Contro il rischio della ricostruzione

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Giovangiuseppe Vannelli

CONTRO IL RISCHIO DELLA RICOSTRUZIONE Verso teorie progettuali per il post-sisma nelle aree interne e marginali italiane

Introduzione di Angela D’Agostino

Postfazione di Camillo Boano


INDICE

Mani che intrecciano. Il processo produttivo della paglia mostrato da un abitante di Falerone (FM). Luglio 2019


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Introduzione Angela D'Agostino

ABITARE AL TEMPO DELLA POLICRISI 12

Abitare senza hăbēre

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Il sisma nella società del rischio

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Paesaggi interni e marginali

FORME E TEMPI DELLA SECONDA EMERGENZA 52

Le forme del temporaneo: box effect

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Insediamenti permanenti di patrimoni temporanei: eterocronie

VERSO TEORIE PROGETTUALI CONTRO IL RISCHIO DELLA RICOSTRUZIONE 102

Il rischio della ricostruzione post-sisma

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Time-based design: un progetto processuale a temporalità variabile aperto, open-source e minore

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Postfazione Camillo Boano

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AGAINST THE RISK OF POST-EARTHQUAKE RECONSTRUCTION Summary of the dissertation chapters


Introduzione Angela D'Agostino Università degli Studi di Napoli “Federico II”


Il libro di Vannelli è un mattone. Non per le sue proporzioni fisiche, quanto piuttosto per la sua condizione di esistenza. Si tratta di un volume che ricerca e costruisce relazioni. È sufficiente a sé stesso – in quanto mattone – ma sono insiti nella sua natura una necessità e una utilità. Intende costruire, costruire insieme, costruire qualcosa di prefigurabile anche se non di predefinito. L’autore con Contro il rischio della ricostruzione prende posizione, assume una postura e rintraccia nella letteratura a cui si affida degli alleati. Il termine alleati non è impiegato in ragione di una condizione bellica ma con il solo desiderio di alligàre, che in latino è ‘legare a’. Si tratta di un mattone che in questo senso propone alleanze tra frammenti di teorie – altri mattoni su cui si poggia – e apre ad altre possibili costruzioni – teoriche e non solo. L’idea di ‘legare a’ è evidentemente connessa all’idea di complessità. Più volte nel testo si fa riferimento alla complessità che per Edgar Morin, ancora una volta, è da ricondurre al significato etimologico: l’azione dell’intessere, ovvero ciò che è tessuto insieme. Il libro di Vannelli è un nodo. L’azione di tessere insieme rimanda a due immagini: la corda e la rete. Contro il rischio della ricostruzione seleziona e intesse più fili ed al contempo si inscrive in una rete di cui rappresenta un nodo. L’idea della rete si palesa emblematicamente nel network TEMP- di cui l’autore è co-fondatore e che ambisce a definire anzitutto un sistema accumulatore e generatore di conoscenze e relazioni. La rete TEMP- di cui questo libro rappresenta un nodo – o un mattone – ambisce a rendere operativa la ricerca accademica rinsaldando delle connessioni, talvolta interrotte, tra istituzioni governative e culturali, comunità scientifiche e civili. Tale sistema di cooperazione si rende necessario alla luce della policrisi contemporanea. Questo libro fa teoria con un atteggiamento dialogico e cooperativo. La locuzione in need of a theory, che l’autore estrapola da un contributo di Boano e Hunter, sottolinea la necessità e l’urgenza di una teoria del progetto nel contesto del post-catastrofe. Questa necessità ha rappresentato per l’autore un monito: ecco perché il sottotitolo recita ‘verso teorie progettuali’. Il termine ‘verso’ sembra far riferimento all’idea di vettore, una forza che ha una direzione e un verso, e quindi un senso. Il termine pare stemperare il tono oppositivo che risiede nel lemma ‘contro’ con cui il titolo inizia e mira a rafforzare l’idea di cooperazione che è rintracciabile in ‘teorie progettuali’ rendendo manifesta l’idea di pluralità. Contro il rischio della ricostruzione. Verso teorie progettuali per il post-sisma nelle aree interne e marginali italiane, è questo il titolo completo, è un libro che si potrebbe dire contestuale. Tre sono i contesti da mettere in evidenza. Il primo è il contesto in cui trova origine: la ricerca di dottorato che l’autore ha svolto nell’ambito del Dottorato in Architettura dell’Università degli Studi di Napoli Federico II. Il volume, infatti prende le mosse

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ANGELA D'AGOSTINO

dall’apparato teorico che ha sostanziato la ricerca di dottorato a caratterizzazione industriale svolta dall’autore: una ricerca interdisciplinare, internazionale e intersettoriale, tutti caratteri necessari per la ricerca nella contemporaneità. Gli ulteriori contesti di questo lavoro di ricerca sono esplicitati nel sottotitolo: uno è tematico e l’altro è geografico. Vannelli ha assunto il post-sisma come il campo tematico di esplorazione. Quali sono e quali potrebbero essere le forme del progetto architettonico e urbano nella condizione critica determinata dal verificarsi di un evento sismico? Rispetto a questo tipo di quesiti, il volume indaga ruoli, potenzialità e possibilità del progetto in un contesto emergenziale. L’autore problematizza la stessa definizione di progetto e apre – interrogando un campo da cui l’azione progettuale è stata troppo spesso e troppo a lungo latitante – ad una possibile ridefinizione dello stesso. Il contesto geografico è invece quello delle aree interne e marginali italiane. I territori a cui il volume si riferisce, non sono univocamente definiti ma sono rappresentativi di una condizione; dunque, la localizzazione e i perimetri degli stessi possono variare. Le condizioni contestuali cui l’autore si rivolge impongono una progettazione che si misuri con un’endemica incertezza, si rende necessario un fare progettuale che si faccia interprete di complesse istanze e molteplici vulnerabilità. Anche in questo senso, si può dire che Contro il rischio della ricostruzione sia un libro che indaga la questione del rischio con lo sguardo e gli strumenti di chi si occupa di progetto e con un approccio critico ai Disaster Studies. Proprio l’approccio critico di Vannelli credo emerga con chiarezza in un volume che cerca di proporsi come un dispositivo che accumula e al contempo apre a possibili ulteriori interpretazioni e sviluppi teorici e/o progettuali dei temi trattati. A fronte di molteplici livelli di complessità, la struttura del testo è semplice e chiara. A ben guardare si rintraccia nelle tre sezioni una corrispondenza con i tre termini contesti, progetti e teorie. In “Abitare al tempo della policrisi” l’autore indaga la condizione attuale in maniera olistica seppur progressivamente specifica. Cosa significa abitare quando si perde progressivamente il senso dell’avere? Quali sono i significati che parole come futuro, glocale e complessità assumono nell’ambito della società del rischio al tempo della policrisi? Qual è la dimensione politica della definizione del rischio e come l’azione progettuale deve e può misurarsi con essa? Assunto che il sisma è un fenomeno naturale, quali sono le ricadute in termini di disastro quando tale fenomeno colpisce quei territori identificati come paesaggi interni e marginali? Queste sono le domande che sembrano essere sottese al viaggio che l’autore propone nell’Italia interna osservando da uno specifico punto di vista – quello dell’emergenza determinata dal sisma – i territori interessati da politiche, come ad esempio la Strategia Nazionale Aree Interne, volte a contrastare la marginalizzazione.

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INTRODUZIONE

La seconda sezione del volume “Forme e tempi della seconda emergenza” da un lato parla del progetto indagando i suddetti territori, dall’altro parla di questi ultimi indagando i progetti attraverso i quali lo spazio, le città e i territori vengono modificati. In questo senso la connotazione della temporaneità legata alla seconda emergenza è messa in discussione in riferimento alle forme architettoniche e urbane che questa dicitura sottende e mette in scena. Vannelli evidenzia in particolare due condizioni: il box effect e l’eterocronia. In questo contesto, la seconda emergenza non rappresenta in maniera stringente il campo di interesse quanto piuttosto il posizionamento dell’osservatore, un punto di partenza per riflessioni che intrecciano il prima e il dopo nel durante. Il progetto è indagato in questo capitolo nelle sue valenze “logistiche” – con tale accezione si potrebbe fare riferimento alle residenze così dette temporanee che punteggiano il territorio italiano – nelle sue capacità “impreviste” – così si possono interpretare quelle azioni progettuali minori che nel volume sono riconosciute per la loro capacità di indurre strategie progettuali – e nelle sue forme compiute, come nel caso del progetto del Sottocorte Village di Camerino, in cui il progetto diviene prefigurazione di possibile futuro. Rispetto alla necessità di pro-iettare nel futuro gli insediamenti realizzati nella fase di seconda emergenza, è interessante la duplice riflessione proposta dall’autore. Partendo dal loro essere eterocronie, Vannelli mette in risalto i caratteri fisici su cui è necessario ragionare tanto per operare su frammenti di città ereditati nel corso degli ultimi decenni che continuano a permanere, tanto per concepire in maniera più consapevole – rispetto alla dimensione del tempo, alla necessità di modificazione dello spazio urbano e abitativo e a nuove possibilità di carattere tecnico – gli insediamenti che si renderanno necessari nel futuro. L’ultima sezione “Verso teorie progettuali contro il rischio della ricostruzione” rappresenta il mattone. In questa parte si condensa quella teoria operativa che è stata ricercata dall’autore quale necessario supporto per il progetto nel post-catastrofe. In Contro il rischio della ricostruzione Vannelli propone un intreccio di frammenti teorici per costruire la propria rete di alleanze: un time-based design, un progetto processuale a temporalità variabile, aperto, open-source e minore. La rete di alleanze – nell’accezione suddetta – che in questo volume si condensa, rappresenta una premessa di particolare interesse per future interpretazioni e collaborazioni che, in riferimento ai temi trattati o a partire da essi, possono definire nuovi scenari teorici e applicativi per il progetto.

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Resti di un paesaggio poli-critico. Insediamento temporaneo a Calabritto, località San Mauro (AV) del 1980. Dicembre 2022


ABITARE AL TEMPO DELLA POLICRISI


Abitare senza hăbēre It results that ‘to have’ entails a condition of being, of being in a certain place, hence inhabiting. However, having and being differ in the sense that being entails an identity between ‘who is’ and the act of being; while having does not entail such identity, given that ‘who has’ and the object of possession are not the same thing. To have come to mean ‘to have a certain way of being’. Accordingly, inhabitation is a way of being, a relational ontological category. Boano, 2020


Due premesse Interrogandosi circa la possibilità di individuare un a priori storico dell’architettura, Giorgio Agamben affersull’abitare ma che qualcosa come l’architettura può esistere solo in quanto «l’uomo è un essere abitante»1 e dunque abitare è, per il filosofo, la condizione di possibilità per l’esistenza stessa dell’architettura. Eppure incentrando il discorso sull’essere umano moderno e dunque sul tempo attuale, Agamben rileva una rottura dell’unità tra abitare e costruire: questo legame è ormai spezzato. Così, relativizzando il discorso alla contemporaneità, il filosofo giunge ad affermare che: «l’a priori storico dell’architettura sarebbe allora oggi precisamente l’impossibilità o l’incapacità di abitare dell’essere umano moderno e, per gli architetti, la conseguente rottura del rapporto fra arte della costruzione e arte dell’abitazione»2. A questa premessa presa in prestito da Giorgio Agamben sembra utile affiancarne una seconda impiegando le parole dello storico, studioso di architettura, Maurizio Vitta: «il Novecento ha ridotto l’universo alla società e l’abitare a una funzione sociale, adeguando l’esperienza della “casa” al puro piano del diritto. Da quando il rapporto con il mondo si è interamente identificato con il rapporto tra individui – neppure “persone”, ma “ruoli” incasellati in una struttura giuridica – il problema dell’abitare è diventato il problema dell’abitazione, imponendosi nella sua asciutta dimensione quantitativa, regolata da rozze leggi di mercato e compuntamente riconosciuta come “esigenza” di massa»3. Dunque, l’impossibilità o l’incapacità di abitare dell’essere umano moderno insieme ad una reificazione e mercificazione del concetto di “abitare” sono i due tratti della contemporaneità qui proposti quali premesse necessarie allo scopo di indagare il tema dell’abitare. Nuove domande Il tempo di profonde crisi che stiamo vivendo nell’attualità sembra aver imposto con prepotenza e vecchie offerte e urgenza la necessità di ragionare sui temi esposti da Fulvio Irace nel catalogo di “Casa per tutti. Abitare la città globale”. I sempre più frequenti fenomeni critici dell’attualità sembrano mettere in discussione profondamente le strutture architettoniche e urbane che abbiamo ereditato poiché si sono dimostrate incapaci di assumere un indispensabile comportamento plastico rispetto alla sempre maggior frammentazione sociale segnata anche da inedite forme di migrazioni. La funzione meccanica dell’abitare – che nel XX secolo si è intrisa di un apparente carattere salvifico – ha ormai dimostrato di essere obsoleta in ragione di una società che è strutturalmente mutata e che continua a 1— Agamben G. (2018), Abitare e costruire, Quodlibet: https://www.quodlibet.it/giorgioagamben-abitare-e-costruire 2— Ibidem. 3— Vitta M. (2008), Dell’abitare. Corpi spazi oggetti immagini, Giulio Einaudi Editore, Torino, p. 37.

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Le forme del temporaneo: box effect La costruzione urgente non deve pregiudicare per nessuna ragione la costruzione permanente: una gamba male ingessata deturpa l’arto per tutta la vita. Rogers, 1945


Prima e seconda Nel contesto poli-critico sinora descritto il termine emergenza ha assunto un’inedita quotidianità. emergenza “Emergenza” (dal latino ex-mergĕre) indica l’azione di affiorare, mostrarsi in superficie ovvero è riferito a qualcosa che appare, che si segnala, che si pone come eccezionale rispetto al contesto. Il termine è adoperato con un’accezione positiva – in riferimento, ad esempio, a beni architettonici di valore – e con accezione negativa in riferimento ad una circostanza imprevista, un evento, che determina una condizione di «pericolo per l’incolumità di persone, beni o strutture tale da richiedere interventi eccezionali ed urgenti per essere gestita e riportata alla normalità»1. Nello scenario attuale le emergenze – intese con accezione negativa – si stanno configurando sempre più come un carattere emergente della realtà: «la complessità contemporanea richiama l’uso di nuovi strumenti: le vecchie azioni basate sul “controllo difensivo” e le risposte correttive di contingenza cedono il passo a “politiche di sinergia” affrontate mediante azioni preventive e proattive, in contemporaneo; adattabili, reversibili, chiamate a combinare antichi “scenari di emergenza” (spazi di rischio), con nuove “emergenze di scenari” (aree di opportunità)»2. Il cambio di paradigma cui Manuel Gausa Navarro fa riferimento va assunto ovviamente anche nell’ambito delle emergenze innescate da catastrofi conseguenti distruttivi fenomeni sismici. In generale, tra la catastrofe e la ricostruzione si individuano in letteratura due fasi consequenziali: una prima emergenza seguita da una seconda emergenza. La prima emergenza prevede un soccorso immediato per le comunità colpite dal disastro e in genere si concretizza spazialmente in tendopoli. A questa prima fase segue una seconda emergenza che per lo più coincide con quelle azioni temporanee volte a fornire una residenza transitoria alle comunità sfollate in attesa della ricostruzione3. Per dirla con Franco Tagliabue Volonté e Nina Bassoli: «se la prima emergenza è un soccorso, la seconda è un supporto»4. Questa successione lineare calata nell’attuale contesto di policrisi sembra quasi essere messa in discussione in ricostruzione una visione ciclica che innesca interconnessioni impreviste tra fenomeni molteplici. Allorquando si manifesta una catastrofe – evento che periodicamente sconvolge l’ordine naturale delle vicende Verso la

1— Anzalone M. (2008), L’urbanistica dell’emergenza. Progettare la flessibilità degli spazi urbani, Alinea Editrice, Firenze, p. 44. 2— Gausa Navarro M. (2019), RESILI(G)ENCE. Terre Fragili, paesaggi attivi, in Navarra M., Terre fragili. Architettura e catastrofe, LetteraVentidue, Siracusa, p. 35. 3— Cfr. UNHCR (2015), Handbook for emergency (4th ed.), Genewa, Switzerland. 4— Tagliabue Volonté F., Bassoli N. (2016), STEM procedure. Strategie di rigenerazione post sisma-Post earthquake regeneration strategies, Maggioli Editore, Santarcangelo di Romagna (RN), p. 25.

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GIOVANGIUSEPPE VANNELLI

umane mediante il suo materializzarsi5 – vi sono precise strategie che si adottano per fronteggiare l’emergenza. Il complesso scenario attuale impone una riflessione circa le emergenze in corso e le strategie già dispiegate così che – oltre ad aver contezza delle questioni che affliggono un territorio nella loro interezza – si possano ricercare anche possibili sinergie tra enti coinvolti e processi avviati. Per chiarire il punto di vista è utile richiamare quanto scrive Morin: «il pensiero complesso mette in luce ciò che oggi è significato da questa parola: “emergenza”. L’emergenza è la comparsa, quando c’è un tutto organizzato, di qualità che non esistono nelle parti prese isolatamente. Per poter pensare la globalità della società è necessario vedere la relazione fra le parti e il tutto, caratteristica appunto di complessità»6. Questa prima considerazione di natura politica è riconducibile ad un carattere esogeno della questione. A ciò si affianca una seconda riflessione che è invece eminentemente endogena rispetto alla catastrofe stessa. I tre tempi individuati a valle del disastro – prima emergenza, seconda emergenza e ricostruzione – sono attualmente 5— Cfr. Zamberletti G. (2008), op. cit., p. 9. 6— Morin E. (2016), Sette lezioni sul pensiero globale, Raffaello Cortina Editore, Milano, p. 102.

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CONTRO IL RISCHIO DELLA RICOSTRUZIONE

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Il borgo antico (a destra) l’insediamento temporaneo (a sinistra). Tra i due ambiti del villaggio M.A.P., al centro, vi è la chiesa temporanea. Sant’Eusanio Forconese (AQ). Settembre 2021

radicalmente separati nei processi di gestione, soprattutto la seconda emergenza e la ricostruzione. Questa seconda condizione messa in evidenza non ha un carattere puramente politico – ovvero riferito agli enti incaricati di gestire i diversi processi – ma ha delle importanti ricadute sulle azioni progettuali. Dunque, la seconda emergenza è stata indagata nelle sue possibili implicazioni e relazioni con i processi di ricostruzione. Più in generale ci si riferisce all’emergenza abitativa che – a valle del primo soccorso fornito nei primi giorni a seguito dell’evento calamitoso – richiede una risposta doppia, in due tempi diversi ma consequenziali: l’immediata, rapida ed economica fornitura di residenze temporanee che informa la seconda emergenza e la ricostruzione della “città permanente” che è necessario assumere non più come la ricostruzione “com’era, dov’era” – nella maggior parte dei casi non più sostenibile – bensì quale stratificazione della città che fu, della città temporanea e delle modificazioni ad essa apportate. Per indagare questo rapporto complesso tra tempi e spazi molteplici, in seguito sarà esposto sinteticamente una ricerca che ha interessato i due fenomeni sismici che hanno contrassegnato le storie dei comuni del cratere aquilano nel 2009 e i comuni che in centro Italia sono stati colpiti nel 2016.


Gli insediamenti temporanei e il centro abitato di Navelli (AQ)

GIOVANGIUSEPPE VANNELLI

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CONTRO IL RISCHIO DELLA RICOSTRUZIONE

Gli insediamenti temporanei e il centro abitato di Ussita (MC)

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Postfazione Camillo Boano Politecnico di Torino


Contro il rischio della ricostruzione è un titolo azzeccatissimo. L’intuizione che contiene cattura appieno le intensità come la delicatezza e l’arrabbiatura come la determinazione di chi osserva con intelligenza le crepe e le ferite, i corpi e i discorsi, i desideri e le politiche di quel futuro imposto che è la ricostruzione. Il progetto di ricostruzione è permeato da una razionalità progettante tipica della modernità che è affermativa e costituente del reale, dei suoi spazi, dei suoi mondi e immagini future. Sovrana in tutto e per tutto. Allo stesso tempo, il progetto nella catastrofe del presente – antropocene – si declina tra eccezione ed estinzione, localismi, riconquiste di terre abbandonate e possibili abitare imprevisti in rovine, tra tecnosoluzionismi e regressioni localistiche rimanendo intrappolato in una ipersemplificazione, iperlinearizzazione «annullando il valore di quell’ingente capitale del temporaneo, il “durante”, che si stratifica con le sue forme in un palinsesto inatteso e incontrollato che deve essere inteso come la stratificazione della città che fu, della città temporanea e delle modificazioni ad essa apportate»1. Il progetto di ricostruzione appare categoria temporale piuttosto che spazio di progetto. Attraverso questa prospettiva, il disastro e le sue conseguenze si astraggono in un processo lineare di fasi chiaramente definibili, in preda all’algoritmo calcolante dei rischi, rinunciando alla sua inerente complessità relazionale. I quadri di riferimento consolidati per il post-catastrofe, siano essi targati FEM, GFDRR o Protezione Civile, pongono l’impatto come una conseguenza - un qualificatore nella cronologia dello shock, e definiscono la ricostruzione come pura tecnica. Il rischio della ricostruzione apre la discussione alla ricostruzione come progetto non definito a-priori, ma tracciato mentre emerge da luoghi inquietanti, “case” inabitabili e storie multiple di violenza. Questa attenzione alla vita, al suo emergere e alle sue forme suggerisce non solo un'immanenza vitale, ma "un'ontologia dell’atto", dell'agency degli attori, qualunque sia il loro status (umani, non umani, oggetti, dei e esseri terrestri, ecc.). Pensare la ricostruzione al di fuori della sua dimensione temporale ed emergenziale, cercando di superare le dicotomie vincolanti date dalle relazioni pre e post, dalle narrazioni prima e dopo, spostandosi invece sulle strutture relazionali che emergono nel mezzo e nel mentre. Lo spazio, in particolare, diviene un modo per comprendere la ricostruzione come una dinamica meno lineare e più come un campo relazionale. La giustificazione di pensare al recupero in termini spaziali emerge dalla necessità di disgiungere la sua dimensione materiale, la sua realtà, e di comprendere le relazioni e il modo in cui si manifestano, come avvengono. Non abitiamo spazi vuoti e omogenei, ma piuttosto «pieni di politica, ideologia e altre forze che plasmano le nostre vite e ci sfidano nella lotta»2. 1— Vannelli G. (2023), Contro il rischio della ricostruzione. Verso teorie progettuali per il postsisma nelle aree interne e marginali italiane, LetteraVentidue, Siracusa, p. 110. 2— Soja E. (2010), Seeking Spatial Justice, MIT Press, Minneapolis, p. 19.

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CAMILLO BOANO

La ricostruzione “ha luogo”, pensare al progetto di ricostruzione in termini spaziali significa guardare al di là di una narrazione basata solo sul tempo (drammatico, eccezionale, duraturo, lineare), e quindi abbracciare una narrazione materialista, seppure deleuziana, delle sue condizioni ecologiche e pertanto relazionali, assumendone la differenza, la molteplicità, il cambiamento e il movimento. Il rischio della ricostruzione ci riporta ad uno spazio inteso come quotidiano e micropolitico nella più canonica tradizione marxista ispirata a Foucault e suggerita da Lefebvre, la ricostruzione come spazio, come “spazio della ricostruzione” ne apre una discussione più ontologica e quindi apre a riflessioni su come il suo progetto «renda possibili diversi tipi di relazioni, ma a sua volta si trasformi in base alle relazioni affettive e strumentali dei soggetti con esso»3. Il rischio della ricostruzione non è una semplice geografia dei luoghi né l'adozione del rischio del progetto di ricostruzione va vista semplicemente come un esercizio metaforico, né come un'altra di una serie di determinazioni di nicchia all'interno dei tradizionali temi globali degli studi post-catastrofe; si tratta invece della adozione di uno stile di pensiero «orientato dalle relazioni spaziali, il modo in cui immaginiamo cosa pensare»4. Il rischio della ricostruzione si situa in un panorama, fortunatamente in espansione, di letture critiche del disastro, delle cartografie che tracciano nuove forme di pratiche e di epistemologie. Tuttavia, come suggerisce Hewitt, gli studi sulle catastrofi «sembrano ancora immersi in forme e formule tecnocratiche che prevalgono ancora, comode per l'amministrazione e la gestione centralizzate, ufficiali se non neocoloniali»5. I fatti, il realismo, il pragmatismo, il funzionalismo, il fare, il risolvere e un complesso jargoon sono stati troppo adottati al posto dei gesti di decostruzione, sospensione, rivelazione tipici del gesto emancipatorio della critica, così tanto assente e distante dall’interrogare il progetto di ricostruzione. Nei discorsi sulla vulnerabilità, la critica ha assunto la forma di una “espansione” degli studi sulle catastrofi6. Galliard suggerisce che l'egemonia dei discorsi occidentali sui disastri ha sostenuto politiche e azioni standardizzate e universali per la riduzione del rischio di disastri in tutto 3— Grosz E. A. (1995), Space, time, and perversion: essays on the politics of bodies, Routledge, London, p. 260. 4— Colebrook C. (2005), Philosophy and Post-Structuralist Theory: From Kant to Deleuze, Edimbourg University Press, Edinburgh, p. 190. 5— Hewitt K. (2021), ’Acts of Men’. Disasters Neglected, Preventable and Moral, in Remes J. A. C., Horowitz A. (a cura di), Critical Disaster Studies, University of Pennsylvania Press, Philadelphia, p. 191. 6— Cfr. Chmutina K., Sadler N., von Meding J., Issa Abukhalaf A. H. (2021), “How the English Language Dominates Disaster Research and Practice”: https://www.e-ir.info/pdf/89465, 2021.

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POSTFAZIONE

il mondo7. Il passaggio osservato negli ultimi 30 anni da politiche e azioni tecnocratiche, di ispirazione militare e informate dalla scienza o dalla tecnologia ai cosiddetti processi partecipativi e basati sulla comunità spesso immaginate e fittizie non è altro che la riproduzione dei rischi, i rischi della ricostruzione appunto, sempre attuali. Mentre scrivo queste righe un violento terremoto in Marocco ha colpito le aree interne di El Haouz e Taroudant, causando gravi danni, morte e distruzione ed aprendo incertezza sulla ricostruzione. Irene Bono, acutamente pone l'attenzione sul fatto che come sempre con le ricostruzioni si «apre una fase politicamente delicata la cui posta in gioco è la ridefinizione dei modelli di sviluppo locale: l’orientamento che guiderà la ricostruzione inciderà inevitabilmente sul modo in cui certe forme di diseguaglianza tra territori e tra gruppi sociali verranno considerate un problema pubblico, e certe altre verranno trascurate perché ritenute conseguenze inevitabili di una catastrofe naturale»8. La ricostruzione come portale, certo. Ma come affrontare il progetto di ricostruzione per ridurne i suoi rischi? Domanda centrale che anche, sempre mentre scrivo, altri autori si pongono sul sito culturale di arte ed architettura e-flux, riflettendo in modo orizzontale sulla ricostruzione Ucraina e si chiedono «Com'è possibile immaginare una ricostruzione quando il campo è in costante mutamento? Quanto tempo ci vorrà prima che qualsiasi strategia proposta sia resa obsoleta? Che valore possono offrire gli studiosi quando la guerra, la distruzione e la resistenza sono ancora in corso e non se ne intravede la fine?»9. Domande centrali, non nuove, che mi fanno pensare ad una frase che l’antropologa Stefania Consigliere ha scritto «la crisi è ciò che è impossibile ignorare»10. Tuttavia, il rischio della ricostruzione non è un abbandono di un progetto di ricostruzione di una semplice vita tra le rovine o una assenza di vita tout court, un abbandono. Piuttosto è un progetto di non resa, un progetto di resistenza alla resa e di supporto ad una vita che «non si arrende»11, una vita senza la promessa di stabilità, che abita in un continuo “fallimento”, una rovina di piani, di ideologie, di possibilità, in una perpetua disfunzionalità. Qui è centrale una riappropriazione del progetto come indagine sulle forme di vita nella loro possibilità di divenire, ricombinarsi, 7— Cfr. Galliard J. C. (2019), Disaster studies inside out, in “Disasters”, n. 43, pp. S7-S17. 8— Bono I. (2023), Il Marocco colpito a morte: https://www.rivistailmulino.it/a/il-maroccocolpito-a-morte. 9— Anosova D. et all. (2023), Reconstructions Editorial: https://www.e-flux.com/ architecture/reconstruction/. 10— Consigliere S. (2014), Antropo-logiche. Mondi e modi dell’umano, Il Colibrì, Paderno Dugnano, p. 287. 11— Tsing A. L. (2021), Il fungo alla fine del mondo. La possibilità di vivere nelle rovine del capitalismo, Keller, Rovereto, p. 226.

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Contro il rischio della ricostruzione è un invito a reintrodurre il progetto nella gestione dell’emergenza ponendo al centro la necessità di una rinnovata dimensione teorica e critica. Il volume indaga i paesaggi interni e marginali italiani – principalmente in riferimento ai territori dei crateri del sisma 2009 e del sisma 2016-17 – rappresentativi di una critica condizione contemporanea dell’abitare al tempo della policrisi. Trascendendo la nozione di temporaneo, il progetto nel post-emergenza è indagato nella sua capacità di fare – e rifare – città. Le forme del temporaneo sono reinterpretate nell’ambito di una visione relazionale, interscalare e, necessariamente, complessa. In definitiva il volume accende i riflettori sulla prassi ricostruttiva assumendo come punto di osservazione il patrimonio temporaneo che necessita oggi di essere ripensato nelle sue tracce passate ma ancor più nella costruzione delle domande di progetto a venire.

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