Luisa Anversa

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MAESTRI ROMANI

Alessandra Capuano

Luisa Anversa Autoritratto di una generazione (1920-1950) Professori di Composizione della Facoltà di Architettura della Sapienza


Tutte le fotografie e i disegni a corredo dei testi provengono dall’archivio privato di Luisa Anversa, gentilmente messo a disposizione dalla figlia Laura Valeria Ferretti e dal nipote Matthieu Gabay.

ISBN 978-88-6242-902-3 Prima edizione gennaio 2024 © LetteraVentidue Edizioni © per i testi: i rispettivi autori È vietata la riproduzione, anche parziale, effettuata con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico. Per la legge italiana la fotocopia è lecita solo per uso personale purché non danneggi l’autore. Quindi ogni fotocopia che eviti l’acquisto di un libro è illecita e minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza. Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi comunque favorisce questa pratica commette un furto e opera ai danni della cultura. Nel caso in cui fosse stato commesso qualche errore o omissione riguardo ai copyright delle illustrazioni saremo lieti di correggerlo nella prossima ristampa. Progetto grafico: Francesco Trovato Layout del volume: Luigi Savio Margagliotta LetteraVentidue Edizioni Srl via Luigi Spagna, 50P 96100 Siracusa www.letteraventidue.com


Indice 7

Una ricerca collettiva di Alessandra Capuano

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Maestri Romani Presentazione della collana di Orazio Carpenzano

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Autoritratto di una generazione (1920-1950) Introduzione alla collana di Lucio Valerio Barbera

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Luisa Anversa: architetture per la città e il paesaggio di Alessandra Capuano

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Due testi di Luisa Anversa

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Tre progetti di Luisa Anversa

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Su/Da/A Luisa Anversa

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Regesto delle opere

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Intervista di Lucio Valerio Barbera e Marta Calzolaretti a cura di Alessandra Capuano


Una ricerca collettiva del Dipartimento di Architettura e Progetto della Sapienza Alessandra Capuano


Intraprendere una collana che restituisca il “ritratto di una generazione” è certamente obiettivo ambizioso, ma anche necessario se si vuole consegnare al presente non solo una “storia”, ma il suo spessore. Un intento che è ancora più significativo collocandosi all’interno dell’ambiente accademico dove la missione educativa è parte del codice genetico. L’università di cui parliamo, poi, è a Roma, città da sempre abituata a prendere, con disincantato cinismo e spesso con sarcasmo, le distanze dai tentativi di ridare dignità, rispetto e stima alle imprese umane. Un atteggiamento questo che porta troppo spesso a sminuire sforzi apprezzabili e risultati raggiunti che non sono affatto da sottovalutare. In questa collana è inoltre molto significativa l’idea di legare tra loro i diversi referenti di una comunità scientifica. Le riletture dei maestri del passato sono e saranno infatti condotte da docenti attualmente operanti, permettendo così di tracciare interessanti genealogie. Per queste ragioni ho accolto con grande entusiasmo l’idea di supportare una collana dipartimentale che ricostruisca i percorsi di ricerca teorico-operativa e di insegnamento intrapresi dal dopoguerra da alcuni esponenti della Facoltà di Architettura della Sapienza di Roma. Con orgoglio, dunque, eredito l’impegno istituzionale del Dipartimento di Architettura e Progetto, di cui ho assunto la direzione, di pubblicare questi volumi e di far parte del comitato scientifico della collana. Una promessa editoriale presa nel 2020 da Orazio Carpenzano, mio predecessore, in coincidenza del centenario della fondazione della Facoltà di Architettura, la prima in Italia. La collana è concepita a partire da una serie di interviste fatte da Lucio Valerio Barbera alla fine degli anni Novanta, quando era direttore del Dipartimento di Progettazione Architettonica, Urbana, del Paesaggio e degli Interni (DPAUPI), che in seguito nel 2003 confluì nell’odierno DiAP (a sua volta risultato dalla fusione nel 2010 degli allora dipartimenti DPAUPI, DAAC e DICEA). L’intento della ricerca avviata allora era quello di LUISA ANVERSA

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raccogliere, direttamente dalla voce dei docenti di progettazione architettonica nati negli anni Venti, gli elementi autobiografici necessari a ricostruire storicamente e ad analizzare criticamente l’apporto che ciascuno di essi aveva dato alla scuola, alla professione, all’architettura romana ed italiana. Questo piccolo “patrimonio” di dodici interviste, realizzate con la collaborazione di Marta Calzolaretti e con le riprese video di Alessandro Santamaria Ferraro, è stato ampliato dieci anni dopo con una seconda serie di conversazioni, sempre tenute da Lucio Valerio Barbera, che si sono svolte con l’ausilio dei programmi informatici per conferenze in remoto, questa volta orientate a coinvolgere gli esponenti più giovani di quella generazione, con particolare attenzione al gruppo che aveva ricoperto ruoli centrali nell’insegnamento e nella gestione della Facoltà. Nell’insieme, dunque, il Dipartimento ha raccolto un ricchissimo materiale documentario di cui si può cominciare ad apprezzare l’importanza attraverso i volumi pubblicati. Ogni intervista ha avuto la durata minima di circa quattro ore e, a volte, ha occupato più di un’intera giornata. Concreti riferimenti documentari, forniti dagli stessi maestri intervistati, accompagnano spesso le trascrizioni, che Lucio Valerio Barbera ha restituito con l’aiuto di Anna Irene Del Monaco. Su questa documentazione si misura, ora, una non piccola schiera di docenti romani quasi tutti del DiAP che, singolarmente o in piccoli gruppi di collaborazione scientifica, hanno analizzato il materiale per trarre ragionamenti critici da offrire alla più ampia comunità della cultura architettonica. Completano la monografia una piccola antologia di tre testi dell’autore analizzato e l’approfondimento di due architetture. La collana Autoritratto di una generazione (1920-1950) ha in programma di produrre, dunque, circa trenta monografie sui “maestri” architetti e docenti romani e coinvolgerà più di quaranta attuali docenti romani come “autori” di saggi biografici, studi critici e lavoro redazionale sulle interviste, con il fine comune di ricomporre un quadro d’insieme. Si tratta quindi di una nutrita serie di “autoritratti”, così denominati da Barbera perché, nonostante siano profili scritti da una terza persona, l’intervista resta il punto di partenza di questo ragionamento ed è quindi la lettura che dà di se stesso l’architetto-docente a fare da timone alla pubblicazione. L’idea di Lucio Valerio Barbera, di registrare ed archiviare memorie e racconti col metodo della storia orale che intreccia vita e opere della gene8

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razione accademica precedente alla propria, è probabilmente stata stimolata dall’inquietudine intellettuale che lo anima e dalla determinazione ad agire “perché non tutto si perda”. Occorre ricordare che gli anni in cui Barbera ha effettuato le interviste furono molto critici per la nostra comunità accademica, che attraversava lo sdoppiamento della facoltà (2000-2010) introdotto dalle riforme nazionali e accompagnato da un difficile, e a volte doloroso, dibattito interno in cui non sempre erano chiari gli obiettivi sperimentali magnificati. Le interviste di Barbera sembrano voler ricomporre un quadro che si andava sgretolando, ma che per fortuna, credo, dopo quel difficile e un po’ insensato periodo, sembra avere ritrovato un proprio percorso. Nella presentazione della collana si è già ricordato come questa storia, attraverso le interviste o la narrazione delle vite degli architetti, conti su autorevoli precedenti da Vasari a Obrist, ma si potrebbe citare anche il volume pubblicato dal giornalista John Peter nel 1994, The Oral History of Modern Architecture, una raccolta di circa 60 interviste in quarant’anni ai grandi maestri del Novecento, corredata da un CD con le voci registrate (anche il progetto di Barbera includeva originalmente un CD o un estratto del video). Una solida tradizione metodologica e strumentale supporta quindi la ricerca collettiva del DiAP che, con la collana Maestri Romani-Autoritratto di una generazione (1920-1950), ripercorre fatti e vicende dell’architettura romana, una realtà che è parte essenziale di quella italiana. Questa “ricerca collettiva” costituirà non soltanto una ben ordinata memoria storica del Dipartimento e della Facoltà, ma anche una fonte preziosa per tutti coloro che, nel nostro mondo scientifico, hanno a cuore le sorti e lo sviluppo dell’architettura italiana, le sue qualità o aporie. Gli anni a cui si riferiscono queste interviste sono quelli che vanno dal dopoguerra alla fine del millennio, attraversati da grandi travolgimenti culturali e tecnologici che hanno profondamente marcato ogni forma di produzione intellettuale e pratica. Sono gli anni raccontati dal punto di vista storiografico da Manfredo Tafuri nella sua famosa Storia dell’architettura italiana 1944-1985 che si occupa del periodo che va dal dopoguerra fino a metà degli anni Ottanta, come recita il titolo, e poi narrati per l’arco temporale 1985-2015 da Marco Biraghi e Silvia Micheli in un nuovo volume dedicato alla storia LUISA ANVERSA

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Luisa Anversa: architetture per la città e il paesaggio Alessandra Capuano


La storiografia e la critica dell’architettura si sono occupate solo marginalmente della figura di Maria Luisa Anversa, progettista da poco scomparsa e molto attiva nel panorama professionale romano compreso tra il secondo dopoguerra e il principio del nuovo millennio. Docente stimata e attenta, persona intelligente dal carattere amabile e gentile, ma anche intellettuale partecipe sul piano civile e sociale, il suo contributo al dibattito architettonico si colloca soprattutto nell’azione progettuale e nell’insegnamento, avendo agito in anni in cui per un professore universitario di discipline professionali non era così essenziale essere impegnato nella produzione teorica di testi scritti. La scarsità di saggi o articoli a disposizione (scritti da lei e sulla sua opera) rende certamente più arduo e stimolante il compito di rintracciare il suo apporto alle vicende dell’architettura italiana del Novecento. Questo studio critico si basa pertanto sui documenti del suo archivio personale, sulla rilettura dei progetti e delle relative relazioni, sull’intervista effettuata da Lucio Barbera e Marta Calzolaretti e pubblicata in questo volume, sulla raccolta di testimonianze, in particolare della figlia Laura Valeria Ferretti che ha anche lavorato con lei tra il 1983 e il 1991 e di colleghi e amici che l’hanno conosciuta. In ultimo, sulla mia (piccola) esperienza come allieva nei corsi di Composizione architettonica IV, V e per la tesi di laurea, nonché come giovane collaboratrice nello studio di via Ruffini in Prati. La formazione Luisa Anversa nasce a Milano nel 1926. Il padre, Amilcare Anversa, era dipendente alla Braun e integrava il lavoro anche vendendo riviste e libri stranieri negli studi milanesi di architettura, mentre la madre Letizia Pozzi era una sarta. Rimasto disoccupato durante la guerra, il padre trova impiego all’Istituto Treccani a Roma, città dove si trasferisce nel 1941 con la famiglia. LUISA ANVERSA

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L. Anversa, progetto universitario

Luisa studia al liceo classico Mamiani, ma consegue a Varese il diploma di maturità nel 1944, sostenendo da privatista l’esame. Dopo il bombardamento di S. Lorenzo nel 1943, la famiglia attraversa un periodo molto duro, durante il quale la madre decide di tornare a Milano dalla sorella. Trasferimento che contribuì, tra l'altro, ad allentare i rapporti di Luisa con i giovani antifascisti che frequentava al liceo romano. Amante del disegno e dell’architettura che aveva conosciuto attraverso i libri venduti dal padre, Anversa finito il liceo si iscrive alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, dove però rimane solamente per il primo anno di studi. Qui, frequenta il corso di Disegno dal vero I di Piero Portaluppi e quello di Analisi Matematica e Geometria Analitica I di Giuseppina Biggiogero, che l’appassionano assai. Sostiene anche gli esami di Elementi di architettura e rilievo dei monumenti I, di Letteratura italiana e di Storia dell’arte e Storia e stili dell’architettura I. Ritornata a Roma nel 1945, ritrova gli amici del liceo tra cui il futuro marito Giorgio Ferretti, e frequenta con entusiasmo l’insegnamento di Vincenzo Fasolo. Tra i fondatori nel 1920 della Scuola Regia di Architettura, egli era docente di Storia dell’arte e Storia e stili dell’architettura II, materia che spiegava rappresentando abilissimamente gli edifici alla lavagna, tanto da definirsi “professore di disegno”. Dal 1946 frequenta il corso di Elementi di architettura e rilievo dei monumenti II di Mario De Renzi, appena trasferitosi da Napoli come professore incaricato ed Elementi di composizione con Roberto Marino. Segue poi Caratteri distributivi degli edifici con Pasquale Carbonara, Architettura degli interni, arredamento e decorazione con Vittorio Ballio Morpurgo e Storia della critica urbanistica 30

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L. Anversa, G. Belardelli, C. Morelli, Concorso Nazionale per il Palazzo di Giustizia di Terni, 1959. Planimetria e vedute prospettiche del progetto di concorso

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L. Anversa, G. Belardelli, C. Morelli, Palazzo di Giustizia di Terni, foto dell’edificio realizzato, 1968

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Luisa Anversa

Relazione critica dei Villaggi Valtur di Ostuni e Isola Capo Rizzuto (c.a. 1970)

Come emerge chiaramente dal libro, il vero centro del lavoro di Luisa Anversa e il senso profondo della sua ricerca risiedono nella progettazione – come ragionamento sulla realtà – e nella didattica – come mezzo per fornire ai giovani gli strumenti necessari ad affrontare l’architettura e il suo rapporto con i luoghi –. Analogamente a molti suoi coetanei, Anversa saltava con disinvoltura tra le scale del progetto, ma era meno incline a trasformare il pensiero architettonico in testo scritto. In quegli anni (e diversamente da quanto accade oggi) nell’ambiente accademico si valorizzava l’arte del mestiere che nell’ambito delle discipline professionali ricopre un posto di primo piano, mentre era meno diffusa e necessaria la produzione di testi teorici per la pubblicistica scientifica, oggi indispensabile ai fini della valutazione nei concorsi di docenza. Anversa apparteneva a questo mondo e utilizzava la scrittura soprattutto per le relazioni di progetto che erano testi in genere molto dettagliati e fornivano un vero e proprio apparato di informazioni integrative ai disegni, dove venivano spiegate le ragioni delle scelte insediative, le tipologie architettoniche e i caratteri degli edifici, la struttura e i materiali impiegati. AC

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Un inquadramento a posteriori del procedimento seguito per una progettazione non può essere fatto senza illustrare gli aspetti fondamentali della realtà in cui si è operato. In questo caso il programma operativo prevedeva tempi di realizzazione abbastanza brevi; trenta mesi ad Ostuni e trentacinque ad Isola Capo Rizzuto, tra la data d’inizio ed il funzionamento dei due villaggi. La committenza intendeva sperimentare formule nuove rispetto a modelli già realizzati ed il metodo di progettazione doveva consentire di definire, attraverso rapide sperimentazioni progettuali ed in collaborazione con gli esperti ai vari livelli: uno standard qualitativo e quantitativo di mercato, una compatibilità di costi con il programma finanziario in elaborazione, una razionale organizzazione gestionale. La localizzazione dei due insediamenti avveniva inoltre in territori assolutamente nuovi a ricevere opere a dimensione notevole e con impianti ordinari e speciali di una certa entità e complessità. I tempi ed il meccanismo previsto per la realizzazione non consentivano, che a progettazione ultimata, di conoscere caratteristiche, attrezzature, capacità tecniche ed attitudine alla collaborazione delle Imprese appaltatrici e della Direzione dei Lavori. Qualsiasi tema di progettazione architettonica – tanto più quando, come in questo caso, si tratti di realizzare strutture insediative che hanno avuto un ritmo imprevedibile di crescita della domanda e si presentino, quindi, del tutto nuove per dimensioni di intervento e caratteristiche d’uso – dovrebbe richiedere di volta in volta, in rapporto alla complessità dei problemi che si pongono, ai tempi programmati per la fase di progettazione e al tipo di committente, la ricerca di una metodologia specifica, che deve tendere (per tentare di dare un contributo al dibattito oggi in corso sul metodo e il senso del “fare” architettonico) a chiarire i problemi preminenti che ne hanno suggerito la logica, quelli rimasti scoperti da risolversi in ulteriori soluzioni e i risultati raggiunti. In questo caso il tipo di programma operativo prevedeva di formulare LUISA ANVERSA

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della geometria»1. Analogamente all’architettura kahniana, anche a Brucoli è presente un “ordine”, che qui nasce dalla distribuzione del sistema lungo una spina dorsale. Una struttura dell’impianto dove si articolano spazi funzionali e spazi sociali destinati alle persone. La composizione architettonica ha qui un ruolo ben preciso, in cui domina il sistema tipologico-funzionale per plasmare un insediamento che non ha nulla della casualità di un paese cresciuto per

successive aggregazioni temporali, ma rappresenta invece la volontà di forgiare un insieme evocativo in cui tessuto urbano ed elementi naturali (il mare, il vulcano, il fiordo, ma anche la vegetazione con estese zone alberate e macchia mediterranea) assumono un peso equivalente, assimilando in questo caso la lezione insediativa della tradizione italiana. Il catanese Ettore Paternò del Toscano, appassionato giardiniere autodidatta, che aveva sperimentato la creazione di un

C. D’Amato, 1964-78 Storia e logica nella progettazione del GRAU, in «Controspazio», GennaioAprile 1979, p. 6.

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giardino subtropicale nella sua casa di S. Agata Li Battiati e che contribuì alla scelta del sito per la Valtur, ha curato la progettazione paesaggistica del complesso. E oggi, visitando il villaggio, non più della Valtur fallita nel 2018, si ha la chiara sensazione che architettura e vegetazione siano diventate una sola cosa. I progettisti hanno inventato uno spazio per la vacanza di grande sensibilità. Piante mediterranee e specie esotiche hanno creato ambienti lussureggianti, che appaiono molto

diversi dalle prime foto realizzate durante la costruzione del complesso. L’Architettura ha dato origine a spazi pubblici, corti, percorsi, alloggi e attrezzature collettive di qualità: un vero e proprio villaggio con le sue emergenze, le visuali, luoghi raccolti e belvedere da cui osservare il cielo e il mare.

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Su Luisa Anversa Articolo di “Noi Donne”

Da Luisa Anversa Lettera a Bruno Zevi Lettere Cubista e Futurista ai nipoti

A Luisa Anversa Lettera di Gio Ponti Pensieri di un collaboratore: Giangiacomo d’Ardia Un ricordo di Laura Valeria Ferretti

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Copertina di “Noi donne” e articolo di Giulietta Ascoli sui pregiudizi che ostacolano l’affermazione delle donne. Le sei donne intervistate sono: Luisa Anversa architetto, Lina Fibbi sindacalista, Luisa Gianferrari docente di Biologia Genetica all’Università di Milano, Margerita Bernabei dirigente del Partito Socialista di Unità Proletaria, Margerita Wallman regista e Jone Colnaghi industriale della IMEC, 1967. 175


Lettera a Bruno Zevi

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Lettere “Futurista” e “Cubista” di Luisa Anversa ai nipoti

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Luisa Anversa nasce a Milano nel 1926 e si laurea alla Sapienza, Università di Roma nel 1950. La storiografia e la critica dell’architettura si sono occupate solo marginalmente della sua figura, una delle prime donne che si è affermata nel secondo dopoguerra. È stata una intellettuale partecipe sul piano civile e sociale e il suo contributo al dibattito architettonico si colloca soprattutto nell’azione progettuale e nell’insegnamento. Esordisce nella didattica come assistente di Ludovico Quaroni nella Facoltà di Architettura di Roma alla Sapienza e poi, nel 1970 diventa Libero docente in Composizione Architettonica nella stessa università, dove insegna fino al 2001. Come architetto partecipa a numerosi concorsi nazionali aggiudicandosi premi e segnalazioni e si impegna alla realizzazione di opere in campo architettonico e urbanistico, spesso lavorando con alcuni dei più attivi e brillanti professionisti romani come Ludovico Quaroni e Carlo Aymonino, Sergio Lenci e Luigi Piccinato, Mario Fiorentino e Antonio Quistelli. La sua ricerca si è concentrata, tanto nella professione come nell'attività didattica, sul rapporto tra architetture, contesto urbano e paesaggio. Tra i suoi progetti più noti: il Piano di Zona di Tor de Cenci, il concorso per l’università di Cagliari, i villaggi Valtur di Ostuni (premio Nazionale INARCH), Isola Capo Rizzuto (premio Regionale INARCH), Brucoli ed il Centro Studi di Majano in Friuli. I suoi lavori sono stati esposti in Mostre Nazionali ed Internazionali su importanti riviste (Urbanistica, Casabella, Werk. Controspazio, Architecture d’aujourd’hui, L’Architettura Cronache e Storia, Parametro). Nell’arco della sua attività è stata membro del Consiglio Direttivo della Sezione Laziale dell’INU, della Commissione Urbanistica del Comune di Roma, del Consiglio Direttivo dell’Istituto Nazionale di Architettura e Consigliere Regionale della Regione Lazio nella III Legislatura.

ISBN 978-88-6242-902-3

€ 18


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