METAMORFOSI 13

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REMIND Metamorfosi 2016-2022

a cura di / editor ROSALBA BELIBANI, MAURIZIO PETRANGELI

e / and NICOLETTA TRASI

Editoriale / Editorial

Maurizio Petrangeli

Tema monografico / Monographic theme

LA CRITICA OPERATIVA COME MEDIAZIONE TRA STORIA E PROGETTO OPERATIVE CRITICISM AS A MEDIATION BETWEEN HISTORY AND DESIGN

Alessandra Muntoni

ELEMENTI PER LA COSTRUZIONE DELLA CRITICA ARCHITETTONICA ELEMENTS FOR THE CONSTRUCTION OF ARCHITECTURE CRITICISM

Marcello Pazzaglini

SVILUPPI DELLA TERZA AVANGUARDIA DEL NOVECENTO

DEVELOPMENTS OF THE THIRD AVANT-GARDE DURING THE 20TH CENTURY

Gabriele De Giorgi

“SCRIVERE LA STORIA COL PUGNALE” “WRITING HISTORY WITH THE DAGGER”

Giorgio Ciucci

RICORDI DAL LAGO DI COMO, IL CONVEGNO SU TERRAGNI, 1968 MEMORIES FROM LAKE COMO

Franco Purini

STRATEGIE D’INTERVENTO PER IL QUARTIERE FLAMINIO INTERVENTION STRATEGIES FOR THE FLAMINIO NEIGHBOURHOOD

Piero Ostilio Rossi

L'AMICO

RUBRICHE / COLUMNS

TERRITORI DIGITALI DIGITAL

Rosalba Belibani

SOGLIE URBANE URBAN THRESHOLDS

Guendalina Salimei

INTERSEZIONI LINGUISTICHE LANGUAGES’ INTERSECTIONS

Roberta Lucente

CATASTROFI DISASTERS OTHERWERE

Nicoletta Trasi

TRASFORMAZIONI TRANSFORMATIONS

Maurizio Petrangeli

EDITORIALE: UN NUOVO INIZIO

EDITORIAL: A NEW BEGINNING

di / by MAURIZIO PETRANGELI

Una vita dalle molte storie…

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etamorfosi Quaderni di architettura” viene fondata nel 1985 da Gabriele De Giorgi, Alessandra Muntoni e Marcello Pazzaglini, che la dirigono sino al 2022. Nel primo periodo si succedono tre diversi editori e con essi cambia il formato e la grafica della rivista, pur rimanendone inalterati gli obiettivi e i contenuti. Dopo una pausa di oltre cinque anni, le pubblicazioni riprendono nel 2016 con una nuova serie e un nuovo editore, l’attuale: viene riaffermata l’attenzione per le ricerche e per le sperimentazioni che guardano alle grandi trasformazioni del territorio, dell’ambiente antropizzato e della metropoli, le metamorfosi appunto. Le dimensioni dell’architettura vengono indagate alle varie scale del progetto e, se riferite ad ambiti geografici e paesaggistici, si arricchiscono della complessità dei nuovi orientamenti teorici, culturali e scientifici. L’attuale serie mantiene l’impostazione per numeri monografici e ribadisce l’interesse per il lavoro delle avanguardie architettoniche, per le sperimentazioni nel mondo delle arti, per le riletture storiche in un cammino denso di analisi, di ricerche, di opere e di progetti. Viene inoltre riproposto il formato originale della rivista, pur con una grafica completamente rinnovata. Ciascun volume presenta un tema monografico articolato in una serie di contributi, cui si affiancano cinque rubriche – Territori digitali, Intersezioni linguistiche, Trasformazioni, Soglie urbane e Catastrofi – ciascuna affidata a uno dei componenti della redazione, rinnovata e arricchita nella composizione.

One life, many stories…

etamorfosi Quaderni di architettura” was established in 1985 by Gabriele De Giorgi, Alessandra Muntoni and Marcello Pazzaglini, who helmed it until 2022. In the first phase, three different publishers were involved and contributed changes in terms of the magazine’s format and graphic design, although its goals and contents remained unaltered. After a five years hiatus, the magazine reappeared in 2016 with a new series and a new publisher, the current one, thereby reaffirming its focus on the research and experimentation addressing the major transformations of the territory, the anthropized environment and the metropolis, in other words the metamorphoses. The dimensions of architecture are surveyed at the various design scales and, when related to geographical and landscape contexts, acquire the complexity of the new theoretical, cultural and scientific orientations. The current series, still reflects the monographic approach in each issue, and confirms the specific focus on the work of the architectural avant-gardes, on the experimentation in the art world, on the historical reviews in a process dense with analyses, researches, works and designs. The original format of the magazine is equally reaffirmed, albeit with a completely new graphic design. Each issue presents a monographic theme surveyed by a number of contributions, and complemented by five columns – Digital territories, Linguistic intersections, Transformations, Urban thresholds and Catastrophes –each presented by one of the members of

Il primo numero monografico dedicato agli insediamenti residenziali pubblici realizzati nelle periferie italiane, è seguito da volumi diversi che presentano un ampio spettro di temi dove si distinguono argomenti già trattati e altri, nuovissimi, su cui riflettere. L’orizzonte di riferimento è ampio: dal futuro delle città ai paesaggi, dalle sperimentazioni linguistiche all’innovazione digitale, dalla rilettura dell’opera dei maestri agli architetti emergenti, senza dimenticare intriganti percorsi interdisciplinari.

Questo numero dà inizio a una nuova storia. I fondatori della rivista passano il testimone al Comitato di redazione. La conduzione diviene sempre più collegiale ed è affidata ai cinque redattori che si assumeranno, a turno, l’onere della Direzione. La linea culturale viene confermata: i temi della contemporaneità, segnata da trasformazioni profonde e in rapidissima successione, vengono indagati attraverso gli strumenti delle ricerche più avanzate, mentre si accentua l’attenzione alle nuove sperimentazioni nell’era della rivoluzione tecnologica e digitale.

L’esperienza di questi anni è la base da cui partire – «lo specchietto retrovisore di un veicolo che procede avanti verso il futuro», come recitava l’editoriale del volume pubblicato nel 2006 in occasione dei venti anni della rivista – ed è per questo che il primo numero della nuova direzione ripropone alcuni contributi pubblicati nella nuova serie a partire dal 2016, un recap che rappresenta il ventaglio dei temi e delle problematiche già oggetto d’indagine. Ai saggi dei Direttori storici scritti in occasione della pubblicazione dei numeri da loro curati – Gabriele De Giorgi Sviluppi della Terza Avanguardia del Novecento, Alessandra Muntoni La critica operativa come mediazione tra storia e progetto e Marcello Pazzaglini Elementi per la costruzione della critica architettonica – seguono gli articoli a firma di Giorgio Ciucci Scrivere la storia col pugnale, Domenico De Masi L’amico Oscar, Franco Purini Ricordi dal lago di Como Il convegno su Terragni 1968, Piero Ostilio Rossi Strategie di intervento per il quartiere Flaminio, apparsi sui numeri dell’attuale serie

…nel segno di una dichiarata continuità.

the editorial committee, renewed and complemented by new voices.

The first monographic issue devoted to the public residential settlements built in Italian suburban areas, is followed by a number of issues that articulate a wide spectrum of themes, including those already addressed in the past, as well as other, newer ones, that are worth reflecting on. The thematic reference horizon is wide-ranging: from the future of cities to the landscapes, from linguistic experimentation to digital innovation, from the review of the works of masters to emerging architects, without forgetting exciting cross-disciplinary paths.

This issue marks the beginning of a new story. The founders of the magazine pass on the baton to the editorial committee. The editorial committee will helm the magazine as a collective, with one of the members acting as editor-in-chief in turn. The cultural orientation is confirmed: the issues related to the contemporary condition, marked by deep and rapidly alternating transformations, are surveyed with the tools of the most advanced researches, while an even deeper focus is directed on new experimentation in the age of the technological and digital revolution. The experience of these years is the starting point – «the rear-view mirror of a vehicle that travels towards the future», as stated in the editorial of the twentieth-anniversary issue of the magazine – and it is for this reason that the first issue of the new phase features some of the essays published since 2016, a recap that reflects the range of the relevant themes and challenges. The essays written by the main editors-in-chief for the issues they curated –Gabriele De Giorgi Sviluppi della Terza Avanguardia del Novecento, Alessandra Muntoni La critica operativa come mediazione tra storia e progetto and Marcello Pazzaglini Elementi per la costruzione della critica architettonica – are followed by the contributions of Giorgio Ciucci Scrivere la storia col pugnale, Domenico De Masi L’amico Oscar, Franco Purini Ricordi dal lago di Como Il convegno su Terragni 1968, Piero Ostilio Rossi Strategie di intervento per il quartiere Flaminio, featured in the issues of the current series

…under the sign of a declared continuity.

REMIND

LA CRITICA OPERATIVA COME MEDIAZIONE

TRA STORIA E PROGETTO

OPERATIVE CRITICISM AS A MEDIATION BETWEEN HISTORY AND DESIGN

anfredo Tafuri ha messo in evidenza come Bruno Zevi, insieme a Jean-Paul Sartre e a Elio Vittorini, siano stati, intorno al 1945, «tra i più validi assertori in Europa, di un rilancio ideologico rivolto a colmare il salto tra impegno civile e azione culturale»1. Nei tre, certamente, si registra una diversa modulazione di quest’atteggiamento. Per Sartre l’impegno letterario è insieme politico-culturale; per Vittorini si era identificato prima con l’antifascismo, poi con l’inviolabilità della vita umana e quindi con il design inteso come ragione civile; per Zevi ha significato assorbire la critica – desunta dalla temperie del presente – nella storia, indagando i percorsi e le motivazioni dei singoli architetti che erano riusciti a riattivare criticamente nei loro progetti un repertorio amplissimo di opere, di modelli urbanistici e di sistemi territoriali. La “critica operativa” nasce da qui.

Di fatto, il concetto di “critica operativa” – seppure in filigrana – è presente in Zevi fin dai suoi primi libri e dalla sua prima esperienza d’insegnamento allo IUAV2. E, fin dall’inizio, con una doppia prospettiva nel tempo, verso il presente e verso il passato, come spiegherà in Architettura e storiografia (1951), assorbendo inoltre nell’architettura quanto può derivare dalle arti figurative. Nella sua lezione inaugurale dell’anno accademico 19491950 della Facoltà di architettura, dedicata a Franz Wickhoff, egli dice: «Per dirla in una forma solo apparentemente assurda, il maggiore contributo che il Wickhoff ha dato alla storia dell’architettura è quello costituito da un capitolo intitolato Stile

anfredo Tafuri observed that, around 1945, Bruno Zevi was, along with Jean-Paul Sartre and Elio Vittorini, «among the champions, in Europe, of an ideological wave trying to fill the gap between civil commitment and cultural action»1. Certainly, each of the three critics expressed that effort in a different way. For Sartre, literary commitment had a political and cultural value. For Vittorini, commitment first coincided with antifascism, and later with the inviolability of human life and eventually with design conceived as civil responsibility. For Zevi, it meant incorporating criticism – as deduced from the present time – into history by exploring the trajectories and reasons of the individual architects who had critically reactivated a very wide range of works, urban planning models and territorial systems within their own designs. It was the birth of “operative criticism”.

In fact, a first outline of the concept of “operative criticism” had appeared even in Zevi’s early books and teaching experience at the IUAV2. Since the beginning, as he would explain in Architettura e storiografia (1951), such concept embraced a double time perspective – towards the present and the past – and additionally transferred into architecture any inspiration he could derive from the figurative arts. During his speech about Franz Wickhoff for the inauguration of the Faculty of Architecture’s 19491950 academic year, Zevi said, «To put it in only seemingly absurd terms, the main contribution Wickhoff gave to architectural history is a chapter entitled Illusionistic style and the continuing narrative of Roman

illusionistico e metodo continuo di narrare nella architettura romana – un capitolo, cioè, della Genesi Viennese che egli non scrisse ma il cui contenuto può essere determinato seguendo e traducendo in termini architettonici il pensiero espresso nei capitoli omonimi sulla scultura e sulla pittura romana»3. In questo modo, Zevi fa tracimare in un’altra disciplina ciò che il Wickhoff aveva a sua volta estratto dall’arte romana e opera un “traslato architettonico dei suoi schemi”. Del resto, la storicità dell’insegnamento del Wickhoff, vale a dire l’indagine sui precedenti dell’opera e la sua stessa posizione nella storia dell’arte, si dimostrava capace di prolungarsi fino all’oggi, essendo il continuum un concetto pervasivo dell’architettura contemporanea. Peraltro, la lezione di Zevi su Michelangelo architetto indica un’occasione di ricerca e di approfondimento scientifico valido per tutta la cultura internazionale. In particolare, gli studenti dell’Istituto veneziano sono coinvolti in questo progetto didattico fin dal 1960: «Gli studenti dei corsi di storia ne aggrediscono, per il secondo anno, i monumenti, conducono rilievi, li reinterpretano con moderno spirito critico, preparano tesi sulla sua personalità architettonica, anzi: sulla sua intera personalità umana e creatrice in chiave architettonica»4. I cosiddetti “plastici critici”, con i quali gli studenti del suo corso, con la supervisione del pittore Mario de’ Luigi, indagano le fabbriche e i progetti del genio fiorentino – poi esposti alla mostra Michelangiolo architetto al Palazzo delle Esposizioni di Roma nel 1964 –, ne sono una esplicita dimostrazione. L’indagine critica è portata sulle opere con gli stessi strumenti dell’architettura moderna. Così, le intenzioni di Michelangiolo, interpretate con le “linee di forza”, le suggestioni espressioniste e persino informali, i materiali metallici, trasparenti o colorati, le molle, le aste sghembe, le lastre vitree incurvate, proiettano nel contemporaneo il suo continuum dinamico5.

Ma quella modalità di “critica operativa” muta nel tempo, a cominciare proprio dal suo discordo di prolusione all’Ateneo della Sapienza, quando, nel 1963, viene chiamato

architecture he did not write. That chapter of the Viennese Genesis can be inferred from the thought expressed in the similarly titled chapters about Roman sculpture and painting, and from its translation into architectural terms »3. In this way, Zevi transposed what Wickhoff had in turn derived from Roman art into in another discipline and proceeded to an “architectural translation of its patterns”. After all, the historical nature of Wickhoff’s lesson, his exploration of the work’s precedents and position within the history of art, showed an ability to extend itself to the present

Cappella medicea in San Lorenzo, Firenze. Plastico critico in ferro e legno di Romano Abate, Giampietro Dell’Olivo, Paolo Donadini, Claudio Handjieff, Maurizio Rossi, Mario Zanin, Questa e le foto che seguono sono tratte da “L’architettura, cronache e storia”, n. 99, gennaio 1964 / Medici Chapel in San Lorenzo, Florence. Critical model (iron and wood) by Romano Abate, Giampietro Dell’Olivo, Paolo Donadini, Claudio Handjieff, Maurizio Rossi, Mario Zanin. This and the following photos from “L’architettura, cronache e storia”, n. 99, January 1964

ELEMENTI PER LA COSTRUZIONE DELLA CRITICA ARCHITETTONICA

ELEMENTS FOR THE CONSTRUCTION OF ARCHITECTURE CRITICISM

Bruno Zevi intende la critica come valutazione, come giudizio. Per fare questo costruisce una griglia selettiva basata su scelte di campo che verifica in ogni sua applicazione, che ha radici negli eventi della contemporaneità e ne ritrova corrispondenze antiche attraverso un procedimento comparativo. In questa griglia il rapporto tra storia, critica e progetto è strettissimo. È una griglia che nella sua originalità e complessità si confronta con quella dei grandi critici a lui contemporanei:

G.C. Argan, C. L. Ragghianti, M. Marangoni, C. Brandi, S. Bettini, L. Mumford, G. K. König, R. Bonelli, F. Menna, L. Benevolo e prima con L. Venturi, le estetiche di B. Croce e F. Wickhoff.

Qui ne cogliamo solo alcuni aspetti selezionati con una griglia critica parallela. È necessario per Zevi che il critico individui i momenti di rottura e ricostruzione di esperienze e linguaggi nella produzione architettonica “dal presente alle stagioni remote della protostoria”, ma che individui anche quando quei linguaggi si sono irrigiditi in regole che Zevi definisce classicismi. Contrappone così, nell’epoca a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, gli storicismi dei revivals e dell’eclettismo agli “splendori creativi” dell’Art Nouveau.

Ma li contrappone anche ai tre percorsi della modernità: i cubismi (Le Corbusier e l’età dell’informale), gli espressionismi (Mendelsohn e Scharoun), l’architettura organica, che propone come principale scelta di campo sin dalla metà degli anni Quaranta nel suo ritorno in Italia.

La costruzione della sua griglia critica si fonda poi sulla conoscenza del contesto, della

For Bruno Zevi, criticism is assessment, judgement – a practice that requires a selective grid he derives from precise positions verified in every application and rooted in contemporary events that resonate with past occurrences through a process of comparison. History, criticism and design closely connect in such grid. In its originality and complexity, Zevi’s grid is comparable with those of his contemporaries – other great critics such as G.C. Argan, C. L. Ragghianti, M. Marangoni, C. Brandi, S. Bettini, L. Mumford, G. K. König, R. Bonelli, F. Menna, L. Benevolo and earlier L. Venturi, B. Croce’s Aesthetics and F. Wickhoff.

We are going to explore just some of its aspects selected with a parallel critical grid. For Zevi, critics should identify the moments of disruption and reconstruction of experiences and languages in architectural production “from the present time to the remote ages of protohistory” and, at the same time, recognize when those languages solidify into rules and become what he defines as classicisms. For this reason, he views the historicisms of revivals and the eclecticism of Art Nouveau’s “creative splendors” as opposing sides between the nineteenth and twentieth centuries. In his view, though, both currents conflict with the three trajectories of modernity – cubisms (Le Corbusier and the age of the informal), expressionisms (Mendelsohn and Scharoun), and organic architecture, this latter being the position Zevi mainly supported ever since his return to Italy in the mid-Forties.

The construction of his critical grid additionally relies on the knowledge of the context,

produzione architettonica nell’attualità e nel passato, analizzata attraverso una attività editoriale e pubblicistica vastissima caratterizzata dalla collaborazione iniziale ad “A” e a “Metron”. Adotta poi una selezione a maglie larghe con la sua rivista “L’architettura, cronache e storia” (1950-1999) e con le cronache su “L’Espresso” (1954-1981) per articolarsi parallelamente con testi più selettivi come gli editoriali, i libri di critica, quelli di storia anzi di “controstoria”. Questa capacità di critica è alla base anche della sua attività di promotore culturale in istituzioni come l’APAO, l’INU, l’IN/ARCH, riversata nella didattica a Venezia e a Roma − dove fonda l’Istituto di critica operativa dell’architettura − e nell’uso di mezzi di comunicazione innovativi come la TV. Tra gli strumenti che Zevi utilizza nella costruzione della sua griglia critica, particolarmente importante è l’elenco che adotta non solo come parte di una “metodologia progettuale” ma anche per operare una selezione di eventi, opere, autori, immagini contrapposta ad una classificazione astratta. Per analizzare come lo usa si può prendere in considerazione il suo libro Linguaggi dell’architettura contemporanea (Etaslibri 1993) dove per la selezione di opere e autori specifica i criteri adottati e i “no”. I “no” riguardano le architetture del post-moderno degli anni ’70 e ’80 del Novecento ma i “no” riguardano anche l’uso di una selezione per nazionalità, per tipologie o per tendenze linguistiche e globalizzanti, per correnti, per “stili” applicabili in ogni stagione. Nello scegliere 100 architetti e 100 opere costruite tra 1950 e il 1980 in Italia e all’estero, Zevi propone un primo insieme di criteri selettivi tra cui: il grado zero dell’architettura, il “razionalismo antistandardizzato”, l’area in bilico tra razionalismo ed espressionismo, le scomposizioni, “il favoloso mondo degli organici”, l’urbatettura e la paesaggistica, la comunicazione tecnologica e infine «i decostruttivisti» che «hanno avuto l’inestimabile merito di seppellire il post-moderno». I decostruttivisti a partire dal 1988 sono 7: Coop Himmelblau, Zaha Hadid, Rem Koolhaas, Daniel Libeskind, Bernard Tschumi, Peter Eisenman e Frank O. Gehry, cui si aggiungono Renaudie, Pietilä, Erskine, Kroll, Behnisch, Meier, Ricci, Pei e

of present and past architectural production analyzed through a wide-ranging editorial and journalistic activity, starting with his collaboration with A and “Metron”. Subsequently, he would adopt a looser selection with his journal L’architettura c. e s. (1950) and his “Chronicles” column for “L’Espresso” (1954-1981), complemented by a more selective production – his editorials, and critical and historical, or “counter-historical” books. Such critical skill also served him in his efforts as a cultural promoter within institutions like APAO, INU, IN/ARCH, as well as in his teaching activity in Venice and Rome where he established the Institute of Architecture’s Operating Criticism (Istituto di Critica Operativa dell’Architettura), and in his use of TV, at the time an innovative medium. Zevi relied on a number of tools to build his critical grid, most importantly the lists he adopted not just as part of a “design methodology” but even to select events, works, authors, and images as opposed to abstract classification. A good example of how he used such lists may be found in Linguaggi dell’architettura contemporanea (ETASLIBRI, 1993), a book that detailed the criteria he either adopted or avoided to select works and authors.

He avoided 1970s and 1980s post-modern architecture well as a selection based on nationality, typologies or linguistic and globalizing trends, on currents, or “styles” applicable to any season. Zevi proposed a first group of criteria to select 100 architects and 100 works built between 1950 and 1980 in Italy and abroad. These included the zero degree of architecture, “anti-standardized rationalism”, the area straddling rationalism and expressionism, decompositions, “the fabulous world of organic architects”, urbarchitecture and landscape design, technological communication and, finally, «the deconstructivists» who had «the invaluable merit of burying post-modern…». Since 1988, deconstructivism has had seven main exponents – Coop Himmelblau, Zaha O. Hadid, Rem Koolhaas, Daniel Libeskind, and Bernard Tschumi, as well as Peter Eisenman and Frank O. Gehry. At the same time, being aware of the relativity of lists, Zevi proposes an additional and equally useful group

SVILUPPI DELLA TERZA AVANGUARDIA DEL NOVECENTO

DEVELOPMENTS OF THE THIRD AVANT-GARDE

DURING THE 20TH CENTURY

L' A

’architettura-paesaggio è uno dei più importanti sviluppi della Terza Avanguardia del 900, che fin dagli anni 80 aveva rinnovato l’architettura grazie a una strategia di totale apertura verso tutti i campi disciplinari. Verso la filosofia, ove ha avuto un grande ruolo il poststrutturalismo (Lyotard, Derrida, Edgar Morin, Foucault); verso il campo scientifico, ove il principio di non causalità aveva evidenziato come andasse «archiviato il concetto classico della scienza, e cioè che la natura funzioni come una macchina ben lubrificata che ubbidisca a leggi implacabili, deterministiche e controllabili, essendo invece un ambiente complesso, sorprendente e soltanto limitatamente prevedibile; verso la matematica, con lo sviluppo degli algoritmi e con la geometria dei frattali; verso il cinema, la letteratura, la poesia; e inoltre verso la sociologia, ove la dualità bipolare di fondo tra omologazione e identità dominava la struttura del sociale e folle fluttuanti multietniche e pluriculturali costituivano oggetto di studio della complessa società urbana contemporanea; infine aperta alle analisi antropologiche della città. Tra le principali linee di ricerca, oltre al decostruttivismo, (che seguiva il pensiero del filosofo francese Jacques Derrida), erano praticate le strategie della metamorfosi, le teorie della complessità di Edgar Morin la situationsarchitektur di Gunther Behnisch, la componente surrealista, le procedure della pop-art. Non è stato secondario il ruolo delle scuole: l’Architectural Association di Londra, la Cooper Union, Usa, la Bartlett di Londra hanno contribuito alla riformulazione

rchitecture-landscape is one of the most important developments of the twentieth century Third Avant-garde that, ever since the 1980s, has renewed architecture with a strategy of total openness towards other disciplines such as: philosophy and the major role played by post-structuralism (Lyotard, Derrida, Edgar Morin, Foucault); the scientific realm and the principle of noncausality that demonstrated how «nature is a complex, surprising and only in part controllable environment rather than the well-oiled machine that obeys to ruthless, deterministic and controllable laws described by classical science»; mathematics and its development of algorithms and fractal geometry; cinema, literature, poetry; and finally, sociology and the fundamentally bipolar duality between homologation and identity that dominated the social realm and the flowing, multi-ethnic and multi-cultural crowds in the complex contemporary society that became its subject of study; as well as the anthropological analyses of the city. Among the main directions of research, aside from deconstructivism (following the French philosopher Jacques Derrida’s research), there were the strategies of metamorphosis and the theories of complexity proposed by Edgar Morin, as well as Gunther Behnisch’ situationsarchitektur, the Surrealist school, Pop Art and its practices. Architecture schools had a far from accessory role in this process: the Architectural Association and the Bartlett schools in London, and the Cooper Union in the US contributed to the redefinition

Copertina del libro La Terza Avanguardia in architettura / Cover of the book The third avantgard in architecture, di/by Gabriele De Giorgi, Diagonale, Roma, 1998.

della didattica (dalla AA, dalle sue aule, sono usciti o vi hanno insegnato Hadid, Coop Himmelb(l)au, Tschumi, Koolhaas, Steven Holl, Libeskind e tanti altri), hanno promosso i nuovi compiti e gli obiettivi dell’architetto nell’idea dell’organizzazione dello spazio urbano, nell’idea di città, nelle connotazioni delle sue parti, nei tracciati, nei volumi, nei grandi interni. L’intero bagaglio concettuale e formale del moderno fu sottoposto a profonde revisioni. Si guardava inoltre verso le altre due avanguardie del XX secolo, (la prima, d’inizio 900; la seconda, degli anni 60-70). Le conseguenze furono rivoluzionarie: consistettero prima di tutto in un processo di introiezione-trasformazione creativa che si avvaleva nella maggior parte dei casi di un prelievo di categorie, di temi, di oggetti, di strutture, di maglie, di griglie, di reti, di tracciati, desunti senza preclusioni dalle aree “critiche” delle città; poi in operazioni di restituzione e riporto attraverso un procedimento di dislocazione, di deformazione, di ricontestualizzazione. Esse furono compiute in molti modi diversi, in funzione non solo dei contesti, ma soprattutto in relazione alla sensibilità e al talento dei progettisti. Tra le ricerche, le aperture, le esplorazioni principali, quelle rivolte verso le trasformazioni degli scenari post-metropolitani erano le più interessanti. Gehry si riferiva al “cheapscape” urbano di Los Angeles: un paesaggio postindustriale di scarti, manufatti precari, materiali poveri ed industriali diffusi nel territorio, ben diverso da quello di Las Vegas cui si riferiva Venturi. Il paesaggio in Gehry esprimeva le contraddizioni della società consumistica che accumula di tutto in maniera aberrante. Hadid aveva inaugurato il nuovo tema della fluidità paesaggistica, per un’architettura di flussi derivati dalle configurazioni dinamiche estratte dal territorio. Thom Maine di Morphosis aveva posto la questione della “strategia del rovesciamento”, secondo la quale il progetto agisce sul caos e tenta di ragionare su come ricavare qualità urbana da ciò che non è strutturato, che non ha leggi, specialmente nelle pieghe dei territori caotici delle città contemporanee. Rem Koolhaas, per ridare vita a territori e grandi città, si riferiva al tema della grande

of educational strategies (many leading exponents of contemporary architecture studied or taught at the AA, from Hadid to Coop Himmelb(l)au, Tschumi, Koolhaas, Steven Holl, Libeskind among many others). They promoted new tasks and goals for architects in terms of how to organize urban space and conceive the city, how to design components, lines, volumes, major interiors. The entire conceptual and formal legacy of Modernism was subject to a deep revision. There was also a close connection with the two other avant-gardes of the twentieth century (the first one dating back to the beginning of the century, the second one emerging in the 1960s-70s). The result was a revolution: first of all, there was a process of creative introjection-transformation that mostly relied on categories, issues, objects, structures, grid, networks, tracings freely drawn from the city’s “critical” areas; subsequently, the process implied their restitution and redefinition through dislocation, deformation, recontextualization. Such operations were carried out in many different ways certainly resulting from the context but even more from the sensibility and talent of each designer. The most interesting researches, openings and explorations addressed the transformations of post-metropolitan scenarios.

Frank O. Gehry worked on Los Angeles’ urban “cheapscape”: a post-industrial landscape made of rejected elements, precarious artefacts, poor and industrial materials scattered on the land, unlike from the Las Vegas landscape described by Venturi. Gehry’s landscape reflected the contradictions of a consumer society obsessed with hoarding. Having inaugurated the new theme of landscape fluidity, Zaha Hadid created an architecture of flows inspired by the dynamic configurations of the land itself. Morphosis’ Thom Mayne proposed a “strategy of reversal” based on which the project acts on chaos to derive urban quality from what is unstructured and ungoverned, especially in the folds of the chaotic space of contemporary cities. Rem Koolhaas relied on the principle of large scale to revive territories and

Nel Cinema Center di Busan di Coop Himmelb(l)au. «Al centro della composizione –afferma Wolf D. Prix – c’è lo spazio pubblico, utilizzabile per le più diverse manifestazioni». «I volumi costruiti sono pensati come rilievi di un paesaggio multiforme, montagne e colline che emergono da una matrice topologica comune – dispiegandosi per supportare eventi fra cui festival, la tradizionale passerella dei divi sul tappeto rosso – che è parte integrale dei percorsi urbani. La Memorial Plaza è protetta dalla grande copertura che, di notte, la illumina con luci led. Questo “tetto volante”, in grado di smaterializzarsi in flussi luminosi, è a tutti gli effetti un cielo virtuale che si offre come nuovo paradigma delle relazioni tra l’arte del costruire e quella delle immagini in movimento» ( Da “ Progettare”).

Tutte le procedure dell’architetturapaesaggio tendono ad esprimere il

encourage connections and the enjoyment of peculiar atmospheres. In Paris, Rome, Los Angeles, Lyon, with Nouvel (his Philharmonie concert hall and related public open spaces), Piano (his Auditorium with annexed connective spaces), Gehry, Coop Himmelb(l)au, among many others.

«The Philarmonie is an open place – Jean Nouvel says about his new concert hall in Paris – First of all, the hall and foyer offer a host of opportunities for visitors to meet, spend some time shopping in the boutiques, eat or drink at the bistros’ gardens, read in the halls.»

Coop Himmelb(l)au’s Busan Cinema Center: «The center of the composition – Wolf D. Prix says – is a public space that can be used for a whole range of events». «The built volumes are designed as reliefs of a varied landscape with mountains and hills emerging from a common topological matrix – and deployed to support several events including festivals,

MAD, Harbin cultural centre, 2010.

movimento: scorrimento, sinuosità, continuità, fluidità muovono linee e volumi. Gli esterni e gli interni si alternano in un continuo evolversi reciproco, estendendosi nello spazio circostante, nei percorsi, nelle direzioni e reti. «Tutti gli oggetti – diceva Boccioni a proposito del trascendentalismo fisico – tendono verso l’infinito per mezzo delle loro linee-forza delle quali la nostra intuizione ne misura la continuità». Boccioni aveva individuato nel paesaggio la forza vitale che concorre a definire le forme. Le sue opere costituiscono un riferimento concettuale straordinario. L’architetturapaesaggio è un’architettura ariosa, evita le linee finite, le strutture chiuse. Il Paesaggio si lega alle forme attraverso masse e flussi atmosferici. I percorsi entrano negli spazi architettonici come materiali dell’architettura – le direzioni che attraversano i siti – l’acqua che entra nel gioco delle architetture – il deserto ad Agadir di Koolhaas – le dune di Jean Nouvel a Rimini – i cristalli di Libeskind – le nuvole di Fuksas e Coop Himmelblau – le vele e il cheapskype di Gehry – paesaggi di erosioni

the traditional red carpet for movie stars – that is integral to the urban paths. The Memorial Plaza is sheltered by a large roof covered with LED elements that light it at night. This “flying roof” that can dematerialize in luminous flows becomes a virtual sky and the new paradigm for the relations between the art of building and the art of moving images». (From “Progettare”) All the processes expressed by architecturelandscape tend to convey movement: flow, sinuosity, continuity, fluidity generate lines and volumes. Exterior and interior spaces alternate in a continuous mutual evolution and expand into the surrounding paths, directions and networks. «All the objects – Boccioni wrote about physical transcendentalism – tend to the infinite by their force-lines, the continuity of which is measured by our intuition». Boccioni saw in landscape the vital force that contributes to shape the forms. His works provide an extraordinary conceptual inspiration. Architecture-landscape is an airy architecture that avoids finished lines and closed structures. Landscape

MAD, Pingtan art museum, Fujian, 2010.

un’architettura organica: «[…] la generazione di architetti che alla fine della guerra sarà chiamata a ricostruire in immensi territori devastati, ha bisogno continuamente di fare un esame di coscienza. Anche perché, impregnata delle teorie dei padri, se non si propone di pensare criticamente al proprio lavoro, anziché maturarle le seguirà rigidamente e passivamente, oppure le abbandonerà senza giustificazioni»9 . Fra quella prefazione datata febbraio 1944 e la lezione veneziana su Wickhoff del novembre 1949 passano quasi sei frenetici

and present. That continuing narrative was constantly evolving, as demonstrated by the “reviewed” fifth edition of How to look at Architecture [1956], “with twenty additional tipped-in plates”. While its text and charts layout remained unchanged, the new edition offered ten additional notes, as well as forty tipped-in plates (with 142 photographs rather than the first edition’s 81 in twenty tipped-in plates). In one of the added endnotes, n. 15, entitled Originality of ancient Rome, Zevi wrote, «Unfortunately, Roman architecture lacked an exegete like Wickhoff but the fundamental unity in the arts is such that its patterns naturally overflowed into architecture. The continuing narrative of the imperial Fora, the static urban spaces entirely enclosed by constructions, the Pompeian house itself, isolated from the outer world and exclusively facing its courtyards, the expansive scenes that close the Greek theater’s free horizons, the amphitheater as a duplication of the theatre (Pl. 6a). All of these elements pursue the same illusionistic intention and the continuing artistic narrative within which architecture evolves into urban planning»7. Zevi would find his own way by following in Wickhoff’s footsteps, and would go even further, as clearly argued in his introduction to Architectura in nuce [1960], «In his study about Die Wiener Genesis (1895), Wickhoff was insightful enough to capture the original features of Roman art in all of its figurative expressions, but gave up on writing the chapter about illusionism and the continuing narrative of architecture”8.

Continuing narrative

As implied in the introduction to Towards an Organic Architecture, the “continuing narrative of architecture” was an approach Zevi had become aware of at the beginning of his “impatient” pursuit for a new architecture criticism applied to architectural practice, «[…] soul-searching is a constant duty for a generation of architects that at the end of the war will have to rebuild immense devastated territories. Being saturated with the theories of their forebears, they must constantly and critically review their own work if they want to develop those theories

Bruno Zevi, Saper vedere l’architettura, 1948, tavola 3 / Table 3
Bruno Zevi, Saper vedere l’architettura, 1948, tavola 6 / Table 6
“SCRIVERE LA STORIA COL PUGNALE” GIORGIO CIUCCI

RICORDI DAL LAGO DI COMO, IL CONVEGNO SU TERRAGNI, 1968

MEMORIES FROM LAKE COMO

L'Come per gran parte degli studenti della generazione iscritta alla Facoltà di Architettura all’inizio degli Anni Sessanta alcuni libri di Bruno Zevi – Storia dell’architettura moderna, Saper vedere l’architettura, Verso un’architettura organica – furono alla base della mia formazione. Quando nel 1963 egli tornò a Roma dopo i suoi anni allo IUAV (Istituto Universitario di Venezia), le sue lezioni mi introdussero ancora di più nello straordinario mondo che le sue pagine mi avevano rivelato. Un mondo avventuroso, nel quale l’architetto era chiamato a sfide continue, soprattutto con se stesso, consistenti nel superare volta per volta il fissarsi del proprio linguaggio in forme che potevano divenire statiche e convenzionali. Per Bruno Zevi la ricerca architettonica era come un fiume il cui scorrere, in sintonia perfetta con la vita, non perdeva mai di vista la foce, ma attraversando territori sempre nuovi che ne modificavano costantemente il corso. Nel 1968 uscì un numero molto importante di L’architettura, cronache e storia, la sua rivista, dedicato a Giuseppe Terragni, al quale seguì, nello stesso anno, un Convegno a Como. A venticinque anni dalla sua scomparsa una riflessione estesa sull’autore della Casa del Fascio doveva reinserire la sua opera, ancora sospesa in una sorta di limbo nel dibattito di allora, al quale poteva dare, come accadde di lì a qualche anno, ad esempio con le analisi di Peter Eisenman, un contributo che si rivela nel corso del tempo quanto mai attuale. Nel frattempo, dalla mia iscrizione alla Facoltà erano passati sette anni, e alla visione zeviana della storia se ne erano associate altre. In particolare, quelle di Manfredo Tafuri e di Paolo Portoghesi.

ABeing part of the generation that studied at the Faculty of Architecture in the early 1960s, Bruno Zevi’s books – Storia dell’architettura moderna, Saper vedere l’architettura, Verso un’architettura organica – were the pillars of my education. When, in 1963, Zevi returned to Rome after a few years at the IUAV (University Institute of Venice), his lessons guided me further into the extraordinary world I had glimpsed in his books. An adventurous world where architects had to face constant challenges, most of all with themselves, in order to avert the freezing of their own language into static and conventional forms. For Bruno Zevi, architectural research was like a river that, in a perfect identity with life, never lost sight of its estuary even when it flowed through ever-new territories that constantly changed its course. In 1968, his magazine, L’architettura, cronache e storia, published a very important monographic issue about Giuseppe Terragni, followed by a Conference held in Como later that year. It was a meditation about the designer of the Casa del Fascio that, twenty-five years after his death, tried to reframe his work, at the time still suspended in a sort of limbo. As Peter Eisenman’s analysis would prove within a few years, Terragni’s work might provide an inspiration that has remained as topical as ever over time. In the meantime, seven years after I started my studies at the university, other views of history besides that of Zevi – in particular those of Manfredo Tafuri and Paolo Portoghesi – had attracted my interest. The heroic view of the architect, constantly committed to the reinvention of his own tools, was complemented by Manfredo

All’eroismo dell’architetto, impegnato in un incessante lavoro di reinvenzione dei suoi stessi strumenti, si affiancava per un verso l’attenzione di Manfredo Tafuri per la relazione tra ideologia e architettura, alla luce della volontà di comprendere le contraddizioni nelle quali progettare e costruire si trovano ad operare; per l’altra la possibilità, in cui credeva e crede ancora Paolo Portoghesi, di prelevare direttamente dalla storia dell’architettura modelli orientativi capaci di costruire paradigmi tematici e linguistici efficaci per pensare il presente e il futuro. Il mio rapporto con l’architettura divenne in quel periodo l’esito di continue triangolazioni tra questi tre riferimenti in una poetica, a volte sincretica, nella quale parti degli edifici teorici costruiti dai tre storici erano montati in una sequenza dotata di una sufficiente chiarezza e di una certa possibilità di generare proposte compositive. Tanto per restare nell’ambito italiano, nella mia concezione della storia dell’architettura moderna non entrò la linea interpretativa proposta da un altro grande protagonista dell’architettura italiana del secondo dopoguerra, Leonardo Benevolo. Egli non credeva nell’autonomia, seppure relativa, del linguaggio architettonico, per me estremamente importante, considerando il progetto come l’esito quasi meccanico di logiche ritenute prioritarie come quelle politiche, sociali e produttive.

Il Convegno su Giuseppe Terragni rappresentò per me, i miei amici dello Studio Atrio Testaccio, e altri studenti e architetti con i quali condividevo idee e programmi, un momento fondamentale dal punto di vista delle nostre convinzioni, peraltro ancora in formazione, sul dibattito architettonico e in generale sul nostro futuro. La scelta di Bruno Zevi di dedicare un incontro di dimensione internazionale a una personalità come quella di Giuseppe Terragni sembrò a noi, che cercavamo allora uno spazio riconoscibile sulla scena architettonica in accordo con il clima anti istituzionale del 1968, e quindi all’interno di una voluta condizione di marginalità, l’esito di una strategia che avrebbe reso il grande architetto comasco un mito più che una fonte di nuove idee progettuali ancora da esplorare che per noi avrebbe dovuto restare in un certo senso segreta o, almeno, apparta-

Tafuri’s focus on the connection between ideology and architecture, stimulated by a will to understand the contradictions that surround design and construction. On the other hand, Paolo Portoghesi believed and still believes that the history of architecture may provide the leading models for the construction of effective thematic and linguistic paradigms to address the present and the future. During that period, I developed my relationship with architecture from constant triangulations of these three models in a sometimes syncretic poetics that assembled parts of the theoretical structures built by the three historians in a sequence that was clear enough and capable of generating compositional solutions. Just to remain in the Italian context, my view of modern architecture did not incorporate the interpretation proposed by Leonardo Benevolo, another major protagonist of post-war Italian architecture. Unlike me, Benevolo did not believe even in the slightest autonomy of the architectural language as he considered design as the almost mechanic result of other, more important factors of political, social and industrial nature.

Copertina de “L’architettura, cronache e storia”, n. 153, luglio 1968, dedicato a Giuseppe Terragni / Cover of “L’architettura, cronache e storia”, n. 153, July 1968, devoted to Giuseppe Terragni

Lo schema di assetto della Passeggiata Flaminia / Arrangement scheme of Passeggiata Flaminia

notevolmente semplificato e innervato da quello che oggi è viale Bruno Buozzi, mentre venne conservato il tracciato rettilineo della Passeggiata Flaminia sino all’altezza dell’attuale Ministero della Marina. Intorno al 1924, Raffaele De Vico, consulente artistico per i Giardini del Comune, realizzò infatti il parco lineare delimitato da via Flaminia e viale Tiziano nel tratto compreso tra piazzale Manila (sul quale fin dal 1911 si apriva l’ingresso dello Stadio Nazionale) e viale delle Belle Arti. Purtroppo, nel 1905, un improvvido intervento dell’Istituto Case Popolari (il complesso “Flaminio I”) aveva interrotto (e interrompe tuttora) il disegno del giardino all’altezza di via Canina, di fronte alla Chiesa di Sant’Andrea del Vignola. Il Piano del 1931 ha poi modificato in maniera significativa la configurazione della Passeggiata destinando alla realizzazione di una sequenza lineare di palazzine il tratto settentrionale tra piazzale Manila e piazzale Cardinale Consalvi. Le Olimpiadi di Roma si svolsero dal 25 agosto all’11 settembre 1960 e furono le prime ad essere diffuse in tutto il mondo attraverso la televisione; trasmisero, a quindici anni dalla fine della guerra, le immagini di una Roma città di pace, rinnovata ed efficiente. Furono un grande successo e di questo successo i nuovi impianti e le nuove attrezzature sportive furono parte integrante e contribuirono a diffondere una nuova immagine della città e una sua diversa identità, circoscritta ma decisamente moderna. Della costruzione di questa nuova immagine Pier Luigi Nervi fu il maggiore protagonista: a lui si devono infatti il Palazzo dello Sport all’EUR, il Palazzetto dello Sport, lo Stadio

telecast worldwide; fifteen years after the War’s end, they broadcast images of Rome as a revitalized and efficient city of peace. They were a great success, and the new facilities and sporting equipment were an integral part of this success, helping spread a new image of the city and of its different, circumscribed but decidedly modern identity. Pier Luigi Nervi was the leading figure in building this new image: he is in fact to be credited with Palazzo dello Sport in EUR, Palazzetto dello Sport, Stadio Flaminio, as well as the Corso Francia viaduct. Thanks to television, those places – venues for, among other things, football, basketball and boxing (sports quite popular at the time) as well as weight lifting and wrestling – became familiar to the general public.

In the strategies of the 2008 plan, although Nervi’s complex of Olympic equipment built in Flaminio was an important asset and a significant hub in the “Flaminio-Fori-EUR” strategic setting, it appeared in reality conditioned by some inconsistencies: the urban space was indeterminate, daily use was rather depressed, and the value of identity provided by the presence of architectures and of the natural landscape was substantially denied; the quality of the public space was to a great degree compromised by degradation and by the presence of very large car parks and vehicular areas.

The proposal’s underlying objective is to recover – within the limits of what is possible today – the structure and meaning of “Passeggiata Flaminia”; for this reason, the design setting extends from Porta del Popolo to the Milvian Bridge, along the axis of Via

Sezione della velostazione della linea C della Metropolitana a piazza Apollodoro, nodo di scambio tra ferro e bici / Section of the Metro Line C bike station at Piazza Apollodoro, rail/bike interchange hub

L'AMICO OSCAR

MY FRIEND OSCAR

Meticcio

Ricordo con precisione la prima volta – avevo venti anni – in cui mi capitò tra le mani una rivista in cui erano riprodotti alcuni edifici di Oscar Niemeyer e ricordo con altrettanta precisione lo stato d’animo che mi accompagnò durante la prima visita a un palazzo da lui progettato: la Mondadori di Segrate. Queste opere possenti e leggere allo stesso tempo, in cui il cemento sfida ogni legge statica per diventare scultura e imprimersi nel paesaggio con serena autorevolezza, rivelano la mente di un ideatore in pace con se stesso e inguaribilmente innamorato dei propri simili. «Il mio vero nome – ha scritto – è Oscar Ribeiro Almeida Niemeyer Soares: Ribeiro e Soares sono portoghesi, Almeida è arabo, Niemeyer è tedesco: dunque sono meticcio come meticci sono tutti i miei fratelli brasiliani».

Oscar, uno dei massimi architetti dell’ultimo secolo, è nato il 15 dicembre 1907: dunque è stato più longevo dei due architetti più longevi di tutta la storia dell’architettura: Michelangelo Buonarroti (1475-1564) e di Giovanni Michelucci (1891-1990).

Oscar è l’unico progettista al mondo che abbia disegnato ex-novo un’intera città, Brasilia; la quale, a sua volta, è l’unico sito che, ancora vivo il suo progettista, sia stato dichiarato dall’Unesco patrimonio dell’umanità. Insieme a Le Corbusier, ha firmato il palazzo delle Nazioni Unite a New York e il Palazzo destinato al ministero della Cultura a Rio de Janeiro.

Oltre ai grandi edifici pubblici della capitale, in Brasile Niemeyer ha progettato centinaia

«Ciò che conta non è l’architettura ma la vita, gli amici, la famiglia e questo mondo ingiusto che dobbiamo modificare».

«The most important thing isn’t architecture, but life, friends, family, and this unjust world we must make a better place».

Oscar Niemeyer

Mestizo

Iremember accurately the first time – I was twenty years old – I chanced upon a magazine with pictures of some buildings by Oscar Niemeyer, and I remember just as accurately the emotions that stayed with me during my first visit to a building he designed – the Mondadori Headquarters in Segrate. These works are powerful and light at the same time; in them, concrete challenges every statics law to become sculpture, and to impress itself on the landscape with serene assurance. They reveal the mind of a creator who is at peace with himself, and incurably in love with his fellow creatures. «My real name» – he wrote – «is Oscar Ribeiro Almeida Niemeyer Soares. Ribeiro and Soares are Portuguese, Almeida is Arabian, Niemeyer is German; so, I am a mestizo, just as all my Brazilian brothers are mestizos».

Oscar, one of the greatest architects of the last century, was born on December 15th, 1907. He lived longer than the longest-lived architects in the history of architecture –Michelangelo Buonarroti (1475-1564) and Giovanni Michelucci (1981-1990).

Oscar was the only one in the world to design an entire city, Brasilia, from scratch; and Brasilia itself was the only site to become a UNESCO World Heritage Site while its designer still lived. Together with Le Corbusier, he designed the United Nations Headquarters in New York and the Ministry of Education Building in Rio de Janeiro.

Other than the capital’s great public buildings, in Brazil Niemeyer designed

di capolavori come il museo, l’auditorium e la cattedrale di Niteròi; i complessi del Parco Ibirapuera e del Memoriale latino-americano a San Paolo; il complesso Pampulha e quello del governatorato a Belo Horizonte. In Francia ha progettato la Renault e la sede del Pcf; in Algeria l’università di Costantine e la moschea di Algeri; in Israele, il campus dell’Università di Haifa; in Italia la Mondadori di Milano; a Funchal, nella Regione autonoma di Madera, un casinò; in Malaysia la moschea di Penang.

Come è avvenuto in passato per Michelangelo, Tiziano e Picasso, la fecondità artistica di Niemeyer, già prodigiosa nel corso di tutta la sua lunga vita, è diventata addirittura torrenziale nella maturità. Il grandioso museo d’arte moderna a Curitiba, la Serpentine Gallery di Hyde Park a Londra, l’auditorium di Ravello, i palazzi del governatorato di Belo Horizonte, il Centro Culturale Internazionale di Avilés nelle Asturie (“Una piazza aperta in tutto il mondo, un luogo di istruzione, cultura e pace”), il museo delle acque a Fortaleza, un terzo grande museo a Bahia, il Teatro Bolshoi a Joinville basterebbero da soli per rendere universalmente celebre un architetto. Niemeyer li ha progettati tutti dopo il novantesimo anno.

L’età dei geni

Se si ripercorre la storia della creatività umana colpisce l’assoluta mancanza di un rapporto costante tra l’età dei creativi e la loro produzione. Baudelaire, Mozart, Raffaello, Rimbaud sono morti ancora prima dei quarant’anni. Altri hanno smesso di comporre assai prima della loro morte: Rimbaud, scomparso a 37 anni, ha smesso di scrivere intorno ai vent’anni; Rossini, morto a 74 anni, ha scritto quasi tutta la sua musica entro il trentanovesimo anno di età; Joaquìm Rodrigo, cieco fin dall’infanzia, è vissuto quasi un secolo e a 40 anni ha composto il Concierto de Arajuez divenuto così celebre da condizionare quasi patologicamente tutta la sua produzione posteriore. Altri artisti hanno avuto cicli di frenetica creatività alternati con periodi sterili: Michelangelo ha eseguito la Pietà, il Davide e la volta della Cappella Sistina prima dei 40 anni; poi, per quindici anni, è rimasto praticamente inoperoso;

hundreds of works of art such as the museum, concert hall and cathedral of Niteroi; the Ibirapuera Park and Latin American Memorial complex in São Paulo; the Pampulha complex and the governorate building in Belo Horizonte. In France he designed a Renault branch office and the French Communist Party’s headquarters; in Algeria, the University of Constantine and the Mosque of Algiers; in Israel, the campus of the University of Haifa; in Italy, the Mondadori Headquarters in Milan; a casino in Funchal, Madeira archipelago; in Malaysia, the Mosque of Penang.

Niemeyer’s artistic productivity, already prodigious during his long life, became positively torrential during his maturity – as it happened in the past for Michelangelo, Titian and Picasso. The majestic M odern Art Museum in Curitiba, the Serpentine Gallery of Hyde Park in London, the concert hall in Ravello, the governorate complex in Belo Horizonte, the International Cultural Centre of Avilés in Asturias (“A plaza open to the whole world, a place of education, culture and peace”), the water museum in Fortaleza, a third great museum in Bahia, the Bolshoi Theatre in Joinville – by themselves, they’d be enough to make an architect worldrenowned. Niemeyer designed them all after he turned ninety.

Oscar Niemeyer mentre progetta l’Auditorium / Oscar Niemeyer designing the Auditorium.

Nazioni Unite a New York o la cattedrale di Brasilia, fanno ormai parte imprescindibile dell’iconografia mondiale, accanto alla torre Eiffel o alla cupola di San Pietro. Ma ci sono ancora altre buone ragioni che fanno di Niemeyer un genio a parte. Egli è forse l’unico, in tutta la storia dell’architettura, ad avere progettato e costruito in soli quattro anni un’intera città milionaria. Con lui, per la prima volta, il Terzo Mondo si è espresso attraverso un’architettura profondamente indigena e tuttavia capace di gareggiare, per arditezza tecnologica e per originale purezza di forme, con la grande architettura del Primo Mondo, confrontandosi a testa alta con i Brunelleschi e i Bernini, gli Hoffmann e i Gropius.

Un nuovo paradigma architettonico Nel 1940, a 33anni, Niemeyer incontrò l’allora sindaco di Belo Horizonte, Juscelino Kubitschek, impegnato nella realizzazione di Pampulha, un nuovo quartiere a nord della città. Kubitschek commissionò a Niemeyer la progettazione degli edifici più importanti del quartiere distribuiti attorno a un lago artificiale: la chiesa, il casinò, la discoteca, il ristorante, lo yacht club, il golf club e un hotel di 100 stanze. La chiesa di San Francesco d’Assisi, l’edificio con cui fu avviata la costruzione del quartiere, fu anche il primo monumento moderno in Brasile con cui, per la prima volta nella storia dell’architettura, un architetto del Terzo Mondo imponeva il suo stile all’ammirazione dei Paesi avanzati. Completata nel 1943, la chiesa fu subito acclamata come un capolavoro in una mostra al Moma di New York, ma destò scandalo in patria, dove il clero di Minas Gerais si rifiutò di consacrarla fino al 1959, sia per la sua forma non ortodossa, sia per la pittura murale dell’altare, firmata da Candido Portinari, in cui il Cristo era rappresentato come salvatore di matti, poveri ed eretici. Con questi capolavori, combattendo la monotonia dell’architettura brasiliana di quell’epoca, Niemeyer valorizzava le opportunità plastiche offerte dal cemento armato, che per tutta la vita egli modellerà così come uno scultore modella la cera, e dispiegava tutta la sua passione per le curve: «le curve libere e sensuali secondate dalle possibilità

struggles of the landless workers, the environmentalists, the destitute, the victims of persecution, the poor, and shared their frugality (“I’d be ashamed if I was a rich man”). On the human side, he stayed a good-hearted genius, simple, helpful, generous and inflexible.

Today there’s no city – from Barcelona to Dubai, from Bilbao to Rome – that doesn’t harbour the ambition to redesign itself and its own skyline by awarding construction projects to archistars, to the most famous names of contemporary architecture – from Norman Forster to Renzo Piano, from Zaha Hadid to Jean Nouvel, from Massimiliano Fuksas to Santiago Calatrava, from Frank Gehry to Norman Foster and Paulo Mendes da Rocha. But Niemeyer was ahead of this wave by half a century, and he was the only one in the world to revolutionize the architecture of the whole planet. Some of his buildings, such as the United Nations Headquarters in New York or the cathedral of Brasilia, are by now a permanent part of the world’s iconography – just as the Eiffel tower or Saint Peter’s dome are. But there are still other good reasons that set Niemeyer apart as a genius. He might have been the only one, in the entire history of architecture, to design and build an entire millionaire city. Thanks to him, for the first time, the Third World manifested itself through a profoundly indigenous architecture, yet able to compete in technological boldness and unique purity of shapes with the great architecture of the First World, holding its head high when confronted with Brunelleschi and Bernini, with Hoffmann and Gropius.

A new architectural paradigm

In 1940, when Niemeyer was thirty-three, he met the then-mayor of Belo Horizonte, Juscelino Kubitschek, who was involved in the construction of Pampulha, a new neighbourhood in the north of the city. Kubitschek tasked Niemeyer with the design of the most important buildings of the neighbourhood, spread out around an artificial lake – the church, casino, disco, restaurant, yacht club, golf club and a hotel with one hundred rooms. The Church of

RUBRICHE COLUMNS

Intersezioni Linguistiche Languages’ Intersections

a cura di / editor

Roberta Lucente

Qualche mese fa, in uno dei suoi scritti Alessandra Muntoni si chiedeva fino a che misura l’architettura debba oggi rassegnarsi a rendere esclusiva testimonianza del presente e quanto invece essa non possa ancora ritenersi legittimata a rivendicare i propri specifici strumenti, anzitutto linguistici. Questione cruciale, posta sottintendendo una poco velata propensione in favore dell’affermazione della seconda opzione. Una questione che si ripropone da qualche tempo nei termini di una vera e propria querelle, a seguito della sempre più evidente contrapposizione tra lo spontaneo e progressivo accumularsi dei cosiddetti “paesaggi dell’ordinario” e il concomitante deflagrare delle forme della “Terza avanguardia”, per parte loro impegnate nella strenua affermazione dell’autonomia dei linguaggi dell’architettura, sin dal volgere di un secolo, il Novecento, che ne ha segnato mutazioni feconde e irreversibili.

Le pagine di Metamorfosi, dichiaratamente sensibili a tali specifiche autodeterminazioni della cultura architettonica, nell’arco di tre decenni non hanno per questo mancato di documentare la capacità dell’architettura di intersecare le diverse forme delle manifestazioni della realtà traendo alimento da una naturale predisposizione all’interazione, sia provocata che accidentale, con le altre espressioni del sapere implicate nelle rappresentazioni delle sempiterne evoluzioni del divenire. Questa rubrica intende continuare a riflettere su simili “intersezioni”, ponendo esattamente la questione del limite dello specifico dei linguaggi dell’architettura a monte e a valle di esse.

Non c’è bisogno di ritornare una volta

A few months ago, Alessandra Muntoni wondered in one of her writings whether architecture should be content with merely reflecting the current situation as it is, or whether it should instead still consider itself legitimized to work on reality with its own tools, namely its linguistic tools. In asking this certainly crucial question, Muntoni seems to favour the latter option. This question has been debated for some time as an actual querelle following the increasingly radical opposition between the spontaneous and gradual development of the so-called “ordinary landscapes” and the simultaneous explosions of the forms of the “Third Avant-garde” that have instead fiercely affirmed the independence of architectural languages ever since the early twentieth century, a time during which it underwent fruitful and irreversible changes.

For over thirty years Metamorfosi has carefully observed architectural culture’s attempts at self-determination precisely by reporting on its ability to connect with the other manifestations of reality and intersect with other expressions of knowledge implied in the representations of reality’s constant evolutions by building on architecture’s natural inclination to both researched and accidental interaction. This column intends to keep on reporting on these “intersections” precisely by addressing the question of the boundary of architectural language’s specificity both upstream and downstream of such intersections. There is no need to go back once more to Vitruvius and his memorable description of the architect’s “versatility” to demonstrate architecture’s intrinsically cross-disciplinary approach, its readiness to establish dialogues with different

di più a Vitruvio e alla sua memorabile descrizione della “versatilità” dell’architetto per ricordare l’attitudine intrinsecamente interdisciplinare dell’architettura, la sua disponibilità a intrecciare dialoghi con ambiti diversi della conoscenza, traducendone le istanze di innovazione sul piano della sfera insediativa. I rapporti con l’arte, con la musica, con la letteratura, con la filosofia, con il cinema, con la pubblicità, con le tecnologie avanzate, sono periodicamente affiorati dalle ricognizioni proposte dalla rivista, all’interno di rubriche tematiche (Architettura e letteratura, Tecnologie innovative, Architettura e multimedialità) come in trattazioni monografiche. L’idea di riservare uno spazio trasversale a queste possibili intersezioni, e di farne oggetto di una riflessione specifica, nasce dalla volontà di mettere nella giusta luce questa qualità precipua dell’architettura, che nella complessità della realtà odierna si pone come un valore esclusivo e perciò inestimabile, potremmo dire necessario in un tempo segnato da avanzamenti e arretramenti accelerati della società. Alcuni prevedibili e attesi, altri inopinati, ma tutti inevitabilmente legati alla dimensione umana, e perciò anche connessi con le diverse modalità sperimentate dall’uomo nell’abitare il mondo e dunque dall’architettura, per parte sua, nel recepirle e interpretarle proprio in virtù della sua capacità di interlocuzione con le altre espressioni culturali che danno voce all’esperienza umana.

Nei trent’anni di vita di Metamorfosi, le molte occasioni create per cogliere e documentare queste intersezioni hanno testimoniato le zigzaganti divaricazioni e approssimazioni tra i linguaggi propri dei campi attraversati, parallelamente alle loro reciproche evoluzioni, costruendo un vivace racconto illustrato che riparte ora da qui, per ricordarci l’irriducibile vitalità dell’architettura e la sua capacità di produrre sintesi ancora necessarie.

realms of knowledge and thereby incorporate their innovation potential in its own field of action. Architecture’s connections with art, music, literature, philosophy, cinema, advertisement, advanced technology have repeatedly emerged in the surveys proposed by the magazine both in its thematic columns ( Architecture and literature, Innovative technologies, Architecture and multimedia) and in its monographic studies. The idea of discussing these possible intersections in a specific space and exploring them through a specific meditation derives from on the intention to highlight architecture’s specific quality – an exclusive and therefore priceless, even necessary, value in our current complex reality and at a time when society moves by sudden leaps and withdrawals. While some of these intersections are expected and foreseeable and others are surprising, they are all connected to the human dimension, and therefore to how human beings have variously tried to inhabit the world, and to architecture’s ability to perceive and interpret this process by connecting with the other cultural expressions that convey the human experience.

During its thirty years of activity, Metamorfosi has created a number of occasions to capture and report on such intersections, and to reflect the winding divarication and approximation between the specific fields’ languages, as well as their mutual evolutions. We are now resuming this vividly illustrated narration to remind ourselves of architecture’s irreducible vitality and ability to produce a still necessary synthesis.

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