Paesaggio Inclusione

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ISBN 978-88-6242-906-1

Prima edizione dicembre 2023

© LetteraVentidue Edizioni

© Lucina Caravaggi

© Alfonso Giancotti

© Cristina Imbroglini

© Maria Chiara Libreri

È vietata la riproduzione, anche parziale, effettuata con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico. Per la legge italiana la fotocopia è lecita solo per uso personale purché non danneggi l’autore. Quindi ogni fotocopia che eviti l’acquisto di un libro è illecita e minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza. Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi comunque favorisce questa pratica commette un furto e opera ai danni della cultura.

Nel caso in cui fosse stato commesso qualche errore o omissione riguardo ai diritti delle illustrazioni saremo lieti di correggerlo nella prossima ristampa.

Impaginazione: Giorgia Aneli

LetteraVentidue Edizioni Srl

Via Luigi Spagna 50 P 96100 Siracusa, Italia

www.letteraventidue.com

a cura di

Lucina Caravaggi

Alfonso Giancotti

Cristina Imbroglini

Maria Chiara Libreri

Paesaggio Inclusione

paesaggio e ambiente

Direttore della collana

Alessandra Capuano

Comitato Scientifico

Jordi Bellmunt

Gianni Celestini

Philippe Poullaouec-Gonidec

Luca Reale

Giuseppe Scarascia Mugnozza

Fabrizio Toppetti

Redazione

Viola Corbari

Federico Di Cosmo

Daniele Frediani

Progetto grafico

Viola Corbari

La collana adotta un sistema di valutazione dei testi basato sulla doppia revisione paritaria e anonima (double blind peer-review ). I criteri di valutazione adottati riguardano: l’originalità e la significatività del tema proposto; la coerenza teorica e la pertinenza dei riferimenti rispetto agli ambiti tematici propri della collana; l’assetto metodologico e il rigore scientifico degli strumenti utilizzati; la chiarezza dell’esposizione e la compiutezza dell’analisi.

Indice

Presentazione

Lucina Caravaggi

• COSTELLAZIONI COLLABORATIVE

Empatia in un mondo a rischio

L’empatia con la natura

Laura Boella

Finisce dove finisce l’atmosfera

Il paesaggio in una prospettiva atmosferologica

Tonino Griffero

Sprawl e città esclusiva

Angelo Antolino

Paesaggi mortificati

Lucrezia Lo Bianco

La pratica artistica fuori dallo spazio deputato

Il caso di Contenuto Rimosso

Chiara Trivelli

• • PROGETTO DI PAESAGGIO E INCLUSIONE

Punti di vista

Alfonso Giancotti

I luoghi (comuni) dell’inclusione

Cristina Imbroglini

Paesaggi dell’inclusione

Il progetto di paesaggio di fronte alle ingiustizie sociali e ambientali

Daniela De Leo

09 30 32 42 54 62 70 84 86 96 106

Ecologie non-produttive

Il valore dell’inatteso nel progetto

dello spazio pubblico

Elisa Donini

Parchi bird-friendly

Linda Grisoli, Jacopo Mannello

Empatie multispecie

Le potenzialità dell’agricoltura rigenerativa

Maria Chiara Libreri

Playful Landscapes

Inclusive design strategies

Sara Ahmed, Cecilia Daniele, Thania Sakellariou

Includere le dimensioni nascoste

Oltre la prossemica di E.T. Hall e J. Gehl

Alberta Piselli

The exclusive collective landscape

Justyna Profaska

Inclusive and Integrated Landscape Governance Framework

New Approaches for Corviale Inclusive Landscape

Qianjan Fu

Confini inclusivi

Rileggere il limite come un’opportunità

Roberta Manno

Progettare la cura

Agricoltura come fattore di inclusione sociale

Simona Tarra

Comprendere gli esseri viventi

Visioni inclusive nelle opere filosoficoambientali contemporanee di Andreas

Weber e Gilles Clément

Anna Keitemeier

• • • ESERCIZI DI
IMMAGINAZIONE CREATIVA
114 116 124 132 140 148 156 162 174 182 190

Empatia in un mondo a rischio

L’empatia con la natura

Laura Boella

Prof.ssa ordinaria Filosofia morale, Università degli Studi di Milano

• • •

Un virus che non conosce confini ci ha messo di fronte alle difficoltà e trasformazioni dell’esperienza empatica. Bruno Latour in suo recente intervento ha detto che l’importanza della pandemia sta nell’assumere il ruolo che Socrate attribuiva a sé stesso, quello del tafano che fastidiosamente non cessa di ricordarci che il mondo è cambiato ed è ora di accorgercene. Tanto più questo è vero se pensiamo al nostro rapporto con la natura. È noto che il virus è partito da un “salto di specie”, passando dall’animale all’uomo e la sua diffusione globale ha portato allo scoperto, meglio, ha fatto sentire a ognuno di noi sulla propria pelle lo stretto rapporto che lega la vita umana all’ambiente e agli effetti devastanti della deforestazione, degli allevamenti intensivi, della perdita di biodiversità, dell’acidificazione e dell’innalzamento del livello degli oceani, dell’invasione della plastica nell’ambiente sottomarino e sulla cima dell’Everest. Un virus che non smette di passare di bocca in bocca, di obbligare tutte le società a modificare i propri comportamenti, ci ha messi di fronte alla domanda se il pianeta sarà ancora abitabile per la specie umana alle condizioni di un tempo recente, la modernità, che però lo ha radicalmente trasformato. Di fronte alla fragilità e all’interconnessione di tutti i viventi si parla della necessità di un nuovo rapporto con la natura, di un’empatia con gli animali non umani estesa a tutto ciò che un tempo si considerava natura inanimata (montagne, mari, atmosfera, deserti). C‘è un fatto curioso nella storia, peraltro recente, dell’empatia. Di empatia si è iniziato a parlare alla fine del Settecento nel momento in cui poeti, artisti e psicologi si sono interrogati sulle risposte fisiche e affettive di fronte a un oggetto (un quadro, una statua) e alle manifestazioni della natura. Prima ancora di interrogarsi sul modo in cui viviamo le relazioni con altri individui, ci si è chiesti come mai una roccia aguzza, un cielo grigio, un mare in tempesta, un pezzo di marmo, plasmato dallo scalpello di Leonardo o di Michelangelo, un leone di pietra all’ingresso di una cattedrale, quindi una materia “altra” in senso letterale rispetto all’umano, provocassero risposte corporee e emotive, paura, ammirazione, sconcerto, come se fossero entità “vive”. È innegabile che una linea tracciata con la matita su un foglio non si muove, ma quando parliamo del movimento di una linea proiettiamo su di essa le nostre esperienze motorie, così come proiettiamo i nostri sentimenti in un quadro, in una statua, in una melodia, in un paesaggio (triste o sereno). Non diversamente dall’empatia intersoggettiva, e nonostante la genericità con cui oggi si parla di empatia, l’empatia con la natura appare fin da subito un enigma, un meccanismo che sembra naturale e tuttavia è misterioso.

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Laura Boella

essere nostalgico verso una certa idea di Paesaggio Italiano, quello, se vogliamo, “classico”, esistito per millenni e sopravvissuto fino alla metà del secolo scorso, nel quale la città e la campagna erano ben definite e separate e dove la seconda forniva alla prima i prodotti per il suo sostentamento.

Che (sempre parafrasando) l’estetica alla quale mi rifaccio è troppo dicotomizzata tra un giudizio negativo senza appello della città diffusa e uno positivo del “Paesaggio Classico” e che compito della Fotografia dovrebbe essere quello di farci vedere anche il bello dei luoghi in cui viviamo perché (cito testualmente) «è la nostra vita; e un centro commerciale e lo Sprawl può anche essere bello».

Come più volte mi capita di ripetere, il termine Paesaggio, nella sua complessità, dà adito a molte interpretazioni e fraintendimenti.

Nel Vocabolario Treccani, alla voce Paesaggio è solo al 4° punto che viene definito come «l’insieme degli elementi tipici di una parte della superficie terrestre»3. Esso viene troppo spesso confuso con il termine veduta riducendo la Fotografia che lo prende in esame, a puro esercizio estetico.

Ma, per quanto riguarda i Paesaggi “antichi” e quelli moderni da me presi in esame nel mio lavoro la faccenda si fa più complicata dal momento che voler salvaguardare la bellezza del Paesaggio italiano

56 Sprawl e città esclusiva
Villette a schiera presso Cadoneghe (PD), 2014 (fotografia di Angelo Antolino da Souvenir d’Italie).

“da cartolina” significa andare oltre il puro dato estetico e riconoscere quella bellezza come il risultato di un uso (salvo alcuni casi) virtuoso del territorio; come il frutto di continue e lente modificazioni apportate per millenni con l’intento di garantire il sostentamento delle popolazioni che lo abitavano attraverso l’agricoltura.

Vedere quella bellezza come il risultato del lavoro significa allo stesso tempo andare oltre l’immagine dell’Italia quale Arcadia come è stata dipinta e raccontata in particolare dagli artisti stranieri per molti secoli. Infatti il “prezzo” pagato dalle popolazioni dell’Italia preindustriale per quella bellezza era spesso altissimo in termini di condizioni di vita; basti pensare, tra le altre cose, alla mortalità infantile, all’analfabetismo o alla vulnerabilità alle malattie infettive e alle carestie. Sarebbe, quindi, alquanto sciocco sostenere che le condizioni di vita degli Italiani che vivevano i Paesaggi da cartolina fossero migliori rispetto a quelle degli italiani che vivono nelle tante città diffuse del nostro tempo.

Se avessi la possibilità di scegliere se vivere nella Siena dipinta da Ambrogio Lorenzetti nella Allegoria del Buon Governo o in un villino tra centri commerciali nella pianura veneta nel 2022, non esiterei a scegliere il secondo.

Scherzi a parte, ritengo altresì sciocco limitarsi a ribaltare il vecchio luogo comune del “si stava meglio prima” per approdare ad una

57 Angelo Antolino
Bogliasco (GE), 2015 (fotografia di Angelo Antolino da Souvenir d’Italie).

Paesaggi mortificati

• • •
Lucrezia Lo Bianco Regista

L’intervento propone un approccio alternativo al tema di Paesaggio e Inclusione. Si propone una lettura a partire dagli occhi di un documentarista per cui un paesaggio è sempre il contesto, assolutamente soggettivo dell’intervistato: è l’ambito delle faccende umane che lo riguardano, il guscio di chi lo abita e, di conseguenza, estremizzazione funzionale al racconto. Compito del documentarista sarà ascoltare empaticamente e cercare di riportare quella lettura del paesaggio, necessariamente unica, nel modo più fedele possibile. Attraverso la visione di filmati e fotografie realizzate dall’autore si prova ad analizzare cosa si intenda per soggettivit à di un paesaggio, a seguire la narrazione di testimoni con punti di vista diversi a quelli a cui siamo abituati e dove il tema dell’inclusione è materia ricorrente. Parliamo di contesti complessi, paesaggi mortificati, situazioni di degrado: chi racconta la propria personalissima visione del paesaggio sono i pazienti dell’ex ospedale psichiatrico Santa Maria della Piet à all’epoca della legge Basaglia, diversi senza fissa dimora della capitale, ma anche Rom, migranti, gli ospiti di alcuni campi profughi iracheni e del Libano. In quest’ultima situazione si prova a raccontare il paesaggio nel senso più comune del termine: per esempio cosa succede quando un contesto, anche dal punto architettonico è talmente limitato e costretto da condizionare totalmente e irrimediabilmente il quotidiano. Un punto di vista più positivo ci accompagna verso la conclusione dell’intervento: interventi paesaggistici e contestuali raccontati attraverso i protagonisti di progetti partecipati, cooperative di comunit à, il racconto di un ragazzo autistico che ci racconta il paesaggio come progetto terapeutico e, in chiusura, il racconto di come una coperta e la sua realizzazione sono diventati paesaggio e testimonianza di storia e memoria.

63 Lucrezia Lo Bianco
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Paesaggi mortificati Shatila, fotografia di Lucrezia Lo Bianco.
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Lucrezia Lo Bianco In alto: Campi profughi Iraq, fotografia di Lucrezia Lo Bianco. In basso: Coperta Youssuf, fotografia di Lucrezia Lo Bianco.

partecipazione è inesistente o illusoria se non produce uno spazio comune discorsivo in cui le persone si assumono la responsabilità delle scelte, sapendo che hanno effetto sulla collettività»6. Quando nel 2012 sono arrivata a Lorenzago – su invito di Francesca Conchieri che, insieme a Vito Vecellio, curava il festival Lorenzago: montagna contemporanea nel quadrato – non mi sono limitata a fare un sopralluogo e installare la mia opera. A Lorenzago ho trascorso un lungo periodo di residenza, durante il quale mi sono confrontata col territorio e la sua storia, ho elaborato il progetto in dialogo stretto con gli abitanti, le associazioni e l’amministrazione locale. Sono arrivata a Lorenzago, inoltre, con delle competenze che avevo acquisito in precedenza operando in territori con problematiche analoghe. Questo ha permesso che gli abitanti non sentissero l’intervento che l’artista andava a compiere – l’opera d’arte pubblica – come estraneo. Fare arte in relazione al territorio dovrebbe essere un processo di apprendimento reciproco. Il lavoro di ascolto e mediazione territoriale è fondamentale per il successo dell’operazione artistica sul territorio. Questo richiede tempo e la possibilità di restare in un luogo. Negli anni Contenuto Rimosso è diventato la festa principale del paese. Attorno ai fuochi, prima spontaneamente poi in modo organizzato, associazioni, esercenti e abitanti hanno proposto un’offerta di cibi e bevande e, nel tempo, sviluppato un programma di eventi culturali, concerti, proiezioni e spettacoli dal vivo. Il progetto è diventato una forma di autofinanziamento per le associazioni, creando una micro economia su scala locale. è stato capace di attrarre l’interesse, al di là di Lorenzago, nei paesi vicini, con ripercussioni positive su tutto il territorio e diventando un caso su scala nazionale7

L’appropriazione del progetto da parte degli abitanti, tuttavia, non è stata immediata ma, com’è naturale che sia perché avvenga non solamente come operazione di facciata, ha necessitato di un lungo periodo di sedimentazione e, da parte mia, di un’opera di accompagnamento. Nel tempo, il mio è diventato soprattutto un ruolo di mediazione e coordinamento ma anche di garanzia della continuità del progetto, di cui ho curato programmazione, comunicazione e documentazione, sempre in collaborazione con gli abitanti, sempre sul filo teso dell’equilibrio e dell’accordo fra le parti, costruendo una narrazione pubblica di quello che stava accadendo, che stimolasse la consapevolezza della sua correlazione alle pratiche artistiche contemporanee, le quali rivendicano un loro ruolo sociale e un impegno civico per l’arte. Come ha evidenziato Pioselli, «bisogna tener conto che quello innescato da Contenuto Rimosso è un processo

74 La pratica artistica fuori dallo spazio deputato

Lorenzago di Cadore prima e dopo il Rifabbrico: la trasformazione della borgata Gortina nel quartiere il Quadrato. Raffronto planimetrico tra Catasto Napoleonico (1816), progetto di Rifabbrico di Segusini (1855-65) e situazione nel 1985. Tavola in: Edoardo Gellner, Il “Rifabbrico”: una nuova forma di organizzazione urbanistica nel Cadore, in “La montagna veneta in età contemporanea. Storia e ambiente. Uomini e risorse”, 26-27 maggio 1989, Belluno, a cura di Antonio Lazzarini e Ferruccio Vendramini, Ed. Storia e Letteratura, 1991.

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Chiara Trivelli

Dissenso

L’utilità di arricchire la pratica del progetto mediante l’intersezione –legata al pensiero antispecialistico di Koprotkin – con una molteplicità di esperienze che si qualifichino come voci di un “dissenso creativo” (n) è alla base del pensiero di Colin Ward che, alla metà degli anni Settanta, riporta alla luce una serie di azioni, che lui stesso definisce alternative, che appaiono oggi di grande attualità.

Tra queste l’alternativa adattiva che favorisce la nascita di processi inediti di interazione con i paesaggi dello scarto o, ancora, quella della convivialità, in base alla quale ogni individuo ha comunque la possibilità di arricchire il contesto con il frutto delle proprie scelte. Questo sistema di alternative, legate a un approccio che, per definizione, si contrappone a quelli prodotti dalla cultura ufficiale, postula che ogni intervento debba offrire la disponibilità per ogni ambiente a essere plasmato e modellato e rimodellato da chi lo usa. Una strategia che consente di raggiungere una preziosa condizione di equilibrio tra le modalità con le quali ogni proposta determina le reali aspettative del fruitore e le possibilità di controllo che il fruitore stesso è messo in condizione di esercitare.

Non a caso, in uno dei suoi scritti6, Colin Ward, analizzando quelli che lui stesso definisce i “paesaggi improvvisati” del sud dell’Inghilterra, prende in esame la figura dell’orto non solo come riferimento familiare e onnipresente nel paesaggio ma anche come immagine ideale di un sistema che le persone possono modellare, attraverso il loro lavoro, secondo il proprio arbitrio e le proprie tradizioni.

Il pensiero di Colin Ward è molto vicino a quello di alcuni suoi contemporanei come Jim Richards, Peter Blake e Giancarlo De Carlo, protagonisti di uno storico ciclo di conferenze presso il Royal Australian Insitute of Architects di Melbourne, i cui contributi sono stati racconti in un celebre volume dal titolo “l’Architettura degli anni Settanta”7. La lettura critica delle tendenze in atto in quegli anni operata dai tre studiosi poggia esattamente sulla consapevolezza di vivere dentro una società in profonda transizione, la cui mutazione diventa ogni giorno che passa sempre più imprevedibile. Una società che, come quella odierna, genera programmi sempre diversi ai quali occorre dare risposta con nuove soluzioni.

90 Punti di vista • • •
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Alfonso Giancotti Suolo palinsesto Esplorazione progettuale TransHumance, A. Cimini, M.C. Libreri, A. Piselli.

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