CENTO ANNI DI FUTURO. La facoltà di Architettura di Roma
Cento anni di futuro
Nota degli autori
Auguri per un nuovo inizio
Orazio Carpenzano
Un secolo di Architettura
Franco Purini
La Scuola Superiore di Architettura e la Facoltà di Architettura
1919 | 1942
Bartolomeo Azzaro
La Storia interrotta
1943 | 1962
Lucio Valerio Barbera
L’Università di massa e le sue contraddizioni
1963 | 1980
Piero Ostilio Rossi
Due decenni di insegnamento dell’architettura
tra leggi e decreti
1980 | 2000
Francesco Paolo Fiore
Dalla suddivisione della Facoltà alla riunificazione
2000 | 2020
Anna Irene Del Monaco, Dina Nencini
NOTA DEGLI AUTORI
Cento anni di futuro
Nell’autunno del 2015, su proposta di Renato Guarini, allora Presidente della Fondazione Roma Sapienza e Rettore dell’Ateneo dal 2004 al 2008, fu convocata una riunione per presentare il progetto Storia della Sapienza, Università di Roma. Si trattava di un programma di ricerca e di un impegno editoriale di grande rilievo che furono avviati in vista delle celebrazioni degli ottant’anni della realizzazione della città Universitaria (1935-2015), per le quali erano previste numerose e importanti iniziative. Dal punto di vista cronologico, la Storia si sarebbe direttamente collegata al volume di Nicola Spano L’Università di Roma che fu pubblicato proprio nel 1935, in occasione del trasferimento della Sapienza dal centro storico alla nuova sede. Nella riunione, che si svolse alla presenza del Rettore Eugenio Gaudio, il progetto fu illustrato in maniera puntuale. Esso prevedeva la redazione di tre diversi volumi, il primo dedicato ai temi generali che hanno caratterizzato il periodo preso in esame, il secondo al profilo storico e all’evoluzione dell’attività didattica e scientifica delle sedici Facoltà (in realtà, quattordici Facoltà e due Scuole), in cui era tradizionalmente articolata la Sapienza prima della legge Gelmini del 2010. Il terzo volume comprendeva invece una serie di saggi monografici che approfondivano alcuni argomenti specifici relativi alle strutture fisiche dell’Ateneo, alla popolazione studentesca, ai musei, alle biblioteche e alle iniziative culturali della Sapienza.
In quell’occasione fu presentato anche il comitato che avrebbe curato la redazione dell’opera e furono individuati i referenti che, per ciascuna Facoltà, avrebbero dovuto provvedere a definire i contenuti dei singoli capitoli del secondo volume. Per la Facoltà di Architettura vennero indicati Franco Purini e Piero Ostilio Rossi. Ai due docenti, il primo Professore Emerito di Composizione architettonica e urbana, il secondo, anche egli professore della stessa materia allora Direttore del DiAP (Dipartimento di Architettura e Progetto) fu poi aggiunto Bartolomeo Azzaro che però, nominato poco tempo dopo dal Rettore Eugenio Gaudio Coordinatore del Comitato Organizzatore delle celebrazioni, dovette rinunciare all’incarico.
Nei mesi successivi fu definito il piano strutturale, i contenuti generali del lavoro e un primo indice di quello che sarebbe divenuto uno dei capitoli della Storia della Sapienza negli anni compresi tra il 1935 e l’inizio degli anni Dieci del Duemila. Franco Purini e Piero Ostilio Rossi chiamarono a redigere assieme a loro singole parti della ricerca Lucio Valerio Barbera, Francesco Paolo Fiore, Anna Irene Del Monaco e Dina Nencini, oltre allo stesso Bartolomeo Azzaro che nel frattempo aveva portato a termine il suo
Quando nel 2016 ho assunto la direzione del Dipartimento di Architettura e Progetto della Sapienza ero a conoscenza dello studio che alcuni docenti del Dipartimento di Architettura e Progetto e del Dipartimento di Storia, Disegno e Restauro dell’Architettura, avevano intrapreso nell’ambito di un complesso programma di Ateneo che prevedeva la pubblicazione di alcuni volumi dedicati alla Storia della Sapienza e delle sue Facoltà. Ne ho seguito con interesse gli sviluppi e le difficoltà che hanno poi portato all’annullamento dell’iniziativa da parte dell’Ateneo. Sapevo, però, che lo studio non era stato interrotto e quando, quattro anni dopo, sono stato eletto Preside della Facoltà di Architettura, subentrando ad Anna Maria Giovenale, ho trovato del tutto naturale che una ricerca di così ampio respiro, densa di spunti, di approfondimenti e di interpretazioni, fosse sostenuta dalla Facoltà e inserita nel programma delle celebrazioni per i 100 anni dalla sua istituzione che si sono aperte nell’ottobre del 2020, appena la pandemia di Covid-19 ha reso possibile organizzare manifestazioni in presenza. Questo, in pieno accordo prima con il Rettore Eugenio Gaudio e poi con la Rettrice Antonella Polimeni. Ho accolto quindi con molto interesse e altrettanto piacere l’invito ad inserire anche un mio contributo tra i saggi che compongono questo libro al quale non ho voluto dare il carattere di una presentazione, ma quello di una riflessione sui caratteri fondativi e sui possibili sviluppi futuri della Facoltà e del nostro campo di studi. L’attento lavoro di analisi, di ricostruzione e di interpretazione di fenomeni e di avvenimenti che sono ormai lontani nel tempo oppure così vicini da sconfinare nella cronaca e sfuggire quindi ad un’agevole sistematizzazione, fa di questo studio un sicuro punto di riferimento per tutti coloro che intendono approfondire le vicende – complesse, contraddittorie e talvolta drammatiche – che hanno caratterizzato i primi 100 anni di vita della Facoltà per guardare con consapevolezza e spirito critico ad un futuro prossimo che, anche per l’insieme dei nostri saperi, si preannuncia denso di cambiamenti e di trasformazioni.
La Facoltà di Architettura di Roma
O. C.
Consegna agli studenti dello spazio autocostruito del cortile interno della sede di Valle Giulia dopo il workshop coordinato dal collettivo Orizzontale. credits AIM
AUGURI PER UN NUOVO INIZIO
ORAZIO CARPENZANO
uesto volume prende le mosse nel contesto delle diverse iniziative avviate dalla Fondazione Sapienza per le celebrazioni degli 80 anni della Città Universitaria (20152018), in occasione delle quali fu costituito un gruppo di lavoro nella Facoltà di Architettura che ha portato a conclusione l’opera per la ricorrenza del centenario dell’avvio dei corsi dei suoi corsi di studio.
Avendo seguito la gestazione e l’elaborazione delle ricerche che hanno portato alla stesura dei testi durante il mio mandato di Direttore del Dipartimento di Architettura e Progetto ed avendo seguito direttamente la fase conclusiva della redazione del volume durante il mio mandato di Preside della Facoltà di Architettura della Sapienza, ritengo di avere l’obbligo, a nome di tutta la Facoltà, di ringraziare gli autori Franco Purini, Bartolomeo Azzaro, Lucio Barbera, Piero Ostilio Rossi, Francesco Paolo Fiore, Anna Irene Del Monaco, Dina Nencini che hanno contribuito a costruire queste belle pagine e tutti coloro che si sono resi disponibili ad interloquire con loro, consentendoci di comporre una vicenda fatta di molte storie individuali che si intrecciano con una storia più ampia, lunga un secolo, cioè quella della Facoltà, dei suoi allievi, dei suoi docenti, nel suo Ateneo e nella sua città.
Fra le molte iniziative editoriali degli anni più recenti, questo libro tenta inoltre di aggiornare e completare la ricognizione promossa dalla Facoltà alla fine degli anni Novanta, pubblicata nel 2001 a cura di Vittorio Franchetti Pardo, La Facoltà di Architettura dell’Università di Roma “La Sapienza”1, impostata prevalentemente sull’analisi specifica delle discipline, facendo emergere le personalità accademiche che ne segnarono gli ambiti, radicandoli nella didattica e negli studi della Scuola dal tempo della sua fondazione agli anni Settanta, quando non di rado accadeva che docenti di Composizione architettonica, potessero anche tenere corsi di Disegno e rilievo e di Urbanistica, intesi come saperi unici e complessi interpretati da diverse personalità che avevano come unico fine insegnare a progettare l’architettura e la città.
Bisogna, invece, andare molto indietro nel tempo per trovare rassegne di una certa rilevanza, come la raccolta curata da Luigi Vagnetti nell’anno accademico 1954-55, dal titolo La Facoltà di Architettura di Roma nel suo trentacinquesimo anno di vita2, che si era posta l’obiettivo di fare un bilancio complessivo dell’attività didattica svolta nella Facoltà e registrare, più in generale e con uno sguardo largo, gli esiti dei primi decenni, quando la Scuola era stata retta proprio dalla generazione dei fondatori.
Orazio Carpenzano
La Facoltà di Architettura di Roma
Foto di gruppo di alcuni dei docenti della Facoltà di Architettura nel giorno dell’inaugurazione della mostra per i 100 anni della Facoltà, ottobre 2020.
Da sinistra in prima fila Luca Ribichini, Renato Masiani, Carlo Bianchini, Giuseppe Ciccarone, Antonella Polimeni, Orazio Carpenzano, Laura Ricci, Stefano Catucci.
Foto di gruppo di alcuni dei docenti firmatari del diploma d’onore donato a Giovannoni il giorno di inaugurazione della nuova sede della Facoltà di Architettura (23 novembre 1932) a Valle Giulia. Al centro, arretrato, Gustavo Giovannoni. In basso a sinistra Vincenzo Fasolo; a destra, secondo dal basso, Marcello Piacentini; alla destra di Giovannoni, più in alto, Enrico Del Debbio (Crevato-Selvaggi 2011, foto 1.1.D., p. 56).
Cento anni di futuro
Nelle prime pagine del volume, infatti, c’è un breve paragrafo a firma del Consiglio di Facoltà in cui si riporta che la stampa del volume segue l’anno in cui «Marcello Piacentini e Arnaldo Foschini hanno compiuto rispettivamente il triennio di presidenza ed il quarantennio dell’insegnamento e Vincenzo Fasolo, oggi Preside, lascia quest’anno l’insegnamento attivo». Una sorta di resoconto, alla fine di una sessione temporale importante, forse per poter restituire, con una certa distanza critica, una valutazione complessiva del lavoro svolto e l’inizio di un nuovo tempo.
Ma fra gli scaffali della Biblioteca centrale della nostra Facoltà, una delle più importanti d’Italia per gli studiosi di architettura di tutto il mondo – un patrimonio che speriamo presto di valorizzare e che richiederà sempre di più la nostra cura e attenzione – troviamo un interessante resoconto del 1932 pubblicato in occasione dell’apertura della sede di Valle Giulia dal Pro Direttore Gustavo Giovannoni intitolato La Scuola di Architettura di Roma3 .
Questo volumetto viene menzionato anche nella presentazione, firmata da Vincenzo Fasolo, a quello curato da Vagnetti nel 1954 dove si legge che la raccolta «rendeva conto dell’ordinamento didattico e documentava i risultati dell’insegnamento con la presentazione di vari elaborati grafici dei giovani allievi, per ciascun corso. Quadro quanto mai persuasivo anche a guardarlo a distanza perché si rivelava unitario grazie alla coerenza e alla concordanza dei corsi, diversi, ma tuttavia convergenti […]»4.
A dimostrazione che spesso non sono le alchimie disciplinari a costruire un buon profilo formativo, ma la coerenza di insieme del percorso formativo. Le pagine scritte negli anni Trenta dimostrano, inoltre, quanto fosse urgente a quel tempo la necessità di affermare il ruolo dell’architettura rispetto alle altre discipline affini, e soprattutto rispetto alla società civile, per l’individuazione di uno “stile” in grado di interpretare i valori della civitas di un’intera nazione. Istanze mai del tutto stemperate nei decenni a venire e che risultano irrisolte ancora nel nostro tempo.
Scrive, infatti, Giovannoni: «L’Architetto del nostro tempo che sia degno di tal nome non può più adagiarsi in un lavoro di routine professionale, ma deve in ogni edificio che abbia un qualche significato risolvere un gravissimo problema di estetica, valendosi di tutte le risorse dei mezzi costruttivi e dominandoli, piuttosto che esserne dominato; e deve inquadrare la sua concezione nella città che gli fornisce le condizioni estrinseche costituenti l’ambiente, sia quando l’edificio si associa agli altri in nuovi quartieri costituendo nuovi organismi urbanistici, sia quando nei vecchi quartieri delle nostre belle città esso si innesta alla vita murale costruita e nutrita dai secoli e dalle generazioni, non imitabile né
Orazio Carpenzano
La Facoltà di Architettura di Roma
UN SECOLO
DI ARCHITETTURA
FRANCO
PURINI
Cento anni di architettura
Immersi nella cornice di verde come marmoree teste pensanti spiccano gli edifici accademici, musei del canone fossile, eluso dalla bellezza volubile.
Valle Giulia è il quadro che il tram attraversa e al solito taglia in due, ma quello che proviene dal senso opposto, ricuce.
Valentino Zeichen, 2010
L’argomento di questo scritto è una analisi sia di alcune relazioni tra la Scuola di Architettura di Roma e la vita culturale, politica ed evolutiva della Capitale, sia di una serie di occasioni nelle quali era nato un rapporto intenso e produttivo, che per inciso dura ancora, tra la scuola stessa, il quadro nazionale e quello internazionale. Tutto ciò dal punto di vista del dibattito disciplinare e da quello degli aspetti culturali, politici, strutturali e organizzativi. Ovviamente tale argomento non potrà essere trattato in modo esauriente, data la lunghezza prevista per questo testo che peraltro non potrà neanche, dato lo spazio temporale nel quale si colloca, evitare nei suoi passaggi più di una ripetizione nonché qualche omissione non desiderata. Tuttavia mi auguro che quanto scritto riesca a tratteggiare, in un quadro tematico sintetico ma sufficientemente completo, le vicende esaminate. Vicende che riguardano un secolo, dal momento che la fondazione della prima Scuola di Architettura italiana di livello universitario, come peraltro in altri Stati europei, intesa come una istituzione autonoma sia da Ingegneria Edile, sia dalle Accademie di Belle Arti, istituita nel 1919, iniziò i suoi corsi il 18 dicembre del 1920. Su questo nuovo polo formativo scrisse un articolo significativo, nel terzo fascicolo di «Architettura e Arti decorative» del 1924, l’architetto milanese Paolo Mezzanotte, accludendo in esso anche i corsi attivati. Va ricordato, a proposito di questa importante ricorrenza, che il Paese era, un secolo fa, in gran parte ancora agricolo, con centri urbani che non conoscevano ancora le imponenti crescite che avevano ingrandito, fino a farle diventare altrettante metropoli, in periodi diversi dell’Ottocento, città come Londra, Parigi, Vienna, Berlino. L’Italia era infatti in forte ritardo
Franco Purini
La Facoltà di Architettura di Roma
Un secolo di Architettura
Quartiere Ina-Casa Tuscolano a Roma, Saverio Muratori, Mario De Renzi, Unità orizzontale di Adalberto Libera (1950-54).
Quartiere Ina-CasaTiburtino a Roma, progetto coordinato da L. Quaroni e da M. Ridolfi, a capo del gruppo costituito dagli architetti: Carlo Aymonino, Carlo Chiarini, Mario Fiorentino, Federico Gorio, Maurizio Lanza, Sergio Lenci, Piero Maria Lugli, Carlo Melograni, Gian Carlo Menichetti e Michele Valori.
Cento anni di futuro
architettonico proposto con entusiasmo da Bruno Zevi al suo rientro dagli Stati Uniti a Roma, abbandonata da lui e da sua moglie Tullia in seguito alle leggi razziali nel 1938. A proposito della vicenda dell’INA-Casa, di cui i due interventi citati fanno parte, va ricordato che l’illuminato governo di questo Ente, nei suoi due cicli settennali, si deve a Foschini che scelse tra i numerosi progettisti, scelti tra i migliori di quel periodo, molti giovani architetti laureati a Roma, che contribuirono a un’impresa di portata nazionale, inserita nel quadro complessivo della ricostruzione del Paese. Il Tuscolano fu successivamente ampliato da Adalberto Libera, che realizzò un tappeto di case a patio ispirato a insediamenti da lui visitati in un suo viaggio nel Nord Africa, contrappuntato da un edificio verticale a ballatoio. Fortemente influenzato dall’architettura di Frank Lloyd Wright, anche se si era laureato ad Harvard con Walter Gropius, Zevi che nel 1950 pubblicò la sua appassionante e intrinsecamente progettuale Storia dell’architettura moderna, edita da Einaudi, promosse per mezzo dell’APAO (Associazione per l’Architettura Organica) l’organicismo come categoria primaria, non solo dell’architettura della ricostruzione ma dell’architettura in generale, categoria che era al centro dell’opera dell’autore del Guggenheim Museum di New York. Questa scelta era in contrasto con la posizione degli architetti milanesi, influenzati da Ernesto Nathan Rogers, in quegli anni Direttore di «Casabella Continuità» che riteneva, come il titolo della sua rivista ricordava, che fosse necessario proseguire, seppure con tutti i ripensamenti necessari, la tradizione razionalista che aveva ispirato la ricerca di architetti come Figini e Pollini, Terragni e gli stessi BBPR.
L’azione di Bruno Zevi, autore di molti altri libri celebri, oltre alla Storia dell’Architettura moderna prima ricordata, ebbe subito una risonanza nazionale e internazionale, amplificata notevolmente dalla rubrica sull’architettura da lui tenuta per molti anni su «L’Espresso», un settimanale il quale, tra sinistra e liberalismo, aveva un ruolo importante nell’orientare l’opinione pubblica dei ceti culturalmente più avanzati. Le attente analisi critiche di Zevi presenti sulle pagine di questa testata, che ha avuto un ruolo fondamentale nella crescita culturale del Paese, successivamente raccolte in alcuni volumi editi da Laterza, ebbero un peso considerevole nel formare una coscienza pubblica sul territorio, la città e l’architettura. A questa efficacia zeviana nell’espressione di opinioni decisive per le vicende architettoniche contribuì anche per decenni, la sua rivista «Architettura. Cronache e storia», fondata dopo la conclusione dell’importante esperienza di «Metron» che aveva visto lo stesso Zevi protagonista di innovative letture critiche.
Franco Purini
La Facoltà di Architettura di Roma
LA SCUOLA SUPERIORE
DI ARCHITETTURA
E LA FACOLTÀ DI
ARCHITETTURA
1919 | 1942
BARTOLOMEO AZZARO
Docenti e assistenti della Scuola di Architettura di Roma sulle scale della sede di via Ripetta negli anni 1924-26. Al centro il Direttore della Scuola, Manfredo Manfredi. (Archivio privato Cesare Valle).
Questo contributo intende sintetizzare il dibattito culturale e legislativo che ha preceduto e accompagnato l’istituzione della Scuola di Architettura di Roma, descriverne le vicende fino al secondo conflitto mondiale e, per quanto possibile, dare voce ai protagonisti. Si deve a Gabetti e Marconi il primo contributo di sintesi sull’insegnamento dell’architettura in Italia, i quali ritenevano che le facoltà di Architettura italiane stessero attraversando uno stato di crisi, segnalando la necessità di una riflessione sulla loro identità e di un aggiornamento dell’insegnamento dell’architettura. Dunque del ruolo dell’architetto nella società contemporanea, su un suolo, in un popolo, nella città1. È nel rapporto con la città, nel processo continuo della sua trasformazione che la figura dell’architetto ha mutato i caratteri del profilo professionale ed intellettuale. Una riflessione a più voci sul percorso culturale, professionale e istituzionale della Facoltà di Roma, è stata raccolta nel 2000 in un volume a cura della Facoltà2. Il recente lavoro di Piero Cimbolli Spagnesi ha chiarito la storia della formazione dell’architetto prima della fondazione della Scuola Superiore di Architettura di Roma e delle sue vicende fino al 19353.
A Roma la grande tradizione della formazione degli artisti ha origine con l’Universitas picturae [ac] miniaturae (1478), poi trasformatasi nell’Università delle Arti della Pittura di Roma, per assumere nel 1577 lo status di Accademia delle Arti della Pittura, della Scultura e del Disegno. Solo nel 1634 durante il Principato di Pietro da Cortona architetto, pittore e scultore, gli architetti furono ammessi all’Accademia di San Luca. Dal XVI al XVIII secolo, sia l’Accademia di San Luca che l’Académie Royale d’Architecture di Parigi, le più accreditate istituzioni pubbliche di alta formazione nelle Belle Arti per i giovani artisti di tutta Europa. In quel
Bartolomeo Azzaro
La Facoltà di Architettura di Roma
G. Giovannoni, Lezioni sugli stili architettonici, dispensa per gli studenti delle Scuole di Architettura e di Ingegneria, TAV. XCIII, p. 261, Roma 1924.
(Prof. Battisti), noto progettista e docente di Ingegneria, Vincenzo Fasolo (Prof. Vincenzi), storico dell’architettura e professore di disegno, Arnaldo Foschini (Prof. Arnaldi), progettista formatosi con Manfredi, Fausto Vagnetti (Prof. Fausti) già insegnante alla scuola di ingegneria, e Santo Ferrari (Prof. Santi) delegato del Real Istituto Superiore dei BB.CC. I lavori iniziarono affrontando il tema dell’organizzazione dell’ordinamento didattico, articolato in tre cicli, che nei cinque anni del corso sarebbero confluiti «nell’insegnamento unico della composizione architettonica», il «ciclo scientifico-tecnico» (scienza delle costruzioni), «il ciclo delle materie direttamente artistiche (ornato, plastica, la figura)», «il ciclo delle materie architettoniche» (nozioni costruttive, lo studio stilistico, criteri di distribuzione dei moderni edifici e le discipline accessorie)»45. In questa visione d’insieme, sarà condiviso anche il criterio generale dell’organizzazione didattica della Scuola, con le materie di studio riunite per aree disciplinari affini. Il tema centrale della discussione sarà la modalità del rapporto tra l’insegnante e gli studenti, soprattutto nell’ambito della composizione architettonica. Il rischio era di ridurre l’autonomia culturale dello studente, con il prevalere dell’impronta della cultura architettonica del professore, implicitamente considerandola passatista. Sarà il Direttore Milani a prendere la parola per primo, definendone i tratti essenziali «Nella composizione architettonica io non so proprio vedere altro metodo che quello della piena libertà lasciata allo studente di plasmare il proprio pensiero e formare il proprio gusto come vuole; e questo principio deve essere subito affermato». Arnaldo Foschini, insegnante di composizione architettonica, condividerà «i concetti dell’insegnamento impersonale e del libero avviamento», ravvisando il pericolo di un rapporto acritico degli studenti con le riviste di architettura da dove «copiano a man salva». Una discussione intensa, che fa trasparire tendenze diverse interpretazioni del ruolo del docente, attivo anche se discreto, che per Magni «deve essere un maestro, non un bidello intellettuale che stia solo a mantenere la disciplina». Nella terza giornata di discussione, Manfredi porrà all’assemblea il quesito su quale tema di laurea assegnare agli studenti «1. Progetto di grande monumento-ossario commemorativo dei caduti in guerra […] 2. Progetto di casa modesta a piazza Nicosia a Roma su di una precisa area racchiusa progetto corredato da tutti gli studi accessori». In realtà quella rivolta ai professori era una richiesta di esprimersi sull’orientamento culturale da imprimere all’ordinamento della Scuola: quello monumentale o quello più concreto di una moderna casa di abitazione in un ambiente urbano tra la città storica e il Lungotevere.
Bartolomeo Azzaro
La Facoltà di Architettura di Roma
LA STORIA INTERROTTA
1943 | 1962
LUCIO VALERIO
BARBERA
La storia interrotta
Roma 1943
Il 22 giugno 1943, alle cinque del pomeriggio, nella saletta del Consiglio posta accanto all’ufficio del Preside, al secondo piano dell’edificio progettato da Enrico Del Debbio a Valle Giulia, si riunì il Consiglio dei Professori. Quell’anno, come sempre, nelle prime settimane estive il Consiglio dei professori era chiamato a decidere gli incarichi di insegnamento del successivo anno accademico, il 1943-44. Il resoconto del Consiglio fu scritto a mano nel fascicolo che comprende i verbali, vergati su fogli protocollo, che vanno dal 10 febbraio 1937 – sembra tuttavia che manchino alcune pagine iniziali – al 4 dicembre 1945. Fogli che poi furono rilegati assieme alle pagine di una rubrica alfabetica utilizzata – dalla A alla Z – come quaderno di fortuna per trascrivere i verbali che vanno dall’11 gennaio 1946 al 16 gennaio 1947, un anno in cui ancora non era sconveniente risparmiare così palesemente sugli articoli di cancelleria della presidenza della Facoltà. Il resoconto di quella riunione inizia con il titolo di: Verbale del 22 giugno 1943 – XXI. Ventunesimo dell’era fascista, naturalmente. E continua: Aperta l’adunanza alle ore 17 sono presenti: Ecc. Prof. Marcello Piacentini, Presidente; i Professori Enrico Calandra, Vincenzo Fasolo, Arnaldo Foschini, Roberto Marino, Gaetano Minnucci, Segretario. Assenti giustificati i Proff. Vittorio Ballio, Enrico Del Debbio. Ordine del giorno:
• Comunicazioni.
• Incarichi di insegnamento per l’anno accademico 1943-44.
• Varie.
I professori ordinari che nel 1943 governano la Facoltà, presieduta da Marcello Piacentini, sono dunque otto, di cui tre – Piacentini, Fasolo, Foschini – erano già presenti nel 1920, ventitré anni prima, appena terminata un’altra guerra mondiale, nel gruppo dei fondatori della Regia Scuola Superiore di Architettura – divenuta Facoltà universitaria nel 1935. Ma nel giugno 1943 altri due fondatori della Facoltà erano ancora attivi nel corpo accademico: Fausto Vagnetti, pittore toscano, tardo divisionista, storico organizzatore e docente dei corsi di Disegno dal vero, e Gustavo Giovannoni, ingegnere, autore degli obbiettivi culturali e professionali, quindi del programma formativo e didattico della Scuola di architettura di Roma e di tutte le Facoltà di Architettura aperte dopo di essa in Italia sul modello di Roma: Napoli, Firenze, Torino, Venezia. Un modello imposto nel 1935, dopo lunga resistenza, anche alla Facoltà di Architettura del
Lucio Valerio Barbera
La Facoltà di Architettura di Roma
La Storia interrotta, 1943 | 1962
decisioni d’insieme, ma anche di accurati “regolamenti architettonici” con i quali davvero l’urbanista, l’autore della città nuova, assumeva – come i Wood, padre e figlio a Bath – un ruolo parallelo a quello del Maggiordomo di città, mentre a Parigi esercitava effettivamente quello di Prefetto anche della qualità urbana, in tutti e due i casi agendo da dittatore del gusto e dei comportamenti progettuali, dunque arbitro della qualità dei progettisti e del livello culturale dei prìncipi e dei grandi borghesi che quella città costruivano. E non sono pochi gli architetti laureati a Roma nel secondo dopoguerra, che, nel co-progettare gli insediamenti moderni della capitale dopo la metà degli anni Sessanta in forza della famosa legge 167 del 1962, abbiano cercato di garantire qualità ai nuovi quartieri proprio perseguendo l’integrazione tra semplici, forti decisioni d’insieme – a volte raffinatamente radicate nella storia della città, ma più spesso brutalmente estratte dal repertorio di un’immaginata arte gestuale – e un regolamento architettonico di facile comprensione, aperto all’espressione – controllata – della tendenza culturale del singolo progettista. Moltissimi, infine, sono coloro che – da studenti – hanno sostenuto l’esame di composizione architettonica al quarto e al quinto anno nella Facoltà di Architettura di Roma negli anni Sessanta, esercitandosi attorno al Progetto Direttore, interpretazione estrema del tentativo quaroniano di integrare l’ordine formale e organizzativo del disegno d’insieme con la ricchezza linguistica della città pittoresca – come certamente avrebbe scritto Gustavo Giovannoni – liberamente composta di emergenze e tessuti, cioè di decisivi nodi urbani e della varia coltre edilizia che costituisce la città ancora oggi anonima, ma da tempo consapevole – anche troppo – della dignità e della vitalità della propria cultura.
L’egemonia nazionale sembra assicurata È naturale che, anche riassumendo fin troppo velocemente l’itinerario dell’insegnamento del progetto urbano nella nostra scuola ci si imbatta nuovamente nel nome di Giovannoni. Gustavo Giovannoni, che nei giorni delle Discussioni didattiche del 1920, pareva il predestinato e inamovibile conduttore della Regia Scuola Superiore di Architettura, nel corso del primo decennio di vita della sua scuola aveva dovuto convivere con la crescente critica e la competizione di Piacentini e infine cedergli la palma e la direzione della scuola. In quel decennio, tuttavia la loro collaborazione aveva costituito il motore per la crescita del prestigio e per l’affermazione culturale e politica della Scuola romana; la cui preminenza, beninteso, era stata stabilita per legge. Secondo i decreti istitutivi essa era finanziata
Cento
Torre Piacentini o dell’Orologio, Progetto architettonico e urbano di Marcello Piacentini, piazza Dante, Genova, 1935-40.
In basso, Palazzo Fiat, Progetto di Marcello Piacentini, via Bissolati, Roma, 1947-1948.
L’UNIVERSITÀ DI
MASSA E LE SUE
CONTRADDIZIONI
1963 | 1980
PIERO OSTILIO
ROSSI
Adalberto Libera morì improvvisamente il 17 marzo 1963, il 16 luglio avrebbe compiuto sessant’anni. Pochi mesi prima era stato chiamato a Roma da Firenze per ricoprire la seconda cattedra di Composizione architettonica e attivare così lo sdoppiamento della cattedra di Saverio Muratori dopo l’anno di transizione (1961-62) nel quale il corso sdoppiato del 5° anno – fortemente richiesto dagli studenti con gli scioperi e le proteste dell’anno precedente contro i contenuti e le modalità della didattica di Muratori1 – era stato affidato a Saul Greco che aveva riunito intorno a sé un prestigioso gruppo di giovani assistenti: ne facevano parte Carlo Aymonino, Franco Berarducci, Sergio Bracco, Carlo Chiarini, Marinella Milone, Giorgio Piccinato, Vieri Quilici, Alberto Samonà e Manfredo Tafuri. Il corso aveva avuto un carattere decisamente sperimentale e un notevole successo presso gli studenti; l’area prescelta era quella dell’aeroporto di Centocelle e il tema riguardava il progetto del nuovo centro direzionale2.
Al contrario, il corso di Libera non aveva ottenuto l’accoglienza che il Consiglio di Facoltà sperava3, anzi era stato duramente contrastato dagli studenti, come sottolineano sia Quilici che Barucci che furono tra i suoi assistenti insieme a molti di coloro che avevano collaborato con Greco (Aymonino, Bracco, Milone, Piccinato, Samonà e Tafuri), ad un piccolo gruppo di fiorentini e ad alcuni nuovi acquisti, tra i quali Alberto Gatti, Francesco Palpacelli e Marcello Vittorini. Quilici scrive che «le difficoltà, nella fase di avvio del corso, sono tuttavia più grandi del previsto. I tempi si allungano e quella che doveva essere una piena collaborazione tra studenti e docenti rischia di trasformarsi in una diffusa e non motivata diffidenza. Sono i primi sintomi di una contestazione ancora acerba e snobistica»4. Barucci, che con Libera aveva un rapporto diverso dai suoi colleghi perché lo frequentava da molti anni e insieme a lui aveva progettato una prima versione del palazzo per uffici per l’ENPAM in via Torino (1962)5, ricorda di aver tentato inutilmente di costruire occasioni di mediazione (in particolare un seminario tenuto dagli assistenti) tra le ragioni degli studenti, che esigevano occasioni reali di partecipazione alla costruzione del corso in una cornice di rapporti paritari, e l’atteggiamento distaccato di Libera, tutto concentrato sui contenuti disciplinari del suo insegnamento e su un rapporto gerarchico tra docente, assistenti e allievi. «Fu un disastro. Il seminario andò avanti ma gli studenti dissero che dei nostri lavori e delle nostre chiacchiere non se ne facevano niente, con l’eccezione dell’intervento di Tafuri, per altro bellissimo, sul razionalismo tedesco». «Credo che molti di noi – scrive ancora Barucci –, compreso Libera, non fossero in grado di corrispondere
Piero
Ostilio Rossi
La Facoltà di Architettura di Roma
L’università di massa e le sue contraddizioni, 1964
A Roma le occupazioni ebbero inizio ai primi di febbraio e nel pomeriggio del 2 fu occupata la Facoltà di Architettura a Valle Giulia che, con Lettere e Fisica, divenne uno dei punti di riferimento per il Movimento studentesco. Fu deciso il blocco di ogni attività accademica e furono istituite due commissioni di lavoro: la prima relativa ai temi generali della realtà universitaria, la seconda per definire gli obiettivi «direttamente perseguibili, immediatamente individuabili e concretamente presenti che permettano di organizzare lo scontro con l’apparato repressivo dell’attuale organizzazione»87.
Non può essere certo questa la sede per ripercorrere in maniera dettagliata le vicende successive e tentare una sintesi di una fase così complessa dell’università italiana e della vita sociale del nostro Paese; è possibile solo ricordare alcuni momenti salienti, restituire alcune brevi istantanee di quelle settimane, assumendo il rischio che esse appaiano molto ingiallite, non solo per il luogo comune che così impone, ma anche per il tempo trascorso e la distanza critica che esso frappone, per la consapevolezza delle derive che hanno generato, per le disillusioni, i tradimenti, l’entusiasmo, le pulsioni e la generosa vena di follia che le hanno attraversate.
Cento anni di futuro
Riunione di una Commissione di lavoro durante l’occupazione della Facoltà, febbraio 1968.
Il primo fermo immagine si riferisce ai giorni dell’occupazione della Facoltà: è una fotografia scattata in quella che oggi è l’aula 12 di Valle Giulia; è stata pubblicata per la prima volta su «L’Astrolabio»88 e poi più volte ripresa dai giornali. Un gruppo di studenti è riunito in una delle commissioni di lavoro e sta discutendo in maniera pacata; sulla parete di fondo, sulla lavagna, alcune annotazioni e una grande scritta in lettere maiuscole: SCOMPOSIZIONE; colpisce la presenza di due sole ragazze. Quell’atmosfera tranquilla e composta è solo un aspetto – e certamente non quello prevalente – del clima di quei giorni, caratterizzato da frenesie organizzative, forti tensioni e assemblee infuocate. Anche il numero ridotto di ragazze non deve trarre in inganno perché, se è vero che la loro presenza all’interno del movimento era minoritaria e in parte marginale, è altrettanto vero che quelle settimane di occupazioni, di vita in comune, di assemblee, di cortei e di scontri furono per alcuni aspetti all’origine di una nuova consapevolezza di genere e di un bisogno di autonomia nelle quali affonderà le sue radici il movimento femminista degli anni successivi.
Il secondo fotogramma ha una forte componente emotiva: è la prima fila di un corteo nella quale, uno accanto all’altro, si tengono sottobraccio,
La Facoltà di Architettura di Roma
Roberto Perris, Oreste Scalzone, Paolo Flores D’Arcais, Sergio Petruccioli, Massimiliano Fuksas e Franco Russo.
DUE DECENNI DI
INSEGNAMENTO DELL’ARCHITETTURA
FRA LEGGI E DECRETI 1980 | 2000
FIORE
FRANCESCO PAOLO
I vent’anni che seguirono la rottura degli antichi equilibri avvenuta nella Facoltà di Architettura di Roma negli anni Sessanta e Settanta furono caratterizzati da cambiamenti per adeguare l’università italiana ai mutamenti avvenuti nella società. Il primo decennio si aprì con il DPR 382/80 di Riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonché sperimentazione organizzativa e didattica, il secondo con la legge 341/90 di Riforma degli ordinamenti didattici universitari. E proprio alla fine degli anni Novanta, dopo una lunga elaborazione, apparve il DM 509/1999, Regolamento recante norme concernenti l’autonomia didattica degli atenei. A questi tre principali provvedimenti legislativi, che interessarono tutta l’università e che scandiscono e racchiudono i due decenni esaminati in questo scritto, si sommarono norme specificamente rivolte all’ordinamento degli studi di architettura, sia per regolarne l’insegnamento a livello nazionale che per rispondere alla necessità del riconoscimento europeo della formazione universitaria italiana dell’architetto. La Facoltà, in più casi attiva attraverso i suoi docenti nella preparazione di quei provvedimenti, tentò di anticiparne alcuni aspetti per poi adeguarvisi, sospinta dal dibattito culturale che si svolgeva al suo interno e dall’incessante tentativo di dare risposte al fortissimo incremento del numero degli studenti, alla loro diseguale formazione di base, all’allungamento dei tempi di laurea con il relativo aumento dei fuori corso e alla sempre più grave carenza di spazi per la didattica. Agli inizi degli anni Ottanta la didattica e il rapporto numerico docenti/ studenti erano definitivamente mutati rispetto a quanto ipotizzato dai suoi fondatori.
L’incremento del numero degli iscritti fu d’altrocanto un non trascurabile segnale del successo della Facoltà, che attraverso i suoi docenti e le sue ricerche era stata capace di moltiplicare e approfondire le diverse componenti della formazione originaria anche in risposta all’operatività, profondamente mutata, dell’architettura nella trasformazione della città e del territorio. Nelle pagine che seguono cercherò di tracciare i passi che la Facoltà fece fra il 1980 e il 2000 a partire dalle scelte culturali che l’avevano caratterizzata sin dalla fondazione e dai nuovi obiettivi formativi che andava maturando, rispondendo al contempo alle numerose norme e direttive emesse in quei vent’anni. Sarà una cronaca più che una storia, anche perché sono stato un testimone attivo dei cambiamenti. Di fronte all’aumentato numero dei docenti e alla ricchezza delle loro posizioni e dei loro specialismi, moltiplicati e approfonditi, ho ritenuto preferibile riferirmi più ai contenuti dell’offerta didattica e ai programmi
Francesco Paolo Fiore
La Facoltà di Architettura di Roma
Massimo D’Alessandro, Costantino Dardi, Giovanni Morabito, Tonino Paris, con Francesco Cellini, Luciano Cupelloni, pianta e assonometria dell’ampliamento dell’edificio della Facoltà in via Gramsci, progetto vincitore (1987-88).
Massimo D’Alessandro, Costantino Dardi, Giovanni Morabito, Tonino Paris, con Francesco Cellini, Luciano Cupelloni, veduta dall’angolo fra via Buozzi e via Gramsci e della galleria e delle aule con i tavoli da disegno.
La Facoltà di Architettura di Roma
DUE DECENNI DI
INSEGNAMENTO DELL’ARCHITETTURA
FRA LEGGI E DECRETI 1980 | 2000
FIORE
FRANCESCO PAOLO
I vent’anni che seguirono la rottura degli antichi equilibri avvenuta nella Facoltà di Architettura di Roma negli anni Sessanta e Settanta furono caratterizzati da cambiamenti per adeguare l’università italiana ai mutamenti avvenuti nella società. Il primo decennio si aprì con il DPR 382/80 di Riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonché sperimentazione organizzativa e didattica, il secondo con la legge 341/90 di Riforma degli ordinamenti didattici universitari. E proprio alla fine degli anni Novanta, dopo una lunga elaborazione, apparve il DM 509/1999, Regolamento recante norme concernenti l’autonomia didattica degli atenei. A questi tre principali provvedimenti legislativi, che interessarono tutta l’università e che scandiscono e racchiudono i due decenni esaminati in questo scritto, si sommarono norme specificamente rivolte all’ordinamento degli studi di architettura, sia per regolarne l’insegnamento a livello nazionale che per rispondere alla necessità del riconoscimento europeo della formazione universitaria italiana dell’architetto. La Facoltà, in più casi attiva attraverso i suoi docenti nella preparazione di quei provvedimenti, tentò di anticiparne alcuni aspetti per poi adeguarvisi, sospinta dal dibattito culturale che si svolgeva al suo interno e dall’incessante tentativo di dare risposte al fortissimo incremento del numero degli studenti, alla loro diseguale formazione di base, all’allungamento dei tempi di laurea con il relativo aumento dei fuori corso e alla sempre più grave carenza di spazi per la didattica. Agli inizi degli anni Ottanta la didattica e il rapporto numerico docenti/ studenti erano definitivamente mutati rispetto a quanto ipotizzato dai suoi fondatori.
L’incremento del numero degli iscritti fu d’altrocanto un non trascurabile segnale del successo della Facoltà, che attraverso i suoi docenti e le sue ricerche era stata capace di moltiplicare e approfondire le diverse componenti della formazione originaria anche in risposta all’operatività, profondamente mutata, dell’architettura nella trasformazione della città e del territorio. Nelle pagine che seguono cercherò di tracciare i passi che la Facoltà fece fra il 1980 e il 2000 a partire dalle scelte culturali che l’avevano caratterizzata sin dalla fondazione e dai nuovi obiettivi formativi che andava maturando, rispondendo al contempo alle numerose norme e direttive emesse in quei vent’anni. Sarà una cronaca più che una storia, anche perché sono stato un testimone attivo dei cambiamenti. Di fronte all’aumentato numero dei docenti e alla ricchezza delle loro posizioni e dei loro specialismi, moltiplicati e approfonditi, ho ritenuto preferibile riferirmi più ai contenuti dell’offerta didattica e ai programmi
Francesco Paolo Fiore
La Facoltà di Architettura di Roma
Dalla suddivisione della Facoltà alla sua riunificazione, 2000 | 2020
mesi più tardi, ci fu un ripensamento e la Facoltà decise di procedere con la realizzazione del programma relativo al Borghetto Flaminio.
Il progetto fu ripreso e rilanciato dal nuovo Preside Renato Masiani che presentò una proposta complessiva elaborata tra il 2010 e il 2011 dal Vicepreside Giuseppe Rebecchini (Vicepreside prima della Quaroni e poi della Facoltà riunita); dopo un iter molto difficile durato parecchi anni, la Sapienza è riuscita ad ottenere, le necessarie approvazioni per tutti e due gli interventi. Il comparto di piazzale della Marina ha ottenuto però i permessi solo alla fine del 2021108 e l’iter non è ancora del tutto concluso; la trasformazione dell’ex deposito ATAC di via Fortuny in spazi per la didattica è stata invece completata e l’edificio è stato inaugurato il 22 settembre del 2022, durante il Rettorato di Antonella Polimeni e la presidenza di Orazio Carpenzano – che ha nominato Vicepreside vicario Stefano Catucci e Vicepresidi Daniela Esposito, Loredana Di Lucchio, Elena Ippoliti – entrambe cariche assunte nel dicembre 2020.
Nel 2006-07 il titolo di professore emerito era stato conferito a Paolo Portoghesi che, per l’anno accademico successivo, il 2007, chiede l’attivazione del Corso di Geoarchitettura, che terrà per oltre un decennio. Nel corso di questo decennio sono stati nominati dal Ministro professori emeriti della Sapienza: Mario Docci nel 2011, Luis Decanini nel 2015, Franco Purini e Raffaele Panella nel 2016 e Francesco Paolo Fiore, Antonio Paris e Giuseppe Rega nel 2018. Nel 2016, proseguendo la tradizione avviata dalle due Facoltà Ludovico Quaroni e “Valle Giulia”, è stata attribuita la laurea honoris causa in Architettura allo scenografo Dante Ferretti, nel 2017 il Dottorato di ricerca honoris causa in Paesaggio e Ambiente all’architetto cinese Kongjian Yu, e nel 2022 la laurea honoris causa a Eduardo Souto de Moura. Il Dottorato in Architettura e Costruzione ha conferito nell’autunno del 2023 il titolo di Dottore di Ricerca all’architetto Dante Bini.
In conclusione, la nostra riflessione su un periodo così ravvicinato nel tempo e altrettanto denso di avvenimenti, intende delineare alcune tracce utili per il futuro.
Riteniamo, infatti, che proprio la vicinanza temporale e la nostra partecipazione alle vicende della Facoltà negli anni più recenti, pur nel limitare il nostro sguardo per eccessiva vicinanza, ci consenta comunque di riconoscere alcuni nodi critici di questo ultimo ventennio che, in alcuni casi, non sono stati ancora sciolti e che rischiano di costituire un limite allo sviluppo della Scuola se non venissero affrontati dai ruoli apicali della Facoltà in modo incisivo nei prossimi anni.
Cento anni di futuro
Vista prospettica e schizzi di studio del progetto per l’ampliamento della Facoltà Ludovico Quaroni nel Borghetto Flaminio, responsabile scientifico Giuseppe Rebecchini.