La triade cartesiana che organizza lo spazio euclideo è il “codice indispensabile per tradurre il naturale processo fondativo dell’architettura delle geometrie elementari”: è questo il presupposto da cui parte il ragionamento che Luigi Arcopinto sostiene nelle pagine che seguono. A partire da questo assunto, l’autore definisce metodi, strumenti e processi di manipolazione della forma, mettendo in guardia da ogni atteggiamento deterministico e da qualsivoglia prefigurazione virtuale (dal render al Bim), ritenute fuorvianti rispetto al valore autentico dell’architettura. D’altra parte si incoraggia ogni forma di alterazione, ibridazione e trasgressione dei codici dati, a dimostrare che l’ordinamento cartesiano non è una camicia di forza dello spazio, bensì uno strumento di libera configurazione, seppur contenuta nelle regole semplici delle figure elementari. A dimostrazione di questa tesi, l’autore sceglie alcune architetture iconiche della modernità e le sottopone ad un processo di riduzione geometrica rendendo palesi le regole della composizione delle parti, le relazioni reciproche, le gerarchie. Interessante è lo svelamento dell’ordine logico che sorregge l’impalcato architettonico: non sempre struttura visibile, esso è piuttosto un ordinamento
concettuale nel quale si deposita il significato autentico dell’opera svelata. Con questo criterio l’autore passa in rassegna architetture anche eterogenee fra loro, ma che possono comunque inscriversi nel più ampio arco temporale della Modernità, dalla Cappella dei Pazzi del Brunelleschi al Palazzo dei Congressi di Adalberto Libera, dalla Venturi House alla casa Lina di Mario Ridolfi, dall’Orfanotrofio di Aldo Van Eyck al progetto per i nuovi Uffici della Camera dei Deputati di Sacripanti e, ancora, da Terragni a Purini-Thermes, dal grande cerchio del Ponte sullo Stretto di Messina di Perugini, alla spirale del Guggenheim Museum di Wright. Opere molto diverse fra loro, per estetica, tipologia, materiali ed epoca di appartenenza, ma accomunate dal processo generativo della forma che rimanda, in tutti questi casi, come negli altri presi ad esempio dall’autore, a una figura geometrica elementare: il quadrato, il cerchio, il triangolo. Il metodo è chiaro: è un processo di alterazione e manipolazione delle figure primarie attraverso atti successivi di moltiplicazione, cancellazione, slittamento, distorsione, estrusione, sviluppo. L’ordine logico che è alla base di questo processo rimane intatto, gli esiti formali che ne risultano sono invece i più diversi. È quanto si potrebbe affermare per gli ordinamenti a griglia degli impianti urbani a partire da quelli storici generati dal cardo e decumano o ancor prima dalla griglia ippodamea.
Prendendo a prestito le parole dell’ingegnere informale Cecil Balmond, “la stesura di una griglia dovrebbe consistere non tanto nella imposizione di un ordine vincolante quanto in una mappatura del possibile”1
Analogamente, se è vero che la geometria euclidea genera una spazialità omogenea, misurabile ed isotropa, è pur vero che il rapporto fra gli elementi che compongono questo spazio possono essere di tipo iterativo (a conferma della logica cartesiana da cui prende origine), ma anche evolutivo complesso se innesca processi generativi. La sovrapposizione di diversi pattern può dar luogo infine a stratificazioni multiple, a palinsesti ricorsivi, composti di materiali eterogenei. Prendiamo ad esempio il motel Agip di Mario Ridolfi, potente individualità fisica, pensata come una torre oscillante e instabile alle porte di Roma. Generata dalla sovrapposizione di una pianta stellare a dieci punte e regolata da una geometria complessa, la torre si avvita su sé stessa nella sovrapposizione ogni volta ruotata della pianta. Vi riconosciamo l’effetto di torsione della colonna tortile del Baldacchino di San Pietro, ma anche l’avvitamento su sé stessa della giovanile Torre dei Ristoranti progettata quaranta anni prima e impiantata su di un cerchio. Non v’è dubbio che la materia abbia un ruolo importante nell’opera architettonica. Qualunque sia la sua
natura, essa è parte integrante della poetica dell’architetto e lo strumento della sua espressività plastica. È lo spirito della materia evocato da Loos, è ciò che la materia chiede o vuole essere (Louis Kahn), è l’attitudine ad ascoltare il materiale e rivelare la vita nascosta della sua natura amorfa (Sigfried Giedion).
“Musica della plastica”, così Shelling definiva l’architettura, attribuendo all’arte meccanica il merito di saper plasmare la materia, e con essa, lo spazio. Al pari di una scultura abitabile essa poteva considerarsi musica solidificata e, come tale, riconoscersi in alcuni ordinamenti propri della musica (ritmo/aritmia; armonia/disarmonia; melodia/ dissonanza) che la materia avrebbe restituito in forma plastica e la geometria reso misurabile. Pensiamo all’invenzione della colonna in forma di albero del Johnson Wax Administration Center o alla rampa avvitata a spirale del Guggenheim Museum: l’onda curva che non si frange mai espande e comprime al tempo stesso come in un respiro lo spazio che fluisce dall’interno verso l’esterno e viceversa. La curvatura della rampa in questo caso dà al piano le caratteristiche statiche e formali di una conchiglia; il materiale usato, il cemento, ne rende possibile la realizzazione in un unico pezzo curvato. L’intuizione che la natura potesse offrire un repertorio di principi costruttivi da riprodurre nelle membrature degli edifici era parte delle convinzioni sia di Nervi che di
1. Cecil Balmond, Grid in Diagram, in “Lotus”, n. 127, 2006.
COS’ÈGRAMMATICAEUCLIDEA EACOSASERVE
Legga attentamente questo foglio illustrativo prima di usare la medicina perché contiene importanti informazioni per lei. Conservi questo bugiardino: potrebbe aver bisogno di leggerlo di nuovo.
Il medicinale qui illustrato è stato prescritto solo per lei, che ha interessi euclidei. Non lo dia ad altri architetti, anche se vuole curare dei sintomi che sembrano conformi ai target della terapia. Se manifesta un qualsiasi effetto indesiderato, compresi quelli eventualmente non elencati in questo foglio illustrativo, è invitato prontamente a segnalarne l’esistenza alla comunità scientifica. Per ulteriori informazioni consulti il Capitolo 4.
Raffaello Sanzio, 1510. Scuola d’Atene, particolare col ritratto di Euclide-Bramante Città del Vaticano, Musei vaticani, Stanza della Segnatura
Grammatica euclidea
contiene Architettura, una sostanza che appartiene al gruppo delle arti applicative spesso indicate come “superiori”, utilizzata per le sue proprietà inventive e curative. Questa medicina è indicata per trattare l’isteria responsabilizzante che opprime l’espressione architettonica caricandola di sovrastrutture che le sono, spesso, estranee.
Si tratta di un codice apocrifo che vuole porsi come uno strumento utile per indagare – e fare –architettura.
Canone e codice sono il sistema attraverso il quale si essicca il trilite e si evoca la nascita della colonna attraverso una serie di processi e di similitudini per cui, dalla capanna e dalla caverna si arriva alla costruzione.
Il κανών (canon) – che indica il regolo usato dagli artigiani per misurare, sin dalla Grecia antica – è imprigionato negli ordini. Vive costretto dentro una declinazione di un sistema proporzionale. Sospeso tra ritualità e misura, è un po’ bigotto e rigido: esiste in tante versioni a seconda di quante situazioni canoniche si possono immaginare. Il rigore delle sue proporzioni costituisce gli elementi magici e rituali legati alla perfezione e all’alchimia del numero. Il canone, in buona sostanza, è il sistema attraverso il quale si può trasmettere un sapere architettonico
da un essere umano all’altro, per renderlo universale e facile per tutti. Il codice, invece, è composto da una collettività di articoli, è una legge con carattere prescrittivo. Spesso presenta, come il canone del resto, dei buchi e dei margini enormi che, se vengono guardati con estrema ossessione, sono già dei luoghi entro i quali un’interpretazione parallela può diventare una specie di duplicazione secondaria, o la possibilità di una rivoluzione che trascriva i codici fino a costruire una vera e propria Babele. Le babeli sono l’anima del pluralismo e del mondo, perché solo grazie ad esse abbiamo le razze che si colorano in modo diverso a seconda della loro posizione geografica1 . Attraverso l’aspirazione a una nuova Babele si può conferire interesse e diversità a un sistema che altrimenti sarebbe autarchico.
Dentro a ogni interstizio si cova, dunque, uno spazio inventivo ed è possibile renderlo davvero operante, non per costruire un manuale prescrittivo, ma nel tentativo di trovare un modo per fare lavorare l’immaginazione senza quel tono minaccioso con cui oggi si è sempre oggetto di una valutazione. In questo, il rapporto tra canone e codice può essere durissimo, perché uno è solitario e triste, l’altro è come un plotone di esecuzione composto da mille soldati che formano una falange guidata da un centurione, che è Vitruvio, e da un imperatore, che è la stessa persona.
1. Cfr. Gregory Bateson, Naven, A Survey of the Problems suggested by a Composite Picture of the Culture of a New Guinea Tribe drawn from Three Points of View, Franklin classics trade press, United States 2018.
COSABISOGNASAPEREPRIMADELL’USO
Prima di assumere Grammatica euclidea tralasci ogni dettame connesso al buon senso nel fare architettura. Non esistono variazioni inammissibili o scandalose, tutto è concesso quando si opera con l’innocenza e la purezza del fatto geometrico in quanto artificio nitido*. Per ridurre il rischio di insorgenza di effetti indesiderati associati all’uso di questo medicinale, si consiglia di assumerne la dose efficace per il più lungo periodo possibile, di manipolarla senza inibizioni e di metterla a reagire con altre cure di qualsiasi natura.
Si ricordi che è importante interrompere il trattamento se manifesta intenzioni parametriche di dubbio gusto, disturbi nella visione, sintomi euritmici insoliti o allergie nei confronti dell’approssimazione.
* Cfr. Gio Ponti, Amate l’architettura. L’architettura è un cristallo, Vitali e Ghianda, Genova 1957, p. 156.
Luigi Arcopinto, 2023. Complesso delle proiezioni piane di un cubo
Grammatica euclidea L’architettura delle geometrie elementari
AVVERTENZE E PRECAUZIONI
La cura geometrica si fonda su tre assunti di carattere ideativo – collegati ad altrettante avvertenze –utili per astrarre il piano di indagine da alcuni aspetti della realtà quanto basta per esprimersi liberamente. Come principi basilari della terapia, tali aspetti invitano alla consultazione di questo foglio illustrativo e ammoniscono sul considerare l’architettura come risultato della combinazione e dell’interferenza delle figure bidimensionali fuori dal tempo del loro tracciamento.
Il primo assunto sembra guardare alla questione del dominio umano della terra, identificandone la nascita contestualmente a quella dell’architettura.
Naturalmente, l’origine della disciplina non è certa, ma è bello pensare che l’architettura sia nata dall’inconsapevole gesto di un uomo che, forse per una esigenza di riconoscibilità o di memoria, ha impresso in negativo – con l’uso di un pigmento colorato – il palmo di una mano sulla parete rocciosa della sua caverna1. Da quel preciso istante l’uomo ha compreso il concetto di casa e ha cominciato a porsi il problema di come concepire
e costruire il suo riparo e, poi, gli spazi tutti della sua esistenza. Così è entrata in gioco la geometria come disciplina per misurare il mondo. Questa materia, che oggi comprende specifici studi su figure piane, figure dello spazio e sulle loro mutue relazioni, è coincisa fino al XIX secolo con la geometria euclidea che è fatta soltanto di piani e forme bidimensionali. È comune la convinzione che il cervello dell’uomo sia più a suo agio a concepire e a pensare delle cose che vivono in un campo di esistenza a due dimensioni. La tridimensionalità non gli appartiene a livello immaginativo e cognitivo, proprio a causa dei suoi limiti e della sua finitezza o forse perché, fin da bambino, le prime figure con cui ha a che fare sono quelle che risiedono nel piano, dunque, è più abituato a pensare così.
Non a caso le rappresentazioni più significative dei progetti di architettura si riferiscono a pianta, prospetto e sezione e, quindi, a cose che delimitano il loro campo di esistenza a un supporto cartaceo a due dimensioni.
Perciò, il primo assunto prevede di spostare l’atto della genesi architettonica nel piano, ignorando scientemente lo spazio.
Da tale assunto discende la prima avvertenza, che evidenzia l’importanza di chiarire che in architettura una figura piana corrisponde “sempre” a una
1. Si fa riferimento alle incisioni rupestri presenti nella Caverna delle mani di Santa Cruz.
Aldo van Eyck, 1969. Pastoor van Ars Church, The Hague, Netherlands
Le architetture dei membri del Team X, forse, sono quelle che meglio incarnano questa parabola, perché in alcuni casi sono rimaste vittima delle tendenze alla redenzione del XXI secolo ecologista – che ha portato alla loro demolizione7 – e perché, spesso, gli asciutti sistemi formali di tali progetti cercavano di coniugare la tendenza ortogonale con aspetti sostanzialmente astratti. Infatti, gli architetti del gruppo non strutturato di Dubrovnik avevano questa illusione di portare un’idea di spazio aperto collettivo disponibile per tutte le persone. Erano aboliti i confini tra esterno e interno e, questa assenza non era esposta attraverso una tecnica nietzschiana, tipicamente modernista, utile a costruire case trasparenti che potevano essere abitate da nuovi Zarathustra8. Al contrario, il gruppo sembrava ricercare la continuità e la de-gerarchizzazione dello spazio attraverso un rapporto più diretto, anche se raramente i loro progetti sono poi riusciti a rendere fluido lo spazio senza neutralizzare quegli elementi simbolici tipici della soglia tra il dentro e il fuori, ma non solo. Unicamente Aldo van Eyck nella chiesa cattolica Pastoor van Ars
all’Aja è riuscito meglio a fluidificare lo spazio senza perdere quegli elementi allegorici e ipnotici della poetica della soglia. Il progetto è naturalmente predisposto ad accogliere differenti prospettive, percorsi alternativi e possibili soste, ma come all’interno di un’antica basilica, le parti salienti della tipologia ecclesiale (aula, transetto, coro, aperture sull’esterno) sono evidenti e contribuiscono ad enfatizzare le caratteristiche spaziali di un luogo munito di una grande identità formale, senza perire alla stregua della ricerca della perfetta circolazione9. Alison e Peter Smithson nel 1986, in qualche modo, hanno teorizzato l’architettura ordinata dalla circolazione nel tentativo di definire il Conglomerate ordering nell’ILA & UD Annual report. Si tratta di una procedura strettamente compositiva che riguarda la gestione complessa di elementi eterogenei nel progetto di architettura. Tra i punti che la sua definizione enumera c’è anche la proposizione secondo cui l’architettura deve essere governata dai flussi che veicolano informazioni, persone e servizi10.
7. Ci si riferisce alla demolizione del complesso residenziale Robin Hood Gardens, progettato da Alison e Peter Smithson, iniziata nel 2017. Naturalmente tale processo di epurazione nei confronti di questo tipo di edifici non è un caso isolato e non è limitato solo ai progetti dei membri del Team X, ma è una tendenza più diffusa che reifica il fallimento di questa tipologia. Basti pensare alla vicenda della demolizione delle Vele di Scampia, complesso residenziale esito del progetto visionario di Franz Di Salvo.
8. Iñaki Ábalos nel descrivere le case a patio di Mies Van der Rohe, introduce il riferimento alle case trasparenti che potrebbero essere abitate da nuovi Zarathustra. Si consulti Iñaki Ábalos, Il buon abitare. Pensare le case della modernità, Christian Marinotti Editore, Milano 2009, pp. 15-41.
9. Cfr. Mario Botta, Aldo van Eyck la chiesa come territorio, in “Avvenire”, Milano 2021, https://www.luoghidellinfinito.it/Rubriche/Pagine/Aldo-van-Eyck-la-chiesa-come-territorio.aspx.
10. Peter Smithson, Conglomerate Ordering, in AA.VV., ILA & UD Annual Report 1986-87, Siena 1987.
POSOLOGIA
Prenda questo medicinale senza seguire – mai – alla lettera le istruzioni di questo foglio illustrativo, né quelle di alcun architetto o teorico che supponga di conoscere la verità assoluta sull’architettura.
Dimentichi ogni riferimento a dosi raccomandate o a una possibile sequenza di assunzione, si ricordi solo di agitare bene una parte o tutti i componenti prima dell’uso, affinché la terapia possa avere debito effetto. Agitare insieme è più importante di utilizzare gli elementi meccanicamente, perché l’atto stesso “ne promuove un impiego fazioso e immaginario seguendo altre prospettive estetiche”*. Una procedura che suppone l’esistenza di una notevole predisposizione alla ricerca di strade inesplorate o, semplicemente, una più naturale attitudine a medicare lo spazio dell’uomo con delle terapie euristiche, quasi palliative, che procedono per tentativi, migliorandosi di volta in volta. Per ora, lo schema di assunzione è riassumibile in tre punti che, se messi insieme, possono costituire una prima traccia schematica per il concepimento di un edificio. L’euritmia dà contezza circa l’entità e il passo delle composizioni geometriche; le indicazioni e le contro-indicazioni forniscono riflessioni sulle possibili costruzioni morfologiche e individuano la complessità connessa all’interazione delle figure primarie con altri elementi; infine, l’ombra euclidea completa il quadro delle sostanze della medicina e ratifica la correlazione delle figure planari con quelle spaziali.
* Cherubino Gambardella, Agitare prima dell’uso, in Cherubino Gambardella, Franco Purini, 50/70. Due modi di dire architettura, Il Melangolo, Genova, 2012, p. 89.
Luigi Arcopinto, 2023. Posologia di un edificio circolare
Schema euritmico principale
Reificazione del corpo e applicazione dell’ombra euclidea
EURITMIA
In medicina l’euritmia ha a che fare con le pulsazioni ed identifica uno stato di normale incedere dei battiti del cuore. In architettura, invece, l’euritmia ha a che fare con la normalizzazione armonica rispetto alla distribuzione ritmica delle varie parti di un’opera, sia in pianta che in alzato1. A ben vedere i due concetti non sono molto distanti, il che spiega l’ambivalenza della parola nelle due discipline: un’anomalia nel battito può anticipare uno stato di malessere del paziente e, allo stesso modo, un’anomalia nella distribuzione armonica, degli elementi di un edificio, evidenzia uno squilibrio formale che si ripercuote sugli occupanti di quell’architettura. In fondo «l’universo è permeato dal ritmo»2; Moisej Ginzburg lo mette a fuoco perfettamente nel sorprendente saggio dedicato a questa fonte di godimento estetico congeniale all’uomo. Il ritmo dell’arte, dell’architettura, delle performance artistiche, della natura, della musica, insomma, il ritmo di ogni cosa sembra invitare l’astante a mettersi in consonanza, quasi come fosse un costringimento del moto dello sguardo o della percezione3
Gli specialisti in neuroscienze applicate all’architettura potrebbero asserire che una certa distribuzione ritmica di un edificio può arrivare a stimolare determinate aree del cervello, causando reazioni nell’uomo più o meno rilevanti perché, in quanto «organismiall’interno-di-ambienti»4, gli esseri umani interagiscono con tutti i luoghi in maniera intuitiva. Tale visione dell’architettura e della sua scansione ritmica, però, è limitante e si traduce in un nulla di fatto, perché confina la definizione della bellezza a quella di un impulso elettrico di gradevolezza associato a stupore o meraviglia5.
Non si può ridurre tutto a un fatto chimico e, soprattutto, non si può pensare che un campo di indagine strettamente scientifico possa saturare la conoscenza della bellezza, col fine di portare gli architetti a identificare le regole della ricetta perfetta per costruire un edificio. Così facendo, il pensiero non sarebbe più abilitato al mutamento e vivrebbe una dittatura distopica e proibizionista rispetto a ciascun intento. Non ci sarebbe contraddittorio, incongruenza o insofferenza rispetto al miglioramento di qualcosa o di una idea: non sarebbe ammesso – mai –ulteriore progresso.
1. Si veda la voce Euritmia del dizionario Treccani.
2. Moisej JA. Ginzburg, Il ritmo in architettura, in Emilio Battisti (a cura di), Saggi sull’architettura costruttivista, Feltrinelli, Milano 1977, p. 5.
3. Cfr. Friedrich Nietzsche, Idilli di Messina, La gaia scienza e frammenti postumi, Ferruccio Masini, Mazzino Montinari (a cura di), Adelphi, Milano 1965, p. 94.
4. Harry Francis Mallgrave, L’empatia degli spazi, Raffaello Cortina Editore, Milano 2015, p. 13.
5. Ibidem, pp. 63-65.
PALAZZINA DEL GIRASOLE
Costruita tra il 1947 ed il 1950 a Roma, nel quartiere Parioli, la Palazzina del Girasole è uno straordinario esempio di architettura del razionalismo italiano. Il corpo principale e compatto, che contiene le case a ciascun livello, sembra staccarsi da terra grazie all’interposizione di un basamento in travertino.
Lo schema euritmico della composizione mostra che l’edificio tende a saturare tutto il lotto disponibile e lavora sulla corruzione del volume puro grazie all’utilizzo di una serie di triangoli, senza una evidente proporzione tra di loro, che vanno a normare sia gli svuotamenti che le protrusioni del corpo. Il triangolo, infatti, si impone a conformare l’improbabile timpano in facciata, ma soprattutto i panneggi (evidenti sul piano di proiezione
orizzontale) che increspano le pareti laterali della palazzina, in corrispondenza delle camere da letto, per accentuare le variazioni di luce possibili.
Come nella villa a Caracas di Gio Ponti, anche qui i muri sono trattati come dei fogli di carta che non si toccano mai ai vertici, ma proseguono addirittura oltre il limite di tangenza apparente, per sottolineare il senso di sospensione del corpo principale e il senso di corruzione del blocco costruito che viene, così, interrotto da più ricorsi verticali.
Schemi euritmici del triangolo | Palazzina del Girasole. Luigi Moretti, 1947-1950, Roma. RdA
PONTE SULLO STRETTO DI MESSINA
«Un ponte diritto allontana, un ponte circolare avvicina»1
Nel 1969 Giuseppe Perugini immagina un ponte tondo sullo stretto di Messina: quasi un elogio alla lentezza, perché allunga la percorrenza dal punto di partenza a quello di arrivo. Dall’alto somiglia ad un ingranaggio che ruota sospeso in aria, perché non tocca l’acqua.
L’idea è quella di invitare gli utenti ad attraversare lo stretto seduti, mentre il ponte compie il moto al posto loro.
Il progetto visionario è tradotto attraverso uno schema euritmico semplice e puro. Il ponte è un cerchio che poggia su due enormi cerniere circolari attraversate da
una serie di elementi lineari, che dovevano servire come elementi strutturali e dovevano ancorare il ponte al suolo. Anche la sezione del ponte è un cerchio, volto a contenere tutti gli elementi tecnici utili per sostenerlo e permettergli di ruotare. Il ponte-territorio, definito così – sui manifesti dell’epoca –perché creava un luogo in cui stare invece di un luogo da attraversare, si dimostra, dal punto di vista geometrico, come una delle architetture più limpide presenti in questa classificazione.
1. Nell’intervista che Rainaldo Perugini ha rilasciato per i canali social del MAXXI di Roma nell’Ottobre del 2017, egli si riferisce a questa espressione come al motto alla base dell’idea del ponte. https://www.youtube.com/watch?v=A3GuPqK7T80
Schemi euritmici del cerchio | Ponte sullo stretto di Messina. Giuseppe Perugini, 1969. RdA
ORFANOTROFIO DI AMSTERDAM
Aldo van Eyck, architetto fra i più noti esponenti del Team X, ha progettato l’orfanotrofio di Amsterdam provando a costruire un edificio policentrico in forma di casa. Il paradigma spaziale della costruzione, dunque, pur essendo caratterizzato da una serie di punti nevralgici, risulta compatto, corale e univoco nell’esprimersi con la sua massa imponente.
L’evidente applicazione dei principi cardine della nuova architettura enunciati nei Primer, redatti insieme con i suoi compagni di ventura grazie alle esperienze di condivisione dei progetti, abbraccia qui una più naturale e sostanziale attitudine geometrica. Il piano di proiezione orizzontale sembra essere quello più interessante per tradurre la figura spaziale dell’orfanotrofio, perché lascia
emergere l’edificio piastra infinitamente ampliabile come agglomerato teso alla città.
Lo schema euritmico è quadrato e l’architettura può essere idealmente inscritta al suo interno. Infatti, l’edificio lambisce con le sue propaggini più estreme ogni lato della figura “contenitore” ed è normato, in ogni mossa, da una maglia quadrata sulla base della quale si dispongono tutti i moduli quadrati sottomultipli di quello “contenitore”, ma multipli del quadrilatero della griglia, che sembra rappresentare l’unità dimensionale minima.
Schemi euritmici del quadrato | Orfanotrofio. Aldo van Eyck, 1959-1961, Amsterdam. RdA
POSSIBILIEFFETTIINDESIDERATI
Come tutti i medicinali anche questo farmaco può causare effetti indesiderati, sebbene non tutti i pazienti li manifestino. Tali conseguenze sono esito di un uso smodato e scorretto delle figure piane nella composizione, ma non è detto che vadano evitate a priori, anzi, seguire questi percorsi può svelare sfaccettature inattese per l’applicazione della medicina. Gli eventi presumibilmente avversi più frequenti sono: il Disturbo della Personalità Ossessivo Compulsivo da Perfezionismo, il disturbo della Mimesi e l’Acalasia formale. Se manifesta un qualsiasi effetto indesiderato, compresi quelli eventualmente non elencati in questo foglio illustrativo, è invitato prontamente a segnalarne l’esistenza alla comunità scientifica, in modo da certificare ulteriormente l’inesattezza di questa terapia.
Luigi Arcopinto, 2023. Montaggio euritmico di effetti indesiderati
Grammatica euclidea L’architettura delle geometrie elementari
L’architetto euclideo è un traduttore che, in senso letterario, ha «come compito l’interpretazione dei segni, che sono anch’essi sogni, di quei sogni che imbastiscono parole»1
La geometria compone il suo libro ortografico e gli suggerisce i segni da utilizzare per operare, ma è il complesso possibilistico messogli a disposizione dall’esperienza progettuale (costruttiva o ideale) a fornirgli il vero modo di sognare lo spazio, perché la geometria – come l’ortografia – non è dichiarata mai, in maniera diretta o smaccata, ma è sempre sottesa all’espressione formale.
I percorsi di traduzione possibili sono infiniti e, per ciò, le prescrizioni messe in essere da questa terapia non esplicitano i dettami per una organizzazione razionale dell’estensione architettonica ma, nell’indicare un’impudica via possibile per il progetto, provano a non lasciare inesplorata nessuna intuizione.
Nell’analisi delle tendenze compositive più recenti, sembrano essere molto visibili alcune derive teoriche che portano il progetto di architettura verso lidi che appaiono estranei ai concetti di forma. Qui, il fatto geometrico è surclassato da questioni, definibili come secondarie, che sono enfatizzate fino a dominare l’intera composizione.
Che si tratti della deriva ipertecnologica, pseudo-ecologica,
massimalista o minimalista, ciascun comportamento che è teso a distorcere il problema geometrico e formale è coerente con una sensazione di straniamento. È difficile dire se tale straniamento coincida sempre con una percezione perturbante, nel senso di sottile inquietudine innestata da immagini ormai normalizzate nel subconscio dell’astante2, ma appare evidente che l’utilizzo di un approccio “solo” geometrico alla composizione non sia sufficiente per gli architetti e i critici che popolano la contemporaneità.
Si potrebbe affermare che, qualsiasi sia il percorso di traduzione prediletto, la procedura raccomandata del metterlo a reagire con altre questioni può portare il progetto a piegarsi alla dittatura responsabilizzante di quegli etimi definiti come superiori da tutti, primo fra i tanti: la necessità ecologica. Non di rado, anche l’aderenza ai percorsi della terapia euclidea può far incorrere in errori da interferenza derivanti da altre questioni che portano alla riduzione segnica del progetto. Per questo è fondamentale comprendere quando tali effetti sono utili all’espressione formale e quando non lo sono.
I disturbi più o meno fastidiosi, prodotti dal farmaco geometricochiaroscurale insieme con la sua azione terapeutica, possono dunque costituire altrettante espressioni
1. Ottavio Fatica, Lost in Translation, Adelphi, Milano 2023, p. 17.
2. Cfr. Anthony Vidler, Il perturbante dell’architettura. Saggi sul disagio nell’età contemporanea, Einaudi, Milano 2006.
Schemi euritmici della Mimesi | Tower flower. Édouard François, 2004, Parigi. RdA
MIMESI
L’architetto è per sua natura un violentatore, nel senso che modifica l’ambiente dominato dal caos della natura per introdurre elementi geometrici e ordinati che normano e disegnano lo spazio. Tuttavia, il disturbo della Mimesi sembra proprio avere attinenza coi sensi di colpa dell’uomo connessi all’atto costruttivo.
La moda del rivestire di manti verdi gli edifici, che recentemente dilaga, visto l’innegabile successo del modello del Bosco Verticale milanese di Stefano Boeri, mostra il successo di un nuovo concetto per abitare lo spazio domestico esterno basato sulla finzione del contatto con una natura che è assolutamente artificiosa.
Purtroppo questa modalità non ha a che fare con la tradizione tutta italiana che Gio Ponti decantava ne La casa all’italiana5 su Domus e con cui tratteggiava la tradizione costruttiva di un modello di edificio basato su una provvida schermaglia con il contesto e la natura. Al contrario, il Bosco Verticale sembra nascondersi e ripararsi dal contesto e, nella sua azione protettiva, nasconde la forma dell’edificio annullandola: nemmeno i geometrici sporti bianchi sono in grado di segnalarla a chi guarda.
Prodromi della Mimesi sono presenti anche nei progetti della Tower flower a Parigi di Édouard François e nell’ACROS Fukuoka di Emilio Ambasz in Giappone.
Tuttavia la volontà di espressione formale in tali casi riesce a domare e limitare il disturbo della Mimesi, permettendo ad alcuni segni di emergere dalla macchia verde indistinta ospitata dall’edificio: a Parigi sono i vasi perentori e tutti identici, posti come parapetto; a Fukoka, invece, è il netto confine tra la scalea verde e gli altri elementi figurali dell’edificio.
Attenzione
Nelle architetture potenzialmente affette dalla Mimesi non è presente la poetica della rovina di cui la natura si riappropria lentamente. E, al di là di tutte le speculazioni intellettuali possibili per la terapia euclidea, si potrebbe provare a trasformare la costosissima pratica di coprire di piante l’edificio in una Ars topiaria euclidea ancora più costosa. Una modalità grazie a cui il verde ornamentale possa essere estremamente geometrizzato e trasformato in una vera emergenza figurale. In questo modo, gli edifici diverrebbero eccessi ironici di puro euclideismo, senza finire nella ipocrita scelta che partì dal tetto giardino e finì nell’edificio selva.
5. Si veda Gio Ponti, La casa all’italiana, in “Domus”, n. 1, 1928.
COMECONSERVARE LACURA
Conservi questo medicinale fuori dalla vista e dalla portata dei renderisti e dei bim specialist. Si ricordi di non fare abuso della terapia, ma di usarla e conservarla in una zona solida e protetta della memoria, affinché le sia utile e non risulti devastata da un uso pervasivo e ossessivo che comporterebbe l’alterazione del farmaco e la sua inevitabile scadenza e perdita di efficacia.
«Da un certo punto della mia vita ho considerato il mestiere o l’arte come una descrizione delle cose e di noi stessi; per questo ho sempre ammirato la Commedia dantesca che inizia attorno ai trent’anni del poeta. A trent’anni si deve compiere o iniziare qualcosa di definitivo e fare i conti con la propria formazione»
Aldo Rossi, 1981*
Delle possibili vie per declinare la terapia euclidea, illustrate in questo manuale, l’estetica surreale – introdotta nel capitolo Ortogonalismo FANS – sembra l’ultimo baluardo di un sogno lontano.
Le grandi utopie disegnate del passato, a ogni ricorso, hanno invitato gli architetti a sospendere il giudizio estetico e morale sulle cose, per provare a liberare il pensiero progettuale.
In questo modo, erano autorizzate ad esistere le strutture volanti di Yona Friedman, i mostri di Lebbeus Woods, le capsule itineranti degli Archigram, i reticoli infiniti di Superstudio, o l’elefante abitabile di Charles-François Ribart de Chamoust.
L’innocenza geometrica del bugiardino guarda con desiderio estremo a queste categorie del surreale che sognano mondi impossibili. Infatti, la ricerca della Grammatica euclidea è surreale essa stessa, perché percorre il solco delineato in precedenza rincorrendo l’instabilità dell’immagine architettonica.
Questa attitudine determina una circostanza di contesto ortogonalista che, sospesa tra lo schema euritmico e il compendio chiaroscurale, pone in campo il tentativo di dare corpo alla linea. Sebbene essa sia un ente geometrico senza spessore, sostanzialmente non edificabile nella realtà, il suo costrutto geometrico può lavorare a sistemi tesi alla ricerca dell’appagamento ottico. Azione che tra i suoi esiti può avere quello della reificazione di oggetti che hanno sempre una dimensione prevalente sulle altre e che seguono costruzioni ritmiche scandite da regole geometriche ed empiriche. Allora questo ultimo paragrafo è un resoconto erratico che illustra una possibile via per declinare la terapia euclidea, proprio per prendere – soggettivamente – coscienza del farmaco e mostrarne un uso possibile in un brevissimo atlante. Gli schemi euritmici qui raccolti, sottendono la costruzione di progetti che si presentano solo in forma del loro modello armonico, per enfatizzare la natura surreale delle scelte geometriche e plastiche
* Aldo Rossi, Autobiografia scientifica, Il Saggiatore, Milano 2019, p. 17. Questo capitolo si apre con il monito con cui Aldo Rossi comincia la sua Autobiografia scientifica: un quesito fondamentale da porsi e a cui provare rispondere quando ci si appresta a chiudere un lavoro, un ciclo, un PhD.