Paesaggi a rischio

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PAESAGGI A RISCHIO • Fragilità, vulnerabilità e progetto

Paesaggi in transizione

Michelangelo Russo

Vulnerabilità e progetto tra formazione, ricerca e sperimentazione

Pasquale Miano, Bruna Di Palma

Il progetto dei paesaggi a rischio

Pasquale Miano

LECTIO

Design with living grounds

Henri Bava

Paesaggi a rischio

Jordi Bellmunt

Progetti di convivenza con i rischi imprevedibili

Lucina Caravaggi

CONTRIBUTI

PAESAGGI CULTURALI A RISCHIO. SGUARDI INCROCIATI E PROGETTO

Paesaggi culturali sensibili e progetto: quali letture

Bianca Gioia Marino

I paesaggi delle terre mutate. Dopo il sisma del 2016

Paolo D’Angelo

Architettura, archeologia e suolo. Il progetto come dialogo con la terra

Bruna Di Palma

Paesaggi a rischio di estinzione: il sistema dei canali di acque pubbliche dell’area orientale di Napoli

Anna Migliaccio

Un approccio semiologico alla lettura del paesaggio

Alessandra Pagliano

Il paesaggio storico a rischio: per un disvelamento del territorio

Massimo Visone

Rischio idro-geologico e progetto: itinerari e prospettive

Domenico Calcaterra

Inter-sezioni fragili. Il progetto tra segni e tempi in mutazione

Marilena Bosone

Il rischio come opportunità nel progetto di paesaggio

Isotta Cortesi

Lo spazio dell’acqua. Il progetto tra collisione e inclusione

Bruna Di Palma

Pianificazione, programmazione e azioni strategiche per la gestione delle risorse acqua e suolo: un esempio di percorso innovativo dell’osmosi tra paesaggio e dighe (Pertusillo e Monte Cotugno)

Vera Corbelli, Giuseppe Maria Grimaldi

Paesaggi multirischio e interazioni geografiche. Ripartiamo dall’acqua

Lilia Pagano, Paola Galante

IL RISCHIO SISMICO E VULCANICO E IL PROGETTO PER I PAESAGGI VULNERABILI

Analisi di impatto a supporto della pianificazione di emergenza

Giulio Zuccaro, Daniela De Gregorio

Rischio sismico, vulcanico e bradisismico permanente: paesaggi vulnerabili tra rischio antropico e densificazione della Città Metropolitana di Napoli

Emma Buondonno, Filomena Nardone Aggiutorio

La percezione del rischio. Il progetto come presidio del paesaggio vulcanico

Bruna Di Palma

La convivenza tra l’uomo e i vulcani campani

Mauro Antonio Di Vito

Scenari eruttivi e pericolosità vulcanica del Vesuvio e dei Campi Flegrei

Giovanni Macedonio

Pianificazione nazionale per il rischio vulcanico del Vesuvio e Campi Flegrei

Antonella Scalzo, Paola Pagliara, Massimo Durantini

Soluzioni tecnologiche ed ecologia del paesaggio

Dora Francese

Renewable energy sources in the city

Benoit Beckers, Jairo Acuña Paz y Miño, Inès de Bort

Architettura, paesaggio e responsabilità

Maurizio Conte

Materiali bioregionali contro i rischi ambientali

Paola De Joanna

Da scarto a innesco. Innesti architettonici per la riattivazione di cave dismesse

Bruna Di Palma

Analisi dei rischi e gestione dei siti contaminati: casi studio di fitorisanamento in Italia Meridionale

Massimo Fagnano

Le mappe di clima urbano, uno strumento efficace per il contrasto al Climate Change

Carlo Gerundo

Vertical wall systems to reduce pollution hazard

Lujain Hadba, Paulo Mendonça, Ligia Silva

Servizi ecosistemici e alterazioni in ambienti a rischio

Giulia Maisto

Rischi da inquinamento dell’aria

Ilaria Oberti

Economia circolare contro i rischi climatici

Angelica Rocco

Oltre la sostenibilità, verso un continuum natura-cultura

Marialuce Stanganelli ABSTRACT

Paesaggi in transizione

Michelangelo Russo

Vulnerabilità e progetto tra formazione, ricerca e sperimentazione

Pasquale Miano, Bruna Di Palma

Il progetto dei paesaggi a rischio

Pasquale Miano

Vulnerabilità e progetto tra formazione, ricerca e sperimentazione

PAESAGGI A RISCHIO • Fragilità, vulnerabilità e progetto

Nell’ambito del tema del rischio e del multirischio, in particolare, il progetto di architettura e di paesaggio, affrontato in un’ottica aperta, dialogica e complessa, assume un ruolo primario per orientare in maniera efficace la definizione di visioni e configurazioni sintetiche, integrate e interscalari intese come leve necessarie per un confronto nel merito tra gli specialismi legati alle differenti sfere di interpretazione e intervento per il monitoraggio e la prevenzione, la convivenza e la cura dei “paesaggi a rischio”. “Agire prima” e “Agire insieme” con una sensibilità integrata e di lunga durata che contempli contestualmente aspetti di carattere fisico-tecnico e semantico-culturale appare oggi infatti come la strada più significativa da percorrere per non incorrere nei più frequenti e battuti interventi di puntuale messa in sicurezza, soluzioni d’urgenza post-evento, spesso inefficaci dal punto di vista architettonico e paesaggistico.

Questo approccio connota il lavoro di didattica e di ricerca che si sta svolgendo nel Master di II livello RISCAPE. “Paesaggi a rischio. Il progetto di paesaggio nei territori vulnerabili” del Dipartimento di Architettura, Università degli Studi di Napoli Federico II. Dal 2021, il percorso formativo è stato costruito come spazio di condivisione e dialogo tra discipline diverse nel comune obiettivo di sviluppare una sensibilità critica specifica, una metodologia applicata e un approccio strategico rivolto allo studio delle fragilità, alla riduzione delle vulnerabilità, alla mitigazione dei rischi.

Il libro nasce per lasciar traccia dell’esperienza svolta nel corso delle prime due edizioni del Master, nell’ambito di iniziative seminariali che sono state organizzate tematicamente intorno ad alcune delle questioni principali rispetto alle quali sono state sviluppate le sperimentazioni, ovvero la relazione tra progetto e paesaggi culturali a rischio, rischio idro-geologico, rischio sismico e vulcanico, rischio ambientale. Queste sono le sezioni attraverso le quali si articola il libro e che potranno essere ulteriormente implementate rispetto alle future esperienze che si svolgeranno nelle prossime edizioni del percorso formativo. L’apertura di ogni sezione è affidata ad alcuni docenti del Master che hanno svolto un ruolo decisivo nell’indirizzare lo sviluppo dei contenuti relativi ad ognuna delle sezioni e nell’invitare esperti del mondo accademico, degli enti e dei settori coinvolti rispetto allo studio e alla risoluzione delle questioni specifiche.

Le sezioni non intendono contraddire l’approccio multirischio separando gli sguardi, ma si pongono l’obiettivo di approfondire alcune questioni relative a rischi specifici per poi meglio riuscire ad integrarle le une con le altre nell’ambito di paesaggi che presentano sempre una sovrapposizione complessa di più vulnerabilità e soprattutto nelle esperienze progettuali strategiche da affrontare nell’ambito del Master.

Sguardi incrociati e progetto è il tema della sezione sui paesaggi culturali a rischio: la potenziale perdita di memoria storica connessa alle profonde alterazioni del patrimonio architettonico e paesaggistico esistente è la chiave rispetto alla quale il progetto può innestare dinamiche di tutela e sviluppo mirate alla conservazione e al rinnovamento delle qualità fisiche e

Pasquale Miano, Bruna Di Palma

LECTIO

Design with living grounds

Henri Bava

Paesaggi a rischio

Jordi Bellmunt

Progetti di convivenza con i rischi imprevedibili

Lucina Caravaggi

PAESAGGI A RISCHIO • Fragilità, vulnerabilità e progetto

Campo Felice, Rocca di Cambio, Abruzzo. © Alessandro Cimmino.
Lucina Caravaggi
Ovindoli, Abruzzo. © Alessandro Cimmino.

PAESAGGI CULTURALI

A RISCHIO. SGUARDI INCROCIATI E PROGETTO

Paesaggi culturali sensibili e progetto: quali letture

Bianca Gioia Marino

I paesaggi delle terre mutate. Dopo il sisma del 2016

Paolo D’Angelo

Architettura, archeologia e suolo. Il progetto come dialogo con la terra

Bruna Di Palma

Paesaggi a rischio di estinzione: il sistema dei canali di acque pubbliche dell’area orientale di Napoli

Anna Migliaccio

Un approccio semiologico alla lettura del paesaggio

Alessandra Pagliano

Il paesaggio storico a rischio: per un disvelamento del territorio

Massimo Visone

Lago di Resia.

I paesaggi delle terre mutate. Dopo il sisma del 2016

Da qualche anno è possibile per gli appassionati di trekking fare in Italia centrale un percorso intitolato Il cammino delle terre mutate. Si tratta di un percorso nei paesi dell’Appennino marchigiano e abruzzese colpiti dal terremoto del 2016. Percorrendo due grandi parchi, quello dei Monti Sibillini e quello dei Monti della Laga e del Gran Sasso, si parte dalla zona sovrastante Ascoli Piceno, passando per l’epicentro del terremoto ad Amatrice, e si arriva al Gran Sasso. Scelgo di partire da qui perché mi ha colpito il nome che è stato dato a questo percorso. È una denominazione significativa perché ci pone di fronte a un problema notevole, quello dei mutamenti nel paesaggio a seguito di catastrofi naturali. Dopo il terremoto del 2016, ad esempio, i paesaggi della zona colpita hanno subito profonde trasformazioni e altre potrebbero subirne. Ma dopo ogni terremoto i paesaggi mutano e spesso sono a rischio. Solo una visione estremamente superficiale potrebbe far pensare che il terremoto non intacchi il paesaggio; può anche essere che l’evento sismico in quanto tale non lo faccia, anche se talvolta lo fa in maniera invasiva. Certamente possono farlo le decisioni che si prendono dopo il terremoto come pure dopo le altre grandi catastrofi ambientali, quali alluvioni, frane, etc. Le scelte che si compiono, a cominciare da quella fondamentale di mantenere o meno i nuovi insediamenti nella zona colpita, sono tutte scelte che segnano radicalmente il paesaggio e la fisionomia dei territori che sono stati investiti dal sisma: riprendere le tipologie abitative preesistenti o inserirne di nuove; rispettare i tracciati dell’abitato precedente o modificarli; ripristinare integralmente o solo in parte.

Tutto questo mi sembra particolarmente vero per il terremoto dell’agosto del 2016 e dei mesi seguenti, perché ha interessato una zona piuttosto vasta ma priva di grandi insediamenti urbani. Ad essere colpiti sono stati molti centri piccoli, talvolta piccolissimi; comunque, nessun centro di grande estensione, nessuna città o cittadina. Questi paesi spesso avevano un rapporto molto stretto con il paesaggio e il territorio circostante, erano essi stessi degli elementi paesaggistici importanti del contesto; per di più, questo evento ha colpito dei luoghi che avevano già i problemi tradizionali delle aree interne del nostro Appennino. Si tratta di centri con una popolazione stabile piuttosto limitata ma che stavano acquisendo sempre più una qualche vocazione turistica legata appunto al rapporto con il territorio. I due grandi parchi naturali

Il progetto come dialogo con la

terra. L’intervento di Toni Gironès Saderra per l’adeguamento del sito archeologico di Can Tacò (Barcellona, 2012). © Aitor Estévez.

Architettura, archeologia e suolo. Il progetto come dialogo con la terra

Introduzione: rovine, spessori, strati

Il progetto per l’archeologia1 e il progetto di suolo2 sono stati oggetto di ampie riflessioni nei decenni scorsi. Da un lato si è reso necessario precisare e, di volta in volta, teorizzare e sperimentare l’abbattimento dei recinti disciplinari per sovvertire l’isolamento fisico e semantico delle rovine. Dall’altro lato è stato indispensabile rivolgere lo sguardo alle variabili formali e funzionali insite nello spessore dello spazio aperto per ricomporre sequenze e percorsi in logiche maggiormente aperte e intersettoriali.

Dato quindi per assodato l’assunto per il quale il progetto per l’archeologia vada integrato nelle forme di modificazione che riguardano le storie della città, le forme dei paesaggi e i destini possibili del patrimonio nel senso più ampio dei termini, e che nel progetto di suolo risiedano le potenzialità di un rinnovamento dei valori legati alle radici morfologiche, ambientali, strutturali e sociali dello spazio e delle comunità, quella che qui si intende sottolineare, alla luce delle questioni emergenti e della crisi climatica in atto, è l’evidenza di un’ulteriore esigenza, ovvero di sviluppare sperimentazioni che mettano in opera quell’indispensabile dialogo che il progetto dovrebbe oggi istituire con la terra, con gli strati di cui essa si compone, mettendo in relazione l’architettura, contestualmente, con l’archeologia e con il suolo, entrambi depositati nel suo spessore.

L’unità degli assetti

L’interrogativo su che cosa e come ereditare il patrimonio continua a rappresentare una delle questioni fondamentali del progetto contemporaneo3. Negli ultimi anni, di fronte a criticità ambientali sempre più urgenti, anche nell’ambito del progetto per i paesaggi archeologici si è raggiunta una maggiore consapevolezza che riguarda l’impossibilità di delineare interpretazioni e visioni di futuro per il patrimonio culturale senza prendere in considerazione le condizioni dell’ambiente naturale in cui esso si trova4. Le rovine non sono frammenti di archeologia, ma elementi di una scenografia ambientale più ampia, scrive infatti Carlo Tosco5.

In questo senso, accostando le definizioni di ambiente ed ottica ecologica sviluppate dall’antropologo Tim Ingold e quelle di contesto proposte

Ichnographia ed Hydrographia della Città di Napoli, 1739, Museo di San Martino. Particolare del reticolo di canali di drenaggio della piana orientale di Napoli, con rappresentazione dei resti della villa di Poggio Reale.

Paesaggi a rischio di estinzione: il sistema dei canali di acque pubbliche dell’area orientale di Napoli

Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, all’art. 142, comma 1, lett. c), individua tra le categorie di beni paesaggistici tutelati per legge «i fiumi, i torrenti, i corsi d’acqua iscritti negli elenchi previsti dal testo unico delle disposizioni di legge sulle acque ed impianti elettrici, approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, e le relative sponde o piedi degli argini per una fascia di 150 metri ciascuna», confermando quanto disposto con lungimiranza dalla legge 8 agosto 1985 n. 431. Si tratta di una componente strutturale dei paesaggi italiani di fondamentale importanza, la compiuta conoscenza e tutela della quale riveste un ruolo strategico ai fini di un’efficace pianificazione paesaggistica, ambientale ed urbanistica dei territori, tanto più alla luce dei cambiamenti climatici in corso e del connesso incremento del rischio idraulico.

Tra i paesaggi dell’acqua rientranti in tale categoria non figurano soltanto i grandi corridoi fluviali, ma anche corsi d’acqua minori e canali artificiali di contenute dimensioni, ma non per questo meno importanti. Negli ultimi anni, spesso, gli eventi alluvionali hanno colpito territori sottoposti a bonifica idraulica, terre palustri ed acquitrinose strappate all’acqua con ingegnosi progetti idraulici, in grado di sottrarre alla natura nuove terre per lo sviluppo agricolo ed industriale. Questi paesaggi storici, caratterizzati da fitte reti di canali e fossi che innervano per chilometri vaste aree planiziali, garantendone la sicurezza idraulica, sono il risultato per eccellenza «dell’azione di fattori naturali, umani e delle loro interrelazioni»1. Si tratta di paesaggi non di rado negletti e a rischio di estinzione, in quanto scarsamente percepiti e riconosciuti dalle comunità come beni di interesse pubblico, relegati in un cono d’ombra dal declino della cultura contadina e aggrediti dalla urbanizzazione incontrollata, che spesso ne ignora o ne disconosce l’indispensabile ruolo di presidio idraulico e componente paesaggistica strutturale. Anche il paesaggio della piana orientale della città di Napoli2 è storicamente connotato dalla presenza di un articolato sistema di canali di bonifica, riconosciuti con regio decreto nel 1899 come acque pubbliche, «l’uso delle quali deve essere concesso in base alla legge 10 agosto 1884, per le derivazioni di acque»3. Nello specifico, sono sette i corsi d’acqua elencati, che attraversano

Franz Ludwig Catel (attr.), Veduta di Napoli dal sepolcro di Virgilio, 1819 ca., particolare. Collezione privata.

Il paesaggio storico a rischio: per un disvelamento del territorio

Oggi tutti parlano di paesaggio e si fa di tutto un paesaggio: tant’è che si parla sempre più spesso di «onnipaesaggio»1 per assolvere questa tendenza, sempre più di moda, ma troppo riduttiva per un patrimonio culturale ben più complesso. Ricorrente, infatti, è una certa confusione tra dizioni che hanno distinti significati etimologici2, generando talvolta ambigue correlazioni con la storia dell’arte, come ad esempio avviene per i termini di veduta3 e di panorama4 – a cui è strettamente correlato uno specifico tipo architettonico, come ad esempio il belvedere, o genericamente il toponimo di bellavista, poggio o terrazza – o equivoci sincretismi, come quello dilagante di «paesaggio urbano»5. Alcune sovrapposizioni conseguono anche dalla legislazione in vigore. Queste si ripercuotono nel campo della ricerca, della tutela, della gestione e della progettazione alle diverse scale d’intervento. Intersezioni si verificano anche nell’evoluzione delle competenze professionali e nelle varie declinazioni terminologiche consolidatesi in diversi saperi, per cui il peintre paysagiste, artista specializzato in uno specifico genere della pittura e di antiche origini – poi detto vedutismo – troverebbe il suo corrispettivo nel fotografo di paesaggio6; il landscape gardener, che troviamo scritto sul biglietto da visita di Humphrey Repton, è oggi l’architetto del paesaggio; mentre con l’istituzione di Edilizia cittadina e arte dei giardini, la disciplina voluta da Marcello Piacentini all’inizio degli anni Venti del Novecento, «il verde non è più una aggiunta alla città ma ne rappresenta la premessa; la pianificazione diviene pianificazione del paesaggio; gli urbanisti invadono il campo dei paesaggisti con la forza di un mandato collettivo di carattere generale»7

Insomma, al termine “paesaggio” corrispondono diverse traduzioni nel campo dell’arte, della geografia, della sociologia, dell’economia, della filosofia, della legislazione, dell’architettura e, a sua volta, in diverse discipline che ne hanno declinato l’interpretazione, come, ad esempio nell’architettura, le competenze scientifiche della progettazione, dell’urbanistica, della storia dell’architettura, del restauro e di tante altri saperi di altrettanti saperi che ne hanno frammentato una visione unitaria, talvolta allontanandosi dal contenuto epistemologico.

In questo contributo ci si limiterà al concetto di paesaggio come storia di un territorio8. Perché una determinata parte di territorio si possa definire

IL RISCHIO IDRO -

GEOLOGICO E LE POTENZIALITÀ DEL PROGETTO

Rischio idro-geologico e progetto: itinerari e prospettive

Domenico Calcaterra

Inter-sezioni fragili. Il progetto tra segni e tempi in mutazione

Marilena Bosone

Il rischio come opportunità nel progetto di paesaggio

Isotta Cortesi

Lo spazio dell’acqua. Il progetto tra collisione e inclusione

Bruna Di Palma

Pianificazione, programmazione e azioni strategiche per la gestione delle risorse acqua e suolo: un esempio di percorso innovativo dell’osmosi tra paesaggio e dighe (Pertusillo e Monte Cotugno)

Vera Corbelli, Giuseppe Maria Grimaldi

Paesaggi multirischio e interazioni geografiche. Ripartiamo dall’acqua

Lilia Pagano, Paola Galante

I segni e i tempi in mutazione. Collage realizzato dall’autrice a partire dal progetto Breaking News: The Flooding Of The Louvre di Tezi Gabunia, Germania 2018-2020.

Inter-sezioni fragili. Il progetto tra segni e tempi in mutazione

Introduzione

La fragilità dei paesaggi contemporanei ha radici ben più profonde di un singolo evento catastrofico isolato nel tempo e struttura, al contrario, l’identità di una terra stratificata e in continua mutazione, delineandone una dimensione spazio-temporale indeterminata ma anche aperta a forme e contenuti molteplici. In quest’ottica, la condizione di fragilità è interpretata non più come una perdita della natura originaria di un paesaggio ma come dispiegamento di forze in attesa di una progettualità che restituisca spazio a ciò che oggi si palesa per lo più nell’ambito dell’eccezionalità di un evento. Ma il “vago” può essere progettato? Una possibile risposta è rintracciata nell’azione di «sviluppare quella forza e la molteplicità di strati a partire dal compito architettonico, ossia dalle condizioni che lo determinano o, appunto, lo condizionano»1. Partire, dunque, non dalle conseguenze disastrose di una fragilità ignorata nel tempo ma dalla conoscenza e interpretazione di quei segni materici che ne dispiegano le forze e la determinano. Segni e tempi diventano, pertanto, le nuove variabili che giostrano la fragile trama di relazioni tra territorio, luogo, comunità, patrimonio naturale e artificiale. La combinazione tra queste due variabili rimette in luce la densità materica mutata dal costante ribollire della terra, tracce sedimentate dal succedersi di numerose popolazioni diverse o erose dallo scorrere dell’acqua e del vento, tutte azioni corrosive ma anche costruttive di nuovi scenari se pensate nella lunga durata.

Segni, tempi e intersezioni

Il sostrato fragile dei paesaggi contemporanei è caratterizzato da segni di diversa natura: i segni tellurici e antropici, che nel tempo si sommano e generano nuove cicatrici; i segni entropici derivanti da moti di energie degradanti che agiscono sui segni sedimentati; i segni biotici lasciati sul territorio dalla vita delle comunità e dalla loro interazione con il supporto condiviso della terra2. Posti a sistema con la seconda variabile del “tempo-durata”3, tali segni mutano in strati in sedimentazione e trame in erosione. Si tratta di fenomeni trasformativi ormai radicati nel territorio italiano e non solo, dai

Central Park, Taichung, Taiwan, 2021, Catherine Mosbach Paysagiste. © Victor Chohao Wu.

Il rischio come opportunità nel progetto di paesaggio

Premessa

L’uomo è l’artefice della trasformazione del mondo che abitiamo, da quest’assunto si comprende che tutte le nostre azioni sono sempre volte a trovare soluzioni per abitare e, da questo ne traiamo vantaggio, spesso anche un cospicuo profitto. Nei millenni l’umanità ha costruito paesaggi per coltivarli, per addomesticarli per renderli più utili alla propria sopravvivenza. Così facendo ha acquisito conoscenze per intervenire sui corsi d’acqua, modificarne i tracciati per recuperare suoli fertili e, sulle montagne terrazzare i pendii per trarne i frutti anche dove i suoli erano malagevoli. Attraverso questo inesorabile processo di produzione per estrazione delle risorse, il “capitalismo estrattivo” principiato nel Neolitico, abbiamo costruito i nostri odierni paesaggi, attraverso le pratiche dell’agricoltura e dell’allevamento dando origine ad un’umanità egemone e distante dagli altri viventi.

Questo agire fondato sullo “sfruttamento” delle risorse della Terra per l’utilità degli uomini e delle donne, ha sempre compreso in sé il tema del rischio. Tuttavia, quest’atteggiamento non ha mai incluso, sino all’avvenuta consapevolezza del presente, come questo fosse vasto, interconnesso nel tempo e nello spazio con effetti distruttivi e amplificati che vanno oltre la dimensione locale della trasformazione.

Un nuovo paradigma per mutare punto di vista

E se affermassimo che i fiumi come spazi naturali non esistono e che in realtà esistevano dei territori d’acqua e gli umani hanno, nei millenni, conformato i fiumi come oggi li conosciamo in un inconsapevole progetto di paesaggio? «Separare terra e acqua non è solo un atto di allontanamento è anche un atto di creazione. Si crea terra e acqua dall’umidità onnipresente, separandole su entrambi i lati di una linea. Questo è uno dei primi atti del progetto che definisce lo spazio dove abitiamo. La linea è stata naturalizzata in elementi come la costa, l’argine del fiume e il bordo dell’acqua... Questi elementi sono soggetti a rappresentazioni artistiche, indagini scientifiche, ingegneria delle infrastrutture e progettazione del paesaggio con poca consapevolezza dell’atto che le ha poste in essere»1. Questo pensiero si offre chiaramente come

La diga del Pertusillo in Basilicata (2021). © Bruna Di Palma.
Pianificazione, programmazione e azioni strategiche per la gestione delle risorse acqua e suolo: un esempio di percorso innovativo dell’osmosi tra paesaggio e dighe (Pertusillo e Monte Cotugno)

Vera Corbelli, Giuseppe Maria Grimaldi

Il Commissario Straordinario di Governo art. 1, comma 154, L.145/2018, nella persona del Segretario Generale dell’Autorità di Bacino Distrettuale dell’Appennino Meridionale, è stato incaricato per l’efficientamento del sistema dighe (Diga di Conza, Diga di Saetta, Diga del Camastra, Diga di Acerenza, Diga di Genzano, Diga di Serra del Corvo, Adduttore AcerenzaGenzano, Diga del Pertusillo, Diga di Monte Cotugno) ricadenti nell’area di gestione E.I.P.L.I. (Puglia, Lucania e Basilicata). Tali attività:

- si inquadrano in quello che è lo scenario distrettuale ed in particolare nel Piano di Gestione delle Acque a cura dell’Autorità di Bacino Distrettuale dell’Appennino Meridionale, in base ai contenuti della Direttiva 2000/60/ CE, D.Lgs. 152/06, L.221/15;

- sono in stretta connessione con quelle programmate e poste in essere dalla Regione Basilicata, dall’E.I.P.L.I. e dagli altri Enti competenti ed interessati territorialmente;

- si inseriscono nella programmazione nazionale predisposta dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (M.I.T.).

Le specifiche azioni in capo al Commissario Straordinario di Governo rientrano nell’ambito del Piano Operativo Infrastrutture – Linea d’azione “Interventi di manutenzione straordinaria e messa in sicurezza dighe” (programmazione FSC 2014-2020), di competenza del M.I.T., la cui attuazione procede attraverso la sottoscrizione di Accordi di Programma con i soggetti beneficiari individuati. Le risorse destinate alla copertura del programma sono state assentite con le Delibere CIPE n. 54/2016 e n. 12/2018 (in attuazione della Delibera CIPE n. 25/2016 di ripartizione del “Fondo” e di approvazione del “Piano”).

In particolare, al Commissario Straordinario di Governo è demandata:

- la redazione degli studi di valutazione di vulnerabilità sismica degli sbarramenti e delle relative opere accessorie;

Giuseppe Maria Grimaldi

Mare Dentro. Le piazze d’acqua dei Campi Flegrei. Manifesto e struttura progettuale del Laboratorio di Sintesi Finale, a.a. 2023-24, CdS arc5UE, Dipartimento di Architettura, Università degli Studi di Napoli Federico II, coord. Lilia Pagano.

Paesaggi multirischio e interazioni geografiche. Ripartiamo dall’acqua*

Rischio, ambiente, paesaggio

Frane, alluvioni, allagamenti, siccità affliggono il nostro Paese con una ciclicità sempre più frequente. Il problema sicurezza è ormai avvertito come priorità contingente di fronte ad una percezione ravvicinata dei rischi naturali che mette in crisi la condizione stessa di normalità. La domanda di avanzate certezze tecnologiche per la difesa dalle calamità va di pari passo con l’evocazione di antiche culture costruttive, architetture sapienti ed usi che hanno creato e curato ‘naturalmente’ nel tempo i paesaggi del Bel Paese. Negli ultimi decenni, le politiche di mitigazione del rischio sul territorio italiano, quasi sempre dettate dall’emergenza, solo marginalmente si sono rapportate con i valori estetici, culturali e di sviluppo dei territori e delle città. Rare eccezioni riguardano l’ambito dei vincoli conservativi del patrimonio storico-artistico ufficialmente acclarato, che pur tuttavia vacillano di fronte agli eventi catastrofici. Nella pratica corrente, “sicurezza” ed “ambiente” identificano, cioè, i comuni denominatori di approcci di tipo positivistico, prevalentemente limitati a fornire immediate e omologate soluzioni tecnico-scientifiche a quadri problematici complessi, inquadrando la salvaguardia dei territori a rischio come campo quasi esclusivo di competenze ingegneristiche e geotecniche. L’architettura con il suo portato conoscitivo-progettuale resta generalmente fuori, pur rappresentando la disciplina che con le sue competenze sul paesaggio è in grado di incanalare le varie azioni necessarie alla difesa dalle calamità in scenari di mitigazione multirischio coerenti con i processi che storicamente hanno costruito, valorizzato e difeso la secolare struttura formale e produttiva dei territori italiani. La sempre più accentuata settorializzazione delle competenze specialistiche, associata a modelli globali di sviluppo capitalistico, ha spesso interrotto, ignorandola, quella sapienza costruttiva unitaria e transdisciplinare che ancora testimonia e rivela lo straordinario sostrato culturale dei diversi contesti e comunità, a partire da vocazioni, miti e potenzialità specifiche. Di conseguenza risultano sempre

* Gli autori condividono i contenuti del testo. Lilia Pagano ha curato l’impostazione scientifica e metodologica del contributo, l’editing e la sua supervisione. Paola Galante ha curato l’editing e la revisione.

IL RISCHIO SISMICO E

VULCANICO

E IL PROGETTO

PER I PAESAGGI VULNERABILI

Analisi di impatto a supporto della pianificazione di emergenza

Giulio Zuccaro, Daniela De Gregorio

Rischio sismico, vulcanico e bradisismico permanente: paesaggi vulnerabili tra rischio antropico e densificazione della Città Metropolitana di Napoli

Emma Buondonno, Filomena Nardone

Aggiutorio

La percezione del rischio. Il progetto come presidio del paesaggio vulcanico

Bruna Di Palma

La convivenza tra l’uomo e i vulcani campani

Mauro Antonio Di Vito

Scenari eruttivi e pericolosità vulcanica del Vesuvio e dei Campi Flegrei

Giovanni Macedonio

Pianificazione nazionale per il rischio vulcanico del Vesuvio e Campi Flegrei

Antonella Scalzo, Paola Pagliara, Massimo Durantini

Veduta del Rione Terra da est, 2022.

Rischio sismico, vulcanico e

bradisismico

permanente: paesaggi vulnerabili tra rischio antropico e densificazione della Città Metropolitana di Napoli

1970/2020 – Rione Terra dall’evacuazione al progetto di valorizzazione

Tra le manifestazioni più significative di fenomeni vulcanici in aree costiere densamente abitate si ricorda il bradisisma del 1970 che colpì Rione Terra, il promontorio tufaceo di circa 50 metri s.l.m. proteso nel mare e sede del primo insediamento di Dicearchia.

Il rapido sollevamento del suolo comportò l’evacuazione degli abitanti in brevissimo tempo e il loro trasferimento in aree più interne del Comune di Pozzuoli. In quell’occasione fu disposta la realizzazione del Rione Toiano con abitazioni per circa 15mila vani.

Nel 1975 si concluse il concorso di recupero del Rione Terra ma solo ultimamente si cominciano a vedere i risultati del processo di valorizzazione dell’intero complesso geomorfologico e urbano.

Sempre a seguito del concorso di architettura svolto negli anni 2000 si è completato il restauro del Tempio-Duomo e dell’insula religiosa con la sede vescovile e sono già visibili le aree archeologiche di epoca romana e anche quella precedente sannita. Molti edifici sono stati completati e attualmente sono destinati a sedi istituzionali; resta, ancora, irrisolta la scelta da parte dell’Amministrazione su quale strada intraprendere per la gestione dei locali pubblici destinati alla fruizione turistica.

Il ruolo principale del Rione Terra, tuttavia, non può ridursi semplicemente ad “albergo diffuso” con bar e ristoranti, data l’importanza che riveste per la sua storia millenaria di luogo di sedimentazione di eventi storico-archeologici e vulcanici unici al mondo.

Rione Terra è, anche, il risultato di importanti sperimentazioni scientifiche e culturali che lo hanno riguardato negli ultimi cinquant’anni, con elevate risorse pubbliche investite in ogni campo per la sua realizzazione; pertanto, come è stato notato dal Prof. Emerito Giuseppe Luongo1, potrebbe dar vita a un Centro di Eccellenza di Studi Internazionali sulle Scienze vulcanologiche e insediativo – archeologiche. Tale destinazione non confliggerebbe con

Il Vesuvio e l’urbanizzazione dell’area.

Pianificazione nazionale per il rischio vulcanico del Vesuvio e dei Campi Flegrei

Antonella Scalzo, Paola Pagliara, Massimo Durantini

La pianificazione è un’attività di sistema che coinvolge vari livelli, da quello comunale più vicino al cittadino e al territorio, a quello provinciale, regionale e nazionale. Il territorio del Vesuvio e dei Campi Flegrei è interessato da un’elevata pericolosità vulcanica, esposizione e vulnerabilità ed è dunque un territorio interessato da un elevato rischio (circa 680.000 persone vivono nella zona rossa del Vesuvio e circa 500.000 in quella dei Campi Flegrei). Ciò comporta che la pianificazione di protezione civile per quest’area debba essere di livello nazionale con il coinvolgimento di tutte le strutture operative e le componenti del Servizio nazionale della protezione civile.

La pianificazione di protezione civile per il rischio vulcanico in quest’area nasce negli anni ’80 e ’90; successivamente, sulla base degli scenari disponibili, si è arrivati all’individuazione delle nuove zone rosse e gialla per il Vesuvio e i Campi Flegrei. In particolare, la zona Rossa è l’area esposta al rischio di invasione di flussi piroclastici per la quale è prevista l’evacuazione preventiva come unica azione di salvaguardia per la popolazione; la zona Gialla è l’area, esterna alla zona Rossa, che in caso di eruzione è esposta alla significativa ricaduta di ceneri vulcaniche per la quale sono previste misure di allontanamento temporaneo della popolazione che risiede in edifici resi vulnerabili o difficilmente accessibili dall’accumulo di ceneri.

Sulla base di studi sulla pericolosità e vulnerabilità effettuati dalla comunità scientifica, nonché di valutazioni di protezione civile, sono state quindi delimitate le zone Rossa e Gialla dal Dipartimento della protezione civile, insieme alla Regione Campania e i Comuni interessati. È inoltre stata individuata la strategia complessiva per trasferire la popolazione dalle zone Rosse alle Regioni e Province autonome gemellate. I riferimenti normativi principali per le zone della pianificazione sono per il Vesuvio, la direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri (PCM) del 14 febbraio 2014 che definisce la nuova Zona Rossa e la strategia dei gemellaggi tra i comuni vesuviani e le Regioni e le Province autonome e la direttiva del PCM del 16 novembre 2015 che definisce la Zona gialla; per i Campi Flegrei, il decreto del PCM del 24 giugno 2016 delimita le Zone Rossa e Gialla, definisce il gemellaggio tra i comuni flegrei e le Regioni e Province autonome.

Scalzo, Paola Pagliara, Massimo

IL RISCHIO AMBIENTALE, L’ECOLOGIA DEL

PAESAGGIO E IL PROGETTO DI RIEQUILIBRIO DINAMICO

Soluzioni tecnologiche ed ecologia del paesaggio

Dora Francese

Renewable energy sources in the city

Benoit Beckers, Jairo Acuña Paz y Miño,

Inès de Bort

Architettura, paesaggio e responsabilità

Maurizio Conte

Materiali bioregionali contro i rischi ambientali

Paola De Joanna

Analisi dei rischi e gestione dei

siti contaminati: casi studio di fitorisanamento in Italia Meridionale

Massimo Fagnano

Le mappe di clima urbano, uno strumento efficace per il contrasto al Climate Change

Carlo Gerundo

Vertical wall systems to reduce pollution hazard

Lujain Hadba, Paulo Mendonça, Ligia Silva

Servizi ecosistemici e alterazioni in ambienti a rischio

Giulia Maisto

Rischi da inquinamento dell’aria

Ilaria Oberti

Economia circolare contro i rischi climatici

Angelica Rocco

Oltre la sostenibilità, verso un continuum natura-cultura

Marialuce Stanganelli

Vista del cono del Vesuvio dal piazzale della chiesa di San Michele (Colle S. Alfonso, Torre del Greco).

Soluzioni tecnologiche ed ecologia del paesaggio

Introduzione: prevenire il rischio al paesaggio

Oggetto di questo capitolo è costituito dalle questioni ambientali che influenzano in gran misura la qualità del paesaggio.

Il progresso e la regressione dei processi naturali, entrambi dovuti all’azione umana, si riconoscono anche semplicemente durante l’osservazione di un albero di fichi a Stromboli, come quello mostrato in figura 1: la presenza di un’alta densità del traffico stradale, permanente nei mesi estivi, ha creato una forte esposizione modificando, nel tempo, la configurazione e il livello di salubrità della pianta stessa.

Questa breve introduzione mira a comprendere come l’integrazione tra l’ecologia e le tecnologie (utilizzate da designers, progettisti, architetti, ingegneri, etc.) svolga un ruolo fondativo quale mezzo di conoscenza e valorizzazione del paesaggio.

L’intera sezione del presente saggio, Rischio ambientale, Ecologia del paesaggio e progetto dinamico equilibrato – qui introdotto – si prefigge l’obiettivo di fornire significativi spunti relativi ai più frequenti fenomeni di degrado dovuti agli impatti delle azioni umane sul mondo naturale, derivanti da diverse attività antropiche.

Eppure, il punto di vista di queste note si mostra leggermente differente dal consueto approccio al tema dell’analisi del rischio, poiché considera quali principali fattori di eventuale pericolo proprio quei fenomeni-causa che effettivamente hanno innescato e tuttora minacciano l’andamento regolare e naturale del processo.

In tempi recenti viene affrontata in modo molto serio la sfida derivante dalla conoscenza e studio sulle enormi modifiche nei fenomeni planetari dovute ai Cambiamenti Climatici, ma anche – purtroppo troppo spesso e in conseguenza di un evento catastrofico – quelle stesse modifiche che riguardano il rischio naturale, la morfologia geologica dei continenti e la relativa evoluzione.

Pertanto, da un lato i danni creati dai Cambiamenti Climatici e quelli prodotti dai disastri naturali vengono entrambi considerati come parte dello stesso ampio fenomeno; d’altro canto, viene innescato un dibattito sulle possibili soluzioni. Di solito, come accadeva nel passato nel settore della medicina, il rimedio era più o meno inteso come una terapia da somministrare “dopo” che

Antropizzazione dal Vesuvio. © Maurizio Schächter Conte.

Architettura, paesaggio e responsabilità

Premessa

La specializzazione e la complessità di competenze che caratterizzano da sempre il sapere dell’architetto, nella predisposizione del progetto e nella sua successiva realizzazione, sono andate vieppiù approfondendosi negli ultimi decenni del Novecento. L’esperienza della mia generazione, quella che si era iscritta alla Facoltà di Architettura all’alba degli anni ’70, si è andata formando in un contesto epocale che vedeva crescere quantità e qualità di norme, tecniche costruttive, nuovi materiali e tecnologie innovative, a seguito della forte espansione edilizia e della accelerazione dei processi di produzione industriale.

Al contempo in quegli anni gli studi di Aldo Rossi producevano un forte cambiamento sulla cultura urbana. L’intenso dibattito intorno alle nuove prospettive di ricerca e la conseguente densa pubblicistica attraverseranno quel decennio influenzando tante scuole di architettura.

Quelle pagine di riflessioni mirabili, oltre ad affrontare in modo originale il rapporto tra forma della città architettura e tipologie edilizie, ponevano con forza l’indispensabilità della formazione del progetto attraverso l’apporto di ulteriori nuove discipline.

Un’esigenza che è andata crescendo in questi ultimi vent’anni a fronte di processi globali di antropizzazione sempre più estesi e dissennati che hanno reso estremamente fragili territori articolati e delicati come quello italiano. Questioni non più differibili che richiedono un’elaborazione più consapevole intorno all’esito progettuale delle trasformazioni del territorio e la compresenza di più profili professionali.

Walter Gropius, spettatore e poi protagonista dei processi edilizi della città americana, nel 1943 scriveva: «L’architetto dev’essere un coordinatore, il cui compito consiste nell’unificare i molteplici problemi sociali, tecnici, economici e artistici che sorgono in relazione all’edilizia. Deve inoltre riconoscere la pressione esercitata dell’industrializzazione sui processi edilizi, ed esplorare il nuovo sistema di relazioni determinato dal progresso sociale e scientifico»1.

Mappa della temperatura alla superficie (Provincia di Napoli, 2005).
Le mappe di clima urbano, uno strumento efficace per il contrasto al

Climate Change

Introduzione

Il cambiamento climatico rappresenta un fenomeno attuale e scientificamente accertato, così come è pressoché certo che la maggior parte del riscaldamento verificatosi a partire dalla metà del XX secolo sia dovuto all’osservato aumento delle concentrazioni di gas serra a causa delle emissioni provenienti dalle attività umane1.

Secondo i rapporti internazionali, nei prossimi decenni, la regione Europea e, in particolare, l’area mediterranea dovranno far fronte ad impatti dei cambiamenti climatici particolarmente negativi i quali, combinandosi agli effetti dovuti alle pressioni antropiche sulle risorse naturali, faranno della regione del Mediterraneo una delle aree più vulnerabili d’Europa2.

L’innalzamento delle temperature medie e massime condurrà, secondo gli esperti, ad una riduzione della disponibilità di acqua e ad un aumento dei periodi di siccità, con il conseguente possibile calo della produttività agricola e la perdita di ecosistemi naturali e di biodiversità, l’incremento del fabbisogno energetico estivo e del rischio sanitario connesso3.

Per contrastare il cambiamento climatico la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici4 individuava due strategie: la mitigazione delle sue cause antropiche e l’adattamento ai suoi effetti ambientali; quest’ultima è rimasta, nella pratica, prevalentemente ancorata al dibattito scientifico, in secondo piano rispetto alla prima, essendo limitata ad una generica formulazione di indicazioni che talvolta difettano di modelli e strumenti per far sì che le stesse siano messe in pratica5.

Al fine di perseguire efficacemente l’adattamento delle città al climate change si rende necessario un ripensamento di alcuni fondamenti della disciplina urbanistica, che può avvenire solo riconoscendo il ruolo cruciale che la forma e la funzione degli insediamenti urbani ricoprono nel processo di alterazione del clima e, di conseguenza, nella determinazione della capacità adattativa delle città stesse. Risulta, ovvero, urgente e necessario definire protocolli operativi, indicatori sintetici, parametri, soglie quantitative, per consentire di affrontare, nell’ambito dei processi di governo del territorio,

Nebbia e inquinamento sulla Cina. Fonte: NASA-Earth Observatory.

Rischi da inquinamento dell’aria

Inquadramento del fenomeno inquinamento dell’aria

L’aria è composta da una miscela di gas che circonda la Terra e costituisce l’atmosfera, essenziale per lo sviluppo e la protezione della vita poiché contiene l’ossigeno e costituisce uno schermo efficace per le radiazioni ultraviolette, dannose per la salute umana. La miscela gassosa, incolore e inodore, è composta da azoto (78%), ossigeno (21%) e, in piccola parte, da anidride carbonica e da alcuni gas inerti o rari come l’argon, l’elio, lo xeno e il cripto. Quando nell’aria sono liberate sostanze chimiche, fisiche o biologiche in quantità tale da alterarne la salubrità e da rappresentare una minaccia diretta o indiretta per la salute dell’uomo, si è in presenza del fenomeno dell’inquinamento atmosferico. Queste sostanze, in genere, non sono presenti nell’aria, oppure lo sono a un livello di concentrazione basso. Gli inquinanti con le prove più solide di minaccia per la salute pubblica includono il particolato (PM2.5 e PM10), l’ozono (O3), il biossido di azoto (NO₂), l’anidride solforosa (SO₂) e il monossido di carbonio (CO)1.

L’inquinamento atmosferico può avere origine da numerose fonti di emissione, sia biogeniche, per esempio eruzioni vulcaniche, erosioni eoliche o incendi, sia antropiche. Le principali fonti derivanti dalle attività umane includono il settore energetico e quello dei trasporti, il riscaldamento domestico, le discariche, le attività industriali e l’agricoltura, con differenze significative dal punto di vista geografico. Le attività che si basano sui processi di combustione, in particolare quelle che utilizzano combustibili fossili e biomasse per generare energia, sono le principali responsabili del peggioramento della salubrità dell’aria2. Da entrambe le tipologie di fonti vengono immesse nell’ambiente sia sostanze estranee ad esso, sia sostanze più comuni, ma in quantità tali da superare la capacità di demolizione, decomposizione e assorbimento da parte di quell’ambiente. È il caso dell’eutrofizzazione negli ambienti acquatici, della produzione dello smog, dell’eccesso di produzione di anidride carbonica causa dell’effetto serra.

Gli inquinanti atmosferici possono anche essere classificati in primari cioè liberati nell’ambiente come tali, è il caso del biossido di zolfo e del monossido di azoto, e secondari che si formano in seguito nell’atmosfera attraverso reazioni chimico-fisiche, come l’ozono. Liberati nell’atmosfera, gli inquinanti si disperdono e possono trasformarsi chimicamente; per questa ragione la loro concentrazione in aria varia nel tempo e nello spazio.

Bosco Verticale + Sustainable Dystopias Copenhagen Louisiana (fonte: https://www.stefanoboeriarchitetti.net/ notizie/10539/).

Economia circolare contro i rischi climatici

Introduzione

«Il modello del lichene potrebbe essere simbolico per l’uomo. Fino ad oggi l’uomo è vissuto come parassita del suo ambiente autotrofo […] Gli agglomerati urbani si accrescono e diventano parassiti della campagna circostante, che deve fornire cibo, acqua e aria e deve degradare enormi quantità di rifiuti […] se l’uomo non impara a vivere mutualisticamente con la natura, allora, proprio come un parassita malaccorto o inadatto, sfrutterà il suo ospite fino a distruggere sé stesso»1.

Si stima che l’aumento della popolazione mondiale, nel 2050 potrebbe superare i nove miliardi di individui; tale fenomeno è accompagnato da quello dei consumi e non riguarderà più solo i Paesi dell’area OCSE (Stati Uniti, Canada, Europa, Giappone, Australia e Nuova Zelanda) ma un toccherà oltre un miliardo di persone provenienti dai Paesi di recente industrializzazione (Cina, India, Malesia, Indonesia).

Il nostro pianeta si compone di circa 51 miliardi di ettari dei quali, solo 15 miliardi, rappresentano la terra emersa; di queste ultime, solo il 10% sono aree coltivabili, il 23% sono aree adibite a pascolo e allevamento, il 33% rappresenta aree boschive e foreste, il 32% sono suoli ghiacciati e rocciosi, deserti, tundre, laghi, fiumi. L’uomo, con la sua presenza, ha modificato il 35% della superficie di terra emersa rendendo visibile il proprio intervento edificandone 0,3 miliardi di ettari. La quantità di terra disponibile per la specie umana è una quantità finita e, di contro, la produttività legata all’intervento umano è limitata, di conseguenza, questo porta ad una diseguaglianza nella distribuzione delle risorse con paesi che si fanno carico ingiustamente della capacità bio-produttiva di paesi in via di sviluppo2.

Il dibattito scientifico converge sul fatto che la sostenibilità dipende dal mantenimento del capitale naturale.

Nel 1997, l’ecologo M. Wackernagel, utilizzando il modello (EF)/(ACC), calcola l’impronta ecologica 52 paesi scegliendo come caso studio l’Italia e dimostra che le risorse e il consumo di energia sono rapportate alla capacità ecologica disponibile nel paese stesso. Ad esempio, per un singolo prodotto3.

Impronta ecologica prodotto X= (Produzione prodotto X +Import prodotto X −Export prodotto X) / Rendimento prodotto X.

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