Resistente

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Ai genitori, ai maestri: come onda in continuo arrivare, deposita.


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Presentazione Avvertenza Ringraziamenti Resistente Ambivalenza Operare con “cura� Citazioni Appunti manoscritti Il necessario essenziale Trilogie Intervento steel days Paesaggi minimi Un parere sulle piccole cose Ad ogni istante una porta si apre Incontrare un maestro Sulle tracce dell`ovvio Pietre e parole Tanta vis admonitionis est in locis Dentro e fuori Riflessioni attorno al resistente Note, Illustrazioni Bibliografia



Presentazione Michele De Lucchi

Giorgio Zendrini ci riporta sotto lo sguardo il pensiero delle cose belle, antiche, che valgono perché più vicine al mondo dell’uomo e della natura, più autenticamente arcaiche, vere. Ci dice anche che è compito dell’architetto difendere le cose semplici ed educare al bello senza prosopopea, senza vanità: una missione umile, ma importante. Giorgio si dibatte in questo mondo che sembra non apprezzare la bellezza della natura e che continua a ingombrare il paesaggio con orribili edifici industriali, grandi, grossi, sproporzionati e di orribile cemento con recinzioni e oggetti di plastica, volgarmente colorati, falsamente luccicanti e otticamente inquinanti. Ha ragione e va ascoltato anche se, come Giorgio stesso sa bene, le cose fatte una ad una, con la sensibilità della mano e della mente, costano, costano molto e l’industria ci da una mano per ottenere di più a meno e a diffondere a tanti cose che altrimenti apparterrebbero solo a pochi. E’questo credo l’indirizzo che Giorgio Zendrini indica, con la mano e con il cuore, invitandoci a combinare la semplicità e la bellezza dell’architettura arcaica con la praticità e l’efficienza della civiltà industriale.

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Il necessario essenziale Oggi, siamo qui per ascoltare ed eventualmente condividere le parole di Marco Valli - Osel Dorje; siamo qui perchè gli riconosciamo l’esperienza di due culture (...), occidentale e orientale e in particolare quella del buddhismo tibetano. Come ideatore di questo incontro ho la responsabilità dell’introduzione, ma ho anche il piacere di presentare Marco Valli; così che, mi concedo una sola possibilità: avviare l’argomento con una prospettiva interrogante. Quando alcuni giorni fa ho telefonato a Marco Valli per invitarlo a questo incontro, avevo in mente un tema, una riflessione, che ruotava intorno al concetto di “Il necessario possibile”; ovvero, il necessario in relazione alle nostre possibilità, alle condizioni del nostro operare; immediatamente, senza esitare il Maestro ha risposto: meglio fare “IL NECESSARIO ESSENZIALE”, fregato! Da quel momento in poi mi sono sentito intrappolato e senza più via d’uscita. Tutte le riflessioni, gli abbozzi, in definitiva tutto quello che avevo accumulato sulla condizione del necessario, sulle forme dell’apparenza e della realtà (le strutture che utilizziamo in accademia e per il nostro lavoro), si dissolsero in un istante, mi accorgevo che erano sprovviste del “necessario essenziale “a priori”, sprovviste della pre-condizione fondamentale senza la quale non è possibile alcunché: cioè esistere, vivere, fare.

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Per risolvere il problema dovevo cercare un’interpretazione, non farmi sviare, riempire il vuoto che mi aveva intrappolato, pensare all’intera esistenza umana come vita corporea, animale, biologica, ancorata al necessario essenziale all’“a priori”; così, ho pensato a qualcosa di elementare, che non fosse espressione di concetti metafisici, filosofici o trascendenze religiose, così per intuito ho pensato al linguaggio. Proverò quindi un interpretazione a partire dal linguaggio: perchè “se nominare è umano”, nome e necessità dovrebbero esprimere la condizione originaria, ed essere l’immagine della realtà; non è questo il momento di andare oltre. Riprendo dal dizionario della lingua italiana le voci “necessario” ed “essenziale”, a cui aggiungo alcune etimologie tratte dal dizionario di Giovanni Semerano. Inizio dal termine NECESSARIO: che è di estremo bisogno, che è indispensabile di cui non si può fare a meno. Dal latino NECESSARIUS: decl. Necesse, Necessum, Necessus; ovvero vincolante. NECESSARIUS, pone in origine, un rapporto con NECTO: unisco, incateno, metto uno accanto all’altro, costringo; in ebraico NAGAS – mettere alle strette; in accadico NAGASU – essere alle strette. Ora, la voce ESSENZIALE: che concerne l’essenza (ens, essere, ousia), fondamentale, sostanziale, cosa di principale necessità; ESSENZA: ciò per cui una cosa è quella che è, che è condizione essenziale (prima condicio est ut).

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Dentro, fuori Consideravo conclusa questa raccolta dopo aver scritto lo schizzo “Tanta vis admonitionis est in locis”, invece il significato delle parole che ho usato per introdurlo mi hanno imprevedibilmente trascinato negli intrecci di un pensiero che da alcuni anni era in attesa di una definitiva “ruminatio”. Prima di procedere devo una indispensabile precisazione: ho avuto e ho come lingua madre il dialetto e questo, di fatto è il presupposto essenziale a giustificare le argomentazioni che intendo sviluppare. Ed è comprensibile, e in un certo qual modo inevitabile, che nell’approccio al tema di questo schizzo, impieghi lo stesso “espediente” (leggi intuizione, utile strumento) che ho usato per procurarmi l’accesso alla comprensione della tradizione (del costruire) rurale, infatti, sono convinto che nella vita rurale non ci sia stata separazione tra il dire e il fare (linguaggio e azione): avevano un unico fondamento, il bisogno. Aggiungo volentieri questa nota presa dal volumetto “Svöt...”: “Per me il dialetto è espressione dell’originario rapporto tra il dire e il fare, (...) quindi non una parlata della rappresentazione apparente ma, del necessario ed essenziale incontro tra soggetto e oggetto.”

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Ancora una volta, ho l’impressione di avventurarmi in un “territorio” inesplorato, e mi prende un certo timore nell’affrontare quest’argomento che dovrebbe essere un lavoro per filosofi, competenti in ermeneutica del linguaggio, in fenomenologia o in antropologia filosofica; così, chiedo scusa, per quest’invasione di campo, a cui di certo, mancherà chiarezza di pensiero e di esposizione. Che altro dire? I dilettanti sono degli appassionati, e... giocano, e il gioco anche questa volta, è nel campo del fenomeno: dei fenomeni evocati dal “loci”. L’argomento che intendo considerare, nasce da una motivazione antropologica che proviene dal mio ostinato e labirintico circolare alla ricerca della semplicità e “dell’uomo semplice e naturale”; questo che propongo è uno schizzo, e come tale va interpretato vantaggi e svantaggi compresi (miei e del lettore). Comincio senz’altro, dalle parole “dentro, fuori”, prese nel significato di “parola-immagine”, parole, che metterò in relazione con le cose costruite, ma anche con le realtà naturali, e fin qui non sono in contraddizione. Ora, per proseguire, è necessario ampliare l’angolo visuale della parola “dentro”, in modo che si presenti come significato di parola immagine che idealmente “racchiude uno spazio”. In modo analogo, procedo per la parola “fuori”: la parola “fuori”, si specifica e allarga l’angolo visuale, quando immagina e prefigura lo “spazio aperto”, o almeno, quando sembra escludere l’idea di “racchiudere uno spazio”. Per dare forma, e orientare

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