INTRODUZIONE INTRODUCTION
Maria Spina
PROGETTARE IL CONTINUUM RURALE-URBANO: IL VILLAGGIO DI HADDADA NEL MAROCCO FRANCESE DESIGNING THE RURAL-URBAN CONTINUUM: THE HADDADA VILLAGE IN THE FRENCH MOROCCO
RINGRAZIAMENTI ACKNOWLEDGMENTS
BIOGRAFIA
MARIA SPINA
INTRODUZIONE INTRODUCTION
La questione posta da Michele Tenzon è cruciale. Egli si chiede infatti se sia possibile «riscrivere una storia della pianificazione rurale, e del ruolo che ne gioca l’architettura modernista al suo interno», partendo ovviamente dalla considerazione che il villaggio non sia “altro dalla città” «ma piuttosto un suo tormentato corrispettivo».
I presupposti ci sono e, sebbene espressi in ambito coloniale, sono perfettamente rintracciabili nell’abitato marocchino di Haddada, ubicato nella provincia di Kénitra. Secondo l’Autore, se partiamo dai modelli concettuali e operativi adottati, tra il 1946 e il 1952, dall’urbanista Michel Écochard – anche grazie alla formula coniata a suo tempo dal Service de l’Urbanisme e nota come urbanisme pour le plus grand nombre, letteralmente “urbanistica per il più grande numero” – scopriamo che le soluzioni di cui si è avvalso per realizzare i nuovi quartieri residenziali di questo villaggio hanno dato origine a una tipologia insediativa “regolabile” «le cui modulazioni riflettevano di volta in volta i vari gradi di transizione tra rurale e urbano» fornendo oltretutto una prassi decisamente alternativa al problema della crescita urbana. Così, ben guidati da Tenzon e dai documenti di archivio da lui selezionati, riusciamo
The question posed by Michele Tenzon is crucial. He wonders whether it is possible «to rewrite a history of rural planning and the role that modernist architecture plays within», starting from the consideration that the village is not “other than the city” but «rather its tormented equivalent».
The conditions are there; even though expressed in a colonial context those are perfectly traceable in the Moroccan town of Haddada, located in the province of Kénitra. According to the Author, if we start from the conceptual and operational models adopted between 1946 and 1952 by the urban planner Michel Écochard –thanks to the formula coined at the time by the Service de l'Urbanisme and known as urbanisme pour le plus grand nombre, literally “urban planning for the greatest number” – we discover that the solutions he used to create the new residential neighbourhoods of this village gave rise to an “adjustable” settlement typology «whose modulations reflected from time to time the various degrees of transition between rural and urban» providing, moreover, a decidedly alternative practice to the problem of urban growth.
Thus, well guided by Tenzon and the archive documents he selected, we can understand
a comprendere come i progetti elaborati per lo sviluppo dell’architettura privata e pubblica di Haddada siano in realtà un voluto “allineamento” al contesto rurale oltreché un’espressione delle «strategie messe in pratica dalle comunità locali per affrontare e adattarsi ai cambiamenti imposti dalla colonizzazione sull’uso delle risorse naturali, nonché sull’accesso alle infrastrutture».
Dall’ipotesi che la trame Écochard sia stata modellata quale «strumento di acculturazione per le popolazioni rurali migrate in città» si approda agilmente alla tesi che, per lo meno in Marocco, fra gli anni Quaranta e Cinquanta, il processo di modernizzazione abbia messo in crisi il consueto rapporto tra città e campagna, scardinandone i tradizionali presupposti e finendo per influenzare il dibattito architettonico e la pianificazione urbana «ben oltre i confini nazionali». Un esito decisamente inaspettato nell’ambito della pianificazione di spazi urbani di norma pensati, in quasi tutte le ex colonie europee dell’Oltremare, solo in funzione della sicurezza militare fino ad acquisire il ruolo simbolo di punto di osservazione privilegiato del tradizionale incontro/scontro tra società coloniale e società colonizzata!
In proposito, tornano alla memoria le magistrali annotazioni su Fort-de-France elaborate da Patrick Chamoiseau quando, dalle pagine di Texaco e con l’ausilio della metafora linguistica, descrive l’antagonismo vigente tra la città coloniale e il preesistente villaggio creolo: «Nel centro una logica urbana occidentale, allineata, ordinata, forte come la lingua francese. All’esterno il brulichio aperto della lingua creola». E dunque, come sempre, al contrario esatto di Haddada, l’ordito geometrico di una grammatica urbana egemone si contrappone alla matrice multilingue, multietnica e multistorica della città indigena, dominandola pericolosamente.
how the projects developed for the expansion of private and public architecture in Haddada are a desired “alignment” to the rural context as well as an expression of the «strategies implemented by local communities to cope with and adapt to the changes imposed by colonisation on the use of natural resources and access to infrastructure».
From the hypothesis that the trame Écochard was modelled as an «acculturation tool for rural populations who migrated to the city» we arrive at the thesis that, at least in Morocco, between the 1940s and 1950s, the process of modernisation undermined the usual relationship between city and countryside, compromising their traditional assumptions and ending up influencing the architectural debate and urban planning «well beyond national borders». A decidedly unexpected outcome in the context of the planning of urban spaces usually designed, in almost all the former European overseas colonies, only as a function of military security to the point of acquiring the symbolic role of privileged observation point of the traditional meeting/clash between colonial society and colonised society!
Patrick Chamoiseau comes to mind with his notes on Fort-de France when, from the pages of Texaco and with the aid of linguistic metaphor, he describes the antagonism in force between the colonial city and the pre-existing Creole village: «In the centre a Western urban logic, aligned, orderly, as strong as the French language. Outside the open swarm of the Creole language». Therefore, as usual, to the exact opposite of Haddada, the geometric pattern of a hegemonic urban grammar contrasts with the multilingual, multi-ethnic, and trans-historical matrix of the indigenous city, dangerously dominating it.
MICHELE TENZON
PROGETTARE IL CONTINUUM
RURALE-URBANO: IL VILLAGGIO DI
HADDADA NEL MAROCCO FRANCESE
DESIGNING THE RURAL-URBAN
CONTINUUM: THE HADDADA VILLAGE IN FRENCH MOROCCO
Il “villaggio moderno”, inteso come unità sia concettuale sia spaziale che può essere ripensata e trasferita a diverse scale e contesti, ci offre l’opportunità di ampliare la nostra comprensione di ciò che il moderno è stato e avrebbe potuto essere. La storia dell’architettura si è concentrata soprattutto sulla città come locus della modernità e gli esperimenti nell’ambito rurale sono stati spesso relegati a un ruolo subordinato. Eppure, l’interesse di rivalutare il ruolo del villaggio nell’architettura modernista va al di là della semplice opportunità di scrivere una storia alternativa dell’architettura modernista che si occupi di ciò che resta “al di fuori dei confini della città”. In effetti, una visione che presupponga l’esistenza di un dentro e un fuori dalla città, ovvero una prospettiva dicotomica dei rapporti tra la città e la campagna, è contraddetta dall’identificazione ambigua dell’urbano e del rurale che fa da presupposto a molte delle speculazioni teoriche e degli esperimenti applicati sul villaggio moderno. Questo saggio prende spunto da una riflessione, a sua volta ispirata dal saggio introduttivo che Levin e Feniger propongono per il volume The Modern Village1. Una riflessione che si può declinare sotto forma di una domanda: come si può riscrivere una storia della pianificazione rurale e del ruolo che ne gioca l’architettura modernista al suo interno se partiamo dal considerare il villaggio non più solo
The “modern village”, understood as both a conceptual and spatial unit that can be rethought and transplanted at different scales and contexts, allows us to expand our understanding of what modernity has been and could have been. Architectural history has primarily focused on the city as the locus of modernity, with rural experiments often relegated to a subordinate role. And yet, the interest in reassessing the role of the village in modernist architecture goes beyond merely providing an opportunity to write an alternative history of modernist architecture that addresses what lies “outside the city boundaries”. A vision that assumes the existence of an inside and an outside of the city, that is a dichotomous perspective on the relationships between the city and the countryside, is contradicted by the ambiguous identification of the urban and the rural that underlies many of the theoretical speculations and applied experiments on the modern village. This essay stems from a reflection, itself inspired by the introductory essay that Levin and Feniger propose for the volume The Modern Village,1 which can be framed as a question: how can we rewrite a history of rural planning and the role that modernist architecture plays within it if we start by considering the village not merely as the “other of the city” but rather as its “haunting double”? This question arises
2. Haddada nel 2020: il villaggio assorbito nella periferia di Kenitra. Oggi l’insediamento è incorporato nella rete stradale che struttura il tessuto urbano recentemente costruito, rendendo meno leggibile l’idea originale alla base dell’organizzazione degli spazi pubblici e della disposizione degli edifici. Mappa dell’autore. Fonti: immagini satellitari Maxar Technologies, 2020. Haddada in 2020: the village absorbed into the suburbs of Kenitra. Today, the settlement is incorporated into the road network that structures the newly built urban fabric, making the original idea behind the organisation of public spaces and the arrangement of buildings less legible. Map by the author. Sources: Maxar Technologies satellite images, 2020.
francese, ha ulteriormente rafforzato l’assorbimento progressivo di quartieri suburbani come Haddada che si trovano ormai in una continuità spaziale con il nucleo centrale di Kenitra [2]. Larbi non ricorda con esattezza quanti anni avesse quando, ancora bambino, lui e la sua famiglia furono costretti a lasciare la loro casa quando il terreno che occupavano fu espropriato per lasciare spazio ad un nuovo sviluppo residenziale. Si trasferirono in un luogo che ora condividono con parte della famiglia allargata, ad Haddada. Ha vent’anni e vive in un edificio
family, in Haddada. He is in his twenties and lives in a three-storey building overlooking the square where the local weekly market takes place, in the original nucleus of the neighbourhood. He insists on speaking English with me. He learned it at school but has few opportunities to practice it, he says. He dreams of one day leaving the outskirts of Kenitra and moving to the capital, Rabat, or to Casablanca, or perhaps to go abroad, to France or Belgium. I met him the first time I visited Haddada, after a couple of hours walk from the Kenitra
4. Il villaggio di Haddada nel giorno dell’inaugurazione ufficiale nel 1952. Foto: Jacques Belin.
The village of Haddada on the day of the official inauguration in 1952.
Picture: Jacques Belin.
[Centre des Archives Diplomatiques, Nantes]
di Casablanca e pubblicate negli stessi anni, i blocchi ordinati di case incarnavano la retorica del patronato europeo, divenendo infine un simbolo dell’approccio sviluppista e “modernizzante” francese alla pianificazione urbana11. L’ordine intatto dell’architettura modernista in queste foto accentua il contrasto con le immagini coeve sia delle bidonville, considerate dall’autorità coloniale come l’epitome del degrado urbano a causa della loro associazione con il disagio sociale, sia dell’architettura rurale tradizionale, che invece evocava nel pubblico occidentale un senso di radicale precarietà.
and show early signs of appropriation, such as a metal sheet or a piece of fabric to shade the patio [3]. All the others still appear pristine. Like in the renowned photos taken by Écochard from aboard his plane, of the newly built residential neighborhoods the habitats marocains, in Casablanca and published in the same years, the orderly blocks of houses embodied the rhetoric of European patronage, ultimately becoming a symbol of the French “modernising” developmentalist approach to urban planning.11 The untouched neatness of the modernist architecture in these photos
In una delle fotografie scattate da Belin, la grande piazza, gli alberi appena piantati e equidistanti, e la forma aerodinamica della torre dell’acqua emergono dal paesaggio piatto circostante. In un’altra, una folla di uomini e bambini si raduna ai due lati della più grande delle strade che attraversano longitudinalmente il villaggio [4]. Qualcuno si arrampica sul tetto di una casa e i bambini si siedono sulla sommità dei muri che recintano i patii privati. Piccole bandiere francesi sventolano da ciascuno degli ingressi e due più grandi – una francese e una marocchina – sono posizionate sulla sommità della torre dell’acqua. Le strade nel villaggio non sono pavimentate, a eccezione della piazza principale. Un corridoio vuoto al centro della strada è lasciato libero per il passaggio delle autorità che stanno per arrivare per inaugurare il nuovo centro rurale.
Larbi e i suoi amici non avevano mai visto queste fotografie. Nessuno di loro è abbastanza vecchio per ricordarsi di Haddada con questa configurazione, ma guardano le immagini e riconoscono la piazza, la moschea, la scuola e il vecchio caffè. Molte cose sono cambiate da allora. I lotti residenziali, che dovevano ospitare all’origine una sola famiglia, sono ora occupati da due o tre famiglie e una serie di nuove strutture pubbliche sono state costruite negli anni Ottanta, al centro della grande piazza del villaggio. La casa dove Larbi vive con la sua famiglia è visibile nel suo stato originale in una delle fotografie che ho portato con me. Il patio è stato ora coperto per creare una stanza aggiuntiva e al di sopra, sono stati aggiunti due piani. Solo tre delle quasi duecento case originali sono rimaste relativamente intatte. Tuttavia, un occhio attento può riconoscere la permanenza di alcuni caratteri nei passaggi stretti
accentuates the contrast with the coeval images of both the shantytowns, regarded by the colonial authorities as the epitome of urban due to their association with social distress, and of traditional rural architecture, which instead evoked in Western audiences a sense of radical precarity.
In one of the photographs taken by Belin, the large square, the newly planted and equidistant trees, and the streamlined shape of the water tower emerge from the surrounding flat landscape. In another, a crowd of men and children gathers on both sides of the largest of the streets that run longitudinally through the village [4]. Someone climbs onto the roof of a house and children sit on the top of the walls enclosing the private patios. Small French flags wave from each of the entrances and two larger ones – one French and one Moroccan – are placed on top of the water tower. The streets in the village are unpaved, except for the main square. An empty corridor in the center of the street is left clear for the passage of the authorities who are about to arrive to inaugurate the new rural centre.
Larbi and his friends had never seen these photographs. None of them is old enough to remember Haddada with this configuration, but as they look at the images, they recognise the square, the mosque, the school, and the old café. Many things have changed since then.
The residential lots that originally were meant to host a single family are now occupied by up to three families and new structures were built in the 1980s, at the centre of the village’s large public square. The house where Larbi lives with his family is visible in its original state in one of the photographs that I brought with me. The patio has now been covered to
10. Vista aerea del villaggio di Haddada nelle fasi finali della costruzione nel 1952.
Aerial view of the village of Haddada in the final stages of construction in 1952.
[Photothèque École Nationale d’Architecture, Rabat]
Affinità e divergenze
Le vedute aeree del villaggio di Haddada nella sua fase finale di costruzione [10] mostrano una serie ordinata e compatta di case a patio disposte in blocchi dalla forma variabile. Questo principio di disposizione dà origine a una varietà di forme e dimensioni degli spazi pubblici, che riecheggia il modello simile della Cité Yacoub el Mansour a Rabat o dei distretti di Sidi Othman e Carrières Centrales a Casablanca [11]. Le somiglianze tra Haddada e altri schemi coevi sono evidenti anche nelle
Affinities and divergences
Aerial views of the Haddada village in its final phase of construction [10] show an orderly and compact series of patio houses arranged in blocks of varying shapes. This layout principle gives rise to a variety of forms and sizes of public spaces, reminiscent of the similar model of the Cité Yacoub el Mansour in Rabat or the districts of Sidi Othman and Carrières Centrales in Casablanca [11]. The similarities between Haddada and other coeval schemes are also evident in images showing the first small-scale
11. Rabat: habitat marocain all’inizio degli anni Cinquanta.
Rabat: Moroccan habitat in the early 1950s.
[Centre des Archives Diplomatiques, Nantes]
immagini che mostrano le prime trasformazioni su piccola scala apportate dagli abitanti nell’appropriarsi di quegli spazi, come l’aggiunta di coperture realizzate con materiali riciclati, quali lamiere ondulate o tessuti, per ombreggiare il patio. Questo fenomeno si può riscontrare sia a Haddada sia in altri schemi abitativi dello stesso periodo concepiti dal Service de l’Urbanisme. Ancora oggi, le case di Haddada, con i loro piani addizionali che raddoppiano o triplicano la superficie coperta dell’unità abitativa, le scale aggiunte situate nel patio originale e le travi sporgenti sulla facciata anteriore che sorreggono i piani superiori aggettanti, presentano somiglianze con le analoghe trasformazioni delle unità abitative nei cosiddetti habitat marocain.
Queste somiglianze non sono né casuali né il risultato di un semplice imitazione. Infatti, se l’adozione di una casa a patio a un piano organizzata in una griglia ortogonale corrispondeva da vicino al modello di progettazione standard applicato dal Service de l’Urbanisme ad altri schemi coevi, le divergenze osservabili nella struttura del villaggio, nella tipologia e nel linguaggio architettonico dei suoi edifici pubblici e nei dettagli dell’organizzazione degli spazi pubblici legittimano l’analisi del villaggio come un progetto autonomo piuttosto che come il banale trasferimento di un modello da un contesto all’altro. L’organizzazione dello spazio pubblico, la posizione, le dimensioni e la storia complessiva di Haddada lo rendono un esempio singolare se confrontato con altri noti schemi abitativi coevi.
Il villaggio di Haddada, la Cité Yacoub el Mansour e il quartiere Carrières Centrales condividevano la stessa unità abitativa di base, la cui ripetizione e aggregazione dava forma alla
transformations made by residents as they appropriated these spaces, such as the addition of coverings made from recycled materials, like corrugated metal sheets or fabrics, to shade the patio. This phenomenon can be observed both in Haddada and in other housing schemes of the same period conceived by the Service de l’Urbanisme. Even today, the houses of Haddada, with their additional floors that double or triple the covered area of the housing unit, the added staircases located in the original patio, and the protruding beams on the front façade that support the overhanging upper floors, closely resemble the analogous transformations of housing units in the so-called habitat marocain. These similarities are neither coincidental nor the result of mere imitation. In fact, while the adoption of a single-storey patio house organised in an orthogonal grid closely aligned with the standard design model applied by the Service de l’Urbanisme to other coeval schemes, the observable divergences in the village’s
15. La bidonville amelioré di Douar Debbagh, Rabat. Foto: Jacques Belin.
The bidonville amelioré of Douar Debbagh, Rabat. Picture: Jacques Belin.
[Centre des Archives Diplomatiques, Nantes]
pubblico era motivato dal desiderio di imporre un rigido controllo di ordine burocratico, militare e igienico sugli insediamenti spontanei, minimizzando al contempo i costi di costruzione e manutenzione. Le nouala venivano numerate e disposte in blocchi regolari definiti da una griglia di strade perpendicolari45. Ciascuna abitazione era posizionata al centro di un lotto quadrato e racchiusa da recinzioni. Il peculiare paesaggio suburbano che risultava da questi primi esperimenti di controllo degli insediamenti spontanei suburbani combinava i materiali e i linguaggi dell’architettura rurale con gli strumenti della pianificazione urbana modernista.
Le bidonvilles améliorés, come le etichettarono i tecnici del Service de l’Urbanisme, furono integrate nel modello evolutivo di trasformazione urbana elaborato dai tecnici francesi. Écochard aveva infatti concettualizzato la transizione dagli insediamenti suburbani simili a quelli rurali ai quartieri modernisti in tre fasi principali [16]. In primo luogo, avveniva la sostituzione dei modelli di urbanizzazione informale esistenti attraverso un intervento pubblico minimo, che trovava il suo precedente nelle esperienze di riqualificazione dei quartieri spontanei sopra menzionate. Questo intervento prevedeva la fornitura di infrastrutture di base, come la creazione di strade, la stabilizzazione del suolo dei principali assi viari e la costruzione di fontane pubbliche, servizi igienici e reti di raccolta delle acque reflue46. Le bidonvilles améliorés erano infatti intese come il passo preliminare di una evoluzione sociale progressiva che, tramite l’intermediazione della pianificazione urbana, sarebbe andata di pari passo con fasi di sviluppo definite in modo lineare. La seconda fase evolutiva consisteva nella realizzazione della trame Écochard, che, secondo
Bidonvilles améliorés (upgraded bidonvilles), as labelled by the technicians of the Service de l’Urbanisme, were integrated into the evolutionary model of urban transformation elaborated by French planners. Écochard conceptualised the transition from suburban settlements resembling rural areas to modernist neighbourhoods in three main stages [16]. Firstly, the existing informal urbanisation patterns were replaced through minimal public intervention, drawing on the earlier experiences of upgrading spontaneous settlements mentioned above. This intervention involved providing basic infrastructure, such as creating roads, stabilising the soil of main thoroughfares, and constructing public fountains, toilets, and wastewater collection networks.46 Bidonvilles améliorés were thus envisioned as the preliminary step in a progressive social evolution that, through the mediation of urban planning, would proceed alongside clearly defined stages of development.
16. Modello evolutivo in tre fasi per l’habitat marocain. M. Écochard, Urbanisme et construction pour le plus grand nombre, cit., p. 10. Evolutionary model in three phases for Moroccan habitat. M. Écochard, “Urbanisme et construction pour le plus grand nombre”, cit., p. 10.
questo modello rappresentava una versione più avanzata dello schema delle nouala allineate nelle bidonvilles améliorés. Il cambiamento si limitava infatti al perimetro di ciascuna parcella, mentre l’organizzazione infrastrutturale generale rimaneva invariata. I tecnici francesi prevedevano di sostituire le capanne rurali con un reticolo di case a patio a un piano solo una volta che le condizioni sociali ed economiche degli abitanti della bidonville fossero migliorate, giustificando così il cambiamento. Secondo questo programma, le case unifamiliari sarebbero state costruite nell’ambito di programmi pubblici, preservando la struttura generale dei grandi isolati urbani e dei cortili semi-pubblici interni. La terza fase era invece il frutto di congetture sulla auspicata transizione verso forme di abitazione collettiva. Lo scenario delineato da Écochard per il futuro di questi insediamenti suburbani ipotizzava la costruzione di edifici residenziali multi-piano che, secondo lui, rappresentavano il culmine della transizione verso uno stile di vita urbano moderno.
The second evolutive phase involved the implementation of the trame Écochard, which, according to this model, represented a more advanced version of the nouala-aligned scheme in the bidonville amélioré. The changes were primarily limited to the perimeter of each plot, while the overall infrastructural organisation remained unchanged. French technicians planned to replace the rural huts with a grid of single-storey patio houses once the social and economic conditions of the bidonville inhabitants had improved, thus justifying the transformation. Under this program, single-family houses would be built as part of public initiatives, maintaining the general structure of large urban blocks and semi-public internal courtyards.
The third phase, on the other hand, was the result of conjectures about the desired transition towards forms of collective housing. The scenario outlined by Écochard for the future of these suburban settlements envisioned the construction of multi-storey residential buildings,