Biophilia

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INDICE

1

Presentazioni

Riccardo Marchesan

Manuela Tomadin

Giuseppina Scavuzzo

Introduzione

Biophilia. Umano, natura, salute. Alcune note a margine di un percorso di progetto

Esplorare il campo

Biofilia, tra cura e abitare, per una manutenzione del vivente

Sara Basso

Biofilia. Uomo, habitat e natura: amare casa

Adriano Venudo

Biofilia e città. Ripartire dalle “capitali verdi”

Alessandra Marin

Affondi. Il luogo: un contesto di indagine

Una lettura d'area vasta

Un “territorio-hub”

Una molteplicità di risorse

Percorsi progettuali

Biofilia in 4 atelier. Ipotesi di struttura urbana

Abitare ambienti urbani. Nuove atmosfere

Lola Domènech

Atelier Lola Domènech

Staranzano, Staranzano, Staranzano… Diario per raccogliere-guardare-vedere-osservarecostruire

AOUMM / Luca Astorri, Matteo Poli

Atelier Argot Ou La Maison Mobile

Luca Astorri, Matteo Poli

Biofilia e geopoetica

Pablo Georgieff

Michel’albero

Pablo Georgieff

Atelier Coloco

Pablo Georgieff, Miguel Georgieff

Storytelling. Raccontare la natura

Thomas Bisiani

Atelier Thomas Bisiani

Apparati

Riccardo Marchesan

Sindaco del Comune di Staranzano

Da sempre sensibile alle istanze culturali, ambientali ed economiche del territorio espresse dai suoi cittadini, anche attraverso varie forme di associazionismo che caratterizzano fortemente l’identità dei suoi abitanti, il Comune di Staranzano si è sentito onorato di avere accolto i lavori promossi da un’importante istituzione come l’Università degli Studi di Trieste e grato per il ruolo che ha avuto come coadiutore in un’iniziativa così qualificata. In qualità di portavoce della Comunità staranzanese, mi preme sottolineare l’importanza dell’incontro e della collaborazione tra università e territorio. Questo workshop, che ha coinvolto professionisti di fama internazionale, docenti dell’università, studentesse e studenti, abitanti e noi amministratori, è stata una proficua esperienza e auspichiamo che tale sinergia perduri per poter valorizzare, al fine di tutelare, l’ambiente in cui viviamo. Educazione e cultura sono da sempre il motore trainante delle scelte delle amministrazioni comunali che si sono succedute nel tempo a Staranzano.

Per fare un esempio, l’Isola della Cona, oggi oasi faunistica, un tempo è stata luogo destinato principalmente al settore primario. La sua trasformazione ha coinvolto professionisti ed esperti dell’ambiente; la scelta di promuoverne la tutela, istituendo la riserva della Foce dell’Isonzo alla fine degli anni Novanta del secolo scorso, ha di molto anticipato l’attuale tendenza di riconversione del territorio, secondo una visione che pone al centro delle trasformazioni attuali e future non solo l’umano, ma anche la natura e la salute di tutti gli esseri viventi, compresi piante e animali, nel rispetto della loro tipicità e diversità.

L’importanza della riserva è ampiamente riconosciuta. Oasi naturalistica d’interesse regionale e nazionale, è oggi meta di un turismo sostenibile dalle varie regioni italiane e dai paesi nostri confinanti, un turismo che garantisce un indotto economico che permette di tutelare e valorizzare adeguatamente questo importante sito. La complessità ecologica degli ambienti che la contraddistinguono, inoltre, pone l’Isola della Cona al centro di molteplici attività di studio finalizzate all’osservazione dell’avifauna e della qualità delle acque.

La comunità e il territorio di Staranzano vivono da sempre nel rispetto dell’ambiente, anche se le condizioni storiche ed economiche che si sono avvicendate nel tempo lo hanno trasformato, modificando spazi e risorse economiche. L’originaria vocazione agricola ha portato nel tempo ad una maggiore presenza di attività artigianali, industriali e dei servizi. La conseguenza inevitabile è stata la trasformazione degli insediamenti, che da rurali si sono trasformati in urbani e cittadini, e della viabilità, la cui percorribilità è diventata più organizzata, dinamica e complessa.

Per questo motivo lo studio del territorio nel rispetto dei suoi molteplici aspetti, che si ponga l’obiettivo di rendere la nostra realtà un esempio di vivibilità virtuosa immaginandone trasformazioni coerenti con i valori della comunità, ci preme particolarmente e accogliamo con interesse tutte le iniziative e le attività che ci aiutano a raggiungere questo traguardo.

1 ESPLORARE IL CAMPO

L’oggetto delle mie riflessioni può essere riassunto in una sola parola, biofilia, che avrò l’audacia di definire come la tendenza innata a concentrare il proprio interesse sulla vita e sui processi vitali. […] Fin dall’infanzia, con animo felice, noi concentriamo la nostra attenzione su noi stessi e sugli altri organismi. Apprendiamo a distinguere la vita dal mondo inanimato e a dirigerci verso di essa come una farfalla attratta dalla luce di una veranda. […] Tutto ciò ha un’evidenza immediata, ma ci sono tante altre cose da aggiungere. Io intendo sostenere la tesi che esplorare la vita e capire che ne facciamo parte costituisce un processo profondo e complesso nel corso dell’evoluzione mentale. […] La biologia moderna ha prodotto un modo genuinamente nuovo di considerare il mondo, casualmente congeniale alla direzione interna della biofilia. In altri termini, è questo un raro caso in cui l’istinto è schierato dalla parte della ragione. La conclusione che ne traggo è ottimistica: nella misura in cui riusciremo a comprendere gli altri organismi – in cui daremo loro un maggior valore – lo daremo anche alle nostre vite.

E.O. Wilson, Biofilia, 2021 (ed. or. 1984)

Biofilia. Uomo, habitat e natura: amare casa

Fotogrammi dal film Koyaanisqatsi, di Godfrey Reggio, 1982.

Koyaanisqatsi e il paradosso della biofilia

Koyaanisqatsi è una parola che nella lingua amerindia hopi significa “vita in tumulto”, oppure “vita folle, vita tumultuosa, vita in disintegrazione, vita squilibrata, condizione che richiede un altro stile di vita”. Koyaanisqatsi è anche il titolo di un film di Godfrey Reggio del 1982, il primo di una trilogia1 che tratta del rapporto uomo – natura con una riflessione critica sull’impatto dell’evoluzione della civiltà sulla Terra.

Il concetto di biofilia, applicato alla società e all’ambiente in cui vive l’uomo, l’habitat, è molto giovane, anche se la parola è antica, infatti il termine viene utilizzato per la prima volta per descrivere l’evoluzione delle specie e degli insediamenti umani in un articolo2 di Edward O. Wilson del 1979.

Ritornando al film, quella di Reggio è forse la prima vera critica pubblica alle “pratiche” scellerate, allo stile di vita dell’uomo contemporaneo e all’evoluzione urbana della civiltà. Reggio ci racconta come il progresso e la ricerca di un habitat migliore stiano uccidendo la casa stessa dell’uomo, la Terra.

Il film non ha una vera e propria trama, non è forse definibile neanche come un vero e proprio film. È un lungometraggio che affronta per la prima volta il grande tema della biofilia. L’esposizione della tesi sulla biofilia avviene però al contrario. Il film parte mettendo subito in scena gli effetti negativi dell’evoluzione umana, il paradosso della ricerca ossessiva del progresso. Un progresso che però si rivela necrofiliaco.

La drammaticità del paradosso è accentuata dalla colonna sonora di Philippe Glass la quale, con un ritmo incalzante e mono-tono, infonde fin da subito nello spettatore uno stato d’ansia crescente, fino a diventare asfissiante. La parola Koyaanisqatsi viene ripetuta ossessivamente come una formula magica, una profezia, un mantra. Il processo eterno della natura, per millenni in equilibrio, è interrotto dall’apparizione di un motore. Il motore, la macchina come mostro distruttore, il monstrum, che viene “mostrato” prima ancora della figura umana. Compare come simbolo, come mecanofilia, ma è un ossimoro perché è contemporaneamente origine di costruzione e causa di distruzione. È così che all’interno del film viene presentato il genere umano, creatore della macchina, simbolo di benessere, ma anche della contaminazione dell’equilibrio perfetto della natura, quieto ed immutabile, biofiliaco. Mecanofilia versus biofilia. Poi cambia anche la musica, il ritmo cresce. Aumentano i bpm che scandiscono la sfilata

1. La trilogia Qatsi di Godfrey Reggio è composta da Koyaanisqatsi (1982), Powaqqatsi (1988) e Naqoiqatsi (2002).

2. Biofilia è un termine utilizzato per la prima volta da Edward O. Wilson in una rivista del 1979: “New York Times Book Review”, 14 gennaio 1979, p. 43.

2 AFFONDI

IL LUOGO: UN CONTESTO

DI INDAGINE

Lanatura va padroneggiata, ma (speriamo) mai del tutto. Siamo preda di una tranquilla passione che mira a darci non già la padronanza assoluta, ma la sensazione di un progresso costante.

E.O. Wilson, Biofilia, 2021 (ed. or. 1984)

Una lettura d’area vasta

Staranzano è un piccolo centro (7.266 abitanti al 31 dicembre 2020) della provincia di Gorizia, parte di una più ampia conurbazione che comprende i vicini comuni di Monfalcone e Ronchi dei Legionari. I tre centri formano quella che già negli anni ’70 l’urbanista Luigi Piccinato definì una “città tripolare”: un sistema complesso contraddistinto da un’urbanizzazione sviluppata con continuità nel territorio, inglobando ampie aree aperte e segnata dalla presenza di importanti infrastrutture, come l’aeroporto di Ronchi dei Legionari e il porto di Monfalcone, la linea ferroviaria Venezia-Trieste, l’autostrada A4/E70 e una fitta rete di strade statali e provinciali.

La città tripolare a sua volta appartiene alla più ampia “Città Mandamento”, entità amministrativa formata, oltre che dai tre comuni contermini, dai comuni di Doberdò del Lago, Fogliano Redipuglia, Sagrado, San Pier d’Isonzo e Turriacco. La Città Mandamento identifica il territorio delimitato dal Carso e dal fiume Isonzo e contraddistinto da una ricca presenza di risorse paesaggistiche e ambientali.

Collocare Staranzano all’interno della città tripolare e della Città Mandamento aiuta a leggerne l’appartenenza ad un sistema territorio metropolitano che si pone alla scala ampia come cerniera, o ponte, tra realtà storicamente caratterizzate per vocazioni (economiche in primis) differenti e complementari, ovvero tra il territorio giuliano (formato da Trieste e parte della provincia di Gorizia) e quello friulano (Udine e Pordenone).

3 PERCORSI PROGETTUALI

Latendenza che io chiamo biofilia risulta con tanta evidenza della vita di tutti i giorni ed è così ampiamente diffusa da meritare seria attenzione.

Essa si manifesta in fantasie e in risposte prevedibili che si riscontrano negli individui dall’infanzia in poi e riaffiora di continuo in certi schemi culturali che si ripetono in quasi tutte le società, con una regolarità che è stata spesso notata nella letteratura antropologica. Questo tipo di processi sembra far parte di programmi del cervello; ciò che li contraddistingue è la rapidità e la sicurezza con cui apprendiamo determinate cose riguardanti tipi di piante o di animali. È un fatto che si ripete troppo spesso perché lo si possa liquidare come risultato di eventi puramente storici che si siano impressi su una lavagna mentale vuota.

E.O. Wilson, Biofilia, 2021 (ed. or. 1984)

Lola Domènech

Abitare ambienti urbani. Nuove atmosfere

Immagini del progetto per il Passeig de St Joan, Barcelona, 2010-2014 (Lola Domènech).

«Gli architetti hanno la duplice responsabilità di migliorare la qualità della vita delle persone e di qualificare il nostro contesto architettonico e urbano».

In occasione del workshop WIP 2020 tenutosi nel mese di settembre 2020 a Gorizia presso il Corso di Studi in Architettura dell’Università degli Studi di Trieste, il presente testo vuole essere una breve riflessione su come affrontare un progetto architettonico, urbano o paesaggistico nel nostro contesto attuale.

Il nuovo paradigma del XXI secolo

È evidente che viviamo in un momento in cui si sta valutando un importante cambio di paradigma. I valori, i criteri o i punti di partenza di qualsiasi progetto proposto nel secolo scorso sono attualmente insufficienti. I meccanismi e i parametri della progettazione architettonica e urbana sono cambiati radicalmente negli ultimi anni e hanno accelerato processi e idee già latenti in molti studi di architettura dediti alla continua ricerca di nuove proposte.

Mi interessa in particolare ricordare il concetto su cui insiste costantemente l’architetto Josep Lluís Sert ovvero che «L’uomo non ha alcun desiderio di stare al mondo. Quello che è determinato a fare è stare bene. L’uomo è un animale per il quale è necessario solo il superfluo» (Lopez, 2020).

Le nostre città e gli ambienti urbani sono stati spesso progettati pensando al superfluo.

Fino a poco tempo fa, gran parte dei progetti pubblici erano valutati sostanzialmente in termini di funzionalità, economia e manutenzione minima. Attualmente, tutti questi valori devono essere accompagnati da quelli che un tempo erano considerati superflui e che ora ricoprono un ruolo da protagonista. La preoccupazione per le problematiche ambientali su scala territoriale e globale, i cambiamenti climatici, l’uso delle risorse naturali, l’impronta ecologica, la gestione dei rifiuti, l’efficienza energetica, l’integrazione nel contesto, l’impatto ambientale, l’economia di prossimità e l’economia circolare, il riutilizzo dei materiali, la resilienza degli edifici e degli spazi urbani, la manutenzione minima e i processi di partecipazione dei cittadini sono alcuni degli aspetti latenti nella concezione dei nuovi progetti del XXI secolo.

Tutti questi nuovi parametri possono essere affrontati con un progetto architettonico e urbano che incorpori una progettazione sostenibile basata sull’architettura passiva, l’eco-design, l’integrazione dell’ecologia, l’uso di energie e materiali rinnovabili, l’ottimizzazione delle risorse e il rispetto dell’ambiente.

Bisogna però essere anche critici e analitici con alcuni di questi termini, evitandone la banalizzazione, al fine di non cadere in false proposte di sostenibilità che hanno portato a progetti piuttosto dubbi e discutibili. Per questo il processo progettuale

Atelier Lola DomÈnech

Studenti dell’atelier

Emil Azzani, Alberto Benci, Vittoria Parlati, Sara Rimbaldo, Francesco Colla, Matteo Antonini, Liliana D’onofrio, Daniele Kumaraku, Thomas Linternone, Giulia Piacente, Alessandro De Cesaris, Elsa Favento, Marco Bohinec, Giulia Ceciliot, Enrico Sgurbissa, Mariana Godina, Stephanie Bartoli, Vladyslav Moskal, Simone Biasiol, Isabella Leiter, Samuele Pengue, Giorgia Bassanese, Vittoria Tonino, Giò Fontana.

Atelier Argot Ou La Maison Mobile

Luca Astorri, Matteo Poli

Studenti dell’atelier

Yuliya Furiv, Annamaria Spezzigu, Michela Piccinelli, Erik Horvàth, Elisa Sandrin, Micole Tricarico, Giulia Toscano, Carla Čupić Karen Traficante, Emmanuella Attakora Duah, Valentina Esposito, Alessia Giacomini, Simone Lacorte, Ivan Vinciguerra, Martina Gasparini, Francesco Di Marco, Beatrix Molnár, Laura, Fornasier, Emanuele Terlati, Elisa Mariotti, Laura Brun, Enea Kalčić, Alessia Visintin, Gabriele Cottiga.

atelier COLOCO

Pablo Georgieff, Miguel Georgieff

Studenti dell’atelier

Victoria Boljesic, Sofia Rimicci, Alessia Rugliano, Arianna Doro, Caterina Dijust, Alessandro Caruzzi, Marta Grimolizzi, Davide Tomasin, Marija Pertot, Guglielmo Pozzi, Elisa Altieri, Jacopo Marangoni, Kevin Visentin, Raffaele Altran, Gabriele Mocchiutti, Carla Furlani, Diana Bojaj, Giada Furlan, Yvonne Miniussi, Anna Caporali, Raffaella Terracciano, Fiorella Barillaro, Manuel Milone, Elisabetta Nascig.

È il Bobolar il simbolo da cui si immagina un ripensamento degli spazi centrali di Staranzano. L’albero attorno a cui, da sempre, si ritrova la comunità, diventa il luogo da cui ripartire per il ridisegno della piazza centrale. Quello che si propone è un radicale cambio di prospettiva, un ribaltamento dello sguardo: abbandonata la materialità degli elementi artificiali che oggi

connotano questo luogo centrale, e che in passato hanno limitato e condizionato la vita dello stesso albero, la piazza può ora divenire espressione di nuove forme di naturalità.

L’immagine del Bobolar malato e morente offre la rappresentazione di una natura che, esaurito il suo ciclo, accoglie simbolicamente l’abbraccio della comunità.

Thomas Bisiani

Storytelling. Raccontare la natura

Biosfera

Se la disciplina architettonica riconosce le sue origini nel trattato vitruviano, in ambito naturalistico sono gli “erbari” di epoca classica il primo riferimento scientifico cui rifarsi. Un parallelismo scontato, a meno però di un dettaglio significativo. I testi classici non contenevano immagini. Nel suo saggio All’origine dell’illustrazione botanica, Augusto Pirola evidenzia questo aspetto indicando come il primo trattato illustrato sia il De materia medica di Dioscoride, ma solo a partire dalla versione miniata del VI secolo. Per mille anni ne furono fatte molte copie, ma dice Pirola «spesso con errori» (Pirola, 2018; 12).

Il motivo per cui architettura e natura disegnata compaiono nelle biblioteche solo dopo il XVI secolo è legato alla natura stessa dei libri. Fino al 1450 i libri venivano prodotti negli scriptoria, attraverso la dettatura. Un testo può essere dettato con efficacia a più amanuensi contemporaneamente, un disegno no. Grazie alla stampa e alle incisioni su legno, invece, nella seconda metà del Quattrocento diventa finalmente possibile riprodurre in quantità copie identiche di una stessa immagine senza la perdita di informazioni, o peggio, la propagazione di errori, dovuti alla mancanza di osservazione diretta del soggetto (Carpo, 1998; 2127). Raccontare la natura, come raccontare l’architettura, quindi non è stato sempre così facile.

Come dice Franco Purini «Per sapere cosa è un albero non c’è altro modo che disegnarlo, scoprendo la sua architettura, ovvero come il tronco è ancorato dalle radici, come da esso nascano i rami, come è strutturata una foglia, in sintesi come l’albero si configura in quanto entità in cui tutte le parti costituiscono un organismo unitario» (Purini, 2020; 28), ad un architetto dunque potrebbe bastare il disegno per raccontare la natura, come il monumentale atlante de L’architettura degli alberi di Cesare Leonardi e Franca Stagi dimostra.

Tuttavia, metodologicamente, vale la pena di esplorare altri mondi, perché l’architetto nel suo processo affronta sempre una fase divergente in cui individua e valuta possibilità alternative. L’altro grande campo disciplinare per un architetto riguarda la nozione di natura mediata attraverso il concetto di paesaggio. Adriano Venudo individua una duplice origine del termine1. Quella che in questo contesto ha un significato più diretto è la parola germanica landshaft che rimanda ad una dimensione fortemente percettiva, legata al primato della vista come senso, «ma anche al racconto dell’esperienza dell’uomo sul territorio» (Venudo, 2020; 51).

1. Si veda Venudo, 2020, in particolare il capitolo Paesaggio, pp. 50-57.

Atelier THOMAS BISIANI

Studenti dell’atelier

Emma Donadon, Carlotta Zagaria, Sara Cantarutti, Gabriella Bakovic, Emmanuel Batista Delgado, Alberto Bernardis, Matilda Sain, Maherhaj Houssein, Paola Cascioli, Camilla Montina, Sara Zuppin, Marco Marussi.

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