01 Collana Alleli / Projects Comitato scientifico Edoardo Dotto Nicola Flora Bruno Messina Stefano Munarin Giorgio Peghin I volumi pubblicati in questa collana vengono sottoposti a procedura di peer-review
Copertina: Fedrigoni Sirio Color Interno: Fedrigoni Tatami White
ISBN 978-88-6242-211-6 Prima edizione novembre 2016 © 2016 LetteraVentidue Edizioni © 2016 PierAntonio Val È vietata la riproduzione, anche parziale, effettuata con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico. Per la legge italiana la fotocopia è lecita solo per uso personale purché non danneggi l’autore. Quindi ogni fotocopia che eviti l’acquisto di un libro è illecita e minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza. Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi comunque favorisce questa pratica commette un furto e opera ai danni della cultura. Nel caso in cui fosse stato commesso qualche errore o omissione riguardo ai copyrights delle illustrazioni saremo lieti di correggerlo nella prossima ristampa. Progetto grafico e impaginazione: Emilio Antoniol, Gianluca Marin, Francesca Peltrera LetteraVentidue Edizioni Srl Corso Umberto I, 106 96100 Siracusa, Italy Web: www.letteraventidue.com Facebook: LetteraVentidue Edizioni Twitter: @letteraventidue Instagram: letteraventidue_edizioni
Indice 7 Architettura in forma resistente Introduzione
13 I. Progetto come addizione Condizione di debolezza come posizione di forza
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Costruire negli interstizi Progettare in forma dialogante Il sorriso della madre
47 II. Progetto, costruzione e manutenzione Principio e processo
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Fare e rifare dopo undici anni Progetto come sequenza filmica Trasformazione continua
83 III. Principio costruttivo e radicamento Tòpos e tipo
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Figura e struttura architettonica Tòpos-Tipo-Tettonica Un’infrastruttura da guardare e per guardare
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Architettura in forma resistente
Il libro cerca di confrontarsi, essenzialmente, con l’esigenza di rispondere ad una domanda che ogni architetto intende porre, prima di tutto, a se stesso. È lecito o addirittura necessario parlare delle cose che si fanno oppure no? Antonio Monestiroli in un piccolo libro intervista Saper credere in architettura1 rivelava, con rammarico qualche anno fa, che oggi in Europa e forse nel mondo, succede una cosa apparentemente nuova rispetto alla tradizione disciplinare. “Nessuno più parla in prima persona di quello che fa”. Io sarei meno radicale dicendo che un numero sempre minore di architetti lo fa e tenderei a sostenere che ciò sia dovuto ad una situazione strutturale del mestiere e ad una particolare condizione generazionale (generazione a cui appartengo) che tende a separare chi scrive da chi pratica. Nonostante tali precisazioni, concordo fermamente con questa asserzione. Anch’io penso che l’architettura richieda una messa in opera. Essa è arte del costruire e proprio per questo è anche un mestiere in cui non solo si può, ma si deve dare ragione di ciò che si fa, di come è nato un progetto, come sono emerse quelle forme, in altre parole quali sono stati i motivi e le condizioni del proprio operare. Parlo di motivi e parimenti di condizioni in quanto ritengo che l’architettura presupponga una razionalità particolare che potremmo definire “dialogante”. Nel senso che l’architettura non si può dare se non in relazione a un tempo e in funzione a un campo di forze all’interno del quale essa trova le proprie ragioni morfogenetiche. I progetti vengono, per questo, mostrati qui con questo scopo. Si potrebbe, infatti, sostenere addirittura che non parlare di architettura partendo dall’esperienza del proprio operare è tradire l’essenza stessa del nostro mestiere. Allo stesso modo, non essere sensibili alla mutazione del quadro contestuale entro cui si opera, è una seconda forma di tradimento. Una certa latitanza oggi a parlare in prima persona del proprio agire come architetto è dovuta, in parte, al progressivo processo di specializzazione in cui versa la disciplina architettonica. 7
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Progetto come addizione Condizione di debolezza come posizione di forza
A Palermo nel giardino del teatro di Ernesto Basile discutevo piacevolmente a cena con alcuni amici – architetti e docenti – in una tiepida serata palermitana di fine autunno. Al mio argomentare che i progetti si confrontano oggi sempre più con l’antico tema architettonico dell’addizione, Giuseppe Rebecchini argutamente interviene dicendo che il progetto affronta non solo l’addizione, ma tutte le operazioni aritmetiche. “L’intervento architettonico può essere additivo, sottrattivo, divisivo e moltiplicativo”. È vero, il progetto architettonico contiene tutto questo. Nel caso della rigenerazione edilizia fanno parte della costruzione del progetto le stesse scelte riguardanti la demolizione, come per esempio, sottrarre alcune parti prima di intervenire e così via. L’operazione di sottrazione appartiene al progetto come l’addizione, a maggior ragione oggi, nel caso della rigenerazione del passato prossimo. Allo stesso modo si possono trovare esempi diversi per le operazioni di divisione e di moltiplicazione. Sullo sfondo di tutto c’è l’atto di formulare un giudizio, sul sito, sulla città e sul paesaggio. La capacità di costruire con il progetto un giudizio sulla realtà è certamente una delle operazioni qualitativamente fondanti dell’opera, tale da rende ciascun architettura, sia una soluzione specifica, sia uno strumento analitico del quadro contestuale in cui è inserita. L’insieme articolato delle operazioni aritmetiche ha però un determinatore comune nella condizione presente. La preesistenza edilizia è dimensionalmente più rilevante di quanto il programma di trasformazione possa richiedere, nella maggior parte dei casi. Emergono da qui due condizioni specifiche rispetto a cui confrontarsi. Il progetto presenta una caratteristica comunque additiva in quanto si manifesta quasi sempre come operazione di trasformazione che si sovrappone e stratifica nel contesto preesistente. In questa prospettiva l’addizione diviene forma dialogante in rapporto a tale contesto. Quasi sempre poi, la relazione dialogante con la preesistenza si costituisce oggi a partire, come dire, da una posizione di debolezza, proprio perché le facoltà di trasforma13
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Costruire negli interstizi Laboratorio di ricerca
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Sezione dei percorsi a terra e in quota per il collegamento tra i due volumi costituenti l’ampliamento e sezione in corrispondenza del collegamento verticale tra i due livelli dei laboratori di ricerca. 26
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Progettare in forma dialogante Rigenerazione e ampliamento scuola elementare
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Progetto, costruzione e manutenzione Principio e processo
Poco tempo fa ho elaborato tre manifesti. La loro realizzazione è avvenuta in occasione di una ricerca sostenuta dall’Ater della provincia di Venezia, riguardante la rigenerazione dell’edilizia abitativa low-cost realizzata tra gli anni ‘50 e gli anni ‘70. In realtà i manifesti espongono delle considerazioni più ampie che riguardano, sia il lavoro in generale all’interno dell’Università, sia il precipitato della mia ricerca come architetto, in funzione del cambiamento che la realtà sta esprimendo. Uno di questi ha un titolo un po’ ambizioso: Costellazioni tematiche che il presente evidenzia rispetto il tema della rigenerazione del passato prossimo. Il manifesto utilizza la riproduzione di un espressivo quadro a olio di Gino Ortona, esposto alla biennale di Venezia nel 2011 dal titolo Palazzine Romane. La tela rappresenta un paesaggio vasto e un po’ slabbrato, composto da palazzine che compongono la periferia delle città e che appaiono dai contorni e dalle forma decomposte1. Sopra l’immagine il manifesto stratifica tutta una serie di frasi che cercano di sintetizzare alcune questioni che la condizione presente esprime nei riguardi del progetto architettonico. Tale costellazione di questioni tematiche, sul piano disciplinare, affiora in particolare rispetto alla condizione di costruire sul costruito. Nello specifico, intendo qui per costruito, l’insieme edilizio maggiormente vasto, problematico e temporalmente più vicino a noi: l’architettura della seconda metà del secolo scorso che chiamo, appunto, “Architettura del passato prossimo” e che il quadro di Ortona tende a illustrare attraverso la rappresentazione di una delle tipologie edilizie in uso allora: la palazzina, in questo caso romana. Tra i vari slogan che campeggiano nel manifesto due di questi, non a caso, coincidono rispettivamente con il titolo di questo capitolo e con la titolazione di uno dei progetti illustrati. Gli slogan del manifesto descritto sono infatti “Progetto costruzione e manutenzione” e “Progetto come sequenza filmica”. 47
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Progetto come sequenza filmica Addizione ipogea
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Pianta attacco al suolo
Il piccolo ampliamento di una residenza privata trova ragione nell’interpretazione di un quadro contestuale estremamente articolato e stimolante, che è stato occasione di meditazione generale sui limiti e margini di azione del progetto abitativo. Le necessità dei committenti richiedevano di rivedere l’organizzazione dell’abitazione esistente in funzione delle esigenze della loro vita odierna e per programmare una sequenza di possibili trasformazioni tra cui la predisposizione per l’isediamento futuro delle case dei loro figli. Il progetto da quindi avvio ad un processo di “modificazione continua” che prosegue, come in una sequenza filmica, quanto era già avvenuto per la casa originale nel corso degli anni. Nel 1957 alla costruzione della casa segue l’annesione di un laboratorio che in due fasi 66
successive, nel 1968 e 1978, viene trasferito riconverdendo i suoi spazi in abitazione. Nel 1997 un primo progetto porta alla riorganizzazione della zona soggiorno e dell’ingresso. Nel 2000 i committenti acquistano un lotto retrostante la casa, intercluso dalle lottizzazioni circostanti, e chiedono di riprogettare gli spazi aperti della casa ampliando la loro residenza, in quanto la parte originaria della casa è ancora in uso alla madre. L’obbiettivo è di costruire un’abitazione agiata ma allo stesso modo agile, per essere gestita personalmente con bassi costi e con pochissimi aiuti esterni. I proprietari chiedono anche che questi nuovi spazi abitativi possano diventare, in prospettiva, degli spazi d’uso comuni per i futuri appartamenti dei figli, ricavabili dalla ristrutturazione della casa attualmente in uso alla madre.
1957 Abitazione con laboratorio industriale.
1968/78 Abitazione con trasformazione laboratorio in residenza.
2000/06 Acquisizione del lotto intercluso per ampliamento del giardino e costruzione delle parti ipogee di servizio agli alloggi.
Il programma così formulato ha costretto a riflettere sulle forme del vivere e a operare in modo da dare forma a una necessità abitativa in progress, che si va modificando nel tempo. La tipologia tradizionale della villa monofamiliare lascia il passo a un tipo di abitazione collettiva plurifamiliare con servizi comuni con gradi differenti di privatezza. Le norme di piano non permettevano per l’area volumi fuori terra. Il progetto fa tesoro di questi vincoli per organizzare una sequenza di spazi ipogei sopra i quali allestire un nuovo giardino a più livelli, integrato alla casa. L’edificio prende forma per sottrazione nei riguardi del suolo e la struttura si conforma e si orienta per contrastare le spinte del suolo stesso. L’intervento si compone di tre parti: - un corpo interrato a un piano con soppalco, collegato direttamente alla casa esistente che
raccoglie le funzioni abitative e di servizio; - un secondo corpo, sempre interrato, diventa la nuova autorimessa con un numero di posti auto adeguato anche ai bisogni futuri; - un patio porticato interrato, che ritaglia un pezzo di cielo e fa da cerniera alle altre due parti. Il patio raccoglie alcune funzioni per il soggiorno all’aperto e diventa dispositivo architettonico per permettere alla luce di irrompere nel sottosuolo e per raccordare il piano della casa con la quota dell’autorimessa e con la quota del giardino sovrastante. Nel portico attorno al patio si sviluppano sia una rampa, sia una scala che collegano la casa con l’autorimessa. Su un lato dello stesso, una scala a chiocciola in lamiera forata collega il sottosuolo con il giardino in copertura: un asse verticale in cui si concentra l’appartenenza dell’edificio alla terra e al cielo. 67
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Principio costruttivo e radicamento Tòpos e tipo
Nell’aprile 2015 vengo invitato da Sara Giles e Pepe Morales a tenere una conferenza all’Università di architettura di Siviglia. In quell’occasione dovevo trovare un titolo alla mia conferenza che mostrasse parte dei progetti qui presentati. Discutendo con loro via skype, decisi che il titolo fosse Progetto come archeologia rovesciata. Alcuni primi motivi di questo titolo sono più evidenti. Uno tra questi sta nella frase di Auguste Perret “L’architettura è quella che fa belle rovine” e tutto quanto comporta una tensione rispetto alla stessa e al suo autore1. Parimenti un altro motivo strettamente integrato sta nella mia ricerca di rendere le forme architettoniche quasi “inevitabili”. Tendo per questo a demandare allo scheletro dell’edificio o meglio oggi, ai processi costruttivi (a ciò che risulta appunto indispensabile) parte delle ragioni morfogenetiche del progetto. Cerco di fare questo in parte per un fatto utilitaristico, perché quando partecipo a un concorso vorrei riuscire a vincere e naturalmente subito dopo riuscire a costruire ciò che con fatica ho progettato. Quanto infatti è indispensabile è in qualche modo ineludibile. Tale atteggiamento ha una sorta di deriva artigianale nel modo di considerare il mestiere dell’architetto. È la stessa tendenza del pensiero artigianale che fa si che un falegname prima di tagliare un legno osservi con attenzione il pezzo per non segarlo contro vena, per fare appunto meno fatica nel tagliarlo. È la stessa cosa che fa anche un artigiano che lavora il cuoio o la stoffa. Anch’egli tocca e accarezza più volte il cuoio o la stoffa prima di decidere come piegarla e cucirla. Tutto questo avviene per rendere rispettivamente il taglio del legno o la piegatura e cucitura del cuoio o della stoffa, più facilmente coerenti con le potenzialità materiali rispetto al fine di quanto viene elaborato. Un tale modo di porsi non appartiene al solo pensiero artigianale, ma in generale a una qualsiasi attitudine produttiva e si declina con quanto viene definito atteggiamento economico nei confronti dell’operare. Trovo molto sintomatico che la parola economia abbia radici nel composto greco οἶκος (oikos) e νόμος (nomos): gestione della casa appunto. 83
Sezione trasversale
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Pianta piano tipo
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Sistema strutturale 94
Il sistema strutturale è costituito da una maglia di pilastri prefabbricati e da solai a tegoli in C.A.P. Ogni edificio presenta ai piani superiori differenti articolazioni rispetto al proprio orientamento. Il tamponamento delle facciate è costituito da una parete ventilata che utilizza diversi tipi di finitura, dal metallo ai panelli fotovoltaici. 95