Dipartimento di Ingegneria Civile Edile e Ambientale (DICEA), Sapienza Università di Roma
IAUS - Quaderni del Dottorato di ricerca in Ingegneria dell’Architettura e dell’Urbanistica.
Sapienza Università di Roma
Consiglio scientifico
Maria Argenti (responsabile)
Giovanni Attili
Carlo Cellamare
Edoardo Currà
Fabio Cutroni
Roberto De Angelis
Lidia Decandia
Anna Maria Giovenale
ISBN 978-88-6242-834-7
Prima edizione Aprile 2022
© LetteraVentidue Edizioni
È vietata la riproduzione, anche parziale, effettuata con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico. Per la legge italiana la fotocopia è lecita solo per uso personale purché non danneggi l’autore. Quindi ogni fotocopia che eviti l’acquisto di un libro è illecita e minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza. Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi comunque favorisce questa pratica commette un furto e opera ai danni della cultura.
Progetto grafico: Francesco Trovato
Impaginazione: Stefano Perrotta
LetteraVentidue Edizioni Srl
Via Luigi Spagna 50 P
96100 Siracusa, Italia
www.letteraventidue.com
Carmelo Albanese
Primavallitudine
Il sentimento di città nelle borgate ufficiali di Roma
Indice
Prefazione
Enzo Scandurra, Ilaria Agostini
Introduzione
Le nuove urbanità contemporanee
1.1 La scomparsa delle città
1.2 Dal globale al locale. Dalla coscienza di classe alla coscienza di luogo
1.3 Il presente come futuro del passato. Elogio della nostalgia
1.4 Restare nei luoghi per ricostruire bellezza
1.5 L’orizzonte degli eventi
Le borgate ufficiali al centro di una nuova idea di città
2.1 Perché le borgate ufficiali? Ex malo bonum
2.2 La sottovalutazione sistematica delle borgate
2.3 Dalla storia delle periferie alla periferia della storia
2.4 Perché Primavalle?
Primavalle: dallo stigma al riscatto
3.1 Genealogia di Primavalle
3.2 Genealogia di uno stigma
3.2.1 Da Europa ’51 alla “montagna del sapone”
3.2.2 Vengo da Primavalle
3.2.3 Da Mnemosine al “pompamerda”
3.2.4 Il dormitorio
3.2.5 Due chiese per una via
3.2.6 Il cambio dei toponimi e la pronipote di Pio IX
3.2.7 Lo “scemo” del villaggio
3.3 Il ruolo ambivalente dello stigma
3.3.1 La “Primavallitudine”
3.3.2 Scioperi al rovescio
3.3.3 La lotta per la casa
3.3.4 Dalla stagione delle lotte politiche alle madri coraggio
3.4 Il superamento dello stigma
Primavalle tra permanenze e trasformazioni
4.1 Permanenza e impermanenza delle tracce
4.2 Street art
Conclusioni Appendice Verso i comuni metropolitani di Roma Bibliografia 06 10 16 17 19 21 23 25 30 31 35 38 43 46 47 49 53 55 59 61 63 66 68 70 70 71 72 75 77 78 79 81 90 92 93 100
Prefazione
Enzo Scandurra, Ilaria Agostini
L’architettura, e in qualche modo l’urbanistica, è quel luogo dove l’incontro tra ciò che è sentire individuale e ciò che è sentire collettivo si materializza.
L’architettura è sempre pubblica in ogni sua forma, e per questo è un atto politico: fare architettura e fare politica sono la stessa cosa, così è accaduto per secoli, dalla costruzione di cattedrali a quella di edifici pubblici, ai grandi monumenti che esprimevano il senso del vivere comune.
C’è stato un tempo in cui l’architettura era costruzione di bellezza e l’urbanistica un modo di intendersi; nel mondo moderno essa si è congedata in punta di piedi a favore di ben altri interessi, lasciando le città nella loro solitudine e miseria sociale. Con l’abbandono della bellezza, si è persa anche la memoria del passato che, a stento, riaffiora in vecchie reliquie tra le macerie del moderno. Senza memoria non c’è bellezza. Bellezza e memoria non si danno gratuitamente, tendono a nascondersi a non apparire se non le si cerca. Per questo riesumare la bellezza e la memoria sono atti “rivoluzionari”.
Ne I demoni, Dostoevskij afferma (siamo nel 1871): «È accaduta soltanto una cosa: uno spostamento di scopi, la sostituzione di una bellezza con un’altra! Tutto il malinteso non è che nel dubbio se sia più bello Shakespeare o un paio di stivali, Raffaello o il petrolio. […] Ma sapete, sapete voi che senza l’inglese l’umanità può ancora vivere, può vivere senza la Germania, può vivere anche troppo facilmente senza i russi, può vivere senza la scienza, può vivere senza pane, ma soltanto senza la bellezza non potrebbe vivere, perché non ci sarebbe nulla da fare al mondo? Tutto il segreto è qui, tutta la storia è qui! La scienza stessa non sussisterebbe un momento senza la bellezza, – lo sapete, voi che ridete? – diventerebbe una volgarità e non inventereste più un chiodo!»1.
Sulla scorta di Giambattista Vico, alla «bellezza civile» – una bellezza in cui rifulgono le virtù individuali e quelle legate alla convivenza – le questioni poste da Dostoevskij mantengono tutta la loro urgenza. Osservate dal punto di vista della bellezza, le trasformazioni dell’ambiente fisico prodotte dall’azione antropica negli ultimi secoli, a saperle interpretare, dicono molto delle acquisizioni e delle perdite su tre fronti:
1. gli equilibri e le bellezze naturali;
2. la qualità civile delle relazioni;
3. l’idea di umano.
7 Prefazione
1. Consonni G., La bellezza come modo di intendersi, recensione al libro di Maria Agostina Cabiddu, Bellezza. Per un sistema nazionale, doppia voce, 2021.
Le nuove urbanità contemporanee
16 Primavallitudine
1.1 La scomparsa delle città
All’inizio le città rappresentavano il punto più alto per un’umanità volta al progresso e alla modernità, oggi versano in una condizione morente davanti ai nostri occhi. Incapaci di rispondere finanche al requisito minimo di garantire l’appaesamento agli individui che le vivono. Finora la natura trasformativa della città, la delicata e costante ricerca di equilibrio tra nuovo e antico, tra trasformazioni e permanenze, tra campagna ed edifici, che ne ha costituito da sempre la dinamica vitale, non aveva mai rischiato di stravolgerne il senso, fino a rendere inappropriato, per indicarla, persino l’uso stesso del termine “città”1.
La prepotenza con la quale il modello economico globale contrae spazi e tempi schiacciandoli sul rapporto tra produzione e consumo, genera spazi e forme eccedenti a velocità sconsiderate. La politica e le normative, indebolite rispetto alle leggi del mercato, al quale da tempo hanno piegato la schiena, non riescono più a pensarla, a pianificarla, a regolarne e comprenderne lo sviluppo2. Si sono coniati molti neologismi per provare, quasi disperatamente, a far rientrare le forme urbane della contemporaneità all’interno di quella definizione alla quale necessariamente siamo molto affezionati. Città-metropolitana, città-diffusa, città del consumo, ambito metropolitano3 , ne evidenziano solo alcuni4. Tutti rincorrono un’idea di città che non è più nei fatti5. Le urbanità contemporanee non rispondono più a nessun progetto, pianificazione, o politica. Si sviluppano, meglio sarebbe dire si accrescono, lungo due direttrici fondamentali: la nuova religione del consumo e l’antico costume della speculazione edilizia. Non c’è più un’idea di città capace di tenere insieme le quotidianità di chi la vive. Non ci sono più neppure vissuti condivisi, o esperienze che possano essere ricondotte a una matrice comune. Nulla sembra più spiegare anche il semplice fatto che un numero tra l’altro paradossalmente crescente di individui, decida di condividere un luogo, di continuare ad “appartenere” a un’area specifica piuttosto che a un’altra6. L’idea di far dipendere luoghi e vite dalle leggi del profitto su scala planetaria, è un attacco frontale alla singolarità dei territori, alla loro capacità di autodeterminarsi e di trasformarsi secondo dinamiche che finora andavano sotto il nome di processi di urbanizzazione
1 Choay F., L’orizzonte del posturbano, Officina edizioni, Roma, 1992, p. 11.
2 Mumford L., Realities versus Dreams, Journal of the American Institute of Architects, 1925, vol. 13, n. 6, p. 199.
3. Consonni G., op. cit., p. 16.
4. Ivi, p. 52.
5. Ivi, pp. 11-13.
6. Choay F., op. cit., pp. 15-16.
17 Le nuove urbanità contemporanee
Primavalle: dallo stigma al riscatto
46 Primavallitudine
3.1 Genealogia di Primavalle
«Pe arivà a Primavalle c’era na specie de ruscello d’acqua, largo un paio de metri e noi da Pineta Sacchetti, ce fermava l’autobus, scennevamo giù, io me ricordo annavo a scola dai Carissimi, piano piano venivo su pe la salita, dovevi sta attento perché se piavi l’acqua, scivolavi e annavi lungo per tera e ‘n c’era niente, qui le strade c’era solo via Federico Borromeo, sennò via Pasquale II, quest’artra strada, diciamo via dell’Assunzione e altro, nessuna era diciamo cor catrame o messa per bene fatta no… co tera battuta era e basta, poi piano piano hanno fatto… fino a dodici anni fa via Torrevecchia era impraticabile in tutto e per tutto adesso invece ecco lì, è tutto nuovo, hanno fatto e palazzine e tutto quanto»1.
Così Zeno Tartaglia descrive la Primavalle degli anni Trenta, ma ancora negli anni Settanta, bastava uscire dall’area dei lotti e si vedevano ancora pascolare gli animali. C’erano diverse fattorie (che oggi cercano disperatamente di risorgere dal moderno nei tentativi di agricoltura sostenibile o prodotti a chilometri zero) e persino qualche allevamento di cavalli. Oltre i lotti della borgata c’era solo qualche sporadico agglomerato di costruzioni abusive, intorno al quale la faceva ancora da padrona una campagna di ascendenza antica. A vederle oggi invece, a soli quarant’anni di distanza, le aree intorno alla borgata sembrano tutt’altri luoghi e si stenta a riconoscerle persino se si prova a individuarle partendo da una mappa. Un po’ come accadeva a Ninetto Davoli nel film di Enrico Eronico, A proposito di Roma, del 1987, mentre Victor Cavallo, sempre nello stesso film, muovendosi pensieroso sui prati rimanenti della periferia romana di quegli anni, ripeteva retoricamente a se stesso e a noi la domanda delle domande: ma questa è città o campagna? In questa chiave, la categoria foucaultiana della genealogia appare particolarmente adatta per andare a leggere i territori. Qui le stratificazioni sono addirittura tangibili: edifici, strade, interventi umani di pianificazione riconducibili a epoche diverse. Ognuno capace di raccontare un frammento di storia, di restituire un’immagine più complessa e profonda rispetto a quella che appare in superficie. Sbrogliare l’intreccio di relazioni, attività, storie, che all’interno di un territorio si sono andate sovrapponendo diacronicamente, costituisce l’unica possibilità per comprenderlo, per tornare a leggerlo compiutamente2. Far partire la ricostruzione genealogica del
1. Dall’intervista a Zeno Tartaglia realizzata durante la ricerca sul campo poi confluita nel film Primavalle mon amour (2022).
2. Decandia L., Dell’identità. Saggio sui luoghi; per una critica della razionalità urbanistica, Rubettino, Catanzaro, 2000, p. 7.
Primavalle: dallo stigma al riscatto
47
di sensibilità, la consapevolezza che insieme alla necessità di avere una casa, vadano riconquistate tutte le condizioni dell’abitare66. L’attaccamento degli abitanti di Primavalle al loro quartiere esprime, in questo senso, il tentativo di rivendicare il diritto all’abitare proprio nel luogo dove erano stati trasportati, in molti casi con la forza. Questa viscerale affezione ai territori in cui si è consumato lo sfruttamento, l’emarginazione, la sofferenza e le infinite difficoltà affrontate e sopportate per “tirare avanti la giornata”, potrebbe sembrare una forma di masochismo, di rivendicazione del dolore, di incapacità ad immaginarsi al di fuori del disagio, o di sottrarsi alla prepotenza. In realtà nessuno, tra gli abitanti di Primavalle dell’epoca come tra quelli di oggi, negava o nega la sofferenza, o le condizioni di disagio passate e presenti, ma in ognuno c’era e sembra ancora esserci, al contempo, la rivendicazione del diritto a non essere considerati come oggetti da spostare secondo i desiderata delle politiche di turno67. Anche qualora ci fosse stata la volontà reale di
74 Primavallitudine
66 Ivi, p. 55. 67 Farina M., Villani L., op. cit., p. 54. Archivio Primavalle in rete
dar loro una sistemazione migliore di quella delle baracche, comunque non avrebbero accettato, come dimostrano gli intervistati nel film documentario di Liliana Cavani del 1964 per la Tv dal titolo: La casa in Italia, realizzata sul problema del diritto alla casa con grande spazio dedicato alle borgate ufficiali e in particolare a Primavalle68. Un paese ci vuole. Una casa dove abitare anche. Nel caso di Primavalle, a quanto pare, più per rimanere che per andar via. Difendere il territorio, “tenere alla parte” di mondo in cui si vive e prendersene cura. Questa relazione sentimentale tra individuo e territorio, che ricorda l’arte dell’abitare vernacolare, lungi dall’essere un tratto da ricondurre al passato in senso regressivo è da intendersi come un recupero di una condizione di presenza, di autodeterminazione. Significa generare gli assiomi degli spazi che si abitano69 .
3.3.4 Dalla stagione delle lotte politiche alle madri coraggio
Per ogni sigla della politica nazionale, specialmente nell’ambito della sinistra extra-parlamentare, a Primavalle c’era una sede di rappresentanza. Non di rado alcune delle sigle più significative dei movimenti di estrema sinistra erano concepite proprio all’interno della borgata. Nelle scuole superiori della zona: il Castelnuovo, il Fermi, il Genovesi; così come nelle tante sedi strappate o concesse da un PCI (fortissimo a Primavalle come in quasi tutte le altre borgate) che cominciava l’opera di scomposizione che ancora oggi lo caratterizza, anime legate alle lotte studentesche o operaie di quegli anni andavano a costituire i gruppi politici più disparati. Ognuno condivideva con gli altri l’intenzione di intraprendere vie più radicali di lotta al di fuori della rappresentanza parlamentare. Autonomia operaia, Lotta continua, Potere operaio, i gruppi marxisti-leninisti, i maoisti, servire il popolo. Ogni frammento di luce della costellazione dell’impegno politico degli anni settanta, trovava casa a Primavalle o, più in generale, nelle borgate ufficiali e spesso da qui muoveva i suoi primi passi. La casa era quasi sempre un locale dell’ATER nel quale, dopo poco tempo dall’occupazione iniziale, arrivava subito un ciclostile e si improvvisava un piccolo nucleo di redazione per dar vita, o andare a far parte, dei numerosi nuovi giornali politici del variegato panorama politico extra-parlamentare nazionale. L’estrema diffusione delle pratiche legate all’impegno politico, fu un deterrente che per molto tempo impedì al quartiere di essere invaso dai fenomeni devastanti
Primavalle: dallo stigma al riscatto
75
68 Cavani L., La casa in Italia, 1964. 69 Illich I., Ibidem
Primavalle tra permanenze e trasformazioni
78 Primavallitudine
4.1 Permanenza e impermanenza delle tracce
Come giustamente fa notare Choay, c’è ormai una sensibilità diffusa rispetto al tema della conservazione dei monumenti, universalmente riconosciuti come fonte di inestimabile valore. Nessuno però si preoccupa mai di esplicitare in cosa esattamente consista tale “valore”. C’è dunque molta letteratura atta a definire minuziosamente come vadano conservati i monumenti, ma nessuno sembra intenzionato ad approfondire il motivo per il quale ci si preoccupa di conservarli. Il perché di questo come (espressione particolarmente efficace trovata dall’autrice per chiarire il problema), è invece fondamentale1. Così come ci eravamo interrogati sulle diverse forme di memoria possibili e sui tanti modi di guardare al passato, è altrettanto importante chiarire da subito il senso di un’operazione di conservazione. Come il passato non ha valore per il solo fatto di essere passato, ma diventa efficace quando non perde la sua capacità di entrare in empatia con il presente, di riattivarsi; così il monumento, o meglio la traccia che si intende rappresentare formalmente nei territori, non ha valore solo perché testimonia l’antico o è antica essa stessa, ma perché facilita la permanenza di un tessuto che continua a riconoscersi attraverso luoghi, storie e memorie. Per questo è importante che i monumenti pensati in questo senso conservino il legame strettissimo con la società locale che ha pensato di confermare il processo di identificazione anche formalmente, attraverso la realizzazione o la conservazione di determinati monumenti. Il monumento, di per sé, non ha i requisiti necessari per interagire spontaneamente con ciò che vive e a questo si relaziona. Di suo, ancora una volta Choay ce lo fa notare, si presta perfettamente a diventare attestazione formale sopravvivente di qualcosa che è scomparso per sempre2. La sua stessa realizzazione, risulterebbe essere per ciò, paradossalmente, funzionale a prendere congedo definitivamente dalla storia intesa come potenzialità del presente, o dalla memoria del luogo che attraverso il monumento viene rappresentata. Per questo, il monumento ha senso ed esprime pienamente il suo vero valore quando è pensato per incarnare i sentimenti del tempo di cui si fa testimone formale, contribuendo a favorire l’esistenza e la permanenza della comunità che lo ha voluto. Quando prova a rappresentare e a raccontarci il basso e non solo l’alto, il personaggio semplice e sconosciuto ai più, piuttosto che il nome altisonante offerto dalla storia con la S maiuscola, con i suoi rimandi ai piani di volta in volta regali, papali, bellici e, qualche volta, nella migliore delle ipotesi, artistici, letterari, o
1 Choay F., op. cit., pp. 115-116.
2 Ivi, p. 13.
79 Primavalle tra permanenze e trasformazioni
82 Primavallitudine
Muracci nostri e Invisibile (ex-muracci nostri). Fotografie di Domenico Luciano
Muracci nostri e Invisibile (ex-muracci nostri). Fotografie di Domenico Luciano
83 Primavalle tra permanenze e
trasformazioni
86 Primavallitudine
Pinacci nostri. Fotografie di Carlo Romano
Pinacci nostri. Ci permettiamo di includere in questo particolare elenco anche Tor Marancia e Garbatella, che pur non essendo borgate ufficiali in senso stretto, condividono con queste ultime molti tratti caratteristici fin qui indicati. Il discorso sulla street art intesa come occasione e testimonianza di un riscatto delle borgate ed espressione di una loro rinascita è molto lungo, si presta a varie interpretazioni ed è oggetto di un’infinità di studi specifici. In questa sede ce ne occuperemo solo di passaggio evidenziandone due
87 Primavalle tra permanenze e trasformazioni
Pinacci nostri. Fotografie di Carlo Romano