Effetto città

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Indice

1.

Introduzione

I luoghi centrali della rigenerazione urbana di Roberto Mascarucci

Questioni

Premessa

Introduzione al tema di ricerca

Parole. Utili chiavi di lettura

Parte prima

Effetto città e trasformazioni urbane

Economia ed evoluzione dello spazio pubblico

Economia pre-industriale e città compatta

Economia industriale e città moderna

Economia post-industriale e città contemporanea

Economia in contrasto e città post-pandemica

Apprendere dalla storia

2.

Governance, effetto città e implicazioni spaziali

Geografie interpretative strategiche

Effetto città e centralità. Interrelazioni socio-spaziali ed economiche

Demix. Atlante delle periferie metropolitane

Il Piano Regolatore Generale di Roma

Relazioni tra sistemi insediativi

Considerazioni sul sistema urbano italiano

Città medie, sistemi metropolitani allargati e nuove geografie istituzionali

Città integrata funzionalmente

Rapporto tra città, centro e periferia

Centralità

Lo spazio urbano: diverse idee a confronto

Il ruolo della progettazione nella centralità 3. 4. 1.

La percezione dello spazio

Tre teorie e alcune idee nel dibattito disciplinare

Intersezioni disciplinari e questioni aperte

Pianificazione e mixité funzionale

Principali teorie sociologiche sullo spazio e sul territorio

La produzione del territorio: la teoria TDR

Spazio e luogo: il framework TPSN

Relazioni, connessioni e limiti

Quale centralità?

Parte seconda

Coerenza spaziale tra urbanistica e architettura

Rigenerazione urbana: introduzione ai casi studio

Progetti di architettura e rapporto con il contesto

LOC-Loreto Open Community

Karen Blixen Plads

Superkilen

Progetti di città, visioni strategiche e spazio pubblico

La città dei 15 minuti: quali obiettivi e quali risultati

Barcellona e l’essenzialità dello spazio pubblico

Urbanisme transitoire. Un diverso modo di “fare città”

Riconfigurazioni

spaziali per una rinascita urbana

Soluzioni parziali proiettate al futuro

Programma unitario di rigenerazione

urbana e visione di coerenza spaziale

Punto e a capo: nuove declinazioni e ibridazioni spaziali

Linee di indirizzo progettuale

Spinta motivazionale

Accessibilità universale

Varietà funzionale

Benessere ambientale

Sicurezza urbana

Arredo urbano e arte

Il nodo diventa spazio, lo spazio evolve a luogo

Qualità dello spazio pubblico: trasversalità disciplinare

Il mancato rapporto tra il progetto dello spazio pubblico e lo sviluppo socio-economico

Progettare nell’incertezza: la sfida del futuro

↑ Mani urbane: la città della prossimità. Disegno a china su carta (48x33 cm) di Antonio Bocca, 2023.

I luoghi centrali della rigenerazione urbana

Com’è noto, l’Agenda 2030 dell’ONU ricomprende tra i suoi obiettivi la riorganizzazione della città in chiave di sviluppo sostenibile (Obiettivo 11, Sustainable Cities and Communities). Inoltre, la sostenibilità dei nuovi modelli di sviluppo urbano è al centro del Green New Deal voluto dall’Unione Europea. E infine, l’urgenza di migliorare la qualità della vita nelle città è tornata attuale per la condizione post-pandemica che reclama la riorganizzazione delle città per garantire l’efficacia del Recovery Fund È così che la “rigenerazione urbana” è entrata prepotentemente nei nuovi orizzonti della progettazione urbanistica, spinta dalla necessità di contenere il consumo di suolo e dalla esigenza di rivitalizzare le aree urbane centrali spesso inesorabilmente avviate verso il declino socioeconomico. Ma la rigenerazione urbana non è solo la riqualificazione fisica della città.

Rigenerare è più difficile che riqualificare. Il programma di rigenerazione deve essere fondato su una molteplicità di azioni, non solo fisiche, che coinvolgono strumenti non sempre presenti nel bagaglio tradizionale dell’urbanista. Già solo l’antico retaggio dell’impostazione razional-funzionalista dell’urbanistica moderna ci limita (mentalmente) a esplorare nuove forme ibride di utilizzo della città. L’applicazione, poi, dei dettami manualistici e delle cogenze giuridiche ci rende ancor più difficile uscire dal limitato perimetro tecnico nel quale ci siamo abituati a operare. Ma la rigenerazione urbana impone un “cambio di paradigma” del progetto, che deve essere valutato secondo criteri di performance, ovvero in ragione della verifica ex post dei risultati prestazionali raggiunti. Ciò significa ricomprendere nel progetto le azioni che garantiscono la sua efficacia, non solo in termini di qualità dello spazio, ma anche in termini di qualità della vita sociale.

I luoghi centrali della rigenerazione urbana

Effetto città e trasformazioni urbane 1.

Economia ed evoluzione dello spazio pubblico

Economia pre-industriale e città compatta

Nella città storica compatta, dove il governo oscillava tra la monarchia e l’oligarchia, fu posta particolare attenzione allo spazio pubblico. Nella città pre-industriale si individuano modelli di derivazione romana contrapposti a insediamenti medievali, di fondazione, sviluppatosi in linea con gli interessi delle famiglie influenti. Tuttavia, la città storica dovette affrontare fin da subito il tema della qualità dell’abitare. Anche se prive di una regola realmente codificata si edificavano città con l’obiettivo di porre in relazione la “pratica” [vita quotidiana] con gli “oggetti” [manufatti architettonici], come espressione della valenza funzionale, sociale, estetica e simbolica (Indovina 2017). È evidente che, prima dell’industrializzazione e inurbamento del XIX e XX secolo, la città non presentava la netta divisione tra ambienti di lavoro e vita quotidiana. Al contrario, vigeva una mescolanza di architetture e funzioni, che potremmo definire una mixité funzionale, tipologica e sociale. Già nel De Architectura Vitruvio illustrò il funzionamento e la distribuzione degli edifici all’interno della città analizzando la struttura e il posizionamento delle funzioni. Ciononostante, anche la città pre-industriale non fu esente da fenomeni di concentrazione di funzioni. «La città preindustriale è […] strumento di vita collettiva, luogo dei riti e delle funzioni pubbliche. La funzione dell’abitare è solo una piccola parte dei compiti ai quali assolve l’aggregato urbano: altrettanto importanti sono quelli di produzione, difesa, scambio, partecipazione che si svolgono tutti attraverso contatti diretti fra persone e gruppi» (Piccinato 2020: 66). Nel modello

di città pre-industriale, pur avendo un carattere omogeneo, alcune funzioni si sviluppavano prevalentemente nel nucleo storico, in base a criteri igienico-sanitari, simbolici ed estetici. Tale criterio, successivamente, fu alla base dello sviluppo della città industriale, con l’allontanamento dal centro della vita cittadina delle funzioni ritenute insalubri. È quindi naturale far risalire la nascita della disciplina urbanistica all’epoca industriale. La città industriale si può definire come un momento di riflessione per la disciplina, in cui è possibile «ridefinire il suo statuto, le sue metodologie, i suoi ambiti operativi» (Pavia 1994).

Tuttavia, è durante il periodo rinascimentale che la città è maggiormente attenzionata. Di fatto si pone attenzione alla creazione degli spazi pubblici e come essi si relazionino con le quinte urbane. In questo modello insediativo si riconoscono i primi segni della pianificazione preliminare: attenzione ai bisogni della popolazione e alla posizione degli edifici, in virtù dell’analisi degli aspetti formali e visivi. Tali visioni sono legate alla rinnovata centralità dell’uomo, all’organizzazione prospettica dello spazio artistico e alla misura progettuale. La città viene interpretata come “microcosmo urbano accentratore”, ma arricchita da “episodi architettonici di rilievo”. Non sono le utopie gli elementi inediti dell’urbanistica, bensì i portici e le piazze (Fera 2020). La città si qualifica quindi come “luogo fisico” (spazio pubblico) e “luogo immateriale” (identità). In virtù di questa interpretazione la piazza rinascimentale può assimilarsi alla nozione di effetto urbano, oltre che espressione degli aspetti socio-economici.

Tuttavia, la città continua a cambiare, sottolineando la necessità di individuare un ordine per comprendere la sua nuova dimensione e il disordine del suo sviluppo (Pavia 1994). Con l’avvento del Barocco, la città si confronta con i temi del movimento e del tempo (Fera 2020), i quali sottolinearono la necessità di dotarsi di un piano di sviluppo e di crescita. Secondo molti studiosi, tale momento può interpretarsi come la riformulazione della “teoria urbanistica” per affrontare la gestione della crescente complessità della città.

Economia industriale e città moderna È solo dalla seconda metà del XVIII che si avverte l’esigenza di un piano urbanistico generale. «Le trasformazioni economiche e sociali dell’industrializzazione divennero […] evidenti solo nel corso del secolo XIX, formando un telaio […] preminente nel quadro della storia contemporanea» (Galasso 2009: 93). Si evidenziano trasformazioni non solo urbane, ma soprattutto socio-culturali. Si sviluppano reti di collegamento (ad es. sistema ferroviario) con cambiamenti repentini dell’immagine della città, in contrapposizione alle lente trasformazioni urbane della

Effetto città. Riconfigurazioni spaziali per una rinascita urbana

Trasferimento casa-lavoro-casa

Luoghi

Esclusiva o elevata mobilità zigzagante nel comune di residenza per il consumo dei servizi e lo sviluppo delle relazioni sociali

1 | Fase di prima industrializzazione: la grande città come luogo prevalente di lavoro. Fonte: Elaborazione dell’autore su dati Nuvolati, 2007: 101.

Ci à

Mobilità praticamente nulla nella ci à di destinazione (luogo di lavoro)

città compatta. Se nel Settecento assistiamo alla florida crescita delle città industriali, già nell’Ottocento – con la nascita di quartieri malsani (gli slums) – si palesano le prime problematiche legate al mancato controllo: condizioni igieniche scarse e aumento dell’inquinamento. Tale condizione avviò il ripensamento non solo dell’uso del suolo, ma anche della geografia funzionale della città. «Da un punto di vista strettamente morfologico l’urbanesimo accelerato prodotto dalla rivoluzione industriale modifica radicalmente il volto della città, con un passaggio progressivo dagli originali caratteri indifferenziati a caratteri sempre più specializzati […], affidando al suolo urbano sempre più precise destinazioni d’uso» (Campos Venuti 2020: 28-29). L’idea della città dell’Ottocento è quindi attenta ai caratteri funzionali e prestazionali, ma consapevole dello sviluppo delle zone produttive e dell’ingente crescita demografica. Si instaura un rapporto tra città e infrastrutture, tra residenza e lavoro, tra spostamenti e vita urbana, che definisce la centralità come infrastruttura prima lineare, successivamente reticolare [1]

Nella seconda metà dell’Ottocento, in risposta alla «demoralizzazione e degenerazione della popolazione urbana» (Secchi, 2000: 18), si effettuano sventramenti affinché la città compatta possa dotarsi di una regola edilizia e di grandi boulevard. «Con l’industrializzazione-urbanizzazione-conurbazione emergono sia la crisi della città, che perde la sua identità e il suo significato, sia la contraddizione tra valore d’uso (la città e la vita urbana, il tempo urbano, l’opera umana) e valore di scambio (merci, spazi acquistabili e venduti, consumo di prodotti, beni, luoghi e segni, il prodotto umano)» (Luongo 2020: 151).

Traie orie
Comune

Accessibilità ai servizi pubblici

Relazioni sopraregionali/ internazionali

Innovazione potenziale

Appagamento sogge ivo

Mobilità sociale

Morfologia urbana

Economie di localizzazione

Centralità

A razione demografica

EFFETTO CITTÀ

Congestione sistema dei trasporti

Impa i sulla partecipazione

SOVRACCARICO URBANO

Pericoli per la vita

Conseguenze sociologiche psicologiche

Congestione amministrativa

Impa i ambiente naturale

Immagine della ci à

Economie di scala

Diversità socio-culturali

Impa i condizioni abitative

Disintegrazione sociale

Conseguenze impa i sulla salute fisica

Conseguenze demografiche

Accessibilità ai servizi pubblici

4 | Effetto città e indicatori. Fonte: Elaborazione dell’autore su base Archibugi, 1996.

Effetto città. Riconfigurazioni spaziali per una rinascita urbana

Development Perpective3, nei quali non vengono esplicitate le dinamiche e le relazioni tra le varie politiche. Archibugi individua la città come «il luogo in cui si materializza il più grande numero di relazioni interpersonali per la stragrande maggioranza delle popolazioni; il luogo in cui le preoccupazioni del pianificatore fisico e di quello socio-economico si uniscono e si integrano; il luogo in cui benessere fisico e benessere socio-economico si materializzano. La città, peraltro, è anche il luogo in cui i più gravi rischi della vita moderna si stanno […] terribilmente omologando» (Archibugi 2006: 6). In virtù di queste riflessioni, è chiaro che si tentò di creare dei piani omogenei a scala multinazionale integrati ai sistemi urbani [4].

Grazie alla definizione di indicatori urbani si pongono a confronto i vari Paesi europei analizzati e la rispettiva distribuzione dei servizi sul territorio. Tale approccio qualifica la strategia di Archibugi in tre principali azioni: (i) polarizzazione, (ii) depolarizzazione, (iii) razionalizzazione [tab. 1]. Ogni azione ha come obiettivo un nuovo equilibrio affinché si incrementi la coesione socio-economica. Se la polarizzazione affronta la dispersione centrifuga verso i poli e tenta di avviare interventi strategici per lo sviluppo delle potenzialità latenti, la depolarizzazione lavora sui sistemi urbani in cui sono presenti gravitazione centripeta e forti sovraccarichi urbani.

Al contrario, la razionalizzazione lavora sui centri urbani privi delle precedenti problematiche nei centri ancora incapaci di svolgere un ruolo urbano, sia per le distribuzioni dei servizi che per l’assenza di dotazioni. È chiaro che le strategie esposte si articolano in relazione all’interdipendenza, in cui l’acquisizione dei requisiti essenziali è espressa dal raggiungimento della configurazione coerente [5]. L’obiettivo dalle proiezioni del Progetto ’80 fu la definizione di networks urbani fra piccole e medie città per contrastare la gravitazione sulle grandi aree urbane. Se la Francia – contestualizzata al 2006 – presentava una distribuzione di aree non urbanizzate, con forti impedimenti in una possibile riorganizzazione urbana, l’Italia era caratterizzata dalla presenza di una doppia anima dovuta al divario tra Centro-Nord e Mezzogiorno. Se da un lato si opta per riequilibrio urbano in termini di performance nell’area d’influenza di Milano e Torino, dall’altro il Mezzogiorno è pressoché privo di reali “poli”. La vision proposta si basa su interventi in aree urbane strategiche affinché si inneschi un riequilibrio tra domanda e offerta tale da favorire la ri-nascita di centralità ottimali. Archibugi, dunque, qualifica l’effetto città come strumento di riequilibrio nazionale e di avvio per politiche urbane innovative, de-polarizzando i centri maggiori a favore delle città intermedie e attuando una diversa governance nelle periferie e nei centri storici. La ricerca sostiene la tesi secondo cui è necessario decongestionare i centri storici delle

Funzionamento a uale

Esempio territoriale Schematizzazione grafica

Funzionamento proposto

RELAZIONE TRA CAPOLUOGHI DI PROSSIMITÀ

SISTEMA COMPLEMENTARE E SINERGICO TRA “CENTRI PIVOT”

AMBITI MINIMI DI COESIONE LOCALE

Minori Capoluoghi di Prossimità

Metropolitani

9 | Schemi ideogrammatici di funzionamento del sistema insediativo. Fonte: Mascarucci R., 2021.

Centri
Centri Pivot
Centri

di dotazioni urbane; il ruolo di supporto alle aree montane, come “centri pivot” nel quadro del funzionamento del sistema insediativo nel suo complesso […]. I cosiddetti “centri pivot” che, a seconda delle diverse situazioni locali, possono essere le città medie oppure anche alcuni centri metropolitani regionali (Mascarucci 2021) [9]. Queste riflessioni, se relazionate al tema del policentrismo, possono qualificare il ruolo delle centralità nello sviluppo socio-economico.

Nella città medie la centralità può definirsi relativa e sussidiaria, ossia associata a servizi essenziali e telescopica rispetto all’area di influenza dei grandi centri e dei servizi specializzati (Simard 2020). Se l’effetto urbano, o più specificamente effetto metropolitano (Glaeser 2011) è la principale risorsa per lo sviluppo dell’eccellenza e dell’innovazione, è altrettanto difficile definire il suo carattere all’interno di realtà dinamiche come quelle di media dimensione, ancor di più che per i sistemi consolidati. È naturale che le città di media dimensione non siano ancora attrezzate, a maggior ragione nel contesto italiano, a sostenere il ruolo di intermediazione tra le piccole città e le grandi metropoli. Un sistema così congegnato e in grado di equilibrare la stabilità dell’assetto e delle relazioni tra sistemi territoriali può assicurare un innesco per il rilancio socio-economico e infrastrutturale. Questo implica il rafforzamento dell’attrattività territoriale e una maggiore consapevolezza dei flussi (persone, informazioni, merci, dati) come campo di indagine per un’interpretazione esaustiva in termini socio-spaziali. Infatti, «rafforzare l’attrattività del territorio nei confronti dei fattori produttivi considerati mobili richiede la promozione di mercati specifici, ma anche la disponibilità di risorse extra-economiche: capacità di ricerca pubblica, qualità dell’ambiente e dei paesaggi» (Demazière 2007).

Pertanto, la creazione di centralità urbane nei capoluoghi di prossimità, affinché siano “ambiti minimi di coesione locale” e tali da generare nuove forme di organizzazione sociale basata sulla dimensione sovracomunale, devono intendersi quali distretti funzionali intercomunali in grado di restituire urbanità e dinamicità al territorio.

Città integrata funzionalmente

Rapporto tra città, centro e periferia

Secondo Bauman (2020: 23) «le città sono state convertite nella discarica dei problemi di origine mondiale», in cui le disuguaglianze investono il territorio indipendentemente dalla collocazione geografica e attivando dinamiche di competizione economica tra loro (Camagni 1992). In virtù di processi di globalizzazione e di de-territorializzazione, è chiaro come anche i piccoli centri, le città intermedie e i grandi sistemi insediativi abbiano dovuto confrontarsi con

Pianificazione e mixité funzionale

Il tema dello spazio pubblico e della rete dei luoghi, non solo riveste un ruolo nella pianificazione, ma è anche la diretta espressione della nozione di mixité nelle sue diverse declinazioni, basti pensare alle politiche e progetti attuati da Francia, Inghilterra e Paesi Bassi8. È innegabile come l’idea di mixité, in particolare nella declinazione funzionale della pianificazione contemporanea, pur essendo contraddistinta da sfaccettature ambigue (Rowley 1996) e polisemiche (Barattucci 2014), si qualifichi quale risposta al senso di segregazione dovuto alla frammentazione della città.

Nel quadro eterogeneo della pianificazione si possono individuare declinazioni di mixité funzionale, tipologica, temporale e sociale (Fasolino, Graziuso 2015) [tab. 11], ma spesso sono compresenti e difficilmente si manifestano singolarmente. Non a caso, nelle diverse stagioni urbanistiche, si riscontra una costante relazione – sia di sinergia che di contrasti – tra le strategie di zoning imposte dai piani urbanistici e i tentativi di mixité (Barattucci 2013), con l’obiettivo di innovare lo stesso strumento urbanistico. Si evince come la mixité funzionale scaturisca dalla concezione applicativa della stessa urbanistica e sia il risultato di tre esigenze disciplinari: (i) contestualizzazione, (ii) operatività e (iii) sperimentazione (Ricci 2005).

La mixité non è un concetto da applicare sistematicamente, ma è cosciente delle differenti componenti urbane, del territorio e del sistema socio-economico affinché le proposte progettuali siano risoluzione alle asimmetrie della nuova questione urbana, ecologica e sociale.

Tabella 11 | Definizione di mixité. Fonte: Elaborazione autore su dati di Graziuso, Adinolfi, Saldeño Madero, Fasolino, 2021.

Mixité

contestualizzazione

Distribuzione delle funzioni urbane operatività

Funzionale e tipologica

Sociale

Temporale

Politiche, strategie e strumenti per progetti locali sperimentazione

aggregazione e socializzazione

integrazione e interazione

flessibilità

accessibilità

Ricomporre la frammentarietà

Prossimità

Accessibilità e vicinanza dei servizi

Diversi usi in relazione ai tempi e ai flussi

Piani dei tempi e degli orari

Effetto città. Riconfigurazioni spaziali per una rinascita urbana

Ciò implica la riconfigurazione del sistema di mobilità affinché l’accessibilità sia indice di qualità della vita e asset su cui impostare la struttura socio-economica. La mixité funzionale, quindi, è un concetto tran-scalare e sviluppabile a diverse scale progettuali, integrato da temi ecologici e socio-economici. Si può quindi affermare che la mixité funzionale tenti di generare ambienti complessi strettamente interconnessi con il contesto e il territorio.

Altresì, la produzione progettuale dello studio Topotek 1 evidenzia come il concetto di mixité sia analizzato, ricercato e declinato nei diversi progetti e contesti d’intervento, in cui si dimostra come il suolo, e quindi lo spazio, possa essere confluenza di esperienza tanto della tradizione locale quanto dell’autenticità progettuale. Nei loro progetti lo spazio diventa ibrido (Parcheggio-playground, Berlino 1998), non finito (Parco Sportivo Maselake, Berlino 2006), austero (Parco-giochi della scuola per l’infanzia, Berlino 2007), sovrascritto (Water pic-nic nel Bundesgartenschau, 2009), fino a essere anche pittoresco (Superkilen 2007) e decontestualizzato (Sky garden 1996)9. Eppure ciò che si persegue è sempre la sovrapposizione di sensazioni e mixitè [tab. 12]. Lo spazio urbano, oggi, risulta isotropo, privo di un reale centro ed estremamente legato a un movimento incessante. L’urbanistica, se da un lato ha posto interesse nel potenziamento della mobilità, dall’altro ha indirettamente indebolito la qualità del progetto. Ulteriore aggravante è riscontrabile nell’irrigidimento della disciplina su approcci superati favorendo l’appiattimento del progetto e la creazione di spazi privi di mixité

Tabella 12 | I vantaggi dell’ambiente misto. Fonte: Elaborazione dell’autore su dati Coupland, 1997.

Concentrazione e varietà delle attività

Dinamicità Minore necessità di spostamenti

Ambiente più sicuro

Minore dipendenza dall’automobile

Centri delle città più attrattivi e di maggiore qualità Maggiori opportunità per il trasporto pubblico

Benefici sociali, economici e ambientali

LOCLORETO OPEN COMMUNITY

Posizione

→ Piazzale Loreto, Milano

Gruppo di lavoro

→ Nhood Service Italy /Ceetrus Italy, Arcadis Italia, Metrogramma Milano, Andreacaputo.com, MIC –HUB, LAND, Temporiuso, FROM, SIST, MANENS TIFS, Gabriele Maragotto, IGPDecaux, Siemens, Helexia

Dimensione

→ Spazio pubblico: 24.000 mq (10.000 mq di piazza e 14.000 mq di spazi pubblici lungo gli assi), Superficie piantumata: 4.250 mq

Anno

→ 2021 (in realizzazione)

Parole chiave

→ Accessibilità, Mitigazione, Effetto urbano

Questioni di partenza

Piazzale Loreto è da sempre un crocevia di collegamento tra l’asse commerciale di Corso Buenos Aires e le principali direttrici di Viale Monza e Via Padova, in una delle zone più dinamiche di Milano. Il piazzale si configurava come elemento di cesura, privo di valorizzazione della mobilità ciclo-pedonale e dedito alla viabilità carrabile, di fatto diminuendo la qualità urbana. Tuttavia, questo spazio si configurava come una possibile piazza, in quanto vuoto urbano in cui confluiscono strade, sul cui perimetro si attestano cortine edilizie, anche se non svolge il classico ruolo di luogo finalizzato alla socializzazione.

Pertanto, nell’ambito della strategia

Milano2030, tale area viene riconosciuta come potenziale centralità-pivot tra il centro e i quartieri periferici, operando sulla ri-configurazione dello spazio pubblico.

L’obiettivo perseguito è ri-organizzare l’area non solo quale cerniera urbana, ma promuovere – attraverso interventi di rigenerazione urbana – la mobilità sostenibile, incrementare le connessioni e contrastare i fenomeni delle isole di calore, inquinamento atmosferico e acustico.

Altresì, la strategia adottata prevede la rifunzionalizzazione di alcuni edifici per migliore la qualità architettonica e la performance ambientale, contribuendo anche al rilancio della componente socioeconomica.

Al fine di ottenere la giusta configurazione spaziale, in fase pre-progettuale sono stati coinvolti attivamente sia la comunità che gli stakeholder (associazioni, gestori pubblici, studenti, lavoratori, etc.).

← Rappresentazione fotografica LOC-Loreto Open Community. Fonte: Metrogramma Milano S.r.l., Nhood, 2021.

L’intervento ha anche il compito di risolvere definitivamente l’annoso problema della circolazione carrabile dell’area, in cui nella confluenza tra Viale Brianza, Viale Monza, Via Padova, Via Costa, Via Porpora, Viale Abruzzi, Corso Buenos Aires e Via Doria è presente una rotonda tagliata da due bypass, causa di molteplici ingorghi e problemi di circolazione.

KAREN BLIXEN PLADS

Posizione

→ Copenaghen, Danimarca

Gruppo di lavoro

→ Cobe Architects con EKJ, CN3, Vind-Vind, MJ Eriksson, NCC Danmark

Dimensione

→ Superficie: 21.415 mq con 2.000 parcheggi per biciclette

Anno

→ 2019

Parole chiave

→ Accessibilità, Esperienza urbana, Adattamento climatico

Questioni di partenza

Ormai da anni, la Danimarca è tra i Paesi con il più alto indice di utilizzo della bicicletta. Come afferma Dan Stubbergaard, architetto e fondatore di Cobe Architects «Copenaghen è una delle principali città ciclabili al mondo, con oltre il 40% degli abitanti della città che vanno in bicicletta per i loro spostamenti quotidiani».

Questo risultato è stato reso possibile dall’investimento di circa due miliardi e mezzo di euro finalizzati alla realizzazione di circa 350 km di piste urbane, oltre che ponti ciclabili e bike-parking

Lo studio Cobe Architects è forte sostenitore dell’idea che la piazza sia ancora in grado di «avere un ruolo centrale nella città contemporanea e vada promossa e reinventata al di là del digitale e delle sue algide dinamiche d’interscambio relazionale muto» (Mello 2020).

Lo spazio urbano, oggi noto come Karen Blixen Plads, si caratterizzava quale ampio spazio grigio in cui le biciclette regnavano in totale assenza di gestione e gerarchizzazione spaziale. A partire dalle esigenze logistiche del campus universitario, il progetto ragiona tanto sulla sistemazione delle biciclette quanto sulla valorizzazione della vicina riserva naturale e sulla funzione di socializzazione dello spazio pubblico. Secondo questa impostazione, il progetto, oltre a definire uno spazio urbano fortemente integrato con la mobilità ciclabile, lo amplia e attua una simbiosi urbana tra componente antropica e naturale.

Progetto

← Karen Blixen Plads. Fonte: Google Maps, 2024.

Karen Blixen Plads è uno spazio urbano, compreso tra l’Università di Copenaghen South Campus e la riserva naturale Amager Commons, organizzato come collegamento graduale verso il parco. «Questo crea un sottile equilibrio tra il carattere urbano del campus universitario e lo spazio naturale aperto di Amager Commons» (Cobe Architects, 2019).

La città dei 15 minuti: quali obiettivi e quali risultati «Oggi non è più il Piano Regolatore del Territorio novecentesco –quello che definiva lo spazio di una città e le sue funzioni – che deve interessarci, ma un Piano Regolatore del Tempo Urbano» (Biondillo, 2021: 23). La città moderna e contemporanea presenta come caratteristica principale la discontinuità e la parcellizzazione. «Tutto è separato e sincopato: le varie zone a funzione diversa, gli edifici staccati gli uni dagli altri, le strade più simili a nastri trasportatori che trasferiscono auto da un luogo all’altro» (Pagliardini 2009).

La situazione pandemica ha inoltre spronato le grandi città a lavorare sulla sostenibilità e sulla trasposizione del tempo nella fruizione dello spazio urbano. In particolare l’approccio della città dei 15 minuti è stata intesa quale soluzione alla pandemia, all’economia e all’ambiente.

La città dei 15 minuti si configura come l’unione di diverse progettualità sul territorio che tengono conto dell’istruzione e della sanità. È chiaro, inoltre, che la rimodulazione del mondo del lavoro offre la possibilità di rigenerare parti di città in difficoltà, favorendo il potenziamento dell’accessibilità e lo sviluppo di attività commerciali esistenti ed emergenti (Moreno et al. 2021).

Gli interventi e le strategie urbane messe in atto sono in linea con i principi del Green Deal e pongono alla base la necessità di rendere le città più ecologiche, sicure e inclusive, rispondendo similmente agli indirizzi del New European Bauhaus, della Nuova Carta di Lipsia e dei Sustainable Goals Developments [Good health and well-being (Goal 3) e Sustainable cities and communities (Goal 11)]. Tali interventi mirano non solo ad aumentare la “sostenibilità dei sistemi insediativi”, bensì a modificare il funzionamento operativo delle città, affinché siano “aperte” e incarnino i principi di porosità. Questo presuppone uno sviluppo non lineare, ma aspira a uno sviluppo democratico, non tanto nella sua valenza giuridica, quanto come esperienza concreta (Sendra, Sennett 2021). Tuttavia, definire univocamente cosa sia la città dei 15 minuti non è immediato a causa delle molteplici sovrapposizioni e giustapposizioni tra spazio costruito (spazi pubblici ed edifici) e percepito (sicurezza urbana), tra accessibilità e qualità dell’abitare. Il sistema insediativo, così interpretato, evidenzia come esista la possibilità di realizzare una città elastica9 (Ware 2020) in cui il sistema urbano sia frammentabile e auto-dipendente in caso di situazioni emergenziali, con la possibilità che ciascuno di essi sia portatore di centralità e di qualità spaziale definita e identificabile. Questo concetto riflette sulla concentrazione/

← Arco di trionfo, Parigi. Fonte: Google Maps, 2024.

Conclusioni

città. Riconfigurazioni spaziali per una rinascita urbana

Il mancato rapporto tra il progetto dello spazio pubblico e lo sviluppo socio-economico

«Le città non si costruiscono nel tempo in maniera lineare: le loro forme si attorcigliano e si trasformano a mano a mano che gli eventi storici modificano i modi in cui la gente ci vive» (Sendra, Sennett 2021: 48-49), e non è raro cogliere il mancato rapporto tra sviluppo territoriale e progetto urbanistico. Tuttavia, le cause di questa difficile relazione sono da ricercare nella storia della stessa urbanistica, nella quale è evidente come la mancata innovazione sia elemento critico per molte strategie di rigenerazione. Nelle diverse stagioni urbanistiche, il tentativo di unificare la pianificazione territoriale e la programmazione economica si è sempre rivelato fallimentare.

Alla scala vasta si ricorda il Progetto ’80 come storico tentativo di immaginare lo sviluppo territoriale per l’intero Paese, considerando come asset principali i sistemi metropolitani e quelli ambientali, ben presto fallito a causa del mancato riformismo della politica degli anni Sessanta e delle divergenze nel governo del territorio in Italia. Al fine di avviare un “disegno generale dei sistemi” il Progetto ’80 stabiliva che le misure e le azioni territoriali, alla scala nazionale, dovessero puntare alla realizzazione di un sistema urbano-metropolitano capace di sviluppare sistematicamente (anche nei contesti locali) un nuovo effetto città. Inoltre, l’obiettivo complessivo del programma era allargato agli effetti sinergici con il sistema socio-economico, sul quale si sarebbero dovute ottenere modificazioni sia reversibili che strutturali e durevoli (Di Fenizio 1969; Renzoni 2012). Tuttavia, l’interesse per la pianificazione regionale e il crescente divario tra approccio tecnico e volontà politica determinarono inerzie procedurali che si rivelarono fatali per l’efficacia del Progetto ’80. Da questa esperienza, se da un lato si evidenzia come il principale problema sia stato il difficile rapporto tra cultura urbanistica e programmazione dello sviluppo, dall’altro emerge la forte domanda di innovazione delle politiche. Il programma si proponeva di avviare uno sviluppo locale tramite l’unificazione dei piani territoriali e dei programmi economici, con l’intenzione di modernizzare il modus operandi della pianificazione; anche se il tentativo si può considerare non riuscito, il Progetto ’80 ha comunque il merito di aver formulato due assunti, tuttora validi: la necessità di un riequilibrio territoriale tra le aree del Paese e la contemporanea esigenza di distribuire l’effetto urbano sull’intero territorio nazionale.

Un ulteriore tentativo di affrontare, con un diverso approccio, la stessa problematica è stato quello del “Grande progetto urbano” (Macchi Cassia 1991), proposto negli anni Novanta come nuovo strumento in grado di gestire la trasformazione urbana di specifici ambiti. Attraverso

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