aspetti ritenuti in questa sede particolarmente capaci di mettere a fuoco tematiche e scelte metodologiche considerate come punti di partenza del progetto.

1 ■ Rossi Aldo, L’architettura della città , Marsilio, Padova 1966; l’edizione di riferimento per questo testo è quella pubblicata a circa trent’anni di distanza dalla prima uscita del libro e riportata alla sua versione originaria: Rossi Aldo, L’architettura della città , Città Studi Edizioni, Milano 1995.

2 ■ Grassi Giorgio, La costruzione logica dell’architettura , Marsilio, Padova 1967; l’edizione di riferimento per questo testo è quella pubblicata a circa trent’anni di distanza dalla prima uscita del libro e revisionata dall’autore: Grassi Giorgio, La costruzione logica dell’architettura (1967), Allemandi, Torino 1998.

IL PROGETTO E LA SUA COSTRUZIONE TEORICA

Aldo Rossi, L’architettura della città , Marsilio, Padova 1966.

Giorgio Grassi, La costruzione logica dell’architettura , Marsilio, Padova 1967.

Affinità

L’architettura della città e La costruzione logica dell’architettura condividono profonde affinità. Il primo dato comune è il fine, cioè la rifondazione disciplinare dell’architettura a partire dalla costruzione di un “corpus teorico” scientificamente fondato e trasmissibile, attraverso il ricorso ad alcuni testi classici fondamentali e casi studio esemplari che delineano una possibile “genealogia classica” di appartenenza. Entrambi i testi propongono un’osservazione il più possibile razionale della realtà. Tale atteggiamento scaturisce da una rivalutazione del razionalismo di scuola moderna, alla luce di una prospettiva storicamente più ampia, in cui assume un ruolo centrale la trasmissibilità di alcune “costanti formali” ritenute fondamentali.

In Architettura e Razionalismo, parlando dell’ambiente italiano della metà degli anni sessanta formatosi attorno alla rivista Casabella-continuità , Alan Colquhoun dice: «La specifica trasformazione alla quale era stato sottoposto il Razionalismo nel corso del suo sviluppo storico era considerata secondaria a (e dipendente da) una più profonda tradizione per la quale il “razionale” in architettura è ciò che conserva l’architettura come discorso culturale attraverso la storia. Queste concezioni si basavano largamente sulla linguistica strutturale, che aveva sottolineato il valore paradigmatico delle strutture tipiche ed invarianti sottese ai singoli atti linguistici. Sebbene vi sia un chiaro collegamento storico fra questa concezione e gli aspetti formalistici del Moderno vi è pur sempre un aspetto cruciale per cui divergono. Il formalismo moderno riteneva potersi ridurre l’architettura a forme corrispondenti alla struttura della mente (“ les constants humains”), mentre il nuovo formalismo di cui stiamo parlando considera gli elementi invarianti dell’architettura irriducibili al di là dell’esperienza dell’architettura stessa, come

12 • 13 I. LA RIFONDAZIONE DISCIPLINARE DELL’ARCHITETTURA
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↑ Giorgio Grassi, Aldo Rossi: progetto di concorso per il quartiere ISES a Napoli (1965). Planivolumetrico.
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↑ Giorgio Grassi, Aldo Rossi: progetto di concorso per il quartiere San Rocco a Monza (1966). Planivolumetrico.
III. ESPERIENZE CONDIVISE, ESPERIENZE CONTRAPPOSTE
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↑ Giorgio Grassi, Aldo Rossi: progetto di concorso per il quartiere ISES a Napoli (1965). Ridisegno e completamento interpretativo della pianta del seminterrato.

↑ Giorgio Grassi, Aldo Rossi: progetto di concorso per il quartiere ISES a Napoli (1965). Ridisegno e completamento interpretativo della pianta del piano tipo e dei prospetti.

82 • 83 III. ESPERIENZE CONDIVISE, ESPERIENZE CONTRAPPOSTE

→ Aldo Rossi (con G. Braghieri e C. Stead): villa urbana in Rauchstrasse, Berlino (1983-86).

↓ Aldo Rossi (con G. Braghieri, J. Johnson e C. Stead): edificio residenziale per la Südliche Friedrichstadt in Kochstrasse, Berlino (1981-88).

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← Giorgio Grassi (con E. Guazzoni): villa urbana in Rauchstrasse, Berlino (1983-84).

Il nucleo del progetto è rappresentato dall’ottagono del Leipziger Platz con le torri a esso fronteggianti interposte tra le strade che convergono verso Potsdamer Platz. A ispirare la forma urbana di Leipziger Platz, Potsdamer Platz e degli assi urbani a essi convergenti è un dipinto settecentesco di Dismar Degen, che raffigura l’allora Belle-Alliance-Platz, cioè la piazza circolare, fulcro del tridente barocco, collocata a sud della Friedrichstadt – anch’essa distrutta a causa della Seconda guerra mondiale; inoltre, il rapporto tra gli edifici a cortina sulla strada e quelli retrostanti collocati nel verde conferma un principio insediativo ricorrente a Berlino, proposto per esempio anche nel noto asse urbano della Stalinallee a Berlino Est, oggi Karl-Marx-Allee (1949-69)48 . In ultimo, alla stregua di Grassi che inserisce il Prinz Albrecht Palais nella sua proposta progettuale, anche Rossi mette in evidenza il proprio progetto realizzato per la Südliche Friedrichstadt tra Wilhelmstrasse e Kochstrasse (1981) e quello non realizzato per il Deutsches Historisches Museum (1988-89) collocato più a nord nell’area dello Spreebogen49.

Nonostante le proposte di Aldo Rossi e Giorgio Grassi condividano forti analogie e mostrino entrambe una profonda conoscenza della città di Berlino,

48 ■ Oltre a essere tra i primi architetti occidentali a esprimersi positivamente sul progetto della Stalinallee, Rossi guarda a questo esempio come fonte di ispirazione progettuale, non solo in termini urbani ma, per quanto riguarda gli edifici riconducibili alla fase “classicista”, sicuramente anche linguistici e figurativi.

49 ■ Pur aggiudicandosi il primo premio del concorso, il progetto di Aldo Rossi per il Deutsches Historisches Museum non ebbe seguito realizzativo proprio a causa dei radicali cambiamenti a cui fu sottoposta Berlino dopo la sua nomina a capitale della Germania riunita. Il progetto fu infatti abbandonato per lasciar spazio all’insediamento delle principali sedi politiche e istituzionali della repubblica tedesca. III. ESPERIENZE CONDIVISE, ESPERIENZE CONTRAPPOSTE

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↑ Aldo Rossi (con M. Scheurer): proposta progettuale per l’iniziativa Berlin morgen (1990).

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GSEducationalVersion
Base del riquadro: 1,5 km (nord in alto).
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III. ESPERIENZE CONDIVISE, ESPERIENZE CONTRAPPOSTE GSEducationalVersio
↑ Giorgio Grassi (con N. Dego, E. Grassi ed E. Pelloni): proposta progettuale per l’iniziativa Berlin morgen (1990). Base del riquadro: 1,5 km (nord in alto).

Aldo Rossi (con G. Braghieri): Cimitero San Cataldo a Modena (1971-78).

← Planimetria del costruito allo stato attuale; in nero le parti realizzate e in grigio chiaro le parti rimaste incompiute. Lato del riquadro: 1 km (nord in alto). →→ Pianta e sezioni del progetto di concorso.

↓ Planimetria generale del progetto rielaborato tra il 1972-76 con rappresentato a destra il cimitero neoclassico di Cesare Costa e al centro quello israelitico; tra le modifiche apportate in fase di progettazione esecutiva si ricorda il lungo portico d’accesso e di servizio interposto tra l’impianto rossiano e il resto del complesso.

Chirico e i forni di Dachau. Tutte le paure del passaggio vengono così trasmutate dall’ordine della città, dove tutti finalmente dormono insieme, un osso accanto all’altro»12.

Il Cimitero di Modena e il Monumento ai caduti di Brescia condividono tre temi: il recinto che separa la “città ideale” progettata dalla “città reale” esistente, il labirinto e il percorso centrale collocato come asse portante dell’impianto.

Il recinto crea una dimensione di protezione e segretezza che rende lo spazio in esso racchiuso un luogo ignoto, svelabile solo tramite l’esperienza vissuta.

12 ■ Scully Vincent, L’ideologia nella forma , postfazione al libro: Rossi Aldo, Autobiografia scientifica , il Saggiatore, III ed., Milano 2009 [ed. originale in inglese: A Scientific Autobiography, MIT Press, Cambridge Mass.-Londra, 1981; I ed. in italiano 1990], pp. 130-131.

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A questo aspetto sembra riallacciarsi il tema del labirinto, a proposito del quale scrive Rossi parlando di una tavola del Cimitero di Modena: «Questa tavola era destinata a una mostra e, nel disegnarla, ci rendevamo conto di abbandonare il percorso originale per seguire una sorta di labirinto costrittivo. In realtà questo labirinto ci divertiva perché trovavamo in esso il gioco dell’oca, pensando di farne un gioco per bambini»13. Se nel Cimitero di Modena il tema del labirinto emerge successivamente come riflessione a posteriori, durante una fase di rielaborazione progettuale, nel Monumento ai caduti di Brescia, è posto come presupposto di partenza del progetto; il labirinto è infatti rappresentato da Grassi in un modello di studio in cui viene esplicitato il concetto spaziale conseguito per sottrazione che sta alla base del progetto.

Se il recinto e il labirinto evocano, tra i vari temi, il principio tipicamente barocco dell’“effetto a sorpresa” – sperimentato in maniera magistrale nel progetto di Gian Lorenzo Bernini per la piazza di San Pietro a Roma (1656-67)14 –, il percorso centrale si riallaccia ancora più espressamente al barocco, attraverso l’esplicito ricorso alla prospettiva, scelta che in primo luogo porta alla mente il noto artificio borrominiano, sempre della metà del Seicento, per Palazzo Spada a Roma15.

13 ■ Rossi Aldo, Autobiografia…, cit., p. 31.

14 ■ Qui, ovviamente, si fa particolare riferimento al progetto completo, che secondo l’idea di Bernini doveva prevedere il cosiddetto “terzo braccio”, cioè l’ulteriore settore di colonnato mai realizzato che, collocato tra i due emicicli, avrebbe chiuso la piazza anche frontalmente alla basilica.

15 ■ Il tema della “prospettiva costruita”, già presente in forma magistralmente compiuta nella scena fissa realizzata da Vincenzo Scamozzi per il Teatro Olimpico di Vicenza di Andrea Palladio, è sperimentato da Francesco Borromini in Palazzo Spada non come scenografia teatrale in senso stretto ma come soluzione per uno spazio

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IV. CITTÀ, DIMENSIONE MONUMENTALE E FRAMMENTO

V. TIPO E MODELLO

L’ARCHITETTURA TRA ASTRAZIONE LOGICA E DIMENSIONE FORMALE

Il “carattere degli edifici” come discriminante concettuale

«La parola “tipo” non presenta tanto l’immagine d’una cosa da copiarsi o da imitarsi perfettamente, quanto l’idea d’un elemento che deve egli stesso servire di regola al modello [...]. Il modello, inteso secondo la esecuzione pratica dell’arte, è un oggetto che si deve ripetere tal qual è; il “tipo” è, per lo contrario, un oggetto, secondo il quale ognuno può concepire delle opere, che non si rassomiglieranno punto fra loro. Tutto è preciso e dato nel modello; tutto è più o men vago nel “tipo”»1 .

In questo noto passaggio alla voce “tipo” (“ type”) del Dictionnaire Historique d’Architecture di Antoine Chrysostome Quatremère de Quincy viene data quella che, ancor oggi, è generalmente assunta come distinzione canonica tra tipo e modello, secondo cui il tipo sarebbe un principio astratto perché non direttamente riconducibile ad alcuna opera specifica e il modello un oggetto definito in tutte le sue parti, quindi corrispondente a un esempio preciso.

Il carattere generale e aperto che Quatremère de Quincy attribuisce al tipo è pienamente confermato anche da Giulio Carlo Argan che, a più di un secolo

1 ■ Quatremère de Quincy Antoine Chrysostome, Type , in id., Dictionnaire Historique d’Architecture, Parigi 1832; parte del dizionario, tra cui la voce Type , è tradotta in italiano: Quatremère de Quincy Antoine Chrysostome, Tipo in id., Dizionario storico di architettura: le voci teoriche , a cura di Valeria Farinati, Georges Teyssot, Marsilio, Venezia 1985, p. 274.

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di distanza, ci offre una lettura altrettanto importante sul tema, affermando che «nel processo di paragone e sovrapposizione selettiva delle forme individue per la determinazione del tipo si eliminano i caratteri specifici dei singoli edifici e si conservano tutti e soli gli elementi che compaiono in tutte le unità della serie. Il tipo si configura così come uno schema dedotto attraverso un procedimento di riduzione di un insieme di varianti formali a una forma-base o schema comune»2 . Secondo Argan il tipo sarebbe quindi uno schema di base generato dalla “riduzione di un insieme di varianti formali” ad alcuni aspetti ricorrenti. Far coincidere il tipo con i tratti comuni che emergono dal confronto di un certo numero di esempi significa associarlo a un processo analitico, la cui natura essenzialmente logica trascende i caratteri specifici dei singoli casi per riferirsi a una dimensione più generale dell’architettura.

In linea con questa interpretazione si colloca la posizione di Aldo Rossi, il quale farebbe coincidere la natura logica del tipo con la sua stessa essenza: «Io penso quindi al concetto di tipo come a qualcosa di permanente e di complesso, un enunciato logico che sta prima della forma e che la costituisce»3. Il tipo, in quanto “enunciato logico”, definisce il campo d’esistenza dell’architettura; ponendosi come aspetto aprioristico e imprescindibile del progetto, senza tuttavia suggerire soluzioni direttamente applicabili, è connesso alla struttura logica dell’architettura a conferma della dimensione razionalmente fondata di quest’ultima.

Se il tipo è “un enunciato logico che sta prima della forma”, il modello, al contrario, coincide con la forma stessa dell’oggetto analizzato. La discriminante essenziale tra i due può essere ricondotta a quella che Grassi in un suo noto saggio chiama Il carattere degli edifici 4. Parlare di “carattere” non significa riferirsi a un dato specifico, ma assumere l’opera architettonica in tutta la sua complessità, alla luce cioè della convergenza tra la sua dimensione formale e i suoi contenuti “universalmente” riconosciuti. Partendo da questo punto di vista il carattere sarebbe un dato indissolubilmente legato alla realtà dell’opera e quindi anzitutto alla sua forma, essendo l’aspetto che sopra a tutti la connota in termini strettamente architettonici.

In quanto parte intrinseca di ogni singola opera, il carattere degli edifici non è riproducibile all’interno della logica tipologica, tuttavia, se si considera l’architettura come “raccolta di modelli”, esso diventa un aspetto replicabile o, per meglio dire, l’unico aspetto che consente di orientare il processo creativo in termini di novità, senza travalicare i limiti disciplinari dell’architettura stessa.

2 ■ Argan Giulio Carlo, Tipologia , in Enciclopedia Universale dell’Arte , vol. XIV, Istituto per la Collaborazione Culturale, Firenze 1966, col. 3.

3 ■ Rossi Aldo, L’architettura della città , Città Studi Edizioni, Torino 1995 [I ed. 1966], p. 32.

4 ■ Questo saggio è la trascrizione della lezione d’inaugurazione all’Anno Accademico 2003-04 tenuta da Giorgio Grassi presso la Facoltà di Architettura Civile del Politecnico di Milano; vedi: Grassi Giorgio, Il carattere degli edifici , in “Casabella”, n. 722, 2004, pp. 4-15.

154 • 155 V. TIPO E MODELLO
IL PROGETTO E LA SUA COSTRUZIONE TEORICA
↑ Aldo Rossi (con M. Scheurer): progetto di concorso per il Politecnico di Bari (1991). Planimetria. Base del riquadro: 3 km (nord in alto).

Aldo Rossi (con M. Scheurer): edificio principale del progetto di concorso per il Politecnico di Bari (1991).

↑ Schema planimetrico.

→ Assonometria.

↓ Sezione (sopra) e prospetto principale (sotto).

Aldo Rossi reinterpreta il complesso monumentale milanese della Ca’ Granda in forma rinnovata: le crociere da due diventano quattro, mentre la corte centrale con chiesa nel mezzo viene sostituita da un grande edificio a impianto “basilicale” tripartito con atrio-galleria al centro, aula magna nel fondo e ampie aule ai lati, in adiacenza del quale si trovano una corte antistante e altre due lungo i fianchi. Questo nucleo centrale, distanziandosi dal progetto del Filarete, costituisce l’elemento di novità che allontana l’idea complessiva dell’edificio dal modello di riferimento, associandola più genericamente a quella dell’architettura conventuale in senso lato.

Proprio come nell’architettura conventuale l’edificio a impianto basilicale rappresenta il momento culminante del complesso, essendo l’elemento gerarchicamente dominante sia nell’organizzazione planimetrica, sia in alzato a fronte del graduale aumento delle altezze dei corpi di fabbrica a esso progressivamente più vicini. Tale artificio decreta il grado di “subalternità” delle quattro crociere rimarcato anche dalla connotazione formale semplificata, che ne annulla la caratteristica distinzione gerarchica delle parti costitutive; solo nelle due crociere

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V. TIPO E MODELLO

→ Basilica di Vicenza. Planimetria. Lato del riquadro: 250 m (nord in alto).

L’edificio pubblico a Treviglio di Giorgio Grassi

Se Aldo Rossi, in entrambi i casi studio appena affrontati, fa esplicito riferimento alla Basilica di Vicenza, Giorgio Grassi nell’edificio pubblico a Treviglio (1999) intende riproporre più in generale il tema della “loggia pubblica” delle città del Milanese e del Veneto34. Tuttavia, mentre Rossi nell’interpretazione proposta nel disegno prospettico si svincola del tema di partenza guardando più in generale al tipo del broletto, Grassi fa il contrario, riproponendo in realtà i tratti essenziali dell’esempio vicentino; a Treviglio, infatti, Grassi riprende il carattere essenziale della Basilica omesso da Rossi, cioè il rapporto tra il loggiato perimetrale continuo e indistinto sviluppato su due piani e il nucleo centrale dell’edificio emergente in altezza con un piano terra commerciale e un primo piano con spazi adibiti a funzioni civiche.

Nonostante la forte analogia tra progetto e modello di riferimento, non mancano esplicite divergenze dovute al luogo, al tempo, all’uso, alla costruzione e alle specifiche intenzioni progettuali; tra queste spicca per esempio l’assenza della copertura voltata a coronamento del volume centrale e della serliana nella configurazione del loggiato, quest’ultima sostituita più genericamente da pilastri disposti con passo regolare.

Quindi, se da un lato Grassi riprende il rapporto tra il nucleo centrale e il loggiato perimetrale della Basilica trascurato da Rossi nel disegno prospettico, dall’altro omette gli elementi da quest’ultimo invece riproposti perché ritenuti

34 ■ Grassi Giorgio, Edificio pubblico in piazza Garibaldi a Treviglio, Bergamo 1999, in Crespi Giovanna, Dego Nunzio, op. cit., p. 398.

IL PROGETTO E LA SUA COSTRUZIONE TEORICA

Giorgio Grassi (con M. Cortinovis, N. Dego e A. Stroligo): edificio pubblico a Treviglio (1999).

← Planimetria. Lato del riquadro: 250 m (nord in alto).

↓ Pianta e fronte urbano su Piazza Garibaldi.

178 • 179 V. TIPO E MODELLO

Il libro offre una lettura critica del pensiero e dell’opera di Aldo Rossi (1931-1997) e Giorgio Grassi (1935), figure di rilievo del panorama architettonico contemporaneo, nonché attori centrali di quella corrente culturale nota come Tendenza o Neorazionalismo italiano. Focalizzando l’interesse su alcuni temi condivisi e a partire da casi studio esemplari che spaziano dalle prime esperienze comuni fino alle opere più mature, questo testo indaga e mette a confronto le inclinazioni teoriche dei due architetti e i rispettivi metodi progettuali.

9 788862 427876 € 22

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