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graphic design in Italia
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ping pong ping pong ping pong ping pong ping pong1 di Angela Rui Quello che avete tra le mani non è un quaderno che in modo analitico presenta il lavoro di uno studio grafico, o meglio è anche questo, ma è soprattutto l’ennesimo trucco in forma di pagine escogitato da Claude Marzotto e Maia Sambonet. La Masterclass che hanno tenuto al Teatrino di Palazzo Grassi a Venezia qualche mese fa portava il titolo WAS IT A CAT I SAW. Non era un gatto ma un palindromo, quell’antico concetto greco che riguarda le parole che possono essere lette in entrambi i sensi seguendo dunque percorsi inversi che portano allo stesso significato. In effetti il sottotitolo al progetto From Space to Page and Viceversa dichiarava l’intento – sempre latente nel loro lavoro – di mettere fine a una serie di separazioni ordinative e disciplinari che limitano la nostra capacità di apprendere; e così facendo di generare parentele tra ambiti solo apparentemente separati. La prima riguarda la nozione di spazio: non è possibile separare la dimensione ontologica dello spazio che 1. Eugen Gomringer, Untitled (Ping pong), 1953
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abitiamo (in termini di esperienza) dallo spazio della pagina. Sono entrambe esperienze “contenute”, perimetrate, ma vissute come luoghi attivi d’incontro, di azioni, di co-creazione, e cartine al tornasole di un valore aggiunto che è dato dalla capacità delle progettiste di restituire l’esecuzione di intelligenza collettiva, da loro sapientemente immaginata, orchestrata e poi riportata sotto forma narrativo-visiva. Mi spiego: per capire come pensano le autrici, ancor prima di sapere cosa siano in grado di fare per voi, dovreste partecipare ad almeno uno dei loro workshop. L’attività dello studio infatti si riflette tanto nel progettare attività e azioni quanto nell’elaborare comunicazione visiva – sia questa applicata a pubblicazioni, mostre, o intere istituzioni in ambito culturale e artistico. La funzione di un workshop – come ben descritto in Metaworkshop (2018), laboratorio/pubblicazione che riconfigurava il repertorio iconografico della collana dei Centro di Documentazione sul Progetto Grafico – consiste nell’attivare un processo di apprendimento collettivo, in cui il gruppo condivide uno spazio e un tempo per l’azione negoziati in anticipo, in aggiunta a chiare azioni fisiche potenziate da una serie di strumenti, come visori specchiati o protesi per pennarelli, “oggetti di scena, con una presenza simbolica oltre che un’ergonomia in termini di postura e gestualità”. Uno spazio-tempo in cui a ogni partecipante è data la possibilità di capovolgere i propri occhi e utilizzare i propri sensi in modo sinestetico:
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la goffaggine dei movimenti e dei segni che ne conseguono non fa che creare uno spazio di ascolto e di curiosità verso il gruppo e verso l’elaborato; “per quanto riguarda il disegno”, scrivono, “variazioni di scala e di ritmo amplificano la percezione del movimento e contribuiscono a spostare l’esperienza sul piano dell’interazione collettiva”. Qui il superamento della seconda separazione, che loro chiamano “azione-documentazione”: il processo che tiene stretto quest’insieme può essere descritto come una traiettoria di apprendimento che genera contenuto, contenuto di intelligenza plurale. Ma dunque se la documentazione non può basarsi su idee precostituite, dove si trova il contributo delle designer? In quello spazio di mezzo, ovviamente. Progettano azioni e strumenti che generano un campo di possibilità in cui forme, segni e fiction scaturiscono da dinamiche generative. “Le regole del gioco modellano in corso d’opera le tappe di una sequenza narrativa non lineare e non subordinata al raggiungimento di un risultato predeterminato”, ma utilizzando la sensibilità plurale e dialogica. Ecco, ora immaginate che questo tipo di progettazione sia adottata come metodologia, applicata anche al volume che magari avete già curiosato. Associazioni apparentemente casuali hanno già creato pattern di pensiero nella vostra mente. Non è un portfolio, è uno strumento. Quest’immagine riflessa è già contenuta nel nome del loro studio, òbelo: un “÷”, variazione tipografica del “–”. Interessate allo spazio tra, agli intervalli neutri come spazi di possibilità, alle zone
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che restano aperte per digressioni e contaminazioni di significati come fossero cerniere per la messa in movimento di un'idea – simboleggiate dal quel trattino, poi dotano questo spazio di azione: grazie all’aggiunta di quei due puntini (sopra e sotto, anch’essi a formare un palindromo visivo) trasformano quello spazio sospeso di possibilità in un tavolo da ping pong. Un campo d’azione, e di reazione, dove vi trovate nel doppio ruolo di attori e osservatori. Ma nel tempo quel giocare a ping pong è andato ben oltre l’idea metaforica di spiegare, a se stesse e alla committenza, il carattere interdisciplinare dello studio per diventare una pratica progettuale che è solo loro e che in assoluto caratterizza anche il tipo di rapporto (professionale) che si ha con loro. Ho avuto la fortuna di incontrarle in una tiepida domenica di settembre tra amici, ci siamo piaciute. Assieme abbiamo poi lavorato a mostre, pubblicazioni e workshop in aule zeppe di studenti per i quali, messe alla prova dalla post-pandemia, abbiamo provato ad abbattere un terzo livello di separazione – quello tra la teoria e la pratica che riguarda la progettazione. In ognuna di queste esperienze, il dialogo con Maia e Claude è cominciato all’inizio del progetto curatoriale, editoriale, o pedagogico. E questo dialogo ha sempre trasformato non solo il progetto, ma soprattutto il modo in cui io pensavo il progetto, andando ad aggiungere complessità e lucidità al pensiero su cui si basava. La loro incredibile virtù, dotate di leggerezza e puntualità tipiche
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di grandi maestr*, sta proprio nell’esercizio dell’ascolto, e nell’utilizzo di quello spazio neutro che come in un simpatico set di palleggi trasforma la concentrazione dei propri interlocutori liberandola dell’inevitabile pesantezza dei loro spazi mentali. Progettano palindromi – visibili e invisibili. Ribaltano prospettiva, significato e valore di ciò che si fa, rendendo meglio navigabili i contenuti (siano questi archivi, indagini curatoriali o esperienze altrui) perché guarda caso il loro saper guardare in trasparenza è più limpido, e porta sempre a quella stessa verità che si voleva raccontare, ma dotandola di voce propria.
Angela Rui è curatrice e ricercatrice per il design. Giornalista e PhD in Exhibition Design, oggi contribuisce – attraverso la curatela, la scrittura e l’insegnamento – a rivedere il ruolo del progetto come pratica critica a supporto del rinnovamento eco-sociale attraverso metodologie sperimentali di co-progettazione relazionale e rigenerativa. rui.vision
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òbelo è uno studio fondato a Milano nel 2014 da Claude Marzotto e Maia Sambonet. Lo studio si occupa di progetti editoriali, comunicazione culturale e formazione, con un particolare interesse per le pratiche collaborative e l’autoproduzione grafica come strumento di ricerca visiva. obelo.it
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Progetti & Workshop Le pagine che seguono ripercorrono dieci anni di progetti nel campo della grafica e della formazione in ordine sparso. Manifesti e cartoline, copertine e pagine di libri, documentazione fotografica dei workshop, lavori fatti da e con gli studenti si susseguono liberamente lungo il filo non cronologico dei rimandi visivi. Si tratta di un gioco di montaggio proposto più volte con repertori e in contesti diversi, e a cui nel tempo abbiamo dati vari nomi: Sequenza, Domino, Carambola 1, o più spesso Leporello, come gli album a fisarmonica a cui è sempre possibile aggiungere una pagina. Le immagini dialogano non tanto per quello che descrivono o raffigurano, ma per ciò che presentano sulla pagina, lasciando affiorare affinità di strutture, movimenti, configurazioni. Ogni mossa proietta sull’immagine precedente un nuovo punto di vista e un giro di senso.
1. Dal titolo della mostra Carambolage, a cura di Jean-Hubert Martin, Grand Palais, Parigi 2015. Un altro riferimento è il libro di Jason Fulford e Tamara Shopsin, This Equals That, Aperture, New York 2013.
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Fondato a Milano nel 2014 da Claude Marzotto e Maia Sambonet, studio òbelo si occupa di progetti editoriali, comunicazione culturale e formazione. Una selezione di manifesti, libri, cartoline, fotografie dei workshop e progetti fatti con gli studenti ripercorre dieci anni di grafica lungo il filo non cronologico dei rimandi visivi.