Costruire con leggerezza
Giorgio Baroni e la forma dell’ingegneria
Quaderni del Dottorato di ricerca in Ingegneria dell’Architettura e dell’Urbanistica. Sapienza Università di Roma
Martina Russo
Indice
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Introduzione Edoardo Currà
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Gli inizi, 1907-1937 1.1 Formazione e influenze: Mario Baroni e la Scuola Pesenti per le costruzioni in cemento armato, 1907-1931 1.2 Impulsi di ricerca: strutture resistenti per forma 1.2.1 Gusci sottili a geometrie quadriche: forme per l’ottimizzazione strutturale 1.2.2 Percorsi di ricerca e progetti dalla Germania e dalla Francia verso l’Italia 1.2.3 L’esposizione di Baroni al tema: pubblicistica sui gusci sottili in Europa e Italia 1.3 Ideazione, sperimentazione e promozione: i sistemi Baroni per volte sottili a paraboloide iperbolico, 1936-1949 1.3.1 Il primo brevetto, 1936 1.3.2 Opera prima: il cinema-teatro della Fonderia Vanzetti a Milano 1.3.3 I tentativi di promozione e il secondo brevetto, 1940-1949 1.4 Dalle pionieristiche esperienze europee alla maturazione di un contributo originale
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Grandi luci per l’industria. Progetti per Milano, Tresigallo e Roma, 1937-1949 2.1 L’Alfa Romeo e l’efficienza della configurazione a timpano 2.2 Gli ombrelli per la Società Anonima Canapificio 2.3 Non solo hypar: gli shed conoidali per le Officine Centrali Prenestina a Roma e per la Ma.Li.Ca. a Tresigallo 2.4 La cessione dei brevetti e le pensiline per mercati 2.5 Semplificazione del processo costruttivo e artigianalità del dettaglio
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Nuove frontiere, vecchi principi. Sperimentazioni e consulenze negli Stati Uniti, 1950-1968 3.1 New York e oltre: contatti, pubblicistica e nuovi brevetti (1950-1954) 3.2 Anton Tedesko e la Roberts & Schaefer di New York (1955-1957) 3.3 Ponti leggeri per la Reynolds Metal Co. (1957-1958) e l’International Nikel Co. (1963-1964) 3.4 Pier Luigi Nervi e la Kaiser Steel Corporation (1960-1962) 3.5 La postuma notorietà e il lascito: la resistenza per forma come principio
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Bibliografia
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Introduzione
L’Italia nel pieno del Novecento ha esibito figure di spicco di grandi ingegneri dediti all’esplorazione di forme efficienti che coniugassero l’ottimizzazione strutturale alla definizione della forma. Alla base delle loro ricerche troviamo una profonda cultura architettonica e umanistica, espressione della loro formazione e del contesto accademico e professionale entro cui si muovevano con una viva partecipazione e la consapevolezza di appartenere a scuole che da almeno due generazioni si cimentavano con le potenzialità del cemento armato portando originali contributi alla scienza, alla tecnica e al rinnovamento dell’architettura. In questo campo così cruciale per la storia della costruzione e per gli esiti nell’architettura contemporanea Martina Russo si è dedicata a Giorgio Baroni, una figura, si vedrà, particolarmente singolare, che ha dato un contributo fondamentale alla conoscenza e alla diffusione delle volte sottili in cemento armato, in particolare occupandosi di superfici rigate, centrali nell’estetica dell’architettura degli anni Cinquanta e Sessanta. Studiando Baroni, l’autrice porta nel nostro dottorato l’interesse per il rapporto tra matematica e forma, che gli studi più recenti confermano di rinnovata attualità, grazie anche al successo internazionale della progettazione parametrica in architettura. Presenta qui i risultati della tesi di dottorato nel settore scientifico disciplinare dell’Architettura Tecnica dal titolo “Forma e costruzione nelle volte sottili in cemento armato: le geometrie rigate di Giorgio Baroni”. L’opera condensa alcuni dei temi toccati nell’ambito della tesi in un racconto unitario che spazia, lungo tre capitoli, attraverso l’ampia e avventurosa parabola dell’ingegnere. Dall’opera di Russo, grazie anche al ricco apparato grafico, si nota come la giovane ricercatrice abbia messo in campo tutti gli strumenti disciplinari della ricerca storico-costruttiva: un’accurata individuazione delle fonti, peraltro rare e molto disperse, una campagna diffusa di rilievo geometrico, architettonico e costruttivo, l’individuazione delle fasi, la restituzione modellistica delle realizzazioni ancora presenti e di quelle ormai distrutte, la lettura critica del rapporto tra tipologie strutturali e spazialità che costituisce un perno delle eccellenze architettoniche tra le più suggestive del movimento moderno. La metodologia di ricerca è perciò quella rinnovata dell’ingegnere umanista, vi è infatti da un lato un approccio storico, con un importante lavoro di ricostruzione di un archivio virtuale delle opere, in assenza di uno reale del progettista, e dall’altro strumenti analitici tipici delle scienze ingegneristiche, che vanno dal rilievo architettonico all’analisi costruttiva, alla Introduzione
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Gli inizi, 1907-1937
Modello assonometrico della copertura per il dopolavoro della Fonderia Vanzetti a Milano, modello e disegno dell’autore
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Non sarebbe possibile comprendere appieno il brillante debutto di Giorgio Baroni nel campo delle costruzioni in cemento armato senza tratteggiare il contesto della sua formazione. L’intuizione delle potenzialità applicative dei gusci sottili è sì frutto di una brillante mente matematica, ma coltivata nel grembo di una famiglia ben introdotta nell’accademia e formatasi nel vivace panorama ingegneristico del Politecnico di Milano negli anni Trenta. La notevole esperienza professionale e imprenditoriale del padre Mario Baroni a fianco alla formazione d’avanguardia assicurata dalla Scuola Pesenti distinguono e indirizzano i primi passi di Giorgio. Accanto a questi, gioca un ruolo di pari rilievo l’esposizione alle più recenti ricerche sulla resistenza per forma, in corso trasversalmente in diversi paesi europei. Era il tempo dello slancio sperimentale verso nuove geometrie, tecniche e processi costruttivi, preludio di un promettente percorso che avrebbe portato i gusci sottili in cemento armato ad assumere nel corso del XX secolo un ruolo caratterizzante, per longevità delle loro applicazioni e diffusione geografica degli esiti. 1.1 Formazione e influenze: Mario Baroni e la Scuola Pesenti per le costruzioni in cemento armato, 1907-1931 Giorgio Alvise Baroni nasce il 16 aprile 1907 a Milano. Suo padre Mario Baroni (8 aprile 1871, Torino – 30 aprile 1948, Milano) è tra gli ingegneri italiani pionieri dell’applicazione del cemento armato alle costruzioni [1]. A Milano affianca l’attività professionale in collaborazione con l’ingegnere Emilio Auguste Lüling e in sodalizio con l’impresa Ing. H. Bollinger, all’insegnamento in accademia, dal 1915 al Regio Politecnico di Milano e dal 1928 anche alla Scuola di specializzazione per le costruzioni in cemento armato della Fondazione Fratelli Pesenti1. Complice il dinamico clima scientifico e imprenditoriale d’inizio Novecento, l’affermazione nel campo dell’ingegneria strutturale è merito dei brevetti basati sul principio del minimo lavoro di deformazione2, sviluppati con il collega Lüling, relativi a procedimenti per il calcolo e la progettazione di strutture in cemento armato nelle quali la peculiare disposizione delle armature secondo le superfici isostatiche contribuisce a fornire “uniforme resistenza” agli elementi 1. Currà E., Russo M., Reinforced concrete in Italy through the works of two generations of engineers: Mario and Giorgio Baroni, in Wouters I., Van de Voorde S., Bertels I. (a cura di), Building Knowledge, Constructing Histories. Proceedings of the 6th International Congress on Construction History (6ICCH, 9-13 July 2018, Brussels, Belgium), vol. 1, CRC Press, Londra 2018, pp. 508-517. 2. Baroni M., Sulla ricerca di norme che determinino la stabilità delle costruzioni in calcestruzzo armato, in “Il Politecnico. Giornale dell’ingegnere architetto civile ed industriale”, 1903, pp. 3-17, pp. 78-89, pp. 145-163, pp. 213-230.
Gli inizi, 1907-1937
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7. La copertura sottile per il dopolavoro della Fonderia Vanzetti a Milano del 1937 (foto di cantiere ACS, Fondo E42; tavola di progetto ACM)
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promosso lo sviluppo e l’introduzione di innovazioni nei cicli produttivi66. Sebbene la Fonderia Vanzetti non fosse tra le maggiori in Italia né per capitali né per potenza dei mezzi di produzione, nei decenni di crescita seppe promuoversi fino a riservarsi un ruolo non solo nel mercato delle fabbricazioni più comuni, come nel caso delle ruote di autocarri e degli aratri, ma anche nelle produzioni militari per la Regia Marina e nel trattamento degli acciai inossidabili. Il rilievo dell’azienda è testimoniato dalle visite istituzionali di Vittorio Emanuele III e di Benito Mussolini, nonché la partecipazione alla Fiera di Milano: Esposizione internazionale di fonderia nell’aprile del 1931, con uno stand individuale progettato dall’architetto Franco Albini67. Nel 1934 la società esce dal listino azionario ufficiale della Borsa Valori di Milano, ma rimane attiva nella produzione, dedicandosi al rinnovamento dell’impianto. Sono questi gli anni del coinvolgimento di Baroni. Il progetto è firmato nell’aprile del 1937 e descrive un edificio di circa 475 mq, in pianta rettangolare di 26,35x18,00 m e altezza massima di 9,50 m68. La copertura, composta da quattro falde di paraboloide iperbolico, è sostenuta da quattro pilastri di sezione 40x40 cm alti 5 m, posti sugli spigoli della pianta rettangolare, a cui è sottratta l’area di 15x15 cm, per la collocazione del discendente della copertura. Le quattro falde sono sostenute, come previsto dal sistema Baroni, da altrettante capriate in cemento armato di altezza 4,5 m, poste sui lati del rettangolo, e da due travi di colmo che congiungono i vertici delle capriate [7]. Ogni falda sottile è una soletta in cemento armato dello spessore di 3 cm, armata secondo un doppio ordine di rinforzi. Un primo ordine di armatura è costituito da una rete metallica φ 5 mm, con maglie da 20 cm di lato, posta secondo le generatrici della rigata, dunque parallela e perpendicolare ai lati della falda. Una seconda serie di barre, con passo 22 cm, è posta sopra la rete nella direzione delle isostatiche di tensione, perciò nella direzione delle diagonali secondarie. Il sistema delle capriate è costituito da travi molto snelle in sezione, ma dalla fitta armatura, memoria della concezione paterna sul calcolo del cemento armato. Il loro ruolo è trasferire le sollecitazioni della falda ai pilastri come pure forze verticali, annullando ogni spinta verso l’esterno. Le travi-puntone hanno una sezione di 45x25 cm con staffe φ 5 ogni 10 cm; le travi-tirante 66. Fonderia milanese di acciaio Vanzetti società anonima, L’eroica, Milano, 1929. 67. Archivio storico Fondazione Fiera di Milano, Fondo Fiera Campionaria, P1931, F13, Stand della Fonderia milanese di acciaio Vanzetti, 12-27 aprile 1931. 68. Santarella L., Il cemento armato nelle costruzioni civili ed industriali. Monografie di costruzioni italiane civili ed industriali, Ulrico Hoepli, Milano, 1939, pp. 366-371.
Gli inizi, 1907-1937
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8. La struttura per il dopolavoro della Fonderia Vanzetti: pianta a quota +5,15 m, sezione longitudinale e prospetto sul lato corto (disegni dell’autore)
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10x25 cm con staffe φ 5 ogni 15 cm. Le capriate sul lato lungo della struttura presentano cinque elementi verticali di irrigidimento da 10x25 cm; quelle sul lato corto ne hanno solo tre, della medesima sezione [8]. Le travi di colmo, che completano il sistema di supporto delle singole solette, sono modellate da Baroni con grande cura. Evitando ogni discontinuità brusca nella forma, sono disegnate come un graduale ispessimento della sezione della falda. Nella zona centrale hanno un’altezza di 25 cm, che si riduce progressivamente fino a 15 cm avvicinandosi ai bordi e fino a 3 cm lateralmente nel raccordarsi alla falda sottile, lungo circa 1 m di larghezza per lato. Il cantiere si svolge nel mese di maggio69. La costruzione fu diretta dallo stesso Baroni ed eseguita dall’Impresa Soc. An. Ing. C. Bonomi e G. Federici70, alla quale Baroni aveva ceduto nel febbraio del 1937 i diritti esclusivi di uso del suo brevetto71. La costruzione è chiaramente agevolata dalla tecnica costruttiva brevettata da Baroni e dalle caratteristiche stesse della geometria: per ogni mq di superficie coperta si impiegarono 0,087 mc di calcestruzzo, 10,91 kg di ferro e 1,43 mq di assi di legno per casseforme, comprese fondazioni e pilastri72. Viste le peculiarità del brevetto e trovandosi alla sua prima applicazione, l’ing. Vittorio Livio, incaricato dalla Prefettura delle ispezioni di controllo sulle opere in cemento armato, segnalata la costruzione per un collaudo di dettaglio, da eseguirsi con esaurienti prove di carico. Di queste viene incaricato Luigi Stabilini, titolare della cattedra di Ponti e grandi strutture speciali al Politecnico di Milano, collega di Mario Baroni ed ex professore del figlio alla Scuola Pesenti. Giorgio non poteva augurarsi di meglio. La competenza di Stabilini avrebbe potuto offrire una rigorosa occasione di confronto sul suo sistema e la sua reputazione una non secondaria approvazione formale. Le prove vengono eseguite tra luglio e agosto del 1937 e durarono 49 giorni. Dopo aver provveduto al posizionamento degli strumenti di misurazione (tra cui 33 flessimetri, estensimetri, deformometri, deflettometri, termografi e tensimetri) vengono simulati 12 casi di carichi distribuiti, di cui due dissimmetrici, e 6 casi di carichi concentrati, di cui uno con sollecitazioni dinamiche. Vengono anche valutati gli effetti delle variazioni termiche, monitorate per 12 giorni consecutivi, e stimate le tensioni interne nella soletta. 69. ACM, Via Nervesa 1d, S.A. Fonderia Milanese Vanzetti, Lettera N, fascicolo 83934/1938. 70. Società Anonima ing. C. Bonomi & G. Federici (BonoFeder), sede in Via dei Sabini n. 7 a Roma e Via Mengoni n. 4 a Milano. 71. ACS, Archivi di enti pubblici e società, Fondo E42, busta 326, lettera del 3/09/1938. 72. Santarella L., op. cit., 1939, pp. 366-371.
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Grandi luci per l’industria
Modello assonometrico degli ombrelli per la Società Anonima Canapificio a Tresigallo, modello e disegno dell’autore
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La costruzione per l’industria è per Baroni un campo eccellente d’applicazione per i suoi sistemi. I gusci sottili rispondono a ogni necessità dei committenti: rapidità, economia, resistenza e grandi luci libere. Le politiche autarchiche ne frenano l’ampia diffusione e applicazione, ma contatti vecchi e nuovi assicurano a Giorgio spazio per alcuni cantieri. Uno sguardo ravvicinato sulle sue opere gioca un ruolo chiave nel racconto della vicenda personale e nel delineare il profilo del progettista. Leggere le tracce lasciate sul campo, tra opere e documenti, permette di indagare il rapporto tra le soluzioni strutturali e tecnologiche autoriali di Baroni, le spazialità della produzione e il suo percorso imprenditoriale. Tra embrionali spinte alle logiche della prefabbricazione seppur nei limiti del cantiere tradizionale, attenzione artigianale al dettaglio costruttivo e tensione all’ottimizzazione strutturale emerge il ritratto di Baroni progettista, che fece della semplificazione del processo costruttivo delle coperture voltate leggere il suo lascito alla costruzione industriale italiana. 2.1 L’Alfa Romeo e l’efficienza della configurazione a timpano Dopo gli ottimi risultati del collaudo della prima applicazione alle Fonderie Vanzetti una seconda importante commessa non tarda ad arrivare. L’Alfa Romeo è una firma di prim’ordine del panorama imprenditoriale milanese. La storia del primo stabilimento dell’Alfa Romeo a Milano comincia con la costituzione della Società Italiana Automobili Darracq, per iniziativa congiunta di imprenditori francesi e italiani, con il proposito di ampliare il mercato della società automobilistica franco-inglese Darracq in Italia. Dopo aver valutato Napoli, viene scelta Milano come città dove aprire il primo stabilimento, vista sia la vicinanza al confine sia il fervore in questo settore che si andava consolidando nella città lombarda. Il primo nucleo dello stabilimento viene aperto tra il 1906 e il 1907 nella zona del Portello, area a nord-ovest della città, che prede il nome da quello dell’omonima strada storica che la attraversa (oggi Via Marco Ulpio Traiano, che ne segue il tracciato). Il modesto impianto iniziale copriva un’area di 35.000 mq, fu progettato dall’ing. Luigi Grondona e costruito dall’impresa Achille Banfi1. 1. Riguardo il censimento dei beni industriali dismessi sono stati considerati come riferimenti essenziali quello del 1984 a cura di M. Negri e A. Garlandini “I monumenti storico-industriali della Lombardia. Censimento regionale” (Portello: scheda n. 44) e il censimento del 2001 a cura di G. Lisciandra “Archeologia industriale. Catalogazione dei beni di archeologia industriale nel Comune di Milano” (Portello: scheda n. 102). Un utile riferimento è anche il lavoro svolto nell’ambito del “Censimento descrittivo degli archivi d’impresa della Lombardia”, promosso da Centro per la cultura d’impresa e svolto nel 1998-2011, che è servito da guida per l’individuazione dei fondi archivistici.
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Nel 1909 la casa automobilistica d’oltralpe si ritira a causa di difficoltà economiche. Il gruppo di imprenditori italiani coinvolto rileva l’impianto messo in liquidazione e cambia il nome alla società in Anonima Lombarda Fabbrica Automobili – ALFA. Non tarda ad arrivare però un ulteriore cambio di ragione sociale. Nel 1915, a seguito dell’intervento della Banca Italiana di Sconto, la società viene acquisita da Nicola Romeo, imprenditore napoletano, che ne cambia il nome in Alfa Romeo Soc. An. It. Ing. Nicola Romeo & C. Sotto la gestione di Romeo l’organizzazione aziendale fu sottoposta ad una riforma per aprire la produzione alle commesse belliche della Prima guerra mondiale. Le necessità dell’aumentata produzione portarono il complesso industriale al primo ampliamento tra il 1915 e il 1916. Furono aperti tre nuovi reparti fonderia per ghisa e alluminio, portando lo stabilimento ad ampliarsi dalla Strada del Portello ad est verso Via Ludovico Scarampo ad ovest, fino a Viale Renato Serra a nord2. Dopo la fine della Prima guerra mondiale la società guadagna notorietà e sostenitori grazie ai successi del comparto corse, ma il fallimento della Banca Italiana di Sconto prima e il generale periodo di crisi negli anni Trenta misero la società in difficoltà finanziarie le quali portarono intorno al 1926 all’estromissione di Nicola Romeo dalla gestione aziendale e successivamente nel 1933 all’acquisizione dell’azienda da parte dell’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale), sezione Finmeccanica, che portò la società sotto la gestione statale. Proprio di questi anni, a partire dal 1934, è il secondo ampliamento dello stabilimento del Portello. Per coniugare la produzione di autoveicoli civili con le nuove commesse militari, lo stabilimento si ampliò nell’area a nord di Viale Renato Serra. I reparti furono riorganizzati spostando la produzione della meccanica a nord e dedicando l’area sud alla produzione delle carrozzerie. É in vista di questo riordino dei cicli produttivi che Baroni viene coinvolto. L’esigenza di accrescere l’efficienza dello stabilimento è centrale e lo stoccaggio delle materie prime dopo il conferimento in fabbrica è subito riconosciuto come una criticità. Fino a quel momento infatti lo spazio preposto a questo passaggio produttivo è costituito da una semplice area all’aperto in asse con l’ingresso dotata di carroponte mobile su binari. La costruzione di un edificio dedicato che accolga magazzino e taglio è essenziale. Non viene cambiata né la posizione del reparto rispetto al complesso industriale, né il suo sviluppo planimetrico. Come momento di inizio della produzione, la posizione vicina all’ingresso principale è un vantaggio a cui non rinunciare. Per le lavorazioni da svolgere all’interno, lo sviluppo longitudinale è favorevole sia per lo stoccaggio del materiale, sia per la sua 2. Bigazzi D., Il Portello. Operai, tecnici e imprenditori all’Alfa Romeo 1906-1926, Franco Angeli, Milano, 1988.
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movimentazione verso la zona del taglio. L’edificio che Giorgio si trova a progettare deve perciò coprire un’area lunga e stretta e avere un’adeguata luce libera per il posizionamento del carroponte da 17 m. La costruzione si svolge in due fasi. Il primo progetto è firmato da Baroni nell’aprile del 1939, il secondo nel luglio del 1940 come ampliamento del primo3. Nel complesso il progettista risponde alle esigenze della committenza dividendo la lunga e stretta area in sette parti coperte ciascuna da quattro moduli di falda a paraboloide iperbolico aggregati a formare la configurazione di copertura a timpano corrispondente al brevetto del 1936. Nella prima fase furono innalzate cinque campare, nella seconda due, entrambe costruite dall’impresa Aldo Panzeri, sotto la direzione di Baroni, e collaudate da Luigi Stabilini [10]. L’intero edificio occupa un’area di circa 215 m di lunghezza per 25 m di larghezza (5.260 mq), componendosi di due campate sul lato corto, una maggiore di 18 m di luce e una minore di 6 m di luce, entrambe dotare di gru aeree per il trasporto del materiale. Gli ingressi sono posizionati alle estremità dell’edificio, quello ad ovest per l’accesso alla zona ufficio del caporeparto, posto lungo la campata minore in posizione sopraelevata, quello a est per l’approvvigionamento del materiale in ingresso dal piazzale arrivi. La campata principale, con luce libera di 18 m e altezza sotto capriata di 10,50 m, è organizzata con uno spazio stoccaggio affiancato ad un percorso distributivo su binari. Accanto a quest’area principale, una seconda campata, di 6 m e altezza 6,10 m, ospita un secondo carroponte per la movimentazione del materiale già tagliato. Una pensilina, di 2,75 m, era disposta lungo il prospetto longitudinale verso sud a raccordo con l’edificio limitrofo della fucinatura e stampaggio. Per rispondere alle esigenze di luce naturale e ventilazione vengono disposte finestrature apribili dal basso sul lato lungo della costruzione, servendosi dello spazio da tamponare all’interno dei timpani laterali. L’altezza massima dell’edificio è di 14,60 m, per un volume totale di 6.170.000 mc. La struttura dell’edificio è a telaio in cemento armato. I pilastri sul lato lungo della campata maggiore misurano in parte 60x50 cm e in parte 60x30 cm e sono posti ad interasse alternato di 4,50 m e di 6 m, mentre quelli sulla campata minore hanno un passo regolare di 7,50 m. Alla quota di 6,60 m dal suolo si impostano i 14 moduli di travi di tipo Vierendeel4 per ciascun 3. ACM, Via Gattamelata 45, S.A. Alfa Romeo, Lettera G, fascicolo 102525/1941. ACM, Via Ulpio Traiano 33, S.A. Alfa Romeo, Lettera R, fascicolo 64438/1941. Centro Documentazione Alfa Romeo (CDAR), Perizia Danni di Guerra Alfa Romeo, Milano, 13 agosto 1943, Parte I, Immobili, I volume, p. 25; Sezione Magazzino del ferro, pp. 1-2. 4. La scelta della Vierendeel potrebbe originare dalla necessità di allontanare il piano d’imposta delle volte da quello del carroponte e insieme irrigidire alle azioni orizzontali.
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10. Il reparto taglio e magazzino del ferro all’Alfa Romeo al Portello del 1939 a Milano e ampliamento del 1940 (foto di cantiere Umbrella building; tavole di progetto ACM)
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lato longitudinale, ognuna di altezza 4,40 m e lunghezza 15 m, sagomate con una sporgenza verso l’interno per permettere l’alloggiamento delle guide di scorrimento del carroponte a quota 7 m. Nella campata minore i pilastri esterni sono collegati in sommità alla quota di 6,10 m da un cordolo in cemento armato. Lo spazio compreso è coperto da un solaio composto da elementi laterizi SAP finito da cartone catramato a base di bitume5. Ma è nella copertura dell’edificio la firma distintiva di Giorgio Baroni. Le falde di spessore 3-4 cm, finite da uno strato di juta e bitume, sono appoggiate su snelle capriate, per geometria e concezione analoghe a quelle del progetto per la Fonderia Vanzetti, con l’unica differenza per l’assenza delle capriate sul lato longitudinale sostituite dalle Vierendeel, per favorire l’inserimento delle finestrature. I moduli progettati nel 1939 sono costituiti da falde di 15x9 m in proiezione in pianta; i successivi due del 1940 sono impostati su falde dalle dimensioni di 16x9 m. In accordo con il brevetto, l’armatura delle falde è organizzata su due livelli, l’inferiore con barre disposte secondo le generatrici della rigata, perciò parallele e perpendicolari rispetto ai lati della falda (φ 5, passo 20 cm), il superiore con una rete metallica posta a 45° (φ 5, passo 10 cm), nella direzione delle isostatiche di tensione per un carico uniformemente distribuito6. A queste si aggiunge un’ulteriore cura per l’ampliamento del 1940. Baroni predispone uno strato aggiuntivo di armature passanti sopra le altre, disposte a fasce e a croce sull’intera campata, a raccordo delle quattro falde (φ 5, passo 15 cm). Ad eccezione del giunto posto tra la prima fase di costruzione e l’ampliamento, Baroni non ne predispone altri. L’intrinseca elasticità delle volte, data dalla loro sottigliezza, le rende di per sé capaci di assorbire le variazioni di lunghezza dovute alla differenza di temperatura. In questo progetto l’estensione e la luce dell’opera non rendono possibile la cantierizzazione senza l’ausilio di casseforme, come nel caso della Fonderia Vanzetti. Baroni tuttavia mette in atto la realizzazione dell’opera per porzioni successive, dimostrando di impiegare alcuni principi di ottimizzazione dell’organizzazione della produzione edilizia. Traendo vantaggio dalla modularità stessa della sua copertura, riutilizza le casseforme e le carpenterie necessarie per il sostegno tra una campata e la seguente. Il risparmio di tempo e materiali è evidente.
5. CDAR. Perizia Danni di Guerra Alfa Romeo, Milano, 13 agosto 1943, Parte I, Immobili, II volume, sezione Magazzino del ferro, pp. 1-2. In allegato due disegni: Sezione del magazzino, scala 1: 50, dis. n. 2281, del 23/05/1939 e la Pianta del magazzino, scala 1:100, dis. n. 2426/1, del 25/06/1940. 6. ACS, Brevetti d’Invenzione, n. 346.696. Domanda del 23/11/1936: “Copertura in cemento armato e relativo procedimento di fabbricazione”.
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13. Il cantiere delle Officine Centrali dell’ATAG sulla Prenestina a Roma del 1939-1940 (AFA)
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14. La struttura per le Officine Centrali dell’ATAG: planimetria, sezione longitudinale e trasversale (disegni dell’autore)
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Modello assonometrico delle volte a shed conoidale per le Officine Centrali dell’ATAG a Roma, modello e disegno dell’autore
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Nel nuovo continente una seconda vita aspetta Baroni. Contesto cosmopolita, economia in dinamico sviluppo, rinnovate opportunità di sperimentazione. Le logiche della produzione edilizia statunitense sono ben lontane dall’artigianalità del cantiere tradizionale italiano. Superato l’anacronismo e proiettato nel futuro, a New York Baroni si misura con nuovi materiali – la vetroresina, le leghe leggere, il legno e l’acciaio inox – intreccia rapporti professionali e personali con accademici e progettisti di rilievo, registra quattro brevetti. I campi di azione sono distanti dall’architettura per l’industria, ma in ogni commessa c’è spazio per esprimere la propria identità di ingegnere, progettista e sperimentatore. Ancora una volta costanti dei suoi lavori i principi di leggerezza e ottimizzazione, perseguiti attraverso lo studio della forma più efficiente ai comportamenti meccanici di volta in volta desiderati. Si chiude il cerchio del suo percorso di progettista integrale con un lascito metodologico quantomai attuale: il binomio forma-struttura come occasione di ricerca creativa e sostenibile. 3.1 New York e oltre: contatti, pubblicistica e nuovi brevetti (1950-1954) Dopo aver trascorso nel 1949 un anno di Argentina a Buenos Aires per la progettazione di un hangar per aerei per il governo argentino1, Baroni trasferisce il centro delle sue attività a New York. Tra nord e sud America, il nuovo continente sembra promettente. È questo il tempo di intrecciare rapporti per debuttare nella società statunitense. Nei primi anni negli Stati Uniti l’intenzione è promuovere la sua capacità di progettista di gusci sottili e individuare nuove collaborazioni e occasioni imprenditoriali. Con l’intento di costruirsi una reputazione, Baroni prova sia la vetrina della pubblicistica, sia la via delle relazioni personali. Diffonde foto e descrizioni dei suoi progetti attraverso riviste statunitensi e mette su una rete di contatti per avvicinare i principali esponenti della progettazione ingegneristica di New York2. È del 1953 un articolo senza autore su “Architectural Forum” che racconta dei suoi sistemi3. Dalle prime opere milanesi alle ultime sperimentazioni, l’articolo mette in evidenza i vantaggi 1. Seppur non siano stati rinvenuti documenti chiari, si ipotizza che Edoardo Catalano sia coinvolto nelle attività di Baroni in sud America. 2. Le fonti archivistiche su Giorgio Baroni sono in ogni caso indirette. Per i suoi rapporti negli Stati Uniti: Anton Tedesko Papers (ATP), Department of Rare Book and Special Collections, Princeton University Library, NJ, USA. Centro Archivi di Architettura MAXXI (CAAM) Fondo Pier Luigi Nervi, Roma. 3. Umbrella building, op. cit. Nell’articolo risultano curiosamente una serie di imprecisioni, nelle date e nelle misure dei progetti descritti. Si ritiene probabile che fu Baroni a fornire i materiali per la scrittura dell’articolo, ma forse non ne fu l’autore finale.
Nuove frontiere, vecchi principi: sperimentazioni e consulenze negli Stati Uniti, 1950-1968
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20. Modello e progetto del New York Central Building, chiamato anche The Hyperboloid, del 1956 (ATP, Anton Tedesko Collection)
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Costruire con leggerezza
Central cominciano nel settembre del 1954 quando Robert R. Young, neoeletto presidente della New York Central Railroad, annuncia l’intenzione di valorizzare l’area della stazione, attiva dal 1913. Nella generale crisi in cui versano le ferrovie nazionali, l’idea di Young è trarre vantaggio immobiliare dalla posizione del lotto della stazione, realizzando un nuovo edificio che integri lo snodo ferroviario con un’alta torre per uffici. Sebbene la demolizione della storica stazione sollevi fin da subito obiezioni19, Young coinvolge nel progetto William Zeckendorf della Webb & Knapp, influente società di sviluppo immobiliare, la quale a capo del settore architettura ha proprio Pei20. Il progetto è l’esito della collaborazione tra la I.M. Pei & Associates e la Roberts & Schaefer21. Come parte di quest’ultima, Giorgio Baroni viene messo a capo della progettazione strutturale dell’opera. Appare evidente come, almeno in una prima fase, il progetto e la sua comunicazione siano guidati da logiche legate all’impatto mediatico. Nel contesto limitrofo della Medison Avenue, dove molte società e studi avevano le loro sedi, l’edificio doveva essere capace di attrarre i migliori investitori, diventando quasi il simbolo della vocazione della zona22. Con questa prospettiva è concepito “The Hyperboloid” (o New York Central Building), una torre per uffici di 108 piani dalla geometria di un iperboloide di rotazione con un polo per i trasporti pubblici e privati alla base, che, con i suoi 456 m di altezza avrebbe superato di 61 metri l’Empire State Building, diventando l’edificio più alto al mondo [20]. La forma proposta è quella dell’iperboloide iperbolico (o ad una falda), superficie generata per rotazione di una iperbole attorno ad un asse centrale. Nel progetto l’asse dell’iperbole è orizzontale e posto a circa due terzi dell’altezza della torre, a quota 318,5 m, dove si ha il minimo diametro in pianta di 46,5 m (circa 1.700 mq di superficie). Tutte le sezioni orizzontali della geometria sono coniche, nello specifico circonferenze, le quali cambiano di diametro al variare della quota, dando origine a piani di superficie 19. New York Times, 18 nov 1954, editoriale. 20. L’architetto I.M. Pei lavora all’interno della società Webb & Knapp tra il 1948 e il 1955. Nel 1955 aprì uno studio personale, I.M. Pei & Associates (nome usato fino al 1966, poi I.M. Pei & Partners 1966-1989 e Pei Cobb Freed & Partners 1989-oggi), ma continuò a collaborare stabilmente con la Webb & Knapp. Per questo motivo nei documenti relativi al progetto Hyperboloid il progettista compare sia con il suo nome sia con il primo nome del suo studio. Cfr.: I.M. Pei Pepers (1920-2016), I.M. Pei Collection, Library of Congress, Washington. 21. Si fa riferimento ad un report redatto dalla Webb & Knapp, I.M. Pei & Associates e Roberts & Schaefer intorno al 1956: The Hyperboloid: a Webb & Knapp project for Grand Central Terminal, Webb & Knapp, New York. 22. A p. 5 del report si può leggere: «We believe that the unique design of this building will result in world wide publicity and thereby would come to the attention of only the most discerning and progressive tenants. […] clear expression of modern building technology and artistic integrity».
Nuove frontiere, vecchi principi: sperimentazioni e consulenze negli Stati Uniti, 1950-1968
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Il Novecento è il secolo della costruzione in cemento armato. Nei primi decenni, si avvicendano numerose le esperienze pionieristiche per comprendere limiti e potenziale di questo promettente materiale. Tra gli arditi indirizzi sperimentali che animano l’Europa, la ricerca sulle coperture a volte sottili si distingue per il fascino esercitato dalle potenzialità meccaniche ed estetiche della resistenza per forma. Giorgio Baroni (1907-1968) è l’interprete italiano di questo viaggio verso la leggerezza. Distinguendosi per l’ideazione di soluzioni tecnologiche ottimizzate, Baroni troverà nella costruzione industriale un terreno fertile di applicazione dei suoi brevetti. Nel riscoprire ed analizzare il contributo progettuale di Giorgio Baroni e dei suoi cantieri autoriali, questo libro racconta anche un frammento di storia dell’ingegneria strutturale italiana e della sua architettura per l’industria. E oggi – più di ieri – è occasione per riflettere sui percorsi dell’efficienza e della sostenibilità nella progettazione.
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