PREMIO BIENNALE 2^ EDIZIONE 2013
C A R L O BONATTO MINELLA OLTRE IL CORPO... L’ANIMA
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PREMIO BIENNALE 2^ EDIZIONE 2013
C A R L O BONATTO MINELLA OLTRE IL CORPO... L’ANIMA
Rivarolo Canavese, Casa Toesca | Villa Vallero
16 novembre | 8 dicembre 2013
Milano, Galleria Hernandez
23 gennaio | 8 marzo 2014
PREMIO BIENNALE CARLO BONATTO MINELLA II edizione novembre 2013
OLTRE IL CORPO … L’ANIMA Rivarolo Canavese, Casa Toesca|Villa Vallero 16 novembre | 8 dicembre 2013 Milano, Galleria Hernandez 23 gennaio | 8 marzo 2014
Organizzazione AREACREATIVA42 Associazione Culturale Responsabile del progetto e dell’organizzazione KARIN REISOVÀ Presidente di Giuria VITTORIO SGARBI Giuria CAMILLO LANGONE, giornalista ANTONIO D’AMICO, storico dell’arte GUIDO CURTO, storico dell’arte CONSUELO HERNANDEZ, gallerista KARIN REISOVÀ, gallerista Direzione artistica ANTONIO D’AMICO Biografie degli artisti e coordinamento STEFANO SAPONARO Catalogo LIZEA ARTE EDIZIONI
Con il patrocinio di Regione Piemonte
Provincia di Torino
Città di Rivarolo Canavese
Comune di Frassinetto
Accademia Albertina di Belle Arti di Torino
Con il contributo di Fondazione CRT
www.artelizea.com
Progetto grafico catalogo michela zerrilli Editing LUCIA IRENE TORRISI
Partner Agenzia Principale Rivarolo C.se/Cuorgnè GIOVANNINI & BEVILACQUA
Castello di Neive Casa Vinicola
Allestimento mostre MARIO VITALE Grafica di mostre BRUNO CANDILORO Segreteria organizzativa e ufficio stampa ELISABETTA CHIONO
Guido Gobino
Media partner Chiave di Volta network
Rete Canavese
Arcadja e Yohaa
In collaborazione con Associazione culturale Villa Vallero
Galleria Hernandez
Sicurezza Associazione paracadutisti del Canavese
Coordinamento accoglienza mostre CRISTINA DERUSTICIS Progetto studenti ANNA PERADOTTO Atelier pedagogico GIULIA CHIONO
Crediti fotografici GAM TORINO FRANCO SACCONIER DON FIORENZO RASTELLO, Frassinetto Parrocchia di San Bartolomeo, per la concessione dell’immagine della Pietà. Ringraziamenti L’organizzazione, la giuria e la direzione artistica del Premio sono grate a quanti, a vario titolo, hanno contribuito alla riuscita di questa seconda edizione, proponendo idee e strumenti risolutivi per quesiti sorti in itinere.
Una storia senza fine Vittorio Sgarbi
Un’occasione preziosa per conoscere artisti che hanno inteso la necessità di corrispondere al rigore e all’intransigenza di Carlo Bonatto Minella. Diversamente da altri premi, i concorrenti hanno chiesto più a se stessi che al premio, come per essere degni di una competizione difficile e alla quale presentarsi preparati. Carlo Bonatto Minella ha sviluppato la sua attività creativa in un tempo breve e con una compiutezza quasi presaga di tale brevità. Le sole opere che ha lasciato sono le esercitazioni prodotte al corso di pittura, frequentato alla Reale Accademia Albertina di Torino, anche se tali non risultano, in quanto appaiono la parte più viva e più alta di un’espressione matura. La morte prematura, dunque, non ha limitato il giovane Carlo nella varietà dei soggetti dipinti, una varietà che ha consentito di estrapolare il tema Oltre il corpo … l’anima, che ha guidato la creatività degli artisti in questa seconda edizione del premio dedicato a Bonatto Minella. La curiosità e il mistero del personaggio, quasi del tutto sconosciuto, e il tema proposto, hanno richiamato 823 partecipanti da tutta Italia e anche dall’estero, e una severa giuria, da me presieduta, ha ridotto i finalisti a quaranta, venti per sezione; una scrematura necessaria per tenere più alto il livello e per poter creare una mostra dei finalisti nell’ottocentesca Villa Vallero e una, più ristretta dei quattro vincitori, nella storica e affrescata Casa Toesca. Ne risulta, da nord a sud, isole comprese, un panorama ristretto ma curioso, con una sequenza che presenta pittura, scultura e fotografia, fino all’uso di tecniche non tradizionali come la video-installazione e la performance, presentati senza ostentate provocazioni. Non è stato facile neppure stabilire i vincitori, compilando una probabile graduatoria della creatività, orientandoci a giudicare di “pari merito” gli artisti cui si è attribuito un riconoscimento. Così, tra i più maturi, si sono trovati meritevoli del Premio Leo Ferdinando Demetz e Doriano Scazzosi, essendo difficile se non impossibile classificarli con un criterio gerarchico.
Carlo Bonatto Minella Pietà (part.), 1874 Frassinetto, Parrocchiale di San Bartolomeo
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Anche nella sezione dei più giovani, sotto i 30 anni, è difficile dire che, misurandosi su temi analoghi, anche per taglio, come i volti di uomini maturi, Valentina Ceci debba prevalere su Simone Gilardi o viceversa. Così si sono raddoppiati i premi ma non si è riparata l’insoddisfazione di non aver potuto dare un riconoscimento ai tanti artisti che una retta giuria ha, con compiacimento e soddisfazione, selezionato. Tutti intelligenti e originali. Si è ritenuto dunque di allargare il premio, attribuendo al presidente due menzioni di merito per altri giovani sorprendenti, per impegno e coerenza formale, tanto da determinare l’imbarazzo di non averli potuti pienamente premiare. Sono Erika Riehle e Giuseppe Lo Schiavo, concorrenti nel realismo con la pittura e con la fotografia. E, tra i più giovani, hanno destato particolare attenzione nella giuria Ilaria Sagaria, Miriam Ferrara, Sheila Pizzighello, Alessandra Donnarumma, Jorit Cerullo, Stefano Cesarato, Valentina Grilli, Anna Cirillo, tra molti altri di cui gli esiti sono comunque apprezzabili. Nella sezione maggiore, oltre ai vincitori, meritano, e hanno già dato prova di sé, Stefano Solimani, Attilio Giordano, Matteo Pagani, Flavio Ullucci, Ferdinando Greco, i due fratelli forlivesi Alfonso e Nicola
Valentina Ceci Hurt (part.), 2013 Milano, Proprietà dell’artista
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Vaccari, Anna Madia, Tonino Mattu, Riccardo Ruberti, Antonio De Chiara, Patrick Dalli, Mauro Davoli. Con questi artisti il Premio Carlo Bonatto Minella diventa più utilmente una mostra di scoperte, proposte, ricerche, in una situazione artistica difficile per l’eccesso di creatività, ma, spesso, per la dignità che impone rispetto, attenzione e anche difficoltà di scelta. Il concorso estende la conoscenza e indica una necessità, una spinta interiore che muove tanti ad esprimersi e a muoversi, con disciplina, nel mondo della pittura. L’epoca, fra mille difficoltà, è ricca e fertile. E vederlo dimostrato e documentato a Rivarolo Canavese è una ragione di piena soddisfazione, anche senza quei limiti e quei confini che un tempo potevano consentire risultati e conferme soprattutto nelle città grandi. Oggi un artista può restare riparato in un luogo remoto, e affacciarsi al mondo, per mostrare le sue solitarie riflessioni. Al critico tocca riconoscerlo in una popolazione artistica molto più estesa. E Rivarolo Canavese può essere come New York. Hic rhodus, hic salta. A Rivarolo Canavese l’impegno di pittori, scultori, fotografi, disegnatori onora e illustra la Regione più viva per l’arte contemporanea: il Piemonte. Nel ricordo di Carlo Bonatto Minella.
Simone Gilardi L’Altro 04 (part.), 2009 San Fermo della Battaglia Proprietà dell’artista
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In un premio, l’energia vitale dell’arte Karin Reisovà Chiono
Istituire un Premio è un’esperienza intensa sia per l’impegno organizzativo sia per le relazioni e i rapporti che genera. Il Premio Biennale Carlo Bonatto Minella, oggi alla seconda edizione, permanendo l’intento iniziale, è cresciuto in modo esponenziale, sia per la qualità sia per il numero dei partecipanti. La Presidenza dell’evento affidata a Vittorio Sgarbi ha determinato una svolta significativa. 823 opere sono state ammesse al concorso, divise in due sezioni, una per gli artisti al di sotto dei 30 anni e una per quelli oltre i 30, senza limiti di età. Insieme a chi scrive, i componenti della Giuria, Camillo Langone, giornalista, Guido Curto, docente (già Direttore dell’Accademia di Belle Arti di Torino durante la Prima edizione), Consuelo Hernandez, gallerista e Antonio D’Amico, storico e critico d’arte, hanno espresso il proprio giudizio individuando ventidue artisti per ciascuna sezione. Visti i lavori, Vittorio Sgarbi ha eletto ben quattro vincitori e non due, uno per categoria, come indicato nel bando. Esprimo in queste righe la soddisfazione per il lavoro fatto, documentato in questo catalogo, e chi avrà l’opportunità di visitare le mostre ne percepirà la palpabile passione che è stata il motore di questa manifestazione, “l’interesse vero” che ha animato il progetto e ne è diventato il sigillo. Carlo Bonatto Minella è stato dimenticato nel suo territorio per quasi cent’anni, rispolverato in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia dalla Galleria d’arte moderna di Torino che aveva esposto Giuditta e La religione dei trapassati. Altre due opere, La Pensierosa e Andrea Vesalio restauratore degli studi di anatomia, sono esposte in permanenza nella Pinacoteca dell’Accademia Albertina; La deposizione, il bel San Rocco e altre tre opere sono invece conservate nel paesino di nascita dell’artista
Carlo Bonatto Minella San Rocco (part.), 1876 Frassinetto, Parrocchiale di San Bartolomeo
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dove l’attuale Sindaco con grande sensibilità ha realizzato una piccola pinacoteca. Oggi la vicenda umana di Carlo Bonatto Minella si rivela davvero eccezionale; immaginiamo un ragazzino di 14 anni, nel 1865, poco dopo l’Unità d’Italia, che a piedi parte dal paesino di montagna, tutto di pietre, per raggiungere faticosamente Torino e frequentare l’allora “Reale Accademia Albertina”. Grande il suo coraggio e la sua tenacia, il suo impegno e il suo talento, per altro riconosciuti e valorizzati dall’ambiente accademico. Oggi con questo premio vorrei, da una parte celebrare l’artista ottocentesco, dall’altra incoraggiare i giovani artisti, non dimenticando i meno giovani, i meno noti, ma anche quelli già affermati, che con la loro partecipazione aggiungono prestigio al progetto.
Erika Riehle L’esistenza naturale (part.) 2013 Torino, Proprietà dell’artista
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Nel Bel Paese dove la pittura è esuberante, anche se poi vince la scultura Camillo Langone Essendo cristiano sono anticompetitivo (“Gli ultimi saranno i primi”, si sa o si dovrebbe sapere), ma ho accettato di contribuire a questo premio conoscendo piuttosto bene lo stato dell’arte, in particolare della pittura italiana vivente che è mia passione e ossessione. Lo si potrebbe sintetizzare in due parole: affollamento e rarefazione. A dispetto del gelo dell’economia, in Italia (da Nord a Sud, isole comprese) stanno fiorendo innumerevoli talenti pittorici. Non so come questo possa accadere (mi viene in mente il calabrone che a rigor di logica non dovrebbe volare eppure vola) però accade. Per ritrovare una simile abbondanza bisogna risalire molto indietro nel tempo, a epoche mitiche e forse molto mitizzate. Tuttavia, contemporaneamente, viene meno il mercato e diminuiscono i collezionisti. E questo invece è facilissimo da comprendere: appunto per la crisi economica e poi per la persecuzione fiscale. Quindi la pittura sta bene, ma i pittori stanno male. Grazie agli antibiotici è difficile che gli artisti viventi muoiano di tubercolosi com’è successo al pittore eponimo, il povero Carlo Bonatto Minella sottratto ai suoi pennelli nel 1878, a ventidue anni appena (ripeto: ventidue anni, età in cui oggi nessun artista pare in grado di produrre alcunché di compiuto e presentabile). Ma disgraziatamente è facile che muoia l’arte, di inedia e dimenticanza: urge pertanto una terapia non a base di streptomicina bensì di liquidità e visibilità. Ecco perché sono felice che a Rivarolo Canavese vengano puntati i riflettori su Anna Caruso e i suoi spazi dal fascino tedesco (Scuola di Lipsia o giù di lì), su Valentina Ceci virtuosa del ritrattismo, su Stefano Cesarato che si muove fra Gnoli e Max Ernst, su Jacopo Dimastrogiovanni candidato a raggiungere Arrivabene e Samorì nel girone di coloro che io chiamo, per le cupe tavolozze e i soggetti oltretombali, Maestri Neri, su Simone Gilardi che sarebbe piaciuto a Testori, su Valentina Grilli e la sua dolce, necessaria femminilità, su Anna Madia il cui olio sembra riecheggiare proprio l’ultimo commovente lavoro di Bonatto Minella (La pensierosa), su
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Matteo Pagani, in evidente crescita, su Doriano Scazzosi che mi ha fatto subito venire in mente gli ultimi fotogrammi della Passione di Mel Gibson, su Flavio Ullucci che ricorda il primo Galliano, sui gemelli Vaccari per una volta morigerati, quasi monastici, e su tutti quei giovani che certo devono migliorarsi ma che possono farlo solo in un contesto di attenzione e di confronto. Dovessi loro indicare la direzione da prendere per giungere all’eccellenza dovrei chiedere aiuto a un paio dei miei maggiori. Innanzitutto a Cesare Brandi che ci ricorda come un’arte di sola tecnica fatalmente ridiscende ad artigianato. È il grande pericolo dell’iperrealismo e in generale del virtuosismo: per questo esorto sempre a mettere su tela, oltre ai colori, un’idea, un pensiero, una novità, un pezzo del proprio mondo. Senza dimenticare di scrivere un buon titolo, che aiuta chi guarda e chi si fa guardare (a questo proposito trovo rincuorante che nessun finalista del Bonatto Minella sia preda dell’afasia del Senza titolo). E soprattutto dovrei ricorrere a Baudelaire, che merita di essere virgolettato: “Creare una maniera: il genio sta in ciò”. Nell’Ottocento lo stile era già importantissimo, figuriamoci nel 2013 col diluvio di immagini che c’è stato nel frattempo. La riconoscibilità è vitale, è condizione indispensabile, è un obiettivo a cui l’artista deve puntare risolutamente se non vuole rassegnarsi a un ruolo di artista locale e a un destino di mostre assessorili. Tornando alla lista dei finalisti constato con compiacimento che in questa edizione del premio la pittura è così esuberante da riuscire a sottomettere perfino la fotografia e mi riferisco a due fotografi molto pittorici, il calabro-fiammingo Giuseppe Lo Schiavo, vicino alla ricerca della olandese Desirée Dolron, e a Mauro Davoli, caravaggesco di Parma. Anche se poi, alla fine, dopo tutto questo parlare di pittura, devo accettare la preminenza di una scultura ossia del tronco di cirmolo dal quale scaturisce la figura intagliata da Leo Ferdinando Demetz. Di buon auspicio fin dal titolo: La rinascita.
Carlo Bonatto Minella La pensierosa, (part.), 1878 Torino, Pinacoteca Albertina
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Oltre il corpo... l’anima Intorno a Carlo Bonatto Minella Antonio D’Amico Carlo Bonatto Minella è una meteora nell’arte dell’Ottocento piemontese (Frassinetto, 16 agosto 1855 - 6 giugno 1878). All’età di 14 anni non vede “altra fortuna che il coraggio il quale è la virtù dei giovani, e la speranza che è il milione dei poveri”, direbbe Henry Murger. Infatti, lascia il suo natio borgo selvaggio per raggiungere Torino e vivere d’arte, cosciente, forse, della brevità della sua vita. Ciò nonostante ha prodotto una interessante serie di opere, alcune delle quali sono veri capolavori compiuti, come il ‘silenzioso’ e ‘solenne’ Andrea Vesalio restauratore degli studi di Anatomia. Si tratta di un saggio di pittura, eseguito nelle aule della Reale Accademia Albertina nel 1875, che, l’anno successivo, ottiene la medaglia d’oro al Concorso Triennale della Scuola di Pittura. Un dipinto dall’atmosfera rembrandtiana, con una somma attenzione fotografica ai dettagli, in cui le ombre intense modellano i corpi immobili, disposti come in una scena teatrale ricca di pathos. Da un momento all’altro, il medico fiammingo impartirà la sua lezione di anatomia sul corpo esanime, ostenso dinanzi ai nostri occhi, in una luce flebile sprigionata dal bianco del panno che avvolge il corpo, lasciando scoperto il volto, segnato dalle tenebre, come pure le braccia e il costato. Il quadro fu esposto nel 1922 nella personale dedicata a Bonatto Minella, in occasione dell’Esposizione Internazionale di Venezia. Edoardo Daneo, Presidente dell’Albertina, nella lettera di risposta alla richiesta di prestito, sottolinea che l’Andrea Vesalio “in ispecial modo ha tali pregi da rivelare in un semplice saggio di concorso accademico tutta la maturità di studio, e la penetrazione psichica, e la nobiltà di composizione che fecero assurgere Bonatto Minella, nel periodo purtroppo brevissimo della sua vita, a meritata rinomanza”. L’indagine psicologica è il tratto distintivo delle opere di Bonatto Minella che si scorge anche nell’originalissimo Nudo maschile, un’esercitazione accademica di qualche anno precedente al Vesalio e forse del 1873. Il quadro è un vero capolavoro, in cui una latente tensione prende forma
Carlo Bonatto Minella Andrea Vesalio restauratore degli studi di Anatomia (part.), 1875, Torino Pinacoteca Albertina
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nel volto dell’anziano, dai lunghi capelli e dalla folta barba; il capo è reclinato e gli occhi stretti in un sonno meditativo. La stessa tensione si avverte nei dettagli della muscolatura. Seduto su un appoggio precario, l’uomo, con le braccia e i piedi appoggiati ai cubi e con le gambe accavallate, è un Ecce homo della società ottocentesca, composto nella dignità, saturo dei suoi pensieri. Il suo volto e, con esso, il suo corpo si disfano non sotto il travaglio del vivere quotidiano, bensì per il malessere dell’anima, in cui il quotidiano scava e si sedimenta. Nessuno è immune da tale disfacimento e poco importa l’identità dell’uomo dipinto dal giovane Carlo, il quale, sul modello in posa dinanzi ai suoi occhi, forse proietta la propria vita adulta che mai vivrà. Sigmund Freud, infatti, sostiene che “nell’animale come nell’uomo, il rapporto tra corpo e anima è un rapporto di reciproco completamento” e il Nudo maschile ne è una conferma, in quanto il visibile racconta l’invisibile e il corpo lascia intuire un mondo intimo carico di significato. Altrettanto carica di emozioni e significato è la Pietà, eseguita nel 1874 verosimilmente per la Parrocchiale di San Bartolomeo a Frassinetto, dove tutt’ora si trova. Una pala d’altare maestosa, in un percorso artistico che sembra aver raggiunto il suo acme. Invece Carlo è ancora uno studente diciannovenne che si cimenta sempre in nuove esperienze ma che traduce pienamente nell’immagine un “afflato d’intima tensione”, come sostiene Luigi Mallè, un’intimità che è “lirica e malinconica, riservata, struggente” (I dipinti della Galleria d’Arte Moderna, Torino, 1968). Il Cristo è deposto dalla Croce, nudo, adagiato su un panno bianco che diffonde una luce rarefatta, presaga di morte. In un’atmosfera surreale, calda e intima, due donne sullo sfondo si consolano, e tutt’intorno è dolore silente, composto; la disperazione di Maria è contenuta e, con la mano sul petto e reclinato il volto, conferma il suo fiat di donna e madre al volere divino. L’Andrea Vesalio restauratore degli studi di Anatomia, il Nudo maschile e la Pietà hanno un comune denominatore: il corpo lascia trasparire l’anima e la racconta. Corpo e anima è il binomio che ha portato all’individuazione del tema di questa seconda edizione del Premio Carlo Bonatto Minella. I suoi corpi sono pelle e ossa, asciutti, spogliati, scarnificati, e da
Leo Ferdinando Demetz La Rinascita (part.),2012 L’Aquila, Collezione privata
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essi affiora l’anima, una luce fioca nell’oscurità della vita. Sono anatomie, ferme in uno spazio precario e sono lo specchio di una realtà sofferta, sulle quali l’artista ha cercato il riflesso di una condizione esistenziale, in una dimensione quasi metafisica che diviene però testimonianza e denuncia. Da queste riflessioni è scaturito il tema Oltre il corpo… l’anima declinato da 823 artisti. Gli sguardi profondi e intensi nei ritratti di Valentina Ceci e di Simone Gilardi, la leggerezza di Leo Ferdinando Demetz e la suggestione emotiva di Doriano Scazzosi imprimono nelle figure una volontà di interiorità: i volti sentono l’altrove e al contempo racchiudono l’eco si una società non sempre dalla parte della bellezza. Valentina e Simone, Ferdinando e Doriano, ma anche i quaranta finalisti, raffigurano ciò che sentono, immaginano, sognano, e nella realtà effettuale, individuano grandi pensieri che traducono in immagini; così, parafrasando Freud, conoscono “una gran quantità di cose tra il cielo e la terra”. Gli artisti, in questa edizione del Premio, non si fermano al dato oggettivo di ciò che li circonda, vanno oltre, cercano e intuiscono l’anima. Vivono il cielo camminando nella quotidianità.
Giuseppe Lo Schiavo Ad vivum - The Twins (part.) 2013 Roma, Proprietà dell’artista Doriano Scazzosi Ero morto, ma ora vivo per sempre (part.), 2013 Arconate, Proprietà dell’artista
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SEZIONE UNDER 30
Vincitori Valentina CECI Simone GILARDI
Menzioni speciali del Presidente di Giuria Erika RIEHLE Giuseppe LO SCHIAVO
Finalisti Amedeo ABELLO e Federico MORANDO Marianna ADEL LABIB - Chiara AIME Jorit CERULLO - Stefano CESARATO Anna CIRILLO - Alessandra DONNARUMMA - DIEGOKOI Miriam FERRARA - Mattia FERRETTI Valentina GRILLI - Roberta LOGIUDICE Giacomo MODOLO - Michele PIERPAOLI Sheila PIZZIGHELLO - Marco ROMANO Ilaria SAGARIA - Maria SAVOLDI
Carlo Bonatto Minella Autoritratto (part.),1878 Torino, GAM
Valentina CECI Valentina Ceci nasce a Milano nel 1985 e nel capoluogo lombardo completa la sua formazione presso l’Accademia di Belle Arti di Brera; qui la sua passione per la pittura e l’illustrazione allarga i suoi spazi nel campo della scenografia, sotto la guida di Gastone Mariani. Nel 2005 realizza i fondali scenografici per il balletto “Il settimo papiro”, allestito presso il Teatro Smeraldo di Milano, e nello stesso anno è chiamata a collaborare nella creazione delle scene per lo spettacolo televisivo di Dario Fo “Il trionfo del Mantegna”, per la produzione RAI. L’attività di insegnamento, nella classe di disegno e pittura presso la Scuola Superiore d’Arte Applicata del Castello Sforzesco di Milano nel 2012, rafforza le sue qualità di pittrice e illustratrice, potenziate dall’uso dell’inusuale tecnica a penna biro. Nei suoi ritratti la componente naturalistica, resa ancora più incisiva da scelte compositive di gusto schiettamente fotografico, nasconde in realtà il raggiungimento di una meta non visibile: “l’anima, la parte spirituale ed eterna di un essere umano”. Nonostante la tecnica realistica, il disegno, a volte frammentario, che lascia spazio in alcuni punti al supporto cartaceo, non si riduce alla raffigurazione del volto, non è la realtà dei tratti fisici che si traduce in linee, ma piuttosto, la sintesi di ricordi, di emozioni e sensazioni che in quelle linee si esprimono.
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OPERA VINCITRICE Hurt, 2013 penna biro su cartone Schoeller, 50x50 cm Milano, Proprietà dell’artista
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Ero, 2013 penna biro su cartone Schoeller, 70x50 cm Milano, Proprietà dell’artista
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Justice is a dream, but it is a dream that we are determined to realize, 2013 penna biro su cartone Schoeller, 70x150 cm Milano, Proprietà dell’artista
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Justice is a dream, but it is a dream that we are determined to realize, 2013 penna biro su cartone Schoeller, 70x150 cm Milano, Proprietà dell’artista
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Justice is a dream, but it is a dream that we are determined to realize, 2013 penna biro su cartone Schoeller, 70x150 cm Milano, Proprietà dell’artista
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Simone GILARDI Simone Gilardi (Como,1983) matura negli anni trascorsi presso l’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano un interesse particolare per la ricerca figurativa di Francis Bacon e Lucian Freud: proprio questi due maestri lo inducono a riflettere sull’estetica della perfezione che i media contemporanei impongono nella continua profusione di corpi eternamente belli e giovani. Il suo percorso lo conduce nel 2010 alla personale Effimera Perfezione, organizzata nelle sale della Galleria Ghiggini a Varese, e l’anno successivo, nel prestigioso ambiente dello SpazioBoccainGalleria; qui, le opere presentate in occasione della mostra Fisiognomica, segnano un momento di sperimentazione in cui l’artista si misura con nuovi materiali e tecniche, dove domina la potenza espressiva della lamiera metallica. Sul ferro, così come sulla tela, l’interesse di Simone Gilardi è orientato sui volti, evocativi dell’individualità umana. Essi recano sulla pelle le tracce di esistenze vissute nella certezza della solitudine e nell’incertezza dell’ignoto. Ogni ruga o imperfezione della pelle è frutto dello scorrere del tempo, che logora e plasma la carne. La pelle è in qualche modo il confine dell’anima e così, sulla superficie del volto, affiorano i segni di un profondo vissuto interiore.
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OPERA VINCITRICE L’Altro 04, 2009 olio su tela, 120x120 cm San Fermo della Battaglia, Proprietà dell’artista
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L’Altro 12, 2013 olio su tela, 50x40 cm San Fermo della Battaglia, Proprietà dell’artista
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L’Altro 05, 2009 olio su tela, 100x100 cm San Fermo della Battaglia, Proprietà dell’artista
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L’Altro 03 , 2010 olio su tela, 120x120 cm San Fermo della Battaglia, Proprietà dell’artista
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L’Altro 13 , 2010 olio su tela 100x100 cm San Fermo della Battaglia, Proprietà dell’artista
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Haiti Alarm 04, 2010 olio su tela, 60x60 cm San Fermo della Battaglia, Proprietà dell’artista
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L’Altro 08, 2010 olio su tela, 120x120 cm San Fermo della Battaglia, Proprietà dell’artista
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L’Altro 11, 2010 olio su tela, 100x100 cm San Fermo della Battaglia, Proprietà dell’artista
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Delete 01, 2009 olio su tela, 150x100 cm San Fermo della Battaglia, Proprietà dell’artista
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Erika RIEHLE Torinese di nascita (1983) e per formazione, Erika Riehle dopo aver frequentato l’Accademia Albertina entra nel mondo dell’arte con una vivace partecipazione a mostre personali e collettive; negli anni più recenti si è fatta notare sul panorama milanese per i brillanti risultati nel contesto del concorso ArtGallery, nel Premio Raffaele De Grada - Meno Trenta e in quello organizzato dalla Galleria San Fedele nel 2011. Ha all’attivo una serie di esposizioni tra cui la doppia personale CrossOver 01 a Torino, con una presentazione di Gian Alberto Farinella. Vittorio Sgarbi le assegna una menzione speciale per l’opera L’esistenza naturale, presentata a concorso. Il dipinto, realizzato con pigmenti acrilici su tela, è liberamente ispirato ad una scena del film Il Settimo Sigillo (1957) di Ingmar Bergman, a cui si collega anche la composizione a trittico che richiama i fotogrammi di una pellicola cinematografica. Secondo l’intenzione dell’artista, dalle tele affiorano diverse significazioni nei simboli dell’albero, della scure e dello scoiattolo: l’eterno dualismo tra la materia e lo spirito, tra il vuoto e il pieno, tra il prima e il dopo, tra la vita e la morte; nonché il perenne ciclo della vita in cui si muore per rinascere. Nell’opera la riflessione sull’uomo si dilata nell’universo della natura, quasi a identificare l’essere umano con la natura stessa.
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MENZIONE SPECIALE L’esistenza naturale, 2013 acrilico su tela (trittico), 50x70 cm cad. Torino, Proprietà dell’artista
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Il limite doppio, 2010 Acrilico su tela, 70x140 cm (dittico), 50x50 cm Torino, Proprietà dell’artista
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Stand by, 2009 Acrilico su tela, 100x80 cm Torino, Proprietà dell’artista
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Fuga, 2012 Acrilico su tela, 50x70 cm Torino, Proprietà dell’artista
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Worn-out, 2010 Acrilico su laminil, 100x70 cm Torino, Proprietà dell’artista
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Giuseppe LO SCHIAVO Giuseppe Lo Schiavo si trasferisce da Vibo Valentia, dove nasce nel 1986, a Roma per conseguire la laurea in Grafica e Progettazione Multimediale presso la Facoltà di Architettura dell’Università La Sapienza, ma la sua strada è già segnata dall’uso personalissimo dello strumento fotografico. Affascinato dalle avanguardie storiche del Novecento, trova in René Magritte il suo mentore silenzioso: “Essere surrealisti significa eliminare dalla vostra mente ogni ricordo di quello che avete visto, e di essere sempre alla ricerca di ciò che non è mai stato”. Guidato dalle parole del maestro belga, per l’opera in concorso ha chiesto ai soggetti davanti al suo obiettivo “di imprigionare un’emozione, ma allo stesso tempo di essere misteriosi ed emotivamente sfuggenti”. Le persone ritratte hanno un’identità da scoprire, scrutando tra l’espressività del soggetto e l’emozione dell’artista che guida l’osservatore alla ricerca di ciò che l’immagine fotografica vuole evocare. Nasce così la serie fotografica Ad Vivum, che nelle intenzioni dell’artista è “un viaggio temporale, un ponte tra i ritrattisti fiamminghi come Vermeer, Jan van Eyck, Robert Campin ma anche Tiziano, Antonello da Messina e la fotografia digitale”, in un chiaro tentativo di spingere agli estremi la contaminazione di un mezzo espressivo contemporaneo con l’estetica classica.
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MENZIONE SPECIALE Ad vivum - The Twins, 2013 stampa Giclèe su carta cotone hahnemuhle matt, 61x41 cm Edizione di #7 - Roma, Proprietà dell’artista
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Ad vivum - The flemish girl D, 2013 stampa Giclèe su carta cotone hahnemuhle matt, 25x37,5 cm Edizione di #7 - Roma, Proprietà dell’artista
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Ad vivum - The flemish girl A, 2013 stampa Giclèe su carta cotone hahnemuhle matt, 25x37,5 cm Edizione di #7 - Roma, Proprietà dell’artista
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Ad vivum - The flemish girl B, 2013 stampa Giclèe su carta cotone hahnemuhle matt, 25x37,5 cm Edizione di #7 - Roma, Proprietà dell’artista
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Alba, 2013 stampa Giclèe su carta cotone hahnemuhle matt, 25x37,5 cm Edizione di #7 - Roma, Proprietà dell’artista
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Amedeo ABELLO e Federico MORANDO Dalla collaborazione di Amedeo Abello (Torino, 1986) e Federico Morando (Torino, 1987) nasce Life/File, un’originale prodotto della riflessione sul rapporto tra realtà concreta e realtà virtuale. I due artisti rifiutano l’idea di leggere i due termini come elementi oppositivi e sostengono invece che essi si compenetrano e si sovrappongono nella vita quotidiana in un’unica realtà. Entrambi giovanissimi, il primo si è laureato al Politecnico di Torino in Progetto Grafico e Virtuale, e ora frequenta il biennio specialistico in Comunicazione Visiva e Multimediale presso lo IUAV di Venezia, mentre il secondo unisce agli studi di Giurisprudenza un’intensa attività fotografica. Condividono la passione per l’editoria contemporanea, tanto che Amedeo Abello ha fondato le Edizioni Luckyshoes con cui organizza il workshop di editoria indipendente DIY presso lo IUAV, mentre Federico Morando si dedica alla realizzazione degli HBooks, che coniugano i più avanzati processi di stampa con esclusivi modelli di legatoria manuale, proponendo soluzioni editoriali uniche e artigianali. Anche Life/File articola grafica e fotografia, scrittura e immagine con l’intento di creare un alfabeto materico; come spiegano gli autori, la tecnica di composizione delle lettere vuole sottolineare questa unione, poiché si tratta di negativi di film fotografico analogico, opportunamente composti a creare un innovativo codice di scrittura. Le lettere e le immagini richiamano due poli semantici che confluiscono in un unico oggetto visivo..
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Life/File, 2013 fotografia analogica (negativi e lightbox), 24x34x10 cm (x8) Torino, ProprietĂ degli artisti
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Marianna ADEL LABIB Nell’opera di Marianna Adel Labib (Roma,1987), l’indagine sul corpo ha una centralità costante, e investe la fisicità femminile dai molteplici valori simbolici ed etici. Anche Iole, video-installazione presentato a concorso, si inserisce in questa traccia di ricerca in un continuo oscillare tra passato e presente in cui protagoniste sono le donne, donne di ieri e donne di oggi, che cullano lo spettatore in altalena tra due epoche. Nell’impalpabile dimensione che unisce passato e presente incontriamo una donna che non sappiamo chi sia, ma che è fortemente legata agli oggetti che la racchiudono: una valigia di un’epoca lontana, frame quasi cinematografici tradotti in istantanee rovinate che hanno il gusto del passato, fiori che sublimano l’opera tutta, e dei quali la donna, figura centrale del video, si cosparge per purificare la sua nudità e riscattarsi da uno stato di creatura inferiore. L’unione tra corpo e anima vive in un flusso continuo di energia tra le due parti, “lasciando lo spettatore eternamente sospeso tra l’anima e il corpo, senza poter appropriarsi né dell’una né dell’altro, ma dovendosi colmare di entrambi”, come afferma l’artista. L’interesse per la dualità tra spirito e materia è testimoniato anche dal percorso formativo dell’artista che, dopo la laurea in Servizio Sociale, consegue un master in Arte Terapia, per sondare la stretta interazione tra immagine ed interiorità, nella cura di disagi e patologie. Attualmente frequenta l’Accademia di Belle Arti di Roma, e alterna allo studio un’intensa attività espositiva.
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Iole, 2013 cartone, stampa digitale di fotogrammi su cartoncino, fiori, videoproiettore, 50x60x36 cm Roma, Proprietà dell’artista
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Chiara AIME Chiara Aime (Cuneo, 1991) comincia da giovanissima ad esporre le sue opere in mostre collettive come quella presso la Galleria Senesi Arte di Savigliano, nel 2012, o in mostre personali, tra cui quella alla Galleria degli artisti a Cuneo nel 2013. La ricerca figurativa si va delineando sempre più chiaramente nel campo del disegno e della grafica. Queste due discipline sosterranno in tempi successivi l’innamoramento per la pittura, accolta come espressione interiore che nasce dall’anima e all’anima riconduce. Chiara Aime predilige una tavolozza di colori molto ristretta, che comprende i blu e gli azzurri, i rossi ed i viola, di rado contrastati da gialli e verdi: tali cromie costruiscono le sue forme pittoriche, tra cui ricorrono con frequenza i volti, quasi sempre femminili, talvolta percorsi da espressioni ambigue e sofferenti, talaltra contrassegnati da una dolcezza infinita in contrasto con una marcata violenza. Anche nell’opera a concorso, il corpo e l’anima sono rappresentati attraverso alcuni volti: maschile per il corpo, femminile per l’anima. La scelta iconografica vuole suggerire l’indissolubilità del legame uomo-donna: l’uomo e la donna vivono in simbiosi anche dopo la morte, quando il corpo diventa polvere fluttuante nell’eternità dell’universo, sospinta dall’anima diventata energia. Per questo i volti rappresentati nell’opera si pongono in spazi ben definiti e separati, ma non si dividono, in quanto si riflettono l’uno nell’altro; l’uomo vive la sua essenza con la donna così come il corpo attinge la vita dalla linfa dell’anima.
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Eterna simbiosi, 2013 acquerello, acrilico e olio su tela, 70x100 cm Cuneo, Proprietà dell’artista
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Jorit CERULLO Durante un viaggio in Olanda, paese di origine della madre, Jorit Cerullo (Napoli,1990) rimane folgorato dall’arte di Vincent Van Gogh, e comincia a studiarne l’opera e l’esistenza tormentata; questa passione giovanile lascerà il segno sul suo percorso esistenziale, e Jorit intraprende con brillanti successi gli studi presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli, sua città natale. Durante la sua formazione ama sperimentare tecniche diverse, dalla tradizionale tempera all’aerografo, dalle vernici stese a pennello agli spray, prediligendo le forme espressive della street art. Alterna la sua vivace attività nella KTM, storica crew napoletana di graffiti, con esposizioni in diversi centri internazionali, tra cui la mostra organizzata alla Galleria TAP di Sidney oppure con i progetti realizzati in collaborazione con la scuola internazionale d’arte di Dar Es Salaam in Tanzania. Nella sua intensa attività, figurano mostre collettive e personali a Londra, Berlino e Tilburg, mentre si lega a progetti di “ricerca fondi” destinati soprattutto a situazioni disagiate in Africa. Il suo lavoro parte dalle rappresentazioni fumettistiche delle prime opere e ci conduce all’espressione iperrealista dei dipinti più recenti. L’artista predilige soprattutto ritratti a grandi dimensioni, risultato di un lungo lavoro di conoscenza del soggetto attraverso una nutrita serie di scatti fotografici, e anche quando lascia lo strumento tecnico per passare al pennello, non perde di vista le tracce di una realtà nitida e pregnante.
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Sha-one, 2013 spray, tempera, aerografo e vernici su tela, 165x220 cm Napoli, Proprietà dell’artista
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Stefano CESARATO Stefano Cesarato, classe 1989, cresce alla scuola di pittura di Adriano Bimbi presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze, dove partecipa a progetti internazionali, come la mostra Qua e là, un evento organizzato dalla collaborazione tra l’Accademia toscana e la California State University. Nel maggio del 2012 prende parte all’esposizione Non sono che un uomo, che ha esplorato la vita e i luoghi di Ernesto Balducci, nelle immagini di venti giovani pittori ospitati presso la Galleria Medici Riccardi di Firenze. Più recentemente, nel gennaio del 2013, ha partecipato al concorso per la realizzazione di un monumento alla memoria dei deportati fiorentini. Partecipa al concorso in memoria di Carlo Bonatto Minella con un’opera dall’iconografia insolita, il cui significato simbolico è svelato dallo stesso autore: “Il Piegabinari, macchinario utilizzato nelle miniere di cinabro del monte Amiata, serviva per costruire il percorso dei binari sui quali transitavano i carri che scendevano poi in profondità. Quelle miniere sono abbandonate ormai da più di vent’anni e tutto ciò che rimane del microcosmo industriale sono le macchine, uniche testimoni del sudore e della fatica di quei corpi, ma soprattutto delle ansie di quelle anime. E se è vero che la macchina è protesi della mano proprio come il corpo lo è della mente, allora non c’è testimonianza più attendibile di questi rugginosi relitti abbandonati”.
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Piegabinari, 2011 olio su tela,132x139 cm Firenze, Proprietà dell’artista
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Anna CIRILLO Nata a Sarzana nel 1985, Anna Cirillo ha conseguito l’abilitazione alla professione a conclusione degli studi di architettura presso la facoltà universitaria di Firenze, e in seguito si è iscritta all’Accademia di Belle Arti di Carrara, laureandosi in Pittura, dopo un biennio di specializzazione. Negli anni della formazione ha realizzato numerose illustrazioni con tecnica mista mediante l’uso di acquerelli, matite e oli, rimanendo sempre aderente allo stile iperrealista. Ha partecipato ad esposizioni di rilievo come la collettiva Portraits, presso galleria GAMeC Centro arte moderna di Pisa. Per introdurre una serie di lavori recenti che ritraggono per lo più teschi di animali, l’artista ha scelto un frammento di Luigi Pirandello: “Tu ridi, o teschio vuoto, che sciocca vita! Io rido al par di te”. Il teschio da sempre simbolo della morte viene assunto paradossalmente come icona della vita di cui è ancora impregnato. La rappresentazione iperrealista del corpo diventato scheletro è nelle opere di Anna Cirillo lo strumento espressivo dell’anima, ancora viva nelle emozioni e nelle reazioni che originano dalla “materia che rimane”.
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The Night Mare, 2013 olio su tela, 135x85 cm Milano, courtesy Galleria Barbara Frigerio
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Alessandra DONNARUMMA Alessandra Donnarumma nasce a Napoli nel 1987 e, dopo aver conseguito la maturità linguistico-letteraria si diploma all’Accademia di Belle Arti della città partenopea, prima in Pittura e poi in Grafica d’Arte. Si dedica sin dall’inizio allo studio del disegno sotto la guida del maestro Aniello Scotto. L’amore per questa disciplina diventa ben presto una personale indagine dell’anima, alla continua ricerca della propria identità. L’artista afferma: “lo studio e l’approfondimento del segno sfociano nell’avvicinamento alla grafica d’arte dove continua la mia perpetua ricerca, con un linguaggio sempre aperto e intento a soddisfare quella fame che alla carne non giova”. L’opera in concorso è tratta dalla serie Letizie, un nucleo di opere che nascono dalla riflessione sulla forma e sull’incorporeo; il corpo diviene terra emersa dall’abisso in cui l’anima dimora, le forme, quasi affioranti da una sorta di osmosi, spesso perdono consistenza per amalgamarsi con l’essenza incorporea. In una luce che illumina il silenzio, l’impeto si alterna alla pace, il tumulto alla quiete, mentre essenza ed esistenza trovano una propria armonia in forme quasi metafisiche.
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Letizia, 2012 grafite e pastello su carta, 50x105 cm Napoli, Proprietà dell’artista
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DiegoKoi DiegoKoi, all’anagrafe Diego Fazio (Lamezia Terme,1989), ha legato il proprio nome alla carpakoi, una particolare varietà di carpa allevata in Cina e Giappone, che secondo una leggenda orientale riuscì a risalire una cascata grazie al suo coraggio e alla sua perseveranza. DiegoKoi, artista autodidatta, con la stessa costanza e fermezza ha sviluppato una tecnica dominata dall’estrema precisione e da un’ossessiva cura del dettaglio, che gli consentono, nel marzo 2012, di mettersi in luce al Premio Internazionale Arte Laguna di Venezia tra i circa 7000 partecipanti provenienti da tutto il mondo. Nel gennaio del 2013 inaugura la sua prima mostra internazionale a Singapore, nella prestigiosa galleria internazionale Raffian ART (Singapore/Russia/Israele), mentre nel maggio dello stesso anno partecipa al Wonder Works ad Hong Kong curato da “The cat street gallery”. Anche l’opera presentata a concorso è realizzata con la personalissima tecnica della matita su carta, e già nel titolo Guerra e pace esprime la carica polemica dell’artista in relazione alla società odierna. Il soggetto è il volto di una ragazza scelto per rappresentare l’Italia dei nostri giorni. Lo sguardo della donna esprime un sentimento di rabbia misto alla volontà di ribellarsi, una volontà che cerca di esplodere, di liberarsi, e rimane soffocata da qualcosa di inanimato: una pellicola trasparente, simbolo della classe politica italiana che subdolamente inganna e sottomette.
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Guerra e pace, 2013 matita su carta-legno, 70x52 cm Lamezia Terme, Proprietà dell’artista
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Miriam Ferrara L’eco della passione per la fotografia di Robert Mapplethorpe è evidente nella produzione fotografica di Miriam Ferrara (Civitavecchia,1989), che “si basa sull’osservazione della luce e dell’ombra, sulle volumetrie e sullo studio della pelle come una superficie sensibile e percettiva, di emozioni e sensazioni”. Del tutto personale è invece l’interesse per il corpo femminile, inteso come involucro dell’anima, estrapolato dal suo contesto reale. In un gioco di luce ed ombra, si snoda un corpo modellato proprio dal rapporto tra questi due elementi. Si perdono le forme, si confondono, spariscono, lasciando solo la scia di un’ombra imponente che, inghiottita dall’oscurità, sottrae alla vista curve sensuali. La luce non è sempre lo strumento che illumina, ma spesso dissolve o acceca, mentre l’ombra consente di vedere anche dove l’occhio non percepisce l’immagine, ma oltrepassa l’involucro per arrivare all’anima. La padronanza della luce catturata dalla macchina fotografica deriva all’artista anche dal rigoroso percorso di studi seguito all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano, dove ha appreso e approfondito un’ampia varietà di tecniche calcografiche raggiungendo brillanti risultati testimoniati dai lavori esposti in Abruzzo nell’agosto del 2010 nella prima personale intitolata Il Cosmo.
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Involucro, 2011 stampa a plotter su supporto cartaceo calcografico, 50x70 cm Milano, Proprietà dell’artista
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Mattia ferretti La formazione di Mattia Ferretti (Atripalda, 1987) passa attraverso la laurea in Scienze della comunicazione e un percorso dedicato al linguaggio delle immagini; in seguito i suoi studi si precisano in ambito artistico con la frequenza ai corsi di pittura di Claudio Pieroni presso l’Accademia Albertina di Torino. Pur provenendo da un percorso formativo insolito ad un artista, Mattia Ferretti approda alla pittura con idee ben chiare. Vengono qui riportate le sue parole: “La mia pittura si concentra su una dimensione astratta, simbolica e surreale, in cui il tratto ornato si sviluppa nella rigorosa selezione delle forme, volte a conseguire un insieme di perfetta bellezza, essenzialità, armonia e simmetria. Quei segni rotanti nascono dalle colorature stese a tampone, con un effetto di apparente casualità. Nella mia pittura quasi religiosa che prende forma in un’atmosfera di dolce rimpianto dell’esistenza prima della caduta, prediligo supporti di “recupero”, per lo più carte ruvide, e altri materiali che portano – già – con sé i segni di una loro personalissima storia”. Tra i numerosi eventi a cui ha partecipato, spicca la collaborazione con il Gruppo Radici nel progetto Revelation – Collision allestito negli spazi della Venaria Reale nel luglio 2012.
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Forme essenziali, 2013 tecnica mista su carta, 58x58 cm Torino, Proprietà dell’artista
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Velentina Grilli Nella pittura di Valentina Grilli (Milano,1983) compaiono talora gli echi della sua seconda grande passione: la moda. Anche nell’opera a concorso il dialogo tra anima e corpo è espresso metaforicamente attraverso “la suggestione che si crea nella sospensione di abiti ed oggetti; i vestiti, non indossati ma appesi, parlano di coloro che li hanno abitati divenendo così “spazi della memoria”, “Paradisi Perduti” per dirla alla Milton. Essi vengono svuotati del loro peso, aleggiando in uno spazio atemporale, ma in essi vivono coloro che non sono più, i cui corpi hanno lasciato una traccia in questi “gusci” ormai vuoti, da cui esala una insistente malinconia”. Singolare la tecnica utilizzata: su una prima stesura ad acquerello vengono realizzati successivamente i chiaroscuri, mediante l’uso della grafite che “diviene protagonista ed anima dei soggetti rappresentati”. Pittura e moda si affiancano nell’esperienza biografica dell’artista: nel 2007 consegue la laurea in Scenografia all’Accademia di Brera e contemporaneamente cura e realizza le scene per Bokapa Ekopo, compagnia di danza fondata da Francesco Ventriglia, ballerino del corpo di ballo della Scala di Milano. In seguito si dedica al design creando textures e tessuti per importanti marchi internazionali. Attualmente insegna storia dell’arte nella sezione interculturale di un prestigioso collegio del capoluogo lombardo, e partecipa a mostre collettive e personali in Italia e all’estero (Palermo, Londra, Berlino).
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Tediosa eternità, 2013 tecnica mista su carta, 120x100 cm Milano, Proprietà dell’artista
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Roberta Logiudice “Il corpo e l’anima sono legati da un unico filo non sempre indissolubile. La donna è l’emblema dell’esteriorità, del corpo, e spesso mostra una maschera di sé stessa che è solo forma e apparenza. Dietro al suo sorriso si intravvede la malinconia del suo vero essere: il volto è cupo, lo sguardo è spento. La felicità è solo apparente, ma l’anima vive tutti i suoi peccati anche se può redimersi e riconciliarsi con il corpo attraverso la fede. L’essenza della vera felicità sta nell’equilibrio tra anima e corpo, nel far emergere l’io interiore, nel liberarlo dalle catene della forma senza che l’uno prevalga sull’altra”. Questi concetti sottendono tutta l’opera di Roberta Logiudice (Torino, 1988), che soprattutto nella fotografia predilige come soggetto la donna, di cui indaga forze e debolezze, con un linguaggio espressivo che unisce al realismo del mezzo fotografico, poetiche inserzioni di matrice fiabesca. Molto nutrito è anche il suo portfolio di grafica e illustrazione, naturale sbocco della sua formazione, attraverso gli studi di grafica pubblicitaria e un corso di specializzazione presso la Scuola Internazionale di Comics.
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Un corpo che non ci rappresenta, 2013 fotografia, 42x29,7 cm (1/2 tiratura) - Torino, Proprietà dell’artista
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Giacomo Modolo Pur definendosi un pittore figurativo molto legato al realismo sociale degli anni ‘50, nei suoi dipinti Giacomo Modolo (Arzignano,1988) tradisce una grande passione per l’astrattismo informale: “La mia creazione parte dal disegno e dalla libertà totale del segno inciso, quasi scavato sulla tela grezza, a cui in un secondo momento, aggiungo il colore, volto a creare le forme e i volumi”. La tregua è nell’intenzione dell’artista “un quadro devozionale, una pala d’altare”, in cui l’oggetto/soggetto del nostro culto è un demiurgo che veste “i panni di un semplice contadino dei nostri giorni, con tanto di “divisa” da lavoro, ricavata da un completo di una nota griffe sportiva. È un semplice coltivatore, di quelli che ormai se ne vedono davvero pochi, di quelli che oggi non vengono invidiati da nessuno, di quelli considerati superati, arretrati, culturalmente deprivati. Ma non è forse in lui che si racchiude il sapere ancestrale del mondo? Non è proprio lui colui che, più di ogni altro essere umano, conosce davvero la natura? Non è forse lui l’essere più vicino all’anima del mondo poiché entra in contatto con le sue membra e il suo corpo?”. Specializzatosi nel settore della grafica pubblicitaria, l’artista realizza progetti di editoria d’arte, grafica digitale e video-montaggi e ha al suo attivo la partecipazione a importanti eventi espositivi, come la Biennale del Disegno di Sofia dell’autunno 2012 e ArtItaly, organizzato nel maggio 2013 a Monaco di Baviera.
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La tregua, 2013 acrilico, gessetti ed olio su tela, 135x100 cm Vicenza, Proprietà dell’artista
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Michele Pierpaoli Nato a Fano nel 1985, Michele Pierpaoli, dopo aver conseguito il diploma nella scuola di Pittura dell’Accademia di Belle Arti di Urbino nel 2010, è riuscito a fare della sua passione una professione, grazie al suo impegno come stampatore litografo in varie sedi marchigiane. A partire dal 2008 ha iniziato il suo percorso espositivo, che l’ha condotto in breve tempo alla personale Water in love alla Pinacoteca Comunale “Francesco Podesti” di Ancona, in occasione di GemineMuse 2009. Nel 2011 ha partecipato alla 54^ edizione della Biennale di Venezia nel padiglione delle Marche, e ancora alla XV edizione della Biennale dei Giovani Artisti dell’Europa e del Mediterraneo a Salonicco. Negli ultimi anni il suo interesse si è volto alla ricerca spasmodica dell’immaterialità pur attraverso l’applicazione di tecniche figurative strettamente materiche e fisiche: l’incisione, le carte trasparenti, gli stencil uniti a cenere e vernici spray creando una stratificazione di piani che danno vita a suggestive visioni sospese. Anche in occasione del Premio Bonatto Minella 2013 crea una raffigurazione evanescente di una moderna Vergine Maria, assisa su una sorta di magma evanescente e transitorio, dove compaiono due soggetti diafani: la Vergine e il suo “respiro”. L’anima e il corpo si accostano in un equilibrio scindibile: da una parte l’ànemos, il “vento”, lo spirito; dall’altra la materia sotto forma di una macchia fortemente simbolica che ci riporta alla terra.
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Respiro, 2013 cenere, stencil e vernice spray su carta, 92x62 cm Pesaro, Proprietà dell’artista
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Sheila Pizzighello Sheila Pizzighello nasce a Novara nel gennaio del 1987, e viene avviata al disegno dal padre: il gioco di una bambina si trasforma presto in una intensa passione che sfocia nello studio di diverse tecniche pittoriche, dal pastello al pennarello, dalla china al carboncino, dalla sanguigna agli inchiostri. Dopo un primo innamoramento per la sintesi delle opere di Toulouse-Lautrec finisce poi col prediligere un linguaggio più articolato, complice l’uso di uno strumento insolito come l’aerografo. Tutta la sua produzione non è però solo pura aerografia, ma nasce dalla contaminazione con altre tecniche, dal pastello al pennello, al gesso acrilico e con altri materiali particolari, sperimentando uno stile personalissimo definito “iperrealismo materico”. Anche Fede e sofferenza è eseguita con questa tecnica: “Questo dipinto racconta la fede di una donna sola, straordinaria nella sua sofferenza, salvata dal suo credo. La sabbia sulla tela è significante della ruvidità della vita, disgregata granello per granello dal cancro”. Il dipinto di Sheila Pizzighello è un invito a “ragionare sulla grandezza dell’anima rispetto alle imperfezioni del corpo; quel corpo martoriato dalla malattia, consumato dai farmaci in contrasto con l’anima così pura volta alla salvezza e alla fede nella vita eterna. Nell’opera il coraggio di una donna, la sua battaglia tutta spirituale vincente sul male”.
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Fede e Sofferenza, 2012 aerografo su tela preparata con gesso acrilico e sabbia, 50x70x2,5 cm Novara, Proprietà dell’artista
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Marco Romano Nei blu squillanti e negli azzurri vivaci si svela l’entusiasmo del giovane Marco Romano (Benevento, 1987): “La vera felicità non è quella esterna a noi, o quella riposta nel futuro. Ma è quella che siamo capaci di trovare nel nostro vivere quotidiano, nel presente, distillandola dalle cose più semplici”. Ne è prova la sua Trottola di felicità, una video-installazione composta da 185 dipinti ad olio su cartone di piccole dimensioni (18x13 cm) montati in successione in un video di pochi secondi che può essere la sintesi di un’esistenza: “Il movimento del personaggio è simile a quello di una trottola che gira su se stessa, capace di stare in equilibrio sotto la spinta di una forza; è la forza della felicità che ci fa rimanere in piedi di fronte alle intemperie della vita. Dal primo “attimo fuggente” si passa ad una sequenza di attimi, che alle suggestioni visive uniscono quelle sonore”. Dopo aver conseguito il diploma di scuola superiore presso il liceo scientifico tecnologico “G. Guacci” di Benevento, Marco Romano scopre nel dicembre 2006 la passione per la pittura iniziando a realizzare i primi dipinti. Attualmente frequenta l’Accademia di Belle Arti di Napoli, dove segue il corso di scenografia, e accompagna le attività di studio con progetti espositivi come Acquaria del marzo 2012, alla Rocca dei Rettori a Benevento.
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Trottola di felicità , 2012 installazione composta da 185 dipinti olio su cartone e video dimensioni ambientali variabili 156x270 cm Benevento, Proprietà dell’artista
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Ilaria Sagaria Nata nel 1989 ad Oliveto Citra, in provincia di Salerno, Ilaria Sagaria si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Napoli, che frequenta tuttora. Il suo percorso artistico ha inizio con la pittura, ma nel 2012 avviene una svolta significativa; accantonati pennelli e tavolozza, si addentra nel mondo della fotografia, attraverso cui intende mettere a nudo l’essenza stessa dell’animo umano che trasuda da un corpo di inquietante bellezza. L’artista è profondamente convinta che il corpo sia la più grande opera d’arte che esista in natura, e per questo il suo ideale è la ricerca di una bellezza semplice e assoluta, che trova la sua risoluzione nel nudo femminile. A partire dal 2006 prende parte a vari concorsi artistici, tra cui “Premio Carlo Levi” ad Aliano (MT), e partecipa a varie collettive, tra cui Diario di un incipit nel 2011, presso l’archivio fotografico Parisio di Napoli, e sempre nella città partenopea nel 2012 allestisce la personale fotografica Free Mind. Attraverso la fotografia la giovane artista si interroga sull’affermazione “Io sono il mio corpo”, e sul ruolo che riveste il corpo nella costruzione della propria identità, ponendo a sua volta un quesito all’osservatore: “Denudato, torturato, sfigurato, il corpo è stato da sempre elemento di indagine nell’arte. Cosa ben più difficile è stato mettere a nudo l’anima. Cosa siamo realmente noi? Siamo davvero solo un cumulo di ossa e carne o c’è qualcosa che si agita impetuoso dentro le nostre viscere e ci fa vivere e sentire, gioire e soffrire?”.
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Evanescenza, 2013 fotografia, 30x45 cm Salerno, Proprietà dell’artista
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Maria Savoldi Il lavoro di Maria Savoldi (Iseo, 1988) nasce dalla sua ossessione per il tempo, che nell’opera presentata a concorso è raffigurato da una linea rossa che si compone in una serie di fotogrammi, quella stessa linea che è tatuata sul suo corpo, e “lo divide in due parti in maniera irregolare e imprecisa”. Tale divisione, che si sottrae volutamente al criterio della simmetria, sottolinea simbolicamente la dualità tra corpo e anima. Ai fotogrammi della singolare installazione si affianca una scultura in cui la linea diventa un lungo filamento di ferro, intrecciato in una forma volumetrica, a realizzare ciò che, nell’intenzione dell’artista, è “autoritratto, presenza fisica e oggettuale dell’anima e del corpo”. Come per altre sue installazioni, Maria Savoldi si lascia suggestionare dal concetto di “doppio”, che intende come archetipo della nostra cultura: l’anima esiste necessariamente in quanto associata al corpo, poiché ogni cosa contiene il suo contrario, e gli opposti, affiancandosi, si annullano per poi ricostruirsi, in un eterno rincorrersi di ordine e disordine, di luce e oscurità, di vita e di morte. Tempo e linea tornano con costanza nel catalogo dell’artista, che li mette al centro anche della sua ultima personale 00.34 a.m. presso la Blu Gallery di Bologna. Nelle opere lì proposte, il trascorrere del tempo, conteggiato in innumerevoli secondi, si materializza in punti vicinissimi e infiniti che generano la linea, rappresentata sulla bidimensionalità del foglio, oppure sviluppata in una contorta linea di ferro ossidato.
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2h00’01’’, 2013 installazione, fotografia di china su pelle e ferro, 8,5x650x5 cm Bologna, Proprietà dell’artista
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SEZIONE OVER 30
Vincitori Leo Ferdinando Demetz Doriano Scazzosi
Finalisti AQUA Aura - Anna Caruso - Max Ciogli Elena Corina Cohal - Patrick Dalli Mauro Davoli - Antonio De Chiara Jacopo Dimastrogiovanni - Attilio GIORDANO Ferdinando Greco - Anna MADIA - Tonino Mattu Michela Milani - Matteo Pagani Riccardo Ruberti - Stefano Solimani Laura Tosca - Flavio Ullucci Alfonso e Nicola Vaccari - Giovanni Zoda Carlo Bonatto Minella Nudo maschile,1873 c. Collezione privata
Leo Ferdinando Demetz In una terra dove il legno corre verso l’altezza del cielo nei boschi, nelle mani abilissime di Leo Ferdinando Demetz va verso la sommità dell’arte. Demetz nasce a Bolzano nel novembre del 1967 e mantenendo un legame fortissimo con la sua terra, decide di vivere e lavorare a Selva di Val Gardena. Dopo aver conseguito il diploma di maestro d’arte, ha iniziato la sua attività espositiva riscuotendo soddisfazioni e successi. Fra le mostre più significative ricordiamo quelle del 2010 allestite negli Istituti italiani di Cultura di Vienna, Praga, Copenhagen e Berlino. Dello stesso anno è Richiamo all’origine (Galleria Bianca Maria Rizzi & Matthias Ritter, Milano), seguita nel 2011 da Il mio vicino di casa (Galleria Englös, Dobbiaco, a cura di Bianca Maria Rizzi). Le sculture di Leo Ferdinando Demetz non nascono da un disegno progettuale premeditato ma dall’intervento diretto su blocchi lignei, plasmati dagli strumenti dell’intagliatore e ulteriormente modellati con l’uso di oli, plastilina e creta. Il suo catalogo è dominato in maniera pressoché esclusiva dalla figura umana, ritratta nel suo modo di essere quotidiano, con sembianze e pose che indagano la varia gamma dell’espressività dell’uomo, dal drammatico al comico. In tutte le opere di Demetz, come rammenta Alessandra Redaelli, “tiglio, castagno e cirmolo si piegano al volere dell’artista, diventano una materia ibrida che seduce l’occhio confondendolo, ribaltando i principi fondamentali della percezione. Perché se lì, nel piegarsi morbido della guancia, nella palpabile cedevolezza del collo, quella è proprio carne - della quale si ha la sensazione di poter avvertire la consistenza tiepida - le venature del legno sono pronte a contraddire questa certezza. E a volte l’ossimoro è violento, quasi doloroso”. Nell’opera vincitrice del Premio Carlo Bonatto Minella La rinascita, intrisa di religiosità e meditazione, a piegarsi al volere dell’artista è il cirmolo che, con spirito quasi michelangiolesco, si offre all’uso delle sgorbie che dal tronco cavano con maestria un corpo con le ali che emergono dal costato: è il simbolo della rinascita dello spirito, espressione di vita, forza distinta dalla materia.
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OPERA VINCITRICE La Rinascita, 2012 scolpita in un tronco unico di cirmolo, 158x54x28 cm L’Aquila, Collezione privata
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Terrafuoco, 2012 tiglio e smalto, 48 cm Selva di Valgardena, Proprietà dell’artista
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Oxigen, 2013 tiglio e smalto brillante, 53 cm Selva di Valgardena, Proprietà dell’artista
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L’essenza, 2008 tiglio 80 cm Selva di Valgardena, Proprietà dell’artista
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Mamma, 2008 tiglio e smalto brillante, 80 cm Selva di Valgardena, Proprietà dell’artista
Il mammone, 2012 tiglio e pigmenti, 50 cm Selva di Valgardena, Proprietà dell’artista
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Il Guerriero, 2012 tiglio e corna di daino, 75 cm Berlino, Collezione privata
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Questa sera è la volta buona, 2010 tiglio e matita colorata, 54 cm cad. Selva di Valgardena, Proprietà dell’artista
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Il colpevole, 2011 tiglio e matita colorata, dimensione variabile Selva di Valgardena, Proprietà dell’artista
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Ricordi d’inverno, 2010 tiglio pigmentato, 45 cm Selva di Valgardena, Proprietà dell’artista
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Doriano Scazzosi Nell’esperienza dell’artista sempre vivi sono i profumi dei colori che suo padre utilizzava come cartellonista pubblicitario e pittore. Doriano Scazzosi (Busto Garolfo, 1960), infatti, non abbandona la via paterna, ma la segue con determinazione a partire dagli studi artistici alle scuole superiori, durante i quali realizza il manifesto per una mostra sull’opera di Arnolfo di Cambio. Prima del diploma in pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Brera il suo talento è consacrato dal Premio Annunciata 1981, dove a giudicarlo sono personalità del calibro di Luciano Caramel, Giorgio Mascherpa, Aligi Sassu ed Emilio Tadini. Negli anni successivi alterna la decorazione di chiesette e cappelle cimiteriali, nelle vicinanze del paese d’origine, ad una serie di esposizioni personali e collettive, sia in Italia sia all’estero, e alcune sue opere entrano in importanti collezioni private (Barilla, De Benedetti) e pubbliche (Museo Europeo di Arte Moderna di Barcellona). “In bilico fra la speranza e l’incertezza si equilibra talvolta Scazzosi”, come sostiene Flavio Arensi, dalla cui pittura “traspare sempre una certa inquietudine poetica, un dissidio che rompe la noia dell’abitudine”. Anche l’opera vincitrice nasce da quell’equilibrio: tra visibile e invisibile, tra il certo e l’ignoto. Nel dipinto ogni cosa è percorsa da vibrazioni profonde, complice una luce diffusa, artificiosa e irreale: due letti in prospettiva, un corpo velato, un lenzuolo abbandonato e il vuoto. Tutta l’arte di Scazzosi, non di rado è sostenuta da una sensibilità religiosa sincera che ricorda all’uomo che “c’è un cammino da fare”, perché come scrive Silvano Fausti, gesuita, “Puoi dare anche mille prove che Cristo è risorto, ma non sono le prove il problema. Il problema è incontrare Lui. E chi ama lo incontra sempre: gli basta poco, gli basta il segno per capire. La fede è vedere”.
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OPERA VINCITRICE Ero morto, ma ora vivo per sempre, 2013 tecnica mista su tavola, 120x210 cm Arconate, Proprietà dell’artista
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Sepolcro, 2013 tecnica mista su tavola, 22x44 cm Arconate, Proprietà dell’artista
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Estasi, 2013 tecnica mista su tavola, 40x120 cm Arconate, Proprietà dell’artista
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Coniglio spellato, 2013 tecnica mista su tavola, 50x50 cm Arconate, Proprietà dell’artista
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Volto riflesso, 2011 tecnica mista su tavola, 150x60 cm Arconate, Proprietà dell’artista
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Presenza, 2008 tecnica mista su tavola,150x70 cm Arconate, Proprietà dell’artista
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Maria di Magdala si voltò (Giovanni 20,16), 2010 tecnica mista su tavola, 60x185 cm Collezione Fondazione Credito Bergamasco
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Dopo la cena pasquale, 2011 tecnica mista su tavola, 240x100 cm Arconate, Proprietà dell’artista
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Ulivi, notte, tenebre, 2012 tecnica mista su tavola, (Polittico), 240x140 cm Arconate, Proprietà dell’artista
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AQUA Aura Non a caso Raffaele Piseddu (Vimercate, 1969) ha scelto come nome d’arte Aqua Aura. Questa è la denominazione di un processo chimico-fisico che, grazie ad un trattamento termico con i vapori d’oro è in grado di mutare l’aspetto esteriore cromatico del quarzo, non intaccandone la forma ma soltanto impercettibilmente la consistenza. Aqua Aura è rinato al mondo dell’arte con nuova energia e più matura consapevolezza dopo dodici anni di riflessiva inoperosità e ricerca silenziosa, un lungo periodo in cui si è tenuto “a debita distanza dall’esperienza artistica, vivendo solo da ricercatore, spettatore e viaggiatore”. Negli anni Novanta, dopo la laurea in pittura all’Accademia di Belle Arti di Brera, aveva vissuto un intenso momento di attività creativa ed espositiva, e con lo stesso fervore dopo “la metamorfosi recente” riprende un cammino che lo porta immediatamente a numerosi consensi confermati dalle mostre personali del 2013 Frozen Frames (Galleria VV8 Arte Contemporanea, Reggio Emilia) e Hidden (Studio Vanna Casati, Bergamo). Nella nuova fase esclude ogni altro mezzo espressivo che non sia l’arte fotografica, in cui si lascia guidare dalle parole di Roland Barthes in La camera chiara: “Davanti all’obiettivo, io sono contemporaneamente quello che io credo di essere, quello che vorrei si creda io sia, quello che il fotografo crede io sia, e quello di cui egli si serve per far mostra della sua arte”.
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Portrait intime, 2013 lightbox, 73x85x10 cm Milano, Proprietà dell’artista
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Anna Caruso Anna Caruso (Cernusco sul Naviglio, 1980) consegue il diploma di Laurea presso l’Accademia di Belle Arti di Bergamo con indirizzo pittura e restauro nel 2004, e nello stesso anno dà vita allo Studio d’Arte Picart a Treviglio, che tutt’ora gestisce e dirige. Accompagna tale attività ad esposizioni allestite su tutto il territorio nazionale, da Milano (C’ero, una volta, Galleria Famiglia Margini, 2012) a Roma (Planetario, Centrale Risthteatre, 2008) per arrivare fino a Lecce (COEXIST. Eight different kind of fantastic art, E-Lite Studio Gallery). “Direzione, spazio, attesa” sono i punti focali delle sue composizioni più recenti, che, come suggerisce l’artista stessa, “sono costruite sul concetto di anima, intesa sia come luogo fisico dell’individuo sia come sede mentale dell’uomo, all’interno della quale l’individuo ricerca una propria identità e un proprio senso”. In un gioco di trasparenze e sovrapposizione silenziose che spesso lasciano nuda la tela con un chiaro e forte intento espressivo, compaiono e scompaiono figure eteree che aleggiano entro architetture improbabili. “Ma non è il luogo specifico ad essere rilevante, né la presenza umana a definirne l’importanza; ciò che pervade la rappresentazione è l’enigma dell’inadeguatezza umana, il timore di appartenere ad un’essenza comune, identificabile in elementi strutturali che l’osservatore riconosce come luoghi di una città. L’anima va oltre il corpo, l’essenza, oltre l’apparenza”.
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There’s no place like home, 2013 acrilico su tela, 40x50 cm Bergamo, Proprietà dell’artista
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Max Ciogli Artista innovativo e poliedrico, Massimiliano Ciogli (Rieti, 1975) è guidato da due grandi passioni, la pittura e la musica, ma nel corso degli anni si è addentrato in differenti settori del mondo dell’immagine. All’Accademia di Belle Arti di Perugia si è infatti specializzato in fenomenologia delle arti contemporanee, mentre nel 2005 ha conseguito una seconda laurea in Industrial Design. Dal 2008 realizza le sue prime mostre-concerto, da cui prenderà spunto per realizzare il progetto di “Pittura dinamica del suono” che indaga le sinergie tra musica e pittura creando nel 2010 il Gruppo di Ricerca Artistica SIN-E (sintesi sinestetica), in collaborazione con il compositore internazionale Marco De Biasi. Nel 2012 avvia il primo “Laboratorio sperimentale di Musica a colori” presso l’Istituto Statale Sordi di Roma attraverso il metodo DCM (Deaf Color Music) da lui brevettato. Anche Color Sound Theater si pone nel solco della sperimentazione dell’artista; qui Max Ciogli ha voluto coniugare i tre piani di lavoro, pittura, suono e colore, in un unico insieme costituito da un supporto in PVC trasparente. Il piano pittorico traslucido (2 x 1,5 m) sospeso al centro della sala espositiva sviluppa un quadro immaginario che sostituisce il telaio classico e rende fruibile il concetto suono-colore da ogni direzione lo si osservi, creando una vera e propria interazione tra l’artista, l’opera ed il pubblico.
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Color and sound Theater, 2013 pvc e software, 2x1,5x0,50 m Roma, Proprietà dell’artista
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Elena Corina Cohal Elena Corina Cohal nasce a Iasi, in Romania, nel 1980, e qui compie i primi studi all’Università delle Arti Visive, proseguendo il suo percorso formativo a Torino, dapprima con un corso di illustrazione e in seguito con il biennio specialistico in grafica d’arte presso l’Accademia Albertina. Sempre nel capoluogo piemontese tiene nel 2013 la personale Is everything precarious?, che era stata preceduta nel 2009 dalla mostra (Auto)ritratti presso la Aus-galerie di Latina e dall’esposizione L’infanzia di Darwin nella galleria Il Vicolo di Genova. Il ritorno, presentato in occasione del Premio Carlo Bonatto Minella, nasce da uno dei temi ricorrenti nella poetica dell’artista, il tempo, “che macchia e smacchia la nostra esistenza in un perpetuo ciclo di ferite e guarigioni”. Il disegno a carboncino rientra in un progetto artistico più ampio, che unisce gli elementi pittorici a quelli installativi e della performance: la visione del disegno da parte dell’osservatore è infatti accompagnata dalla riproduzione sonora del cinguettio dei canarini che sopravvivono a quello raffigurato sulla carta, per il quale il tempo si è definitivamente fermato. La performance si pone quasi come un intervento demiurgico dell’artista, che accartoccia il foglio per poi distenderlo nuovamente; tutte le pieghe prodotte nel primo momento performativo si conservano, ad indicare che, mentre il corpo scompare e si dissolve, l’anima continua il suo viaggio “per riunirsi alla Luce da cui fu generata”.
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Il ritorno, 2013 carboncino su carta, 182x150 cm Torino, Proprietà dell’artista
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Patrick Dalli Nato a Malta nel 1955, Patrick Dalli fin dall’adolescenza si è dedicato alla pittura seguendo un percorso da autodidatta, nella pratica dei generi del paesaggio, della natura morta e del ritratto. A partire dal 1995 un’intensa attività, sotto la guida dell’artista maltese Anton Calleja, gli ha consentito di approfondire lo studio e l’esercizio sulla figura umana, via via precisati con la predilezione per il nudo ripreso dal vivo. Risale al 2002 la sua prima personale The human figure organizzata dalla Galleria Libertà a La Valletta, a cui seguono nel 2005 la mostra presso la Muska Gallery e nel 2007 l’esposizione di disegni alla B’Art Gallery sempre nella capitale maltese. Gli ultimi recenti successi hanno avuto come cornice importanti istituzioni della sua isola d’origine, come la mostra Nudes a St. James Cavalier e quella dedicata alla figura umana nella sede del Malta Fine Arts Museum. Quest’ultimo evento è stato accompagnato da un catalogo che ha contribuito a rivalutare la sua opera, tanto da essere inserito nel 2011 dalla galleria londinese Saatchi nel novero degli artisti da scoprire. Nella concezione dell’artista il nudo non deve produrre una risposta emotiva, né nello spettatore, né nel modello, né nel pittore, non deve provocare disturbo o tentare di sedurre: il ritratto della figura umana nuda è per Patrick Dalli una “dichiarazione pittorica sulla pittura”, una sorta di puro ragionamento che ha come oggetto l’arte stessa.
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Eleonor, 2012 olio su tela, 160x110x3 cm Malta, Proprietà dell’artista
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Mauro Davoli Mauro Davoli è nato a Fornovo Taro nel 1955 e ha cominciato ad utilizzare lo strumento fotografico come mezzo espressivo della sua sensibilità artistica durante gli studi presso la Facoltà di Ingegneria all’Università di Bologna. Dal 1981 si dedica interamente alla fotografia esponendo in Italia e all’estero, pur rimanendo legato al mondo dell’architettura e del design. Tutt’ora, infatti, pubblica i suoi scatti su celebri riviste specializzate (tra le altre, AD, Domus, FMR) ed esegue reportages sulle realizzazioni di architetti internazionali di primissimo piano, da Paolo Portoghesi a Normann Foster. Una parte importante del suo catalogo è costituito dalle fotografie, che indagano, in chiave contemporanea, il tema della natura morta, affrontato con continuità e rigore a partire dal 2000. La passione per la pittura fiamminga, alla radice di queste rappresentazioni senza tempo, lo ha indotto a indagare le regole, i simboli e gli effetti di questo genere pittorico, sostituendo all’uso del pennello la lucidità del mezzo meccanico. Nel suo pensiero la luce non è un mezzo per scrivere, ma il contenuto e l’interprete della scrittura: “La realtà si manifesta a noi quando la luce penetra le tenebre e ci mostra le cose. Sono le ‘cose’ che mi interessano o meglio la bellezza delle cose, e la luce è un meraviglioso interprete che ci rivela questa bellezza. In architettura si cita spesso un assioma: architectura sine luce nulla architectura est. Mi vien da dire: res sine luce nulla res sunt”.
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Psyché, 2013 fotografia, stampa lambda su dibond, 60x90 cm Parma, Proprietà dell’artista
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Antonio De Chiara Antonio De Chiara, salernitano del 1968, ha frequentato la facoltà di Architettura che non ha ostacolato il suo pur tardo accostamento alla pittura. Pittura apprezzata per altro in varie manifestazioni: nel 2006 nella Galleria PiziArte di Teramo, precedentemente a Roma e Ferrara, e nel 2013 durante un’esposizione al Museo di San Francesco a Greve in Chianti. È l’artista stesso a individuare nei suoi amori e nelle sue ossessioni adolescenziali la scintilla che accende la sua arte: nel naturalismo seicentesco, nella scuola napoletana del XIX secolo, nel decadentismo. Con grande lucidità critica egli isola in questi tre momenti della storia dell’arte una “sottile linea d’ombra” che dal XVII secolo giunge fino ai giorni nostri, in cui “la materia pittorica, la luce, l’ombra e soprattutto la penombra, diventano ricerca ed elementi caratterizzanti e significativi di una continua a costante indagine”. Nella sua pittura l’oggettività è superata grazie a sottili rimandi simbolici che fanno rivivere le figure come “dei luoghi di storia e memoria recuperata”. In tal modo, anche le Voci di notte sono immerse in un’atmosfera evocativa: “Un sonno pesante, una famiglia in cui ognuno dorme, chiuso nella propria stanchezza e indifferenza. Ogni santo giorno, la croce viene rimontata e trasportata, spesso la corona di spine è indossata... Ma nella notte si odono voci, le voci delle loro anime dialogano, parlano, a volte scherzano. E sussurrando dicono di non avere paura”.
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Voci di notte, 2013 olio su tela, 100x80 cm Firenze, Proprietà dell’artista
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Jacopo Dimastrogiovanni La stratificazione della pittura che costruisce Sacrificium. Polittico di Marsia di Jacopo Dimastrogiovanni (Livorno, 1981) è lo specchio dell’elaborazione ideativa dell’opera: il momento genetico è costituito dalla lettura da parte dell’artista di uno scritto di Franz Kafka, Artista della fame, in cui il protagonista è colpito dalla smania costante di “superare […] se stesso sino a un punto incredibile, perché sentiva che le sue possibilità […] erano addirittura illimitate”. L’artista ha letto in tale desiderio l’archetipo della sfida al divino, e ha voluto tradurlo nelle forme iconografiche dell’antico mito greco del satiro Marsia, che “sente la brama della creazione artistica come un impulso irrefrenabile”. Il tragico impeto di un sempre attuale cupio dissolvi, di memoria kafkiana, conduce l’artista a immolarsi nell’Arte, in un gesto sacrificale estremo, che nella struttura dell’opera è richiamato volutamente anche dalla crocefissione. Jacopo Dimastrogiovanni conferma qui di aver maturato un linguaggio figurativo originale, sostenuto da un pensiero organico e coerente, come d’altronde ha dimostrato in diversi appuntamenti espositivi. Nel 2011 a Firenze nella Galleria Pugliese Arte con Maschere nude, nel 2012 con Dialogo presso la Molesworth Gallery di Dublino, in Irlanda, e Katábasis, a Palazzo Salvadori a Trento.
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Sacrificium - Polittico di Marsia, 2012 acrilico, pastello e carte su tela, 250x200 cm Trento, Proprietà dell’artista
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Attilio Giordano Attilio Giordano (Catania, 1973) si avvicina all’arte giovanissimo, attraverso il disegno, e solo negli anni della formazione presso l’Accademia di Belle Arti di Catania, inizia a usare l’olio; cambia la tecnica, ma il segno figurativo rimane invariato nella ricerca instancabile dell’aderenza alla realtà. La sua non è solo pittura di verità; infatti, nel percorso artistico in cui il soggetto privilegiato è l’infanzia Giordano unisce, nell’innocenza del bambino, l’oggettività, la fiaba, la denuncia. Il corpo di un bimbo è duttile come una marionetta, e ponendoci dinanzi alla purezza che sprigiona, ci si accorge che essa si carica di infiniti significati che spesso varcano la soglia dell’oggettività e la proiettano verso una dimensione simbolica, come nell’opera presentata a concorso. In questa, una delle due bambine è colta nell’attimo prima di aprire la mano per liberare un palloncino. “La liberazione assume una valenza laica e personale, scevra da coinvolgimenti religiosi. Siamo noi a liberare le nostre anime e nessun altro”. Il nuovo slancio del percorso di Attilio Giordano è confermato dalle personali siciliane del 2011 (Attilio Giordano, la condizione della donna nel mediterraneo, Galleria dello Steri, Siracusa), del 2012 (Se solo mi guardassi, Galleria Arionte Arte Contemporanea, Catania) e dall’apprezzamento del pubblico e della critica per la sua recentissima partecipazione alla mostra Moving Up Exhibition della Galleria Vernon di Praga.
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Libero le mie anime, 2013 grafite e acrilico su tela, 150x61 cm cad. Catania, Courtesy Catania Art Gallery
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Ferdinando Greco Gli esordi di Ferdinando Greco sono legati alla sua regione di origine, la Lombardia: nato a Rovello Porro nel 1939, ha proseguito i suoi studi a Milano e sempre nel capoluogo milanese si è dedicato all’insegnamento in un liceo artistico. La sua intensa attività espositiva comincia nel 1964 con la partecipazione al Premio San Fedele, e prosegue con la sua prima personale organizzata dalla Galleria Cornice a Cremona. Innumerevoli saranno poi i riconoscimenti e i successi, alla Permanente di Milano, a Pavia, a Varese. Negli anni Ottanta il suo talento supera i confini dell’Italia, con la personale del 1981 al Museo di Losanna, poi a Clermont-Ferrand, a Ljubliana, a Esslingen in Germania e infine a Los Angeles. Nel 1991 partecipa a una mostra antologica a Saronno presso Casa Morandi, e sei anni dopo è accolto in un tempio dell’arte contemporanea come il Museo d’arte di Trento e Rovereto nel contesto della mostra Trash. Quando i rifiuti diventano arte. Ferdinando Greco ha sperimentato diversi codici espressivi con una vasta tematica, a partire dalla serie dei “reperti”, per arrivare ai “paesaggi portati via” e ai “Mutanti”, che rinsaldano la sua fortuna soprattutto presso il pubblico tedesco. Non trascurabile e singolare è l’accostamento della scrittura all’elemento pittorico. Presentando il dipinto Della finitezza l’artista, in una sorta di racconto a se stesso, ricorda che la sua fede “è vaga come un fantasma” poiché egli è “vivo e la vita comprende le incertezze, le paure e gli errori che non hanno più i morti”, e in tal modo egli si sente più disposto ad accettare l’imperfezione dei suoi pensieri e le sue paurose visioni “perché quel fantasma di morte e quel bandito sono io”.
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Della finitezza, 1999-2007 olio e vinilici su tela, 169x129 cm Saronno, Proprietà dell’artista
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Anna Madia Anna Madia nasce nel 1976 a Torino e qui si diploma in pittura, presso l’Accademia Albertina nel 2002, decidendo in seguito di vivere e lavorare tra Italia e Francia. Il suo lavoro è molto apprezzato e dopo i brillanti esordi italiani, con la partecipazione al Premio Cairo del 2006, ha ricevuto riconoscimenti in occasione del British Portrait Award della National Portrait Gallery di Londra (2007), e ha ottenuto la vittoria del premio Renaissance promosso dall’Italian Cultural Institut di Londra nel 2008. Dopo la partecipazione al Premio La Fenice et des Artistes di Venezia, nel 2010 ha vinto il concorso per una residenza triennale presso il Centro d’Arte Ginkgo nella città di Troyes in Francia, e ha ricevuto una menzione speciale della giuria per il premio One-foot show, presso l’Art Insitute di San Diego. Nel 2011, su invito di Vittorio Sgarbi, ha partecipato alla Biennale di Venezia, Padiglione Piemonte presso la Castiglia di Saluzzo (Cn). In Metamorfosi di un cigno Anna Madia rappresenta in uno scenario onirico e surreale la forza della vita e il suo potere metamorfico, sostenuto dalla potenza dell’amore che “è molla da cui può scaturire un percorso interiore di trasformazione, che porta all’acquisizione di una compiuta identità dell’io”. Tale tensione metamorfica capace di cambiare l’esistenza è rappresentata in modo simbolico dall’artista che esprime la sua carica di energia creativa e di mistero cogliendo riferimenti nel mondo del folklore e delle fiabe popolari.
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Metamorfosi di un cigno, 2013 olio su lino, 130x20 cm Torino, Courtesy Galleria Raffaella De Chirico
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Tonino Mattu Nelle opere di Tonino Mattu (Nuoro, 1979) spesso le tecniche pittoriche si sovrappongono tra loro; anche nel Volto di Daniela il primo strato è steso sulla carta a pastello e carboncino, poi è velato dall’uso dei solventi e infine rivestito dal colore a olio. In tal modo il volto della ragazza è il risultato di tratti ora definiti, ora sfumati; nella poetica dell’artista, infatti, l’immagine deve rappresentare la fisicità del volto lasciando solo intuire l’intangibile presenza dell’anima. Questa non può essere raffigurata, poiché “se l’anima fosse relegata in un corpo, di cui subisce la corruttibilità, allora la nostra pelle dovrebbe sciogliersi per liberarla. Se l’anima consistesse nella coscienza, allora i nostri tratti dovrebbero portare i segni del nostro vissuto, trasfigurarsi per cedere il passo a cicatrici o a una luce abbagliante, capace di nascondere il volto”. Questa profondità di pensiero sostiene la pittura di Tonino Mattu, che dopo gli studi in Giurisprudenza ha deciso di dedicarsi totalmente alle arti visive. Nonostante il legame con la sua terra natale, l’artista non ha rinunciato a importanti esperienze all’estero, tra cui un soggiorno in Inghilterra nel 2005 e uno a Berlino tra il 2010 e il 2011, dove ha esposto nella Galleria Infantellina Contemporary. Tra i suoi successi italiani, la mostra Caratteri ereditari e mutazioni genetiche al Museo Man di Nuoro, e la partecipazione alla 54^ Biennale di Venezia.
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Volto di Daniela, 2013 pastello, carboncino e olio su carta, 102x73 cm Oristano, Proprietà dell’artista
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Michela Milani Michela Milani nasce a Lecco nel 1978 e si laurea in disegno industriale presso il Politecnico di Milano, diventando designer di professione, ma ben presto prende il sopravvento la passione per la ricerca e la sperimentazione; è proprio l’entusiasmo dell’indagine instancabile che accompagna tutti i suoi progetti, che spaziano nei settori dell’arte, della fotografia, del design. Ha partecipato a numerose collettive tra cui va registrata la presenza al Fuori Salone presso il Padiglione Italia durante la Milano Design Week nell’aprile del 2013. Tale intervento ha riscosso grande interesse a livello internazionale ed è stato menzionato su importanti riviste specializzate quali Flash Art, Elle Decor, Interni. Attualmente è impegnata nel progetto Frame per il quale, unendo le sue competenze tecniche alla sensibilità estetica, ha realizzato anche una macchina che le consente di “dipingere/produrre” le colate di metacrilato che costituiscono una delle sue cifre stilistiche più riconoscibili. Lapsus rientra invece in un altro filone di ricerca dove vengono sviluppate le implicazioni semantiche dell’immagine riflessa: protagonista della fotografia è un corpo che volge le spalle allo spettatore e si dirige verso il punto di fuga prospettico, l’ignoto o l’infinito. “L’immagine nasconde ciò che è invisibile agli occhi, nasconde una presenza che si rivela solo nel momento in cui viene dilatata la dimensione spaziale attraverso lo specchio. Solo allora si riconoscono i tratti di un volto, incorporeo, inesistente, con un’aurea quasi spirituale”.
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Lapsus, 2013 stampa su di bond e specchio, 100x64x64 cm Lecco, Proprietà dell’artista
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Matteo Pagani Matteo Pagani (Scandiano, 1979), dopo aver conseguito la maturità scientifica e poi quella artistica, si è diplomato in pittura all’Accademia di Belle Arti di Bologna, e nello stesso istituto si è specializzato in Arte sacra. Il suo genuino e fresco talento è stato riconosciuto recentemente a livello internazionale nella prestigiosa sede del MUMOK di Vienna, nella cornice del Koschatzky Kunstpreis; già in precedenza l’artista si era fatto notare dalla critica, presso il Padiglione dell’Emilia Romagna durante la 54^ Biennale di Venezia ed in altre occasioni espositive, come Die Frau das Kind allestita a Sulzbach a. Main-Miltenberg, Giochi della memoria presso la Galleria Forma e Colore di Brescia e ancora Cantico delle creature alla Galleria Rubin di Milano. Il suo lavoro nasce da un’analisi attenta della quotidianità e delle piccole cose, auspicando un ritorno a una purezza primigenia che parli al cuore dell’uomo e da lì apra orizzonti nuovi, ancora possibili, secondo l’artista, attraverso l’esperienza figurativa. Nei suoi dipinti e nella sua grafica ricorrono con costanza le figure dell’infanzia in una chiara celebrazione dell’innocenza come unica possibilità di salvezza: i bambini nell’opera dell’artista sono portatori di uno sguardo indagatore, di un atteggiamento interrogativo nei confronti dell’interlocutore e spesso dichiaratamente accusatorio. Le sue figure si stagliano su un fondo immacolato, a confermare che “non siamo in presenza di un pathos nel senso tradizionale, ma di uno sguardo disincantato e nudo sul mondo, disarmante e diretto, senza estasi o trasalimenti”.
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Trasfigurazione, 2013 matita su carta, 100x50 cm Milano, Courtesy Galleria Rubin
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Riccardo Ruberti Negli sconfinati cieli di Riccardo Ruberti rivivono gli spazi aperti della costa toscana da cui proviene: nato a Livorno nel 1981, dopo la laurea in discipline pittoriche presso l’Accademia di Belle arti di Firenze, ha fatto ritorno nella sua città natale, dove dal 2007 al 2011 è stato docente di pittura e tecniche dell’incisione, alla libera Accademia Trossi Uberti. Attualmente cura i corsi di disegno e pittura presso Lavenezia Open Space Art e Inanimoving art sempre nel capoluogo toscano. Nelle sue tele l’azzurro intenso e terso si scalda talvolta al calore del tramonto, in una rappresentazione di cui protagonista assoluto è il concetto spaziale dell’immensità. Minuscole figure, inaspettate creature, anacronistiche macchine volanti fanno la loro improvvisa comparsa solcando con leggerezza l’estensione celeste della tela, in un’atmosfera di magica sospensione. “Un cielo sconfinato attraversato da dissolvenze di nuvole liquide in continuo divenire rivela l’anima dell’uomo, - dice l’artista diventando così lo specchio delle pulsioni interne dello spirito, spesso animato da flussi di forze contrapposte che si alternano agitandosi come fossero le acque delle maree”. Riccardo Ruberti nel 2005 ha vinto il Premio “Italia Lavoro” e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali gli ha commissionato altre due opere, ha esposto in occasione dell’evento Apogee-Talking to rocks per Villa Romana a Firenze nel 2010 e di Swab 2011 a Barcellona.
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Casa sicura, 2012-2013 tempera e olio su tela, 125x125,5 cm Livorno, Proprietà dell’artista
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Stefano Solimani Stefano Solimani (1953) esordisce, appena quattordicenne, con una personale a Senigallia nel 1967, e ben presto comincia a costruirsi una solida identità artistica seguendo in un primo momento la lezione chiarista e verista, per approdare negli anni settanta a una pittura simbolica ed evocativa. Dal 1981 al 1985 si dedica alla scultura, concentrando le proprie attenzioni sulla tecnica del basso rilievo; torna presto ad applicarsi alla figurazione su tela e, suggestionato dai movimenti estetici statunitensi di quegli anni, si avvicina a modi iperrealisti supportati da un’ambientazione astratta e bidimensionale. Nel 2007 diventa promotore di un nuovo movimento artistico denominato “Iperestetismo”, che sostiene un’arte spogliata dallo sterile tecnicismo per dimostrare “che la forma è di per sé armonia, equilibrio e perfezione, quindi spirito, anima, idea diventati materia”. In questa concezione il corpo diventa anima e l’anima diventa corpo, in “un abbraccio, dove la morte inevitabilmente non trova spazio e l’eternità diventa possibile”. La sua carriera è costellata dalla ripetuta presenza nei prestigiosi spazi della Permanente di Milano, nonché alla Biennale d’Arte di Roma e al Festival dei due mondi di Spoleto. Dopo aver esposto a Pechino nel Palazzo Imperiale della Città Proibita e a San Pietroburgo presso la storica galleria Arka, nel 2011 ha partecipato agli eventi collaterali della 54^ Biennale di Venezia con la mostra L’ombra del Divino nell’arte contemporanea a Palazzo Grimani.
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Il sogno di Eva, 2012 olio su tela, 100x150 cm Spoleto, Proprietà dell’artista
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Laura Tosca Nata a Milano nel luglio del 1951, Laura Tosca ha cominciato a dipingere da autodidatta, riproducendo opere classiche e in seguito realizzando ritratti di personaggi dalla forte personalità, tali da stimolare il suo interesse introspettivo. Da alcuni anni frequenta a tempo pieno la Libera Scuola del Nudo presso l’Accademia di Brera, poiché ritiene che il corpo umano sia una fonte inesauribile d’ispirazione e di intense emozioni, che nascono dal confronto tra due esseri simili. Ha partecipato a diverse rassegne di pittura organizzate dalla Galleria Arte Cultura di Milano, alla mostra Eros della Galleria Centro Arte Moderna di Pisa e all’evento Capolavori del Giardino Segreto a Firenze. L’opera presentata al Premio Carlo Bonatto Minella è un omaggio all’architetto Guglielmo Mozzoni, dalla cui indomita personalità l’artista è rimasta fortemente affascinata; il ritratto intende proporre i tratti decisi del personaggio, che, come ricorda Laura Tosca, fu in grado di “intimare la resa al comando del fascio a Milano, presentandosi da solo e disarmato, sventolando il fazzoletto bianco che aveva nel taschino”. Dal viso e dal corpo, ormai segnati dal tempo, emerge la vitalità incontenibile del soggetto, in contrasto con il decadimento fisico, sostenuta “in una sorta di lievitazione, dalla leggerezza e dall’energia di un’anima sempre integra nella sua giovinezza”.
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Ritratto dell’architetto Guglielmo Mozzoni, 2010 olio su tela, 30x40 cm Milano, Collezione Guglielmo Mozzoni
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Flavio Ullucci Flavio Ullucci, nato a Carmagnola nel marzo del 1976 si accosta alla pittura da autodidatta, senza volerne fare un trattato di filosofia da cui estrapolare necessariamente molteplici significati. I suoi dipinti non sono campionari di metafore e allegorie, ma si limitano a rappresentare la realtà così come i suoi occhi la registrano. Da qui l’adozione di uno stile di matrice realista che si contamina, nel momento della scelta iconografica, con inserzioni proprie del linguaggio surrealista. Lontana dalla certezza delle risposte, la pittura di Ullucci vuole solo invitare l’osservatore a porsi delle domande. Nella sua concezione, infatti, “osservare un quadro, a meno che questo non ci lasci indifferenti, non è altro che farsi parte di quello; godere di un’immagine o di un colore non è altro che godere del riflesso di se stessi”. Nel 2008 era presente nella Gallerie Espace Arsinoe di Parigi con la mostra Les couleurs de l’Italie. Peinture italienne contemporaine, mentre in anni recenti ha partecipato a diverse edizioni di Paratissima, nel capoluogo piemontese. Nel 2013 viene premiato alla V Biennale GenovARTE organizzata a Palazzo Stella di Genova, e nello stesso anno espone nella collettiva Arte e Letteratura si incontrano presso la Galleria Arte Città Amica di Torino.
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Il re denudato, 2012 olio su tela, 75x75x4 cm Torino, Proprietà dell’artista
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Alfonso e Nicola Vaccari Alfonso e Nicola Vaccari, gemelli forlivesi nati nel 1961, lavorano a quattro mani ormai da diversi anni. La loro pittura prevede che la genesi del dipinto sia legata a uno scatto fotografico, che consente di rimanere ancorati alla realtà oggettiva del nostro tempo. In seconda battuta, il pennello riproduce sulla tela l’immagine selezionata, secondo criteri neorealisti, attinti a modelli del Realismo americano come Hopper e Richter, ma aggiornati sull’esperienza dell’ultima generazione di pittori figurativi statunitensi, come Jeremy Lipking, Jacob Collins, Michael Klein e David Kassan. Nel loro catalogo rientrano temi tradizionali ma declinati nel contemporaneo, come i paesaggi, che indagano gli scenari metropolitani, o i ritratti in cui predomina la rappresentazione di giovani ragazze dalla sottile sensualità e dalla misurata carica erotica. In quest’ultimo caso, il lavoro degli artisti non è esente da una carica polemica nei confronti dei mezzi di comunicazione, che sfruttano la donna come strumento pubblicitario. Abbastanza insolita nella produzione dei due fratelli è La Religiosa, che si ispira a un fotogramma del film omonimo di Guillaume Nicloux (2013) e lo immerge nella dimensione estetica della silenziosa pittura di Jan Vermeer. Nel dipinto protagonista assoluta è la luce “diamantina e spirituale, che rivela l’intenso rapporto di un’anima in assorto e silenzioso dialogo con Dio”.
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La religiosa, 2013 olio su tela, 50x70 cm ForlĂŹ, ProprietĂ degli artisti
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Giovanni Zoda Giovanni Zoda, catanese di nascita (1980), ha frequentato un master di perfezionamento in “Arte per la Liturgia” presso il Museo Stauròs d’Arte Sacra Contemporanea ad Isola del Gran Sasso, e in seguito si è diplomato in discipline pittoriche all’Accademia di Belle Arti di Catania; attualmente frequenta i corsi del dottorato in Comunicazione e Spettacolo presso l’Università Kore di Enna. Alterna le attività legate a committenze pubbliche, come la pala d’altare con l’Annunciazione nella chiesa di Maria Assunta a Scopoli, alle mostre personali (Lontananze, Galleria Il Polittico, Roma, 2009; La Visione e il Viaggio, Galleria Studio A, Catania, 2013) e collettive, tra cui ricordiamo Les couleurs de l’âme. Les artistes et le sacré aujourd’hui, tenutasi al Chateau du Terral a St. Jean de Védas in Francia, Artisti nella luce di Sicilia allestita al Palazzo della Cultura di Catania nel 2011. È stata molto apprezzata dal pubblico e dalla critica anche la sua presenza alla 54^ edizione della Biennale di Venezia nel padiglione Italia Accademie, nonché alla mostra Nuovi Pittori Della Realtà, al Museo Pac di Milano nel 2008. La ricerca poetica di Zoda è molto vicina alla tematica proposta dal Premio Carlo Bonatto Minella, poiché nella sua opera, come egli stesso sostiene, “la conoscenza religiosa si amalgama con le strutture complesse della psicoanalisi, proiettandosi nel mondo del simbolico, regione dove alberga la sostanza oscura del nostro essere, luogo dove l’io si deposita per riconoscere se stesso”.
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Rinascita, 2012 olio e grafite su tavola, 160x250 cm Catania, Proprietà dell’artista
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Edito da: LIZEA ARTE EDIZIONI Finito di stampare nel mese di Novembre 2013 presso la litografia Li.Ze.A. in via San Lazzaro 16, 15011 Acqui Terme (AL) Tel. (+39) 0144 57404 - www.lizea.com Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari, degli organizzatori del Premio e dell’editore. L’editore è a disposizione degli eventuali detentori di diritti che non sia stato possibile rintracciare. © Copyright - tutti i diritti riservati PRINTED IN ITALY 2013 - Li.Ze.A. - Acqui Terme (AL)
Giunto alla seconda edizione, il Premio Biennale Carlo Bonatto Minella è una manifestazione dedicata all’arte e alle sue espressioni: pittura, scultura, fotografia e video-installazioni. Artisti under 30 e over 30 hanno riflettuto sul tema Oltre il corpo … l’anima, estrapolato da alcune opere del giovane Carlo Bonatto Minella morto nel 1878 a soli 22 anni. Il pittore piemontese ha dipinto corpi immobili e silenti, scarnificati e intimi; corpi che lasciano intravvedere l’anima, i sentimenti e il malessere fisico dell’uomo di fine Ottocento, paragonabile a quello del nostro vivere quotidiano, per quanto diverso. Le opere del Premio Carlo Bonatto Minella sono affascinanti variazioni sul tema, che invitano alla riflessione e chiedono di essere guardate, ascoltate, capite per interrogarsi sull’uomo e sul suo destino. Una giuria di specialisti, presieduta da Vittorio Sgarbi, ha visionato le 823 opere pervenute per individuare 4 vincitori, due per categoria, due menzioni speciali fra i giovani, 40 finalisti, 20 per sezione. Le opere dei vincitori, dei due giovani segnalati da Vittorio Sgarbi e dei finalisti sono esposte nelle due mostre di Casa Toesca e Villa Vallero a Rivarolo Canavese e presso la Galleria Hernandez a Milano.
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