LUIGI FRANCIOSINI

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LUIGI FRANCIOSINI

Gaetano De Francesco


INDICE


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ANTONINO SAGGIO SU LUIGI FRANCIOSINI

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PAESAGGI NATIVI Opera prima: casa del padre a Sutri Verso un’architettura topica Il paramento murario

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MECCANICA ESPRESSIVA Oggetti a reazione poetica Sospensione apparente

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STORIA È DIDATTICA I Mercati di Traiano Prix De Rome Franciosini Maestro

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TOPOGRAFIA Spazi pubblici per la periferia romana Le piazze di quartiere Architetture sezionali e spazi ipogei L’edificio rampa Edificio come opera di contenimento Argini e terrazzamenti su un golfo antico

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ARCHITETTURE PER L’ARCHEOLOGIA Masse aeree

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POROSITÀ TETTONICA Tessuto urbano come matrice compositiva Giustapposizione e svuotamento

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DEL SEGNO Strumenti del linguaggio

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PER APPROFONDIRE CREDITI

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IMPRINTING Da anni i miei colleghi all’estero mi dicono: «Ma che succede all’architettura italiana? È dai tempi di Rossi e della Tendenza che non sappiamo più nulla di voi!». Rimango sempre interdetto. Ma da un poco di tempo ho cominciato a pensare a questa crisi. «Ma non è vero – mi dicevo – noi abbiamo almeno una dozzina di architetti di grande valore. Ma com’è che anche questo amico così colto e importante non ne sa nulla?» Non so come, ma una volta ebbi l’illuminazione. Non la conoscono la nuova architettura italiana perché la “narratività” è sbagliata. Loro pensano a un nuovo stile unitario perciò non capiscono il valore di questi nostri architetti. Bisogna sostituire alla narrazione antica (lo stile metafisico condito di “architettura cittadina” della buonanima di Marcello insieme alla passione pure ideologica per la Stalinallee) una diversa chiave interpretativa. Il primo elemento di una nuova narrazione deve far comprendere che il valore non passa affatto per un nuovo stile. Un linguaggio comune semplicemente non c’è in Italia. Tutto è cambiato e anche l’antica categoria dello stile è defunta insieme all’ideologia. Il fatto che non ci sia uno stile omogeneo è, invece che una debolezza, una forza di questa nuova condizione. Ma come faccio a dare forza al concetto? A un certo punto ho avuto la seconda idea. Mi dissi: «Ma certo! Bisogna far capire l’Imprinting». Da tre decenni ci penso. Deriva da una miscela. Da una parte c’è Konrad Lorenz. Ricordate quando il grande etologo coniò il termine? Illustrava il fatto che gli essere viventi nei primi tempi della loro vita costruiscono dei luoghi mentali che costituiscono la loro presa di coscienza del mondo. Compì l’esperimento con le ochette orfane che si fecero convinte che lui, Konrad, fosse la loro madre e per tutta la loro vita si rapportarono con lui come la mamma. Questa scienza è. Ma pensai, secondo me noi animali umani facciamo di più. Creiamo questo Imprinting non solo con le persone ma anche con i luoghi.

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I luoghi della nostra infanzia vengono a costituire un “paesaggio nativo” o meglio: «Dietro a tutte le nostre attività intenzionali, dietro al nostro mondo domestico, c’è questo paesaggio ideale creato durante l’infanzia. Esso attraversa la nostra memoria selettiva e autocensurata, come un mito ed un idillio di come le cose dovrebbero essere, il paradiso perduto da riconquistare», scrisse Colin Ward. Ora mi domandai, ma vero è? E cominciai a fare delle verifiche. Comunicai a lavorare sull’Italia e mi chiesi: «Qual è il paesaggio perduto di Terragni?». Beh non è difficile, una volta così impastata la questione. È il cardo decumano del castrum romano. È l’astrazione razionale, il dominio delle regole umane sulla natura. E d’improvviso capii la Casa del Fascio. Questo prisma astratto che domina la vetta di Brunate che lo sovrasta. Vince il cardo decumano che vediamo dappertutto nella Casa del Fascio sul paesaggio. In Padania insomma permane l’Imprinting di quell’infanzia mitica del segno astratto di fondazione per riemergere, anche secoli dopo, nelle menti più sensibili. Aldo Rossi che dipingeva la Milano della periferia da ragazzo non poteva che essere lombardo. Poi mi chiesi: «E al Sud che succede, la stessa cosa è? Lo stesso Imprinting c’è?» No è diverso. Lì il mondo come deve essere è quello dell’infanzia mitica greca. È l‘ara che si erge come inno al cielo e agli dei. È una architettura mono-materica dal chiaroscuro abbagliante che appunto ricorda la nascita della stele, dell’altare, del tempio in cima al monte. Il mio primo test fu con Pasquale Culotta. Non v’erano dubbi, era un’idea che con Pasquale funzionava a meraviglia, lo rivelava, lo interpretava, forniva le giuste chiavi di lettura della sua architetture a Cefalù e dintorni. E poi mi dissi: «E al centro di questo nostro paese, che succede? È romano?». No, non è romano questo è il bello: non è affatto romano, ma etrusco. L’infanzia perduta e sempre ricercata in questa regione d’Italia è quella dove l’architettura si dà come matrimonio con l’ambiente. Una terra vulcanica in cui si scava il tufo per fare i percorsi sacri nelle vie cave. È lì dove emerge una relazione sezionale tra architettura e natura.

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Alessandro Anselmi fu il mio primo test. E naturalmente ancora altri con Piranesi, e il frammento, e la scena urbana. Funzionava. Almeno tre macro Imprinting esistono in Italia, al Nord vince la pianta e l’astrazione romana, al Sud vince il prospetto della Magna Grecia e al centro vince la sezione, potevo anche aggiungere ricordando un pezzo di Franco Purini su “Casabella” del gennaio del 1991. Fermiamoci qui. Avevo l’idea della narrazione nuova per disegnare una collana. Mi dissi voglio solo architetti italiani, affermati, maturi. Niente promesse. E voglio autori-critici di prim’ordine. O giovani che mi conoscono bene e che vogliono “imparare” ancora da me, oppure vecchi amici con cui ho lavorato alla Universale di architettura. Ricordate “gli architetti” con la Testo&immagine e Marsilio? O la Rivoluzione Informatica in Architettura con Birkhäuser, Edilstampa e Testo & Immagine? All’estero devono capire che l’Italia è paese dei mille paesaggi, e che questi paesaggi nativi operano dentro le personalità sensibili come enzimi del processo creativo. E che questo è tesoro unico, ed è la nostra particolarità, altro che linguaggio. Un continuo ripensamento, un rovello creativo, un perenne tradimento dello scontato e del facile. Nessuno ha all’estero i nostri paesaggi, nessuno ha questa ricchezza e nessuno come i migliori architetti nostri può far sentire come ciò si trasformi in architettura di oggi con mille rimbalzi, mille negoziazioni, senza nessuna memoria nostalgica, senza nessun genius loci dato una volta per tutte. Ma ricreando e reinventando ogni volta. Nei sentieri antichi non si torna uguali a prima. “Altre ali fuggiranno dalle paglie della cova | perché lungo il perire dei tempi | l’alba è nuova, è nuova” scrisse il poeta materano Rocco Scotellaro. Capiremo così insieme perché Franciosini è umbro, Pujatti non può che essere friuliano, Peluffo genovese, Vaccarini marchigiano, Luciano Pia torinese, Zucchi, per la miseria, milanese e Gambardella, Song’e Napule è. Ora, parlai del mio progetto con l’editore nella figura dell’architetto Francesco Trovato. Credo che ci mise 24 ore a dirmi di sì. Dopo dissi e come la chiamiamo «Architettura

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e architetti contemporanei italiani?». «Ma quando mai! Imprinting la dobbiamo chiamare!», mi rispose. E adesso avevo nome e editore. Dopo dissi ma basta questo concetto ad inanellare le perle della collana? No una triade si deve fare mi dissi. Ed ecco il secondo elemento, “Il maestro“. Vuol dire che volenti o nolenti di architetti l’Italia di maestri ne ha tanti. E ognuno di questi maestri, per gli architetti che sopra abbiamo nominato ad esempio, è punto di studio, di riferimento, di dialogo. Un dialogo da pari a pari, ma maestro è maestro e tale rimane. Possiamo capire mai Zucchi senza Caccia Dominioni, Pujatti senza Gino Valle, Peluffo senza De Carlo? Dobbiamo di nuovo far capire ai nostri amici d’oltralpe con chi ci hanno a che fare. Che ci abbiamo anche questa cosa, che hanno pure loro, certo, ma non la stessa proprio. Infine è mezza vita che lavoro non solo sui libri miei, ma soprattutto su quelli degli altri. E la mia fissazione è avere una scrittura “pertinente”, che parli della spazialità, della costruzione, dell’invenzione, dell’uso e delle difficoltà del fare – in Italia folli e al Sud pure di più. C’è bisogno di una scrittura che sia vicina “al come”, questo è il terzo elemento della triade. Perché chi legge capisca – ed emuli se vuole – chi ha nel disegno a mano, nel Bim, nel plastico in creta o nel modellino in cartone riciclato, la chiave della sua casa-architettura. Una chiave che apre il processo che poi ciascuno sviluppa con consulenti e collaboratori e a suo modo. Una triade Imprinting-Maestro-Processo. Ecco i tre fili che intrecciati tra loro tengono insieme i libri di questa collana.

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ANTONINO SAGGIO SU LUIGI FRANCIOSINI

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Con chi mai potevo cominciare la collana Imprinting se non con Luigi Franciosini? Ed eccole le male lingue: «Ma cierto, cumpare di Saggio è!». Sì, è vero, è il mio amico dal 1979 e a lui devo, tra mille cose, la prima opera costruita che anche qui vedrete e che mi ha permesso giovanissimo di essere con lui pubblicato nella guida delle migliori architetture del dopoguerra in Italia. Ma, compare o non compare, la grandezza e il talento di Gigi lo vedrete da voi, e ditemi se non rimarrete a bocca aperta. Vedrete lo splendido racconto che ha montato in pagina l’editore. Un impaginato che è un progetto in sé. E l’autore, a chi lo si fa scrivere il libro? Le solite male lingue diranno: «Ah, Gaetano De Francesco è, ma per forza l’assistente a Sapienza di Saggio». Certo lo è, e da una dozzina di anni sempre con me dentro e fuori l’università: paladino del Sicily lab, architetto operante, serio studioso di infrastrutture dell’acqua e poi firmatario del progetto finalista del Museo della Scienza proprio con Franciosini capogruppo e infine recente professore idoneo di Composizione. Che se non ci sbrighiamo a Sapienza, va a finire che altri si muovono prima e se lo acchiappano ’sto talento nostro. Insieme a questo libro ne esce un altro dedicato a un architetto che ne è l’opposto. Quanto Luigi Franciosini è etrusco tanto Stefano Pujatti viene da una terra settentrionale di grandi costruttori e nel mondo si è formato. Luigi si è mosso sempre dentro il proprio paesaggio nativo e, anche se è molto conosciuto in Iberia, lo è ancora poco da noi. Si tratta di due architetti per molti versi opposti ed è per questa ragione che serve la nuova narrazione della collana Imprinting. Quando i libri saranno tradotti da LetteraVentidue in inglese, speriamo serva a convincere i nostri colleghi all’estero sulla vitalità della nuova architettura italiana. Vedete, la grande tesi di questo volume, e per estensione dell’intera collana, è che Franciosini non possa essere compreso senza la sua appartenenza all’Etruria. Dopo mesi che ci pensavo finalmente ho capito una maniera efficace per fare

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comprendere a chi ci legge il senso di questa affermazione. L’“ecologia etrusca” e cioè l’aspetto culturale, simbolico religioso e la presenza del mondo naturale di quella civiltà è un insieme profondamente coeso. La cultura modella gli esseri umani e gli esseri, umani e non, parlano alle piante, ma allo stesso tempo, non esiste materia inerte in questo mondo. La terrà è viva, la terra ci parla, ci ascolta e noi essa ascoltiamo. Ebbene questo è esattamente il punto. Franciosini da architetto etrusco quella terra la “ascolta”, quasi da aruspice la interpreta e ci dialoga continuamente. La parola ha un nome nella cultura architettonica. Si chiama “suolo” e Franciosini è anche scientificamente, uno studioso e un didatta di questa impostazione in molte pubblicazioni e tra l’altro nel suo splendido manuale sulla quintessenza di una terra con cui parlare: quella che per gli etruschi accoglieva i defunti. Da amico e compagno di progetto mi piacerebbe ripercorrere gli innumerevoli aneddoti che ci legano o le discussioni appassionate, ma solo un aspetto della sua personalità posso ora ricordare: il guizzo, dote comune ai grandi giocatori. Vedere rapidamente – anzi istantaneamente – una traiettoria imprevista e lì, in quell’angolo, in una frazione di secondo tirare. Di solito, Gigi fa gol; anzi, come scoprirete nel bel testo di De Francesco, “segna”.

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PAESAGGI NATIVI

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Luigi Franciosini nasce il 27 maggio 1957 a Orvieto. Figlio di un medico e di una maestra, trascorre la sua infanzia tra Sutri e Monte Rosa, lì dove i banchi tufacei emergono dal suolo per essere rupi e terreni di fondazione. L’area umbro-laziale che lambisce la riva meridionale del fiume Paglia e che si estende da Orvieto verso le pendici dei vulcani laziali, è il luogo della sua giovinezza. Tra scorribande ed esplorazioni giovanili Franciosini indaga questo vasto territorio di campagna che ha un rapporto storico e topografico con la città di Orvieto, diventandone un appassionato conoscitore. Le materie di cui esso è composto e i rapporti reciproci sono oggetto di interesse per questo ragazzo di provincia: in particolare il profondo rapporto tra suolo ed edificato, tra forma e materia lo affascinano. In questo paesaggio – che lo stesso Franciosini ama definire “primordiale” – e in cui sono evidenti le relazioni tra antiche strade e città, ancora identificabili nelle loro forme, tra edificato e suolo, tra campagna coltivata e boschi, tra laghi e mare; vi è un patto ancestrale tra materia e forma. Un riferimento costante nel lavoro dell’architetto oltre che un continuo oggetto di ricerca. Questa relazione costituisce il paesaggio nativo al quale l’architetto attingerà durante tutto il suo lavoro, rappresenta l’imprinting di Franciosini, oltre che il luogo dei primi incarichi progettuali.

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PAESAGGI NATIVI


Recupero e sistemazione dell’area dei bastioni di Porta Vecchia, Sutri, 1990-1994. In basso il cancello d’ingresso.


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per l’ampliamento del cimitero urbano di Terni e Villa Giardina, citata nel paragrafo precedente. Il progetto della porta di Sutri e dell’area adiacente rappresenta per l’architetto – in queste occasioni progettista e direttore dei lavori – anche una sorta di apprendistato al mestiere. L’architetto studia i paramenti murari a giunti stretti, tecnica tipica del territorio di origine, e acquisisce conoscenze riguardo alla composizione delle malte grazie alle maestranze presenti in cantiere. Si confronta direttamente con la statica delle costruzioni antiche e matura un forte interesse per i meccanismi e per la forza espressiva del particolare. Il cancello di accesso all’area dei bastioni, che evoca una balestra, testimonia l’attenzione di Franciosini al dettaglio. Si tratta di un telaio metallico, formato da un graticcio ligneo e da un tirante diagonale. Questo ultimo, una briglia di ferro, ha funzione di irrigidimento della struttura e incorpora un perno che mette in trazione il tirante e permette un’agevole apertura del cancello di notevole dimensione. Questa soluzione è utilizzata, seppur variata, per il cancello di accesso di Villa Giardina, citata nel capitolo precedente, e per il torrione a Gallese di cui si tratta nel capitolo successivo. L’attenzione al dettaglio porterà l’architetto a elaborare negli anni Novanta una serie di progetti dove i singoli elementi architettonici, anche i più piccoli particolari, acquisiscono forza espressiva.

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PAESAGGI NATIVI


In questa pagina e nelle successive: IMPRINTING Call Internazionale per Via dei Fori Imperiali, Roma, Accademia Adrianea - Piranesi Prix de Rome, 2015-2016.

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PRIX DE ROME Il lavoro sul patrimonio archeologico romano trova la massima sintesi nel progetto per la Call Internazionale per Via dei Fori Imperiali, indetta nel 2015 dalla Accademia Adrianea – Piranesi Prix de Rome, la cui partecipazione richiede una partnership tra università e studi di progettazione di alto profilo internazionale. Il gruppo coordinato da Franciosini per l’università Roma Tre ottiene ex-aequo con i gruppi Franco Purini dell’università La Sapienza con Tommaso Valle e David Chipperfield con Alexander Schwarz il primo premio. Una scelta ecumenica tra impostazioni antitetiche. Ciò di cui eravamo testimoni era non solo la difficoltà oggettiva di avanzare nei territori di questa città di trincea, potenziale espansione della città di superficie, ma anche di immaginarla, evocarla e commemorarla: l’antichità non ci è data in consegna di per sé – non è lì a portata di mano – al contrario tocca proprio a noi saperla evocare. La comprensione del passato non è mai un evento neutro è un’azione che necessita di un’attività creativa prodotta dalla memoria che, sollecitata dall’esperienza, garantisce il suo continuo rinnovamento. In quel groviglio di lasciti in vista sul parterre archeologico […] ciò che si rilevava era l’assenza di ogni strategia progettuale in grado di porre in evidenza criteri restitutivi, in grado di aiutare la fruizione dell’occhio e dell’anima (Franciosini 22c).

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Franciosini inventa una infrastruttura archeologica che percorre l’attuale via dei Fori Imperiali, dalla valle del Colosseo fino a Piazza Venezia, in grado di rispondere al problema della discontinuità tra i diversi strati su cui la città si è sviluppata nel corso dei secoli: «uno spazio pubblico aperto ai servizi e alle attività per i turisti e per i cittadini immaginato per trasformare la Città Storica in un Patrimonio Culturale vitale e vissuto da tutti». Si tratta di una superficie dalle nette geometrie, dalla sezione e dagli spessori variabili che è al contempo piazza e copertura, connessione e limite, direttrice fisica e visiva, collegamento orizzontale e verticale. Nei propri vuoti integra un sistema vegetativo pensato come

STORIA È DIDATTICA


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TOPOGRAFIA

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Per cogliere completamente il modo di progettare di Franciosini, è necessario confrontarsi con il tema del suolo. L’approccio “topografico” teso a riconoscere il valore strutturale della forma fisica come fondamento e identità del territorio abitato del progetto architettonico e urbano, contraddistingue in maniera sempre più consapevole il suo approccio all’architettura e ne costituisce il corpo principale della ricerca. L’architetto trova nelle forme, della topografia, della geologia, l’origine dell’organizzazione delle strutture antropiche. Dal suolo trova ispirazione, trova alimento. Questo rapporto viscerale con la materia “suolo” si radica nell’appartenenza di Franciosini al paesaggio dell’Italia centrale, nei cui banchi tufacei l’uomo ha modellato fin dall’antichità spazi di straordinaria bellezza. Con il passare degli anni il rapporto delle sue architetture con il suolo diventa sempre più pregnante. Il suolo è per l’architetto il supporto di natura geologica dove nel corso dei secoli si sono accumulate tracce, materie e memorie da scovare; è l’elemento che ha orientato la forma delle nostre città; è corpo nel quale si fondano gli edifici e materia sottoposta a rischio idrogeologico; è soprattutto opportunità di sperimentazione spaziale, luogo da plasmare per la città contemporanea.

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TOPOGRAFIA



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programmazione e pianificazione, del territorio, Roma capitale, u.o. XI, interventi di qualità. Il concorso prevede la realizzazione di una piazza dotata contemporaneamente di parcheggi pubblici a raso e interrati. Il progetto è ancora una volta un rilevato suggerito dall’andamento morfologico dell’area. Ritorna il motivo della rampa zigzagante, rivestita con lastre lapidee, che ospita camminamenti e spazi di sosta e la maggior parte dei parcheggi nel sottosuolo. La rampa è come composta da filamenti che si proiettano dal territorio circostante e che si concentrano verso il centro dell’area di intervento a caratterizzare la piazza vera e propria. Questa promenade che conforma e delimita le aree a prato e gli alti filari alberati e che collega la piazza alla campagna, questa rampa che ricorda i banchi affioranti delle cave tufacee che si offrono come segni antropici nel paesaggio dell’agro laziale avrebbe senz’altro colpito il grande Enric Miralles che ha lavorato su questi temi. Il progetto non viene mai realizzato.

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In queste pagine e nelle successive: Piazza pubblica attrezzata con parcheggi a raso e interrati, Divino Amore, Roma, 2007.

TOPOGRAFIA


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ARGINI E TERRAZZAMENTI SU UN GOLFO ANTICO

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Nel 2021, lo studio elabora un progetto per il concorso di progettazione in due Fasi per l’intervento di Riqualificazione e valorizzazione dell’area Archeologica e Antiquarium di Tindari nel comune di Patti, in provincia di Messina. In questo progetto convergono i temi più cari all’architetto. La proposta rappresenta un condensato di soluzioni e di invenzioni di un progettista che ha raggiunto la piena padronanza tecnica ed espressiva. La lettura pervasiva del complesso contesto ambientale e archeologico in cui si interviene e la reinterpretazione delle sue componenti, motiva l’idea di una serie di architetture che nascono dal suolo per la fruizione del sito archeologico e per la protezione di alcune sue sezioni; l’ipogeo è la dimensione concettuale predominante dell’intervento, la ricerca di una continuità topografica e materica con il paesaggio un leit-motiv di Franciosini. In questo caso viene elaborato un progetto per fasi di costruzione successive che allargano le aree di influenza del progetto in una serie di cerchi concentrici sino alla rupe e ai sottostanti laghetti di Marinello. L’occasione dei modesti interventi proposti dal bando innesta una più ampia strategia: far emergere la rilevanza internazionale del sito.

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Due tipologie di edifici definiscono l’operare progettuale: l’edificio-argine che costituisce il nuovo antiquarium e che ospita i servizi ai visitatori e l’edificio-terrazzamento destinato ad auditorium, uffici, camerini e depositi teatrali, spazi per la ricerca, depositi archeologici. I due edifici si inseriscono all’interno della topografia dell’area, ciascuno su un lato del teatro, ed entrambi sfruttano le quote degradanti. Il primo ingloba i sistemi di accesso e discesa all’area archeologica e funge da belvedere sul Golfo di Milazzo a oriente e dei monti Nebrodi alle spalle. Si posiziona sul limite dell’area archeologica, costituendo un vero e proprio edificioargine nel cui spessore ospita i vari ambienti e dal quale si diramano rampe, passerelle e pensiline. Masselli lapidei monolitici, posati a secco, di natura calcarea, ricomposti o provenienti da cava rivestono le sue parti. Il secondo edificio si configura come un piano che nel piegarsi genera tre terrazzamenti. Muri in gabbioni riempiti con il materiale erratico, lapideo e laterizio, reperibile all’interno dell’area, rivestono i fronti dell’edificio che appaiono come opere di contenimento del terreno, mentre la copertura verde stabilisce la continuità visiva tra l’architettura e il magnifico ambiente circostante miracolosamente preservato grazie ai vincoli archeologici e naturalistici.

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In queste pagine e nelle successive: Riqualificazione e valorizzazione dell’area archeologica e antiquarium di Tindari, Patti, 2021.

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Collana ideata e diretta da Antonino Saggio

Luigi Franciosini è un architetto “silenzioso”, che sviluppa il proprio lavoro in un’incessante ricerca con pochi e fidatissimi collaboratori, realizzando una serie di stupendi album di disegni in cui sonda simultaneamente la costruttività, lo spazio, le relazioni con l’intorno e il suolo in cui si collocano le opere. Questo libro, la prima monografia dedicata all’architetto orvietano, organizza i trenta anni di attività progettuale attraverso sette punti di osservazione: paesaggi nativi, meccanica espressiva, storia è didattica, topografia, architetture per l’archeologia, porosità tettonica, del segno. Tutto il suo lavoro è pervaso in maniera profonda dal tema dell’Imprinting e per questa ragione inaugura questa nuova collana.

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