Forme grafiche e dimensioni sceniche nelle opere di Paolo Fantin

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Il volume è stato pubblicato con il contributo del progetto di ricerca Piaceri – A.R.I.E. – Audience, Remediation, Iconography and Environment in Contemporary Opera – Linea 2, Dipartimento di Scienze Umanistiche (DISUM), Università degli Studi di Catania, PI: Stefania Rimini.

Nell’ambito della ricerca al lavoro di Paolo Fantin è stata dedicata la tesi di laurea sperimentale di Omar Jebari, Forme grafiche e dimensioni sceniche. Analisi e interpretazione grafica degli allestimenti teatrali di Paolo Fantin; relatori: Edoardo Dotto e Vittorio Fiore; Corso di Laurea Magistrale in Architettura, Università degli Studi di Catania, a.a. 2020/21, qui rielaborata ed approfondita dall’autore.

DISUM DIPARTIMENTO di SCIENZE UMANISTICHE

ISBN 978-88-6242-973-3

Prima edizione italiana giugno 2024

© LetteraVentidue Edizioni

© Edoardo Dotto, Vittorio Fiore, Omar Jebari

Tutti i diritti riservati

È vietata la riproduzione, anche parziale, effettuata con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico. Per la legge italiana la fotocopia è lecita solo per uso personale purché non danneggi l’autore. Quindi ogni fotocopia che eviti l’acquisto di un libro è illecita e minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza. Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi comunque favorisce questa pratica commette un furto e opera ai danni della cultura. Gli autori sono a disposizione degli aventi diritto con i quali non è stato possibile comunicare.

Impaginazione: Federica Panebianco

LetteraVentidue Edizioni S.r.l.

Via Luigi Spagna 50 P 96100 Siracusa, Italia

letteraventidue.com

Indice

La scena come personaggio: lo spazio

astratto di Paolo Fantin

Vittorio Fiore

Percorsi circolari. La rappresentazione grafica tra progetto ed analisi

Edoardo Dotto

Analisi grafica e contestualizzazione scenica attraverso dieci allestimenti

Omar Jebari

Metodologia e approccio

Omar Jebari

Tre casi emblematici

Il Don Giovanni • La Damnation de Faust • La scala di seta

Omar Jebari

Conclusioni

Omar Jebari

Cronologia allestimenti scenici

Bibliografia e sitografia

Breve dialogo con Paolo Fantin

Vittorio Fiore

Rigoletto di Giuseppe Verdi, regia D. Michieletto, scena P. Fantin, Circo Massimo, Roma, 2020-2023. © Yasuko Kageyama

La scena come personaggio: lo spazio astratto di Paolo Fantin

Fare arte

Paolo Fantin è lo scenografo che “dà spazio” alle letture registiche di Damiano Michieletto. In questa sinergia, alla ricerca di nuove connessioni empatiche con le opere liriche il suo lavoro è orientato su un processo di astrazione e di sintesi degli elementi drammaturgici portanti dell’opera, da proporre scenicamente in chiave mitica e simbolica. Per sua ammissione non si tratta di operazioni di mera trasposizione1 temporale ma di un lavoro di scavo analitico alla ricerca di un concetto portante da comunicare al pubblico, ibridando visioni anche molto lontane dalla narrazione. Per suscitare l’effetto sperato ed essere apprezzata dal pubblico anche la trasposizione, quando introdotta, deve partire da una comunanza empatica tra l’ambientazione originaria e quella trasposta: in genere la ricostruzione vira verso un’astrazione dei contenuti, spogliando la scena di orpelli verso una neutra essenzialità spaziale.

«Per rendere la scenografia arte, non copi la realtà ma la inventi».

Con queste parole Fantin descrive la propria posizione, basata su un percorso creativo che punti a “fare” arte2; ciò avviene sviscerando il senso delle parole, setacciando trame mnemoniche, lavorando su suggestioni dal mondo delle arti visive, per giungere, attraverso un work in progress, ad una idea drammaturgica in cui riconoscersi. Michieletto/Fantin è un sodalizio artistico costruito nel tempo sulla totale libertà creativa concessa dal regista allo scenografo nel «rendere spazio un concetto» ancor prima di “lavorare” i personaggi.

Tecnologie e scollegamento della narratività

L’arte astratta, in antitesi alla locuzione arte figurativa, indica positivamente una manifestazione della creatività artistica giungendo, per contrapposizione polemica con essa, all’espressione arte concreta, per affermare che ogni riproduzione o interpretazione della realtà è illusoria (quindi astratta); la forma creata dall’artista indipendentemente dalla natura è la creazione di una nuova,

Aquagranda di Filippo Perocco, regia D. Michieletto, scena P. Fantin, teatro La Fenice Venezia, 2016. © Michele Crosera, Archivio Teatro la Fenice

stivali, quasi per gioco, celebrando un rito purificatore che mette pace tra Venezia e la Natura»18 (cfr. approfondimento pp. 45-47).

Sul filone dell’installazione artistica Fantin ritorna con il progetto Alloro (concepito insieme a Oφicina), una “scenografia attraversabile” dal pubblico, allestita nel Padiglione Venezia alla Biennale d’Arte del 202219. Intitolata Lympha l’opera sviluppa un racconto contemporaneo sul mito della ninfa Dafne che diviene spunto per un racconto contemporaneo. Tre i temi principali che lo scenografo mette in scena in una teoria di altrettante stanze: in tutte vi è un elemento rettangolare ripetuto: nella prima è chiaramente un letto dove, avviluppata alle lenzuola bianche, c’è una statua iperrealista, una donna assorta nel suo dramma appena vissuto. Nella seconda lo stesso elemento è una vasca di latte, un bianco liquido amniotico che rappresenta un ritorno al grembo materno: nel punto dove erano appoggiati i piedi della donna è rimasto un piccolo cumulo di cenere che ne ricorda la presenza, mentre nella vasca il liquido ribolle di un lieve respiro. La terza stanza ospita una vasca uguale alla precedente da cui cresce, come da una linfa bianca, un ramo di alloro; questo celebra la vita e la salvezza richiesta alla madre, Gea, dalla ninfa. È un ritorno alla natura esaltata nel corridoio di uscita riempito di terra.

Lympha (progetto Alloro concepito da P. Fantin con Oφicina), Padiglione Venezia, Biennale d’Arte 2022. © Sebastiano Corrò

L‘alloro, secondo la curatrice Giovanna Zabotti, è il simbolo per eccellenza della metamorfosi, che si ripete in molte storie mitologiche. È un breve viaggio che induce il visitatore ad indagare nella propria intimità, sperimentando un percorso emotivo in tre dimensioni, attraversando un dispositivo immersivo che apre domande attivando fantasia e vissuto personale in una operazione di libera e graduale conoscenza di un personaggio reso spazio.

Bozze e studi per l'analisi grafica del Don Giovanni (in alto) e de La damnation de Faust (in basso).

Percorsi circolari.

La rappresentazione grafica tra progetto ed analisi

Edoardo Dotto

Nell’ambito della rappresentazione dell’architettura, come di altre discipline collegate alla cultura del progetto, una consolidata modalità di ricerca prevede che si affrontino studi specifici su singole opere (o gruppi di esse) generalmente con lo scopo di costruire un panorama di riferimenti in grado di contestualizzare sia il percorso progettuale che gli esiti realizzati. In molti casi questi studi vengono svolti facendo ricorso principalmente a quella modalità di indagine che viene chiamata ‘analisi grafica’, che prevede l’uso del mezzo grafico come strumento prioritario per sviluppare una comprensione approfondita della forma progettata e dei differenti temi affrontati nel corso della progettazione. In questa breve nota si propongono alcune riflessioni di ordine generale che però sono riferibili sia al percorso progettuale affrontato dallo scenografo veneto Paolo Fantin per l’ideazione e la realizzazione delle sue scenografie teatrali, sia l’analisi grafica che di queste opere svolge Omar Jebari, il quale si cimenta a studiarne la specificità, la forma, le tecniche di realizzazione e i significati. Il convincimento che guida queste brevi considerazioni è che esista una profonda analogia, sia di metodo che di mezzi, tra i percorsi progettuali e quelli analitici, e che entrambi gli ambiti, fondati su una natura comune, si caratterizzino anche per una strutturale attinenza con la pratica della rappresentazione grafica. La prassi operativa che veicola anche i più complessi percorsi dell’immaginazione, come è noto, fa ricorso a supporti, fisici o digitali, su cui appuntare idee, passaggi, fasi di studio, i quali utilizzano tecnologie, modalità di registrazione e di riproduzione delle forme e delle immagini che – specie nell’attuale fase di rinnovamento tecnologico – in alcuni casi possono apparire talmente differenti tra loro da sembrare inconciliabili. Nel percorso progettuale, a partire dai primi bozzetti grafici tracciati dall’autore, si alternano disegni tecnici, rilievi, modelli reali e virtuali, simulazioni fotorealistiche, fino alla realizzazione di disegni esecutivi, tracciati come guida per le maestranze che realizzano le opere, come se fossero delle ‘istruzioni per il montaggio’. A sua volta, ogni opera realizzata – tanto un’architettura quanto una scenografia – innesca facilmente

La damnation de Faust, studio sullo spazio scenico.

Analisi grafica e contestualizzazione scenica

attraverso dieci allestimenti

L’idea da cui prende forma il seguente lavoro di ricerca nasce dalla volontà di coniugare in un unico discorso la scenografia e l’architettura tramite il disegno. L’obiettivo primario è rendere evidente e dimostrare come proprio il disegno (a partire da quello a mano libera) inteso principalmente come “processo” e nelle sue differenti accezioni di “tecnica” e “linguaggio”, sia un fondamentale e imprescindibile strumento per il progetto, per la comprensione e la veicolazione delle idee. Un mezzo dal grande potenziale che lega processi mentali ad esiti fisici e concreti, che materializza concetti astratti rendendoli leggibili. Un secondo importante obiettivo è quello di rimarcare le relazioni tra scenografia e architettura, che condividono primo fra tutti la gestione e composizione dello spazio, ed il rapporto fra illusione e realtà.

Ciò che pertanto mi ha spinto a valorizzare due ambiti apparentemente distanti come il disegno analogico ed il teatro dell’opera è stato proprio il riferimento al contesto attuale, nel quale, per differenti motivi, risultano tendenzialmente “anacronistici”. Chiedendomi quindi, da una parte, se il disegno analogico abbia conservato ancora una propria autonomia espressiva in relazione alla “rivoluzione digitale”, e in che misura la sua riscoperta nella fase di osservazione e comprensione del reale ma anche di prefigurazione del pensiero possa in qualche modo portare vantaggi espressivi al progetto e alla comunicazione; dall’altra se il teatro lirico possa essere ancora attuale anche nella riproposizione delle classiche opere di repertorio, reinventandole e non percorrendo la via di una ripresa pedissequa e autoreferenziale, in un contesto nel quale le arti performative sono in continua evoluzione, tra nuove tecnologie per lo spettacolo e disparate contaminazioni di genere. Per dimostrare quindi la veridicità di questi due quesiti mi sono incentrato sul lavoro di “uno dei più giovani e affermati scenografi italiani, attivo nell’opera e nella prosa, in Italia e all’estero”1 utilizzando proprio il disegno e l’analisi grafica in diverse forme come strumento di supporto in tutte le fasi della ricerca.

Teatro Rossini, Pesaro

Anno 2009

Regia Damiano Michieletto

Scene Paolo Fantin

Costumi Paolo Fantin

Luci Alessandro Carletti

La scala di seta

L’opera lirica La scala di seta (definita anche “farsa comica” insieme ad altre quattro opere) fu composta da Gioacchino Rossini su libretto di Giuseppe Maria Foppa nel 1812, anno della sua prima rappresentazione al Teatro San Moisè di Venezia. Inizialmente ottenne parecchi consensi ma viene ripresa anche in altri paesi solo dopo il 1950. Commedia di equivoci dal ritmo incalzante, La scala di seta fa del matrimonio clandestino il pretesto per un succedersi di malintesi, situazioni, accadimenti in cui i personaggi si nascondono, si spiano e si intralciano a vicenda1

L’intera opera è ambientata nell’abitazione di Giulia per cui l’azione si svolge in un luogo e in un tempo definito e proprio grazie ad una

scala di seta appesa alla finestra riesce a vivere la sua relazione segreta con Dorvil all’insaputa del vecchio tutore Dormont. Sebbene la scenografia ideata per quest’opera sia più descrittiva (in quanto rappresenta fedelmente l’interno di un tipico appartamento contemporaneo) l’esito scenico è ottenuto da precisi espedienti tecnici: la scena, fissa, è costituita dall’arredo disposto secondo l’ordine dettato dallo schema planimetrico disegnato sul palcoscenico e che è ben visibile dalla platea grazie alla presenza di una parete a specchio posta sul fondale ed inclinata a 45° verso il boccascena. In questo modo, dalla platea si ottiene un riflesso perpendicolare al piano orizzontale sulla superficie dello specchio.

© Suzanne Schwiertz
Macerata Opera Festival, Sferisterio, la Traviata, scena di J. Svoboda, 1992.
Studio della decostruzione spaziale.

Teatro D.N.O., Amsterdam

Anno 2015

Regia Damiano Michieletto

Scene Paolo Fantin

Costumi Carla Teti

Luci Alessandro Carletti

Il viaggio a Reims

Il viaggio a Reims di Rossini è un’opera buffa in un unico atto, fu composta per l'incoronazione di Carlo X a Re di Francia e fu eseguita per la prima volta a Parigi, nel Théâtre Italien, il 19 giugno 1825. È un’opera celebrativa che quindi non possiede una vera e propria trama ma utilizza il pretesto dell’incoronazione per raccontare la preparazione del viaggio di personaggi illustri verso Reims. Proprio la libertà drammaturgica che caratterizza l’opera ne permette una reinterpretazione metanarrativa

attualizzando il contesto pur mantenendo il legame con il testo originale. La storia viene ambientata in una galleria d’arte contemporanea (quella che nel libretto è “la locanda del Giglio d’oro” diventa la “Golden Lilium Gallery”) e il viaggio a Reims non è altro che l’insieme dei preparativi per l’esposizione del quadro dell’incoronazione di Carlo X. La presenza dei personaggi storici viene giustificata attraverso l’elemento surreale delle opere d’arte che prendono vita sovrapponendosi alla dimensione

© Clärchen and Matth

reale. Sul finale viene calata sul palcoscenico una parete bianca con una cornice vuota. I personaggi, squarciando la tela bianca entrano al suo interno scoprendo un ulteriore spazio ancora “impacchettato” (riferimento ai wrapping di Christo e Jeanne-Claude) che verrà allestito per rappresentare l’incoronazione di Carlo X come un grandioso quadro vivente.

È proprio sul contrasto fra illusione e reale che anche la scenografia viene concepita. L’impianto scenico, infatti, rappresenta la galleria d’arte ed è realizzato in prospettiva accelerata per creare uno spazio fittizio più profondo. L’uso della prospettiva solida, storicamente molto antica e largamente usata nel teatro dell’opera, viene qui esasperato in quanto all’interno del primo spazio accelerato ne viene inserito un altro di grandissimo impatto visivo (quello del quadro) con una maggiore accelerazione.

© Yasuko Kageyama
François Gérard, Incoronazione di Carlo X di Francia, ca. 1825, Reims, Palazzo del Thau.
Schemi concettuali in pianta e in sezione.
Uso della steadycam e delle video-proiezioni. © Yasuko Kageyama

Teatro La Fenice, Venezia

Anno 2018

Regia Damiano Michieletto

Scene Paolo Fantin

Costumi Carla Teti

Luci Fabio Barettin

Macbeth

Il Macbeth di Verdi è un’opera seria in quattro atti su libretto di Francesco Maria Piave (basata sull’omonima tragedia di William Shakespeare) fu composta e messa in scena nel 1847 al Teatro della Pergola di Firenze. La trama narra le vicende del protagonista (Macbeth) al quale tre streghe profetizzano una serie di eventi (tra i quali la sua ascesa al trono di Scozia, ottenuta con la complicità di Lady Macbeth attraverso l’uccisione del re Duncan). L’intera vicenda, quindi, è incentrata sulle efferate azioni di Macbeth, ambizioso e assetato di potere, sul suo senso di colpa con cui è costretto a convivere e sull’avverarsi di tutte le profezie delle tre streghe che lo porteranno ad una, inevitabile e tragica fine. Ancora una volta l’approccio scenico assume una dimensione astratta dovuta

sia ad una rilettura registica più introspettiva e psicologica sia alla volontà di focalizzare il dramma su un piano onirico per mettere in relazione la componente sovrannaturale che caratterizza l’opera shakespeariana con quella reale. Viene messo in risalto più che l’aspetto politico e bellico, la storia di una coppia che scivola lentamente verso l’autodistruzione e la tragedia1

L’espediente che scatena la follia è una tragedia familiare, la morte della figlia di Macbeth e Lady Macbeth, un dettaglio implicito presente solo sul testo Shakespeariano ma che ha fornito una chiave di lettura inedita e originale.2

La scenografia, sempre più simile ad un’installazione, si basa sull’utilizzo di pochi elementi significativi: luci bianche al neon, teli di plastica

Bozzetto
3D di Paolo Fantin.
Foto di scena. © Michele Crosera Frame tratto da The Shining, S. Kubrick, 1980.
Supposizione del concept spaziale attraverso il disegno a mano libera.
Sequenza nei quindici atti de La damnation de Faust
Schizzi di studio: rappresentazione diacronica, per atto, dello spazio scenico.

LETTO

SOGGIORNO

PRANZO

DISIMPEGNO

TETTOIA (H 250 CM)

GIARDINO

BAGNO

Infine, attraverso i software di modellazione è stato possibile verificare la risposta dell’effetto ottico impostando la caratteristica del materiale a specchio su una superficie inclinata in modo adeguato, simulando così l’illusione scenica.

Per verificare la plausibilità delle intuizioni grafiche e delle rappresentazioni finali, non avendo a disposizione gli esecutivi originali, è stato necessario il confronto con il contesto nel quale la scenografia è inserita, ovvero la dimensione del palcoscenico. In questo caso, attraverso il disegno di rilievo (Teatro Rossini di Pesaro) è stato possibile confrontare se la dimensione ottenuta fosse verosimile: la larghezza del boccascena è di 12 m rispetto agli 11,7 m della larghezza del basamento della scenografia.

GIARDINO

TETTOIA (H 250 CM)

DISIMPEGNO

PRANZO

SOGGIORNO

BAGNO

LETTO

Proiezioni ortogonali della scenografia.

Rilievo della pianta del Teatro Rossini di Pesaro, con sovrapposizione grafica.
© Studio Amati Bacciardi

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