DAVIDE TOMMASO FERRANDO B U I LDING ST O R I E S
intervista ao a STEFANO PUJATTI
08 Loqui LetteraVentidue
I N D ICE
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PREFAZIONE
19 30 38 43 53 58 63 67 73 79 91 97 104 115 121
INTERVISTA Canada Politica Premi Edilizia Riferimenti Spaesamento Autorialità Arte Talento Terme di Grado Cimitero di Borgaretto Controllo Struttura Weengushk Film Istitute Case
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Biografia
T U V UO FÀ L ’ A M ERICANO
Lo studio di architettura ELASTICOFarm si trova nella campagna chierese, in una cascina a pochi minuti di auto da Torino. Il complesso, che comprende anche la casa del fondatore Stefano Pujatti, nonché la scuderia dei suoi cavalli, è adagiato su un terrapieno dal quale si domina un paesaggio di campi coltivati a me familiare, dato che sono nato e cresciuto da quelle parti. La mia prima visita alla “Giardina” risale al 2007, quando lo studio si chiamava ancora ELASTICOSPA. Cercavo lavoro come progettista e una lunga chiacchierata con Stefano mi diede l’impressione di aver trovato un fortunato approdo dal quale riprendere la mia carriera di architetto. Purtroppo o per fortuna, di lavoro per me non ce n’era in quel periodo, per cui la mia traiettoria professionale si sviluppò altrove e in altri modi. Le conversazioni con Stefano, però, non si interruppero, anzi: si intensificarono negli anni successivi, introducendomi progressivamente all’allegra comunità di collaboratori e amici che è lo studio, e che negli anni è diventata per me una specie di seconda casa, dove tornare di tanto in tanto per parlare di architettura. Recentemente, gli spostamenti di entrambi ci hanno costretti a trasferire su WhatsApp buona parte dei nostri scambi, rallentandone il ritmo. L’invito di Federica Doglio e Francesco Trovato a contribuire a questa 7
collana, di conseguenza, mi ha dato un’ottima scusa per riprendere le conversazioni con Stefano e approfondire, in particolare, il modo in cui ELASTICOFarm intende e pratica l’architettura. Il testo che segue è dunque il risultato di cinque chiacchierate tenutesi tra dicembre 2022 e maggio 2023, in parte in presenza e in parte online. Per restituirne nel modo più fedele possibile la fluidità e il carattere erratico, i cinque scambi non sono stati trascritti in ordine cronologico, bensì ricomposti a seconda dei temi trattati e infine montati in un’unica, ininterrotta conversazione. Quando conobbi Stefano, nel 2007, era in via di completamento l’Atelier Fleuriste a Chieri: forse la prima vera “hit” dello studio, che ne proiettò la presenza mediatica ben oltre il pubblico di connoisseurs cui si era rivolto fino ad allora, con una serie – già eccezionale – di progetti di piccola e media scala tra Friuli e Piemonte. La fortuna critica dello studio comincia di fatto l’anno successivo, con la pubblicazione della monografia Architettura al Sangue1, di cui Pietro Valle scrisse una recensione raffinata e tagliente su “Arch’it”2, ancora oggi più che calzante. Dello stesso anno è l’invito a prender parte al Padiglione Italia alla 11° Biennale di Architettura di Venezia, cui seguiranno altre tre partecipazioni. Negli 8
ultimi quindici anni, anche grazie al salto di scala fatto nel 2012 con l’Hotel 1301iNN di Piancavallo, uno dei loro lavori più rilevanti, ELASTICOFarm si è affermato come un gruppo di progettazione dalla ricerca fortemente autoriale, tra le più interessanti e apprezzate practices del panorama nazionale – anche in virtù di un certo anticonformismo che, in un Paese conservatore e omologante come l’Italia, ha rapidamente assunto il valore di atto di resistenza. Come si può immaginare, la progressiva crescita dello studio è stata accompagnata dalla selezione a diverse mostre e premi, e dalla pubblicazione di numerosi testi critici, tra cui un libro interamente dedicato all’hotel 1301iNN3 e un saggio monografico di Michela Falcone4. L’insieme di questi scritti restituisce una lettura del lavoro di ELASTICOFarm consolidatasi nel tempo, che vorrei dare qui per scontata. Piuttosto che riproporre tesi ricorrenti e descrizioni di edifici ben noti, ho infatti preferito coinvolgere Stefano in una serie di conversazioni inedite, condite di provocazioni volte a fare emergere lati meno discussi della sua ricerca progettuale, che come lui stesso sottolinea, è una ricerca condivisa da tutto lo studio. Il titolo di questo libro è scritto in inglese per omaggiare l’influenza che un’interpretazione 9
indulgente della cultura americana – intesa come cultura dell’ottimismo, della libertà, dell’esplorazione e della competizione – esercita da sempre sul pensiero di Stefano. Che sia per la prossimità della base aerea di Aviano a Budoia, suo paese natale, per il periodo di studi passato a Los Angeles, o per altri motivi ancora, resta il fatto che tale influenza definisce in maniera evidente la cifra linguistica dello studio, le cui opere migliori riescono a mantenere un delicato equilibrio tra stilemi regionali e globali, tra architettura rurale e decostruzione, tra il familiare e l’uncanny. Sono insomma edifici che parlano inglese con un forte accento italiano, e per questo motivo risultano vagamente estranei a entrambi i contesti culturali: estraneità sottolineata dal carattere intenzionalmente autonomo della ricerca progettuale di ELASTICOFarm, il cui rapporto con la produzione architettonica contemporanea si può riassumere in un lecorbuseriano je m’en fous. Se la libertà è uno dei valori principali su cui si fonda il lavoro dello studio, infatti, allora questo deve essere libero di occuparsi dei temi che preferisce, indipendentemente da ciò che le università sostengono e da ciò che le biennali, le riviste e i premi ricercano. Caratterizzata dall’esplorazione di temi architettonici sviluppati in “famiglie” di esperimenti, 10
la ricerca di ELASTICOFarm può essere intesa come contemporanea, o meno, a seconda della definizione che si adotta del termine. Se è contemporaneo ciò che esprime lo spirito del proprio tempo, si può allora dire che il lavoro di ELASTICOFarm è piuttosto legato a un modo di intendere l’architettura riconducibile agli ultimi decenni del secolo scorso – modo che, nel contesto delle attuali narrazioni su decolonizzazione, decarbonizzazione, more than human e così via, può risultare conservatore se non addirittura, per certi estremisti, tabù. Se si considera invece contemporaneo ciò che sorge dall’inattuale per interrompere la continuità del presente, ecco allora che il lavoro di ELASTICOFarm può tornare a offrire idee stimolanti e riserve di senso preziose per la cultura architettonica contemporanea. In un modo o nell’altro, va sottolineato come la distanza che lo studio misura dalle narrazioni correnti non coincida con l’assenza, dal suo lavoro, di strategie progettuali riconducibili a esse. Per limitarci alla questione delle reti ecologiche, è sufficiente menzionare l’apertura di un corridoio verde nel Cimitero di Borgaretto, l’uso di un velo d’acqua (al quale gli uccelli si abbeverano volentieri) come sistema di raffrescamento nell’Atelier Fleuriste, il ricorso ai pilotis per ridurre la footprint del 11
San Quirino (in alto), Stoned (in basso): schizzi concettuali.
da un lato costringe a costruire i muri in pietra fluviale per rispettare la tradizione, e dall’altro costringe a costruire i muri in cemento armato per via del regolamento antisismico, con il risultato che a norma di legge la pietra può essere usata solo come rivestimento. Per sottolineare questo cortocircuito, abbiamo costruito la casa in cemento armato e poi appeso le pietre locali alle finestre, infilzandole con una specie di spiedini metallici che hanno dato vita a un sistema di brise soleil inedito che, materializzandola in maniera del tutto inattesa, strizza l’occhio alla normativa. Un altro progetto nel quale avete sfruttato creativamente la normativa è Learning from Venturi, una casa progettata schivando un vincolo tipologico apparentemente insuperabile. In quel caso abbiamo usato lo strumento del disegno per aggirare le regole del piano regolatore di Polcenigo, che imponeva l’uso di una serie di elementi tradizionali in facciata, tra cui i ballatoi in legno. Abbiamo quindi disegnato la facciata come richiesto dalla normativa, ma dietro ai ballatoi abbiamo inventato una seconda facciata, che negli elaborati depositati in Comune non compare, dato che non era prevista. Le geometrie fluide di questa 49
seconda facciata mettono in crisi le prescrizioni del piano, pur seguendole alla lettera. Un altro esempio è quello dei sottotetti di Brick-olage, un complesso residenziale composto da dieci unità abitative. In questo caso, il piano regolatore di Gassino richiedeva che il volume di un edificio di nuova costruzione stesse al di sotto di una doppia falda ideale inclinata di 30°. Quello che il piano non specificava, però, era l’orientamento di tale doppia falda, che normalmente si intende avere la linea di colmo che corre parallela ai lati lunghi dell’edificio, così da diminuirne lo sviluppo verticale del tetto. Volendo dare più spazio agli appartamenti, abbiamo semplicemente immaginato che la linea di colmo della doppia falda ideale corresse parallela ai lati corti invece che ai lati lunghi dell’edificio, cosa che ci consentiva di posizionarla più in alto. La mega doppia falda ideale così ottenuta ci ha permesso di ricavare, a norma di legge, dei generosi sottotetti non abitabili. Dopodiché, grazie all’approvazione del piano casa pochi anni dopo, quei sottotetti sono diventati abitabili. La verità, comunque, è che le amministrazioni sono sempre più ostili e il sistema si irrigidisce sempre di più, per cui questo genere di giochi sta diventando sempre più difficile.
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Brick-olage: schizzo concettuale
STRUTTURA ___ Vorrei riprendere la tua osservazione precedente, secondo cui il museo Marcello D’Olivo, dal punto di vista formale, condivide con la Yuppie Ranch House il fatto di presentarsi come una serie di zolle che emergono dal terreno. Questo mi ha ricordato un’altra nostra chiacchierata di qualche tempo fa, durante la quale mi facesti notare come nel vostro lavoro ci siano due temi spaziali ricorrenti che finiscono per definire due famiglie di edifici, ovvero: edifici che sono saldamente ancorati al terreno ed edifici che dal terreno invece si staccano. Il museo Marcello D’Olivo e il cimitero di Borgaretto appartengono indubbiamente al primo dei due gruppi, così come la Yuppie Ranch House e le Houses of Cards. Anche la Golf House e la Marble House, per dirne altri due: tutti progetti che partono dall’idea di deformare la crosta terrestre. La seconda famiglia di progetti, invece, ha a che fare con l’idea di sospendere gli edifici in aria per non occupare terreno. In entrambi i casi, il rapporto con il suolo è fondamentale. Gli edifici, nel primo caso, ne diventano parte a tutti gli effetti. Nel secondo caso, 104
invece, danno vita a uno spazio interstiziale che può assumere una serie di caratteristiche, come ad esempio diventare un luogo protetto o uno spazio capace di generare viste diverse e inaspettate. Ci sono poi progetti che appartengono a entrambe le famiglie. Come ad esempio? L’hotel 1301iNN a Piancavallo, il cui corpo principale è sospeso su e, allo stesso tempo, appoggiato a un frammento dell’edificio preesistente, che nella parte interrata è stato riempito con le macerie ottenute dalla sua stessa demolizione. Più in generale, i nostri progetti partono sempre dall’idea che gli edifici deformano il terreno e accorciano il cielo. Mi interessa il fatto che, nella seconda famiglia di progetti, il sistema costruttivo che permette la sospensione dell’edificio è più o meno sempre lo stesso, il pilotis, sebbene la caratterizzazione dello spazio compreso tra volumi sospesi e terreno cambi di volta in volta. Ad esempio, lo spazio al di sotto della piscina della Tony’s House conferisce alla villetta un ingresso monumentale, strizzando l’occhio alle logge delle ville palladiane. Mentre i 105
pilastrini ad albero della Hole with the House Around, una “casa volante” realizzata sopraelevando una villetta a Cambiano, innalzano l’edificio per proiettarlo tra le chiome degli alberi. Esatto: così facendo, creano un nuovo punto di vista e una nuova relazione con il contesto, nascondendo la strada e trasformando l’intero arco alpino nel giardinetto di casa, mentre lo spazio sottostante non è altro che una continuazione del prato circostante. Nel caso di Le bâtiment descendant l’escalier, il condominio di Jesolo, i pilotis servono invece a creare uno spazio di relazione dove sostare durante le ore più calde della giornata o in caso di pioggia, per riposare, giocare a carte e così via. Tutti usi che hanno bisogno di tempo, nel senso che certe qualità degli edifici emergono solo dopo che gli abitanti hanno avuto il tempo di scoprirli e di farseli amici. Al di là della questione funzionale, mi sembra che ci sia anche un’intenzione estetica dietro la configurazione dei vostri pilotis, dato che a volte sono dritti e altre volte sono storti, come appunto a Jesolo.
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Hole with the House Around: studio della forma.
Un dialogo tra Davide Tommaso Ferrando e Stefano Pujatti a proposito dei principali temi che caratterizzano la ricerca progettuale di ELASTICOFarm. Durante una serie di conversazioni informali, le narrazioni e le opere dello studio sono discusse e messe a reagire con alcune delle questioni critiche che caratterizzano la cultura architettonica contemporanea, come la retorica della sostenibilità, il sistema dei premi, i vincoli della normativa, e la condivisione dell’autorialità. Nel farlo, emergono i tratti di uno studio il cui lavoro è segnato dalla ricerca di libertà, dall’ironia, dal mito della cultura americana, dal rapporto con il mondo dell’arte, dall’ispirazione ai fenomeni naturali, e da un approccio sperimentale al progetto. Dando ampio spazio al “dietro le quinte” di architetture più e meno note – completate, in corso d’opera o rimaste sulla carta – il volume offre una serie di spunti volti a mettere in luce lati meno conosciuti del lavoro di uno dei più interessanti studi di architettura italiani.
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