Lo spazio al centro in Kahn

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Lo spazio al centro in

Kahn

«Avevamo bisogno di Boullée […] Boullée è. Dunque, l’Architettura è» scrive Kahn dopo aver visto i disegni dell’architetto e teorico francese. Tanto di quell’architettura visionaria – che in Kahn desta meraviglia al pari del Pantheon – ritorna nelle composizioni a pianta centrale del Maestro di Philadelphia, dove lo spazio è “al centro”, non solo in senso fisico. Lo Spazio è, per Kahn, materializzazione di una Forma e all’Architettura, come arte costruttrice di spazi, compete rappresentare quelle Istituzioni che devono inverare nella realtà le Ispirazioni dell’uomo.

Federica Visconti
* * *
Indice
11 Incipit 19 Meditati, magnifici spazi 31 Lo spazio sacro dell’incontro tra terra e cielo: la Morton Goldenberg House 41 Lo spazio sacro dell’unità delle differenze: l’Unitarian Church 57 Lo spazio sacro della conoscenza: il Salk Institute 73 Lo spazio sacro dell’ot (simbolo): la Hurva Synagogue 85 Epilogo I. Alla ricerca del Pantheon: la National Assembly di Sher-e-Banglanagar 103 Epilogo II. Amo gli inizi: il Roosevelt Memorial a New York 116 Apparati
Incipit * * *

Louis Isadore Kahn è stato, sin dall’elaborazione della tesi di dottorato discussa nel 2001, una mia “ossessione”: di quelle che, come è stato detto, è necessario che gli architetti, nella vita, si scelgano1. Nella tesi dottorale, sul tema de L’Architettura per la Ricerca Scientifica2, erano stati, ovviamente, i Richards Research Buildings a Philadelphia e il Salk Institute di La Jolla a essere ridisegnati e studiati, diventando una prima occasione per individuare, nella riflessione e nell’opera dell’architetto “Estone di Philadelphia”, alcuni temi che ne accompagneranno l’intera esistenza.

Ma se quella dell’opera di Kahn rappresenta ancora oggi per me, come detto, un’“ossessione”, lo stesso Kahn ne ha avute alcune: la più significativa credo possa dirsi essere stata la riflessione continua, insistente e per certi versi tormentata, sul senso ultimo dell’Architettura come rappresentazione delle Istituzioni degli uomini che lo ha portato ad affermare convintamente che il lavoro dell’architetto non può limitarsi a interpretare un programma funzionale ma deve piuttosto tendere a mettere in opera quell’Human

Agreement dal

1. Il riferimento è a quanto Vacchini discute, attraversando la descrizione di opere di tutti i tempi, dal Partenone alla Neue Nationalgalerie di Mies van der Rohe, nel piccolo libro L. Vacchini, Capolavori. 12 architetture fondamentali di tutti i tempi, a cura di B. Pedretti e R. Masiero, Umberto Allemandi & C., Torino 2007, oggi Id., a cura di M. Manzelle, pref. di R. Masiero, Libria, Melfi 2017.

2. F. Visconti, L’Architettura per la ricerca scientifica, Tesi di Dottorato in Progettazione Urbana, XIII ciclo, Università degli Studi di Napoli “Federico II”.

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quale nasce ogni forma di abitare collettivo e pubblico3.

Volendo individuare una chiave di lettura per affrontare, nello spazio di questo saggio, una figura così complessa e selezionare una “porzione” della sua immensa opera, il tema delle istituzioni umane e della rappresentatività che l’architettura dovrebbe poter dare loro, è apparso non tanto quello più semplice da trattare ma quello rispetto al quale il lavoro di Kahn appare essere assolutamente fuori dal tempo, ovvero classico, e quindi, da un certo punto di vista, appartenente a tutti i tempi.

Nel Discorso conclusivo del Congresso di Otterlo, nel 1959, che, significativamente, sarà l’ultimo dei CIAM, Kahn parla di tutte le cose che, in architettura, sono “incidentali e circostanziali” e, tra queste, insieme con i problemi pratici e le scelte dei materiali, parla di design (progetto) che definisce come «la realizzazione della tua composizione, così che tu possa suonare la musica», proseguendo poi con un affondo sull’architettura di quegli anni che giudica troppo attenta a questioni che non riguardano la sua “reale essenza”. Kahn discute, infatti, di design problems che «[…] non sono la reale essenza dell’architettura oggi. Il presente non è affatto il tempo di uno stile, è il tempo della ricerca nel buio, un tempo di scoperta. È il tempo, si potrebbe dire, della realizzazione. I nostri problemi sono tutti nuovi, le nostre domande spaziali sono nuove, e questo è quindi il

3. Sull’interpretazione architettonica dei “modi dell’abitare” in Kahn, costantemente a raffronto con l’opera di Mies si veda F. Visconti, R. Capozzi, Kahn e Mies. Tre modi dell’abitare, Clean Edizioni, Napoli 2019.

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tempo che deve misurarsi con lo sforzo di creare istituzioni migliori di quelle che già esistono. Le nostre istituzioni sono davvero molto modeste oggi. Non sono buone istituzioni, perché gli spazi che devono servirle sono antiquati. Noi dobbiamo trovare il regno dello spazio che può oggi servire bene queste istituzioni […] è terribilmente importante»4.

Questa aspirazione a un rinnovato ruolo civile dell’architettura è, io credo, un insegnamento universale e sempre operante e che quindi è ancora oggi utile riaffermare. Naturalmente occorre farlo attraverso le opere, cercando in esse la reificazione di un pensiero. E proprio del rapporto tra opere e pensiero in Kahn aveva parlato Jonas Salk nel suo ricordo commemorativo pronunciato per l’architetto e riportato in esergo a questo libro. Appare sorprendente – ma forse non a chi conosca la sintonia d’intenti e di pensiero tra i due – che sia stato uno scienziato a ricordare che la grandezza di un’epoca sta nelle opere che alcuni sono stati capaci di realizzare. Una condizione che, in particolare, riguarda quelle opere appellabili come “eloquenti”, cioè non solo convincenti e dotate di singolari qualità di chiarezza ma addirittura non necessitanti di alcuna spiegazione. Tra queste, le opere di Kahn.

Questo saggio attraversa dunque una limitata selezione di opere – senza nessuna attenzione alla scala, alla cronologia né tantomeno alla specifica attività che

4. L. Kahn [1959], Talk at the Conclusion of the Otterlo Congress, in Id., Essential texts, edited by R. Twombly, W.W. Norton & Company, New York-London 2003, pp. 37-61; p. 55.

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Lo spazio sacro dell’incontro tra terra e cielo: la Morton Goldenberg House

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Louis Kahn progetta la casa per i coniugi Morton Goldenberg in località Rydal, nella contea di Montgomery in Pennsylvania, nel 1959. Se la composizione della Weber De Vore House, progettata e anch’essa purtroppo non realizzata circa un lustro prima, si fondava su una successione paratattica di stanze quadrate, sapientemente disposte in sequenza, con piccoli sfalsamenti rigorosamente modulari, la Morton Goldenberg House incarna eponimamente l’idea kahniana della “società di stanze”1 anticipando, alla scala domestica, secondo un principio interscalare, il modo del comporre del grande edificio-città di Dacca.

La stanza più importante è quella posta al centro: il patio che, nella casa antica, è un luogo connotato da una sua propria sacralità. Nella casa greca, caratterizzata da forme più arcaiche e semplici di quelle che assumeranno poi le domus nel mondo romano, dove pure nell’atrium o nel peristilium sarà spesso collocato l’altare dedicato ai Lari protettori della familia, lo spazio scoperto centrale può essere inteso come il luogo di incontro di due divinità che abitano le dimore degli uomini. Si tratta di Hestia, rappresentazione del focolare, e di Hermes, il dio messaggero2: simbolo di fissità e radicamento, la prima, di movimento, il secondo3. Nella

1. L. Kahn [1971], The Room... cit., p. 254.

2. J.-P. Vernant, Hestia-Hermes. Sull’espressione religiosa dello spazio e del movimento presso i Greci, in Id.,  Mito e pensiero presso i Greci, Einaudi, Torino 1978, pp. 147-200.

3. S. Benvenuto, Hestia-Hermes. La Filosofia tra focolare ed angelo, in

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Lo spazio sacro della conoscenza: il Salk Institute

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Louis Kahn riceve l’incarico per progettare la sede del Salk Institute a San Diego in California, in località La Jolla, nel 1959 e lavorerà intensamente al progetto, e poi alla sua realizzazione, sino al 1965 anno in cui viene ultimata la costruzione del solo edificio dei laboratori mentre il più ampio programma – che prevedeva anche una Meeting House e un Village per gli alloggi dei ricercatori –non verrà mai completato. Kahn aveva già lavorato sul tema dell’architettura per la ricerca con la costruzione dei Richards Research Buildings all’interno del campus della University of Pennsylvania a Philadelphia. Questa composizione di edifici alti che, evocando il profilo turrito di San Gimignano, rimanda scalarmente, in pianta, alla composizione paratattica della Weber De Vore House, aveva già dato occasione a Kahn di riflettere sul significato – e le forme adeguate a inverarlo – degli edifici per la ricerca, sperimentando anche alcune soluzioni costruttive e tecnologiche di grande interesse in relazione alla interpretazione della particolare istanza tematica. Ma soprattutto i laboratori Richards della UPenn, nella quale nel frattempo Kahn aveva cominciato a insegnare, giocheranno un ruolo decisivo nell’incontro tra il Maestro di Philadelphia e Jonas Salk, lo scienziato che, nel 1955, aveva messo a disposizione di tutti, rifiutando di brevettarlo, il più importante risultato delle sue lunghe ricerche: il vaccino contro la poliomielite. Le narrazioni di questo incontro non sono tutte concordi: si legge in alcuni testi che Salk avrebbe chiesto di incontrare Kahn dopo aver visitato,

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e ammirato, i Richards mentre in altri si accenna a un suggerimento arrivato a Salk da un amico che aveva assistito a una conferenza di Kahn rimanendone colpito. Ma poco importa. Kahn stesso, forse senza chiarire del tutto l’antefatto ma suggerendoci che l’incontro sia avvenuto prima della visita al campus di Philadelphia, racconterà che «Il dottor Salk mi venne a trovare: “Signor Kahn, vorrei che mi facesse visitare i laboratori dell’università” (il Richards Medical Research Building, University of Pennsylvania). Mi chiese: “Quanti

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metri quadri?”. Gli ho risposto che erano circa 8.360 e lui ha osservato: “È esattamente quanto ci occorre: a me servono 9.000 mq.; siamo in dieci e pensiamo che a ciascuno occorrano 900 mq.”. Ma egli [Salk] diede al programma una nuova dimensione, aggiungendo: “Vorrei poter invitare qui Picasso”. E da quel momento il problema apparve sotto una luce nuova»1.

1. Così Louis Kahn in francese in Salk Institute for Biological Studies, San Diego, California, in «L’Architecture d’aujourd’hui», n. 142, 1969, pp. 80-87, ora anche in italiano in C. Norberg-Schulz con J.G. Digerud, Louis I. Kahn. Idea e imma-

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