Sinergie rigenerative

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Con il contributo di

Comune di Corte Franca

Ringraziamenti si ringraziano tutti coloro che, a vario titolo, hanno contribuito materialmente e moralmente alla realizzazione di questo libro: • il Sindaco Giuseppe Foresti e l’intera amministrazione comunale di Corte Franca per la gentilezza, disponibilità ed il concreto sostegno a questa iniziativa; • le Organizzazioni Sindacali per averci offerto sulla vicenda il punto di vista speciale del mondo del lavoro; • l'Assessore alle Attività Produttive della Regione Lombardia, Mario Melazzini per l’immediata attenzione e sensibilità dimostrata verso il tema trattato; • l’Editore Francesco Trovato per la fiducia nel progetto editoriale e la pazienza di averlo costruito insieme a noi. Un ringraziamento particolare a: • Marina Montuori per la generosa freschezza dell’intatta passione intellettuale; • Barbara Angi per la costante volontà e fermezza nel credere in questo percorso; • Massimiliano Botti per lo sguardo razionale guidato dalla giusta distanza; • Giulia per i rumorosi silenzi. Infine grazie a tutti gli autori dei testi che, ciascuno con il loro specifico portato di competenze ed esperienze, hanno costruito il primo passo di questo cammino tutt’ora in fieri. L’utopia è là, all’orizzonte. Mi avvicino di due passi, lei si allontana di due passi. Faccio dieci passi e l’orizzonte si sposta di dieci passi. Per quanto cammini, mai la raggiungerò. A cosa serve l’utopia? Serve a questo: a camminare. Eduardo Galeano


Indice Parte prima Sinergie disciplinari.

Parte terza Approfondimenti tematici

9 Presentazione Giovanni Plizzari

107 Passaggio di paesaggi (riciclati) Barbara Angi

11 Un’area industriale in dismissione Giuseppe Foresti, Piera Pizzocaro

119 Visioni interscalari. Mara Flandina

15 L’ossimoro del gruppo Vela FENEAL-UIL, FILCA-CISL, FILLEA-CGIL

127 Note per un manualetto moderno di assemblaggio architettonico Massimiliano Botti

23 Sinergie e intelligenze collettive al lavoro FENEAL-UIL, FILCA-CISL, FILLEA-CGIL 31 Dalla crisi d’impresa alle strategie di territorio Marco Marcatili, Giuseppe Torluccio 41 Nuove progettualità Mario Melazzini Parte seconda Ibridazioni architettoniche. Nuovi scenari rigenerativi. 47 Vigore ibrido Marina Montuori 61 Esercizi di rigenerazione urbana e paesaggistica a Corte Franca 10 progetti didattici del Corso di Laurea in Ingegneria EdileArchitettura dell’Università degli Studi di Brescia

143 Il recupero strutturale di edifici industriali prefabbricati Alessandra Peroni 151 Il senso dei paesaggi produttivi di(s)messi Filippo Orsini


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Parte Prima Sinergie disciplinari


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La riqualificazione sostenibile degli edifici e degli spazi urbani realizzati in Europa dopo la seconda guerra mondiale è oggi un tema di grande attualità in quanto circa il 50% del patrimonio edilizio è stato costruito durante questo periodo. Questi edifici sono spesso caratterizzati da una bassa efficienza energetica e ad una modesta qualità architettonica e urbana e sono per lo più raggruppati nelle periferie degradate. Ancora più importante, la maggior parte di questi manufatti ha già esaurito la sua vita di servizio (50 anni) e spesso ha notevoli problemi strutturali, sia per quanto riguarda le azioni statiche, ma soprattutto per la sicurezza sismica. In realtà, vale la pena notare che, al momento della costruzione, non erano ancora disponibili le norme relative (pubblicate per la prima volta dopo il 1970) o non si conoscevano ancora riferimenti alle buone pratiche di progettazione antisismica. Mentre in Europa le pratiche di rigenerazione urbana sono molto avanzate e molteplici sono gli esempi significativi. In Italia ci si è limitati generalmente a risolvere fatti episodici attraverso interventi effettuati principalmente in situazioni di emergenza, in totale assenza di pianificazione generale. Senza contare che riqualificare edifici isolati, sulla base di un approccio locale, porta spesso a non considerare la scala urbana e il contesto architettonico circostante. Le soluzioni proposte, anche se spesso innovative, sono pertanto limitate a risolvere solo una parte dei problemi, senza considerare la complessità e l’interrelazione delle carenze costruttive. In questo scenario, l’obiettivo principale di questa iniziativa è quello di proporre una soluzione efficace “integrata” per promuovere il rinnovamento sostenibile del nostro patrimonio edilizio. I doppi involucri “integrati” esterni vengono proposti e progettati per migliorare non solo l’efficienza energetica dell’edificio ma anche la qualità dell’ambiente urbano. Questi obiettivi vengono raggiunti nel pieno rispetto dei principi di minimo impatto ambientale. Questa iniziativa nasce nel Dipartimento di Ingegneria Civile, Architettura, Territorio, Ambiente e di Matematica (DICATAM) che da tempo è impegnato in attività di ricerca e di didattica che coinvolgono diversi gruppi di lavoro, tra i quali quelli afferenti alla Tecnica Urbanistica, alla Tecnica delle Costruzioni e alla Composizione Architettonica. Accolgo perciò con soddisfazione questa iniziativa del gruppo di Composizione Architettonica che aggiunge un nuovo tassello alla conoscenza della realtà in cui l’Università opera e sulla quale mira a lasciare un segno tangibile. Come Direttore del DICATAM non posso quindi che ringraziare tutti i componenti del gruppo e auspicare ulteriori sviluppi di questa e di nuove ricerche, foriere di stimoli e impulsi positivi per la struttura che rappresento.

Presentazione Giovanni Plizzari

Direttore Dipartimento DICATAM Università degli Studi di Brescia

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Parte Seconda

Ibridazioni architettoniche. Nuovi scenari rigenerativi.


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Questo volume fornisce una serie sfaccettata (non compiuta, ma aperta) di risposte a un problema reale: la riattivazione, attraverso processi di rigenerazione urbana integrata, di una zona industriale in corso di dismissione: l’area Vela Laterizi, a Corte Franca, in provincia di Brescia. Il problema del recupero di questa ampia parte di territorio (circa 200.000 mq) è stato posto, nello scorso autunno, all’attenzione del gruppo di ricerca di Composizione architettonica e urbana1 dell’Università degli Studi di Brescia dalle rappresentanze delle Organizzazioni Sindacali preposte alla tutela dei lavoratori, in seguito alla sospensione delle attività produttive. Si è pertanto ritenuto necessario avviare una ricerca2 circa le possibili strategie da mettere in atto sia per il recupero dell’area che per la formulazione di proposte di carattere funzionale e morfologico atte alla sua riattivazione3. Si è trattato di elaborare un approccio metodologico che andasse anche oltre il nostro dominio disciplinare, favorendo un dialogo tra più attori e un’interazione di più competenze non ancora descritte con un proprio statuto, ma che debbono essere ricercate lasciando spazio a nuove forme virtuose di ibridazione rivolte collegialmente alla pratica della rigenerazione urbana. L’obiettivo che ci siamo prefissi è stato quindi quello di incrociare conoscenze disciplinari ed extra-disciplinari e, per quanto riguarda il campo dell’architettura, “innestare”4 manufatti nuovi e flessibili in edifici dismessi per ridar loro nuova vita, disegnare scenari alternativi in grado di essere riconosciuti dalla collettività come bene comune, come «risorsa dalla cui fruizione − sostiene Stefano Rodotà − non può essere escluso nessuno, pena la privazione, per la persona esclusa, di una componente essenziale dei suoi diritti di uomo e di cittadino». Alla base di questo esperimento vi è la convinzione che l’università debba porsi a servizio della domanda sociale che impone la ineludibile necessità di scelte congrue e produttive nei processi di trasformazione. Proiettarsi all’esterno e allargare gli orizzonti operativi dovrebbe infatti costituire uno dei compiti primari dell’università, non per avviare paternalistiche procedure di pianificazione dal basso, ma per indicare nuove vie di sviluppo urbano attraverso esempi concreti o − come nel presente caso − per diffondere un messaggio funzionale alla declinazione, tra le molteplici derive di ricerca, del tema della rigenerazione urbana, centrale nel nostro Paese dal punto di vista sociale, economico, politico. Gli strumenti che le diverse istituzioni possiedono (convenzioni quadro, conto terzi ecc.) permettono di intraprendere già ora percorsi di confronto tra ricerca e governo del territorio, al termine dei quali non si assisterà a una sovrapposizione di ruoli, ma a un affiancamento, per generare virtuose forme di collaborazione. L’università, infatti, non interviene nel mondo della

Vigore ibrido Marina Montuori

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sti formali personali, che affermino il proprio “stile”, il tocco di una ispirazione soggettiva. Queste situazioni sono purtroppo diffuse e indici di mediocre professionalità. Una combinazione di pigrizia intellettuale e di provincialismo culturale. Si crea così un corto circuito tra una ridotta attitudine progettuale che si alimenta di luoghi comuni, di ricordi approssimativi, di frettolose citazioni mal orecchiate, e un gusto popolare ormai assuefatto, deluso nel proprio desiderio di bello, intossicato da una pessima e diffusa produzione architettonica di terza scelta che ha azzerato le capacità critiche e le sensibilità estetiche. Un circuito vizioso che può essere interrotto solo da una più responsabile professionalità, in grado di riferirsi a modelli alti, capace di esprimere una cultura disciplinare più attenta e sensibile, rivolta alla scelta di riferimenti appropriati. Il che comporta un lavoro preliminare, faticoso, anche delicato, ma assolutamente necessario e propiziatorio, che richiede tempo e pazienza, e consente una navigazione successiva meno rischiosa e sempre confortata dalla individuazione di punti rispetto ai quali collimare il percorso progettuale. Quali sono stati i riferimenti cui abbiamo guardato in sede didattica19? Sono stati considerati non solo gli esempi di trasformazione di aree industriali dismesse o di territori in “sofferenza” tramutati da buoni progetti in luoghi virtuosi, ma soprattutto sono stati valutati gli atteggiamenti progettuali che sottostanno ad alcuni problemi “particolari” di rigenerazione urbana. Minimalismo e prefabbricazione, ready-made e reinvenzione tecnologica sono le istanze alla base degli esercizi didattici svolti e qui presentati, sulla scorta dei suggerimenti che vengono in primis dalla ri-attivazione del Palais de Tokyo (Parigi, 1999-2011) di Anne Lacaton & Jean Philippe Vassal, progetto definito dalla critica “minimalista, incompiuto, cosmopolita, grezzo, semplice, flessibile, fai da te, modulabile”. Non un restauro in senso classico del termine, ma un cantiere in progress che esibisce una procedura di scarnificazione degli spazi interni atta a consentire ogni tipo di installazione, ché come accade quasi sempre in un museo comporta costi di allestimento, smantellamento e ripristino dello stato dei luoghi. In questo intervento viene esibita la volontà di portare a nudo gli interni e le strutture, di offrire al visitatore la “scatola vuota” che reca evidenti le “ferite” inferte dagli impianti, non più nascosti, ma esibiti nella crudezza del cantiere. Il lavoro svolto sul Palais de Tokyo rappresenta una sorta di pre-messa o meglio di pre-testo (nel senso di ciò che precede la scrittu-

Anne Lacaton & Jean-Philippe Vassal, Palais de Tokyo, Parigi 1999-2011, interni del museo, © Marina Montuori

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Esercizi di rigenerazione urbana e paesaggistica a Corte Franca 10 progetti didattici del Corso di Laurea in Ingegneria Edile-Architettura dell’Università degli Studi di Brescia


FNL

FranciaCorta New Link Il progetto si pone l’obbiettivo del recupero dei manufatti esistenti nell’ottica di ospitare funzioni differenti ma tra loro integrate. Nel corpo centrale vengono inseriti un teatro-sala conferenze, laboratori di ricerca e didattica, un bar, un’area wi-fi e un piccolo “museo del laterizio”. I fabbricati più vecchi ospitano un hotel, inserito in una sorta di serra, dotato di nursery e di spazi di co-working e di una palestra per sport non tradizionali: parkour, bmx, arrampicata. Le vecchie tettoie si trasformano in grandi coperture per un’area destinata ad ospitare un mercato, utilizzabile sia da ambulanti che da commercianti locali. Negli spazi interstiziali è prevista la realizzazione di piccoli orti e di un frutteto

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Giorgio Batisti Nicola Belloni

da dare in concessione alla cittadinanza e i cui prodotti possono essere venduti e/o barattati nell’area mercato. Lo spazio sul retro, compreso tra i fabbricati, conterrà un pump track per mountain bike e una zona dedicata all’agility dog. Il capannone prefabbricato, a nord, resta invece ancora destinato ad attività produttive. La parte più interna del lotto può essere adibita a stoccaggio di materiali e parcheggio per mezzi pesanti. I fabbricati a ridosso della strada, sul lato est, una volta ristrutturati, saranno utilizzati come foresterie o come alloggi temporanei per dipendenti della fabbrica. A sud, l’area parcheggio nelle ore serali può essere impiegata come un drive-in: il terreno inclinato contribuirà a favorire la visione dei film.


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Parte Terza

Approfondimenti tematici


«Are you saying that I put an abnormal brain into a seven and a half foot long, fifty-four inch wide gorilla? Is that what you’re telling me?» Gene Wilder in Young Frankenstein, Mel Brooks, 1974.

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Vela Laterizi a Corte Franca, in provincia di Brescia, cessata la produzione offre alla vista e al progetto grandi edifici silenziosi e vuoti, potenziali ospiti per programmi, e manufatti, diversi. Lo scritto che segue si propone di rintracciare dei riferimenti utili, a partire da architetture perlopiù note, in parte storicizzate, per impostare un processo di innesto di partiti funzionali (e conseguenti oggetti costruiti) nuovi in corpi cavi in attesa1. Immaginando che, al variare di una consonante, l’innesto si faccia innesco per una storia imprevista. È possibile individuare sistemi di relazione e metodi di assemblaggio tra le diverse parti di un edificio in base ai quali descriverlo? E, à rebours, progettarlo? Che un edificio sia fatto di parti è cosa ovvia. Che le parti possano caso per caso venire classificate come “classi di unità tecnologiche” o come “elementi costitutivi della forma”, e a loro volta possano essere distinte in base ai mate(istruzioni per il riuso) riali prevalenti che le compongono, anche. Una quota consistente della pubblicistica di settore ha operato da qualche anno una sistematica scomposizione Massimiliano Botti degli edifici. Gli Atlanti che raggruppano manufatti diversi per programma funzionale e risultati formali in ragione di alArchitetto PhD e professore cuni riconoscibili elementi costitutivi (tetti, facciate, ecc.) o in a contratto di Caratteri funzione di materiali caratterizzanti (legno, vetro, acciaio, cemorfologici, tipologici e distributivi dell’architettura mento armato, ecc.) sono prodotti editoriali di ampia diffusioUniversità degli Studi ne. Questo, le librerie CAD e altro ancora, hanno contribuito a di Brescia generare una koiné, in cui il rapporto prevalente è tra tecnica e linguaggio, più che tra tipo e morfologia2. Consapevoli di questo, non parleremo qui di composizione di figure semplici sul piano o di volumi, ma ragioneremo sui modi con i quali è possibile assemblare, o lavorare, gli “elementi costitutivi”. Non daremo quindi forma a un elenco di manufatti che hanno in comune un materiale, o un elemento specifico ridondante, ma i modi con i quali alcuni di quegli elementi vengono fatti stare insieme, e i sistemi di relazione che ne scaturiscono. Occorrerebbe costruire una tassonomia complessa, cosa che va evidentemente ben al di là delle ambizioni di questo testo. A titolo di esempio, per ciò che riguarda gli elementi del progetto sottoposti ad azioni topologiche, si potrebbero identificare: il (grande) muro, il (grande) tetto e la supercopertura, l’involucro, ecc., a loro volta generatori di strategie miste (archiscape, organico vs cartesiano, ecc.) non in grado di descrivere, per forza di cose, l’intera complessità dei risultati progettuali e per le quali sarebbe quindi possibile verificare promettenti ibridazioni3. Il caso della Vela Laterizi induce tuttavia a serrare le ma-

Note per un manualetto moderno di assemblaggio architettonico

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dalla complessità dei programmi che i manufatti si trovano a dover svolgere. E, in parte, prescindono dalle funzioni cui assolvono. Producono risultati non più ben composti, ma ben condotti, come esito dell’intersecarsi di elementi costitutivi, azioni prese a prestito – concettualmente – da discipline altre, sequenze definite di operazioni (protocolli) ed esperimenti.

Il (grande) tetto Non si tratta di un tetto grande. In alcuni casi alla copertura, alle sue dimensioni e geometria viene affidato un ruolo di elemento morfologicamente caratterizzante, ma quello che qui interessa è il rapporto tra le parti: copertura ed edificio come elementi autonomi, da più punti di vista. Tetto + oggetto

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La strategia operativa accomuna architetture costituite da un manufatto e da un tetto, indipendenti. Non è il rapporto dimensionale o la prevalenza figurativa degli elementi a importare qui (cfr. la Neugebauer House di Richard Meier, la Magney House di Glenn Murcutt o l’Arizona Life Science Building di Marlene Imirzian & Associates), ma la relazione logica tra le parti. L’indipendenza si traduce in: • differenziazione dei metodi costruttivi e dei partiti strutturali, in relazione anche a tecniche e tempi di esecuzione: la Maison de l’homme richiede due sistemi differenti: saldature e lamiere piegate per il grande tetto da posare per primo, brévet a secco – potenzialmente proliferante – per l’involucro abitativo; • soluzione di continuità che rende lo spazio interstiziale praticabile (ancora la Maison de l’homme di Le Corbusier) o semplice camera d’aria (la Casa sahariana di Jean Prouvé, il Future Shack di Sean Godsell)6; • differenziazione funzionale “sovraesposta”, per cui al dato tecnico – il tetto come protezione dagli agenti atmosferici – si sommano volontà simboliche (l’Haute Cour a Chandigarh di Le Corbusier, il Consolato U.S.A. a Luanda di Louis I. Kahn, la Modern Wing del Chicago Art Institute di RPBW).

1. Richard Meier, Neugebauer House, Naples (Florida) 199598, © Youssef Mezeraani 2. Glenn Murcutt, Magney House, Moruya (Australia) 1994, © Andrew Metcalf 3. Marlene Imirzian & Associates, Arizona Life Science Building, Phoenix 2011,© Bill Timmerman 4. Le Corbusier, Maison de l’homme, Zurigo 1963-67, © Marina Montuori 5. Jean Prouvé, Maison Saharienne, 1956 6. Bower Studio, Melbourne University, 0-5 Early Learning Centre, Wakathuni (Australia) 2011, © Jim Stewart, Alex Smith 7. Sean Godsell, Future Shack, 1995-2001, © Katalog NRWForum Düsseldorf 8. Le Corbusier, Haute Cour, Chandigarh 1952-56, © Marina Montuori 9. RPBW, Chicago Art Institute - The Modern Wing, Chicago 2009, © Marina Montuori

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«Imagination bodieth forth the forms of things unknown (L’immaginazione genera le forme di cose sconosciute)»

William Shakespeare, A Midsummer Night’s Dream, 1595 circa

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La dilatazione delle aree destinate alla produzione industriale ha modificato il territorio italiano, negli ultimi cento anni – al pari dei grandi eventi naturali come terremoti, alluvioni... – ridisegnando assetti, configurazioni e profili di interi segmenti di paesaggio. Sono oramai decenni che le varie discipline scientifiche attinenti allo studio degli spazi e dei luoghi della produzione hanno sempre più affinato gli strumenti di osservazione, lettura ed analisi in uno sforzo di inquadramento e sistematizzazione dei vari fenomeni legati alla trasformazione del paesaggio, giungendo a delimitarne con precisione aspetti e peculiarità entro definizioni ormai assodate e condivise. Fenomeni come la rivoluzione digitale, la globalizzazione ed una crisi economica che da situazione d’emergenza contingente è diventata sistema consolidato, hanno di fatto corroso, svuotandolo di prospettive certe, il cuore del processo industriale, rendendo così altamente improbabile ogni ulteriore ipotesi di nuova crescita su grande scala delle aree dedicate allo sviluppo economico. In questa fase transitoria, di lenta cristallizzazione dello status quo, sarebbe ora possibile, quasi doveroso, se non urgente, tentare una meritoria opera di classificazione e catalogazione dell’intera eredità di tracce, sedimenti, scorie, rifiuti, manufatti depositati sul terreno come dispositivi dormienti in attesa di nuove risposte. Un atlante interpretativo, un abaco minuzioso dal punto di vista morfologico e funzionale delle aree artigianali e industriali in dismissione del nostro Paese che, al pari delle catalogazioni in essere per la registrazione degli eventi legati al dissesto idrogeologico (fenomenologia a cui sono intrinsecamente connessi!), funga da necessario preambolo alla messa in atto di strategie di sistema non più procrastinabili finalizzate alla rigenerazione, riuso e riciclo dei territori1 in dismissione e dei paesaggi dell’abbandono2. In attesa che si inneschi una virtuosa sinergia del processo politico-economico,la comunità scientifica non può che fornire alla società una nitida e spietata fotografia della realtà, scattata quasi sul punto di rottura di un territorio fragile. La dispersione insediativa a bassa densità della megalopoli padana3, che inizialmente si era attestata sulle principali direttici infrastrutturali – naturali e artificiali – che innervano la piatta orizzontalità della pianura, si è estesa progressivamente ad altri ambiti geografici, trasversalmente alla giacitura del grande fiume, risalendo di quota, attraverso i fondovalle, sia verso le zone alpine e pedemontane, che in direzione degli appennini. Questa dinamica di dissoluzione della città nel territorio – universalmente conosciuta e digerita come

Il senso dei paesaggi produttivi di(s)messi Filippo Orsini

Architetto PhD e professore a contratto di Architettura del paesaggio Politecnico di Milano

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